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Il processo sommario: applicazione e prassi giurisprudenziale, Appunti di Diritto Processuale Civile

Cos'è il procedimento sommario di cognizione, natura, ambito di applicazione, la fase introduttiva, istruttoria e decisoria, l'appello e la conversione del rito. ex art. 702 cpc .

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 26/07/2020

silvana23
silvana23 🇮🇹

4.8

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Scarica Il processo sommario: applicazione e prassi giurisprudenziale e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1 INDICE Introduzione……………………………………………………………4 Capitolo 1: Ambito di applicazione………………………………...14 1. Premessa………………………………………………………..14 2. Le controversie soggette al rito laburistico…………………..15 3. La tutela cautelare……………………………………………...21 4. La chiamata di terzo……………………………………………25 5. L’incidente di cognizione nell’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi ……………………………27 6. L’opposizione a decreto ingiuntivo…………………………...29 7. Conclusioni……………………………………………………..31 Capitolo 2: L’istruttoria……………………………………………….33 1. Premessa………………………………………………………..33 2. Accesso all’ “istruzione sommaria” e valutazione del giudice sull’opportunità della stessa……….34 3. Contenuto dell’ “istruzione sommaria” e 2 poteri del giudice nell’ambito della stessa……………………38 4. All’origine della diatriba: l’ “equivoco” originale sul concetto di diritto di difesa…………………………………41 5. La fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c…………………..43 6. Il problema del contrasto fra giudicati………………………...44 7. Conclusioni……………………………………………………...47 Capitolo 3: L’appello…………………………………………………..49 1. Premessa……………………………………………………………49 2. La disciplina dei nova in appello prima della L. 7 agosto 2012 n. 134…………………………………………...50 3. La disciplina dei nova in appello dopo la L. 7 agosto 2012 n. 134……………………………………………53 3.1. Vaghezza del concetto di indispensabilità e conseguente impossibilità di una distinzione dal concetto di rilevanza…………………………………………………….54 3.2. Valutazione circa l’indispensabilità dei nova in appello e mancata produzione incolpevole nel giudizio di prime cure: impossibilità di una visione autonomistica delle due deroghe……………………………………………………...57 3.3. Prime conclusioni…………………………………………..58 4. La proposizione di nuove domande nel giudizio d’appello ex art. 702-quarter c.p.c……………………………………………59 5. Conclusioni………………………………………………………….61 5 dell’istituto, le percentuali di utilizzazione del nuovo strumento di deflazione del contenzioso civile. Centrale è poi la definizione di istruzione sommaria, e se questa implichi anche una cognizione sommaria, dato che è lo stesso giudice in forza dei suoi ampi poteri discrezionali ex art. 702-ter c.p.c. a valutare in via preliminare se le difese svolte dalle parti consentano appunto questo tipo di istruzione, il quale in caso negativo disporrà con ordinanza (anche questa non impugnabile) l’udienza di trattazione di cui all’art.183 c.p.c. Bisogna dunque interrogarsi anche qui sui criteri utilizzati, in questo caso dal giudice, per definire quando si sia in presenza dell’ “elemento sommarietà”. Elemento che si ripresenta subito dopo, in quanto anche una volta accertata la compatibilità della domanda col procedimento sommario, “[…] il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti d’istruzione rilevanti […]” (ex. art.702-ter c.p.c.). La disposizione è indubbiamente di ampio respiro, e bisogna chiedersi allora se qui la sommarietà sia intesa anche come possibilità di avere un’istruttoria lasciata alla discrezionalità del giudice, che esuli dai vincoli delle norme positive. Connessa all’istruttoria è poi la questione del cumulo, in quanto ex art. 702- ter. c.p.c. se una o più cause connesse non possono essere decise con il rito sommario, il giudice ne disporrà la separazione. Non optando quindi per il cumulo con scelta di un rito ex art. 40 c.p.c., si viene a porre il problema della coerenza fra le decisioni, potendo questo scaturire proprio dalla diversa “profondità” delle istruttorie, nel caso quella sommaria venisse intesa come “approssimativa”, e dunque come conseguenza venire a essere frustrata la stessa ratio del procedimento sommario, la celerità. Da ultimo come indice della considerazione da parte del legislatore del concetto di sommarietà, risulta rilevante la disciplina dell’appello ex art. 702- quater c.p.c., in quanto il giudizio d’appello si caratterizzava qui, prima dell’intervento dell’art. 54 D.L. 22 giugno 2012 n. 83 come modificato 6 dall’allegato alla legge di conversione l. 7 agosto 2012 n. 134, per una maggior apertura, rispetto al rito ordinario, alla produzione di nuovi documenti, la quale è ammessa ogni qual volta la parte incolpevolmente non abbia potuto produrli in giudizio o il collegio li ritenga rilevanti. Pregnante era quest’ultima condizione, essendo sufficiente per il collegio la mera rilevanza dei documenti, e non la loro indispensabilità (come invece previsto nel rito ordinario ex. art. 345 c.p.c). La disposizione avrebbe potuto dare quindi l’idea che il legislatore avesse voluto quasi “recuperare” in appello un’istruttoria “approssimativa” rispetto a quella ex. artt. 202 ss. c.p.c. Tuttavia anche dopo l’intervento della l. 7 agosto 20120 n. 134, che è andata fra le altre cose proprio a modificare proprio l’art. 702-quater c.p.c. eliminando il riferimento alla “rilevanza” e sostituendolo con l’ “indispensabilità”, i problemi interpretativi circa l’apertura ai nova in appello non sono terminati, e ne vedremo il perché. Sarà poi utile effettuare una piccola panoramica su qualche caso concreto, in modo da avere una visione dell’istituto nella prassi giurisprudenziale e di come quest’ultima l’abbia recepito e vi abbia dato attuazione, in modo da avere un raffronto “empirico” delle conclusioni da noi raggiunte e capire in quale modo esse siano, se del caso, effettivamente applicate nelle aule giudiziarie. Infine, non potrà che giovare alla chiarificazione della “sommarietà” nel procedimento in esame, un raffronto comparatistico con i modelli processual- civilistici di altri ordinamenti europei (inglese, francese e tedesco), in modo da visualizzare la direzione che il processo civile sta prendendo fuori dal nostro paese e in che modo questa si rapporti col procedimento ex artt. 702- bis ss. c.p.c. Come si nota, la “sommarietà” è presente in ogni disposizione del nuovo procedimento ex. artt. 702- bis ss. c. p. c., ed è quindi analizzandolo nel suo complesso che cercheremo di definire il significato e la natura di siffatta sommarietà. 7 Prima di entrare nel merito della questione, sembrano tuttavia opportune alcune precisazioni. Possiamo affermare fin da subito che il procedimento sommario che andiamo ad analizzare non è un procedimento sommario c.d. “puro”, in quanto l’unico esempio di sommario puro che abbiamo avuto nel nostro ordinamento è stato l’ormai abrogato processo sommario societario, ossia quella particolare tipologia di procedimento sommario disciplinata dall’art. 19 del D. Lgs. 5/2003, nell’ambito del più generale rito societario, disciplinato dal citato Decreto Legislativo recante la “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366”. La definizione di sommario “puro” deriva dal fatto che tale rito sommario societario ex art. 19 era improntato unicamente alla formazione di un titolo esecutivo, con la totale assenza di tutela dichiarativa (cosa fornita invece dal rito ex artt. 702 ss. c.p.c.), come chiarito anche dal comma 5 del predetto art. 19: “[…] All’ordinanza non impugnata non conseguono gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile […]” o anche solo cautelare, mancando il presupposto del periculum in mora (proprio invece dei procedimenti cautelari). Il provvedimento che viene fuori a seguito di un siffatto procedimento è emesso quindi dal giudice sulla sola base della fondatezza delle richieste di parte, la cognizione in questo caso più che sommaria andrebbe allora definita come praticamente assente, stante che ai sensi dell’art. 19: “[…] le controversie di cui all’articolo 1 che abbiano ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche se non liquida, ovvero la consegna di cosa mobile determinata, possono essere proposte, in alternativa alle forme di cui agli articoli 2 e seguenti, con ricorso da depositarsi nella cancelleria del tribunale competente, in composizione monocratica […] il giudice designato, ove ritenga sussistenti i fatti costitutivi della domanda e manifestamente infondata la contestazione del convenuto, pronuncia ordinanza immediatamente esecutiva di condanna e dispone sulle spese ai sensi degli articoli 91 e seguenti del codice di procedura civile. L’ordinanza costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale […]”, in questo caso non si parla di mezzi istruttori, ma semplicemente del fatto che il 10 liquida di denaro, di una determinata quantità di cose fungibili o che abbia diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, può ottenere dal giudice il decreto ingiuntivo inaudita altera parte, ossia in assenza di contraddittorio, semplicemente presentando prova scritta del credito. Anche in questo caso si è in presenza di una palese sommarietà cognitiva, giustificata dalla particolare posizione del creditore (salvo sempre l’opposizione del debitore, la quale apre un giudizio ordinario di cognizione). I procedimenti sommari considerati sono quindi connotati appunto da cognizione sommaria, mirano all’emanazione di un titolo esecutivo ed hanno la caratteristica di essere alternativi al rito ordinario, e quest’ultimo viene attivato solo nell’eventualità di opposizione del convenuto. Simili caratteristiche e finalità si rinvengono anche in quei tipi di tutela sommaria che è possibile attivare esclusivamente all’interno di un procedimento a cognizione ordinaria, come ad es. l’ordinanza di condanna al pagamento di somme non contestate, che ugualmente è connotata da efficacia esclusivamente esecutiva e da cognizione sommaria, mirante ad anticipare quegli effetti che si vuole ottenere con la sentenza di merito. Come già detto, vi sono poi le tutele sommarie cautelari (ad es. il sequestro giudiziario) che, come quelle non cautelari, sono caratterizzate da cognizione sommaria (in quanto misure prese inaudita altera parte e con la sola sommaria valutazione del giudice sulla ragionevolezza della sussistenza del diritto fatto valere, ossia il fumus boni iuris), ed hanno una finalità prevalentemente esecutiva. Queste tuttavia giustificano la propria sommarietà cognitiva non nella categoria del diritto fatto valere, bensì nella particolare situazione in cui versa il richiedente, ossia ex art. 700 c.p.c. “[…] chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile […]” (periculum in mora). Da non confondere con le tutele sommarie sono i procedimenti c.d. a “rito differenziato”, ossia particolari processi che, seppur connotati da pienezza della cognizione e miranti ad una tutela dichiarativa, sono caratterizzati da 11 variazioni nelle forme processuali rispetto al procedimento ordinario ex artt. 163 ss. c.p.c., variazioni che per lo più si concretano in una semplificazione formale. Uno dei maggiori esempi di tali procedimenti (ma non il solo, facendo parte dei processi a rito differenziato ad es. anche il processo avanti al giudice di pace) è costituito dal rito laburistico ex artt. 409 ss. c.p.c., caratterizzato rispetto al rito ordinario da una maggior oralità (dovendo essere redatti per iscritto solo gli atti introduttivi, salvo che il giudice disponga l’ulteriore deposito di note introduttive) e concentrazione, come si evince ad es. dal fatto che il rito del lavoro debba svolgersi e concludersi tendenzialmente in un’unica udienza (art. 420 c.p.c.), nell’ambito della quale avviene in maniera concentrata sostanzialmente tutto il procedimento, espletando preliminarmente la verifica della regolarità degli atti e della costituzione delle parti, il tentativo di conciliazione, istruendo la causa tramite l’ammissione e l’espletamento di mezzi istruttori e infine pronunciando la sentenza nella fase decisoria dell’udienza. Inoltre in tale rito particolare rilievo è dato al giudice e ai suoi poteri direttivi ed istruttori, a cominciare dalla scelta dell’atto introduttivo, il ricorso, che instaura immediatamente un “rapporto diretto” fra l’attore e il giudice, il quale ha quindi fin da subito il controllo del procedimento, o si pensi ancora all’obbligatorietà dell’interrogatorio libero delle parti da parte del giudice. Sono inoltre previsti più stringenti obblighi in capo alle parti, si pensi ad es. agli obblighi di completezza nell’esposizione sui fatti costitutivi della domanda e delle eccezioni e alla specifica indicazione dei mezzi di prova ex artt. 414-416 c.p.c. Tutte queste peculiarità (concentrazione, oralità, poteri direttivi del giudice) proprie dei processi a rito differenziato sono fondamentalmente dirette a semplificare il procedimento nelle sue forme, nulla togliendo alla pienezza della cognizione e quindi la sommarietà, se si vuole, è da riferire esclusivamente alle forme procedurali. E’ necessario quindi chiarire che questo tipo di sommarietà non è assolutamente da confondere con le tutele sommarie sopra viste, perché la prima si riferisce al formale, le seconde al sostanziale. Un tale tipo di equivoco non è da sottovalutare in quanto fin da 12 quelli che potremmo definire “gli albori” del procedimento sommario esso si è presentato ingenerando problemi e dubbi interpretativi, affondando le proprie radici nel diritto canonico e nelle costituzioni pontificie di Papi come Alessandro III, Innocenzo III e Gregorio IX, che nelle loro decretali, riferendosi alla materia processuale, utilizzarono espressioni come “sine strepitu” (limitando le orazioni degli avvocati e le prove testimoniali), “sine figura iudicii” (senza formalità), “de plano” (la continuità del procedere, senza interruzioni), e soprattutto “summarie”, termine che già compariva all’epoca e che costituì oggetto di dubbi interpretativi e connotato da una certa vaghezza, fino all’avvento di un documento chiarificatore fondamentale, mi riferisco in particolare a quello che può essere definito il primo documento che operò una sistemazione delle regole di un procedimento definibile come “sommario” adottando espressamente per la prima volta una distinzione fra tale tipo di procedimento e l’ ordo solemnis (rito ordinario), ossia la decretale Clementina Saepe, promulgata nel 1306 da Clemente V. In questo documento veniva stabilito che per quelle controversie per cui l’ordo solemnis risultasse inadeguato, si procedesse invece “simpliciter et de plano ac sine strepitu et figura iudicii”, ossia con un giudizio semplice, chiaro e senza formalità, veniva infatti ad es. eliminata la necessità del libellus introduttivo, enfatizzati il ruolo e i poteri del giudice, i termini venivano generalmente abbreviati, rigettate le eccezioni che comportassero eccessive lungaggini istruttorie ecc., tutto questo per abbreviare, per quanto possibile, la lite (“litem quanto poterit faciat breviorem”). La decretale di Papa Clemente V sembra chiarire che la sommarietà sia riferibile all’aspetto procedurale, aspetto che costituisce la fondamentale differenza col rito ordinario (solemnis) e che quindi “summarie” stia ad indicare l’intento di ridurre i termini del processo. Sembra allora che fin dai tempi in cui si affaccia nel mondo giuridico per la prima volta il concetto di “procedimento sommario”, il fondamentale problema del concetto di “sommarietà” fosse costituito dalla sua attribuzione all’aspetto procedurale o sostanziale del processo, e che allora come oggi (almeno a 15 2. Le controversie soggette al rito laburistico Andiamo difatti subito a vedere (e confutare) quali sono le maggiori argomentazioni caldeggiate dalla dottrina dominante volte ad affermare l’impossibilità di applicazione del rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c. alle cause soggette al rito laburistico: a) Attenendosi alla lettera degli artt. 702-bis – 702-ter c.p.c., essi richiamano rispettivamente agli artt. 163 e 183 c.p.c.2 indicando quindi un nesso esclusivo tra il rito sommario e quello ordinario di cognizione. b) L’ inconciliabile differenza fra gli atti introduttivi del rito laburistico, ossia la memoria difensiva e il ricorso ex. artt. 414 e 416 c.p.c., e quelli del rito sommario3, in quanto solo i primi comportano la decadenza di parte in ordine alle produzioni e deduzioni istruttorie e in definitiva un più gravoso onere di prendere posizione sui fatti allegati dal ricorrente. Oltre all’ovvia considerazione che i secondi hanno peraltro contenuto identico agli atti ex. artt. 163 e 167 c.p.c. c) Il rito laburistico è prevalente sul procedimento ordinario, esso è infatti ad applicazione obbligatoria e non sostituibile quindi con altro procedimento (si pensi al passaggio al suddetto rito per le controversie erroneamente instaurate nelle forme ordinarie disciplinato 2 Bove, “il procedimento sommario di cognizione”, in www.judicium.it; Balena, “La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della legge n. 18 giugno 2009, n. 69), in Il giusto processo civile, 2009, II, 805; Dalfino, “Sull’inapplicabilità del nuovo procedimento sommario di cognizione alle cause di lavoro, in Foro it., 2010, 392; Trib. Modena, ord. 18 gennaio 2010, in Il caso it., Sezione II; Arieta, “il rito semplificato di cognizione”, in www.judicium.it; Menchini, “L’ultima idea del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione”, in Corr. giur., 2009, 1026. Contra Cfr. Tiscini, art. 702-bis ss., in Saletti-Sassani “Commentario alla riforma del codice di procedura civile”, Torino, 2009, 237. 3 Così Dalfino, “Sull’inapplicabilità del nuovo procedimento sommario di cognizione alle cause di lavoro”, cit., 394 ss. 16 dall’art. 426 c.p.c.), stante anche la particolare istruttoria esercitabile d’ufficio ai sensi degli artt. 421 e 427-bis c.p.c.4 d) Stando all’art. 54 della legge n. 69/2009, con cui è stato delegato l’esecutivo ad attuare un’operazione di semplificazione dei riti previsti dalla legislazione processuale extra codicem, tale operazione avviene riconducendo ciascun procedimento nell’ambito di tre modelli processuali (rito ordinario, sommario e rito del lavoro).5 Sembra dunque che il legislatore abbia voluto dividere i suddetti riti in “compartimenti stagni”, sottolineandone l’autonomia e l’indipendenza.6 e) Il rito laburistico è già di per sé un rito a struttura semplificata e deformalizzata, essendo lo stesso preposto per concludersi in un’unica udienza (l’udienza di discussione) ex art. 420 c.p.c. Dunque in punto di ratio legis non c’è alcuna ragione che giustifichi una commistione dei due riti.7 4 Volpino, “Il procedimento sommario di cognizione”, in Nuova Giur. Comm. , 2010, 54. 5 Bove, in Bove-Santi, “Il nuovo processo civile tra modifiche attuate e riforme in atto”, Ronciglione, 2009, 129 ss. 6 Balena, op. cit., 802 ss.; Volpino, op. cit., 55; Didone, “Il nuovo procedimento sommario di cognizione: collocazione sistematica, disciplina e prime applicazioni pretorie”, nota a Trib. Mondovì, 5 novembre 2009, Id. Cagliari, 6 novembre 2009, Id. Varese, 18 novembre 2009, in Giur. di merito, 2010, 406 ss.; Porreca, “il procedimento sommario di cognizione: un rito flessibile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 3, 823 ss. Trib. Lamezia terme, ord. 12 marzo 2010; Trib. Napoli, ord. 25 maggio 2010, in Giur.it, 2011, 393 ss.; L. Guaglione, “il procedimento sommario di cognizione”, relazione tenuta a Bari il 29 gennaio 2010, nell’ambito del convegno di studi organizzato dall’ufficio per la formazione decentrata dei magistrati della Corte d’appello di Bari; G. Finocchiaro, “Processo civile: vademecum della riforma. Il procedimento sommario”, in Guida al dir., 2009, I, 26; F.Tallero, “Rito sommario e controversie locatizie: osservazioni dalla parte dell’utente del servizio giustizia”(nota a Trib. Sulmona 6 ottobre 2010), in Giur. merito, 2011, 1250. 7 Così P.Porreca, “il procedimento sommario di cognizione; orientamenti, applicazioni e protocolli dei fori italiani”, Milano, 2011, 80 ss. rileva che il processo sommario anziché un’accelerazione può portare una dilazione del procedimento 17 f) L’art. 702-quater c.p.c., con la sua apertura ai nova e possibile assunzione degli stessi anche da parte di un singolo componente del collegio (tramite delega) in una o più udienze, è mal conciliable con la disciplina di cui all’art.437 c.p.c., il quale prevede sia la pronuncia della sentenza che l’eventuale assunzione di mezzi di prova nella medesima udienza, assunzione che in questo caso avviene solo per evenienze eccezionali (a differenza dell’art. 702-quater in cui per l’assunzione dei nova è sufficiente che il collegio li ritenga rilevanti per la decisione).8 Andiamo ora a confutare, nell’ordine corrispondente, i punti sopracitati: a) I richiami operati dagli artt. 702-bis c.p.c. e 702-ter. c.p.c. sono meramente strumentali, rispettivamente per indicare il contenuto del ricorso introduttivo e il “percorso standard” da seguire in caso di conversione ex art. 702-ter. c.p.c.9 Quest’ultimo da intendersi appunto semplicemente come un rinvio standardizzato, generale, in quanto il procedimento sommario è stato appunto originariamente pensato per compensare quello che è il più “affollato” e lungo dei riti civili, il procedimento ordinario di cognizione, è naturale dunque che sia a quest’ultimo che il legislatore si sia riferito in primis. Tuttavia nulla osta a una sostituzione dell’udienza prevista dall’art. 183 c.p.c. con quella ex art. 420 c.p.c. in quanto non si vede perché, se una causa perfettamente rientrante per materia nell’ambito del rito laburistico, e rispetto al rito del lavoro e locatizio sia rispetto alla fase istruttoria sia rispetto alla fase decisoria.; Trib. Modena, ord. 18 gennaio 2010, in Foro it., 2010, 1, 1015 ss.; P. Sandulli, in P. Sandulli-A.M. Socci, “il processo del lavoro. La disciplina processuale del lavoro privato, pubblico e previdenziale”, Milano, 2010, 464. 8 F. Fradeani, “Sull’incompatibilità tra il nuovo procedimento sommario di cognizione e le controversie in materia di locazione e comodato”(nota a Trib. Napoli 25 maggio 2010 e Trib. Lamezia Terme 12 marzo 2010) in Giur. it., 2011, 396. 9 E. Benanti, “Pretese limitazioni all’applicabilità del procedimento speciale sommario introdotto con il nuovo art. art. 702-bis c.p.c.”(nota a Trib. Palermo 24 gennaio 2011), in Giusto proc. civ., 2011, 505. 20 semplicemente alternativo al primo, al quale può direttamente rinviare ex. art. 702.ter c.p.c., non si vede perché il rito laburistico, ricompreso nello stesso insieme, dovrebbe invece essere col rito sommario incompatibile e avulso da ogni comunicabilità con lo stesso.11 e) In punto di ratio legis, è sì vero che il rito laburistico è già informato ai canoni di celerità e immediatezza, e si è spesso osservato di come non sia dunque pertinente un richiamo all’art.111 cost., esaudendo già il rito del lavoro l’esigenza di ragionevole durata. Inoltre richiamando ancora la costituzione, sarebbe lo stesso art. 3 cost., imponendo il trattamento distinto di situazioni differenti (uguaglianza sostanziale), a giustificare solo nei confronti del rito ordinario (rigido e formale) la predisposizione di un rito concorrente sommario e più spedito12, informato al canone dell’oralità. Tuttavia mi sembra che si possa partire proprio dal suddetto art. 3 cost. per giustificare una certa compatibilità e comunicabilità col processo sommario in quanto pur potendo essere, nel caso concreto, potenzialmente identica la materia (controversie di cui agli artt. 409 e 447-bis c.p.c), diversi possono essere i casi in essa ricompresi. E non si vede perché, per quella “sottocategoria” di controversie sì laburistiche ma per cui sia sufficiente un’istruttoria sommaria non debbano essere applicati gli artt.702-bis ss. c.p.c., potendo il procedimento sommario fungere da 11Si veda Trib. Lamezia Terme, ord. 12 marzo 2010, secondo il quale “il rito sommario di cognizione può trovare applicazione anche per le controversie nelle quali diversamente dovrebbe trovare applicazione il rito del lavoro ex art. 447-bis c.p.c.”, in Giur.it, 2011, 393 ss.; G. Olivieri, “il procedimento sommario (primissime note), in www.judicium,it, richiamato da B. Capponi, “il procedimento sommario di cognizione tra norma e istruzioni per l’uso”, in Corr. giur., 2010, 1160, nota 9; P.Biavati, “Appunti introduttivi sul nuovo processo a cognizione semplificata”, in Riv. dir. e proc. civ., 2010, 191. 12 In tal senso il Trib. Di Grosseto, ord. 16 dicembre 2009, giud. Conte, Foro it., Le banche dati, archivio merito ed extra, secondo cui “il procedimento sommario dialoga con il rito ordinario, nel senso che è concepito quale limitazione ad esso per tutte le cause in cui il rito ordinario appare eccessivo”. 21 strumento di deflazione processuale per il rito del lavoro così come per il rito ordinario. Il fatto che il processo del lavoro abbia già un certo grado di speditezza, non costituisce motivo valido per negare l’applicabilità alle cause più semplici13 di un procedimento diverso, che possa magari garantirne una conclusione ancora più celere fosse anche solo per la circostanza che in questo modo la mole delle cause laburistiche viene ad essere “smistata”, prevenendone l’arenamento (così come è stato per le controversie soggette al rito ordinario). f) Per quanto riguarda la differenza fra i concetti di rilevanza/indispensabilità dei nova in appello, la diatriba è presto risolta dall’art. 54 del Decreto Sviluppo (D.L. 38/2012) convertito con L. 134/2012, che va a modificare l’art. 702-quater c.p.c. sostituendo appunto la rilevanza con l’indispensabilità, risultando così la novellata disposizione: “ […] sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione [...]”, venendo così ora a coincidere il parametro discrezionale del collegio con quello ex art. 437 c.p.c. 3. La tutela cautelare Anche nell’ambito della tutela cautelare, il problema della compatibilità con il procedimento sommario di cognizione si fa sentire. Si manifesta in questo caso fondamentalmente nel quesito sull’esperibilità o meno, nel procedimento sommario, della tutela cautelare in corso di causa. Le maggiori argomentazioni contrarie sono riassumibili in un’esemplificativa ordinanza (Tribunale di Nola, II Sezione Civile – ord. 8 aprile 2010), dalla quale risulta che “non sono proponibili domande cautelari all’interno del procedimento sommario atteso che tale rito deve rimanere confinato alle 13 Cfr. Trib. Di Taranto, ord. 2 marzo 2010, in www.il caso.it 22 fattispecie di pronta e facile risoluzione (con esclusione di necessità istruttorie più complesse), e che la sua collocazione nei procedimenti speciali segnala, per converso, la perdurante attitudine al rito ordinario di cognizione a costituire la via maestra per introdurre domande processuali”. A sostegno di tale ultima argomentazione viene inoltre espressa la preoccupazione per cui, ragionando diversamente, “si finirebbe per legittimare una risposta emergenziale di tipo sommario alla domanda di giustizia […] col delineare il rito sommario come una sorta di contenitore generale in cui potere far rifluire ogni sorta di domanda o pretesa, con la conseguente sommarizzazione dell’intera giurisdizione civile”. I “nodi” sono dunque tre : 1) Utilizzabilità del rito sommario esclusivamente per fattispecie che non richiedano un’istruttoria complessa. 2) Collocazione dello stesso tra i procedimenti speciali. 3) Rischio di “sommarizzazione” della giurisdizione civile. Il primo fa leva sulla circostanza che andando ad inserire nel rito sommario una domanda cautelare si andrà ad aumentare la complessità del procedimento, minando quindi quella imprescindibile caratteristica di semplicità inerente a tale rito. Tuttavia è da considerarsi che proprio per quanto riguarda l’istruzione la domanda cautelare non tende ad aumentarne la complessità. In primis, guardando al dato letterale, ex. art. 702-ter c.p.c.“il giudice […] procede […] agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto”. Leggiamo invece ex. art. 669-sexies c.p.c.“il giudice […] procede […] agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto”. Salta subito all’occhio la differenza fra la rilevanza degli atti e la relazione con l’oggetto del procedimento operati dall’art 702-ter c.p.c., e l’indispensabilità degli stessi in relazione invece ai presupposti e ai fini del provvedimento operata dall’art 669-sexies. L’art 702-ter c.p.c. sembra costituire un’ “insieme maggiore”, in 25 Esso risulta anzi essere, se correttamente interpretato alla luce dell’art. 3 Cost., la risposta a tutti quei casi particolari che sebbene rientranti nella medesima materia presentino caratteristiche peculiari tali da renderli più agilmente istruibili in un procedimento ad hoc, “tagliato su misura”. E in tale prospettiva va vista la “sommarietà” ex. artt. 702-bis ss. c.p.c., non un procedimento “approssimativo”, ma semplificato, “su misura” per controversie semplificate. Un contenitore procedimentale adatto al contenuto sostanziale. Sommarietà è qui semplicemente inteso come semplicità e celerità per i casi che lo consentano, in linea con gli artt. 111 e 3 Cost. 4. La chiamata di terzo Anche la chiamata di terzo può essere un utile strumento per mostrare come il procedimento sommario sia perfettamente compatibile con gli istituti propri di altri procedimenti (anche se non letteralmente richiamati agli artt. 702-bis ss. c.p.c.), garantendone e mantenendone inalterate nondimeno ratio e funzionalità. Partiamo, come sempre, dalle argomentazioni che tendono a negare l’estensione del procedimento ex artt. 702-bis ss. c.p.c. all’istituto della chiamata di terzi (sia iussu iudicis che per volontà di parte). Innanzitutto, partendo proprio dal dato letterale dell’art. 702-bis, 5o comma c.p.c., “Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia […]”, viene chiaramente limitata la capacità del convenuto di chiamare terzi in causa alla sola ipotesi di chiamata in garanzia. Limitazione giustificata dalla “ratio di introdurre nell’ordinamento un procedimento di rapida definizione”18. Bisogna inoltre considerare che l’attore può in ogni caso convenire in autonomo giudizio il terzo responsabile; che il convenuto chiamante può comunque sostenere la responsabilità del terzo anche in assenza di contraddittorio con quest’ultimo, e nel caso ottenere il rigetto del ricorso; che anche nel caso di estensione al procedimento sommario dell’istituto della chiamata di terzi in toto, 18 Trib. Di Genova, ord. 16 gennaio 2010, Rep. 2010, voce Procedimento civile [5190] 26 permarrebbe il rischio del contrasto di giudicati in quanto non sussiste alcun obbligo da parte del convenuto a effettuare la chiamata del terzo. Per quanto concerne la chiamata iussu iudicis, di questa semplicemente non fa alcuna menzione il dato normativo. Prima di tutto, c’è una considerazione fondamentale da fare. Se si vuole aderire alla restrittivo dato letterale ex art. 702-bis, 5o comma c.p.c., bisogna chiedersi perché il legislatore abbia voluto “privilegiare” esclusivamente la chiamata in garanzia, potendo benissimo anche quest’ultima essere ritenuta un gravame inopportuno nell’ambito di un procedimento improntato alla celerità. Ebbene ciò potrebbe giustificarsi perché evidentemente il nesso fra la causa principale e quella di garanzia viene ritenuto più forte rispetto ad altri casi di comunanza di causa. Questa valutazione non è tuttavia da condividere, si pensi ad esempio alla chiamata del terzo cd. vero obbligato, nell’ambito di quella connessione per identità di oggetto o petitum costituita dalla connessione per alternatività, sarebbe certamente forzato reputare un tale nesso meno forte di quello di garanzia. Inoltre richiamando ancora l’art. 54 l. n. 69/2009, l’inclusione del rito sommario nell’alveo della “triade tipizzata” (rito sommario, ordinario e laburistico), porta quantomeno a chiedersi perché non debba tale procedimento includere gli istituti del rito ordinario ove non contrastanti con la ratio dell’istituto, ratio (regolamentazione di controversie che richiedano un’istruttoria “semplice”) che resta comunque preservata (insieme ai diritti delle parti) dalla possibilità di passaggio al rito ordinario ex art. 702-ter c.p.c. 27 5. L’incidente di cognizione nell’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi Sull’ambito di applicazione del rito sommario di cognizione ci si è posti anche il problema della sua applicabilità in caso d’incidente di cognizione in sede esecutiva19, e dunque sia in ambito di opposizione all’esecuzione, nel qual caso ciò che viene contestato è l’an dell’esecuzione, e quindi lo stesso diritto della parte istante di procedere alla stessa, contestando ad es. l’esistenza del titolo esecutivo o affermandone la nullità (contestazioni processuali), o sostenendo l’inesistenza in toto del diritto dell’istante ad es. allegando circostanze che ne indichino l’estinzione (contestazioni di merito), sia in ambito di opposizione agli atti esecutivi, in cui invece viene contestato il modus dell’esecuzione, deducendo ad es. vizi formali concernenti gli atti adottati nel processo esecutivo. Nulla osta nel caso in cui l’esecuzione forzata non sia ancora iniziata, perché in questo caso l’opposizione è fatta solo contro il precetto che la preannuncia, tale opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. è proposta con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell’art. 27 c.p.c., nel quale è previsto che è quindi competente il giudice del luogo dell’esecuzione, in quanto non c’è ancora un giudice designato della stessa, essendo l’esecuzione non ancora iniziata. In questo caso quindi semplicemente il rito sommario verrebbe subito attivato dall’opponente e instaurato come un normale processo di cognizione, ed anzi il rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c., con la sua istruttoria celere e semplificata, sembra essere particolarmente indicato per un tale tipo d’opposizione che, come visto, verte (v. supra, in questo paragrafo, contestazioni di merito e processuali) su questioni che presumibilmente richiederanno accertamenti squisitamente documentali. Nel caso invece in cui al debitore sia stato notificato l’atto di pignoramento, e quindi l’esecuzione sia effettivamente iniziata, potrebbe obiettarsi che 19 F. De Santis, “Le riforme del processo esecutivo (efficienza della liquidazione forzata e garanzie del procedimento)”, in AA.VV., “Il processo civile competitivo” a cura di A. Didone, 775-955, Torino, Utet 2010 30 termini prefissati (nel rito sommario sono invece variabili dal giudice) e legati all’atto di citazione. Per quanto riguarda il dato letterale degli articoli in esame, nulla osta a un’operazione ermeneutica come quella effettuata in riferimento all’ art 420 c.p.c. per il rito laburistico (v. supra par. 2). Per il problema sulla tempestività o meno dell’opposizione basterà guardare alla data di deposito del ricorso22 ex art. 39 c.p.c. Infine, sulla questione dei termini di comparizione, non si vede proprio perché porre il problema in toto. Partiamo dall’art. 163-bis c.p.c. (come modificato dalla l. 263/2005) che assegna al convenuto il termine minimo di novanta giorni per comparire (centocinquanta per atti diretti all’estero), termine dunque che ex. art. 645 c.p.c. viene ridotto a quarantacinque giorni. Leggiamo invece all’art. 702-bis c.p.c. “[…] il ricorso […] deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione”, abbiamo quindi in definitiva uno scarto di soli quindici giorni. Ora, il decreto ingiuntivo è un procedimento a cognizione parziale, caratterizzato da un accertamento provvisorio della pretesa creditoria che si limita a verificare le condizioni per l’emanazione del decreto, ed è per questa ragione che l’opposizione a siffatto decreto è sostanzialmente una trasformazione da una precedente fase sommaria (a cognizione sommaria) in un giudizio a cognizione piena, e tale è proprio il giudizio sommario di cognizione, un giudizio a cognizione piena23, che fornisce tutela dichiarativa con l’emanazione di un provvedimento tendenzialmente definitivo. Bisogna pensare che a tale scopo (ottenere un provvedimento stabile e definitivo) il legislatore ha ritenuto sufficiente un termine minimo di comparizione di trenta giorni. E la differenza di quindici giorni con l’art. 645 c.p.c. può essere anzi più che giustificata se si considera che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo costituisce una fase solo eventuale, rimessa all’iniziativa del debitore ingiunto per evitare la formazione del giudicato. 22 Cass. Sez. Un. 20596/2007, in Mass. giust. civ., 2007, 10. 23 Caponi, “Sulla distinzione tra cognizione piena e cognizione sommaria (in margine al nuovo procedimento ex art. 702-bis ss. c.p.c.), in Giusto proc. civ., 2009, 1117 ss. 31 L’ingiunto non è quindi costretto ad opporsi, e nel farlo potrebbe non aver alcun interesse ad avere soli quindici giorni in più per preparare le difese laddove queste siano ad es. meramente documentali e richiedano semplicemente un’istruttoria che rientri nei canoni dell’art. 702-ter c.p.c., potendo invece prevalere il suo interesse per un procedimento improntato a una maggiore oralità e celerità (ricordiamo che il ricorso al procedimento sommario di cognizione resta facoltativo). Non si vede dunque perché non dare all’ingiunto la facoltà di scelta procedimentale per un procedimento (l’opposizione a decreto ingiuntivo) esso stesso facoltativo. Da ultimo, il regolamento (CE) n. 1896 del 2006 che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, nel disciplinare l’opposizione all’ingiunzione di pagamento europea dispone all’art. 17 “[…] il procedimento prosegue dinanzi ai giudici competenti dello stato membro d’origine applicando le norme di procedura civile ordinaria […]”.24 Dovendosi intendere in questo caso “giurisdizione ordinaria” come ogni forma processuale che lo stato membro avrebbe comunque garantito per l’esame della domanda. 7. Conclusioni Come risulta anche dall’analisi dell’opposizione a decreto ingiuntivo (così come per il rito laburistico e la tutela cautelare), il rito sommario si conferma semplicemente come una valida alternativa che anzi in determinati casi è più consona dei procedimenti solitamente adottati. Dovendo dunque tirare le somme, dopo quest’analisi dell’ambito di applicazione del procedimento ex. artt. 702-bis ss. c.p.c., non può che 24Cfr. Porcelli, “La nuova proposta di procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 03, 823. Nel caso nulla fosse previsto dalla legislazione nazionale, il regolamento sarà comunque direttamente applicabile, individuando le modalità per l’introduzione del giudizio, a seguito dell’opposizione, con interpretazioni estensive. 32 dedursi un concetto di “sommarietà” inteso, come già detto, semplicemente come celerità e semplificazione lì dove i casi lo permettano25, in quanto risulta un rito non solo tutt’altro che inadeguato nel rapportarsi ad altri istituti e procedimenti, ma anzi integrativo degli stessi, nel pieno rispetto e andando a migliorare l’attuazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. 25 Protocollo sul procedimento sommario dell’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Roma, in Foro it., 2010, parte V, 195; Protocollo dell’osservatorio valore prassi di Verona, in Foro it., 2010, parte V, 84; Ferri, “il procedimento sommario di cognizione”, in Riv. Dir. Proc., 2010, 95. 35 di una sentenza emessa a seguito di un procedimento ordinario, è impensabile che non garantisca in ugual misura i diritti processuali delle parti. A confermare la pienezza della cognizione del resto ha provveduto lo stesso legislatore, che all’art. 54 della l. n. 69/2009, disciplinando la riorganizzazione dei riti opera un rinvio al modello sommario per i “procedimenti a cognizione piena29 […] in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa”. La sommarietà è dunque in questo contesto da ascriversi esclusivamente all’istruzione. Un’istruzione sommaria dunque, ma con cognizione piena. L’ ordinanza del giudicante di Mondovì prosegue inoltre stabilendo che “[…] la differenza fra le due tipologie può dipendere dalla natura della lite (che non richiede accertamenti in fatto, o li richiede in misura limitata, ovvero, spesso, dalle posizioni assunte dalle parti, dal momento che esse determinano la quantità e la qualità di domande ed eccezioni (che vanno ad integrare il thema decidendum) e, soprattutto, la quantità di istruttoria necessaria, attraverso le contestazioni o meno dei fatti allegati dalla controparte”. Possiamo notare che siffatta “non complessità” (o sommarietà, che in tale contesto prenderemo dunque come sinonimi) dell’istruzione vada posta in relazione alle “difese svolte dalle parti”, in linea col riferimento ex. art. 702-ter c.p.c. È chiaro a questo punto che la valutazione del giudicante ex art. 702- ter, 3o comma c.p.c. vada condotta non tanto sull’ astratta potenziale complessità della causa in relazione al suo oggetto, ma sulla quantità e complessità del carico istruttorio30 determinato dalle parti stesse. Cosi anche il Tribunale di Torino, con ordinanza 11 febbraio 201031, statuendo che “la non sommarietà dell’istruzione debba valutarsi non tanto con riferimento all’oggetto della domanda, quanto, piuttosto, in relazione alle prove necessarie per la decisione sulla base delle difese delle parti”. Potremo 29 Balena, “il procedimento sommario di cognizione” in Foro it., 2009, V, 328 30 G.F. Ricci, “la riforma del processo civile”, Torino, 110 31 In Massimario.it , 10/2010 36 dunque avere paradossalmente controversie “ontologicamente” complesse, ma nella pratica di facile risoluzione e quindi assoggettabili al rito sommario. Al riguardo un parametro di fondamentale importanza da tenere in considerazione è il principio di non contestazione ex. art. 115 c.p.c. come introdotto dalla l. 18 giugno 2009/69, che può anzi definirsi il principale “spartiacque” fra istruttoria semplificata e non32. L’onere di contestazione in modo specifico dei fatti allegati dalla controparte33 incidendo sul piano probatorio, nel rito sommario è quindi determinante per l’applicabilità del procedimento stesso, in quanto una volta accertata la mancanza di detta contestazione il giudizio va a semplificarsi drasticamente e non può che rientrare in quelli assoggettabili al procedimento ex artt. 702-bis ss., risultando quindi pletorici altri accertamenti da parte del giudicante sul carattere dell’istruttoria per stabilire l’applicabilità del rito. La relevatio ab onere probandi per il deducente derivante dalla non contestazione dei fatti allegati dalla controparte è quindi sicuramente il primo e principale parametro con cui il giudice ex art. 702-ter c.p.c. deve valutare sulle caratteristiche dell’istruttoria e quindi sull’eventuale conversione del rito. Vi sono poi altri parametri di cui sicuramente il giudicante deve tener conto al riguardo, si pensi ad es. a controversie c.d. di puro diritto, o a quelle basate 32 Trib. Prato, 9 novembre 2009; Trib. Mondovì, sent. 12 novembre 2009, in Massimario.it, 45/2009; Trib. Cagliari, ord. 6 novembre 2009, in Giur. di merito, 2010, 409 ss. 33 Frus, “sul rispetto dell’onere di contestazione anche in caso di incolpevole ignoranza e sugli effetti della mancata contestazione”, nota a Trib. Catanzaro ord. 30 ottobre 2009, in Giur. it., 2010, 7, 1667 ss.; Cass., 20 novembre 2008, n. 27596, in Mass., 2008, relativa alla tardività della contestazione; Rascio, “la non contestazione come principio e la rimessione nel termine per impugnare: due innesti nel processo, benvenuti quanto scarni e perciò da rinfoltire”, in Corr. Giur., 2010, 9, 1243 ss. 37 su prove documentali34, le quali indubbiamente potranno rientrare in quell’istruttoria semplificata ex art. 702-ter c.p.c.35 Come risulta evidente, nel procedimento sommario di cognizione vengono quindi ammesse esclusivamente cause connotate da una peculiare semplicità d’istruzione, che è valutata dal giudice, come visto, non in maniera arbitraria ma seguendo percorsi logici coerenti con la ratio dell’ordinamento stesso nel suo complesso. L’istruttoria “semplificata” è quindi indissolubilmente legata alla semplicità dei casi proposti, per i quali viene anzi scelta proprio perché ritenuta perfettamente esauriente (al pari di istruttorie più formali) per la risoluzione degli stessi. Nulla sembra allora andare a contrastare con il principio del contraddittorio né minare lo ius litigatoris tout court. Tutto questo va ovviamente coordinato con una particolare attenzione nel definire le preclusioni imposte alle parti e il momento ultimo in cui il giudicante conserva il potere di conversione del rito ex. art. 702-ter c.p.c. Lo stesso principio di contestazione potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio se interpretato in maniera restrittiva, ad es. imponendo la specifica contestazione entro la prima difesa successiva all’allegazione della controparte, portando quindi o ad una diminuzione “artificiale” delle contestazioni non dovuta ad un’effettiva scelta di non contestazione della controparte del deducente, o ad una deflazione dell’utilizzo del procedimento ex artt. 702-bis ss. c.p.c. tout court, potendo le stringenti preclusioni introduttive intimorire anche l’attore ove non sia assolutamente certo della propria vittoria. Neanche però le preclusioni e la valutazione della forma di rito da adottare possono essere interpretate con troppa elasticità36, sia per ragioni di coerenza con la ratio del rito in esame sia per evitare atteggiamenti della parti secundum eventum litis. 34Protocollo generale per le udienze civili dell’osservatorio sulla giustizia civile del Trib. Di Ariano Irpino, 31 marzo 2010 35 Trib. di Trieste, ord. 16 dicembre 2010 36 Così Trib. Varese, ord. 18 novembre 2009, afferma che “l’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione […]”, in Giur. di merito, 2010, 406 ss. 40 A questo punto si potrebbe però obiettare che il problema sia “uscito dalla porta e rientrato dalla finestra”, perché le preoccupazioni circa l’eccessivo spazio di arbitrio lasciato al giudice possono essere spostate sulla valutazione che lo stesso può effettuare sulle prove stesse, secondo un’interpretazione del disposto ex art. 702-ter c.p.c. “[…] il giudice […] procede […] agli atti di istruzione rilevanti”. Ritengo tuttavia che tale passaggio non presti il fianco a critiche di questo genere, a meno che non si voglia portare avanti una forzata “demonizzazione” del rito in esame. Il principio del libero convincimento del giudice è difatti un principio fondante del nostro sistema processuale, così come esposto ex. art. 116 c.p.c. “il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti”. Non è certo un’invenzione del procedimento sommario che il giudice valuti liberamente quali prove ritenere più pregnanti di altre e questo a riprova che, eccetto i casi di prove legali (tipici), non vi è alcuna gerarchia dei mezzi di prova, fermo il limite della necessità di adeguata motivazione. Il nostro intero sistema probatorio civile (e non solo quello ex artt. 702-bis ss c.p.c.) è quindi in ultima istanza lasciato, nella sua valutazione sostanziale, a giudizi “umani”, a espressioni late come “prudente apprezzamento” o “ritenute rilevanti”. Del resto altrimenti non potrebbe essere, non si può “normativizzare” ogni aspetto, soprattutto quelli in cui entrano in gioco valutazioni su cosa sia rilevante nel caso concreto, caso che potrebbe essere unico e diverso e quindi necessitante di valutazioni diverse, in linea con l’art. 3 Cost. ma anche con lo stesso art. 111 Cost., il quale enunciando il giusto processo come “regolato dalla legge” non è chiaramente da interpretare nel senso di “interamente e minuziosamente regolato dalla legge”, ma come dotato di uno “scheletro” regolamentato da norme primarie, ossia una fondamentale e garantistica disciplina processuale legislativa modificabile esclusivamente in forza di dette norme primarie. Se così non fosse si andrebbe a negare la costituzionalità di qualsivoglia disposizione che implichi una discrezionalità del giudice, si pensi ad es. ex art. 163-bis c.p.c. “Nelle 41 cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, […] abbreviare fino alla metà i termini indicati dal primo comma”. Sarebbe del resto paradossale irrigidire con un tentativo (che risulterebbe per i motivi esposti inevitabilmente goffo e inadeguato) di “normativizzazione” di tale aspetto proprio in un procedimento come quello ex artt. 702-bis c.p.c. ss. improntato al canone della flessibilità. In ultima istanza deve allora concludersi che i parametri discrezionali fin qui visti, così come enunciati dall’art. 702-ter c.p.c. non presentino nulla di più “arbitrario” di quanto non sia già da tempo presente nell’ordinamento processuale (e parliamo fra l’altro di procedimenti a cognizione piena), e non può che essere in definitiva in perfetta linea con i principi dello stesso (soprattutto col diritto di difesa e del contraddittorio, spesso invece adoperati come “armi di incriminazione” del procedimento ex. artt. 702-bis ss. c.p.c.). 4. All’origine della diatriba: l’ “equivoco” originale sul concetto di diritto di difesa Come noto, all’origine delle contestazioni all’istruzione sommaria (che quindi andrebbero a dare in quest’ambito alla sommarietà il significato di “approssimativo”), sta quella parte della dottrina che tende a vedere nei poteri discrezionali del giudicante e nella deformalizzazione elementi che metterebbero in pericolo le garanzie processuali delle parti (in primis il diritto di difesa lato sensu), optando quindi per un’interpretazione rigorosa e letterale dell’art. 111 Cost. che vede il regime processuale tanto più garantista quanto più rigido e formale39. Ora, a parere di chi scrive, il punto debole di questa linea di pensiero sta proprio nel concetto di “diritto di difesa”. Quest’ultimo è visto come 39 Graziosi, “La cognizione sommaria del giudice civile nella prospettiva delle garanzie costituzionali”, in Riv. Trim. dir. proc. civ. 2009, 136 ss.; Lanfranchi, “Procedimento sommario di cognizione societario e giusto processo civile”, Enc. Giur., 2004, 21 ss. 42 “antagonista” del principio di ragionevole durata e come bisognoso del maggior numero possibile di norme procedurali per garantirne l’effettività. Innanzitutto, se la difesa viene vista come un ostacolo alla ragionevole durata ex art. 1, l. Cost. 23/11/1999 n. 2, è perché bisogna dare giusta interpretazione anche a quest’ultima. Ragionevole durata non vuol dire “accorciata durata” ad ogni costo, ma una durata per l’appunto ragionevole, ovvero semplicemente adeguata al caso concreto. Lì dove adeguata vuol dire, come già visto (v. supra par. 2), perfettamente esauriente rispetto alla controversia. Sarà quindi proprio la semplicità del caso a giustificare un’istruttoria sommaria. Semmai la ragionevole durata non è quindi un’antagonista del diritto di difesa, ma dell’abuso dello stesso. Il diritto di difesa dev’essere “ragionevole” anch’esso, nella stessa accezione già vista di “adeguato”. Nel momento in cui non vi è alcuno scompenso fra le parti, attribuendo a ciascuna pari diritti difensivi in modo che all’una non siano attribuite facoltà maggiori dell’altra (ecco qui quello “scheletro” normativo di cui al par. 3) il diritto di difesa è già “qualitativamente” garantito. Altro è invece la “quantità” della difesa, che può invece rappresentarsi con quell’insieme di norme procedurali che la dottrina che stiamo confutando tende a confondere con la qualità della stessa. Ed è anzi proprio tale aspetto “quantitativo” della difesa che invece rischia di rivelarsi null’altro che un’espediente di parte per agire “secundum eventum litis” (si pensi ad es. nel rito sommario se si concedesse alle parti di formulare nuove richieste istruttorie oltre l’ordinanza con cui il giudice indica gli atti d’istruzione ritenuti rilevanti e dunque si pronuncia sulla possibilità o meno di trattazione della causa con le forme del rito sommario) , con l’unico intento di danneggiare la controparte prorogando la data della decisione. Se la semplicità della lite è dunque tale da ritenere “ragionevoli” e adeguati taluni tempi di difesa, non per questo può dirsi violato il diritto alla stessa. Del resto si pensi a casi come la trattazione orale ex art. 281 sexies c.p.c., in cui i tempi e le forme vengono notevolmente semplificati ad es. quando la 45 Bisogna innanzitutto ragionare sul fatto che il legislatore abbia a piè pari saltato l’art. 33 c.p.c., escludendo quindi dall’elencazione ex art. 40 c.p.c. il cumulo soggettivo (connessione per petitum o causa petendi fra più cause, proposte contro più persone). Sembra quindi si possa ravvisare la ratio del passaggio nell’esclusione di quelle cause in cui è la volontà delle parti a determinare il simultaneus processus, e nell’inclusione invece di quelle (come appunto la riconvenzione) in cui vi sia un effettivo rapporto di subordinazione. Non si vede dunque perché non applicare tale regola anche alla domanda riconvenzionale posta nel procedimento sommario di cognizione convertendo al rito ordinario anche la causa principale, posta anche la considerazione che nella dizione di “rito speciale” ex art. 40 c.p.c. sono da includersi solo quei riti la cui specialità risieda esclusivamente nelle forme e non nella cognizione, che deve ovviamente restare piena (mancando, nei procedimenti a cognizione c.d. sommaria come ad es. la tutela cautelare, lo stesso concetto di causa intesa come statuizione definitiva con giudicato di una situazione giuridica, non risultando a fortiori dunque possibile il cumulo delle stesse). Escludere quindi il procedimento sommario di cognizione, che rientra proprio fra i procedimenti con forme speciali ma a cognizione piena (v. supra cap. 1), sembra quantomeno una forzatura. Bisogna inoltre considerare che lo stesso 3o comma ex art. 40 c.p.c. pone un’eccezione alla regola generale, nella parte in cui dispone “[…] salva l’applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli articoli 409 e 442”. Si noti che l’accento è posto non sul tipo di procedimento, bensì su una precisa tipologia di cause, ossia le controversie individuali di lavoro e le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie. È chiaro che la ratio dell’unica eccezione alla regola generale è rappresentata dalla particolare protezione che il rito del lavoro garantisce a particolari categorie di soggetti “deboli” e a situazioni soggettive particolarmente delicate. E questa ratio non può certo invece giustificarsi per 46 le mere (per quanto utili) esigenze di accelerazione cui tende a soddisfare il procedimento ex artt. 702-bis ss. Proprio dette esigenze di accelerazione, del resto, verrebbero ad essere frustrate nella circostanza si propendesse in ogni caso per la separazione ex art. 702-ter, 4o comma c.p.c., in quanto la trattazione separata della domanda riconvenzionale con rito ordinario può portare ad una sospensione del procedimento sommario col quale si sta trattando la domanda principale, perché altrimenti ci troveremmo di fronte ad un caso di condanna con riserva, ossia la riserva d’esame della domanda riconvenzionale, riducendo il rito sommario a un procedimento produttivo di un mero provvedimento esecutivo risolutivamente condizionato dal punto di vista dell’efficacia, caratterizzato in questo caso da una cognizione sommaria in quanto parziale (v. supra, introduzione), tutte caratteristiche che esulerebbero dalla ratio e dalle motivazioni che hanno spinto all’introduzione del rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c. La soluzione preferibile allora, in caso di separazione della domanda riconvenzionale, sarebbe l’eventualità di una sospensione del rito sommario, ma anche in questo caso ne sarebbero frustrate le finalità, e in questo senso si è pronunciata anche la Cassazione con l’ordinanza del 2 gennaio 201241, secondo la quale: “[…] Nel caso in cui, nel corso di un procedimento instaurato con le forme del rito sommario di cognizione (art. 702-bis c.p.c.) venga sollevata una questione relativa alla sospensione necessaria o facoltativa del processo per pregiudizialità (artt. 295 e 337, secondo comma c.p.c.), il rito sommario deve essere mutato in rito ordinario ai sensi dell’art. 702-ter, terzo comma, in quanto, per un verso, il carattere sommario e accelerato di tale procedimento non risulta compatibile con la stasi del procedimento […]”. La sospensione del procedimento sommario viene quindi dichiarata incompatibile con la sua finalità di accelerazione del contenzioso e il ricorrente, che ha instaurato tale procedimento proprio per vedere accertato il suo diritto in tempi più brevi, verrebbe paradossalmente a trovarsi invece in un meccanismo processuale più complesso e dalle tempistiche indefinite, 41 In www.neldiritto.it 47 con in più le problematiche connesse alla coordinazione di due procedimenti diversi. Sembra allora preferibile evitare del tutto situazioni di questo genere, considerando la controversia in maniera unitaria e quindi come necessitante in toto d’istruzione “non sommaria” (e quindi rinviabile al rito ordinario) anche nel caso tale valutazione sia stata circoscritta alla domanda riconvenzionale ex art. 702-ter 4o comma. In definitiva, il dato normativo sembra in realtà portare logicamente alla conversione al rito ordinario non solo della domanda riconvenzionale, ma anche della causa principale, eliminando così alla radice ogni eventuale problema di contrasto fra giudicati. Nonostante i rimedi previsti dal nostro ordinamento (art. 395 c.p.c.), la prevenzione di tali situazioni è ovviamente accolta con maggior favore dalla prassi, spronando il più possibile a controlli volti ad accertare le possibilità di cumulo42. Anche per il problema sollevato in merito all’art. 702-ter 4ocomma c.p.c., dunque, se vista sotto la giusta luce la “sommarietà” del procedimento omonimo non presenta alcun problema di compatibilità ma anzi si incastra perfettamente nella macchina processuale civile nel suo complesso. 7. Conclusioni Tirando allora le somme sul concetto di “sommarietà” analizzato nell’ambito istruttorio ex art. 702-ter c.p.c., ne viene fuori una sommarietà sicuramente da intendersi mirata esclusivamente alle forme del procedimento (rectius alla semplificazione delle stesse). Nulla togliendo al diritto di difesa delle parti e al principio del contraddittorio, e non presentando problemi né in caso di conversione ex art. 183 c.p.c. né in caso di possibili contrasti fra giudicati (da eliminare alla radice, v. supra par. 6). 42 Cass. sentenza n. 27343 del 12 dicembre 2005, in www.altalex.com 50 formulazione dell’art. 345 c.p.c.). Siffatta modificazione va ovviamente a influire notevolmente sul precedente dibattito circa la “sommarietà” del procedimento, bocciando (a parere di chi scrive) talune tesi e confermandone invece altre. Procediamo dunque con ordine. 2. La disciplina dei nova in appello prima della L. 7 agosto 2012 n. 134 Prima che intervenisse la l. 7 agosto 2012 n. 134, la disciplina dei nova in fase d’appello nell’ambito del procedimento sommario era così espressa ex. art. 702-quater c.p.c.:”[…] Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile […]”. Il fatto che sia stato utilizzato il termine “rilevanti” anziché “indispensabili” come invece formulato all’art. 345 c.p.c. (sempre prima della l. 7 agosto 2012 n. 134), ha costituito per lungo tempo (secondo i sostenitori di tale tesi), argomento a favore di una visione della sommarietà intesa come cognizione sommaria, in quanto una siffatta apertura ai nova in fase d’impugnazione sarebbe indice di un tentativo di “recupero” in tale fase di una cognizione piena, del diritto di difesa delle parti e del contraddittorio44, “imbrigliati” nel giudizio di prime cure nelle “strette maglie” della cognizione sommaria. L’appello costituirebbe quindi un vero e proprio giudizio integrativo del primo grado. 44 Tarzia, “Realtà e prospettive dell’appello civile”, in Riv. dir. proc., 1978, 86 ss.; Carratta, “Nuovo procedimento sommario di cognizione e presupposto dell’istruzione sommaria: prime applicazioni”, in Giur. it., 2010, 903; Raiti, “La Corte d’appello nissena per una nozione rigorosa, ma certa, della indispensabilità dei nova istruttori nell’appello civile ordinario”, in Giur. it., 2010, 916 51 Secondo altra dottrina45, nonostante la stessa sia orientata alla pienezza della cognizione di prime cure, risulta evidente che la fase d’appello ex art. 702-quater c.p.c. sia comunque orientata verso un’apertura maggiore rispetto a quella ex art. 345 c.p.c. Un tale “intento politico” del legislatore trasparirebbe in particolare dalla diversa formulazione delle due disposizioni. In primo luogo la differenza terminologica rilevanti/indispensabili, a cui va imputato un diverso significato sostanziale e non va dunque interpretata come mera imprecisione legislativa46, attribuendo erroneamente alla rilevanza lo stesso significato dell’indispensabilità ex art. 345 c.p.c. In secondo luogo l’art. 702-quater c.p.c. è formulato “in positivo”, in quanto: “[…] sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritenga rilevanti […]”, mentre l’art. 345 c.p.c. sarebbe formulato “in negativo”, leggiamo difatti nello stesso: “[…] Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili […]”. Abbiamo quindi l’impressione che il legislatore abbia voluto porre l’ingresso dei nova in appello come eccezionale ex art. 345 e invece come qualcosa di ordinario ex art. 702-quater c.p.c. Entrambe le impostazioni, a parere di chi scrive, non sono condivisibili (rectius non erano). Innanzitutto, per quanto riguarda il “recupero” della plena cognitio in appello, abbiamo già ampiamente visto (v. supra capp. 1 e 2) come il procedimento sommario di cognizione sia un procedimento a cognizione piena, e di come la sommarietà non si riferisca al tipo di cognizione. Neanche condivisibile appare la maggiore apertura all’ingresso dei nova basandosi sull’argomento letterale. In primis, affermare una tale apertura a causa della differenza fra rilevanza e indispensabilità, appare vacuo come i due concetti stessi. Per paragonare, e quindi porre una differenza fra due 45 Costanzo M. Cea, “L’appello nel processo sommario di cognizione”, in www.judicium.it 46 Così invece Corte App. Roma, sent. 11 maggio 2011, in Giur. di merito, 2011, 11 52 termini47, è richiesta la conoscenza del contenuto sostanziale degli stessi correlato al contesto in cui sono posti, o almeno la conoscenza di quello che si reputa il “maggiore” (l’indispensabilità) , che possiederebbe un quid pluris rispetto all’altro48, così da porre quantomeno una relazione maggiore-minore fra gli stessi. Tuttavia è proprio una siffatta conoscenza per così dire “matematica” che viene a mancare, e al riguardo tratteremo nel prossimo paragrafo. In secundis, neanche sembra pregnante la differenza fra la formulazione positiva ex art. 702-quater c.p.c. e la formulazione in negativo ex art. 345 c.p.c. Le proposizioni dei rispettivi articoli, invero, affermano esattamente la stessa cosa, e non si può attribuirvi un significato differente solo perché si è scelta una forma lessicale diversa. Per fare un esempio, se io affermo “nel mio negozio non sono ammessi animali, a meno che non lo reputi assolutamente necessario” oppure “nel mio negozio sono ammessi animali esclusivamente qualora lo reputassi assolutamente necessario” è ovvio che io abbia affermato esattamente la stessa cosa con le medesime condizioni, scegliendo semplicemente una forma lessicale differente (si pensi se i clienti contravvenissero al divieto solo perché imposto utilizzando la seconda proposizione!). Attribuire una sfumatura differente alle due formulazioni appare invero una “raffinata forzatura”. In definitiva non sembra che, nella formulazione dell’art. 702-quater c.p.c. nella sua versione precedente alle modifiche introdotte dalla l. 7 agosto 2012 n. 134, possa ravvisarsi alcun intento di “recupero” di plena cognitio né tantomeno risultino rilevanti differenze con la disciplina dell’appello ordinario ex art. 345 c.p.c. (anch’esso nella sua versione precedente alla citata legge) che possano giustificare una tale interpretazione, risultando ancora una volta la “sommarietà” un concetto non riferito alla tipologia di cognizione e 47 Sulle distinzioni fra rilevanza e indispensabilità, Cass. 19 aprile 2006, n. 9120, in Rep. 2006, voce Appello civile, n. 70; Cass. 20 giugno 2006, n. 14133, in Rep. 2006, voce Appello civile, n. 73 48 S. Satta-C. Punzi, “Diritto processuale civile”, Padova, 2002, 478 ss.; A. Tedoldi, “L’istruzione probatoria nell’appello civile”, Padova, 2000, 197 ss. 55 pervenuto il giudice di primo grado”50. Un tale orientamento tende quindi semplicemente ad attribuire alle prove indispensabili un peso maggiore rispetto a quelle meramente rilevanti51. Una simile impostazione è adottata anche da quanti sostengono che una prova è indispensabile nel momento in cui utile per provare l’esistenza o meno di un fatto da porre a fondamento di una decisione che riformi o confermi la sentenza di prime cure appellata52. Entrambe le impostazioni sembrano però essere, si passi il paragone, un po’ come la “prova” Agostiniana dell’esistenza di Dio, il quale se può esser pensato, in quanto essere perfetto e completo, dev’essere anche sostanza. Tornando a noi dunque, siffatte impostazioni hanno il problema, come la prova Agostiniana, di porre a loro fondamento un presupposto che in realtà è soltanto “supposto”. Tale presupposto è nel nostro caso una conoscenza esatta del significato da attribuire all’indispensabilità, e una tale falla risulta evidente in particolare nel momento in cui vengono fatti paragoni con la rilevanza. Sia le prove indispensabili quanto quelle rilevanti sono infatti definite tali si rispetto all’oggetto della lite, ma soprattutto rispetto agli elementi probatori già acquisiti nel procedimento. Una prova che dimostrasse un elemento di fatto esattamente allo stesso modo di un’altra già acquisita, sarebbe certamente superflua. La rilevanza di un dato elemento probatorio è quindi senz’altro definita dalla non superfluità dello stesso in paragone alle prove già acquisite, e non si vede come una tale condizione possa essere distinta e diversa da quella di una prova invece “indispensabile”, posto che qualunque prova “non irrilevante” rispetto al complesso probatorio già acquisito ha il potenziale di rovesciare quanto statuito in prime cure utilizzando quel dato complesso. D’altro canto altrimenti non potrebbe essere, perché sarebbe assurdo attribuire alla rilevanza un significato più 50 Così Cass. 20 aprile 2005, n. 8203, in Foro it., 2005, I, 1690 51 Cass., sez V, 16 ottobre 2009, n. 21980, in Centro Elettronico di Documentazione Cassazione, 2009 52 G. Tarzia, “Lineamenti del nuovo processo di cognizione”, Milano, 1991, 247; G. Fabbrini, “Diritto processuale del lavoro”, Milano, 1975, 245; C. Ferri, “L’appello, in Le riforme della giustizia civile”, Torino, 2000, 457 56 “blando”, definendo ad es. rilevante una prova purché sia attinente al thema decidendum, potendo aversi, come visto, prove sì attinenti al thema decidendum ma superflue in relazione agli elementi già acquisiti. Altra dottrina ancora, attribuirebbe lo status di indispensabile a una prova quando la stessa possa provare l’esistenza o meno di un fatto sul quale il giudice di prime cure abbia invece statuito applicando semplicemente la regola dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.53, così come indispensabile sarebbe la prova senza la quale anche il giudice d’appello sarebbe costretto a decidere esclusivamente ex art. 2697 c.c.54 Tale dottrina va rigettata perché palesemente elusiva della disciplina delle preclusioni maturate in prime cure rendendo le relative disposizioni completamente inutili, potendo sempre contare anche la parte rimasta inerte nel giudizio di primo grado su un “secondo round” aperto praticamente a ogni sorta di prova e senza dover fra l ‘altro neanche preoccuparsi di dimostrare di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile come disposto ex art. 184-bis c.p.c. Va inoltre precisato che il principio dell’onere della prova non è un “sistema inquisitorio” campato in aria, bensì un criterio logico e necessario, in quanto la domanda dell’attore non può esser lasciata senza risposta e a questo scopo vengono imposti criteri razionali per stabilire in capo a quale delle parti vadano imputati i dubbi sul modo d’essere dei fatti. In definitiva non sembra ci siano i presupposti per dare una soddisfacente definizione di cosa sia l’indispensabilità, e dunque tantomeno si potrà farne un paragone col concetto di rilevanza. 53 A. Proto Pisani. “Controversie individuali di lavoro”, Torino, 1993, 119 54 B. Lasagno, in “Le riforme del processo civile”, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 1992, 441 57 3.2. Valutazione circa l’indispensabilità dei nova in appello e mancata produzione incolpevole nel giudizio di prime cure: impossibilità di una visione autonomistica delle due deroghe Altro presupposto su cui va a basarsi la tesi che attribuirebbe all’appello ex art. 702-quater c.p.c. una maggior apertura ai nova rispetto a quello ex art. 345 c.p.c., è la visione autonomistica della due deroghe (valutazione di indispensabilità e dimostrazione della parte di mancata produzione incolpevole in prime cure) al divieto d’ingresso di nuove prove in appello ex art. 702-quater c.p.c.55 Una tale visione alternativa delle due deroghe non è condivisibile, innanzitutto perché ammetterebbe implicitamente l’ingresso nel giudizio d’appello di prove finanche irrilevanti, purché la parte dimostri di non averle potute proporre o produrre in primo grado. È chiaro come tale impostazione vada contro il principio della rilevanza della prova ex art. 183 c.p.c., principio che fra l’altro nell’ambito del procedimento sommario di cognizione (ex art. 702-ter c.p.c.) è particolarmente marcato. Così come non è ammissibile dare ingresso a nuove prove sul solo requisito dell’indispensabilità, anche se la parte fosse colpevolmente decaduta dai termini in prime cure. Se una cosa del genere fosse possibile, avremmo una (ingiustificata) deroga al regime delle preclusioni e, qualora in queste sia già incorsa la parte, non possono certo essere sanate da un giudizio sull’ “indispensabilità”56. Una tale possibilità costituirebbe non solo una deroga dei principi ex art. 184-bis c.p.c. ( e 359 c.p.c.), ma la stessa presenza di questi due articoli rende superflua la deroga del novellato art. 702-quater c.p.c. riguardante 55 In tal senso Cass., S.U., 20 aprile 2005, n. 8203, in Giust. civ., 2006, I, 143; Cass., sez. lav., 14 luglio 2010, n. 14198, in Guida dir. 2010, fasc. 47, 71 56 Cass., sez III, 1 giugno 2004, n. 10487, in Centro Elettronico di Documentazione Cassazione, 2004; Cass., sez I, 19 ottobre 2007, n. 22014, in Guida al dir., 2007, 45 60 e tornare così a una visione di siffatto appello come più “aperto” rispetto a quello ordinario. Tuttavia non ritengo tale tesi condivisibile. Innanzitutto è avulso da qualsivoglia ragionevolezza reputare il limite delle nuove domande operante nell’appello ordinario e non nel giudizio d’impugnazione di un’ordinanza emessa nei modi del procedimento sommario di cognizione, il quale fonda la propria ratio proprio sull’accelerazione dei tempi del contenzioso civile. Ammettendo nuove domande in appello una tale ratio verrebbe non solo frustrata ma l’istituto in toto perderebbe di senso, in quanto più che un appello si aprirebbe un vero e proprio “secondo primo grado”. In secondo luogo, la tesi per cui vadano ammesse nuove domande in appello fu accolta riguardo al procedimento sommario societario58, reputando, anche in giurisprudenza, i limiti alle domande nuove ex art. 345 c.p.c. “incompatibili ex art. 20 dlg. n. 5/2003 con lo specifico procedimento d’appello relativo ad ordinanza ex art. 19 cit.”59. Viene chiaramente affermato dalla dottrina che “mentre i limiti preclusivi posti dall’art. 345 c.p.c. sono pienamente accettabili (anche sul piano dei principi costituzionali) quando - come di norma avviene – l’appello venga esperito avverso una sentenza di primo grado, finiscono per determinare un grave pregiudizio per il diritto di difesa dell’appellante laddove il provvedimento impugnato sia un provvedimento sommario conclusivo del primo grado di giudizio”60. Risulta chiaro quindi che la propensione verso un appello aperto alle nuove domande fosse giustificata esclusivamente, nel procedimento sommario societario, dalla cognizione sommaria di prime cure, e abbiamo già visto (v. supra capp. 1e 2) come questo non sia il caso del procedimento sommario di cognizione. Va quindi categoricamente escluso che nel giudizio d’impugnazione dell’ordinanza emessa ai sensi del rito ex artt. 702-bis ss. 58 Arieta e De Santis, “Diritto processuale societario”, Cedam, 2004, 301; Mandrioli, “Diritto processuale civile”, 2005, III, 334 59 App. Milano 3 dicembre 2007, Giur. it, 2008, 2552 60 Carratta, 2008, 2554 ss. 61 c.p.c. vadano ammesse, a differenza dell’appello ex art. 345 c.p.c., nuove domande. Neanche l’argomento delle nuove domande sembra dunque giustificare una visione dell’appello ex art. 702-quater c.p.c. come più aperto di quello ex art. 345 c.p.c. in virtù di una presunta necessità di “recupero” del contraddittorio. 5. Conclusioni Come già anticipato la l. 7 agosto 2012 n. 134, andando a modificare anche l’art. 345 c.p.c., ha eliminato da quest’ultimo le parole “[…] che il collegio ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero […]”, restando quindi come unica eccezione all’ingresso dei nova la dimostrazione della parte di non averli incolpevolmente prodotti o proposti in prime cure. Per non essere ripetitivi, le stesse considerazioni effettuate in precedenza (v. supra in particolare par. 3.1. e 3.2.) sul concetto di indispensabilità della prova e sulla (corretta) visione cumulativa delle due deroghe al divieto d’ingresso dei nova in appello ex art. 702-quater c.p.c., portano sic et simpliciter a ritenere che, nonostante l’eliminazione del disposto, l’ “indispensabilità” sia implicita anche nel novellato art. 345 c.p.c. Così come implicita è nell’art. 702-quater c.p.c. l’inammissibilità di nuove domande (v. supra par. 4). Abbiamo visto allora in definitiva come per quanto riguarda quelle che sarebbero le presunte peculiarità del giudizio d’appello ex art. 702-quater c.p.c., rectius quelle peculiarità che dovrebbero giustificare una maggior apertura di tale appello, esse non solo non giustificano una siffatta maggior apertura, ma invero neanche si presentano come “peculiarità” rispetto all’art. 345 c.p.c. Il fatto che quindi in realtà manchi, sia prima della l. 7 agosto 2012 n. 134 (v. par. 2), sia dopo la stessa, una reale differenza fra il giudizio d’appello ex art. 702-quater c.p.c. e l’appello ordinario, è indice di come i due giudizi di prime cure (quello ex artt. 702-bis ss. c.p.c. e quello ordinario) abbiano in 62 realtà lo stesso “peso”, siano cioè entrambi dotati di una cognizione piena, adeguata, rispettosa del principio del contraddittorio e egualmente garanti dei diritti difensivi delle parti, ergo entrambi giudizi non necessitanti di “recuperi” in fase d’appello. Risulta allora ovvio constatare che anche analizzando la fase d’appello del procedimento sommario di cognizione, la sua “sommarietà” risulti ancora una volta (coerentemente con quanto evidenziato nei capitoli precedenti) estraneo al significato di cognizione parziale o superficiale, ma afferente esclusivamente alla struttura formale del procedimento. 65 cause semplici passibili di trattazione semplificata. Al riguardo (sulla trattazione semplificata) viene posto l’accento sul principio di non contestazione, considerato dal giudice abruzzese parametro per valutare sulla possibilità o meno di trattazione semplificata, in quanto la mancanza di specifica contestazione delle allegazioni avversarie è annoverata nell’ordinanza come elemento indicativo della superfluità di accertamenti connotati dal rigore e formalismo dell’istruzione c.d. ordinaria. In particolar modo la non contestazione è definita “determinante”, ove specificato che “Il fatto storico dell’avvenuta locazione […] è inconfutabile, poiché risulta dal contratto allegato dal ricorrente […] A tali elementi si aggiunge in modo determinante la circostanza che il resistente non ha proprio contestato la responsabilità in merito alla causazione del sinistro […]”. La non contestazione è quindi considerata al pari dei documenti allegati elemento di grande semplificazione, in linea con quanto previsto dal nuovo art. 115 c.p.c. come introdotto dalla l. 18 giugno 2009 n. 69 e citato nella stessa ordinanza, prevedendo lo stesso che “il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti […] nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”62. Nell’ordinanza in esame viene quindi più volte in rilievo che l’esclusione di alcune materie dal rito sommario debba dipendere solo dalla concreta complessità della singola controversia, e non dal “nomen” della materia in sé per sé, dovendosi applicare tale ulteriore criterio solo in virtù del dato letterale, in quanto “Dal disposto legislativo si evincono alcune esclusioni esplicite: le cause la cui decisione è riservata al Collegio ai sensi dell’art. 50- bis c.p.c.; le cause avanti al giudice di pace; le cause avanti alla Corte d’appello; le cause avanti al tribunale monocratico ma in funzione di giudice d’appello. […] laddove l’inoperatività del rito sommario non sia stata espressamente prevista dalla legge, è più razionale ritenere che la valutazione della compatibilità tra rito sommario, rito speciale e materia 62 Sulla pacificità dei fatti in mancanza di specifica contestazione, v. Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 21 maggio 2008, n. 13079 66 trattata sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, il quale valuta […] in base alla ratio della riforma[…] consistente nel proclamato intento di generalizzare l’applicazione del rito sommario ad ogni controversia monocratica ad istruttoria non complessa”. L’agente discriminante è quindi identificato nella complessità dell’istruttoria, la quale verificatane la semplicità apre le porte al rito sommario anche nelle controversie laburistiche. Il giudice abruzzese del resto in riferimento al rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c. afferma che “Il nuovo procedimento […] persegue nel contempo gli obiettivi dell’economia del giudizio (a cui è funzionale l’istruzione sommaria) e quello della certezza giuridica (giudicato)”. Una siffatta definizione implica dunque un procedimento in grado di conciliare la (appropriata al caso) celerità processuale alla certezza di un giudicato definitivo (in relazione al caso concreto quindi possibile anche a fronte di un’istruzione sommaria e il quale non può certo pensarsi in mancanza di una plena cognitio). Nella stessa direzione anche l’ordinanza del Tribunale di Napoli, 25 maggio 201063. Nel caso trattato i coniugi T.V. e D.L.R. , conduttori di un appartamento sito a Napoli, deducevano con ricorso depositato ex art. 702- bis c.p.c. che, a causa dei lavori di manutenzione straordinaria iniziati a settembre 2008, si era prodotto un netto peggioramento delle condizioni abitative dell’immobile e delle condizioni personali e fisiche del figli, richiedendo il risarcimento dei danni accertati dal c.t.p. , la responsabilità per i quali attribuita per il sessanta per cento al locatore D.R., per il trenta all’A.Z. s.r.l. e per il dieci per cento ai coniugi P.V. proprietari dell’appartamento soprastante. I resistenti, opponendosi all’avverso dedotto, ne chiedono l’integrale rigetto. Il giudice campano, esaminando in punto di rito la questione, ammette invece l’ammissibilità della forma del procedimento sommario nel caso concreto. Specificamente , il Tribunale afferma che “deve condividersi la tesi dell’utilizzabilità dello schema procedimentale previsto dagli artt. 702-bis ss. 63 In Giur. it., 2011, 393 ss. 67 c.p.c. anche nelle controversie di lavoro (e, quindi, anche in quelle previdenziali e locative), quale alternativa al rito del lavoro di cui agli artt. 413 ss. c.p.c. Alla luce della realizzazione dell’obiettivo costituzionale della ragionevole durata del processo, deve concludersi nel senso che la locuzione udienza di cui all’art. 183 c.p.c., contenuta nel comma 3 dell’art. 702-ter. c.p.c., possa essere interpretata come qualsiasi udienza che apre al procedimento ordinario, ivi compresa anche l’udienza ex art. 420 c.p.c.” In particolare il Tribunale di Napoli ritiene che il richiamo all’art. 183 c.p.c. operato ex art. 702-ter c.p.c. non sia da ritenersi vincolante, soprattutto alla luce dell’orientamento espresso dalla Cassazione (Cass. Sez. Unite, 20 novembre 2008, n. 27531) secondo cui “le norme esistenti vanno interpretate ed applicate in modo da evitarne risultati in conflitto con il principio della ragionevole durata del processo”. Alla luce di tale orientamento risulta evidente che un’interpretazione restrittiva del richiamo all’udienza ex art. 183 c.p.c. operato ex art. 702-ter c.p.c. andrebbe certamente contro la ratio espressa dalla Suprema Corte, si pensi anche ad es. all’eventualità in cui sia contestualmente proposta, in via riconvenzionale, una domanda da trattarsi col rito ordinario di cognizione invece che applicando l’art. 447 c.p.c. Detto richiamo va allora interpretato come a qualsiasi udienza che acceda al procedimento ordinario, inclusa quella ex art. 420 c.p.c. Questa compatibilità fra modelli di prosecuzione (ex art. 420 c.p.c. e ex art. 183 c.p.c.) del resto non è osteggiata a livello formale - procedimentale vista l’identità di disciplina per quanto riguarda gli atti introduttivi, e che a livello sostanziale invece talune controversie lavoristiche e locatizie presentino proprio quei caratteri di semplificazione istruttoria atti a renderle passibili di trattazione secondo lo schema del procedimento sommario di cognizione. Il Tribunale di Napoli, ritenendo applicabile il rito sommario alla controversia locatizia di specie (che fra l’altro ricomprende anche situazioni di una certa gravità quali la lesione delle condizioni fisiche di minori), non può che ritenere 70 In che modo allora valutare quando l’istruttoria è “semplice” e quindi sia applicabile il procedimento sommario, ma al contempo sia garantita una plena cognitio? Il giudicante calabrese risponde “non resta che valorizzare la semplicità dell’istruttoria”. Ossia quando la stessa “è destinata a durare poco perché pochi, semplici e rapidi sono gli atti istruttori da svolgere”, e nel caso di specie tale semplicità viene garantita dalla circostanza che le pretese dei ricorrenti sono tutte provate documentalmente, e di conseguenza non necessitanti di alcuna approfondita attività istruttoria (si pensi ad es. alla richiesta di adempimento per le somme già riconosciute nella citata sentenza 9 febbraio 2010 n. 135 e al compenso aggiuntivo e premiale calcolabile in base alla percentuale di debiti, indicata nella citata convenzione 18 ottobre 2002, abbattuti ed indicati nella relazione finale predisposta dai ricorrenti). Ancora con riferimento all’istruzione il Tribunale di Mondovì, con ordinanza 5 novembre 200967, statuisce che “in ordine all’applicazione del rito sommario le cause non devono essere divise fra cause oggettivamente complesse e cause semplici, ma fra cause in cui l’istruttoria può essere complessa e lunga ed altre cause in cui l’istruttoria può essere condotta in modo deformalizzato e con rapidità. La differenza tra le due tipologie può dipendere dalla natura della lite (che non richiede accertamenti di fatto, o li richiede in misura limitata), ovvero, spesso, dalle posizioni assunte dalle parti, dal momento che esse determinano la quantità e la qualità di domande ed eccezioni (che vanno ad integrare il thema decidendum) e, soprattutto, la quantità d’istruttoria necessaria, attraverso le contestazioni o meno dei fatti allegati dalla controparte”. 68 Tale orientamento conferma quello del Tribunale di Catanzaro, ponendo particolarmente l’accento sulle difese svolte dalle parti, “poiché nel giudizio civile opera il principio di disponibilità della prova, è attraverso le difese delle 67 In Giur. di merito, 2010, 404 ss. 68 Così anche Tribunale di Mondovì, sent. 13 novembre 2009, n. 1891, in Massimario.it - 45/2009; Trib. di Varese, sez. I civile, ord. 18 novembre 2009, in Altalex Massimario 42/2009; Trib. Torino, ord. 11 febbraio 2010, in Massimario.it – 10/2010 71 parti che si può accrescere o diminuire il carico istruttorio della causa, cosicché una causa teoricamente complessa – quale può essere una causa di responsabilità professionale o, come nel caso di specie, un’azione revocatoria – può essere decisa senza fare luogo ad un’istruttoria lunga e formale”. Nel caso di specie difatti, trattasi appunto di azione revocatoria, la semplicità è data anche dall’inammissibilità di elementi probatori che invece se ammessi avrebbero notevolmente complicato la controversia (da cui appunto la complessità istruttoria è caratteristica variabile da caso a caso). In questo caso il giudice piemontese ha dichiarato inammissibili ad es. le prove orali dedotte, in quanto l’attore non ha provveduto alla capitolazione delle circostanze di fatto di cui ha chiesto l’accertamento, né all’indicazione nominativa dei testimoni; l’istanza di esibizione della documentazione bancaria, sempre svolta da parte attrice, reputata eccessivamente indeterminata; le capitolazioni di prova enumerate dai convenuti, inammissibili ai sensi dell’art. 2722 c.c. in quanto volte a provare l’esistenza di un patto aggiunto con stipulazione dello stesso antecedente al rogito notarile. L’istruttoria sommaria si conferma allora in questa prassi come un’istruttoria connotata da caratteri di “semplicità”, la quale non è affatto sinonimo di “minor profondità”, ma semplicemente un qualcosa da ricercare caso per caso nelle singole controversie, nelle quali quindi proprio per le loro peculiari caratteristiche la piena ricerca della verità fattuale è perfettamente garantita dall’istruzione c.d. “sommaria”. 4. Prassi giurisprudenziale e natura del procedimento sommario di cognizione: la plena cognitio Diamo ora uno sguardo a un’ordinanza che ha palesemente statuito sulla natura del procedimento ex artt. 702-bis ss. c.p.c., l’ordinanza 18 novembre 2009 del Tribunale di Varese, sez. I civile69. Il giudice Lombardo afferma che 69 In Giur. di merito, 2010, 406 ss. 72 “il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. è un processo a cognizione piena70, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti. Non si tratta, dunque, di un rito da ascrivere nella tutela sommaria”. Come si nota il giudicante giunge ad una tale conclusione in considerazione della tutela impartita col procedimento sommario, ossia una tutela dichiarativa pari a quella fornita dal procedimento ordinario, stante l’idoneità dell’ordinanza ex art. 702-quater c.p.c. a produrre gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. Viene poi evidenziato come sia proprio la comunicabilità fra il rito ordinario e quello sommario ad attestare la plena cognitio di quest’ultimo, diversamente la conversione ex art. 702-ter c.p.c. risulterebbe fuori luogo fra due riti “ontologicamente differenziati”. Infine, alla luce della delega legislativa nella l. 69/2009, la collocazione del procedimento sommario nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa lo collocherebbe automaticamente al di fuori delle tutele sommarie. Coerentemente con tale impostazione e con quella vista nell’ordinanza 22 febbraio 2012 del Tribunale di Catanzaro e simili (v. supra par. 3) il processo sommario sarebbe quindi correttamente da definire come “rito semplificato” di cognizione (piena), giustificando anche in questo caso l’utilizzo di un’istruzione “semplificata” secondo le caratteristiche della specifica controversia. Nel caso in esame difatti la parte attrice evoca in giudizio la convenuta assumendo di avere versato a favore di quest’ultima la complessiva somma di euro 8120, 00 e di non aver ricevuto, come previsto dal sinallagma pattuito, la controparte pari a una partita di fornitura di capi d’abbigliamento. Chiede, per l’effetto, il risarcimento del danno (in via equitativa) e la ripetizione dell’importo versato a titolo di corrispettivo, previa declaratoria dell’inadempimento del partner negoziale. 70 Sul procedimento sommario di cognizione come procedimento a cognizione piena e ad istruttoria semplificata, vedi anche Tribunale di Piacenza, ord. 26 maggio 2011, in www.ilcaso.it; Tribunale di Viterbo, ord. 12 luglio 2010, in www.altalex.com 75 cognizioni qualitativamente differenti, sarebbe stata quantomeno doverosa una specifica in tal senso, o sicuramente evitare una proposizione (come quella effettivamente adottata) che lasci intuire procedimenti “affiancabili” e paralleli. 5. Applicazione obbligatoria del procedimento sommario Ci sono altri casi in cui lo stesso legislatore ha reso obbligatoria nella prassi l’applicazione del procedimento sommario di cognizione, infatti alla luce del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, Capo I, art. 3, recante “Disposizioni comuni alle controversie disciplinate dal rito sommario di cognizione”, si dispone: “Nelle controversie disciplinate dal Capo III, non si applicano i commi secondo e terzo dell’articolo 702-ter del codice di procedura civile […] quando è competente la Corte d’Appello in primo grado il procedimento è regolato dagli articoli 702-bis e 702-ter del codice di procedura civile”. Sostanzialmente quindi, per quanto riguarda le controversie disciplinate dal Capo III della stessa legge, non si applicheranno il comma II (disciplinante l’inammissibilità della domanda non rientrante in quelle previste dall’art. 702- bis c.p.c.) e il comma III (disciplinante il rinvio all’udienza ex art. 183 c.p.c. in caso di necessità d’istruzione non sommaria) dell’art. 702-ter c.p.c. Per quanto riguarda la disapplicazione del 2o comma, essa risulta di facile comprensione, costituendo una necessaria precisazione per far rientrare nel procedimento sommario le controversie elencate nel Capo III della stessa legge. Facilmente comprensibile alla luce di quanto detto finora è anche l’applicazione del rito sommario nel caso in cui competente per il primo grado sia la Corte d’Appello, stante la semplicità istruttoria caratterizzante tali casi: si pensi ad es. alle controversie relative alla determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, potendo il proprietario espropriato impugnare innanzi all’autorità giudiziaria gli atti dei procedimenti di nomina dei periti (che richiede un semplice accertamento documentale), la stima 76 fatta dai tecnici, e richiedere la determinazione giudiziale dell’indennità (che avviene secondo criteri determinati dalla legge non richiedendo neanche un’equivalenza al prezzo di mercato del bene espropriato, evitando quindi anche un’indagine in tal senso). Inoltre risulta ovvio come anche in questi casi la cognizione sia considerata piena dal legislatore, essendo impensabile ritenere accettabile una cognizione parziale per materie come le delibazioni di sentenze straniere o la nullità di lodi arbitrali. Più interessante appare invece la disapplicazione del 3o comma dell’art. 702- ter c.p.c. prevista dal citato Decreto Legge, che escludendo il rinvio all’art. 183 c.p.c. sembra voler “forzare” l’applicazione del rito sommario anche nella circostanza in cui il caso concreto richieda un’istruzione non sommaria. Tuttavia se si vanno ad analizzare i casi considerati dal Capo III del D.L. 1 settembre 2011, n. 150, ci accorgiamo che in realtà essi presentano proprio quei caratteri di semplificazione idonei a farli rientrare nell’ambito di applicazione del rito sommario. Per non dilungarci troppo nell’esposizione non considereremo tutti i casi elencati al Capo III, tuttavia basti pensare ad es. all’art. 19, che impone l’applicazione del procedimento sommario alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti in materia di riconoscimento della protezione internazionale (art. 35 d.lgs. 25/2008). Tali controversie erano già connotate da una trattazione semplificata, in quanto operante per le stesse il rinvio alla disciplina ex artt. 737 c.p.c. dei procedimenti in camera di consiglio, e introducibili con ricorso. Ancora si pensi all’art. 21 che sottopone al rito sommario le controversie in materia di opposizione alla convalida dei provvedimenti che dispongono il trattamento sanitario obbligatorio, disciplinate prima dalla l. 13 maggio 1978, n. 180, la quale all’art. 5 prevedeva che “chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio […] può proporre al Tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare […] il Tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero […]”. Anche in questo caso il 77 procedimento era già caratterizzato da trattazione semplificata in quanto soggetto al procedimento in camera di consiglio. Anche nel caso della disapplicazione del comma III dell’art. 702-ter c.p.c. disciplinata dal D.L. 1 settembre 2001 n. 150, allora, la giustificazione si trova semplicemente nelle caratteristiche del tipo di controversie considerate, ovvero la semplicità della trattazione che, coprendo in questi casi generalmente un’intera categoria di controversie, il legislatore ha ben pensato di far rientrare le stesse automaticamente nell’ambito del procedimento sommario di cognizione, sollevando il giudicante dal dover (inutilmente) varare caso per caso sull’opportunità di applicazione del procedimento ex artt. 702-bis ss. c.p.c. Sembra allora che i casi in cui è lo stesso legislatore a prevedere l’obbligatorietà del procedimento ex artt. 702-bis ss. c.p.c. non siano affatto forzature atte ad ottimizzare “ad ogni costo” le tempistiche del contenzioso civile, ma siano stati utilizzati criteri atti semplicemente ad evitare ai giudicanti una pletorica attività di valutazione sull’applicabilità del rito sommario, criteri che attribuiscono automaticamente alla competenza del suddetto rito controversie che presentino un’istruttoria “semplificata”, intesa chiaramente dal legislatore semplicemente come di più rapida soluzione e richiedente un quantitativo minimo di risorse giudiziarie, che non impedisce per questo la piena conoscenza dei fatti (non essendo “semplice” sinonimo di “parziale”), e non implicando quindi per forza la mancanza di una cognizione piena tout court. Del resto, se si pone lo sguardo al D.Lgs. 150/2011 da un punto di vista sistematico, esso sembra andare nella stessa direzione in cui sono ormai diretti gli altri ordinamenti europei (v. infra cap. 5), ossia la scissione dell’intero sistema procedurale civile in una serie di differenti percorsi o procedimenti, tutti ontologicamente equivalenti ma adeguati alle controversie che debbono esservi trattate. Anzi, prima ancora un tale intento è palese nella L. 69/2009, nella quale si legge all’art. 54: “1) I procedimenti in cui sono 80 regole particolari concernenti le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (ex artt. 415, 7ocomma, 417-bis c.p.c.), ecc. Ancor di più si intuisce lo snaturamento della ratio del rito del lavoro dall’eliminazione di quelle disposizioni che incarnano la natura più profonda di questo tipo di procedimento, ovvero la salvaguardia della parte debole del rapporto, il lavoratore, si pensi ad es. all’inapplicabilità della particolare disciplina in materia di esecutorietà della sentenza ex art. 431 c.p.c., o ai più ampi poteri istruttori di cui dispone il giudice ex art. 421 c.p.c. La circostanza poi che anche in questo caso, come già visto per il rito sommario, l’applicazione del rito laburistico sia obbligatoria, vista l’esclusione degli artt. 426, 427 e 439 c.p.c., disciplinanti rispettivamente il passaggio dal rito ordinario a quello speciale, dal rito speciale a quello ordinario e il cambiamento del rito in appello, risulta definitivamente palesata la posizione assunta del legislatore con la l. 69/2009 e col D.L. 1 settembre 2011 n. 150, ossia creare “tre vie” per la razionalizzazione del contenzioso civile, rispettivamente il rito sommario per le controversie più semplici, il rito laburistico per quelle medio-complesse, e il procedimento ordinario per quelle più complesse, in un’ottica di equivalenza ontologica delle procedure, posta la “trasformazione” all’uopo operata sul rito del lavoro e posto anche che la “terza via” del rito ordinario viene assunta come residuale, in quanto nella stessa convergono quelle controversie che abbiano superato i “filtri” del rito sommario e del rito del lavoro. E’ evidente che una tale impostazione non sarebbe compatibile con una “prima via” (il rito sommario di cognizione) che sia sommaria dal punto di vista della cognizione, in quanto la controversia che ne abbia superato il filtro sarebbe poi sottoposta alla seconda (rito del lavoro) o terza procedura (rito ordinario) connotate invece da plena cognitio, e questo avverrebbe sulla sola base della semplicità/complessità istruttoria, elemento che da solo non giustificherebbe il “filtraggio” da un rito a cognizione sommaria ad uno a cognizione piena, in quanto per realizzare un passaggio del genere sarebbe quantomeno necessaria una differenziazione sostanziale nelle caratteristiche 81 della controversia, ad es. riguardante la materia come per il vecchio rito societario sommario, o peculiari condizioni come il fumus boni iuris e il periculum in mora nella tutela cautelare. 6. Conclusioni In definitiva, sembra che quanto avvenuto nella migliore prassi confermi un’idea di “sommarietà” in linea con quanto in questa sede fatto emergere nei precedenti capitoli, e lo stesso discorso può farsi analizzando le scelte normative effettuate dal legislatore in ambito di applicazione del rito sommario. Nell’uno e nell’altro caso il discrimine fra applicabilità o meno del rito in esame sembra essere la “semplicità” dell’istruttoria, intesa come rapida e richiedente accertamenti per l’appunto semplici e di pronta soluzione, e analizzando la prassi (sia giurisprudenziale sia legislativa) non risulta nessun passaggio in cui un siffatto tipo d’istruttoria possa essere inteso come “sommario” in senso di parziale. Più precisamente allora (ed è questo che invece sembra voler venir fuori dai testi analizzati) l’istruzione propria del rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c. andrebbe più correttamente definita istruzione semplificata, anziché “sommaria”, posto che l’accertamento dei fatti è pieno (essendo infatti un procedimento caratterizzato da plena cognitio) e che quindi una più corretta definizione eviterebbe fraintendimenti quali l’erronea associazione di un tale tipo d’istruttoria a una tutela di tipo sommario. 82 CAPITOLO 5: UN’INDAGINE COMPARATISTICA Sommario: 1. Premessa – 2. L’ordinamento inglese – 2.1. La riforma delle Civil Procedure Rules (CPR) – 2.2. Il Summary Judgment – 2.3. Conclusioni in rapporto all’ordinamento inglese – 3. Gli ordinamenti francese e tedesco – 3.1. L’ordinamento francese – 3.2. L’ordinamento tedesco – 3.2.1. Un particolare caso di semplificazione: la Versäumnisurteil (sentenza contumaciale) – 4. Conclusioni 1. Premessa A questo punto può essere utile una piccola indagine comparatistica, volgendo lo sguardo verso gli istituti processual-civilistici di altri ordinamenti in modo da avere un raffronto con le soluzioni adottate da questi ultimi per la risoluzione degli stessi problemi presenti nel sistema giuridico italiano, problematiche che comunque possono dirsi comuni a qualsiasi ordinamento giuridico (ragionevole durata dei procedimenti, concentrazione del contenzioso e delle risorse giudiziarie, garantire il diritto di difesa ecc…). Si vedrà come i vari ordinamenti fanno fronte a tali esigenze sia con l’ottimizzazione dei procedimenti ordinari, sia affiancando a questi ultimi una serie di procedimenti speciali improntati sui canoni dell’accelerazione e della semplificazione, similmente a quanto cercato di fare dal legislatore italiano con l’istituzione del procedimento ex artt. 702-bis ss. c.p.c. Cercheremo allora, grazie a questo raffronto, di capire se con l’istituzione del rito sommario di cognizione il nostro legislatore si sia o meno allineato con gli altri ordinamenti d’Europa e se sia possibile ravvisare anche in questi ultimi un concetto di “sommarietà”, in modo da valutare anche la sommarietà del nostro procedimento sommario in una prospettiva più ampia. 85 perché al maggior valore della causa viene evidentemente attribuita una maggior complessità della stessa. Il giudice, nella fase di pre-trial, “[…] may fix a case management conference, or a pre-trial review […] the court will fix the trial date or the period in which the trial is to take place as soon as practicable […]” (CPR Practice dir. Part 29, 29.1)73, il giudicante è quindi libero di fissare la data del trial (dibattimento), o altre due fasi facoltative, la pre-trial review che sarà fissata solo in casi particolarmente complessi per ottimizzare l’andamento del procedimento (per organizzare al meglio la fase di trial accertando i presupposti necessari), e la case management conference, in cui il giudice eserciterà i suoi poteri di management per varare quali siano le questioni rilevanti ai fini della decisione e stabilire i modo migliori per affrontarle. Vi è infine un terzo tipo di udienza, la listing hearing, il cui scopo è la risoluzione di quanto necessario per la fissazione della data del trial, come ad es. la verifica degli adempimenti delle parti. Inoltre anche nella fase di trial viene posta una disposizione aperta che lascia sempre e comunque spazio alla discrezionalità del giudice, “Unless the trial judge otherwise directs, the trial will be conducted in accordance with any order previously made” (CPR Practice dir. Part. 29, 29.9) Come si nota la procedura è connotata da un rito che si preoccupa continuamente di “aggiustare il tiro”, di incanalare gli eventi sempre e comunque verso una razionalizzazione dei tempi e delle risorse, grazie alla flessibilità e ai poteri concessi al giudice, il quale può uscire dalla standard direction del procedimento approvando eventuali accordi delle parti in tal senso. La procedura fast track comprende quelle controversie il cui valore non superi le 15.000 sterline, le quali per la loro semplicità sono trattate con un trial molto breve (un giorno), ed è anzi prevista sanzione per quella parte dalla quale dipenda un inutile dilungamento, in quanto “The court will however hold a hearing to give directions whenever it appears necessary or 73 Tutti gli estratti in lingua inglese delle Civil Procedure Rules (CPR) sono tratti da www.justice.gov.uk 86 desiderable to do so, and where this happens because of the default of a party or his legal representative it will usually impose a sanction” (CPR Practice dir. Part. 28, 2.3). Nel disposto si nota inoltre ancora come i poteri del giudicante siano sempre presenti per mantenere il controllo del procedimento “the court […] to give directions whenever it appears necessary or desiderable […]” , l’ampiezza dei poteri lasciati al giudicante emerge in molte altre disposizioni, ad es: “The court may give directions at any hearing on the application of a party or on its own initiative” (CPR Practice dir. Part 28, 2.4). La small claims track è utilizzata per trattare le controversie di valore non superiore alle 5.000 sterline, le quali vengono chiuse, se le parti acconsentono, anche senza una final hearing (udienza finale), esaurendo l’intero procedimento nella sola forma scritta (CPR Practice dir. Part. 27, 27.1). O possono anche concludersi direttamente in un’udienza preliminare disposta dal giudice (CPR Practice dir. Part. 27, 27.6), posti anche qui i suoi ampi poteri discrezionali, che risultano in particolare da alcune espressioni adottate, “the court may adopt any method of proceeding at a hearing that it considers to be fair” (CPR Practice dir. Part 27, 27.8). L’ottimizzazione delle risorse è particolarmente marcata in questa procedura, tanto vero che proprio nella prima Rule della parte a essa dedicata si enuncia che “this part […] limits the amount of costs that can be recovered in respect of a claim wich has been allocated to the small claims track” (CPR Practice dir. Part 27, 27.1). Tutte e tre le procedure sono senza dubbio improntate al canone della celerità, e funzionale alla stessa sono gli ampi poteri attribuiti al giudice fra cui, appunto, la possibilità di usufruire di percorsi diversi nonché tutti e tre rientranti nell’ambito dell’ordinario procedimento civile, né s’intravede alcuna intenzione nel testo di voler per questo fare una distinzione ontologica dei diversi percorsi. I canoni utilizzati per i diversi tracks permeano il procedimento civile in toto, come del resto risulta chiaro leggendo le prime disposizioni introduttive della Parte 1 delle CPR: “These Rules are a new 87 procedural code with the overriding objective of enabling the court to deal with cases justly and at proportionate cost […] saving expense […] dealing with the case in ways which are proportionate to the amount of money involved; to the importance of the case […] allotting to it an appropriate share of the court’s resources, while taking into account the need to allot resources to other cases […]” (CPR Part 1, 1.1). Interessante in questa disposizione appare in particolare il riferimento alle risorse giudiziarie dal punto di vista dell’ordinamento in toto, e quindi anche la ragionevolezza della durata non va ad ascriversi alla singola causa, ma alla ragionevolezza dell’utilizzazione delle risorse giudiziarie dell’ordinamento nel suo complesso. Da osservare anche come più che alla durata il riferimento sia spesso fatto appunto alle risorse, e di come quindi a differenza del nostro ordinamento il problema della durata non sia risolto lasciando immutati taluni procedimenti e apportandone di nuovi (come il nostro procedimento ex artt. 702-bis ss. c.p.c.) per cercare di “recuperare” a posteriori, bensì agendo sul procedimento civile nel suo complesso distribuendovi le risorse con criterio, diventando la giusta e ragionevole durata dei procedimenti una semplice e fisiologica conseguenza di tale impostazione. Tuttavia gli stessi principi di razionalizzazione visti sono indubbiamente presenti nel nostro procedimento sommario, questi andrebbero però anche da noi estesi al contenzioso civile in toto. Ugualmente valide per la procedura civile in toto sono le disposizioni che attribuiscono ampi poteri al giudice, difatti sempre nella Parte 1 delle CPR, relativamente al case management si dispone: “The court must further the overriding objective by actively managing cases. Active case management includes […] indentifying the issues at an early stage; deciding promptly which issues need full investigation and trial and accordingly disposing summarily of the others; deciding the order in wich issues are to be resolved […] giving directions to ensure that the trial of a case proceeds quickly and efficiently.” (CPR Part 1, 1.4). Salta all’occhio come in particolare il giudice possa disporre delle questioni sollevate, decidendone ad esempio l’ordine di 90 semplicità istruttoria, l’espressione “claimant/defendant has no real propspect […]”, letteralmente “non ha una prospettiva reale” sembra indicare proprio questo, la circostanza che sostanzialmente non vi sia la concreta possibilità di successo per l’attore o il convenuto, o se presente sia veramente irrisoria. Una tale prospettiva mal si concilia col rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c., che è invece aperto a qualunque controversia sottoposta al Tribunale in composizione monocratica purché dotata di un sufficiente grado di semplicità e che per questo, come visto (v. supra par. 2.1.), sembra avvicinarsi più alla logica della divisione in differenti tracks nell’ambito del procedimento ordinario inglese. Inoltre nel summary judgment è completamente assente la fase del dibattimento (trial), “This part sets out a procedure by which the court may decide a claim or a particular issue without a trial” (CPR Practice dir. Part 24, 24.1), e di conseguenza viene meno anche l’escussione orale dei testimoni in udienza, che normalmente avviene proprio nel trial: “the general rule is that any fact which needs to be proved by the evidence of witnesses is to be proved at trial, by their oral evidence given in public […]” (CPR Practice dir. Part 32, 32.2), e bisogna considerare che, a differenza del nostro ordinamento, nel processo inglese le prove orali assumono un valore maggiore rispetto a quelle documentali. La parte fondamentale dell’istruttoria nell’ordinamento inglese è infatti basata sulle prove orali, posto che anche la contestazione dei documenti prodotti dalla controparte dovrà essere effettuata oralmente nel corso del trial, in quanto i documenti fra l’altro acquistano valore di prova solo se non contestati dalla controparte nella maniera appena vista. Nella fase di trial inoltre sono anche assunte quelle che nel nostro ordinamento sarebbero classificate come consulenze tecniche, tuttavia da queste si discostano perché assunte come fossero prove testimoniali, tanto vero che al posto della figura del consulente tecnico c’è il c.d. expert witness, letteralmente “testimone esperto”, la cui testimonianza è oralmente resa, tutte le testimonianze vengono istruite e verificate nella c.d. cross examination (verifica incrociata), la quale a tal 91 scopo comprende esame diretto, controesame, riesame ed esame da parte del giudice. Appare insomma chiaro come nel processo inglese l’istruttoria orale (che come visto comprende anche le consulenze tecniche) costituisca fondamentalmente la parte più importante dell’intera fase istruttoria (e in verità tutta la fase di pre-trial è funzionale alla preparazione del trial), si capisce quindi che mancando nel summary judgment proprio tale fase l’istruttoria più che semplificata sia quasi assente rispetto ai canoni dell’istruttoria del nostro rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c., posto anche la scarsa rilevanza che hanno i documenti (a meno che non contestati dalla controparte) senza la seguente istruttoria orale, e che invece uno degli indici di semplicità istruttoria più palesi che caratterizza le cause che possono essere trattate col nostro rito sommario di cognizione è proprio il poter essere istruite per via squisitamente documentale. In definitiva sembra allora non potersi accostare il summary judgment al rito sommario ex artt. 702-bis ss. c.p.c., e quindi la connotazione di “summary” sembra nell’ordinamento inglese attribuirsi a ragione a un tipo di procedimento caratterizzato da un’istruttoria quasi assente perché come visto basato sul fatto che l’attore o il convenuto non abbiano comunque possibilità di successo, e un tale tipo di “sommarietà” non ha nulla a che vedere con quella che caratterizza il nostro rito omonimo. 2.3. Conclusioni in rapporto all’ordinamento inglese Posto che, come visto (v. supra par. 2.2.) il nostro rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c. sembra non essere assimilabile al suo omonimo summary judgment previsto dall’ordinamento inglese, in quanto in quest’ultimo la sommarietà ha tutt’altro significato, e posto anche che il nostro processo sommario sembra andare invece nella direzione dei diversi tracks previsti nell’ambito del procedimento ordinario britannico, deve concludersi che in rapporto a tale ordinamento straniero il rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c. debba essere, in linea 92 con quanto concluso finora (v. supra capp. 1, 2, 3, 4) interpretato come a cognizione piena (in quanto dotato, a differenza del summary judgment, di condizioni d’accesso molto più ampie e di un’istruzione piena ed adeguata) seppur connotato da criteri di semplificazione (come i procedimenti in fast track e small claims track), e di conseguenza la “sommarietà” ad esso afferente esclusivamente come sinonimo di semplicità e celerità. 3. Gli ordinamenti francese e tedesco Dopo il raffronto con un sistema di common law quale quello britannico, sembra ora opportuno farne uno con dei sistemi che si avvicinano più al nostro perché facenti parte, come l’ordinamento italiano, dell’area di civil law, in particolare gli ordinamenti francese e tedesco. 3.1. L’ordinamento francese Come già detto, abbiamo iniziato dall’ordinamento inglese perché esemplificativo della direzione seguita anche in altri ordinamenti. Proprio come in Inghilterra infatti anche in Francia74 è stata scelta la via della ripartizione delle controversie in differenti tipi di procedure, ovvero il circuit court, moyen e long. Nel circuit court sono inserite quelle controversie che siano ritenute già pronte per la soluzione, secondo quanto disposto dal Code de procédure civile (c.p.c.): “Le président renvoie à l’audience les affaires qui, d’après les explications des avocats et au vu des conclusions échangées et des pièces communiquées, lui paraissent prȇtes à ȇtre jugèes sur le fond. Il renvoie également à l’audience les affaires dans lesquelles le défendeur ne camparaȋt pas si elles sont en état d’ȇtre jugées sur le fond, à moins qu’il 74 Sull’ordinamento francese si vedano: Cadiet, “Complessità e riforme del processo civile francese”, in Riv. trim. dir e proc. civ., 2008, 1303 ss.; Guinchard-Ferrand- Chainais, “Procédure civile” (terza edizione), Dalloz, 2013 95 Il circuit long è quindi quello con cui vengono trattate le cause più complesse, dato che è qui che avviene la vera e propria mise en état, la quale “[…] est la phase de la procédure écrite au cours de laquelle se déroule l’instruction de la cause sous le contrȏle et la direction d’un magistrat di siège appelé, devant le Tribunal de grande instance, le juge de la mise en état […]”76, tale procedura avviene quindi sotto il controllo di tale juge, che potremmo definire giudice istruttore, il quale difatti “[…] est désigné pour surveiller l’instruction d’un procès civil complex”77. Anche in tale procedura, nonostante sia caratterizzata da maggior complessità, risalta comunque la costante attenzione del legislatore alla ragionevole durata del procedimento o, per meglio dire e come già fatto notare, al ragionevole utilizzo delle risorse giudiziarie, stante che “Le juge de la mise en état fixe, au fur et à mesure, les délais nécessaires à l’instruction de l’affaire, eu égard à la nature, à l’urgence et à la complexité de celle-ci […]” (article 764 c.p.c.). Non può non notarsi la somiglianza col nostro art. 702-ter c.p.c., nella parte in cui dispone che “[…] il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto […]”. Ora, una tale discrezionalità attribuita al giudice, tale da rendergli possibile di adattare la fase istruttoria alle peculiarità della singola controversia, è nell’ordinamento francese presente anche nei casi di controversie più complesse, e viene quindi da chiedersi se invece non siano fuori luogo le polemiche verso un tale tipo di discrezionalità sollevate nel nostro paese (v. supra cap. 2) con riguardo ad un procedimento, quale il rito ex artt. 702-bis ss. c.p.c., che comprende controversie connotate certamente da un grado minore di complessità. Eventuali dubbi su una tale presunta “eccessiva flessibilità” del rito sommario risultano ancor più anacronistici se si pensa che, nel circuit long, le scansioni della fase istruttoria possono essere anche frutto di un contributo 76 Serge Braudo, Dictionnaire du droit privè 77 Service Public.fr, le site officiel de l’administration franҫais 96 partecipativo delle parti, stante che “Il (il juge de la mise en état) peut, après avoir recueilli l’accord des avocats, fixer un calendrier de la mise en état” (article 764 c.p.c.). Se quindi il giudice non fissa unilateralmente il calendario, questo è deciso in accordo con gli avvocati, con un vero e proprio “contratto procedurale”. 3.2. L’ordinamento tedesco Anche se nell’ordinamento tedesco78 non è prevista, come negli ordinamenti francese e inglese, una così netta divisione fra differenti circuits o tracks, è contemplata comunque la possibilità di adattare il procedimento ai diversi gradi di complessità delle controversie, in quanto “(1) Der Rechtsstreit ist in der Regel in einem umfassend vorbereiteten Termin zur mündlichen Verhandlung (Haupttermin) zu erledigen. (2) Der Vorsitzende bestimmt entweder einen frühen ersten Termin zur mündlichen Verhandlung (§ 275) oder veranlasst ein schriftliches Vorverfahren (§ 276). (3) Die Güteverhandlung und die mündliche Verahndlung sollen so früh wie möglich stattfinden. (4) Räumungssachen sind vorranging und beschleunigt durchzuführen.” (ZPO, artikel 272)79. E’ prevista quindi innanzitutto una regola generale che prevede la trattazione in un’udienza principale (Haupttermin) connotata dal canone dell’oralità, altrimenti il giudice potrà, secondo il suo apprezzamento, fissare una prima udienza immediata (ZPO, artikel 275) che preceda l’udienza principale o, sempre prima di detta udienza, indire un procedimento preliminare scritto (ZPO, artikel 276). 78 Sull’ordinamento tedesco, si vedano: Caponi: “Modelli europei del processo di cognizione: l’esempio tedesco”, in Questione giustizia, 2006, fasc. 1; Thomas-Putzo, “Zivilprozeβordnung”, München, 1990; Caponi, “I poteri probatori delle parti e del giudice nel processo civile tedesco dopo la riforma del 2001”, in Riv. dir. civ., 2006, I, 520 ss.; Gattuso, “Appunti sul processo civile in Germania”, in Questione giustizia, 2009, fasc. 2; Paulus, “Zivilprozessrecht: Erkenntnisverfahren, Zwangsvollstreckung und Europäisches Zivilprozessrecht”, Springer, 2010 79 Tutti gli estratti in lingua tedesca del Zivilprozessordnung (ZPO) sono tratti da www.gesetze-im-internet.de 97 Tali accorgimenti sono, in linea con quanto previsto negli ordinamenti francese e inglese, volti a evitare lo spreco delle risorse giudiziarie adattando il procedimento alla complessità della controversia, in quanto solo in caso nella prima udienza immediata le questioni procedimentali (scandite da termini decisi dal giudice a seconda del caso) non fossero state definitivamente affrontate e risolte, il giudice disporrà quanto ancora necessario alla preparazione dell’udienza principale: “[…] (2) Wird das Verfahren in dem frühen ersten Termin zur mündlichen Verhandlung nicht abges chlossen, so trifft das Gericht alle Anordnungen, die zur Vorbereitung des Haupttermins noch erforderlich sind […]” (ZPO, artikel 275). Nel caso invece di procedimento preliminare scritto, al convenuto viene prima assegnato un termine di due settimane per notificare alla corte la sua intenzione di difendersi, e successivamente un termine di almeno altre due settimane per il deposito della comparsa di risposta, tale procedimento porta un notevole risparmio temporale in quanto nel caso il convenuto non dichiari la sua intenzione di difendersi entro il primo termine, potrà essere soggetto ad una immediata sentenza contumaciale, questo il tenore della norma: “(1) Bestimmt der Vorsitzende keinen frühen ersten Termin zur mümdlichen Verhandlung, so fordert er den Beklagten mit der Zustellung der Klage auf, wenn er sich gegen die Klage verteidigen wolle, dies binnen einer Notfrist von zwei Wochen nach Zustellung der Klageschrift dem Gericht schriftlich anzuzeigen; der Kläger ist von der Aufforderung zu unterrichten. Zugleich ist dem Beklagten eine Frist von mindestens zwei weiteren Wochen zur schriftlichen Klageerwiderung zu setzen. Ist die Zustellung der Klage im Ausland vorzunehmen, so bestimmt der Vorsitzende die Frist nach Satz 1. (2) Mit der Aufforderung ist der Beklagte über die Folgen einer Versäumung der ihm nach Absatz 1 Satz 1 gesetzten frist sowie darüber zu belehren, dass er die Erklärung, der Klage entgegentreten zu wollen, nur durch den zu bestellenden Rechtsanwalt abgeben kann. Die Belehrung über die Möglichkeit des Erlasses eines Versäumnisurteils nach § 331 Abs. 3 hat die Rechtsfolgen aus den §§ 91 und 708 Nr. 2 zu umfassen. […]” (ZPO, artikel 276).
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