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Il Quattrocento e il Cinquecento, Appunti di Letteratura

riassunto del saggio di battistini e bruscagli,

Tipologia: Appunti

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Caricato il 10/09/2019

ilariaparisi
ilariaparisi 🇮🇹

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Scarica Il Quattrocento e il Cinquecento e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! IL QUATTROCENTO E IL CINQUECENTO di Battistini e Bruscagli Il Quattrocento: le idee, la cultura, le istituzioni 1. QUESTIONI DI NOMENCLATURA E PERIODIZZAZIONE Il Quattrocento e il Cinquecento sono i secoli dell’umanesimo e del Rinascimento. Umanesimo > termine coniato in Germania nell’800 per indicare colui che si occupava di discipline letterarie. Esso si caratterizza per la preminenza di un gruppo ristretto di discipline ‘liberali’ di cui si afferma la centralità e gli studia humanitatis vengono sentiti come un ritorno all’antico e una nuova concezione dell’uomo. Quando nasce la coscienza dell’umanesimo nasce anche il concetto e il termine di Medioevo, cioè di una età di mezzo tra l’antichità è il Risorgimento. Fin da subito è nata un’idea di contrapposizione frontale tra le due età, idea che però adesso nessuno potrebbe sottoscrive, anzi si potrebbero sottolineare elementi di continuità (come ad esempio le componenti religiose e spirituali e il ritorno all’antico). 2. IL RITORNO ALL’ANTICO E LA NUOVA FILOLOGIA Tutta la rivoluzione culturale quattrocentesca viene anticipata nel Trecento nel pensiero e nell’opera di Petrarca, in tutti i suoi aspetti: atteggiamento nei confronti dei classici, ritorno all’antico, studio dei testi per avvicinarsi alla voce dell’autore > umanesimo. L’umanesimo si propone la materiale scoperta dei testi antichi latini e greci > nascita della filologia. Ritrovamenti dei codici latini presso le biblioteche monastiche di tutta Europa → Poggio Braggiolini. Recupero dei manoscritti greci attraverso viaggi in Grecia → Aurispa, Veronese, Filelfo. Dal 1453 (presa di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani) vi è un afflusso di maestri greci in Occidente → Crisorora. Lorenzo Valla è il più grande filologo e grammatico dell’umanesimo (insieme a Poliziano): dimostrò la falsità della Donazione di Costantino e dà avvio allo studio laico dei testi sacri. Il culto dell’antico e il restauro del puro latino classico implica di per sé un processo di imitazione di modelli (Petrarca parla di immedesimazione); nasce il dibattito su come e chi imitare e ci sono due posizioni: - Angelo Poliziano → imitare la lezione dei più vari autori (classicismo multipolare) - Paolo Cortesi → imitare un solo autore: Cicerone per la prosa, Virgilio per la poesia 3. UN SECOLO BILINGUE Il Quattrocento si presenta dominato da una cultura bilingue, secondo un binario latino-volgare presente anche nella produzione di uno stesso autore. Non mancarono dispute tra fautori e oppositori di una o l’altra lingua; posizione rilevante di Leon Battista Alberti (Grammatichetta) che rivendica la pari dignità del volgare rispetto al latino. 4. IL CURRICULIM DELL’EDUCAZIONE UMANISTICA Se al centro della cultura medievale c’erano state la Chiesa e le grandi università, la nuova cultura umanistica si crea ambiti educativi diversi e alternativi: spazi privati o semiprivati di scuole che si impongono da sé per il prestigio dei propri maestri e che elaborano propri distintivi curricula di studi. Caratteristica di questi curricula era la necessità di porre alla base dell’educazione dell’individuo gli studia humanitatis (es. Vergerio, Barzizza, Vittorino da Feltre). Si formano le accademie, la più famosa è quella platonica fondata da Marsilio Ficino a Firenze nel 1463. 5. LIBRI E BIBLIOTECHE Tra le istituzioni culturali che l’umanesimo muta in profondità c’è anche la biblioteca e il libro in sé. Nel Quattrocento il libro è ancora in massima parte manoscritto quindi costoso, lento ed elitario. 1455 invenzione della stampa (Gutenberg) → rivoluzione perché il libro diventa economico, democratico. E’ Petrarca che apre la strada alle nuove biblioteche umanistiche dichiarando l’esigenza che fossero pubbliche e che fossero centri di controllo filologico dei testi. Questi principi furono la base delle biblioteche umanistiche; un po’ diverse furono invece le biblioteche signorili delle corti (più lussuose). 6. UNITA’ E POLICENTRISMO DELL’UMANESIMO ITALIANO Tratto fondamentale dell’umanesimo italiano quattrocentesco è la sua geografia culturale policentrica, che è straordinariamente dinamica e relazionale perché parte da un ideale unitario (mobilità degli intellettuali, vitalità e creatività estreme → apertura culturale e intellettuale). Firenze tra umanesimo civile e umanesimo laurenziano 1. I DUE TEMPI DELL’UMANESIMO FIORENTINO Il Quattrocento fiorentino si divide in due momenti storico-letterari successivi: - l’umanesimo civile, caratterizzato da un legame strettissimo tra istituzioni e cultura e che gravita attorno alla figura di Coluccio Salutati. - l’umanesimo laurenziano, caratterizzato da un mecenatismo che tende a chiudere gli intellettuali all’interno del potere, allontanandoli da un impegno attivo nella società; fase introdotta dall’attività di Cristoforo Landino ma indirizzata principalmente da Lorenzo de Medici (il Magnifico) e dal suo mecenatismo di carattere prevalentemente letterario. L’umanesimo vede il ritorno e la rivincita su Aristotele (filosofo per eccellenza del Medioevo) di Platone, introdotto da Gemisto Pletone e che impressionò parecchio Cosimo de Medici tanto da fondare un’accademia platonica Marsilio Ficino permise di riportare in Occidente Platone attraverso la grandiosa operazione di traduzione di tutta la sua opera. Pico della Mirandola, sostenitore dell’eclettismo filosofico e che non volle mai identificarsi con una scuola di pensiero precisa. Girolamo Savonarola, oppositore dichiarato della cultura umanistica e classicheggiante fiorentina, sostenitore di una cultura rigorosamente cristiana e antagonista di Lorenzo de Medici Il Quattrocento fiorentino si presenta attraversato da tensioni culturali molto forti: all’umanesimo infatti, si affianca una cultura popolareggiante caratteristica delle grandi famiglie magnatizie. È una letteratura in volgare, predilige generi umili legati a destinazioni pratiche e immediate → Luigi Pulci, Burchiello. 2. LORENZO IL MAGNIFICO 1449 nasce, mentre i Medici sono al culmine della loro fortuna e del loro mecenatismo, guidati da Cosimo il Vecchio. Apprende latino, greco, poesia, filosofia, musica ma anche la vita mondana. A 21 anni (1469) si trova alla guida del principato dei Medici a Firenze. Figure di riferimento erano Cosimo, propugnatore del nuovo umanesimo greco-latino e la madre, Lucrezia Tornabuoni, rappresentante del gusto popolareggiante e in volgare; come poeta, Lorenzo appartiene al versante materno (Nencia). 1473 Lorenzo cambia registro (De summo bono) e trova nel neoplatonismo di Ficino una rinnovata fede, riallaccia così la cultura medicea a quello che era stato il programma originario di Cosimo. Lorenzo è poeta lirico e sentimentale (Rime e Commento), ridefinisce la fisionomia di una tradizione culturale, letteraria e poetica, e rivendica la nobiltà e la dignità della lingua toscana. 1478 Congiura dei Pazzi → Lorenzo riesce a sfuggire e la sua fama e il sostegno aumentano. Segue la missione napoletana in cui Lorenzo dimostra grande abilità diplomatica e mediatrice negoziando la 2. GIOVANNI PONTANO E IL LATINO UMANISTICO A NAPOLI L’opera di Pontano rappresenta in modo esemplare la vitalità creativa e artistica che il latino conserva ancora nel Quattrocento, come lingua di poesia maneggiata e lavorata in una straordinaria gamma di varietà di generi e di registri espressivi. 1429 nasce a Spoleto 1447 si presenta ad Alfonso d’Aragona e diviene personaggio di spicco presso la corte aragonese dove divenne anche segretario di Stato. Costante dedizione alle lettere, rigogliosa produzione che tocca una vasta gamma di generi poetici (poemi didascalici, raccolte epico-epigrammatiche che testimoniano un uso vivo e tenero del latino umanistico) e prosastici (trattati morali o retorico-grammaticali). 3. L’ARCADIA DI JACOPO SANNAZZARO 1457 nasce e trascorre a Napoli quasi tutta la vita 1481 ha un ruolo attivo presso la corte Aragonese di re Federico d’Aragona (lo segue anche in esilio) L’opera del Sannazzaro testimonia efficacemente la convivenza, nella cultura aragonese, tra umanesimo classico greco-latino e umanesimo volgare. Continua la tradizione filologica quattrocentesca. 1501 Arcadia → prosimetro che si configura come testo archetipo della voga pastorale che segnerà il ‘500. Importanza duplice: consacra la centralità della materia pastorale nella moderna letteratura italiana e assume il toscano letterario (superamento dell’ibridismo linguistico quattrocentesco). Trama sospesa in un tempo indefinito in cui convivono due mondi: uno ideale, bucolico e uno reale, della corte napoletana. Carattere di testo a chiave riscontrabile anche nelle ecloghe di Virgilio. 4. MASUCCIO SALERNITANO, NOVELLIERE ARAGONESE Le sue novelle si rifanno al modello decameroniano ma insistono ossessivamente su temi della infedeltà e lussuria femminile e su quelli anticlericali della corruzione, ignoranza e immoralità della Chiesa. Tono polemico e accusatorio → Novellino presenta un preciso aspetto ideologico e linguistico ed è un esempio insigne di penetrazione dei modelli toscani nel napoletano: l’autore dichiara la sua ammirazione e dipendenza da Boccaccio ma senza rinunciare ad una fortissima coloritura linguistica locale, che da all’opera una forza di rappresentazione realistica. Il Cinquecento: le idee, la cultura, le istituzioni 1. QUESTIONI DI NOMENCLATURA E DI PERIODIZZAZIONE Di norma, quando si parla di Rinascimento ci si riferisce agli aspetti della civiltà quattro-cinquecentesca che più appaiono indebitati con il ritorno all’antico e col recupero e l’imitazione del mondo classico. Ma il quadro culturale del Cinquecento è più complesso e vede diversi aspetti: - cultura classicheggiante e idealizzante - gusto per l’irregolare, l’oscuro, l’irrequieto - il manierismo → categoria principalmente della storia dell’arte, che descrive l’emergere di un carattere soggettivistico e deformante dell’arte tardocinquecentesca contrapposto alle regole classiche. 2. IL PROTAGONISTMO DELLA CORTE Rispetto al Quattrocento, il nuovo secolo vede un accentrarsi ancora più forte delle attività culturali e intellettuali all’interno della corte → 1531 Libro del Cortegiano di Baldesar Castiglione, nel quale emerge la corte come il luogo della conversazione, dello scambio intellettuale di idee. Ci sono anche visioni opposte (Pietro Aretino ad esempio) che vedono la corte come “spedale delle speranze”. In generale si può dire che la corte è un luogo esigente, spietato e duramente competitivo ma è anche l’unico palcoscenico capace di assicurare fama e successo. 3. GLI ALTRI CENTRI DELLA CULTURA Anche se sottoposte al controllo del Principe, le accademie rimangono per tutto il Cinquecento uno spazio relativo di liberà e confronto culturale. Sono organismi tutt’altro che elitari, votati alla divulgazione della cultura, dal carattere non gerarchico bensì di pari dignità tra i partecipanti (es. Accademia degli Intronati). Le università attraversano nel Cinquecento un periodo non brillante perché coltivavano saperi ormai arretrati ed era poste sotto il controllo della Chiesa; ciò provoca un esodo degli studenti stranieri e la conseguente perdita di internazionalità che avevano sempre avuto. Un centro nuovo e propulsivo della cultura cinquecentesca è invece la tipografia; la vera novità sono gli stampatori, editori di mercato sensibilissimi ai gusti del pubblico. 4. LA CONDIZIONE DEGLI INTELLETTUALI All’inizio del Cinquecento la sistemazione cortigiana sembra ancora la più augurabile ma ciò non esclude che il servizio cortigiano può essere difficile e malagevole (si vedano gli sfoghi dell’Aretino o la Satira I di Ariosto). Il valore del lavoro letterario a corte non viene riconosciuto e si assiste nel secolo ad una marcata professionalizzazione del lavoro intellettuale. Dal Concilio di Trento in poi, vengono anche a separarsi in due vie distinte la carriera ‘laica’ da quella ‘ecclesiastica’. 5. LA STAMPA, LA FILOLOGIA, LA CENSURA Nella sua organizzazione culturale il Cinquecento vive una paradossale contraddizione: da una parte il mercato del libro si espande smisuratamente presso ogni classe sociale, dall’altra la chiusura autoritaria della società tardocinquecentesca esige un controllo delle opinioni e delle idee e di conseguenza dei libri. 1559 Indice dei libri proibiti emanato da papa Paolo IV. La censura assunse forme anche più raffinate: non si distruggevano i libri proibiti ma si riscrivevano, riaggiustavano (es. Borghini riscrive il Decameron). Questa operazione è evidentemente agli antipodi rispetto alla filologia umanistica. 6. IN CERCA DI UNA LINGUA NAZIONALE Di fronte ai profondi rivolgimenti politici che sconvolgono la vita italiana del XIV secolo, bisogna comunque ricordare l’arretratezza e il distacco dell’Italia rispetto agli altri stati europei. In questo periodo emerge l’importante questione della lingua: quale italiano si deve usare? È possibile dotarsi di una lingua e una letteratura unitaria? Ci furono diverse proposte ma le più importanti furono 3: 1) a favore di una lingua parlata e cortigiana → Calmeta, Trissino, Castiglione. Considerano la lingua all’interno di un codice di comportamento e perseguono una unità linguistica legato al modello cortigiano. 2) opzione trecentista → Bembo (1525 Prose della volgar lingua). Fa una netta distinzione tra lingua parlata e scritta e si pone come obiettivo quello di assicurare una lingua letteraria fissa e stabile, rifacendoci ai grandi modelli trecentisti: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa. 3) primato della lingua d’uso → toscani (Martelli, Gelli). Contrappongono alla lingua bembesca, puramente letteraria, l’autorità dell’uso, rivendicandone l’esclusiva. 7. L’AMPLIAMENTO DELLA SOCIETA’ LETTERARIA Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento il panorama letterario presenza profonde e significative mutazioni nelle strutture e nelle istituzioni culturali: codificazione del volgare come lingua colta e letteraria, sviluppo della stampa e conseguente allargamento della società letteraria che include adesso altre due categorie sociali: le donne e gli artisti (la promozione dell’artista a ruolo intellettuale di pari dignità coi letterati e l’imposizione delle arti visive come fattore essenziale caratterizzante della civiltà italiana è dovuta a Giorgio Vasari e alle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, che ripercorre la storia dell’arte italiana da Cimabue a Michelangelo). Ludovico Ariosto 1. ALLA SCUOLA DELL’UMANESIMO FERRARESE 1474 Ariosto nasce a Reggio Emilia, primo di dieci figli. A dieci anni si trasfrisce a Ferrara con la famiglia 1494 abbandona gli studi di legge e comincia la propria educazione umanistica con Gregorio da Spoleto 1498 viene assunto come “familiare” di Ercole I. 2. POESIA LATINA E IN VOLGARE In giovinezza Ariosto ha una duplice frequentazione del latino e del volgare: 67 carmi in latino; rime volgari che comprendono canzoni, sonetti e madrigali → varietà di forme metriche e varietà dei temi (amorosi, autobiografici, politici e cronachistici). Le rime ariostesche si pongono a metà strada tra lo splendido municipalismo dei canzonieri settentrionali di corte e il sistematico recupero di Petrarca spinto da Bembo. 3. LE PRIME COMMEDIE IN PROSA: CASSARIA E SUPPOSITI 1503 Ariosto entra al servizio del Cardinale Ippolito d’Este, fratello del duca, e assume gli ordini minori. 1507 prime notizie della composizione del Furioso 1508-1509 debutto sul palcoscenico ducale: Cassaria e Suppositi → commedie che rielaborano temi e situazioni di Plauto e Terenzio ma che presentano novità linguistico-stilistiche: Ariosto trasporta materiali drammaturgici noti in un mezzo espressivo ancora acerbo quale il volgare toscano illustre. 4. AL SERVIZIO DEGLI ESTE: DAL PRIMO ORLANDO FURIOSO ALLE SATIRE Gli anni delle commedie e della composizione del Furioso sono anche anni di intensa attività diplomatica al servizio del duca Alfonso che si serve di Ariosto come mediatore della crisi che oppone il ducato estense al papa Giulio II. 1516 prima edizione dell’Orlando furioso, dedicata a Ippolito d’Este 1517 rottura tra il cardinale e Ariosto, che si rifiuta di seguirlo in Ungheria → Satira I. 5. ARIOSTO MORALE. LE SATIRE Dalla rottura col cardinale, Ariosto trova nella forma della satira il veicolo adatto per esprimere, con autobiografica immediatezza, la propria frustrazione. Aveva in realtà già dimostrato la sua inclinazione per l’osservazione realistica e il commento “morale” e in un certo senso le Satire si possono vedere come la continuazione della prima edizione del Furioso. 1517-1525 anni di composizione delle 7 Satire in cui il poeta offre un ritratto non solo psicologico ma anche storico: le sue contrarietà private rimandano sempre a nodi spinosi della realtà contemporanea. 6. L’ULTIMO FURIOSO E LE ULTIME COMMEDIE 1518 Ariosto torna al servizio cortigiano, alle dipendenze del duca Alfonso e continua la carriera teatrale 1520 Negromante 1521 seconda edizione dell’Orlando furioso 1522 è costretto ad accettare l’incarico di governatore della Garfagnana, dove rimane fino al 1525 e vive un periodo di frustrazione e scontentezza. 1528 tornato a Ferrara sposa Alessandra Benucci e fa un fruttuoso ritorno al teatro 1536 terza edizione dell’Orlando furioso, in 46 canti 1533 muore a Ferrara, prima di poter completare una quarta edizione. 5. DALLA MANDRAGOLA ALLA CLIZIA A partire dal 1515 Machiavelli rientra nella vita fiorentina. 1518 La mandragola → rappresenta lo scarto più decisivo rispetto al modello classicistico ariostesco, procedendo verso una modernità inedita di situazioni e di linguaggio (le fonti si rifanno a Boccaccio). Proietta nel microcosmo di una vicenda privata le ferree regole dell’utile: la verità effettuale dei comportamenti umani. 1525 Clizia → seconda commedia di Machiavelli, non solo volgarizzamento ma radicale rifacimento della Casina di Plauto: trasforma la farsa plautina in un comico ma anche amaro dramma familiare. 6. MACHIAVELLI SCRITTORE DI STORIA Lo scrittore compie riflessioni anche di carattere storiografico: 1521 Arte della guerra → trattato in forma di dialogo che discute il tema delle milizie e constata amaramente l’impossibilità in Italia di una vera riforma della milizia 1532 Istorie fiorentine → storiografia che vuole essere interpretazione di fatti; ciò implica una facoltà di giudizio e un coraggio di compromissione ideologica molto rischiosi (per questo le Istorie si fermano al 1492, senza entrare negli anni più caldi della storia fiorentina). 7. LA FINE DI MACHIAVELLI Machiavelli non riesce mai a ritornare sulla ribalta della grande politica, comincia peraltro a ricevere piccoli incarichi pubblici. 1527 sacco di Roma e tracollo politico del papa → sollevamento antimediceo: viene sbarrata la porta della città ai Medici e di conseguenza anche a Machiavelli, considerato loro simpatizzante. Nello stesso anno muore. Francesco Guicciardini 1. AVVOCATO, AMBASCIATORE, UOMO POLITICO: L’ASCESA PUBBLICA DEL GUICCIARDINI 1483 nasce a Firenze, famiglia sostenitrice dei Medici, forte ambizione politica, studi giuridici 1504 occasione di intraprendere la carriera ecclesiastica, è fortemente tentato ma viene bloccato dal padre 1511 ambasciatore della repubblica presso il re di Spagna → Discorso di Logrogno (lucida analisi della crisi politica fiorentina) e primo nucleo dei Ricordi (la cui composizione lo accompagnerà per tutta la vita). 1515 entra a far parte della signoria dei Medici 1516 diventa governatore di Modena e Reggio 1521 scoppia il conflitto tra Leone X e il re di Francia; Guicciardini commissario generale dell’esercito pontificio → Dialogo del reggimento di Firenze. 2. UNO SCRITTORE ‘CLANDESTINO’ Le opere di Guicciardini sono in massima parte opere segrete, non destinate alla pubblicazione. L’unica scritta per essere divulgata è la Storia d’Italia ma i Ricordi arrivarono alla stampa sono fortunosamente. Il carattere degli scritti guicciardiniani è particolare: alcuni sono opere private, altri sono trattati politici che portano un pensiero in contrasto con le funzioni pubbliche rivestite dall’autore, e per questo non sono pubblicizzate. 3. ANNI DIFFICILI: DAL SACCO DI ROMA ALL’ASSEDIO DI FIRENZE Alla morte di Leone X, Guicciardini viene nominato consigliere di fiducia del pontefice al quale suggerisce di formare un’alleanza con la Francia ed entrare in guerra con l’imperatore 1527 sacco di Roma → tragedia e senso di colpa di Guicciardini per consiglio sbagliato → lascia l’incarico. Vive un periodo di volontario esilio ma dove viene raggiunto lo stesso e condotto a giudizio dai cittadini (ne uscirà assolto) → Consolatoria, Accusatoria e Defensoria. 1528 raccoglie e riordina i Ricordi e scrive le Cose fiorentine 1529 Clemente VII firma con Carlo V il trattato di Barcellona → l’esercito ispano-pontificio attacca Firenze e Guicciardini decide di abbandonarla per andare a Roma 1530 Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli, Ragioni che consigliano la Signoria di Firenze ad accordarsi con Clemente VII e l’ultima redazione dei Ricordi 4. GUICCIARDINI vs MACHIAVELLI Le Considerazioni sono un commento polemico relativo all’opera machiavelliana. Discorsi di Machiavelli → insistono sulla necessità, per i moderni, di guardare la lezione degli antichi Considerazioni di Guicciardini → concezione relativistica della storia, non si possono dare leggi valide una volta e per sempre, applicabili ad ogni stato ed epoca; piuttosto ogni particolare realtà è sottoposta a specifiche regole, che devono essere valutate e considerate a partire dall’esperienza concreta. Tendenza a rifiutare teorie assolute e sistemi ideologici astratti. 5. I RICORDI 1530 redazione definitiva Opera che rappresenta al meglio il tipico procedere asistematico del pensiero guicciardiniano. Analisi risoluta dell’aspetto variante della realtà, sempre diverso a seconda delle circostanze. Frutto della percezione di fine di un’epoca in cui si consuma definitivamente la rottura con la tradizione umanistico- rinascimentale del confronto con l’antico e l’idea positiva di una storia magistra vitae → negazione esplicita dell’esemplarità dell’antico. Forma di pensiero antilibresca e antisistematica che però non si traduce mai in semplice fatalismo. 6. LA FINE DI GUICCIARDINI 1530 rientra a Firenze e castiga i responsabili della caduta della Repubblica; accetta il governo di Bologna ma Paolo III non gli conferma l’incarico quindi torna nuovamente a Firenze → Commentari sulla luogotenenza, che costituiranno il primo nucleo della Storia d’Italia. 1536 prepara il terreno per l’elezione ducale di Cosimo de Medici, il quale però lo mette da parte quindi, disperato, si ritira a vita privata e si dedica alla scrittura di una Storia d’Italia che per la prima volta superi i confini municipali e si estenda all’ambito nazionale. 1540 muore 7. GUICCIARDINI STORICO E LA STORIA D’ITALIA E’ una sorta di testamento biologico che Guicciardini consegna ai posteri. Narra la storia a partire dal 1494, anno della discesa in Italia di Carlo V, fino alla morte di Clemente VII nel 1534. È un monumento di 20 libri scritti con solennità formale e accuratezza stilistica. La Storia d’Italia ha caratteristiche che la allontanano dalla tradizione umanistica: narrazione fondata su un’attenta ricognizione e analisi delle fonti documentarie, ricostruzione dei fatti arricchita da una analisi psicologica dei personaggi. La storia diviene il terreno su cui sondare le capacità degli uomini di confrontarsi con la mutevolezza e l’incostanza del destino. Lezione anche di orgoglio secondo cui l’uomo rimane sovrano del regno dell’intelletto. Concezione umanistica del valore morale della storia: la storia non insegna a vivere ma induce l’uomo ad acquistare coscienza del valore intrinseco della propria esistenza. Classicismo e Anticlassicismo cinquecentesco 1. IL PETRARCHISMO Bembo con gli Asolani e il canzoniere delle Rime traccia la strada della nuova lirica cinquecentesca, caratterizzata da un’imitazione stretta dell’unico modello petrarchesco, che richiede di essere osservato come fenomeno di costume letterario prima che come movimento poetico. Il petrarchismo ebbe il carattere di un fenomeno nazionale, unificante e democratico; fu un fenomeno dell’alta società letteraria e favorì la comunicazione tra i letterati → antologie di rime (imprese collettive). Ma ci furono anche esperienze di canzonieri individuali: veneziani (Cappello, Trifon Gabriele, Giustinian, Gradenigo, Venier, Celio Magno) e napoletani (di Costanzo, Rota, Galeazzo di Tarsia). La svolta vera e propria è quella di Giovanni della Casa che culmina il processo di drammatizzazione del petrarchismo in atto durante tutto il secolo (enjambement, sintassi di grande respiro, temi esistenziali). 2. LA MODELLIZZAZIONE DEI COMPORTAMENTI 1528 Cortigiano di Baldesar Castiglione → la questione della lingua di configura come problema di comportamento; lingua parlata > lingua scritta, propone una soluzione radicata nell’ambiente della corte. Accento posto sull’intenzione idealizzante, discorso complessivo volto alla costruzione di un modello ideale di umanità e moralità. Descrizione delle abilità richieste al perfetto cortigiano, tra cui il coronamento stesso della condizione cioè il servizio amoroso. Rispetto alla totalità degli aspetti dell’opera di Castiglione, la fitta trattatistica successiva tende a specializzarsi applicandosi ad ambiti più circoscritti: Guazzo → guida per la corretta comunicazione sociale. 1558 Galateo di Giovanni della Casa → testo chiave per comprendere le trasformazioni della civiltà del ‘500 Si ritaglia la prospettiva più limitata di una normativa dei comportamenti quotidiani e delle regole della buona società. Della Casa si allontana da pretese filosofiche o morali per muoversi terra terra e insegnare come essere “avvenente e costumato”. Altro ambito è quello dei trattati sull’amore: Asolani del Bembo (bontà intrinseca del sentimento amoroso), Dialoghi dell’amore di Leone Ebreo, Betussi, Sansovino, Varchi, Piccolomini, Speroni, Tullia d’Aragona. 3. L’ARISTOTELISMO E LE POETICHE DEL CINQUECENTO Il Cinquecento maturo vede imporsi nella cultura italiana l’influsso di Aristotele e della sua Poetica, investita del ruolo di dettare leggi e regole della nuova letteratura volgare. L’opera, pur nota già nel ‘400, penetra lentamente nella cultura italiana del Rinascimento, e vede un picco di attenzione (traduzioni e commenti) dagli anni ’50 ai ’70. Importante sottolineare che non è Aristotele ad imporsi come regola e concetto, bensì è la società letteraria del maturo Rinascimento che sente l’esigenza di un orientamento e una guida. Permangono i capisaldi della tradizionale arte poetica oraziana: delectare et docere e soprattutto la riflessione sull’atto poetico come mimesis, come imitazione della realtà: - narrativa = scelta del vero come materia del racconto - teatro = perfetta corrispondenza tra tempo dell’azione scenica e tempo reale - lirica = poeta che imita i sentimenti rappresentati → poesia come mimesi. 4. DISCUSSIONI E SPERIMENTAZIONI SUL ROMANZO EPICO-CAVALLERESCO I fondatori del ‘romanzo’ italiano, Boiardo e Ariosto, non avevano lasciato alcuno scritto di teoria letteraria. Ciò dà vita ad una stagione di accesi dibattiti e anche di sperimentazione creativa. Nel pieno Cinquecento ‘romanzo’ veniva a significare il genere letterario incarnato da Boiardo e Ariosto (poema di argomento cavalleresco, in ottave, trama intrecciata, costruito sul finto presupposto di essere recitato dal cantore e ascoltato da una platea cortigiana); questo modello romanzesco veniva a contrapporsi al modello ‘epico’ di ascendenza classica rappresentato da Omero e Virgilio. Al centro del dibattito sul romanzo è la sua struttura narrativa, il montaggio della trama (favola): la favola intessuta di magie e incanti grazie alla formula del “meraviglioso cristiano”; ambientazione non troppo vicina né troppo lontana per garantire la licenza del fingere; stile sublime. La Gerusalemme liberata mantiene fede al proposito di creare un epos moderno senza distruggere l’eredità del romanzo, ma includendola in un organismo narrativo interamente nuovo. Con la Gerusalemme conquistata questo equilibrio si rompe e ne esce un poema tutto diverso, dettato dai dettami della Controriforma e mirato soprattutto a distruggere la favola della Liberata modellando il nuovo testo sull’esemplare omerico dell’Iliade, in una ricerca di grandiosità classicista e di formale epica. 4. TRAMA DELLA GERUSALEMME LIBERATA La prima crociata è giunta al sesto anno, ma i principali condottieri cristiani, perseguendo ognuno il proprio interesse personale, sono incapaci di condurla al termine. 5. TEMATICHE E IDEOLOGIA DEL POEMA: I TRE LIVELLI DEL CONFLITTO La Gerusalemme liberata presenta la propria trama epica disposta su tre livelli di conflitto, che Goffredo affronterà: 1) coalizione degli infedeli di Palestina ed Egitto → fronte bellico, esterno, terrestre 2) diavolo e forze demoniache → fronte metafisico, cosmico 3) riottosità indisciplinata dei compagni → fronte interno, etico-politico Conflitto storico e conflitto ideologico: Goffredo e le sue truppe incarnano l’utopia di un universo cristiano solidale nelle armi e sottomesso al potere imperialistico della Chiesa. Secondo una interpretazione, i cristiani incarnano il valore dell’uniformità, mentre gli infedeli incarnano il valore della multiformità → frattura interna all’ideologia cavalleresca. Il movimento del racconto nasce dall’errare dei cavalieri, ovvero dalla loro resistenza al moto della Crociata in nome dei valori cavallereschi tradizionali → dialettica che riassorbe all’interno dell’unità epica del poema anche la varietà romanzesca. Ciò che rende la Liberata un poema moderno capostipite della nuova sensibilità è la compenetrazione effimera e irrisolta di due impulsi opposti: l’edificazione di una struttura inedita in cui si alternano e si intrecciano momenti lirici (soggettività dei personaggi) e momenti eroici → bifrontismo spirituale del Tasso. 6. I PERSONAGGI All’interno di un sistema testuale costruito sulle discontinuità emotive, sui conflitti che governano i sentimenti, i personaggi acquistano una consistenza psicologica e sentimentale senza precedenti, sono personaggi a tutto tondo. Nel campo cristiano: - Goffredo di Buglione → simboleggia l’eroismo nel suo aspetto più puro; eroe positivo - Rinaldo → braccio dell’impresa, eroe fatale e progenitore della dinastia estense (vettore encomiastico) - Tancredi → crociato perfetto ma fregato dal “folle amor” per Clorinda che lo paralizza In campo pagano (dentro Gerusalemme sono asserragliati i pagani): - re Aladino → guida la città ma crudele monarca - negromante Ismeno → animatore del soprannaturale di matrice diabolica - Argante → guerriero fortissimo e violento, aggressivo fisicamente - Solimano → re di Nicea spodestato dai cristiani, agisce sotto impulso dell’odio - Clorinda → vergine guerriera i cui turbamenti interiori sfociano nell’incontro finale con Dio - Erminia → vulnerabile principessa di Antiochia, innamorata di Tancredi, introduce il registro lirico - Armida → personaggio femminile più complesso, percorre tutto l’arco sentimentale 7. STILE MAGNIFICO E VARIETA’ TONALE A livello formale, Tasso continua a ispirarsi al principio della varietà nell’unità. Nei Discorsi scrive che l’epica richiede uno stile che all’occorrenza sappia flettersi verso l’abbondanza di ornamenti della lirica o la semplicità della tragedia pur mantenendo uno stile complessivamente alto. Nella Gerusalemme questa teoria si concretizza in modo originale opponendo il registro della guerra santa a quello dei turbamenti interiori. Figure retoriche usate: ossimoro, parallelismo, chiasmo, iperbato. Sintassi: alternanza di frasi lunghe a quelle brevi e nervose + enjambement per creare contrasti ritmici tra le ‘ottave drammatiche’, caratteristica del “parlar disgiunto” che rimane cifra espressiva dello stile di Tasso. 8. DENTRO E FUORI DA SANT’ANNA Il vacillare delle certezze poetiche del Tasso, al tempo della revisione romana del poema, si accompagna via via a sintomi sempre più gravi di instabilità psichica che arrivano a guastare i rapporti col duca Alfonso. 1559 Alfonso rinchiude Tasso all’ospedale di Sant’Anna (durante la prigionia inizia la Gerusalemme liberata) 1586 viene liberato e attraversa un periodo di grande attivismo letterario 1593 riscrive a fondo la Liberata e la pubblica col nuovo titolo di Gerusalemme conquistata. 9. L’ULTIMO TASSO: IL RE TORRISMONDO 1587 esce a stampa la tragedia che aveva iniziato nel 1573 con il titolo di Il re Torrismondo. Nell’opera il Tasso incrocia due tragedie diverse: quella cavalleresca (tragedia tipicamente cortese, in cui si affrontano Amore e Onore) e quella basata sull’incesto. Le due trame tragiche ricorrono all’impiego di fonti letterarie (la storia dell’incesto deriva dall’Edipo re di Sofocle). 1595 muore di malattia.
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