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Il quattrocento e il cinquecento, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto del libro 'civiltà d'arte' vol. 3

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 14/11/2021

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Scarica Il quattrocento e il cinquecento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! STORIA DELL’ARTE Il Quattrocento e il Cinquecento. Alle origini del Rinascimento Il Rinascimento si sviluppa in Italia e in Europa nei secoli XV e XVI, elaborando una nuova visione del mondo, coinvolgendo tutti gli ambiti del sapere, dalla letteratura all'arte e alle scienze. Questo movimento si radica dall'Umanesimo letterario del XIV secolo che aveva promosso una rinascita della cultura attraverso la riscoperta del mondo classico. Il termine rinascita fu introdotto da Giorgio Vasari nel XVI secolo per indicare il superamento del simbolismo bizantino per favorire una visione razionale del rapporto tra uomo e natura. Nel XIX secolo si approfondisce in termini storici il significato di Rinascimento con uno studio pubblicato dallo storico tedesco Jacob Burckhardt, dove opponevano Medioevo e Rinascimento, quindi affermando la discontinuità delle due fasi storiche. Questa interpretazione, sebbene molto discussa, ha introdotto il dibattito critico e storiografico in materia. Viene posta, quindi, un'attenzione alle capacità razionali dell'uomo e al suo rapporto con il mondo sensibile e associando questo rinnovamento del pensiero alla riscoperta della cultura classica. Così il Rinascimento inizia ad indicare la volontà di far rivivere i grandi valori del mondo antico. Vasari distingue tre Età dell’arte italiana a cui fa corrispondere tre diverse maniere (fasi stilistiche): la prima viene introdotta con Cimabue e Giotto nei primi del Quattrocento, ha avviato la pittura al confronto con il vero anche se imperfetta; la seconda, con Masaccio, Donatello, Brunelleschi, arricchisce l'arte indagando sulla natura, anche se non è ancora completamente compiuta; la terza, definita Maniera Moderna, si avvia con Leonardo da Vinci. In questo stile l'arte non raggiunge un perfetto equilibrio tra raffigurazione naturalistica ed espressione interiore dell'artista, anche se lo scopo era quello di avvicinarsi quanto più possibile al vero. Con quest'età coincidono i lavori di Raffaello, Michelangelo e Bramante che rappresentano l'artista eclettico, competente in tutte le discipline tecniche e pieno di conoscenze teoriche giuste per arrivare alla perfezione. Il Rinascimento si trova al centro di un ambiente culturale dato dalla Firenze del Trecento e prese l'avvio con i testi latini di Francesco Petrarca, ai quali seguirono gli studi di testi di letteratura e filosofia greca, rimasti sconosciuti in Occidente durante il Medioevo. I valori Rinascimentali L'Umanesimo nella cultura classica greca e latina, cerca i fondamenti per il recupero dei valori dell'uomo spiritualmente, intellettualmente e materialmente: un uomo, quindi, in grado di comprendere le leggi della natura e di intervenire consapevolmente nella Storia, capace di porre le sue competenze al servizio della collettività. Il quadro storico Dopo le guerre e la peste del 1348, con il Quattrocento si trova in una situazione di relativa stabilità. Dal punto di vista politico esso si mostra in continuità rispetto al secolo precedente: si consolidano le grandi monarchie nazionali (Francia, Inghilterra, Spagna). In Europa centrale sono presenti gli Asburgo al potere, mentre nei Paesi del Nord e nell'area baltica si rafforza il potere economico delle città che controllavano le rotte mercantili. Ad est, l'avanzata ottomana indebolisce pian piano la supremazia imperiale, fino a determinare, nel 1453, la caduta di Costantinopoli e la fine dell’Impero Romano d'Oriente. In Italia, invece, si ha il passaggio dai Comuni alle Signorie. Quella Rinascimentale si ritrova ad essere una civiltà urbana con centri di produzione e scambi che acquisiscono una nuova immagine, grazie ad interventi architettonici ed una nuova idea di decoro urbano. Questi radicali cambiamenti riguardano in maggior parte le corti signorili, mentre la campagna e i cittadini rimangono ancora sotto vincoli sociali e stili di vita medioevali. La nuova committenza e il ruolo dell'artista Pur non essendo una formazione culturale umanistica, anche gli artisti partecipano al rinnovamento: non conoscono la lingua latina, ma presentano competenze tecniche notevoli e nozioni su discipline artistiche. Fungono, soprattutto, da tramite tra l'aristocrazia e società popolare, traducendo le idee letterarie in un linguaggio più immediato e comprensibile. In questo contesto si avvia la rivalutazione del lavoro di bottega e le arti meccaniche vengono elette al pari delle arti liberali, in quanto fondate su precise conoscenze teoriche. La bottega, ora, è quindi non solo il luogo di produzione ma anche della specializzazione della tecnica e di scambio del sapere. Questo segna, nel XV secolo, il mutamento della condizione sociale dell'artista che è sempre più richiesto negli ambienti di corte, dove svolge anche incarichi diplomatici o di rappresentanza verso altri potenti. Nel nuovo gusto, hanno un ruolo fondamentale il ceto medio e l'alta borghesia ossia i protagonisti della rinascita economica dell'Europa. Mercanti e banchieri contribuiscono, infatti, al movimento della cultura e a livello internazionale, lungo le rotte dei commerci. Se la rivoluzione rinascimentale ha come centro Firenze, in pochi decenni i centri di produzione artistica si moltiplicano in tutta Italia: Roma (Papa Pio Il e Sisto IV), Urbino (duca Federico di Montefeltro), Milano (Francesco Sforza e Ludovico il Moro), Mantova (Francesco Il e Federico Il di Gonzaga). | caratteri e i temi dell'arte del Quattrocento | mutamenti in ambito artistico possono essere riassunti in alcuni punti fondamentali: 1. riscoperta dell’arte classica come fonte di conoscenza e riferimento normativo per il linguaggio artistico moderno; 2. ruolo centrale attribuito all'uomo con lo studio dell'anatomia, movimenti dei corpi e del rapporto con lo spazio circostante, così come anche lo studio delle rappresentazioni dei caratteri individuali e delle emozioni (fisico — psicologico); 3. affermazione di un nuovo concetto di bellezza basato sull'applicazione di norme proporzionali armoniche; 4. elaborazione della prospettiva lineare centrica per rappresentare lo spazio; 5. affermazione del principio dell’arte come mimesis ossia come imitazione della natura, considerata modello e fonte di verità dimostrabili. La riscoperta dell'arte classica Secondo gli Umanisti la conclusione dell'Età classica e dei suoi valori erano state determinate dal Cristianesimo e dalle invasioni barbariche, ed i secoli medievali corrispondevano all' Età di mezzo tra quella d'Oro e la sua moderna rinascita. In realtà la cultura antica, in tutte le sue espressioni, rimane durante il Medioevo sebbene in contesti e con contenuti che ne avevano cambiato il significato. Un esempio sono le statue e i sarcofagi presenti nelle città medioevali, integrati come frammenti nelle nuove architetture; inoltre le loro immagini venivano copiate ed utilizzati in contesi differenti, cambiate nella forma e presentate con nuovi significati. Quanto Firenze giunse nelle mani della famiglia de' Medici, anni venti del Quattrocento, Palla affermava il proprio peso in quella che era la gestione delle istituzioni cittadine. Si inserisce qui la scelta di un tema come l'Adorazione dei Magi che univa l'atto di devozione sacra all'ostentazione della ricchezza, e proponeva un'associazione indiretta tra il committente e le figure regali al centro della scena. La struttura dell'opera La pala è tricuspidata ed inserita in una suntuosa cornice. Era d'uso porre nelle cuspidi laterali l'Annunciazione, con al centro Dio Padre. Nella predella sono raffigurate la Natività di Gesù, la Fuga in Egitto e la Presentazione al tempio. Gentile si misura in queste scene con tre diverse ambientazioni: una notturna, un paesaggio aperto e una veduta di città. A seguito dei Magi si presenta un corteo popolato di uomini e animali. Nella figura del giovane alle spalle del Re Mago Baldassarre, rivolto verso lo spettatore, è probabilmente da riconoscere il figlio di Palla Strozzi che viene raffigurato di tre quarti e con un falcone in mano (suo emblema). Oltre la scena principale dell’Adorazione, nella lunetta di sinistra sono rappresentati i tre saggi che avvistano la stella sulla collina della Vittoria; in quella centrale la cavalcata del corteo verso Betlemme; nella terza l'ingresso in città. Dispone il racconto attraverso l'accostamento di tre scene descritte minuziosamente. Non introduce elementi prospettici nel paesaggio, ma dispone le figure per fasce, secondo una soluzione ancora medievale. La cura per le singole cose, il linearismo, gli ornamenti e le specie botaniche tolgono senso di realtà alla rappresentazione. Il naturalismo di Gentile è rivolto alla verosimiglianza del dettaglio e mentre la nuova generazione di artisti studiava la luce naturale delle cose, egli predilige la luminosità astratta dell'oro e dell'argento, resa vibrante attraverso un trattamento delle superfici. Prevale quindi un senso di irrealtà, una dimensione favolistica e sospesa. anello Fu il principale rappresentante del Gotico internazionale in Italia insieme a Gentile. Si è distinto anche come medaglista e la sua arte è stata celebrata dagli umanisti del tempo. L'attenzione per il repertorio classico è uno dei suoi tratti distintivi e proprio dalle monete romane prenderà spunto per le produzioni delle sue medaglie celebrative. Un artista itinerante Collabora alla decorazione della Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale a Venezia; alla morte di Gentile ne eredita la bottega ed i lavori incompiuti. Produce a Padova, alla corte di Ferrara, a Napoli e a Mantova. Ma è a Verona, presso Stefano da Verona, che realizza la prima opera a lui attribuita: la Madonna della quaglia. Pisanello eccelse soprattutto nella tecnica dell'affresco, anche se a noi sono giunte scarse testimonianze. Sempre a Verona dipinse la Partenza di San Giorgio per la Cappella Pellegrini. L'affresco presenta incrostazioni dorate a rilievo nelle bardature dei cavalli e lamine di stagno per le armature. Colori lividi dei riflessi bluastri e argentei ed è del tutto evidente la presenza di dettagli poco fruibili ad una visione diretta, per la collocazione elevata dell'affresco. Il momento scelto è quello che precede la lotta contro il drago, carico di attesa. Forse la scelta si deve alla pressione turca su Costantinopoli. Il ritratto ufficiale Il ritratto era stato poco considerato durante il Trecento poiché la rappresentazione di personaggi reali era limitata ad immagini inserite in contesti sacri o narrativi. All'inizio del Quattrocento, però, trova uno spazio particolare negli ambienti di corte, sotto forma di ritratto ufficiale. Esso attestava il prestigio di chi veniva rappresentato e, di conseguenza, la sua legittimità a rivestire un determinato ruolo sociale. A Ferrara realizza alcune prove che facevano da riferimento per la ritrattistica quattrocentesca: il personaggio viene ritratto di profilo, come nelle monete romane, e l'impossibilità di incrociare lo sguardo dell'osservatore ne sottolinea il distacco aristocratico. L’ALBA DEL RINASCIMENTO A FIRENZE Agli inizi del Quattrocento, Firenze, vive una fase di prosperità economica e stabilità politica, dopo quella che fu la crisi seguita all'epidemia di peste iniziate nel 1348. La città si stava pian piano espandendo, superando, nel 1402, il timore dato dal Ducato di Milano e aveva rafforzato la propria economia conquistando Pisa e Livorno nel 1406 e 1421, garantendosi lo sbocco sul mare. Anche grazie a queste nuove prosperità economiche e sociali, la nuova stagione culturale ha la possibilità di espandersi: di fatti le grandi famiglie di banchieri e mercanti, come i Medici o gli Strozzi, e le Corporazioni svolgono un ruolo primario nella rinascita artistica. Questo proprio perché finanziavano le opere pubbliche, con le quali si misurava la grandezza dei committenti di fronte alla collettività. Le Corporazioni delle Arti e Mestieri erano delle associazioni che univano lavoratori di una stessa categoria professionale. Nascono a Firenze tra il XII e XIII secolo con lo scopo di assicurare lavoro e servire da protettori ai singoli membri e tutelare gli interessi comuni. Esse erano erette da un Consiglio e al loro interno vi erano distinti maestri, apprendisti e garzoni. Avevano, inoltre, il compito di decidere in merito a controversie interne; mentre per affrontare cause tra membri di diverse Corporazioni venne creato il Tribunale di Mercatanzia in Piazza della Signoria. A fine duecento si contavano già sette Arti Maggiori e quattordici Minori. Quando furono costituite le Arti Mediane, i tre gruppi vennero a coincidere con le classi sociali della città. Le prime comprendevano ricchi mercanti, imprenditori, banchieri (Arte dei giudici e dei notai; della Lana; della Seta); le Mediane avevano un ruolo di secondo piano con calzolai, fabbri, maestri; le arti Minori raggruppavano piccoli mercanti ed artigiani come ad esempio fornai e carrozzari. | pittori, inoltre, facevano parte all'Arte dei Medici e gli scultori ed architetti erano compresi nell'Arte dei Maestri di Pietra e Legname, al pari di muratori ed artigiani. Già nel Trecento Firenze era un centro umanistico di rilievo dove si coltivavano i tesi antichi di filosofia, filologia e della retorica. Tra Trecento e Quattrocento l'ordine interno è di continuo minacciato dai contrasti tra la famiglia de' Medici e gli Albizzi, che si contendono il potere. In questo contesto, con l'identità civile della città che sembra andare oltre questi disguidi, nasce la svolta rinascimentale che dichiara la propria autonomia politica anche attraverso la produzione antica. Di fatti l'arte nuova è ora un'alternativa al Gotico Internazionale e gli contrappone i princìpi classici di misura e chiarezza razionale. Solo all'inizio del XV secolo Firenze si confronta con lo stile europeo festoso e celebrativo. Questa apertura coincide con gli anni di produzione di Brunelleschi, Donatello e Masaccio. Nel Quattrocento Firenze ebbe un importante rinnovamento urbanistico, anche se limitato alla costruzione di edifici monumentali separati. Maggiore interprete fu Filippo Brunelleschi che per primo provò a modificare la città sia sul piano funzionale che quello estetico. Tra i lavori troviamo quelli della Cupola di Santa Maria del Fiore; Portico degli Innocenti; Palazzo Rucellai, Medici, Strozzi e la Basilica di Santo Spirito. La seconda Porta del Battistero di San Giovanni Nel 1401 l'Arte di Calimala (corporazione dei commercianti di lana) bandì un concorso per realizzare la Porta Norda del Battistero di San Giovanni. Essa era responsabile, fin dalla metà del XII secolo della cura del battistero. Ai rappresentanti fu chiesto di realizzare una formella in bronzo dorato rappresentante il Sacrificio di Isacco, da completare entro un anno. Queste, inoltre, dovevano mantenere le stesse caratteristiche di quelle di Andrea Pisano che realizzò la Porta Sud. A concorrere troviamo Brunelleschi e Ghiberti che risultò vincitore. Egli dimostra una scioltezza espressiva e competenza tecnica: fonde la formella in un unico blocco, esclusa la figura di Isacco andando, quindi, ad ottenere un'unità tra figure e sfondo. Con il bronzo lavorato realizza morbide variazioni di superfici così da ottenere passaggi chiaroscurali ed effetti pittorici. La scena è divisa da un profilo roccioso, tuttavia, attenuato da Ghiberti che lo digrada verso il fondo con un affetto atmosferico. Il tutto presenta una serena eleganza e ogni parte ha un suo posto. Infatti le figure si adattano alla cornice e si modellano in essa. Sembrano inoltre ignare del dramma di cui sono protagoniste. Abramo è atteggiato con eleganza e Isacco ha un'espressione trasognata. Ghiberti, quindi, sembra utilizzare il soggetto per dichiarare una certezza di fede a cui l'uomo non può che affidarsi. Dimostra, inoltre, capacità di unire elementi gotici (eleganza dei panneggi, linea del corpo di Abramo) con la nascente sensibilità classica (nudo di Isacco, decorazione a girali dell'altare del sacrificio). Brunelleschi, invece, divide la rappresentazione in due parti distinte: in primo piano, si trovano i servitori che sembrano estranei alla scena, ma che riportano allo Spinaro (opera del Il secolo). Arretrati e su un piano più elevato ci sono i personaggi principali, rappresentati con gesti rapidi e decisi con netti stacchi di luce ed ombra. Il nodo centra rappresenta lo scontro tra le tensioni di Isacco che si dimena e l'angelo che ferma la mano di Abramo. Questo comunica una sensazione di ‘prima’ e ‘dopo’. Brunelleschi sceglie, quindi, la frammentarietà ma è capace di portare lo sguardo verso il fulcro dell'azione. Egli storicizza il racconto sacro, affermando il ruolo dell'uomo nello sviluppo degli eventi. AI contrario di Ghiberti, Brunelleschi riprende il classico senza mediazioni facendo in modo che il suo naturalismo indichi una nuova visione del mondo. Opera per sintesi, contrasti e scontri di forze. Diversamente dal suo avversario, lavora i blocchi separatamente, andando poi ad applicarli sulla lastra. L'impianto usato inaugura una tipologia che sarà ampiamente utilizzata nel Rinascimento. L'intero progetto è basato sul rapporto tra forme quadrate e circolari, a cui corrispondono quelle parallelepipede dell'esterno, concluse con un tamburo sul quale si posa il tetto conico con la lanterna. Il risultato è la precisa definizione dello spazio per piani e dunque la misurabilità allo sguardo, mostrando allo stesso tempo la coerenza tra la struttura portante e il sistema geometrico modulare. La Basilica di San Lorenzo Nell'affidare la ristrutturazione a Brunelleschi, Giovanni di Bicci si incontra con gli interessi sperimentali dell'architetto. Lo schema di riferimento è quello dello Spedale degli Innocenti, ribaltato simmetricamente all'asse longitudinale. Lo spazio unitario è metricamente definito: il presbiterio e le navate sono raccordati senza discontinuità grazie alle cappelle che circondano il transetto con pianta quadrata. Le colonne a fusto liscio, i capitelli corinzi, il soffitto piano e i motivi del pavimento che disegnano a terra il modulo-campata vanno a sottolineare gli elementi dell'antichità classica. Brunelleschi ripropone l'ordine completo della trabeazione di cui mantiene il segmento al di sopra del capitello: si ottiene un elemento cubico che verrà poi definito il dado brunelleschiano. La Cappella de' Pazzi | dubbi che si presentano verso quest'opera di architettura riguardano i tempi di produzione e la paternità del progetto che, generalmente, è accreditata a Brunelleschi. La cappella rappresenta un passaggio nella sperimentazione della nuova maniera architettonica ed il suo modo di adattarsi in contesti diversi. L'edificio riprende l'impianto della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, sia nelle scelte compositive che stilistiche, materiali annessi. La pianta, però, invece di essere quadrata è rettangolare: presente è un vano cubico centrale, sormontato da una cupola ombrelliforme che lo dilata trasversalmente con due moduli con al disopra delle volte a botte. La cappella si apre sul portico d'accesso realizzato dopo la morte di Brunelleschi. La sperimentazione sulle nuove tipologie di culto Le ricerche di Brunelleschi si basano sulla pianta centrale che su quella longitudinale: con la prima progetta la chiesa di Santa Maria Degli Angeli, che rappresenta la prima chiesa a pianta centrale del Rinascimento. Quella che viene chiamata la Rotonda del Brunelleschi (Rotonda di Santa Maria degli Angeli) consiste in un vano ottagonale con cupola, circondato con cappelle comunicanti tra loro che all'esterno compongono un volume a sedici facce. L'idea di perfezione della geometria deve associarsi a forme stabili, con norme in grado di guidare la percezione individuale. Con il progetto per Santo Spirito, Brunelleschi reinterpreta l'impianto basilicale a croce latina. Concepisce uno spazio chiaro, sviluppando una corrispondenza fra gli assi che culminano in uno spazio centrico, generato dall'incontro della navata centrale e transetto. Nel capocroce, infatti, convergono tre bracci delle stesse dimensioni e di valore spaziale in modo da superare la discontinuità ed avere una piena integrazione tra modello longitudinale e centrale. Cappelle semicircolari si aprono ininterrotte lungo le pareti interni della Basilica e le navate laterali si estendono lungo il perimetro del transetto. Ne deriva uno spazio dinamico e mutevole. Donatello Figlio di un cardatore di lana e definito da Vasari ‘pieno di meravigliose doti' che lo porteranno ad emergere come una delle personalità più innovative a Firenze, fino a divenire punto di riferimento per le successive generazioni di scultori. Egli ha fatto propri i valori e le novità della cultura umanistica, si spinge a superare le sue stesse premesse teoriche nell'approcciarsi ad esiti antinaturalistici e anticlassici. Nel suo lungo percorso artistico, molto importante è il realismo dettato nel voler mettere al centro l'uomo e le qualità che lo avvicinano al divino, insieme ai suoi drammi, imperfezioni e paure. Donatello si interessa alla produzione etrusca e romana dell'Età repubblicana e lo si ritrova nel suo sintetismo. Sperimenta diversi materiali, applicandoci mezzi grafico-pittorici come la prospettiva. Lavora, quindi, il marmo, bronzo, argilla, legno e lo stucco policromo. Nel suo processo artistico, per Donatello, è importante la sua amicizia con Brunelleschi: insieme compiono un viaggio a Roma, tra il 1402 e il 1404 per studiare la cultura classica, che diviene punto di riferimento per comprenderne i processi creativi. Tuttavia si esprimono in maniera differente, tanto da rappresentare le due ‘anime’ complementari dell'Umanesimo figurativo. Questo aspetto emerge mettendo a confronto la Crocifissione. Le due sculture sono entrambe in legno e della stessa grandezza. Brunelleschi concepisce un'immagine di perfezione matematica: il Cristo ha forme che manifestano la sua moralità incorruttibile. Donatello, invece, elimina questa idealizzazione ed esaspera la componente drammatica, rappresentando una figura deformata dalla sofferenza: un Cristo fattosi uomo, che ne condivide la condizione. L'opera manifesta il legame di Donatello con le tecniche tradizionali dell'intaglio del legno e del loro uso. Di fatti il corpo poteva essere staccato dalla croce ed essere usato, nella Settimana Santa, con le braccia abbassate per rappresentare la deposizione e la sepoltura. Il confronto con Nanni di Banco Dopo il viaggio romano, Donatello opera a Firenze alle dipendenze di Ghiberti tra il 1404 ed il 1407, per i lavori di rifinitura di Porta Nord ed in modo autonomo, dal 1406, in Santa Maria del Fiore e in Orsanmichele. Qui si misurano gli esponenti della tradizione tardogotica e quelli delle tensioni sperimentali di giovani scultori che reinterpretavano il naturalismo della tradizione trecentesca. Precoce esponente è Nanni di Banco il cui percorso si intreccia con quello di Donatello fino alla precoce morte. Anche egli si era formato a Santa Maria del Fiore lavorando alla Porta Nord e realizzando per l'Opera del Duomo il San Luca. Le sue opere dimostrano precocità alla scultura rispetto altre arti e si riconosce in esse la voglia di avere una rappresentazione dello spazio derivata dal rapporto tra pieni e vuoti e dalla solidità delle forme. Questo si evidenza nel gruppo scolpito per la Chiesa di Orsanmichele: i Quattro Santi Coronati, protettori della Corporazione di Maestri di Pietra e Legname, committenti dell'opera. Lungo il perimetro interno della nicchia, le figure sfruttano la profondità dello spazio in cui si trovano e sono legate dall'intensità di sguardi. Gli abiti all'antica e la solennità del chiaroscuro esprimono gli ideali civili della cultura fiorentina. I santi comunicano con fierezza e Masaccio ne prenderà spunto per la Cappella Brancacci dieci anni dopo. Negli stessi anni Donatello avvia la sua ricerca sui modelli del passato che si intrecciano con la rappresentazione dell'uomo nel quotidiano. Nella statua di San Marco si vede come l'autore preferisce lo studio dell'umanità del personaggio, fatta anche di dubbio e sofferenza. Questa concezione è espressa nelle cinque Statue di profeti, eseguite tra il 1415 e il 1436, per le nicchie dei lati Nord ed Est del Campanile di Giotto. Le figure, avvolte in panneggi pesanti, si mostra l'interpretazione dell'uomo eroico e drammatico, sintesi di forma classica e realismo espressivo. San Giorgio Viene commissionata nel 1417 dall’Arte degli Sparai e dei Carrozzai, per essere collocata entro una nicchia della parete esterna della Chiesa di Orsanmichele. Rappresenta l'affermazione delle idee rinascimentali nell'arte figurativa. La figura è concepita con forme geometriche pure: l'ovale del volto ripreso dalla curva delle spalle, il triangolo del busto che si ritrova nella posizione divaricata delle gambe e dello scudo che è anche asse portante della composizione. Esso è collocato nello spazio con fermezza, fissato a terra con una base triangolare: quindi, luomo domina lo spazio e ne diventa riferimento e misura. San Giorgio non è rappresentato nel momento della lotta o nella fierezza della vittoria, ma in un momento di intensa concentrazione. Fissa un punto lontano arrivando ad avere un contatto con lo spazio circostante; rappresenta l'uomo nuovo che fa riferimento alle sue capacità intellettuali per cambiare il corso degli eventi. In questo senso va inteso il classicismo di Donatello: formale nella stabilità e nella sintesi della forma e di tipo concettuale. Nel basamento di San Giorgio, Donatello, scolpisce a rilievo il combattimento con il drago riprendendo il modello dei sarcofagi antichi ed introduce la tecnica dello stiacciato: applica la prospettiva lineare ad un unico punto di fuga e asseconda l'illusione della costruzione geometrica con il digradare del rilievo. L'intera scena si risolve in pochi millimetri di profondità. Donatello non utilizza la prospettiva solo per razionalizzare lo spazio, ma per individuare anche il fulcro dell'azione immediatamente. Nel rilievo è anche riconoscibile la metafora della contrapposizione tra le barbarie e l'intelletto, espressa nell'opposizione simbolica tra la caverna del drago ed il porticato classico, rispettivamente a sinistra e a destra. Banchetto di Erode | lavori per il fonte battesimale del Duomo di Siena si avviano nel 1417 da Ghiberti. La decorazione consisteva in sei formelle di bronzo affidate allo stesso Ghiberti, a Jacopo della Quercia e a Turino di Sano. Donatello subentra nel 1423 realizzando il Banchetto di Erode. La scena mostra il tragico epilogo del banchetto, dove viene mostrata la testa di San Giovanni Battista, ucciso per volontà di Erodiade. Donatello anche qui applica la prospettiva: l'intelaiatura geometrica viene individuata dalle linee del pavimento, che consentono la collocazione dei personaggi dello spazio, e le travi lignee sporgenti in primo piano sono le linee di fuga. Le regole della prospettiva sono piegate al fine di prendere l'azione e il suo sviluppo nel tempo: consentono di rappresentare una sequenza temporale come per esempio nella figura del servitore che viene ripetuta due volte. La scena si svolge sullo sfondo di un doppio ordine di arcate che riprendono l'architettura romana, come i volti di profilo riprendono quelli incisi sulle monete. L'opera è lavorata a stiacciato: tecnica che consiste nel modellare la superficie a rilievo bassissimo ed in questo modo i differenti passaggi chiaroscurali producono mobilità. Verso il primo piano la linea diventa più marcata, gli incavi del bronzo sono più profondi e aumentano improvvisamente ciò che si sporge in fuori. La superfice mostra anche la pluridirezionalità della luce che quasi contraddice la razionalità della prospettiva. AI centro, lo spazio vuoto potenzia la concitazione dei personaggi bloccandoli all'apice del dramma. Masac La sua vicenda artistica è breve quanto intensa. Di famiglia borghese, sceglie di seguire il lavoro del nonno che decorava cassoni, prima di giungere a Firenze nel 1417. Qui si emancipa velocemente dagli insegnamenti di bottega e sviluppa un linguaggio intenso che si rivela il principale spunto di rinnovamento della pittura della prima metà del secolo. La sua personalità matura nel mentre studia la prospettiva di Brunelleschi e la sintesi di Donatello tra realismo e classicismo. Ma della tradizione fiorentina riconosce soprattutto la grandezza di Giotto ed il plasticismo delle sue immagini con la capacità di dare ai personaggi un'identità psicologica e morale. Non a caso rappresenta l'uomo fisicamente definito attraverso lo studio dal vero dei corpi con volumi modellati da luci ed ombre, uomo che mostra sentimenti e forza interiore, in dialogo con la natura ed il sacro. L'attività di Masaccio si concentra tra il 1422 ed il 1428, anno in cui muore a Roma. Le opere a lui attribuite sono solamente otto, di cui la metà eseguite con Masolino. Le opere di esordio L'opera di esordio è il Trittico di San Giovenale nella Chiesa di San Pietro. Vi sono presenti la plasticità delle figure rese con verità psicologia e la costruzione prospettica delle diverse parti collegate tra loro da un unico punto di fuga esterno. Ciò che è testimonianza la distanza tra Masaccio e i suoi contemporanei è la tavola che raffigura la Madonna col Bambino e Sant'Anna Metterza, realizzato in collaborazione con Masolino. Tra i due pittori vi è una diversità nel modo di concepire la realtà fisica delle cose rappresentate, il loro rapporto con lo spazio e, quindi, la relazione tra l'uomo e il mondo naturale. A Masaccio sono attribuite le figure della Madonna e del Bambino, oltre all'angelo; a Masolino la figura di Sant'Anna e gli altri angeli. Le figure principali presentano una qualità plastica e una nitidezza spaziale. Maria è perno del quadro e a lei fanno riferimento le altre figure, così come a lei convergono le linee compositive. Il suo ampio mantello ci dà una sensazione di pesantezza, ma si modella sulle ginocchia configurando una base cubica. Il gruppo è strutturato in una forma piramidale e dà l'impressione di occupare uno spazio reale, con la luce che modella i valori chiaroscurali. Il bambino è posto di scorcio, mentre le braccia che lo reggono individuano un piano inclinato. La volontà sperimentale di Masaccio è evidente nel trattamento anatomico di Gesù nel quale si ritrovano le forme infantili. Colpisce la fermezza morale delle figure. Il volto ha lo sguardo assorto, perso in lontananza. Il Polittico del Carmine di Pisa Nel 1426 Masaccio è a Pisa per dipingere il polittico commissionatogli dal notaio Giuliano di Colino degli Scarsi. Il tipo risponde ad un'esigenza simbolica tipica della figurazione medievale bizantina. | personaggi sacri si mostrano al fedele, separati da comici che configurano l'immagine della cattedrale, intesa come una città celeste. La persistenza del polittico con i suoi elementi convenzionale ad esso collegati, deriva da un'esigenza del committente. Tuttavia questi caratteri sono annullati concettualmente da un impianto unitario, garantito dalla prospettiva e dalla luce, che proviene da un'unica fonte. Così, anche l'oro che ricopre gli sfondi diviene superfice luminosa che esalta le figure, quasi sbalzate attraverso un modellato realistico e vigoroso. La Crocifissione rappresenta un passaggio importantissimo tra convenzioni gotiche e modi rinascimentali. La composizione è basata su quattro figure. La Maddalena, di spalle e con le braccia sollevate, funge da elemento di raccordo. La luce irrompe dall'esterno nitidamente direzionata e dunque produce la percezione di uno spazio reale. Essa inonda i corpi e ne sottolinea l'intensità drammatica. Il colore varia sui toni del rosso e del blu su un fondo oro e svolge una funzione espressiva, come dimostra la chioma di Maddalena, innaturalmente gialla, le cui ciocche sciolte risaltano sul manto scarlatto. L'evento sacro giunge ad un alto livello di umanizzazione: il dolore di Maria e di Giovanni assume una connotazione quasi fisica attraverso i loro corpi contratti, staccati dal fondo oro. Il realismo di Masaccio ha il culmine nella figura di Cristo, bella testa incassata sulle spalle, come di un corpo che cede al proprio peso; allo stesso tempo imposta la figura secondo uno scorcio dal basso, quindi dal punto di vista dell'osservatore. Anche nel soggetto sacro, Masaccio, pone al centro l'uomo e lo intende come soggetto di una Storia vissuta con profondo spirito di ricerca. Interessante è anche l'Adorazione dei Magi, nello scomparto centrale della predella. Le figure rudi, lontane dalle opere tardogotiche, hanno faticato ad essere accettate dagli Umanisti, che si rivolgeranno ad un élite culturale e da questa ricevevano riconoscimento. La tavola ha uno sviluppo orizzontale che asseconda l'andamento lineare del corteo. Lo spazio dell'ambientazione è ridotto ed occupato dal paesaggio montuoso, che Masaccio non rinuncia a rappresentare la profondità delle montagne verso l'orizzonte. Tutti i personaggi sono abbigliati con semplicità ed eleganza, ma si pone l'attenzione a due figure maschili avvolte nel lucco (manto fiorentino) con copricapi alla moda del tempo: borghesi che porgono il proprio omaggio al Messia. Cappella Brancacci Fu voluta nella seconda metà del Trecento da Pietro Brancacci, gli affreschi vennero commissionati nel 1423 dal nipote Felice. | lavori iniziarono nel 1424 e furono affidati a Masolino da Panicale e a Masaccio. Il progetto prevedeva la decorazione della volta e delle tre pareti, organizzate in due registri, con storie riguardanti San Pietro. L'anno successivo Masolino lascia Firenze e nel 1428 arriva a Roma, dove Masaccio lo raggiunge lasciando il ciclo incompiuto. Nel 34 Cosimo de' Medici torna dall'esilio e Brancacci fu cacciato dalla città e la sua immagine cancellata, al punto che alcune figure della cappella furono cancellati. Nel 1460 con la Crocifissione di San Pietro, affrescata nella parete di fondo, venne distrutta e sostituita con la tavola duecentesca della Madonna del Popolo. | lavori furono finiti da Filippino Lippi, nel 1481. Interessante è osservare l'organizzazione del lavoro da parte dei due artisti, che nonostante fossero consapevoli delle loro diversità stilistiche, si suddividono il lavoro alternando le parti in modo da equilibrare il modo di esprimersi e le loro tecniche. L'idea complessiva di unità è data dall'intelaiatura delle scene entro un doppio loggiato con pilastri corinzi, che ha la funzione di individuare un piano di riferimento per lo sviluppo del racconto. In alcune parti il paesaggio continua al di là della cesura architettonica, uniformando scene diverse con toni chiari di colore. A sua volta, ciascuna scena ha un impianto spaziale pensato in funzione di uno spettatore al centro della cappella. Il tributo Nella scena del Tributo Masaccio narra un passo del vangelo di Matteo in tre momenti, sebbene non rispetti la struttura narrativa sequenziale tipica della pittura medievale, questo per privilegiare l'unità della composizione. AI centro, Gesù indica a Pietro il lago dove troverà la moneta per pagare il pedaggio d'entrata nella città di Cafarnao. Cristo è il fulcro e centro prospettico, dalla sua figura si origina un andamento centrifugo che viene evidenziato dalla disposizione a semicerchio del gruppo. Questa direzionalità è sottolineata anche dal braccio destro di Cristo e da quello di Pietro che sono sollevati ad indicare il lago. In profondità, invece, lo schema è ribadito dalla disposizione degli alberi. Il gabelliere, di spalle in primo piano, è il riferimento spaziale per lo spettatore. Masaccio, al paesaggio, applica regole prospettiche che ritroviamo anche nella forma delle nuvole. E la sua essenzialità sottolinea la solennità delle figure. L'evento sacro viene spostato nel presente, non a caso si trova nel margine dell'affresco per lasciare posto, al centro, al gioco di sguardi e di gesti. La tentazione e la Cacciata di Adamo ed Eva Gli affreschi della Cappella Brancacci ruotano attorno alla figura di Pietro, santo patrono del primo committente, e sviluppano il tema della predicazione apostolica dopo la Caduta originaria. Il registro superiore è introdotto dalle due scene che raffigurano la Tentazione di Adamo e Eva, affresco di Masolino, e la Cacciata dall’Eden di Masaccio. | progenitori di Masolino non compiono un'azione: essi alludono solamente all'evento narrato. Il messaggio lo passa la conoscenza della storia sacra. Adamo ed Eva hanno peccato ma non esprimono nessuna emozione, sono figure aggraziate. Domina il naturalismo convenzionale dove la nudità viene ingentilita da forme morbide e controllate. Il chiaroscuro non riesce a dare valore plastico ai corpi, che sembrano emanare essi stessi una luce tenue. Anche lo spazio è astratto, non c'è distinzione tra piano orizzontale e piano verticale. Non esiste una distanza misurabile all'occhio, dato che le figure e l'albero del Bene e del Male sono posti sullo stesso piano. L'albero si allontana dalla minuziosità tardogotica e propone l'immagine della donna- serpente: un nuovo motivo simbolico arcaico. Anche Masaccio garantisce la riconoscibilità del soggetto come la figura dell'arcangelo Raffaele con la spada sguainata, la porta dell'Eden e la nudità dei progenitori. Tuttavia ne modifica il valore della comunicazione. Adamo ed Eva sono esseri consapevoli delle loro azioni, della loro fragilità. Lasciano l'Eden da soli, l'angelo indica loro la strada ma non li spinge come accade nell'iconografia più diffusa, di fatti la sua spada non serve ed è solo segno di ira divina. | progenitori lasciano l'Eden senza voltarsi indietro nella desolazione, dove Masaccio concentra il dramma originario dell'umanità. Le mani di Adamo sono portate sul volto, a dispetto della convenzione, e lasciano scoperta la nudità. Eva, invece, è forse memoria della Venere pudica, ma nuova è la tensione drammatica del volto. La Trinità L'affresco è posto sulla parete sinistra della chiesa di Santa Maria Novella e va analizzato sotto due aspetti: costruzione architettonica e prospettica, da un lato, riflessione sul rapporto uomo-Dio, dall'altro. Dentro una ‘finta’ cappella è posta la figura di Cristo in croce, sorretto da Dio Padre ed affiancato da Maria e Giovanni. All'esterno, invece, troviamo inginocchiati i committenti; ad oggi identificati in Berto di Bartolomeo. La cappella è introdotta da un arco a tutto sesto che poggia su colonne ioniche, e l'insieme è inquadrato da una struttura architettonica architravata con paraste corinzie, scanalate e rudentate. Si ritrovano nell'architettura dipinta i motivi fondamentali del nuovo linguaggio di Brunelleschi come l'arco sostenuto da colonne a fusto liscio e inquadrato da una struttura trabeata di un diverso ordine architettonico: le scanalature delle paraste di numero sei e i clipei nei pennacchi. L'influenza di Brunelleschi è stata riconosciuta anche nella volta a botte scorciata in prospettiva. Le figure sono poste secondo il modello del Trono di Grazia di Maestro Campionese; ma rispetto alla tradizione Masaccio elimina la gerarchia simbolica. La Trinità è un'opera che presenta un impianto prospettico inciso nell'intonaco, esso è stato calcolato in rapporto ad uno spettatore distante di nove metri, quindi da un punto di vista reale. L'effetto è quello di uno scorcio dal basso ed il punto di fuga è posto al di sotto della nicchia e la linea di orizzonte coincide con il piano dove sono inginocchiati i committenti. Questo determina un Jacopo della Quercia Originario di Siena, rappresenta l'anello di congiunzione tra la cultura della sua città, ancora ferma al tardogotico, e i nuovi orientamenti che andavano a maturare a Firenze. L'artista sviluppa un linguaggio attento alle sperimentazioni più avanzate, operando a Ferrara, Verona, Venezia, Lucca, Bologna e in Lombardia. Il monumento funebre di Ilaria del Carretto Intorno al 1406, il Signore di Lucca Paolo Guinigi, commissionò a della Quercia il Monumento funebre di Ilaria del Carretto, destinato alla sepoltura della seconda moglie morta di parto a ventisei anni. La tomba accoglie influenze borgognone e lo si vede nello stile severo. Sappiamo che Guinigi era un estimatore dell'arte borgognona e fiamminga e nell'opera di della Quercia questi elementi vengono sottolineati nel costume e nella stessa tipologia di tomba, isolata e non addossata alla parete come era in uso in Italia. Il sarcofago è chiuso da una lastra monolitica in marmo dove è scolpita l'immagine di Ilaria, composta con un abito che presenta un ricco panneggio ma privo di ornamenti. Lungo i fianchi sono scolpiti dieci putti alati che reggono festoni di frutta, segni che derivano dai sarcofagi antichi. La donna ha un volto soave e una fiabesca eleganza, incorniciato da ciocche di capelli raccolte in nastri. Eppure è avvolta da un realismo che fatto supporre l'uso di una maschera funebre per la resa dei tratti. La Fonte Gaia e i rilievi di San Petronio Alla fine del 1408 il governo senese incarica della Quercia di realizzare Fonte Gaia in Piazza del Campo, per sostituzione ad una fontana trecentesca. Doveva essere lunga ventotto piedi e larga otto, con sculture in rilievo o a tutto tondo, decorazioni a fogliami, cornici, pilastri e gradini. L'opera presenta un intento civile e politico, con soggetti veterotestamentari, mitologici e allegorici legati al Buongoverno (comunità per il bene comune). La fontana presenta una forma rettangolare con parapetto a U in marmo, che richiama il sedile delle antiche magistrature senesi. Sul parapetto sono scolpite due Storie della Genesi, figure di Angeli e della Vergine come personificazioni della Virtù. Sui pilastri esterni si innalzano le figure di Rea Silvia (Carità) e Acca Larentia, (Liberalità) madre nutrice di Romolo e Remo. Le figure sono esempi coraggiosi di nudi femminili esposti in uno spazio pubblico. La seconda, in particolare, manifesta una sensualità molto vicina alla Venere profana. Inoltre vi convivono i due caratteri principali dello stile dell'artista: l'hanchement (ancheggiamento) gotico, risolto in equilibrio con l'inclinazione della testa, il naturalismo del volto derivato dalla statuaria classica. Si rivela anche una nuova intuizione sul rapporto tra figura e spazio: di fatti la donna con i due bimbi sono disposti secondo un andamento a spirale. Dal 14285 fino alla sua morte, lo scultore opera nel cantiere di San Petronio a Bologna, dove realizza un ciclo di bassorilievi su pietra d'Istria, aventi le Storie della Genesi e della Giovinezza di Cristo. Masolino Masolino da Panicale introduce nell'ambito della figurazione gotica, le novità prospettiche ed un pacato naturalismo. Viaggiò in diverse città dell'Italia centrale e settentrionale divenendo una figura importante per il linguaggio moderno e la sua diffusione, dove si è legati ancora Gotico, come la Lombardia. Nel 1423, risulta iscritto all'Arte dei Medici e degli Speziali e a questa data risalgono anche le sue prime opere certe. La cosiddetta Madonna dell’Umiltà, invece, è collocata dalla critica in un peridio appena antecedente per i contorni fluenti, i colori eterei ed il rilievo lineare dei panneggi. La sua tendenza alla stilizzazione e la luminosità dei toni cromatici, favoriscono l'associazione all'arte di Lorenzo Monaco. L'incontro con Masaccio Determina l'evoluzione dello stile di Masolino, che culmina con la decorazione della Cappella Brancacci. Questo incontro si traduce con un accordo tra eleganza di Masolino e realismo di Masaccio. Questo bilanciamento determina gli affreschi della Cappella un'opera fondamentale per comprendere il terzo decennio del Quattrocento a Firenze. Gli affreschi di Castiglione Olona Branda Castiglioni commissiona a Masolino l'incarico più prestigioso della sia carriera. Il cardinale, infatti, aveva riprogettato il proprio borgo natale, Castiglione Olona, facendone un centro di diffusione della cultura umanistica in Lombardia. Branda unì maestranze lombarde con l'architettura e decorazione scultorea, e artisti toscani per gli interventi pittorici. Nel Battistero, Masolino, distribuisce gli episodi della Storia di San Giovanni Battista dove è libero di eseguire la sua modernità, senza censure. Esaspera alcune soluzioni prospettiche, per passare a colori chiarissimi e smaltati. Le prospettive del Battistero hanno un valore illusionistico ed ornamentale. Alcuni particolare denotano una memoria degli insegnamenti di Masaccio come nel Battesimo di Cristo. In particolare il giovane di spalle è caratterizzato da un chiaroscuro marcato. Beato Angelico Di Beato Angelico sappiamo che intorno al 1418, già conosciuto come pittore, prende i voti nel convento domenicano di Fiesole con il nome di fra' Giovanni. Qui inizia la sua vita monastica e crea una scuola di miniatura all'interno del convento, alla quale si affianca la produzione di polittici e pale d'altare, realizzati anche per committenze esterne. L'incontro tra l'estetica medievale e il naturalismo di Masaccio Allo Stile Internazionale della Firenze del Quattrocento, si deve aggiungere il ruolo dottrinale attribuito all'artista e alla sua opera. In questo contesto la pittura, nonostante fosse considerata un'arte minore, poteva svolgere il compito di divulgare la dottrina dell'Ordine così come facevano i frati dopo lo studio delle Sacre Scritture. Non va inoltre dimenticato il rapporto del pittore con i rappresentanti della cultura umanistica. Angelico unisce elementi dell'estetica medievale, cui si rifà il ruolo didattico dell'arte ed il valore simbolico della luce; con elementi rinascimentali ai quali si legano la prospettiva ed il naturalismo. Nel Tabernacolo dei Linaiuoli il manto forma una struttura piramidale e le sue pieghe sono composte in modo da farci intuire le ginocchia al di sotto della veste. | Santi, inoltre, hanno una veridicità che li accomuna agli esempi della Cappella Brancacci. Una nuova concezione della luce Nel terzo decennio del Quattrocento, Angelico introduce la poetica della luce. L'opera è individuata nell’ Annunciazione, dove la luce accompagna l'annuncio dell'angelo e viene considerata ‘divina’ e si manifesta sotto forma di raggio dorato. La luce simbolica dell'estetica medievale, si trasforma in luce naturale, capace di donare volume alle superfici in base alla loro posizione. La sua intensità è data dalla maggiore o minore brillantezza dei colori che esprimono il grado di sacralità che viene rappresentato. La Deposizione per la Cappella Strozzi La pala con la Deposizione era stata commissionata nel 1423 da Palla Strozzi a Lorenzo Monaco. Nel 1424, alla morte di Monaco, il lavoro passa nelle mani di Beato Angelico. Il tema della deposizione di Cristo dalla croce viene trasmesso con rigore compositivo che sembra attenuare l'evento drammatico. Le figure si dispongono in uno spazio piramidale che concorre alla costruzione della prospettiva. La luce, proveniente da sinistra, viene applicata razionalmente ed i colori sono lucenti e contrastati e l’Angelico padroneggia con sicurezza gli elementi gotici. Il gruppo di uomini a destra rappresenta i personaggi del tempo, me che confermano il legame tra la cultura umana e arti figurative. Le opere romane Gli anni Trenta del Quattrocento, Cosimo de' Medici annovera il nuovo progetto del Convento di San Marco di Michelozzo e affrescato da Angelico tra il 1438 e il 1447. Nel 1446 l'Angelico si trasferisce a Roma, sotto commissione di Papa Eugenio IV, per realizzare gli affreschi dell'abside nella Basilica di San Pietro e una cappella con Storie di Cristo. Gli affreschi vennero distrutti all'inizio del XVI secolo con la ricostruzione della Basilica voluta da Giulio II. Nel Convento medievale di San Marco ad Angelico interessò sia le parti comuni sia le celle dei monaci. Michelozzo nell'architettura applica un principio modulari con spazi razionali ed essenziali. Tutte le funzioni, liturgiche, abitative, collettive e di servizio, sono organizzate con chiarezza attorno ai chiostri di San Domenico e di Sant'Antonia. La biblioteca posta al primo piano è sviluppata in lunghezza, divisa in tre navate con esili colonne ioniche. Quella centrale, più alta, è sormontata da una volta a botte, le altre due da volte a vela. La pietra serena delle colonne e degli archi risaltano sull'intonaco bianco e pone un limite visivo attraverso le sottili cornici che si sviluppano per tutta la lunghezza. A partire dal 1438 Beato Angeli realizza il ciclo di cinquanta affreschi disposti nella Sala Capitolare, nel Chiostro e nel Refettorio, ora perduti, in spazi comuni del piano superiore e nelle quarantaquattro celle nei monaci. A questo si aggiunge anche la pala dell'altare maggiore della chiesa o Pala di San Marco. Gli interventi pittorici seguono un preciso programma dottrinale, così la pala d'altare è festosa e solenne, mentre nelle celle dei monaci gli affreschi si fanno spogli, essenziali. Le celle sono destinate ai novizi, ai conversi e ai chierici ed i soggetti dei dipinti al loro interno passano dalle prescrizioni sulle forme nelle celle dei novizi, al racconto sacro dei conversi, fino alla dimensione più spirituale e contemplativa nelle celle dei chierici. Costante è la presenza di un frate domenicano che mostra i modi da osservare nella preghiera e meditazione. Nell' Annunciazione si vedono le figure dell'Arcangelo Gabriele e della Vergine in un porticato. L'architettura è del tutto spoglia e la luce configura uno spazio grande e silenzioso a seconda degli andamenti delle figure, come per esempio le curve morbide delle volte. Nell'affresco del Cristo deriso, la Vergine e San Domenico danno le spalle alla scena principale che assume valore simbolico di meditazione. La composizione è molto semplice, l'ambientazione è Il frate carmelitano Filippo Lippi crebbe nel Convento del Carmine dove poté assistere alla decorazione della Cappella Brancacci, importante per l'artista che divenne, insieme ad Angelico, uno dei principali esponenti della diffusione del nuovo linguaggio. Viaggiò molto e dai pittori veneri apprese una particolare sensibilità verso il colore. Gli si riconosce, anche, il merito di aver appreso le nuove tendenze naturalistiche, come testimoniamo la Madonna Trivulzio e la Madonna di Corneto Tarquinia: due opere dove si riconoscono elementi masacceschi per l'uso della luce e la solidità delle figure. Più maturo, Lippi, lascia uno spazio sempre più grande per i caratteri derivati da Angelico e dalla pittura fiamminga, come il naturalismo dolce, i colori, il dinamismo che mantiene le figure delicate. Questo carattere viene reso attraverso la mobilità della luce e la cura per le ambientazioni, ma anche da un particolare uso della linea. Questa consente di delimitare i contorni, di modellare i panneggi in maniera morbida e di costruire volumi dando forma alle figure. Tra il 1452 e il 1466 Lippi esegue le Storie di Santo Stefano e di San Giovanni Battista. Gli affreschi sono costruiti su grandi impianti prospettici e si vede come anche nei soggetti sacri l'artista si mostra partecipe della cultura classica della Firenze medicea. Non a caso sarà riconosciuto come uno degli interpreti del nuovo gusto e Lorenzo il Magnifico gli darà sepoltura in Cattedrale. Andrea del Castagno Non si conosce molto la formazione di questo artista, ma si presume che provenga stando a contatto con Filippo Lippi e Paolo Uccello. Dal punto di vista stilistico ed espressivo però, ritroviamo elementi appartenenti a Masaccio e Donatello: del primo la solidità plastica delle figure e del secondo per la componente espressiva. Tra le opere rimaste troviamo gli affreschi della Cappella di San Tarasio, nella Chiesa di San Zaccaria a Venezia, datati 1442. Qui si evidenzia già lo stile di Andrea del Castagno, lontano da quello veneziano ma anche dalla nuova corrente fiorentina: le figure sono costruite con una linea asciutta, con tratti accentuati ed acquisiscono una qualità scultorea. La prospettiva lineare diviene strumento per dare importanza all'uomo, vero riferimento fisico e concettuale dello spazio dipinto. Viene considerato l'unico erede di Masaccio, ma il suo realismo è più netto e crudo, il suo segno più aspro e manifesta un'esigenza comunicativa che non troverà mai molto spazio. Il Chiostro di Sant'Apollonia Nel 1444 del Castagno risulta iscritto all'Arte dei Medici e dei Speziali di Firenze e l'anno successivo inizia la decorazione del refettorio del convento di Sant'Apollonia, che lo impegnerà per cinque anni. Quattro scene sono dipinte: la Resurrezione, la Crocifissione, la Deposizione di Cristo (in alto) e l'Ultima Cena (nella parte inferiore). In quest'ultima troviamo i tredici apostoli disposti lungo il tavolo, tranne Giuda che si trova dall'altra parte e lo spazio sembra un'illusione che simula la prosecuzione dello spazio reale. Le figure sembrano immobili, sono raffigurate in modo netto, grazie alla linea incisiva dei contorni e alla luce proveniente dalla finestra. La testa di Giuda è più grande di quella di Cristo, superando ogni convenzione medievale. Il ciclo degli Uomini Illustri Negli stessi anni, del Castagno realizza la serie di Uomini Illustri per Filippo Carducci, tema caro ai fiorentini poiché celebrazione delle glorie cittadine. Gli affreschi componevano un grandioso effetto d'insieme: una serie di figure erano raffigurate entro nicchie in sequenza ed illusionisticamente scavate nelle pareti tra finti pilastri. Qui la pittura sembra pienamente plastica, con il realismo espressivo che si combina con l'approccio geometrico-astratto con forme percorse da linee decise e incavate da profonde zone d'ombra. Paolo Uccello Fu un'artista affascinato dalla geometria e dotato di grande libertà immaginativa, caratterizzando il suo intero percorso sullo studio della prospettiva e delle sue possibili varianti. Nonostante partecipi ai lavori della Porta Nord del Battistero di San Giovanni, non è ancora pronto ad accettare i nuovi studi ed il nuovo andamento artistico fiorentino, come dimostrano alcune opere giovanili: due scende con Storie della Genesi. Nella Creazione degli animali e Creazione di Adamo, presenta soluzioni tipiche gotiche che si uniscono ad elementi del primo Umanesimo. L'ordine astratto della Prospettiva Tra il 1425 e il 1430, Uccello soggiorna a Venezia, impegnato nei mosaici per la Basilica di San Marco, ed una volta tornato a Firenze rimane meravigliato dagli studi sulla prospettiva, al punto di dedicarsi ai suoi studi con rigore, considerato eccessivo da Vasari. Nei suoi dipinti il mondo reale viene posto all’interno di un universo matematico, e il mondo figurativo che ne sovviene esclude l'emozione e la mutevolezza delle cose, portandolo a risultati vicini alla cultura tardogotica. Si dimostra questo in San Giorgio e il drago, opera a soggetto cavalleresco nel 1460, dove uno schema spaziale, a cui vengono sottoposti anche gli elementi della natura, presenta una scena della letteratura cortese in modo surreale. Negli anni trenta del Quattrocento Paolo Uccello opera il Monumento equestre a Giovanni Acuto o la prosecuzione delle Storie della Genesi. La lunetta con il Diluvio Universale contiene due episodi insieme: il Diluvio e la Recessione delle Acque. Questi sono rappresentati su diverse costruzioni prospettiche, in un'unica ambientazione. Su una linea di orizzonte elevata sono posti due punti di fuga incrociati, che danno origine a un effetto spaziale drammatico: ogni cosa sembra risucchiata dal vortice generato dall'impianto geometrico. L'artista si rifà alla ‘perspectiva naturalis' ossia trasgredisce le regole della prospettiva geometrica per ottenere per via intuitiva gli effetti che i volti impassibili degli uomini non possono esprimete. La scienza prospettiva si rivela, quindi, puro esercizio intellettuale. Battaglia di San Romano Paolo Uccello dipinse tre tavole i momenti salienti della Battaglia di San Romano. | senesi, alleati con Milano erano guidati da Bernardino della Ciarda; mentre Niccolò da Tolentino era a testa delle truppe fiorentine che vinsero. Giunte agli Uffizi, alla fine del XVIII secolo, le tre tavole furono separate e fu lasciata a Firenze la tavola centrale, unica firmata, raffigurante il Disarcionamento di Bernardino della Ciarda. Gli altri episodi invece furono spostati nella National Gallery e al Louvre. Le fasi della battaglia si svolgono in un'atmosfera crepuscolare, sottolineate da toni scuri. Molte sono le figure presenti che spaziano tra armigeri, lance contro il cielo, scudi, animali e piante. | colori sono quasi irreali e si alternano in simmetrie. Le corazze dei cavalieri appaiono come esercizi di geometria applicati alla figura in movimento. Nel Disarcimento cavalli rosa-arancio si alternano a quelli bianchi o grigio-azzurri con forme così solide che sembrano inverosimili. Le lance assecondano i fiorentini che vengono da sinistra, in uno schema a ventaglio che termina con il cavaliere che sferra la lancia contro il comandante senese bloccando l'immagine. Una lancia bianca sta per trafiggere un soldato e i cavalli per terra sembrano dei manichini. Tutto si muove ma tutto sembra immobile, il fascino di questa caratteristica fa perdere la memoria dell'episodio narrato. L'atmosfera surreale viene accentuata dall'uso della foglia d'argento, applicata su armi e carrozze, usando quindi l'uso del colore per la resa di luce su superfici metalliche. LA RIFLESSIONE SULL’ARCHITETTURA E SULLA CITTA’ Nel corso del Quattrocento l'arte dell'architettura si presta al servizio della committenza borghese e signorile che commissionano, principalmente, palazzi privati. Molte città e centri signorili sono interessanti dai progetti a scala urbana anche se sono pochi i casi realmente realizzati: infatti, sono spesso volontà di un singolo Signore che non sempre trova spazio nella politica del proprio successore. Di fronte all'esigenza di adeguare i centri urbani, Brunelleschi e Leon Battista Alberti si interrogano sul rapporto tra ‘città moderna' e testimonianze del passato, affermando, in seguito, la priorità del progetto architettonico, poiché piccoli interventi sono sufficienti per introdurre il nuovo ‘ordine visivo'. In particolare, l'antico e il nuovo possono unirsi attraverso la veduta prospettica. In alcuni casi, il disegno della facciata sintetizza la relazione tra architettura e spazio urbano; edi pittori fanno propria questa concezione. Nelle vedute con citazioni classiche, inquadrano parti della città medievale cercando di armonizzarle. A Firenze si tenta di riequilibrare il nucleo medievale con la creazione di edifici rappresentativi sul piano funzionale ed estetico (es. Cupola). Espressione del nuovo ordine sono le prospettive rettilinee delle vie, la regolarità delle pizze, l'allineamento dei palazzi. Solo nel Cinquecento tali esperienze interessano un numero elevato di centri, espandendo il nuovo ordine. Ma, sempre nel Cinquecento, l'interesse teorico si volta verso gli schemi astratti di città, guardando al disegno di modelli urbani utopistici e agli impianti per la funzione di difesa. In questo caso gli architetti disegnano schemi a forma di stella, radiale e poligonale; la piazza diviene una piazza d'armi, la campagna rimane deserta ed improduttiva, le strade sono create per il percorso delle truppe e le mura sono un luogo negato alla popolazione. Leon Battista Alberti: la teoria della città La cultura umanistica immagina, quindi, la città come un'istituzione ordinata e razionale. Nel De re aedificatoria, Alberti, fissa le regole per la progettazione architettonica e sottolinea il necessario rapporto tra l'architettura, città e organizzazione sociale: lo spazio urbano è l'espressione concreta e visibile della società, attraverso la rappresentazione dei luoghi di potere e istituzioni collettive. Quindi il progetto urbanistico va elaborato partendo dalle tipologie edilizie così che l'insieme determini il carattere della città stessa. Emerge, inoltre, l'esigenza di coordinare i diversi spazi tra loro. Le ‘città ideali' di Francesco di Giorgio Martini Francesco di Giorgio Martini lavora dal 1447 al Palazzo di Montefeltro a Urbino. Egli sperimenta nuovi tipi e tecniche di costruzioni militari. Progetta singolari fortezze dallo schema antropomorfo, cui attribuisce significati simbolici. Le Rocche di Sassocorvaro, San Leo, Mondavio sono caratterizzate da una forma compatta anche se molto articolata, eppure i loro impianti sembrano astratti e fuori dal tempo. Egli documenta i propri studi con numerosi disegno, rispondendo all'esigenza di descrizioni con illustrazioni delle nuove teorie e dei loro possibili risultati. Lo stesso Leonardo da Vinci ne trarrà beneficio. Nel Libro III, Francesco di Giorgio affronta il tema della forma delle città: le sue hanno tutte un impianto radiale, arricchito da tracciati a scacchiera. Alla fortificazione delle città dedica, invece, il Libro V, dove sono le mura poligonali a suggerire lo schema radiale. Egli definisce, inoltre, le tipologie edilizie, religiose e civili. Ma così facendo contribuisce a mettere in crisi il modello classico: dal momento in cui si vuole realizzare il modello vitruviano con modelli specifici, si tradisce il valore ‘mitico’ della cultura umanistica. Dunque le nuove città si formano rispetto alle proporzioni della figura umana, dove la piazza deve essere posta al centro della città, come l'ombelico dell'uomo. Facciata di Santa Maria Novella | lavori di rivestimento della facciata della chiesa domenicana furono interrotti nel 1635, all'ordine di arcatelle. Nel 1456, Giovanni Rucellai, affida il completamento ad Alberti che la concluse nel 1470. Le decorazioni bicromie in marmo verde e bianco individuano un ritmo continuo di tipo gotico, lontano dai principi di Alberti. Utilizzano un motivo romanico e fiorentino delle tarsìe marmoree, Alberti adotta una logica compositiva classica ed applica un sistema di moduli e sottomoduli riferiti al quadrato. Importante è la fascia orizzontale intermedia che divide la parte sottostante con la parte superiore, e che funge da cerniera tra vecchio e nuovo. Nella parte inferiore egli interviene con pochi elementi per razionalizzare il disegno con la parte nuova: le semicolonne in serpentino verde poste agli angoli esterni e ad inquadrare il portale incorniciato da un arco a tutto sesto; la trabeazione classichegiante, i pilastri angolari a fasce bicromie. Nella parte superiore della facciata emerge un tema caro ad Alberti: la rivisitazione delle forme del tempio pagano. Sull'architrave è posta l'iscrizione dedicata al finanziatore e la data di completamento. | progetti per i Gonzaga a Mantova Alberti giunge a Mantova per la prima volta nel 1459, dove grazie a lui la struttura urbana del centro storico ha una svolta, attraverso l'inserimento di nuovi segni monumentali. Le Chiese di San Sebastiano e Sant'Andrea mostrano la nuova strada sperimentale intrapresa da Alberti, nella quale l'antico è un riferimento per la rielaborazione di originali. San Sebastiano, la riflessione sulla pianta centrale San Sebastiano è la chiesa privata dei Gonzaga, posta al di fuori dal centro. Essa rappresenta il prototipo di chiesa rinascimentale a croce greca, motivo di riflessioni progettuali per generazioni successive di architetti. Preceduta da un atrio, presenta un'aula quadrata su cui si aprono tre vani absidati. Questi, esaltano l'impianto centrico dello spazio principale, sovrastato da una volta a crociera. La chiesa è disposta su due livelli, di cui quello inferiore è seminterrato. Anche se successivamente viene modificata, appare come una libera interpretazione del modello del tempio classico. Alberti applica: le cinque aperture archivoltate e architravate, le colonne del prònao sostituite da lesene poco aggettanti concluse da un capitello semplice e l'architrave e timpano spezzati e sormontati da un arco siriaco. La Chiesa di Sant'Andrea La chiesa ha un ruolo rappresentativo per la famiglia ducale, essa ospita le venerate reliquie del Sangue di Cristo e nel 1470 è stata posta sotto la direzione spirituale del cardinale Francesco Gonzaga. Alberti ruota l'ingresso verso la strada principale che conduce al Palazzo Ducale. L'architetto muore nel 1472, appena conclusa la demolizione della chiesa conventuale, del complesso gotico restano solo il campanile e un lato del chiostro. Il nuovo edificio presenta uno schema a croce latina: una navata unica è affiancata da cappelle rettangolari e conclusa da un breve transetto, in corrispondenza del quale si innalza la cupola. Le cappelle sono introdotte da ampi archi a tutta altezza o portali architravi, creando un ritmo tra superfici piane e zone d’ombra. L'insieme comunica la solennità dell'architettura imperiale e richiami i grandi spazi voltati delle terme. In facciata, Alberti confronta lo schema del tempio con quello dell'arco di trionfo. Il prònao rappresenta uno spazio di filtro tra esterno e spazio basilicale e anticipa alcuni motivi presenti all'interno. Un arco sovrapposto al frontone di coronamento esalta il motivo principale della facciata, ma svolge anche la funzione di illuminare l'interno. Le città rinnovate: Bernardo Rossellino e il rinnovamento di Pienza Papa Pio Il decise di dotare il suo borgo natìo per un nuovo centro rappresentativo, da utilizzare come sede estiva per la corte papale. Egli affidò i lavori nel 1459 a Bernardo Rossellino che concentra l'intervento nella zona centrale, dove si trovano sedi di potere civile e religioso: lungo la strada apre Piazza Pio II, sulla quale si accia il nuovo Duomo, Palazzo Piccolomini e il Palazzo Comunale. Dietro a questo un'altra piazza per il mercato. L'unità caratterizza l'insieme: i palazzi hanno un disegno omogeneo, tanto che il modulo presente sulle facciate si ripresenta sul selciato mediante un tracciato geometrico in marmo. La piazza è regolare e a forma di trapezio. Rossellino sceglie di divaricare i fronti dei palazzi verso la chiesa e per effetto della prospettiva i due fronti diventano paralleli, risaltando la chiesa stessa. L'intervento sviluppa anche il tema del rapporto tra natura e spazio abitato. Vista dalla piazza la chiesa appare isolata nella luce e sullo stesso spazio si apre Palazzo Piccolomini. Affacciato sul giardino attraverso una loggia su tre piani è magistralmente raccordato con il paesaggio che lo circonda. Un progetto unitario come quello di Pienza richiede il lavoro di una sola mente ordinatrice ed è pertanto difficilmente trasferibile in contesti più complessi. In Italia, esperienze analoghe le si trova solo ad Urbino e Ferrara. Urbino: la scala urbana di un palazzo Urbino è oggetto di un'importante ristrutturazione urbanistica, all'altezza del prestigio raggiunto dal Duca nel panorama politico italiano. Questa trasformazione ha come fulcro il Palazzo Ducale: intorno alla metà del secolo il Duca aveva fatto realizzare un palazzetto a tre piani ad opera di maestri fiorentini. Così egli afferma il proprio potere e ne consegna i lavori a Luciano Laurana, cui succederà nel 1477 Francesco di Giorgio Martini. | due edifici erano posti su quote diverse e orientati in modo incoerente. L'architetto affronta l'irregolarità attraverso un raccordo tra diversi volumi, articolati attorno il cortile d’onore. Laurana risolve la differenza di misura variando di poco l'intercolumnio degli archi e restituendo all'insieme proporzioni armoniche. Vi si accordano il rosso del mattone ed il bianco del travertino: colonne corinzie sorreggono archi a tutto sesto e a queste corrispondono, al piano superiore, lesene e finestre architravate. L'intero perimetro è percorso da cornici marciapiano dove sono scandite le lodi al Duca in lettere romane. Soluzione originale è quella della parasta d'angolo, con colonne addossare che fermano e stabilizzano la rotondità del palazzo. L'Addizione Erculea di Ferrara Nell'estate del 1492 si inaugurano i cantieri per l'ampliamento della città di Ferrara verso nord- ovest, detto Addizione Erculea, dal nome del Duca Ercole | d'Este. La nuova operazione era determinata da una triplice esigenza: demografica, militare ed economica. L'intervento, affidato a Biagio Rossetti, prevedeva l'estensione della città mediante due assi tra loro trasversali: l'intervento è progettato a partire dalla città medievale e collegato al tessuto storico preesistente, mentre l'antico Castello estense diviene fulcro visivo e funzionale della nuova Ferrara. Alle spalle del castello la Giovecca correva da est a ovest, tracciando il confine tra l'aggiomerato medievale e la nuova area urbana. La soluzione fa propria la veduta prospettica ed i punti di riferimento sono i palazzi privati, signorili o di rappresentanza. I grandi progetti per Napoli, capitale aragonese Conquistata Napoli, i regnanti aragonesi promuovono un ambizioso progetto di ridefinizione urbana. Alfonso d'Aragona, propone un progetto di risistemazione urbanistica a partire da Castel Nuovo. Nonostante i residui gotici, Alfonso promuove soluzioni architettoniche. Ma tocca al nipote Alfonso Il promuovere una ristrutturazione della città. Egli intende definire il tracciato a partire dall'esistente, in cui è ancora ben riconoscibile il reticolato romano. Con questa logica la città si sarebbe estesa verso occidente, sul prolungamento dei tre antichi decumami. L'intervento a Napoli è dunque valorizzato dal riferimento dell'antichità classica e per la prima volta, sorgono intorno alla città numerose ville. La nuova Napoli era basata sull'idea di Alberti di ‘ammodernare la città contemporanea a partire dal tracciato romano. La sconfitta di Alfonso II, da Carlo VIII, impedirà la realizzazione del progetto. IL RINASCIMENTO A URBINO Il ducato di Urbino, nella seconda metà del Quattrocento, vive una delle stagioni più ricce del Rinascimento Italiano, che coincide con la salita al potere di Federico da Montefeltro, 1444. La morte in una congiura del fratellastro lo portò al governo di Urbino, che si trasformò in uno dei più prestigiosi centri di cultura umanistica. Federico unì la sua competenza militare ad una politica di alleanze, combatté per Ferdinando d'Aragona e per Papa Sisto IV, che gli garantiva un potere territoriale. Ma il duca, al tempo stesso, con la consulenza di Vespasiano da Bisticci, realizzò una delle più prestigiose biblioteche d'Italia. La Pace di Lodi, nel 1454, pone fine al decennale conîlitto tra Venezia e Milano e garantì alla penisola una fase di stabilità politica, così da poter promuovere arti e lettere. Nel Rinascimento, Federico orienta gli studi degli intellettuali all'ambito matematico e gli artisti alla sperimentazione prospettica. A partire dagli anni Settante, inoltre, si interessa alla pittura fiamminga. La sua corte diventa un ambienta cosmopolita, caratterizzato da un connubio tra realismo nordico e razionalità matematica. Alla morte di Federico, la stagione rinascimentale si esaurì e Urbino ritornò ad una dimensione provinciale. Piero della Francesca Ha avuto il merito di portare a compimento le premesse dell'arte fiorentina del primo quattrocento e di diffonderne le principali conquiste teoriche. Ha unito solidamente la sua opera pittorica a quella trattatista e allo studio di discipline care agli umanisti. Nonostante tutto il suo linguaggio espressivo ha mantenuto un carattere di piena autonomia e ha costituito un anello di congiunzione tra la cultura prospettica e una rinascita fiamminga, attenta ai fenomeni luministici e all'indagine analitica della realtà. Profondamente legato alla sua città natale, Alta Valle del Tevere, le rese omaggio con dipinti come il Battesimo di Cristo o la Resurrezione di Cristo e realizzò per committenze locali opere come il Polittico della Misericordia. La formazione e l'eredità di Firenze Il primo documento riconoscibile dell'artista lo attesta nel 1439 accanto a Domenico Veneziano, impegnato nell'esecuzione degli affreschi, nella chiesa di Sant'Egidio. A Firenze, si confronta con Masaccio, Beato Angelico e Paolo Uccello e ha modo di conoscere la pittura postgiottesca con Maso di Banco e, forse, quella di Pisanello. Da Veneziano, inoltre, acquisisce l'attenzione per la luce chiara e i colori tesi che creano atmosfere ansiogene e nitide. La Pala di Montefeltro raffigura sei figure di Santi e quattro angeli in uno spazio architettonico centrico, con al centro la Vergine con il bimbo addormentato. L'architettura si presenta protagonista tanto quanto le figure grazie la formazione a semicerchio che ne rafforza l'andamento circolare. Nell'opera domina la luce a cui si rivolge particolare attenzione anche nei riflessi, come nella corazza del Duca nella quale si riflette la finestra. L'opera ha significato religioso e ufficiale: votiva verso Federico, inginocchiato alla sinistra di Maria, le rende omaggio per la vittoria su Volterra. Allo stesso tempo ha un valore privato, riferito alla nascita del figlio e alla morte della moglie, cui allude lo spazio vuoto alla destra di Maria, indicato anche da San Giovanni, nel mentre San Gerolamo si percuote il petto con un sasso in atto di penitenza. IL QUATTROCENTO FIAMMINGO Nel 1358 le Fiandre vengono annesse al Ducato di Borgogna che diviene uno Stato di primaria importanza nella politica europea. | territori verranno ancora ampliati da Filippo il Buono, che prende il potere nel 1419. Il Duca sposta la corte da Digione a Bruxelles, favorendo la fioritura di altre città fiamminghe che sono poli di crescita per la società. Tuttavia, la corte resta il nodo del potere e il principale centro di promozione artistica: in particolare l'arte fiammingo-borgognona raggiunge un prestigio elevato che domina sui modelli francesi e influenza il Rinascimento italiano. Lo spostamento della capitale del Ducato da Digione a Bruxelles ha come conseguenza il potenziamento economico e commerciale e un cambiamento di interessi in ambito artistico: ora il nuovo orientamento privilegia la pittura. La pittura nelle Fiandre L'attenzione per il mondo fisico è certamente connessa al ceto mercantile, abituato a gestire il denaro e le cose materiali. Ed è questa nuova borghesia la principale committente di opere d'arte. Si tratta di uno sviluppo parallelo a quello italiano, sebbene le due regioni presentassero caratteri diversi: in Italia la rappresentazione del mondo fisico è razionale, per i fiamminghi vi è un'attenzione al dettaglio descrittiva e la loro prospettiva lascia uno spazio più ampio alla rappresentazione, mantenendo un approccio empirico. Quello dei pittori fiamminghi è un mondo composto di elementi distinti e separati, inseriti dentro ad uno spazio non razionalizzato. In questo mondo anche l'uomo svolge un ruolo importante; l'artista esalta la ricchezza del creato. La qualità pittorica e il livello di verosimiglianza vanno messi in relazione anche alla diffusione della tecnica ad olio soprattutto con Jan Van Eyck. Lo spazio e la luce La distanza tra la cultura figurativa italiana e quella fiamminga può essere capita bene con la diversa concezione dello spazio. Nell'arte rinascimentale italiana domina l'approccio armonico-matematico, il voler rappresentare ogni cosa mediante la prospettiva, mentre nell'arte fiamminga si procede per singoli elementi nonostante la prospettiva. Questo permetti di allungare lo spazio reale nell'immagine, ma allo stesso tempo consente l'inserirsi di tanti dettagli, visti come con una lente di ingrandimento. Viene definita una visione analitica opposta alla visione sintetica dei fiorentini. L'elemento ante è la luce che costruisce le figure, attraversa lo spazio e ne seziona innumerevoli particolari. Il virtuosismo con cui le cose sono rese vive nella loro qualità tattile raggiunge livelli insuperati nelle superfici trasparenti o specchianti, nei giochi d'ombre e di riflessi. Nel Ritratto dei coniugi Arnolfini, di Jan van Eyck affida allo specchio convesso sulla parete più di un significato. Esso dimostra che al centro della ricerca vi è la sperimentazione illusionistica (interno raddoppiato), ma prende anche una funzione ‘ufficiale’: sulla superficie riflettente si scorciano due figure, i testimoni del rito, e lo stesso pittore che si firma attraverso la scritta ‘Jan van Eyck è stato qui’. Jan van Eyck Si formò probabilmente come miniatore imparando la cura del dettaglio e l'uso vibrante del colore. In lui emerge un'attenzione particolare per la resa della ‘verità' spaziale come confermano l'uso della prospettiva e della luce come elemento unificante. Attraverso il chiaroscuro egli mostra già di saper collocare oggetti e soggetti nell'ambiente. Egli ricerca l'equilibrio dell'insieme e una coerenza tra spazio e forme contenuteci. Si ha quindi un'analisi minuta. La prima opera datata e firmata è il Polittico dell’Agnello Mistico del 1432, composto da dodici tavole, di cui le otto laterali dipinte su ante richiudibili. Dall'esterno all'interno vi sono la Redenzione, storicizzata con l'Annunciazione e all'interno domina la visione del Paradiso con Dio sul trono e accanto Maria e San Giovanni. Poi vi è l'Adorazione dell’Agnello Mistico da parte di santi e beati. Essa è ambientata in uno spazio aperto che prosegue lungo tutto il paesaggio luminoso interrotto nelle tavole inferiori. Le figure di Adamo ed Eva fungono da collegamento tra parte esterna e interna; ogni elemento richiede attenzioni particolari per notare dettagli impossibili da vedere con un solo sguardo. La luce crea sporgenze e cavità di effetto illusionistico e attraverso il chiaroscuro si rivelano la qualità materica degli oggetti. Roger van der Weyden Acquisisce dal maestro Robert Campin il senso del volume e la componente intensamente umana. Predilige gli uomini ai paesaggi e a loro affida il compito di esprimere un intenso sentimento religioso. | suoi viaggi in Italia influenzano le sue opere successive al 1450 con l'attenuazione della tensione drammatica e la maggiore abilità del rappresentare lo spazio. Nella Deposizione della Croce, precedente al viaggio, possiamo notare l'uso di una linea precisa e colori intensi con luce fredda e tagliente. | corpi danno origine ad un ritmo spezzato su curve, con Maria svenuta e il corpo di Gesù. Rogier sembra mettere in scena una sacra rappresentazione dove le figure hanno dimensioni quasi uguali e hanno valore plastico, accentuato dal fondo oro. Dato lo spazio ridotto devono addossarsi tutti in prima fila, facendo osservare diverse espressioni e stati emotivi. Il ritratto fiammingo nel Quattrocento A partire dal XV secolo il ritratto diviene genere autonomo e inizia a diffondersi sia nei ceti più agiati che nella borghesia, diventando quindi privato. Con i pittori fiamminghi in Europa si diffonde una verosimiglianza con il soggetto e una grande attenzione ai dettagli. Sono tavole di piccola dimensione, espressione di una committenza che si vuole mostrare in atteggiamenti naturali. Jan van Eyck eccelse in questo genere e introdusse la posa di tre quarti che permetteva un'analisi psicologica. Il volto viene posto in primissimo piano con uno sfondo buio, con una luce che mostra la qualità e materialità degli oggetti o piccoli dettagli dei volti. Nel Ritratto di uomo con turbante si suppone un autoritratto. Rogier van der Wayden, autore del Ritratto di giovane donna. In questo quadro il velo sul capo ha precise direttrici compositive, assecondate dalle pieghe dell'abito. Il volto presenta un carattere ‘purista’ che assume una qualità spirituale a confronto con la cintura, l'acconciatura e le mani. A queste, intrecciate, è affidato lo scandire i piani della rappresentazione e rendere fisicamente percettibile la parte del corpo. Anche Petrus Christus rappresenta il Ritratto di giovane donna con una, però, maggiore semplificazione delle forme. Questa tendenza conferisce un carattere di ‘silenziosa’ e discreta spiritualità. La pittura a olio Vasari, nelle Vite, ha attribuito la creazione della pittura ad olio a Jan van Eyck, ma in realtà essa era già presente in passato. Fu poi perfezionata dagli artisti fiamminghi e diffusa nel corso del Quattrocento, anche se usata con tecniche miste. Nella tecnica ad olio i pigmenti erano derivati dalla macinazione di coloranti minerali o vegetali. Nel caso della tempera queste sostanze venivano mescolate con uovo e gomme naturali, poi diluiti con acqua. La pittura ad olio permetteva differenze stilistiche dalla tempera, poiché permetteva l'inserimento di dettagli ed una vasta gamma cromatica, con la sovrapposizione o sfumatura di colori, per via del lento processo di essicazione. In concomitanza nasce un nuovo supporto: la tela, più leggera e maneggevole rispetto ai prodotti legnosi. Essa veniva preparata con una imprimitura di gesso macerato in acqua e con colla animale per far aderire bene i pigmenti. Questo permetteva anche l'assorbimento dell'olio e fungeva da antiossidante delle sostanze legnose. Il Rinascimento a Padova Padova accoglie per prima la cultura umanistica e dal 1222 era sede di una delle maggiori università europee e punto di riferimento per letterati e artisti. A esercitare un fascino particolare era lo studio e la decifrazione delle iscrizioni epigrafiche, che stimolarono un interesse per il collezionismo di antichità, raccogliendo epigrafi, monete, manoscritti latini, sculture e frammenti architettonici. Di centrale importanza per comprendere l'identità culturale padovana è l'orientamento dell'università dove prevaleva una cultura laica e logica con approccio filologico ai testi. La bottega di Francesco Squarcione Fu la principale bottega attiva a Padova, con Squarcione a contatto con umanisti e sviluppò un profondo interesse per l'antichità: nella sua bottega egli aveva raccolto un grande quantità di oggetti antichi. La sua bottega è testimonianza dell'artista che era allo stesso tempo collezionista e imprenditore, creatore e artigiano. Squarcione presenta tutti i caratteri di una fase di transizione da un'epoca tardogotica ad una che guarda ai valori plastici di Donatello. Squarcione trasmette ai suoi allievi una linea asciutta e tagliente, putti, festoni di fiori e di frutta, colori brillanti e contrastanti, esasperazioni espressive o le divagazioni immaginative. Trasferitosi nelle Marche introduce i valori del Rinascimento figurativo. L'arte di Napoli al tempo di Alfonso d'Aragona Alfonso d'Aragona, dopo aver conquistato Napoli nel giugno del 1442, entra nella città nel febbraio del 1443 con un fasto che richiama i ‘trionfi’ romani. Il sovrano promuove una cultura umanistica aurea aperta alle novità europee; infatti chiama a corte non solo umanisti di primo piano ma che pittori veneziani e progettisti spagnoli. Il corteo trionfale di Alfonso del 1443 verrà rievocato dieci anni dopo, nella residenza del sovrano Castel Nuovo. Il suo edificio era di pianta irregolare trapezoidale con cinque grandi torri cilindriche, si inserisce nella tradizione dei fortilizi medievali, da cui vengono eliminati i decorativismi gotici. L'ingresso è ispirato agli archi di trionfo romani e un alto fregio rievoca l'insediamento del re con una libera interpretazione del linguaggio classico. Tra gli scultori ritroviamo Francesco Laurana, la cui purezza del linguaggio è semplificata dai busti marmorei con i quali ha fissato le fattezze di Isabella ed Eleonora d'Aragona e Battista Sforza. Nel ritratto di principessa aragonese, che si riconosce come Busto di Eleonora d'Aragona, il perfetto ovale del volto e la sintesi delle forme richiamano le ricerche di Piero della Francesca e Antonello da Messina. In ambito architettonico, il nuovo corso viene rappresentato dalla Villa di Poggioreale, realizzata da Giuliano da Maiano e terminata da di Giorgio Martini; considerata un prototipo. L'edificio aveva pianta quadrato con quattro corpi angolari quadrati. Inoltre, gli ambienti ospitavano stanze residenziali, di svago e rappresentanza. Alla morte di Alfonso, succede il figlio Ferrante e sotto il suo regno i rapporti con il Rinascimento fiorentino diventano più intensi, anche grazie all'alleanza con Lorenzo il Magnifico. Antonello da Messina Egli seppe assimilare la lezione fiamminga, l'esperienza prospettica e la sintesi formale del Rinascimento italiano. Inoltre, a lui va il merito di aver diffuso la tecnica della pittura ad olio. Antonello nacque intorno al 1430 in Sicilia. La sua formazione avviene tra la Sicilia e la Campania negli anni in cui il Regno di Napoli si affacciava verso la cultura spagnola e franco-fiamminga. Sin dai suoi esordi è aggiornato sulle novità della pittura italiana e nordica, anche grazie ai contatti con Colantonio. Nella città campana conosce i linguaggi artistici giunti attraverso le rotte commerciali dal Nord Europa. La sua trasformazione stilistica avvenuta nel corso degli anni Sessanta ha fatto pensare ad un viaggio in Italia centrale, e forse, in contatto con le ricerche di Piero della Francesca accelera le riflessioni dell'artista sul rapporto tra forma e spazio, come si vede nel Salvator Mundi: qui la mano che benedice viene ruotata perpendicolarmente al piano pittorico, mostrando una conoscenza nell'inserire le competenze volumetrico-prospettiche elaborate dai toscani. L'evoluzione è anche verificabile comparando gli Ecce Homo (quattro versioni) e la Vergine Annunciata. In entrambi si verifica il mutamento della forma con la semplice rotazione delle spalle o del capo. Antonello riproduce una componente emotiva con grande compostezza esaltata dal gioco di doppia illuminazione. Apprende, quindi, anch'egli il ritratto di tre quarti a mezzo busto. Rappresenta le figure in primissimo piano ed emergenti dal fondo scuro attraverso la luce, facendo intuire lo spazio in cui sono inserite. Questa modella la forma plastica e mette in chiaro i particolari del soggetto. Tutto questo è possibile anche grazie la tecnica dei colori ad olio. Unica, sotto questo punto di vista, è la Vergine Annunciata: Maria ha il volto di una fanciulla, la testa e le spalle, avvolte nel manto azzurro, hanno forma piramidale. Gabriele è assente ma si intuisce la sua presenza tramite lo sguardo di Maria che si volge verso destra. L'impostazione dello spazio è fissata sullo spigolo del tavolo. Capolavoro dell’opera sono le mani: la destra è tesa verso l'esterno e riflette la luce che proviene dall'alto. Nel San Sebastiano, invece, si riconosce l'influsso di Mantegna: la linea di orizzonte è bassa e questo dona la monumentalità della figura. La posa è classicheggiante e la sua forma è colpita dalla luce che la modella, si vede nell'ombra delle frecce. Questi elementi sembrano contrastare la minuziosità dello sfondo, dove persone vivono la loro vita. Il San Girolamo di Colantonio L'attività di Colantonio è documentata a Napoli tra il 1440 e il 1460. Il pannello del San Girolamo nello studio vede l'influenza di Barthélemy d'Eyck e del realismo analitico fiammingo: la prima nei volumi anche se rigidi e la seconda per l'attenzione al particolare. Il San Girolamo di Antonello Dottore della Chiesa, è stato il primo a tradurre la Bibbia dal greco all'ebraico al latino. Nei dipinti medievali veste l'abito cardinalizio e tiene in mano la Vulgata. Secondo la leggenda avrebbe estratto una spina dalla zampa di un leone che sarebbe rimasto poi con lui. La tavola restituisce un'immagine lontana dalla tradizione dove il cappello è poggiato sulla panca e la figura del leone si intravede nell'ombra sulla destra. Questo San Girolamo è umanista e immerso nella lettura, circondato da dettagli. Lo studiolo è collocato all'interno di un'architettura gotica, aperta verso il paesaggio. L'ambiente dipinto da Colantonio risponde ad una prospettiva elementare tanto che tutto è quasi schiacciato, mentre con Antonello è arioso, unificato da prospettiva e luce. Proprio quest'ultima frontalmente ‘fissa’ la posizione degli oggetti attraverso le ombre, proviene dal fondo, lasciando in ombra la parete. L’ARTE A VENEZIA Fino alla metà del Quattrocento Venezia era culturalmente isolata e tale condizione deriva dall'autonomia della Serenissima rispetto alla situazione politica ed economica italiana, che le garantiva il predominio sui traffici commerciali con il vicino Oriente. La situazione mutata internazionale, tra XIV e XV secolo, porta Venezia verso un orientamento politico differente a cui corrisponde l'espansione verso occidente. Intono alla metà del Quattrocento, quindi, i territori della Serenissima comprendevano numerose città venete e si estendevano in occidente verso il fiume Adda e verso sud raggiungevano Ravenna. Tutte le abilità del popolo veneziano consentirono alla Serenissima Repubblica di mantenere il prestigio e di rappresentare una delle principali potenze europee. A questo corrisponde anche una svolta in campo artistico: la cultura umanistica matura grazie al rapporto con Padova ed altre città lombarde. Si diffonde a Venezia anche l'editoria, con la figura di Aldo Manuzio che incarna la figura moderna dell'editore che è competente dal punto di vista culturale, tecnico e imprenditoriale. Pubblica più di cento opere moderne e antiche, in latino, greco e in volgare. Il suo obbiettivo era quello di conservare la letteratura e la filosofia classica. Inoltre, le nuove edizioni presentava illustrazioni xilografiche come per la prima copia illustrata della Divina Commedia (1515). A Manuzio si attribuiscono anche tante importanti innovazioni come l'introduzione del corsivo, il marchio tipografico e le modeme legature. La pittura: raffinatezze bizantine e naturalismo Padova media la diffusione della cultura rinascimentale in laguna. Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna sono due delle principali figure. Il primo è il capostipite di una delle due importanti botteghe di Venezia. Accanto a lui operano il fratello Bartolomeo e il figlio Alvise. Bartolomeo subisce maggiormente l'influenza padovana e ne acquisisce i modi asciutti. Nel Trittico di San Martino questo contatto è evidente nella resa accentuata dell'anatomia e nei panneggi delle vesti molto marcati. Ma sarà Alvise ad assimilare le novità anche grazie alle opere di Giovanni Bellini. Un'altra bottega importante la si trova con Jacopo Bellini, padre di Giovanni e Gentile entrambi innovatori anche se in modi differenti. Mentre Giovanni rielabora in modo personale le ricerche di da Messina e di Mantegna, Gentile mantiene i legami con il gotico e si distingue per i suoi ritratti, specializzandosi in scende di storia contemporanea. Giovanni Belli Riesce a cogliere i nuovi orientamenti e assimilarli alla specificità della sua tradizione. Conosce l'opera di Mantegna, che sposa la sorella, e la sua influenza si manifesta nelle opere giovanili di Bellini, che riprende le figure plastiche e la tensione emotiva delle figure sacre. Diversamente, però, sviluppa un autonomo percorso grazie al confronto con altre esperienze. La Pietà segna la conclusione della sua fase giovanile: i colori sono più morbidi e attenti al transito della luce sui corpi e sul paesaggio. Presente è anche la resa dei particolari e degli effetti materici. Il dolore è profondo e umano, lo si vede nel volto di San Giovanni ed in quello di Maria che sfiora l'espressionismo. Entrambe però sono figure di grande compostezza. Le opere della maturità: il confronto con Piero della Francesca e Antonello da Messina Verso il 1470, Bellini studia la luce con l'adozione di colori mutevoli al tocco dell'ombra. Determinante è l'incontro con Antonello da Messina poiché i due artisti si muovono in parallelo. Giovanni, però, approfondisce il ruolo della luce e del colore nello spazio e nella definizione delle forme. Una ricerca presenta nell'A/legoria Sacra e nella Pala di Pesaro. Quest'ultima è stata realizzata per l'altare maggiore della Chiesa di San Francesco. Si riconosce la commissione di Alessandro Sforza, signore di Pesaro, per celebrare i trent'anni di governo sulla città. Può notarsi nello scomparto all'estrema destra dove viene raffigurato San Terenzio che tiene in mano un modellino della Rocca Costanza e nella funzione celebrativa del dipinto, rivelata dal paesaggio riconoscibile che fa da Sfondo all'/Incoronazione della Vergine (tavola centrale). Questa rappresenta, ai lati del trono sul quale siede la Vergine, Pietro e Paolo a sinistra e Francesco e Gerolamo a destra. La tavola è inserita entro una cornice con ornamenti da intagli dove sono inseriti quindici pannelli dipinti. Questa tavola rappresenta il momento di distacco dai modi cortesi della tradizione e da Mantegna. Egli abbandona la scelta del polittico, ma tiene alcuni elementi medievali nella cornice, come i pilastrini. Unifica lo spazio con la prospettiva ed una luce limpida. Di questo momento, sposta l'attenzione sulla consonanza tra evento sacro e natura. La cimasa della Pala è costituita dall' Unzione di Cristo che testimonia la sintesi tra volumi e luce, dove le figure sono compresse nello spazio privo di profondità. La luce punta verso le mani, perno del quadro, dove il gesto di Maddalena sottolinea il dolore e riporta alle stimmate di San Francesco. Nella Pala di San Zaccaria l'architettura rinascimentale della chiesa viene ripresa dalla comice che delimita lo spazio con le figure. La luce filtra dal fondo e le unifica allo spazio, mentre la delicatezza dei colori e la sfumatura dei contorni addolcisce i personaggi. La cultura neoplatonica nella Firenze del Magnifico Il concilio tra le Chiese cristiane, cattolica e bizantina si conclude nel 1439 con la riunificazione delle due confessioni ed ebbe un afflusso nella penisola di pensatori e correnti filosofiche dell'Impero Romano. A Firenze questo afflusso contribuì alla nascita di una corrente filosofica di stampo platonico, opposta alla cultura aristotelica. | valori generali di questa corrente erano i principi assoluti e idealistici di libertà e amore, l'amore puro e spirituale e la contemplazione di Dio assieme al legame con l'Uomo. Autori come Marsilio Ficino introducono la figura del filosofo di professione capace di fornire al signore prestigio culturale e benefici letterali e scientifici. Ficino tradusse opere di Platone e pose il loro pensiero alla base di un programma di conciliazione tra la cultura filosofica classica e tradizione cristiana. Nella Theologia Platonica de Immortalitate Animorum, rigetta la tradizione aristotelica poiché in contrasto con la dottrina dell'immortalità dell'anima. L'anima umana svolge un ruolo di connessione con Dio e con il creato. L'amore è l'elemento mediatore tra la materia e Dio. In ambito artistico invece si introduce il mito in chiave cristiana. L'antichità rappresenta un mondo perduto ed è oggetto di rimpianto. Il soggetto mitologica esprime anche l'amore per l'allegoria e i contenuti simbolici. Così artisti come Botticelli elaborano un linguaggio allusivo, dove domina una natura idealizzata Le botteghe dei Pollaiolo e di Verrocchio Le botteghe dei Pollaiolo e quella di Verrocchio sono i centri più qualificati di produzione artistica di Firenze. Antonio del Pollaiolo è conosciuto come orafo, fonditore del bronzo, pittore e incisore. Il più giovane, Piero del Pollaiolo, invece, è ricordato solo come pittore. Entrambi avevano interesse per la figura umana e la sua anatomia e l'incisione Battaglia di Nudi è stata considerata come modello per le rappresentazioni del corpo umano. L'opera è prima di un vero soggetto, rappresenta invece diversi personaggi che combattono tra loro e con atteggiamenti eroici. Le numerose varianti del corpo umano e la loro articolazione dello spazio sono definite con una linea fluida, così come le torsioni delle membra e la tensione muscolare. Importanti sono anche le rappresentazioni di Ercole e l’idra e Ercole e Anteo in due tavole di piccole dimensioni. Nel bronzetto con Ercole e Anteo, Antonio traduce quello riportato su tavola. Egli contrappone il divenire, movimento e variazione incessante, le emozioni umane con studi che saranno preziosi per il giovane Leonardo nella sua fase di formazione. La pala con il Martirio di San Sebastiano evidenza l'influenza nordica con il colore ad olio ed il paesaggio disteso all'orizzonte. La figura del santo ricorda la statuaria greca e romana, quelle degli arcieri gli studi per la rappresentazione dello sforzo muscolare nell'azione. Come il Pollaiolo, anche Andrea del Verrocchio è maestro di un luogo di incontro e scambio intellettuale. A lui Lorenzo e Giuliano de' Medici commissionano il Monumento funebre a Piero e Giovanni de’ Medici, dove si testimonia la capacità di rispondere a commissioni raffinate e la capacità di integrarle nello spazio urbano. Anche Verrocchio si sofferma sulla mobilità dei corpi, ma introduce un moto lento, attraverso il chiaroscuro. Con l'opera in bronzo del David, si vede la delicatezza nel suo lavoro, dove nulla ricorda la forza, ma molti dettagli saltano all'occhio come la cintura, i calzari e i capelli dorati. Si introduce la così detta forma aperta che si emancipa dalla visione frontale, per porsi in relazione con la dinamica e con lo spettatore. Lo stesso si vede con L’incredulità di San Tommaso, dove la figura di Cristo è contenuta entro la nicchia che si spinge in profondità, San Tommaso invece, esce dallo spazio e poggia sulla cornice esterna interagendo con lo spazio reale. Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni Nel 1475 muore Bartolomeo Colleoni, condottiero bergamasco e Capitano generale delle truppe di terra della Repubblica di Venezia. Quattro anni dopo la Signoria veneziana indica a tre scultori, quali Verrocchio, Vellano da Padova e Alessandro Leopardi, di creare il modello del monumento. Scelto fu il modello di Verrocchio, anche se non riuscì a finirlo e a portare a termine l'opera fu Leopardi. Il monumento è ispirato a quello del Gattamelata anche se introduce un'intensa espressività e inquietudine. Insiste sulla fierezza e energia fisica del condottiero. Il comandante trattiene con sicurezza le redini del cavallo: le figure si direzionano in due distinte diagonali e si articolano nello spazio con la rotazione dei corpi. In questo modo si comunica un'azione imminente, sensazione data anche dalla zampa sinistra alzata che priva il gruppo di un appoggio. Il volto del Colleoni, poi, mostra la forza e il timore suscitato nell'avversario distinguono l'uomo che guida la Storia. Sandro Botticelli L'opera di Botticelli consente di tracciare l'evoluzione dell'arte rinascimentale dalla fase ‘aurea’, alla sua crisi dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Botticelli ha saputo interpretare con sensibilità il pensiero neoplatonico e il clima della corte dei Medici, realizzando opere sacre e mitologiche. Strumento privilegiato è il disegno e il suo stile si distingue per la finezza della linea continua e si associano colori preziosi e chiari, con effetti di trasparenza. Sandro Botticelli deve il suo nome, forse dal lavoro di suo fratello ‘battiloro', presso il quale ha ricevuto educazione artistica. Intorno al 1464 è apprendista di Filippo Lippi, dove resta fino al 67 e l'influenza di questo si nota in opere come la serie di Madonne con il Bambino, delicate e dettagliate. Il suo stile, successivamente, evolve con elementi verrocchieschi quali solidità plastica e sensibilità luministica. Nel giovane Botticelli, però, si ha un linguaggio più originale, distintosi per la sua eleganza e fluidità. Dal 1470 l'artista dirigerà la propria bottega occupandosi di tecniche diverse, e proprio in questi tempi vi è il suo primo incarico pubblico La Fortezza, per Tommaso Soderini. La tavola consiste in una spalliera di legno per completare la serie delle Virtìù teologali e cardinali del Pollaiolo per il Tribunale della Mercanzia. La figura è seduta sul trono pieno di decorazioni ed assume un carattere monumentale con il manto rosso e il risalto della linea. La luce viene riflessa sulla corazza, i diamanti incastonati e sulle perle del diadema. Tutto questo cade in un rigore costruttivo. La fama di Botticelli è legata soprattutto alla corte medicea con la quale ha rapporti a partire dagli anni Settanta; le prime committenze dei Medici risalgono al 1475 con uno stendardo in onore di Giuliano de' Medici per il torneo vinto a Santa Croce e due ritratti dei fratelli. Allo stesso anno corrisponde l'Adorazione dei Magi, la quale introduce l'impianto frontale della scena con i personaggi disposti sui lati per accentuare la profondità prospettica. Esso si configura come un'esaltazione del casato mediceo, per la presenza di più generazioni all'interno. Tra le opere sacre troviamo la Madonna del Magnificat, che testimonia la volontà di estendere al sacro, l'allegoria. Alla morte di Lorenzo il Magnifico, nel 1492, Botticelli vive una profonda crisi spirituale, così come l'intera Firenze sotto il controllo del frate domenicano Girolamo Savonarola. Inoltre, la sua opera non troverà eredi ma è testimonianza di utopie umanistiche del Quattrocento. Sandro Botticelli: le opere allegoriche Nel recupero della mitologia pagana troviamo le opere allegoriche, quali: La Primavera, la Nascita di Venere, Venere e Marte, Pallade e il Centauro, dove le divinità pagane rappresentano le virtù di cui l'uomo ha bisogno per giungere alla conoscenza. La primavera: ipotesi interpretative Il dipinto venne commissionato da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino del Magnifico. Secondo un'ipotesi l'opera rappresenta il passaggio dall'amore terreno (Zefiro e Clori) all'amore spirituale e contemplativo attraverso la Venere Humanitas, cara al pensiero neoplatonico, ed è espressione dell'amore controllato dall'intelletto e opposto alla passione. Il giardino presenta equilibrio e armonia che assorbe ogni contrasto, come dimostra la soffusa luminosità. L'iconografica della Venere viene recuperata in quanto, quindi, mediazione tra Terra e Cielo, difatti guida l'uomo nel suo percorso di purificazione e conoscenza. Mercurio, simbolo di contemplazione, conclude il percorso indicato dalla dea, creando un andamento circolare che si origina e si conclude nel cielo. L'armonia è ribadita dalle Grazie che rappresentano i tre attributi di Venere che trovano equilibrio nei gesti concatenati. Questa non è l'unica interpretazione: in anni recenti si associa l'opera ad uno scritto Sulle nozze di Mercurio e Filologia, è quindi una allegoria dell’ispirazione poetica che parte da sinistra verso destra: Mercurio, qui simbolo di eloquenza, si volge verso Apollo (Sole) cercando consiglio per le proprie nozze. Le tre Grazie introducono la sposa, posta al centro. La fanciulla con l'abito fiorito è Retorica e accanto a lei c'è Flora, inseguita da un Genio Alato, espressione dello spirito creativo e dell'immortalità. La lettura tradizionale, invece, si interpreta da destra a sinistra: Zefiro, vento di primavera, irrompe nel bosco di aranci e afferra la ninfa Clori da lui amata. La terza figura è stata associata a Flora che nei Fasti di Ovidio deriva dalla metamorfosi di Clori, causata dal soffio fecondante di Zefiro, rappresentando la rinascita della natura dopo l'inverno. AI centro Venere con Cupido bendato e accompagnata dalle tre grazie (Aglaia, Eufrosine e Talia: lo splendore, la gioia e la prosperità) aspetti dell'amore intrecciati in armonia. Infine Mercurio dissipa le nuvole con il suo caduceo. Qualsiasi sia l'interpretazione il dipinto è segno di armonia universale, che va al di là del tempo e dello spazio dell'uomo. Il giardino non è prospettico e ad eccezione di Venere, i personaggi sono sullo stesso piano, mentre gli alberi sono allineati e si ramificano attorno alla figura centrale. Si negano le leggi spaziali che erano simbolo dell'umanesimo. Gili altri dipi llegorici La Nascita di Venere è incerta riguardo la datazione e la sua destinazione. La tecnica usata è quella della tempera magra per simulare l'opacità chiara e irreale dell'affresco e presenta elementi stilizzati: i chiaroscuri sono ridotti e la linea è più accentuata, con un effetto arcaicizzante. La dea è la Venere pudica, associata all'amore naturale, sospinta da Zefiro abbracciato ad Aura o Clori. Una delle Ore (ninfe delle stagioni) o la stessa Flora de La Primavera, la accoglie con un manto fiorito. Pallade e il Centauro è stata interpretata come il dominio esercitato dalla ragione sull'istinto, tema ripreso anche in Venere e Marte, realizzato negli stessi anni. La sequenza da sinistra a destra, Pallade e il Centauro — Primavera — Nascita di Venere allude alla ciclicità stagionale controllata dalla figura centrale che non è più Venere ma Giunone-Maia, madre di ogni cosa presente in natura. L'architettura Le formule elaborate dagli architetti della prima generazione rinascimentale vengono elaborate per la volontà della classe dirigenti di abbellire la città in modo da testimoniare la magnificenza del committente. A Benedetto da Maiano si deve Palazzo Strozzi che porta a compiuta definizione la tipologia di palazzo signorile della città, ricercata da Michelozzo. Il palazzo riprende il blocco compatto attorno ad un cortile centrale, scandito all'esterno da fasce marcapiano, alle quali corrispondono i tre piani interni. Esso è isolato sui quattro lati e in tutte le facciate presenta una scansione di bifore. Il bugnato diminuisce l'aggetto verso l'alto, mentre un comicione chiude in alto il volume, aumentando la serenità. Lorenzo il Magnifico promuove un linguaggio architettonico riferito all'antico ed il suo architetto prediletto è Giuliano da Sangallo che approfondisce lo studio dell'architettura antica a Roma dal 1465. Egli sarà l'interprete del progetto culturale mediceo basato sui modelli classici. In Santa Maria delle Carceri, a prato, egli ripropone il rigore metrico di Brunelleschi e predispone un telaio di forme armoniche definite con la pietra serena grigia che risalta sulle pareti bianche. Sangallo realizza un organismo a croce greca, con un vano quadrato centrale al quale si collegano i quattro bracci sormontanti da volte a botte. Il vano stesso è sormontato da una cupola semisferica ombrelliforme che poggia su un tamburo cilindrico. La sua superficie presenta continue finestre circolari, determinando un effetto di ordine e leggerezza. All'esterno gli spigoli sono sottolineati da una parasta angolare ed una simmetrica in modo che possano apparire binate. Le superfici sono caratterizzate da quadrati in marmo bianco con fasce di serpentino verde. Nell'ambito della ricerca tipologica, invece, la villa suburbana occupa uno spazio privilegiato e trova nella Villa di Poggio a Caiano l'esempio più significativo. Sangallo, infatti, realizza il prototipo di una villa suburbana integrata con il territorio ed ispirata ad esempi italici e romani. L'organizzazione planimetrica, infatti, si ispira a quella di Vitruvio. Le più importanti elaborazioni nell'edilizia possono essere considerate delle varianti di uno schema caratterizzato da un impianto basato su una simmetria assiale con gli ambienti interni distribuiti da un cortile centrale porticato. Al centro della Villa di Poggio a Caiano, vi è un prònao in stile ionico che spicca con l'ombra sulla parete bianca e funge da vestibolo d'ingresso ed è coperto da una volta a botte a cassettoni in stucco policromo. Esso dà accesso al salone centrale, sviluppato su due piani ed anche esso voltato a botte. Dalla grande sala l'edificio si apre all'esterno affermando la fusione tra parte edificata e paesaggio naturale, organizzati in armonia. Sulla facciata spicca il frontone su cui vi è lo stemma dei Medici e ornato da un fregio attribuito ad Andrea Sansovino. Sopra al fregio vi sono scena che riguardano la ciclicità del Tempo attraverso la rappresentazione delle stagioni che alludono al potere dei Medici. L’ETA’ DELLA MANIERA MODERNA Tra i secoli XV e XVI cambiano gli equilibri internazionali causati dalla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492, portando ad una fragile stagione repubblicana; dalla perdita della liberà degli Stati regionali italiani, ora dipendenti dagli accordi di spartizione dell'Europa tra Francia e Spagna. Nel 1515 diviene re di Francia Francesco I, che avvia una politica espansionistica anche per il controllo dell'Italia. A seguito dell'alleanza tra i francesi e il papato, Carlo V, nuovo sovrano di Spagna, invia in Italia truppe mercenarie che nel 17 compiono il Sacco di Roma con la distruzione e il trafugamento di opere d'arte. La conquista spagnola dell'Italia, avviene definitivamente con la Pace di Cateau-Cambrésis, nel 1559. L'Età della Maniera Moderna All'instabilità politica si sovrappone la crisi religiosa causata dalla Riforma di Martin Lutero, e ad essa farà seguito la fase della Controriforma, che rappresenta la risposta della Chiesa di Roma e la conseguente divisione dell'Europa tra gli Stati cattolici e protestanti. Inoltre, la scoperta dell'America determina un cambiamento della geografia economica, con lo spostamento delle rotte commerciali sull'Atlantico, emarginando i centri del Mediterraneo. In questo clima si distinguono Venezia e Roma; in particolare le sorti dell'arte coincisero con quelle del potere politico di quest'ultima e con le sue esigenze rappresentative: con Giulio Il della Rovere e Leone X de’ Medici verranno realizzati nel Vaticano la nuova Basilica di San Pietro e l'ampliamento dei palazzi pontifici. Sul piano artistico si sviluppa la Maniera Moderna, considerata da Vasari il livello più alto raggiunto nell'arte, dove nelle opere risultano molto più espressivi i soggetti ed i gesti del corpo. Nello stesso tempo si rinnova la figura dell'artista che si emancipa sempre di più e si caratterizza per la sua nuova pratica liberale, acquisendo la dignità delle discipline quali la grammatica, la filosofia ect. Nonostante tutto, il Cinquecento è il secolo in cui l'arte italiana trova la maggiore diffusione e il più alto riconoscimento in Europa. Una nuova concezione della classicità Con il nuovo secolo vi è anche un nuovo rapportarsi alla classicità con l'archeologia, anche grazie al rinnovamento di importanti statue antiche, es. il Laocoonte. Si diffonde anche il collezionismo presso papi, corti e famiglie aristocratiche. Il linguaggio dell'arte ricerca la stabilità dell'ordine ed il suo equilibrio con la grandiosità. In tutti gli ambiti artistici, inoltre, domina la predilezione per gli impianti centralizzati e la prospettiva diviene mezzo per costruire spazi immaginati cui la stessa natura è sottoposta. Le città nei trattati del Cinquecento Nel XVI secolo i trattati di architettura e di ingegneria militare assumono un ruolo centrale del dibattito sulla città, poiché propongono modelli di organizzazione urbana. Punto di partenza è sempre il De Architectura di Vitruvio, commentato da Cesare Cesariano, il quale interpreta la città come un organismo dalla forma pura, al cui interno vengono inglobati elementi morfologici, distributivi e funzionali. La difesa della città esige una forma chiusa definendo la città polilatera. Gli studi di fortificazioni seguono in ogni passo l'evoluzione della tecnica militare dove a fungere da difensivo sono le emergenze bastionate nella campagna, perché costringono il nemico ad arretrare il fronte d'attacco. Emerge, dunque, l'elaborazione di una forma urbana perfetta, che porta al mettere in cena la ‘ragione disegnata'. Così la pratica del disegno di città ideali diventa motivo di esercitazione formale, sebbene molti trattatisti non si pongono i problemi di chi studia Vitruvio, ma ne reinterpretano le informazioni. Si afferma la crisi del ruolo dell'architettura nel definire lo spazio delle città e da quella /aica si passa alla città del principe alla quale si adattano gli schemi di difesa. Le città dei trattati realizzate SABBIONETA Tra il 1560 e il 1584, con Vespasiano Gonzaga, viene rifondata Sabbioneta a Mantova. Essa venne pensata come una città-fortezza, destinata ad ospitare la corte e fu lo stesso Vespasiano a ideare la trama viaria ortogonale e la cinta muraria a forma di poligono irregolare, rafforzata con bastioni e dotata di un castello, che ora è distrutto. Il reticolo interno è organizzato intorno ad un asse che collega le due porte urbane, e a due piazze, sulle quali prospettano gli edifici pubblici. PALMANOVA In provincia di Udine, fu voluta dalla Repubblica Veneta tra il 1593 e il 1600. La planimetria ha forma di poligono di nove lati regolari sui quali è impostato un reticolo radiocentrico di strade. Questo schema, sottolinea la predisposizione militare della città, pensata per gli spostamenti delle truppe dal centro delle piazze dove sorgono le caserme. Una cinta completa l'impianto fortificato e ne rafforza la forma a stella. Donato Bramante Fu il principale interprete del rinnovamento architettonico, con formazione ad Urbino dove fu allievo di Fra’ Carnevale, con il quale affinò il disegno e la prospettiva. Conobbe testi come il De re aedificatoria di Alberti e il De architectura di Vitruvio, che lo hanno introdotto alla conoscenza dell'antico, e hanno rappresentato le premesse per una riflessione sul Classicismo. La prima attività di Bramante lo mostra impegnato come pittore prospettico: nel 1447 realizza a Bergamo degli affreschi per la facciata esterna del Palazzo Podestà, dove rappresenta figure di Filosofi dell'antichità all'interno di finte nicchie in prospettiva. Stessa cosa accade per gli affreschi realizzati per il palazzo di Giuseppe Visconti, a Milano, dove dipinge Uomini d’arme che ritraggono personaggi della corte ducale. Qui la visione prospettica è forzata tanto che richiama l'opera di Mantegna. A Milano, Bramante, introduce quindi una chiarezza intellettuale della cultura urbinate, accogliendo anche la sensibilità realistica lombarda e le ricerche sulla luce di Leonardo, fatte negli stessi anni. Opera esemplare è il Cristo alla colonna: la quale opera presenta elementi urbinati per il carattere scultoreo della figura di Cristo e per la resa degli effetti di luce e ricchezza di dettagli. Tra la figura e chi guarda vi è un contatto diverso grazie alla configurazione spaziale, dove Cristo non rientra nell'intera scena, e allo scarto tra primo e secondo piano che fa ‘sbalzare’ l'immagine. Momento fondamentale nella sperimentazione prospettica è la ricostruzione del Sacello di Santa Maria a San Satiro, che introduce il tema dello spazio centrale. La zona in cui sorge l'edificio era edificata costringendo una pianta a croce commissa (T). | tre bracci perpendicolari presentano una volta a botte cassettonate, mentre il transetto è ritmato con pareti concave. La crociera, invece, è sormontata da una volta emisferica che poggia da un lato sui pilastri absidali. Proprio in quest'area Bramente simula un coro a tre arcate, con volta a botte cassettonate, così da ottenere profondità. Le arcate laterali e la volta a botte sono realizzate in stucco a rilievo, così come le nicchie, decorate con conchiglie. Gli inserti in cotto, fondi azzurri nei fregi e cornici, le dorature conferiscono all'insieme un maggior effetto di verosimiglianza. Questo inizia a far prevalere lo spazio percepito a quello reale. Tribuna di Santa Maria delle Grazie Tra il 1492 e il 1497 Bramante ricostruisce la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano. La decisione di Ludovico il Moro di ricostruire la tribuna in forme rinascimentali era dovuta alla volontà di fame il mausoleo di famiglia e dall'esigenza di sostenere la sua immagine di mecenate. A conclusione del corpo longitudinale a tre navate, Bramante, pone un vano cubico sormontato da una cupola emisferica con due absidi laterali. Oltre il coro si apre una terza abside, allineata alla navata centrale. A questo proposito si pone l'Incisione Prevedari realizzata nel 1481 su disegni di Bramante, dove si rappresenta la prospettiva di un edificio a pianta centrale. Chi percorre lo spazio delle navate ne percepisce la forza, avendo la sensazione che questo si dilati grazie alla luce che lo inonda attraverso gli oculi, cupola, absidi e soprarchi. La geometria della tribuna è sottolineata da cornici in cotto e all'esterno dalla pietra chiara di Saltrio, che produce una caratteristica bicromia. La dama con l'ermellino Una delle considerazioni di Leonardo sulla pittura riguarda le possibilità espressive del ritratto che deve essere la replica perfetta del soggetto, rendendo anche le sfumature psicologiche. Tuttavia non lo considera un mezzo per entrare nell'intimità del soggetto, ma al contrario, è un mezzo per aprire quest'ultimo al mondo esterno. D'altra parte raramente si offre lo sguardo diretto del personaggio ritratto. Cecilia Gallerani aveva quindici anni all'epoca del ritratto ed entrò giovanissimo nelle grazie di Ludovico il Moro, venne inoltre ricordata per le doti dell'animo, l'intelligenza e la cultura. Nel ritratto l'identità di Cecilia è affidata all'ermellino che si presta ad una doppia funzione simbolica, poiché rappresenta uno degli attributi di Ludovico. Leonardo instaura una particolare relazione tra la dama e l'animale, trasferendo a lei le virtù attribuite a quest'ultimo: equilibrio, moderazione e candore. La fanciulla si staglia sullo sfondo scuro risaltando con vividezza e con qualità di rilievo. Lo studio della luce è raffinato nella resa delle ombre primarie e secondarie. Nel pelo dell'animale intesse una trama sottilissima di passaggi luministici arrivando ad un'impressionante verosimiglianza. La dama colta in un'espressione di controllata curiosità, placa con un gesto rassicurante l'animale che pare essersi sollevato. Ella ha appena ruotato il busto e Leonardo e coglie l'attimo fuggente del passaggio da uno stato di quiete e uno di ascolto. Ultima Cena Il dipinto occupa la parete settentrionale del refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, a Milano. Il tema dell'Ultima Cena, nel Quattrocento, viene rappresentato con undici apostoli da un lato e Giuda dal lato opposto. Leonardo rivoluziona questo schema disponendoli tutti e dodici in posizione simmetrica. Il momento raffigurato è quello drammatico in cui Gesù riferisce dell'imminente tradimento e questo è l'inizio di un tumulto di emozioni, espressi in modo diverso in ciascuna figura. Leonardo affida queste comunicazione a sguardi e gesti che si susseguono e formano un raggruppamento delle figure a tre a tre e la divergenza dei diversi gruppi. La concitazione degli apostoli è il fulcro dell'intero dipinto, sottolineato dalla struttura piramidale che la contiene e dalla convergenza su di essa della prospettiva. Leonardo la concepisce in continuità con l'architettura del refettorio, così da ampliare illusoriamente lo spazio reale. Un impianto geometrico e semplici ornamenti, come gli arazzi disposti lateralmente creano un effetto di sfondamento della parete. La luce proviene da sinistra e da quel lato si aprono le uniche finestre che illuminano l'ambiente. Il chiarore parte dal fondo e dona a Cristo un isolamento sovrannaturale. Inoltre distingue il gruppo a destra che si integra nel chiarore della parete e quello a sinistra sullo sfondo scuro. A partire dal Settecento l'opera subisce numerosi interventi e tra il 1976 e il 1999 un complesso restauro ha eliminato i rifacimenti e recuperato delle parti originali rimaste. Le lacune sono state riempite con acquerelli, facilmente rimuovibili, ma in grado di restituire i giusti toni cromatici e unità dell'insieme. Il ritorno a Firenze e gli ultimi anni in Francia Leonardo lascia Milano nel 1499 e rientra a Firenze nel 1500, dove partecipa alla stagione repubblicana. In questo periodo Leonardo avvia opere memorabili come il cartone con Sant'Anna, la Vergine, il Bambino e San Giovannino e realizza il cartone per la Battaglia d’Anghiari. Il primo è l'esempio della ricerca di Leonardo sulla rappresentazione del movimento e dell'interiorità umana. Le figure sono monumentali e in posa statuaria e il loro movimenti sono fluidi, assecondati dalle vesti morbide e accordati in forma piramidale. Attraverso luci e ombre, Sant'Anna e Maria sembrano fondersi e la componente psicologica ed emotiva passa attraverso sguardi e gesti accennati e sfuggenti. Nella Battaglia di Anghiari l'artista porta all'estremo la ricerca sugli stati d'animo arrivando a rappresentale la ferocia e la paura. Nel 1517, si trasferisce in Francia dove porta con sé la Gioconda e la Madonna con il Bambino e Sant'Anna. Anche qui il gruppo compone una struttura piramidale, resa dinamica dal movimento rotatorio determinato dalla torsione di Maria. Anche qui la sua figura e Sant'Anna sembrano fondersi. In quest'opera Leonardo giunge a risultati atmosferici di particolare evanescenza, anche grazie all'uso di colori morbidi. La Gioconda La donna ritratta non è stata identificata con certezza, ma probabilmente rappresenta Lisa Gherardini, sposa di Francesco del Giocondo. La figura di tre quarti, rivolta verso lo spettatore, è spinta in primo piano e staccata dal paesaggio di fondo attraverso l'arco delle spalle, che dona monumentalità. Il ritratto deve la sua fama al carattere indeterminatezza e di vaga ambiguità che lo pervade. Questo effetto è dovuto allo sfumato, che annulla i contrasti e costruisce diverse intensità d'ombra, avvolgendo anche il paesaggio in un'atmosfera impalpabile. Leonardo lascia indefiniti alcuni elementi, come gli angoli della bocca e degli occhi e questo determina il carattere sfuggente del soggetto: Monna Lisa guarda lo spettatore accennando un sorriso e in questo modo lo porta a relazionarsi con lei. La Gioconda mostra tutto questo con naturalezza: busto, testa e braccia, leggermente ruotati si orientano in diverse direzioni, mentre il viso di tre quarti si offre all'indagine psicologica. Il paesaggio di fondo, nella quale è stata riconosciuta la valle dell'Amo, appare quasi primordiale e si può intuire l'umidità dell'aria, che filtra una luce destinata a mutare in base alle condizioni atmosferiche. La Gioconda ci pone al centro della poetica di Leonardo, impegnato a sondare il rapporto tra le apparenze fenomeniche e la dimensione soprannaturale della realtà. Michelangelo Buonarroti Leonardo e Michelangelo costituiscono le due personalità della tradizione fiorentina di fine Quattrocento e che ebbero grande influenza nel secolo successivo. Michelangelo, all'atteggiamento scientifico di Leonardo, opporrà una visione dell'arte come ricerca della perfezione ideale non contagiata dalla mìmesis (imitazione della natura). Michelangelo Buonarroti, formatosi a contatto con gli Umanisti dell'ambiente mediceo, interpreta gli ideali del Rinascimento e insieme la loro crisi. | suoi maestri sono da ricercare nel passato come dimostrano alcuni disegni a penna di copie di Giotto e Masaccio. Questi vedono le radici dello scultore nella cultura figurativa toscana e dimostrano la capacità di comprendere la struttura delle forme e di evidenziarne la qualità plastica. Egli sceglie figure di profilo, trattate come rilievi, costruisce corpi attraverso dei segni che cambiano in base alle tensioni interne. Di fatto, Michelangelo, si considera per prima cosa scultore, poiché per lui la scultura si fa per via di levare e non di porre come invece accade nella pittura. Egli elimina la materia dando vita all'ideale che già esiste nel marmo, liberandolo dal blocco lavorato. Per questo motivo la sua opera trova espressione nel non finito: San Matteo consente di vedere il processo dell'artista che scolpisce il blocco girandogli attorno, insistendo su alcune parti estraendone la forma e di meno su altre, lasciandole bloccate nel marmo. Tuttavia, Michelangelo, non scelse volontariamente questa tecnica, come dimostrano il David, Bacco Ebbro o la Pietà, ma divenne una scelta consenziente solo nell'età matura ed è proprio qui che esprime la lotta tra l'idea e la realtà terrena. Significativo è che Michelangelo si concentra esclusivamente sulla rappresentazione dell'uomo in quanto creatura più vicina alla perfezione divina. Egli elabora un classicismo monumentale, orientato sulla contemplazione e animato da tensioni verso il superamento della dimensione materiale. Così, Michelangelo, afferma che l'opera d'arte non può essere semplicemente una copia della natura ma è data dall'intelletto e in questo modo il processo artistico è di natura spirituale. Gli anni della formazione a Firenze Michelangelo entra nella bottega del Ghirlandaio intorno ai tredici anni per un apprendistato triennale, ma è probabile che già prima del 1490 venne accolto da Lorenzo de' Medici che lo fa educare assieme ai suoi figli di Poliziano e lo avvia alla frequentazione dell'ambiente intellettuale neoplatonico. Inoltre gli apre la sua collezione antica del Giardino di San Marco, dove gli artisti potevano studiare l'antico copiando statue greche e romane attraverso il disegno. Le basi della personalità di Michelangelo sono state gettate in questi anni fondamentali e a questo periodo risalgono due opere che testimoniamo come si mostri già autonomo nella lettura dei modelli: la Madonna della Scala e la Battaglia di Centauri. Quest'ultima si propone come libera reinvenzione di un motivo antico. L'opera presenta diversi livelli di aggetto, da tuttotondo al bassorilievo e diversi gradi di rifinitura. Le figure si dispongono in un groviglio di corpi senza ordine, con linee diagonali dominanti, ed effetti di contrasto tra luce e ombra. Una lotta primordiale, combattuti con corpi nudi e in cui esiste solo il corpo umano, visto nella sua natura brutale. La partenza da Firenze e il primo periodo romano Quando le truppe francesi invadono Firenze, Michelangelo si sposta a Venezia e a Bologna, dove poteva avere maggiore sicurezza dai Bentivoglio, amici ai Medici. Qui egli realizza diverse opere e l'anno successivo rientra a Firenze, sottoposta al governo repubblicano di Savonarola, le cui inquietanti visioni producono, nello scultore, un'influenza che maturerà nel corso della sua vita in precise scelte espressive: lo scardinamento della concezione spaziale prospettica, il rifiuto del naturalismo e l'esclusiva concentrazione della figura umana. La svolta fondamentale è determinata dal suo soggiorno a Roma, dove il cardinale Raffaele Riario gli commissiona la grande statua di Bacco Ebbro: egli concepisce un gruppo visibile da più punti di vista, in cui il vigore maschile e la morbidezza femminile si fondono e dove si celebra allo stesso tempo la vita (il calice di vino) e la morte (la pelle di leone tra la mano sinistra). Subito dopo, riceve la commissione per la Pietà, realizzata su commissione del cardinale Bilhères, per la sua tomba. Michelangelo realizza un'immagine pura, il cui gruppo è composto entro un impianto piramidale la cui base è caratterizzata dalla veste di Maria. Cristo è abbandonato sul grembo della madre, appena inclinato perché sorretto dal ginocchio e dal braccio destro di Lei. Ogni dettaglio giunge ad un risultato di naturalezza, dove i volti sono delicati e il corpo di cristo, la cui nudità rimanda alla statuaria ellenistica, risalta il contrasto con il panneggio scavato sulla veste di Maria. Ella ha un volto giovane e un'espressione pacata e Michelangelo non mostra la sofferenza, ma la bellezza spirituale, nata dal sacrificio. La pietà Bandini Era stara iniziata da Michelangelo per la propria sepoltura. L'opera rivela una complessità dal punto di vista tecnico, difatti consiste di quattro figure scavate in un unico blocco di marmo, ruotanti attorno ad un asse centrale formato da Cristo e Nicodemo, nel quale si riconosce l'autoritratto di Michelangelo, che prende il posto tradizionalmente occupato dalla Madre. Cristo si accascia a terra ed è evidente lo sforzo nel trattenerlo, tanto che le figure sembrano pressate verso il basso. L'opera viene interrotta cinque anni di lavorazione. | Profeti, le Sibille e gli Ignudi Sono alti circa 3 metri e rappresentano l'intuizione e la prefigurazione del divino. Esse divengono più quiete verso il fondo, sporgendosi nello spazio inferiore. Nelle figure dei Veggenti è evidente l'uso antinaturalistico del colore che viene rivelato sotto uno strato di fumo e vernici. Nel Profeta Gioele, Michelangelo, raffigura il volto di Bramante, mentre in Geremia, raffigura se stesso. | corpi degli Ignudi sono perfetti delle proporzioni e molto dinamici nella tensione del movimento. Ognuno è dotato della propria individualità e sono espressione di un titanismo tormentato. Michelangelo dona risalto plastico evitando le ombre sfumate, che sostituisce con contrapposizioni di colore. Essi inoltre sorreggono festoni di foglie di quercia e ghiande, simboli dei Della Rovere, che indicano la potenza della Chiesa. Inoltre, un richiamo all'antichità romana è data dal disegno architettonico, simile ad una successione di archi trionfali. A Firenze per Leone X de’ Medici Nel 1512 cade la Repubblica e rientrano in città i Medici. Viene eletto Signore della città Giuliano de' Medici, verrà eletto papa il fratello, cardinale Giovanni de' Medici, verrà eletto papa l'anno successivo con il nome di Leone X. La prima opera importante affidata da Leone X a Michelangelo è un progetto di architettura ossia la facciata della Chiesa di San Lorenzo a Firenze. La scelta presenta un significato politico: se Roma è la capitale dello Stato Pontificio, Firenze è la città dei Medici, unite per la prima volta. Per la chiesa di ‘famiglia’ Michelangelo immagina una facciata con dieci statue e numerosi rilievi, sia in marmo che in bronzo. Nonostante la scelta dei materiali, Leone X rescinde il contratto. Nello stesso anno Michelangelo riceve l'incarico di realizzare, nella stessa chiesa, una seconda sagrestia che viene posta di fronte a quella di Brunelleschi, che verrà denominata Sagrestia Vecchia. La Sagrestia Nuova avrebbe dovuto contenere quattro tombe: quella di Lorenzo Duca di Urbino e Giuliano Duca di Nemours e le tombe di Lorenzo e Giuliano de' Medici già sepolti in quella Vecchia. Michelangelo riprende la pianta quadrata e le dimensioni, di Brunelleschi ma il risultato è completamente diverso: le pareti sono mosse da accentuati aggetti e dalle cavità delle nicchie, mentre la pietra serena risalta dal fondo con un effetto complessivo di movimento plastico. Sovrapposte alle porte vi sono edicole vuote in marmo bianco con timpani arcuati. Le tombe di Lorenzo Duca d'Urbino e Giuliano Duca di Nemours si fronteggiano e presentano nella parte superiore le loro figure incassate entro a delle edicole con paraste binate. Ludovico viene rappresentato come uomo malinconico e Giuliano come capitano dell'esercito pontificio che sostiene con fierezza il bastone del comando. In basso il sarcofago di Lorenzo presenta il Crepuscolo e l’Aurora: il primo con la testa non finita e la seconda che si risveglia dal suo sonno e su quella di Giuliano si trovano la Notte e il Giorno che appare abbagliato dalla luce. La Biblioteca Laurenziana Alla fine del 1521 muore Leone X e nel 1523 viene nominato papa Giulio de' Medici, con il nome di Clemente VII. A quella delle tombe medicee vi è anche la commissione per la Biblioteca Laurenziana, alla quale si intende dare sistemazione della vasta raccolta della famiglia Medici e aprirla alla consultazione degli studiosi. La biblioteca si dispone su un'ala del chiostro con uno sviluppo longitudinale e illuminazione da entrambi i lati. Però concepisce una sala unica e per raggiungerla è necessario attraversare il vestibolo. Questo è uno spazio quadrato con sviluppo verticale ricco di soluzioni innovative. La porzione inferiore è suddivisa in specchiature sporgenti e rientranti, individuate da cornici in pietra. Esse ospitano delle mensole che sembrano sostenere le colonne soprastanti, alle quali si alternando finestre che sostengono un timpano triangolare molto sporgente. La scala, invece, è al centro del vano ed è suddivisa in tre rampe nella parte inferiore. Quando Michelangelo lascerà Firenze nel 1534 aveva concluso la sala di lettura, mentre il ricetto sarà completano da Niccolò Tribolo e la scala da Bartolomeo Ammannati. L'ultimo periodo romano Il grande affresco con il Giudizio Universale fu voluto da Clemente VII e comportò la distruzione dell'Assunzione della Vergine del Perugino. Qui si esprime una concezione tragica del destino dell'uomo, ed è priva di riferimenti spaziali con un moto vorticoso e continuo, che ha fulcro della figura di Cristo Giudice, con il quale separa i beati a sinistra e dei dannati a destra, creando una doppia direzionalità. Accanto a Cristo, la Vergine e i santi attendono l'esito del Giudizio. In basso Caronte, colpisce i dannati conducendoli da Minosse e al di sotto, gli angeli dell'Apocalisse destano i morti con le loro tombe. L'attenzione di Michelangelo è rivolta al corpo umano fissato in numerose varianti espressive, ma diviene testimone di incertezza del proprio destino dinanzi alla potenza dell'ira divina. L'affresco subì diverse critiche, anche da Biagio di Cesena, al quale Michelangelo rispose ritraendolo nelle fattezze di Minosse. Gli attacchi diffamatori portarono alla censura del Giudizio da parte di Daniele Volterra. | progetti di architettura Michelangelo fu impegnato anche della sistemazione di Piazza del Campidoglio, risistemata intorno alla Statua equestre di Marco Aurelio e il progetto capovolge l'orientamento della piazza rivolgendola verso il vaticano. Inoltre sfrutta la posizione di Palazzo dei Senatori e Palazzo dei Conservatori inserendo un nuovo edificio simmetrico all'ultimo: Palazzo Nuovo. Sul selciato della piazza è disegnata una forma ovale che si sviluppa a partire dal basamento della statua e ospita una configurazione stellare. Il progetto di Bramante per la Basilica di San Pietro subì diverse variazioni dove Michelangelo propone un edificio a croce greca, inscritto in un quadrato. La Cupola di San Pietro presenta affinità con il prototipo brunelleschiano ma è esaltata la componente classica dalla sua monocromia. Raffaello Sanzio Al suo tempo era apparso come colui che aveva saputo, più di tutti, sintetizzare Natura e Classicismo; le sue opere esprimono i principi di ordine formale che erano alla base del pensiero umanista, arricchiti da una naturalezza e raffinata spontaneità espressiva. Egli condivide le ricerche sul recupero dei modelli classici, considerandoli come punti di riferimento per il presente. Non stupisce che sia stato l'artista prediletto dei papi per la sua capacità di tradurre concetti complessi e verità religiose, non dimostrabili, in forme chiare e coerenti. Raffaello, inoltre, mostra la tendenza a semplificare le composizioni e le sue immagini mostrano una realtà idealizzata. Raffaello Santi detto Sanzio visse il primo periodo di formazione presso il padre che era a capo di una fiorente bottega operante per la corte di Urbino. Una delle personalità artistiche che influisce su Raffaello è sicuramente Pinturicchio, con il qual collabora per l'affresco della Libreria Piccolomini nel Duomo di Siena. Conclude la sua fase di formazione lo Sposalizio della Vergine, sua prima opera autografa: il tempio circolare sullo sfondo presenta sull'architrave la firma ‘Raphael Urbinas', mentre sui pennacchi dell'arco al di sotto è riportata la data 1504 in numeri romani. Raffaello riprende un motivo iconografico elaborato da Perugino nella Consegna della Chiavi e nell'omonimo quadro. La scena si svolge su una piazza dominata, sul fondo, da un tempio con un portico a sedici lati e sormontato da una cupola emisferica ed è evidente il riferimento al Tempietto di San Pietro in Montorio, opera della tipologia a pianta centrale. Il tempio è ingentilito dalle volute che raccordano il porticato al tamburo sovrastante e le porte aperte donano respiro alla scena. Raffaello supera lo schematismo di Perugino alzando il punto di vista e accorda la parte alta del dipinto a quella in primo piano, mediante le figure scalate nelle dimensioni e le tarsie pavimentali. Nello Sposalizio egli esprime l’idea di armonia poiché alla natura perfetta si unisce una perfezione ideale. Nell'impianto radiale ogni elemento trova il proprio ruolo fuso da colori chiari, le quali tonalità sono graduate da una luce uniforme. Le figure sono prive di tensione ma presentano una spontaneità che testimonia gli studi dal vero e sui modelli antichi. A Firenze, alla fine del 1504, Raffaello non ricevette incarichi pubblici, ma fu impegnato nella produzione di ritratti e opere a sfondo sacro. Egli cercò di rappresentare la grazia e la naturalezza che erano elementi distinti dalla pittura umbra. Esemplare è in questo senso il tema della Madonna con il Bambino, attraverso il quale verifica il rapporto tra figure e spazio e le attitudini dei singoli personaggi. Il suo punto di riferimento è il Cartone di Sant'Anna di Leonardo, di cui ne colse l'espressione intima dei volti e delle pose. Nella Madonna del Cardellino i personaggi sono modellati attraverso lo sfumato: Maria interrompe la lettura per rivolgere lo sguardo a San Giovannino che porge al Figlio un cardellino, simbolo della Passione. Nei ritratti di Raffaello sa rendere la realtà psicologica delle persone raffigurate: nel Ritratto di Agnolo Doni, si rappresenta il rango del personaggio attraverso gli abiti e gli ornamenti, ma nel volto si coglie la personalità capace di gestire gli affari, così come il colto rappresentante della borghesia fiorentina. Il paesaggio richiama gli sfondi di Piero della Francesca, filtrati dalla resa atmosferica di Leonardo. Trasporto di Cristo Morto La notte tra il 14 e il 15 luglio 1500 Grifonetto Baglioni, assieme ad altri due congiurati uccise Guido, Astorre, Simonetto e Gismondo Baglioni. Pochi giorni dopo venne a sua volta ucciso dai soldati del cugino Gian Paolo, scampato alla strage e divenuto signore di Perugia. L'opera, nota anche come Pala Baglioni, venne commissionata da Atalanta, madre di Grifonetto, che dopo aver condannato il figlio per tradimento, raccoglie la sua richiesta di perdono e fece realizzare la pala con il Trasporto di Cristo Morto. Raffaello si misura con un tema che implica l'organizzazione di più figure che manifestano attitudini differenti. L'artista si misura con la rappresentazione del dramma, espresso attraverso le pose dinamiche e la divergenza dei corpi. Il pàthos si attenua in un dolore interiorizzato, dove la rassegnazione muta culmina nel gruppo a destra delle Pie Donne. Nel dolore di Maria si allude al dolore di Atalanta per il figlio. Si richiamano anche elementi tratti da Michelangelo nel braccio abbandonato di Cristo, che riprende la Pietà e nella donna all'estrema destra che riprende la posa a serpentina della Vergine. Gli anni romani Raffaello fu chiamato a Roma nel 1508 per il cantiere delle Stanze Vaticane e venne subito impegnato nella Stanza della Segnatura, con assegnato l'intero ciclo pittorico. | lavori lo impegnarono dal 1508 alla morte, nel 1520. Sotto Leone X proseguì la decorazione anche delle Logge Vaticane. Alla morte di Bramante ne prese il posto come architetto nella Fabbrica di San Pietro e nel 1515 fu nominato Sovrintendente ai ritrovamenti archeologici dell'Urbe. movimento di Maria che culla il Figlio e, allo stesso tempo, la linea verticale della spalliera stabilizza la composizione. L'ultimo dipinto del maestro è la Trasfigurazione per il cardinale Giulio de' Medici: la composizione è divisa in due parti, con il soggetto principale posto superiormente. Nella parte inferiore si trovano la folla degli apostoli che assistono all'evento e l'episodio della guarigione del fanciullo indemoniato. La composizione è grandiosa, esaltata dal contrasto tra il dinamismo e la concitazione emotiva del registro inferiore e la solenne levità delle figure sacre ascendenti: esse sono unite dai gesti dei personaggi. L'osservazione delle due scene implica due punti di vista da parte dell'osservatore: la scena della Trasfigurazione, solenne e immersa in una calma contemplativa, va osservata da lontano, mentre la parte sottostante spinge ad avvicinarsi per cogliere la drammaticità della scena. | corpi sono plastici e lo si vede nelle torsioni delle figure, soprattutto quella femminile inginocchiata in primo piano. LA MANIERA MODERNA A VENEZIA Tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento, Venezia ha un'ampia produzione artista e continua ad affermare la sua autonomia dalla Chiesa di Roma, divenendo un punto di riferimento della cultura laica per gli intellettuali. Ruolo fondamentale gioca l'editoria con Aldo Manuzio, il quale pubblica a partire dal 1494 decine di testi in greco, latino e lingua volgare. L'arte veneziana affianca ai soggetti sacri temi profani, spesso di matrice letteraria. La pittura in particolare sottolinea il tema dell'unità tra uomo e natura. Viene confermato il ruolo del colore che si sostituisce con al disegno nel ricostruire i volumi. La lezione leonardesca della fusione atmosferica tra forme e ambiente viene ridotta attraverso la pittura tonale sfruttando la tecnica ad olio e le sue velature sovrapposte così da terminare gli effetti di chiaroscuro e di profondità. | principali protagonisti, insieme a Bellini, sono: Giorgione, Vecellio, Tintoretto e Veronese. Giorgione da Castelfranco La figura di Giorgione ci giunge attraverso poche informazioni storiografiche, poiché nessuna fonte indica la sua data di nascita o la famiglia di appartenenza e non si conoscono i passaggi della sua formazione veneziana. Così come il catalogo delle sue opere è ridottissimo. Giorgione scompare a causa della peste nel 1510, ma durante la sua vita ha avuto grande peso la sua connotazione di artista in circoli umanisti elitari e la sua fama di cultore di musica e poesia. Giorgione operò per una committenza privata e colta e prediligeva caratteri di piccola dimensione, adatti al collezionismo. Certamente gli fu data carta bianca per la scelta di soggetti e nel modo esecutivo: affronta prevalentemente soggetti profani come ritratti, allegorie, soggetti mitologici e legati alla letteratura e filosofia di quel tempo. Probabilmente, la dispersione delle sue opere è tratta proprio dal loro carattere non celebrativo. Elemento costante in esse è la sensibilità della natura che è resa attraverso la pittura tonale, dove il colore diviene il soggetto dell’opera. In questo modo egli fonde soggetto e ambientazione. Non rinuncia però al disegno come dimostrano alcune radiografie, che serviva a precisare l'insieme e le singole figure nel corso dell'opera, in caso di variazioni del progetto iniziale. La Pala di Castelfranco segna la maturazione dell'artista, dove sintetizza le esperienze prospettiche e naturalistiche, con impianto a forma piramidale. Il trono rialzato e il punto di fuga elevato portano lo sguardo verso il fondo, sulle colline venete. Il paesaggio campestre emana una luce calda e pulviscolare che si diffonde nello spazio e sfoca gli oggetti sui quali si posa. L'atmosfera malinconica, forse, allude che il dipinto sia stato realizzato in memoria di Matteo Costanzo, figlio del committente, e a questo alludono in modo esplicito il sarcofago di porfido rosso posto alla base del trono con lo stemma della famiglia e l'identificazione del personaggio in armatura con San Nicasio, patrono dell'ordine di cui Matteo faceva parte. Dal 1500 Giorgione opera una svolta in senso tonale e sperimenta lo sfumato. Nei suoi ritratti domina lo sfondo scuro senza ambientazione e le figure hanno espressioni indecifrabili, questo si può spiegare con l'influenza di Leonardo. Attraverso questo genere, sviluppa due tipi di indagine: sulla luce e sui ‘moti dell'animo’. Il Doppio ritratto Ludovisi è il primo quadro che rappresenta due persone che emergono senza che il personaggio si riveli completamente. Il giovane in primo piano ha lo sguardo perso nel vuoto e sorregge il capo con la mano, simbolo della nostalgia amorosa. La luce rivela solo una parte dei suoi lineamenti, lasciando il resto nell'ombra. Alla stessa serie di opere corrispondono anche La Tempesta e | tre Filosofi. Quest'ultima ha un significato ancora discusso, poiché non si è arrivati ad una conclusione definitiva. Si dice tratti le tre età della vita, del sapere, o delle grandi religioni monoteiste, o ancora i tre Magi che cercano di decifrare il momento del passaggio della cometa. Quest'ultima ipotesi può realizzarsi per la presenza di una pianta di fico e una di edera, che alludono alla rinascita promessa dalla venuta di Cristo. | personaggi però non rappresentano il fulcro del quadro per le loro posizioni e direzioni di sguardi. Protagonista è la natura che occupa la parte centrale del dipinto con alberi che continuano oltre la cornice. A sinistra vi è una caverna buia i cui margini delimitano, forse, una sfinge. La Tempesta La tela è stata, anch'essa, oggetto di varie interpretazioni, tanto che viene considerata uno dei più grandi enigmi della storia dell'arte occidentale. Ma una delle ipotesi più diffuse è quella che vede Adamo ed Eva cacciati dall'Eden: la donna allatta Caino e sulla sinistra Adamo è in vesti veneziane. Sullo sfondo il Paradiso con le rovine tra le quali scorre uno dei rami del Paradiso e il fulmine che rappresenta l'ira divina. Si allude anche alla lettura del mito di Padova: sulla torre destra sono presenti lo stemma dei Carraresi, Signori della città fino al 1405, e della Serenissima. Secondo questa lettura il soldato è Antenore, guerriero fondatore della città, mentre alle sue spalle vi è la caduta di Troia. Di fatti la leggenda narra che egli avesse stretto accordi con i Greci e che da questi ultimi sarebbero derivate le sciagure subite da Padova. L'opera ha quindi protagonisti incerti e forse è solo un'anticipazione del capriccio. Colpisce l'opposizione tra il moto improvvisato del lampo e la calma dei personaggi. La tempesta è annunciata, quindi, dalla folgore e rappresenta il rinnovamento della natura secondo i suoi cicli originari, e la pioggia l'elemento che unisce cielo e terra. Tiziano Vecellio Giorgione non lascia una bottega, a Venezia, ma pittori con i quali collaborava tra cui Tiziano. Questi si distingue per la sua autonomia stilistica e riceve commissioni private anche da marcanti d'Oltralpe, soprattutto come pittore di paesaggi. Nel 1510 si trasferisce a Padova per sfuggire alla peste e realizza tre affreschi della vita di Sant'Antonio dove la drammaticità e il colore decretano il successo dell'artista. Tiziano fu avviato alla bottega molto presto, dove incontra Giorgione e le testimonianze del tempo permettono di individuare già i tratti salienti: forza vitale e un colore plastico di cui esalta la forza drammatica. Assieme al suo ruolo pubblico approfondisce l'interesse negli ambienti umanistici del ricco patriziato, con opere di carattere allegorico a sfondo pastorale, musicale e amoroso. In queste l'amore è celebrato come ‘amore buono' e l'armonia musicale allude a quella universale. Il tema della musica si collega al Concerto Campestre che mostra due eleganti giovani di città e due fanciulle svestite. Il giovane al centro suono il liuto e la fanciulla alle spalle il flauto mentre l'altra donna a destra lascia scorrere l'acqua in una fonte alludendo alla fusione tra componente terrena e spirituale. L'allegoria amorosa, invece, la troviamo nell’Amor Sacro e Amor Profano, realizzato in occasione delle nozze tra Niccolò Aurelio e Laura Bagarotto. Due figure femminili, simili nel volto, siedono su una fonte decorata a bassorilievo con lo stemma degli Aurelio. Lo stemma dei Bagarotto è riconoscibile nel bacile posato sul bordo. A sinistra siede la Venere terrena e a destra la Venere Celeste che innalza una lucerna. Cupido mescola l'acqua e simboleggia la conciliazione tra i due amori antitetici ed il contrasto tra morte e vita. In quegli stessi anni Tiziano otterrà anche le prime commissioni religiose nella pala dell'Assunta e la Pala di Pesaro. Nella prima la scena si organizza su tre registri sovrapposti e divisi dalla luminosità del cielo e dalla luce divina. In basso, gli apostoli assistono all'evento e Maria è in piedi sulle nuvole, tra gli angeli in semicerchio. Il alto la figura del Creatore è asimmetrica rispetto all'asse verticale. Tiziano crea un'imponente rappresentazione carica di tensioni emotive, infatti l'opera rappresenta il capolavoro della fase ‘classica’ dell'artista. Qui vuole colpire lo spettatore emotivamente attraverso l'alternanza del verde e rosso. Uno viene usato a partire dai due apostoli in basso, nello schema piramidale che culmina con Venere e si conclude con Dio Padre. Nel 1518, invece, si realizza la Pala di Pesaro, da Jacopo Pesaro che aveva riportato una vittoria navale sui turchi. Questo episodio richiama la presenza di due schiavi turchi e del vessillo con le insegne dei Pesaro e dei Borgia. Tra tutti i presenti colpisce il ritratto di Leonardo, figlio di Jacopo, che rivolgendo lo sguardo all'esterno richiama lo spettatore nello spazio dipinto. Si sceglie una prospettiva non centralizzata con linee inclinate. La figura della Madonna non si trova al centro e le colonne dilatano verticalmente la scena. Nel corso degli anni trenta Tiziano sperimenta le possibilità espressive del colore, dove gli scorci prospettici, le pose, il chiaroscuro si traducono in nuove ricerche. Inoltre, rinuncia al disegno. Confrontando due opere di analogo soggetto è d'aiuto per rappresentare Giorgione e Tiziano e differenziarli. La Venere Dormiente richiama la delicatezza di Giorgione, dove la Venere contemplata nel sonno è immagine ideale nella natura quiete. La Venere di Urbino, invece, è attribuita a Tiziano. La dea porge lo sguardo allo spettatore e perde la delicatezza trasformandosi in un simbolo di concreta e consapevole sensualità. Intorno alla metà del secolo, Tiziano, si allontana dal classicismo monumentale ed il suo gesto pittorico si fa più rapido, il colore viene abbassato da toni opachi o arricchito da lumeggiature abbaglianti ed è utilizzato con rossi e terre. | volumi giungono a sfaldarsi e ad accogliere una luce improvvisa che si evolve in tensione drammatica. Tiziano iniziò nell'ultimo periodo le dita per valorizzare la materia, lasciando scoperte alcune parti della tela, tornando nelle zone utilizzate più volte. Nell'/ncoronazione di spine, fonte luminosa è data dal lampadario di luci ad olio. La figura di Gesù è sovrastata dagli aguzzini, dai quali partono le linee dinamiche. La forma emerge da un fondo cupo da tocchi di colore macerato. Anche nella Pietà comunica questo sentimento estremo, dove il dipinto diviene una richiesta di protezione dalla peste che aveva colpito Venezia. Tiziano si ritrae al suo interno come un vecchio di fronte a Cristo morto e la Maddalena è una figura tragica nel disperato dolore. Tiziano inoltre si affermò fin dagli esordi come ritrattista dell’aristocrazia veneziana, capace di analisi psicologica. Lo schema è quello della mezza figura o della figura intera. Spesso il personaggio emerge da fondo nero o scuro, con il volto investito da una luce centrale. degli /gnudi di Michelangelo. L'insieme costituisce la dilatazione dello spazio che non coincide più con la curvatura della cupola. San Giovanni assiste all'evento da sotto una nuvola al limite del tamburo e in questa posizione sembra scorciato. La sua espressione è sconvolta poiché è l'unico a vedere Cristo. Il superamento della concezione prospettica avviene nella Cupola del Duomo di Parma con il tema dell'Assunzione della Vergine, dove l'impianto è più libero, con un effetto di movimento turbinoso che trascina il fedele in un vortice. Via via le figure sono sempre meno distinguibili e compongono una folla frenetica, con guizzi e rotazioni. Correggio rende difficile anche l'individuazione del soggetto principale che è la Vergine assunta in cielo. Le nubi separano il mondo dell'uomo verso il basso e quello divino. Con quest'opera apre la strada alle sperimentazioni illusionistiche del Manierismo. La decorazione della Camera della Badessa rappresenta il primo dei grandi interventi a Parma. Essa riguarda la volta e il camino. La prima ombrelliforme era già divisa in sedici spicchi che Correggio utilizza per ottenere un effetto illusionistico, egli dipinge la volta simulando un fitto pergolato sorretto da un graticcio di canne, con festoni di frutta legati a dei nastri. Negli spicchi ci sono sedici ovati con putti in atteggiamento giocoso. Alla base di ogni spicchio si presenta una lunetta con figure classiche a monocromo. Esse poggiano su un fregio che percorre le pareti della stanza ed è composto da teste d'ariete tra le quali è teso un telo bianco. Il fregio è interrotto dal camino, sulla cui cappa è raffigurata la dea Diana che parte per la caccia. In lei viene identificata la Badessa il cui stemma è richiamato dal diadema con la mezza luna. IL CINQUECENTO IN EUROPA CENTRO-SETTENTRIONALE Negli ultimi anni del Quattrocento la cultura umanistica e il Rinascimento italiano si diffondono nelle città della Germania del Sud. A Basilea operano gli Holbein, mentre Innsbruck è sede di arrivo per personalità come Dùrer, Altdorfer, Cranach e Burgkmair, che segnano la breve fortuna della città. I| Rinascimento tedesco coincide con i primi trent'anni del Cinquecento e con la Riforma Luterana e Calvinista che si inseriscono in un contesto già segnato da contrasti. Il Rinascimento tedesco fiorisce e si consuma in una stagione breve ma intensa, nata per il voler sanare la frattura tra l'utopia umanistica e la concretezza della storia. Albrecht Dùrer Viene considerata una personalità artistica complesse e un sensibile interprete del proprio tempo. Egli affronta questioni di estetica, religione e di morale. Nell'evoluzione del suo stile sono stati fondamentali i due soggiorni a Venezia e si può affermare che la sua arte sia segnata dall'incontro tra il Realismo nordico e il Classicismo italiano con una ricerca della bellezza e dell'ordine razionale. | suoi personaggi acquisiscono forme nobili e si inseriscono entro spazi con il rigore della prospettiva, mentre i ritmi sono controllati. Eppure anche nelle sue opere monumentali emerge un'acutezza psicologica. AI suo ritorno nella città natale, Norimberga, opera alla corte di Massimiliano | e le sue opere rispecchiano la fatica dell'uomo di fronte ai rivolgimenti in quel momento in Europa: un tentativo estremo di fra prevalere l'intelletto sulla violenza. La sua ultima opera pittorica, / quattro Apostoli, esprime questa fusione tra formali interiore e ricerca spirituale. , tensione Anamorfosi: l'immagine appare distorta frontalmente, e si possono ottenere per proiezione o riflessione. A Basilea operano Hans Holbei jovane e il Vecchio, padre del primo, artista tardogotico aperto alle influenze rinascimentali. Egli opera sintetizzando il naturalismo italiano, l'oggettività analitica dei Fiamminghi e il realismo della tradizione nordico giungendo al superamento degli aspetti tedeschi. | suoi ritratti fanno risaltare il rango degli effigiati, ma presentano sottili allusioni morali, come risulta nella tavola Gli Ambasciatori, con le prime figure intere a grandezza naturale. In area fiamminga emerge Hieronymus Bosch il quale mondo è irrazionale e incontrollabile, dominato dalla follia, dall'istinto e dai vizi. La sua pittura ha radici nella tradizione fiamminga con le ‘diavolerie’ di cultura popolare, con risvolti grotteschi, inquietanti e surreali. La visione del mondo che emerge dai suoi dipinti è pessimistica e impietosa entro composizioni unitarie, nelle quali inserisce esseri reali e immaginari, creature mostruose che si oppongono a quelle aggraziate tardogotiche, o ai paesaggi paradisiaci. Ciascun elemento è descritto con lucida precisione e valutazione della condizione umana. La sua produzione può essere distinta in due fasi principali: la prima giovanile, caratterizzata da una solidità nella costruzione delle forme e ampie stesure cromatiche. In queste tavole emerge l'attenzione ai dettagli e la tendenza a concentrarsi su temi relativi alla realtà dell'uomo. Questi caratteri si esprimono al meglio nella seconda fase nel Trittico delle delizie che presenta una struttura a due ante richiudibili e sono dipinti su entrambe le facciate, questo schema è utilizzato sia per temi sacri che profani. Questo trittico sviluppa il tema dell'aspetto del mondo alle origini. Ad ante chiude compone la Terra nel terzo giorno della Creazione, vista come un globo trasparente. Ad ante aperte, la parte sinistra rappresenta Adamo ed Eva in un surreale Paradiso. Il pannello centrale mostra un giardino con una moltitudine di uomini e donne, animali e piante esotiche. A destra l'/nferno con un'atmosfera dell'orrore delle punizioni inferte dai grilli diabolici. L'uomo-albero richiama la fragilità delle passioni umane. Pieter Bruegel il Vecchio è l'erede spirituale di Bosch. Egli crea composizioni con tante figure, sia nei soggetti sacri che profani che vengono ambientati in contesti popolari. Dello splendido ciclo delle Stagioni restano cinque tavole e si vede nella rappresentazione di luoghi e del lavoro cittadino un sentimento di natura tra dimensione epica e quotidiana. L’ETA’' DEL MANIERISMO Con il termine Manierismo si indica il periodo dal terzo decennio del Cinquecento alla fine del secolo, caratterizzato da un'instabilità politica. Vediamo Firenze che vive anni incerti, Roma che radica un intenso fervore creativo, ma che termina con il Sacco di Roma, quando la città viene assalita da delle truppe con soldati spagnoli, ex soldati dell'esercito pontificio e mercenari tedeschi luterani. Dopo di questo, la ricostruzione della città durò decenni. Manierismo deriva da ‘maniera' a cui veniva genericamente dato il significato di ‘stile’. Giorgio Vasari traccia un'arte basata sul progresso verso la perfezione e a questo scopo individua le tre maniere dell'arte, di cui la Terza è quella insuperabile. Essa prende avvio con Leonardo. Il Manierismo coincide con la fase in cui gli artisti assumono come modello l'arte dei maestri, considerata più elevata della natura. In Età neoclassica quest'arte è considerata come responsabile della crisi artistica del secondo Cinquecento, giudizio che si elabora quando le Avanguardie portano al recupero delle forme espressive che si distanziano dal rigore classico. Il manierismo, dunque, comprende espressioni che si sviluppano tra il 1520 e la fine del XVI secolo. Distaccandosi dalle regole, i principi dell'arte manierista non riguardano più la perfetta imitazione della natura che, anzi, vengono declinati con libertà. Questa è un'arte antinaturalistica che favorisce una dimensione soggettiva. L'opera manierista presenta uno spazio dissolto o articolato dove le figure sono lontane dalle dimensioni canoniche e hanno una bellezza eterea. Questo stile si differisce dal punto di vista tecnico e tematico nel prediligere allegorie religiose spesso lontane dal mondo reale. La fase iniziale del Manierismo si presenta a Firenze con artisti come Andrea del Sarto, Jacopo Pantormo e Rosso Fiorentino, periodo che viene definito dello ‘sperimentalismo anticlassico' e si manifesta attraverso immagini volte all'astrazione e colori irreali. Da Firenze si diffonde in area centro-settentrionale con maggiore fortuna in Lombardia. Con il Sacco di Roma si entra in piena fase manierista, poiché la caduta della città provoca una disputa tra gli allievi di Raffaello che mettendosi a disposizione delle corti signorili diffondono la maniera in Italia e Europa. In quest'ultima il manierismo diviene autocelebrazione dell’aristocrazia. Tra gli esponenti con un linguaggio classico ed equilibrato troviamo Andrea del Sarto, capace di fondere le lezioni dei Maestri nella sua arte. Il suo primo grande impegno sono gli affreschi nel Chiostro della Santissima Annunziata a Firenze e la decorazione nel Chiostro dello Scalzo. Il suo linguaggio è fluido dal punto di vista narrativo, ma contiene una malinconia negli sguardi dei personaggi e nello sfumato. Aspetti che emergono nel Compianto su Cristo Morto, che mostra un allontanamento dai rapporti cromatici accesi e innaturali. Questi caratteri saranno fondamentali in due suoi allievi: Pontormo e Rosso Fiorentino. L'arte di quest'ultimo è rivoluzionaria, il suo linguaggio ha soluzioni espressive, ma trasgredisce gli schemi. Egli pone immagini spigolose e taglienti, esasperate dai colori contrastanti. L'artista assimila il modello e lo deforma, come si vede nella Deposizione della Croce. Qui l'ordine geometrico viene intralciato dalla croce e dalle scale, spezzato dall'intreccio di figure. Lo spazio è compresso ai limiti della tavola. Le figure sono scheggiate come figure lignee e luce ed ombra occupano zone distinte da netti contrasti. Pontormo era un uomo introverso e dalla sensibilità tormentata. La sua ricerca è antinaturalistica, con composizioni instabili e colori irreali. L'evoluzione nelle Storie della Passione di Cristo sottolinea la complessità delle sue narrazioni, la tensione espressiva delle figure, spigolose e allungate e compone un incastro di forme senza logica spaziale. Nel Trasporto di Cristo al sepolcro l'artista riprende il motivo di Raffaello, ma qui i personaggi si sovrappongono senza una gerarchia, annullando lo spazio. Le figure sono posate su piani non visibili e hanno pose incerte, che rappresentano il dramma con l'incredulità dei loro sguardi. | colori sono cangianti e quasi indistinguibili le parti tra luce e ombra. La diffusione del Manierismo romano a Mantova Gli allievi di Raffaello operano a Roma fino al Sacco della città e Giulio Romano viene impegnato nella realizzazione di Palazzo Te, e avvia la diffusione del linguaggio della Maniera. A Mantova la Maniera Moderna viene introdotta come elemento per riscattare il ruolo della corte. Federico Il vuole promuovere la propria immagine e affida all'architetto progetti anche decorativi. Tra gli interventi architettonici ci sono Cortile della Cavallerizza e Palazzo Te. Esso nasce come dimora suburbana e si tratta di una villa di svago in cui soggiorneranno anche personaggi importanti come Carlo V. Romano crea un edificio come le antiche domus, con un solo piano con pianta quadrata intorno ad un cortile. Dall'altra parte dell'entrata si apre un giardino che poi verrà delimitato con bugnato rustico. Le facciate esterne sono tutte diverse così come quelle interne, dove i motivi classici sono usati giocando sul rapporto tra artificio e natura. Il linguaggio è teatrale e ironico ed esemplari sono la Stanza dei Cavalli, la Camera di Amore e Psiche e la Camera dei Giganti, dove non si differisce soffitto e pareti. L'intera stanza sembra crollare a causa dell'ira di Giove e degli dei olimpici. Le immagini dei Giganti sono fuori scala e sembrano invadere il nostro sguardo. Tra le opere di grande formato troviamo il Ratto della Sabina che presenta tre corpi a serpentina: una figura vecchi quasi calpestata dal giovane che cerca di rapire la fanciulla. Il movimento termina proprio nella mano di lei ed è un gruppo marmoreo visibile da qualsiasi punto di vista. IL MANIERISMO A VENEZIA Nel 1523 viene eletto doge di Venezia Andrea Gritti che promosse una cultura volta al rafforzamento dell’immagine della città. Venezia era uno dei centri di maggiore forza, con collaborazione di artisti che si traduce in un esempio di irradiazione del linguaggio tosco-romano in confronto con il gusto decorativo della tradizione lagunare. Paolo Veronese Il vitalismo trionfante dei dipinti di Veronese celebra il clima di stabilità politica ed economica della città e testimonia il bisogno di esorcizzare i timori dati dalla minaccia turca. Veronese ha saputo mostrarsi fantasioso e capace di intensi slanci patetici. Egli nasce a Verona dove il linguaggio si confrontava con gli spunti manieristici e in questo contesto si orienta verso una maniera che fondeva suggestioni venere nell'uso del colore, romani nell'articolazione delle figure ed emiliane nell'eleganza dei volti. Su tutto emergono già due aspetti tipici dell'opera del pittore: uso dei colori e competenza prospettica. Nel 1553 giunge a Venezia dove realizza alcune grandi tele per la Sala dei Dieci in Palazzo Ducale. Dipinge per la Sala del Consiglio dei Dieci alcuni monocromi e quattro tele tra cui Giunone versa i suoi doni su Venezia e Giove scaccia il vizio. Tutti i dipinti sono caratterizzati da un'intensa luminosità data dall'uso timbrico del colore poiché non costruisce le forme tono su tono ma procede per accostamenti che si esaltavano a vicenda. Attraverso questo metodo il pittore porta in primo piano i personaggi principali facendoli risaltare su fondo chiaro. Nel 1558 il pittore inizia la decorazione della sagrestia e della Chiesa di San Sebastiano comprendendo Storie dell’Antico e Nuovo Testamento, Storie della Vergine e figure sacre e allegoriche. Sviluppa anche una ricerca illusionistica dilatando lo spazio attraverso l'inserimento di scorci architettonici. A partire dagli anni Sessanta inizia l'impresa di Villa Bàrbaro dove le composizioni assumono una connotazione teatrale, sia nei soggetti storici che sacri, mitologici o allegorici: numerose figure si affollano su fondali architettonici, in risalto con i loro colori vivaci. Esemplari di questo approccio è il tema delle sacre Cene: cinque in tutto con composizioni comprendenti architetture in prospettiva e personaggi in costume cinquecentesco. Essi delineano un ritratto dell'aristocrazia veneziana. Nella Cena in casa di Levi le dimensioni sono tal che l'apparato di architetture e figure si confronta con lo spazio reale. Vi è ricchezza ornamentale e la perfetta fusione di luce e colore in larghe campiture. Tre grandi arcante fungono da fronte scenico e al centro sono poste figure sacre. Negli anni Settanta Veronese si dedica anche alla pittura profana con soggetti mitologici e temi amorosi e nel frattempo decora Palazzo Ducale: l'ultima di questa serie è il Trionfo di Venezia. All'inizio degli anni Ottanta il clima cambia per le inquietudini portate dai contrasti religiosi e questo si ripercuote nella pittura di Veronese che semplifica le costruzioni ed elimina i virtuosismi anche riducendo il numero di figure. | colori diventano cupi e quasi innaturali. Jacopo Tintoretto Artista famoso per l'ingegno e la sua versatilità che unisce il colore al disegno. Egli si connota per la componente teatrale e la sua gestualità intensa, il dinamismo e gli effetti di luce. Tintoretto acquisisce visibilità sulla scena artistica veneziana grazie al telero con il Miracolo dello schiavo che suscitò un vivo interesse: essa rappresenta la consacrazione del giovane artista. Qui mostra di saper realizzare effetti immediati scardinando l'impostazione prospettica e introducendo soluzioni dinamiche per le singole figure. Gli incarichi più prestigiosi della sua carriera sono quelli pubblici per opere di grandi dimensioni e inseriti in cicli. Proprio in questa fase Tintoretto accentua il vitalismo delle figure con la natura che partecipa all'evento e si anima attraverso le tensioni atmosferiche con colori densi e materici. Nel Trafugamento del corpo di San Marco la pizza è come risucchiata dalla fuga prospettica. L'atmosfera tempestosa è data dai colori irreali e le figure in fuga sono rappresentate con un tratto mobile. Le architetture sono limitate al piano bidimensionale della facciata e percorsa da linee- luce. L'impegno dell'artista per la Scuola Grande di San Rocco prende avvio con il telero San Rocco risana gli appestati e quindi anni dopo gli viene assegnato l'intero ciclo. Egli esegue prima la Crocifissione larga più di 12 metri e lunga 5 in cui Cristo è al centro ed è il fulcro, mentre in un movimento circolare ci sono personaggi raccolti in gruppi. Tra il 1592 e il 1594 realizza per la Basilica di San Giorgio Maggiore le sue ultime tele. Si ricorda l' Ultima Cena dove prevale la componente miracolosa inserita in un contesto quotidiano, dentro ad un'osteria, che circonda il gruppo sacro con personaggi comuni e animali. Il taglio diagonale dilata lo spazio della sala illuminata dalla lampada a soffitto e dall'aureola di Cristo. Per realizzare i teleri Tintoretto cuciva insieme diverse pezze di lino anche se con trame differenti. Usava un fondo scuro direttamente sulla tela e le sue opere sono caratterizzate da un tocco veloce e fluido che spesso lascia evidenti le pennellate e i grumi di colore. Egli così ottiene mobilità atmosferica anche attraverso il passaggio da zone con pittura densa ad altre con trasparenze. L'ARCHITETTURA NEL CINQUECENTO A Roma il Cinquecento prende avvio con lo studio dell'architettura classica con Bramante che ne fissa i prototipi. Con il Tempietto di San Pietro in Montorio ridefinisce l'edificio a pianta circolare, mentre con Palazzo Caprini dimostra la validità del nuovo linguaggio classico: la facciata presenta al piano terra un bugnato interrotto da aperture rettangolari con lunetta; al piano superiore sono presenti semicolonne doriche binate con aperture sormontate da timpano triangolare e trabeazione dorica. Oltre alla pianta circolare, Bramante, introduce anche l'uso di materiali come il mattone, lo stucco e l'intonaco, usato per simulare il marmo. Solo attraverso dei disegni e una sola incisione, si conosce Palazzo Branconio dell'Aquila di Raffaello: la facciata presenta degli ornamenti antiquari, al pian terreno vi è una sequenza di archi inquadrata da colonne tuscaniche e al piano nobile si alternano nicchie e finestre entro edicole. A Roma la tipologia del palazzo urbano residenziale è stata oggetto di sperimentazioni, ma si possono individuare, rispetto al modello fiorentino, due varianti: quella dell'edificio isolato sui quattro lati e quella del palazzo modellato sul lotto urbano. Un esempio della prima variante è Palazzo Farnese la cui volumetria è resa nitida dagli spigoli in bugnato e dalla linea del cornicione. La facciata in intonaco è sviluppata su tre livelli distinti da cornici. Il progetto fu assegnato ad Antonio da Sangallo il Giovane e ripreso da Vignola che mantiene l'impianto pentagonale del progetto originale. | bastioni angolari diventano terrazze all'aperto e la facciata viene alleggerita dalle lesene. Il piano nobile ha due piani per la servitù ed appartamenti secondati collegati, verticalmente, da paraste. Palazzo Farnese è posto sulla città di Caprarola e si configura come conclusione di un percorso che attraversa il borgo, con terrazze e scale: la prima con bracci semicircolari e la seconda a doppia rampa. Baldassarre Peruzzi è una figura di primo piano in questo periodo e a Roma realizzò Palazzo Massimo delle Colonne sulla base già esistente che richiama l' Odeon. Egli lo ampliò e diede un aspetto curvilineo, esso occupa un lotto irregolare e allungato. La facciata viene estesa lateralmente e introduce un porticato al piano terra scandito da colonne tuscaniche binate. La parte superiore risalta rispetto alla zona del portico, con il rivestimento in marmo travertino. Altro progetto di Peruzzi è la Villa Farnesina che presenta un impianto a ‘U' la cui parte centrale inquadra il giardino. L'edificio si sviluppa su due piani scanditi da cornici e lesene tuscaniche. Non si hanno rivestimenti ma un'intelaiatura entro membrature che richiama la formazione tuscanica. Vignola a Roma realizzò Villa Giulia per il pontefice Giulio III. Il progetto è organizzato su un asse longitudinale dove si dispongono la parte residenziale e una successione di spazi aperti. Il fronte principale presenta due piani ed è tripartito verticalmente risaltando l'ingresso. Nella stagione manierista Villa Medici al Pincio rappresenta la tendenza decorativa e archeologizzante della cultura del tempo. | lavori vennero assegnati a Bartolomeo Ammannati che concepì la facciata verso il giardino dove espone statue e rilievi antichi. Qui, con gli ornamenti, scompare il principio classico della partizione della facciata attraverso l'applicazione degli ordini. Il modello della chiesa a pianta centrale L'interesse per il modello sacro ha le sue origini nell'idea di perfezione associata a organismi centralizzati dell'Età classica e da Vitruvio che aveva individuato nella forma umana inscritta nel cerchio e nel quadrato delle corrispondenze da poter usare anche in architettura. Le chiese di Santa Maria della Consolazione e di San Biagio sono considerate emblemi degli studi rinascimentali. Della prima non si conosce l'architetto ma ha visto l'intervento di numerosi artisti, essa presenta un corpo a pianta quadrata scandito da pilastri angolari e sostiene un tamburo cilindrico concluso da una cupola. Ad esso si aggregano quattro absidi identiche, percorse da lesene corinzie. La Chiesa di San Biagio si deve ad Antonio da Sangallo il Vecchio che ha rielaborato i progetti di Santa Maria delle Carceri e la Basilica di San Pietro, semplificandoli. Essa ha pianta a croce greca sormontata da una cupola su tamburo cilindrico, il corpo centrale emerge nella parte superiore, mentre i quattro bracci danno simmetricamente lo stesso schema. Venezia: Sansovino e Sanmicheli A Venezia, protagonista in ambito architettonico è Sansovino che applica il linguaggio manierista confrontandolo con il gusto decorativo veneziano. Il progetto più importante riguarda Piazza San Marco. Egli inoltre partecipa al completamento di Procuratie Vecchie alla quale sede aggiunge un piano. A partire da questo edificio crea un ordine che percorre la piazza e si estende fino a Palazzo Ducale. Sansovino realizza anche la Loggetta alla base del Campanile di San Marco, la Libreria Marciana e il Palazzo della Zecca, sviluppando un prospetto continuo che le comprende. Tra le due ali della Procuratie Vecchie e Nuove risistema la Chiesa di San Geminiano. Le due piazze fungono da sfondo alla Basilica e al Campanile. Dopo la morte di Sansovino, le Procuratie Nuove vennero completate da Vincenzo Scamozzi e Baldassarre Longhena. La Loggetta presenta tre arcate a tutto sesto in coppie di colonne dove si aprono nicchie con sculture bronzee. Una trabeazione separa questa parte da quella sovrastante che presenta pannelli a rilievo con episodi della Repubblica veneziana. La Libreria Marciana è stata pensata sul modello delle basiliche romane aperte sul foro della città. Il portico è ritmato da pilastri, una trabeazione con fregio dorico separa il portico dalle serliane sovrastanti scandite da semicolonne ioniche. Sansovino realizza anche il Palazzo Corner della Ca’ Granda che poggia su un basamento a bugnato sul quale si apre un portico con tre arcate. Simmetricamente vi sono coppie di finestre timpanate. La facciata si arricchisce di effetti chiaroscurali per le semicolonne binate tra gli archi. A Sanmicheli si deve Palazzo Grimani il cui piano terra presenta una serie di paraste corinzie che inquadrano il vestibolo d'ingresso del canale tripartito.
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