Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Il punto di vista - Turchetta, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

il riassunto è è ben suddiviso, ricco di esempi e scritto in modo semplice e chiaro.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 05/12/2018

crica123
crica123 🇮🇹

4.4

(47)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il punto di vista - Turchetta e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL PUNTO DI VISTA - GIANNI TURCHETTA CAPITOLO 1 - UN CONCETTO AMBIGUO E DECISIVO L'occhio che cammina L'avvio della riflessione sul punto di vista è individuata nelle "Prefazioni" del grande scrittore statunitense Henry James. Oggi possiamo dire che il punto di vista è un concetto necessario per comprendere la dinamica del testo narrativo; in primis conserveremo proprio il termine nonostante venga spesso sostituito da altri termini sinonimi come prospettiva, visione, sguardo, focalizzazione, che implicano però uno spostamento più o meno significativo dell'interpretazione del concetto. Lo studioso americano Gerald Prince definisce il punto di vista come "posizione percettiva o concettuale dalla quale vengono presentati le situazioni o gli eventi narrati" e, in effetti, all'interno di ogni narrazione, i personaggi, i fatti, gli oggetti, vengono visti da una certa posizione. Possiamo immaginare la successione delle parole del racconto come il percorso di un occhio che cammina all'interno dello spazio rappresentato dal testo e, per verificare questa affermazione, possiamo prendere in considerazione l'inizio dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni; egli adotta all'inizio un punto di vista poco individuato, panoramico, tanto da passare quasi inosservato ma in realtà, andando avanti, il testo costruisce la presenza di qualcuno o qualcosa che sta da parte e che vede lo scenario del ramo lecchese del lago di Como. In ogni opera quindi, l'occhio che cammina, è sempre rilevabile, non bisogna però pensare che ogni testo narrativo abbia un solo punto di vista poiché l'occhio vagante della narrazione non solo è molto mobile, ma può anche appartenere a innumerevoli osservatori. Punto di vista percettivo e punto di vista concettuale Diversi critici hanno paragonato il punto di vista alla macchina da presa di un film infatti, anche se non siamo consapevoli, siamo obbligati a guardare le cose secondo il punto di vista della cinepresa; chi legge un racconto è costretto a fare qualcosa di simile aderendo al punto di vista che viene attivato via via dal testo. Ci sono però delle profonde differenze tra la narrazione verbale e quella visiva, innanzitutto l'obiettivo della cinepresa produce un'inquadratura in cui sono contemporaneamente presenti molti oggetti, quindi l'occhio dello spettatore può concentrarsi più su un particolare o più su un altro, mentre il racconto a parole è obbligato dalla struttura stessa del linguaggio, quindi viene messo a fuoco un elemento alla volta. Potremmo dire che l'inquadratura cinematografica esiste nella realtà, al contrario lo spazio della narrativa verbale esiste solo nella mente del lettore. Il punto di vista è quindi un dispositivo che regola il flusso delle informazioni dal testo al lettore e l'attenzione di quest'ultimo è vincolata in modo rigido alla posizione del dispositivo testuale che definiamo punto di vista. La definizione di punto di vista di Prince accostava immediatamente "posizione percettiva" e "posizione concettuale", infatti anche nella lingua comune il termine sta ad indicare sia un punto d'osservazione materiale che un'opinione. Seymour Chatman distingue almeno tre significati: • letterale, sulla percezione • figurato, sull' ideologia • traslato, secondo il vantaggio di qualcuno L'opposizione fondamentale è tra il significato strettamente visivo o percettivo e quello concettuale o ideologico del termine punto di vista. ll punto di vista della narrativa verbale non può però essere assimilato ad una cinepresa perchè le parole non dispongono di uno strumento di registrazione neutrale degli eventi, è sempre parziale, è un modo per selezionare i dati che possono arrivare a lettore. Costruendo lo spazio del testo il punto di vista da vita ad un mondo immaginario che aspira a proporsi come un'immagine del mondo reale e nonostante costituisca un'interpretazione parziale della totalità del mondo, tenderà ad imporsi come un modello di tutta la realtà possibile. Questo significa che il lettore, nonostante continui ad avere il proprio punto di vista, mentre legge è chiamato a condividere il punto di vista del testo e a partecipare ad un mondo che non era il suo, altrimenti non lo capirebbe. Guardare o parlare? Il narratore si impegna a far assumere all'autore un punto di vista interno della storia. Il punto di vista attivo nel racconto può non coincidere con il punto di vista del narratore; il narratore è la figura che all'interno del testo appare responsabile del discorso, colui che parla, quindi può essere un personaggio della storia o un narratore esterno ai fatti narrati (come nei Promessi Sposi), ma non va comunque confuso con l'autore reale. Sappiamo in primo luogo che il punto di vista e la voce narrante sono solitamente distinti, ma possono anche appartenere alla stessa figura, in secondo luogo il punto di vista si colloca di volta in volta nella figura che s'immagina veda, pensi e giudichi. Questa figura può essere collocata dentro gli eventi in corso oppure starne fuori, il punto di vista può essere esterno o interno, ancora può cambiare o meglio "oscillare"; esso infatti non è solo molto mobile ma può anche essere molteplice. Gerard Genette, nella distinzione tra voce e punto di vista che avviene nel suo "Discorso del racconto", preferisce sostituire il termine punto di vista con focalizzazione e nota come nella maggior parte degli studi narratologici vi sia confusione tra quale sia il punto di vista del personaggio che orienta la prospettiva narrativa e chi sia il narratore o chi vede o chi parla. Il lettore non smette di percepire il punto di vista di "qualcun'altro" che sta dietro il personaggio e lo domina; questo qualcun'altro rimanda ad una prospettiva complessiva del testo e quindi anche al punto di vista ideologico dell'autore. Infatti il lettore, attraverso il testo, si costruisce un'immagine dell'autore, della persona che orienta e organizza la rappresentazione, che viene definita autore implicito. Ovviamente leggendo il lettore mette a punto un'ipotesi unitaria che viene corretta a seconda delle singole focalizzazioni e che coincide con il punto di vista dell'autore implicito. La prospettiva ristretta e la drammatizzazione del racconto Cercando di ripercorrere le tappe principali della teoria del punto di vista sappiamo che il problema è stato messo a fuoco tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX. (La narrativa italiana stava recuperando il ritardo nei confronti di altre e più robuste tradizioni romanzesche). impiegati successivamente i punti di vista di più personaggi e infine quella multipla in cui uno stesso evento viene raccontato secondo punti di vista diversi; • il racconto a focalizzazione esterna in cui il narratore ne dice meno di quanto ne sappiano i personaggi che in quel momento sono al centro dell'azione narrativa. Il gioco delle parti I punti di vista del testo sono molteplici ma non sono tutti attendibili. Il punto di vista generale espresso dal testo esiste e coincide con quello dell'autore implicito che non ha un posto preciso nella materialità del testo poiché è frutto di una costruzione che viene fatta dal lettore. Leggendo i lavori del linguista e filosofo russo Michail Bachtin e accostandoli a quelli del critico americano Wayne Clayson Booth possiamo vedere come il primo interpreti la lingua del romanzo come un punto di vista particolare sul mondo che pretende ad un significato sociale, mentre il secondo pensa che le tecniche che vengono utilizzate nel testo servono a comunicare al lettore in modo persuasivo un sistema di valori. Secondo Batchin ogni minimo segmento del discorso chiama in causa la visione del mondo di chi sta parlando, quindi il suo punto di vista ideologico; ognuno di noi infatti quando usa il linguaggio impiega uno strumento che non gli appartiene, che già preesiste. Comunicare significa perciò per molti aspetti citare parole altrui inevitabilmente orientate secondo il punto di vista chi le ha dette e che però con la nostra intenzione individuale assumono un nuovo orientamento, il nostro punto di vista. Nel suo "la parola e il romanzo", Batchin, afferma come la parola romanzesca sia a due voci, bivoca, ogni parola di una narrazione artistica è portatrice di almeno due punti di vista. Per Booth le tecniche narrative non sono solo dei procedimenti formali ma sono delle tecniche per controllare il lettore, delle tecniche retoriche di persuasione che servono a convincere il lettore della realtà del mondo rappresentato. Il sistema di valori è quello che il lettore ricostruisce in relazione non all'autore reale ma ad un alter- ego ipotetico dell'autore, ovvero l'autore implicito; quest'ultimo infatti è presente necessariamente in ogni testo narrativo, solamente così il lettore può cogliere e di conseguenza decidere la propria vicinanza o distanza rispetto all'universo rappresentato. Booth propone una classificazione dei narratori, quella del narratore attendibile e narratore inattendibile; ad esempio basti pensare ai narratori maniaci di molti racconti di Edgar Allan Poe. Wolfgang Iser, uno studioso tedesco, mostra come una caratteristica fondamentale del testo letterario sia la sua temporalità, infatti esso non è mai disponibile tutto in una volta ma diventa attivo progressivamente solamente grazie all'esperienza di lettura, quindi si mostra come se fosse una serie di cambiamenti di punti di vista. CAPITOLO 2 - DAI "VINTI" AI "CANNIBALI": QUALCHE IPOTESI SULLA NARRATIVA ITALIANA MODERNA "Impersonalità" e focalizzazione interna Secondo Joseph Warren Beach (1880 - 1957) il tratto fondamentale della tecnica del romanzo del XX secolo consiste nel fatto che la storia parli da sè, l'autore non racconta cosa fanno i personaggi ma lascia che siano essi stessi a farlo; le sue dichiarazioni sono analoghe a quelle dei veristi che sostenevano l'impersonalità come tecnica narrativa. Ad esempio Luigi Capuana, teorico del verismo italiano, recensì i Malavoglia definendoli "ultimissimi anelli della migliore tradizione narrativa successiva a Honoré de Balzac" poiché portavano fino alle estreme conseguenze il concetto di impersonalità. Nel 1880 Verga pubblicò la novella "l'amante di Gramigna" introdotta da una lettera dedicata all'amico Salvatore Farina, nella quale rivendicò la poetica dell'impersonalità, cercando di rendere invisibile la mano dell'artista tanto da rimandare ad un avvenimento reale. Possiamo trovare delle analogie tra la poetica di James e quella dei veristi, non solo riguardo il metodo dell'impersonalità ma anche nella coesione interna dell'opera o nel fatto che il testo dovrebbe apparire come un pezzo di realtà attraverso l'eliminazione di tutto ciò che potrebbe rilevare la presenza dell'autore. La narrativa moderna tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX ha scelto di nascondere il narratore per spingere il lettore a dimenticare di essere di fronte ad un testo. Tra le tecniche che contribuiscono a far ciò un ruolo assoluto spetta al discorso indiretto libero, utilizzato proprio per ottenere un effetto scenico in cui il narratore non tace ma si nasconde utilizzando il punto di vista del personaggio e la sua voce, facendo sì che le due si confondano e compiendo un'imitazione di quest'ultimo. Parlando di imitazione le parole del personaggio possono essere parafrasate nel discorso del narratore o anche limitate, possono essere riportate quasi integralmente sempre con le regole sintattiche del discorso indiretto o possono infine anche diventare sostanzialmente un discorso diretto. Dallo "spettatore disinteressato" al punto di vista inattendibile Lo scrittore verista Federico De Roberto, autore del romanzo I Viceré, propone una soluzione radicale nel suo volume di novelle "Processi verbali". Egli afferma che lo scrittore intende riportare solamente "una relazione semplice e fedele di un avvenimento che si svolge sotto gli occhi di uno spettatore disinteressato, l'impersonalità assoluta non può conseguirsi se non nel puro dialogo e l'ideale della rappresentazione obiettiva consiste nella scena, come si scrive per il teatro". In realtà proprio nelle novelle dei "Processi verbali" notiamo come sia difficile trasformare in una scena teatrale una narrazione, sia perché il narratore è comunque chiamato ad intervenire per offrire delle informazioni sui personaggi o sulla situazione e sia perché nella stessa selezione dei dialoghi lascia emergere il punto di vista dell'autore implicito. I Viceré narrano le vicende di tre generazioni dell'antica famiglia feudale siciliana degli Uzeda- Francalanza e De Roberto si attiene alla politica dell' impersonalità non solo attraverso il dialogo ma soprattutto tramite la focalizzazione interna, per cui il romanzo viene raccontato da un narratore esterno che non solo evita di fare commenti, ma scende continuamente a livello dei personaggi, adottando la loro prospettiva. La focalizzazione interna si fa strumento privilegiato per comunicare una visione del mondo violentemente critica, negativa, nella convinzione che la storia sarà sempre e comunque un teatro dominato dall'egoismo; dove c'è focalizzazione interna non abbiamo un narratore inattendibile ma sicuramente avremo un narratore che si attiene al punto di vista di personaggi inattendibili. Pirandello e il dialogo interiore Pirandello è uno scrittore che ha suscitato pareri molto differenti dalla critica, considerato infatti secondo alcuni uno dei più grandi autori del Novecento, secondo altri no. Mentre la poetica verista si appoggiava ad un oggettivismo assoluto che cercava di trasformare il testo in un evento quasi reale, Pirandello è fautore di un soggettivismo altrettanto assoluto; nei suoi testi infatti non si cerca di cancellare la mano dell'autore ma, al contrario, si percepisce in ogni istante la presenza del narratore che vuole imporre la propria verità soggettiva. La presenza del narratore è la verità che Pirandello si ritiene in grado di raccontare e la stessa cosa vale per il suo teatro in cui vi è il cosiddetto "personaggio ragionatore" che, sulla scena, racconta e analizza i casi di cui egli stesso è il protagonista. Egli utilizza spesso la narrazione in prima persona e nonostante si pensi che questo tipo di narrazione sia un procedimento rigido perché obbliga il narratore a raccontare solo i fatti che può aver visto o sentito, bloccandolo sia nel linguaggio che nel movimento della focalizzazione, le opere di Pirandello ci mostrano invece come questa tecnica permetta di maneggiare liberamente proprio il meccanismo della focalizzazione. Ad esempio, il romanzo "Il fu Mattia Pascal" ha come narratore il protagonista Mattia Pascal e in un passo specifico in cui egli parla del suo amministratore Malagna e dell'ipotetica sterilità della moglie Guendalina, possiamo notare come il punto di vista sia all'inizio chiaramente quello del narratore ma andando più avanti non è facile riconoscerlo, poiché alcuni pensieri potrebbero essere di Mattia, potrebbero essere stati detti da Malagna a Mattia o potrebbero solamente essere delle ipotesi che circolano nel paese. Lo stile della narrazione pirandelliana è caratterizzato da un continuo slittamento una sull'altra sia delle focalizzazioni sia delle voci; nella narrativa la rappresentazione dei pensieri è una specie di dialogo interiore (tecnica da ricercare in Dostoevskij) che configura all'interno della coscienza del personaggio una specie di teatrino mentale, con l'effetto di incrinare l'identità e l'unità psicologica dell'individuo. Il narratore-personaggio di Pirandello è una voce in cui voce e punti di vista altrui si sovrappongono incessantemente creando una rappresentazione anti-realistica. Che cosa si vede "con gli occhi chiusi" Secondo Booth molte storie esigono la confusione del lettore e il modo migliore per assicurarsene è quello di utilizzare un narratore confuso, infatti il confine tra prospettiva ristretta e sguardo confuso è assai sfumato. Federigo Tozzi, autore del romanzo "Con gli occhi chiusi", gioca molto sulla prospettiva confusa; egli è stato uno scrittore per molto tempo ignorato e adesso viene recuperato. I suoi testi sono inospitali nei confronti del lettore poiché non concedono ne il piacere dell'intreccio, ne la catarsi dell'immedesimazione, ma la sua forza sta nella capacità di cogliere i moti più profondi della psiche. Nell'opera di Tozzi il problema del non vedere diventa l'asse intorno a cui è organizzata la rappresentazione, il romanzo infatti racconta la storia di Pietro Rosi e del suo amore per Ghisola a tal punto da non vedere che la ragazza ha una vita sessuale spregiudicata; egli riuscirà a capirlo solamente quando la troverà in un bordello e nelle ultime righe del libro si renderà conto che la donna è anche incinta di parecchi mesi. Tutto il libro è costruito per farci vedere la condizione di inettitudine morbosa dove gli occhi chiusi sono un modo di negare la realtà; il lettore non può in nessun modo immedesimarsi con un protagonista
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved