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Il Quattrocento e il Cinquecento - Riccardo Bruscagli (Riassunto), Sintesi del corso di Letteratura

riassunto paragrafo per paragrafo del libro "il cinquecento e il cinquecento" di riccardo bruscagli (edizione) per letteratura italiana.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 19/09/2019

Sara1123
Sara1123 🇮🇹

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Scarica Il Quattrocento e il Cinquecento - Riccardo Bruscagli (Riassunto) e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! 400 / 500 = UMANESIMO / RINASCIMENTO Umanesimo: termine coniato in Germania nell’800, derivato dalla parola umanista, usata nel 500 nel gergo universitario per indicare chi, insegnante o studente, si occupa di discipline letterarie, a sua volta derivate dall’espressione antica studia humanitatis (discipline relative all’umanità), desunta dai dotti italiani di fine 300 dai testi di Cicerone e del grammatico Gellio, in cui indicava l’educazione liberare, di tipo letterario e filosofico, conveniente all’uomo libero. L’umanesimo si caratterizza per la preminenza di un gruppo ristretto di discipline liberali (retorica, storia, poesia, filosofia) di cui si afferma l’assoluta centralità per la formazione dell’uomo/cittadino rispetto ad altre discipline di carattere professionale (scientifiche e applicative, medicina/diritto). Questi studia humanitatis vengono sentiti come un ritorno al magistero degli antichi, latini e greci, che di queste discipline incentrate sull’uomo hanno fatto l’esempio più alto. Nello stesso momento in cui il 400 propone una nuova gerarchia dei saperi, funzionale ad una nuova concezione dell’uomo, esso si concepisce rispetto all’età precedente: quando nasce la coscienza dell’umanesimo nasce anche il concetto e il termine stesso di Medioevo = età di mezzo tra l’antichità ed il suo moderno risorgimento (Media aetas: termine comparso nel 1518 con Gioacchino di Watt). OPPOSIZIONE MEDIOEVO/RINASCIMENTO Precoce è l’opposizione tra un umanesimo sinonimo di luce-razionalità e un’età di mezzo sinonimo di tenebra-oscurantismo; in questa prospettiva gli studia humanitatis sono visti come il primo episodio di una grandiosa rivoluzione di cultura-pensiero, cioè come la prima avvisaglia della modernità. Da qui nasce la contrapposizione, cara all’epoca illuministica e romantica, tra un Medioevo barbarico, tenebroso, mistico, irrazionale, soggiogato da una religiosità dogmatica, intollerante, superstiziosa e un Rinascimento individualistico, razionalistico, naturalistico, prima tappa di un cammino che porta alla piena lucidità della cultura moderna. Durante il romanticismo ottocentesco il giudizio di valore nel confronto tra Medioevo e Rinascimento viene spesso ribaltato: Medioevo = epoca di fede autentica, lealtà cavalleresca, passionalità, originalità artistica; Rinascimento = indifferente in campo religioso, intellettualistico, retorico, povero d’invenzione a causa della sua imitazione dell’antico. Resta l’idea di un’opposizione tra le due epoche, opposizione che invece oggi non è sottoscritta da nessuno: questo grazie allo sviluppo degli studi sul Medioevo avvenuto soprattutto tra fine 800/inizio 900, che hanno messo in luce la floridità artistica, filosofica e letteraria del Medioevo, che non può quindi più essere marchiato come oscurantista e barbarico; inoltre l’opposizione non è più possibile perché il progredire degli studi su entrambe le età ne ha sottolineato i fattori in comune: mentre l’immagine del Medioevo viene liberata da etichette infondate, l’immagine dell’umanesimo si articola ed esce da semplificazioni erronee, infatti gli studi hanno di recente mostrato l’impossibilità di un umanesimo laico-pagano-irreligioso; vengono messe in luce le componenti religiose e spirituali dell’umanesimo. Quindi il rapporto tra Medioevo e umanesimo/Rinascimento è oggi più problematico e sfumato del passato, con elementi innegabili di continuità e di rottura che vanno esaminati a sé. Resta una novità la rinascita degli studia humanitatis nelle prime generazioni di umanisti italiani, che si distinguono per il loro nuovo senso storico e il loro nuovo rapporto con gli antichi. 400 Il clima intellettuale del 400 è dominato da un rinnovamento negli studi che si realizza tramite un ritorno all’antico, cioè tramite una riacquisizione, più vera e consapevole, della cultura classica pagana e cristiana. L’umanesimo del 400 è una rivoluzione culturale, anticipata già nel 300 da Petrarca, soprattutto nel modo in cui lavorava sui testi: partiva da un’esigenza di conoscenza storica dei testi e degli autori acquisizione fisica-materiale dei manoscritti: collezionista di codici, biblioteca straordinaria; poi veniva lo studio sui testi: accertamento della loro lezione, tramite confronto con lezioni varianti di manoscritti diversi della stessa opera. Questo lo distacca dalla mentalità medievale per cui non conta l’autore ma il messaggio: non quello che l’autore aveva voluto dire, secondo la cultura e mentalità del suo tempo, ma ciò che le sue parole possono ancora insegnare per l’uomo medievale. L’atteggiamento petrarchesco verso l’antico è una svolta verso l’acquisizione di un nuovo, moderno senso storico. Inoltre Petrarca provava fastidio verso il latino medievale a cui contrappone il vero latino degli autori classici, che lui imita e fa rivivere nei suoi scritti. Tutti questi aspetti della cultura petrarchesca trovano riscontro nel rinnovamento culturale del 400 che indichiamo col nome di umanesimo. - RICERCA DEI TESTI ANTICHI: l’umanesimo si propone la riscoperta dei testi antichi: i primi decenni del 400 vedono esplodere la ricerca dei codici latini e greci; vennero trovati manoscritti nelle biblioteche monastiche e capitolari di tutta Europa; in Italia particolarmente importanti furono le istituzioni monastiche benedettine. I libri rinvenuti dagli umanisti di prima generazione erano quelli ricopiati nel Medioevo negli scriptoria dei conventi, anello fondamentale di congiunzione con la civiltà antica. I manoscritti ricercati dagli umanisti erano dunque di epoca tardo-medievale, i più risalenti ai secoli della rinascenza carolingia, quando Carlo Magno stesso aveva promosso in prima persona un grandioso recupero del mondo classico e della sua letteratura. Mentre i manoscritti latini vennero trovati nelle biblioteche monastiche di tutta Europa, il recupero dei manoscritti greci seguì un’altra via: essi non andavano disseppelliti come i latini, ma in Oriente, nel mondo bizantino; l’ostacolo era dunque geografico e gli umanisti intrapresero lunghi e costosi viaggi in Grecie, soprattutto a Costantinopoli. Importante anche il movimento inverso di dotti bizantini che dalla Grecia vennero in Italia portando con sé la loro competenza linguistica e i loro libri. -NUOVA FILOLOGIA: La restituzione del vero storico attraverso gli strumenti della filologia si rivelò tutt’altro che un semplice esercizio di erudizione: accertare la verità dei testi poteva accertare la verità della storia e quindi influire anche in ambito politico ed ideologico. Questa applicazione della nuova filologia trova nel 400 un formidabile campione, Lorenzo Valla, che dimostrò la falsità della famosa donazione di Costantino. La competenza filologica può quindi essere impugnata anche come arma di contesa politico- ideologica. Valla analizza la Bibbia infatti come un testo qualsiasi inizia così un approccio laico ai testi sacri, studiati nella loro concreta storicità. -IMITAZIONE-IMMEDESIMAZIONE: Il culto dell’antico e il restauro del puro latino classico implicano di per sé un processo di imitazione: quando gli umanisti si discostano dal latino medievale corrotto per scrivere con lingua e stile della latinità aurea, assumono la posizione di chi ha davanti a sé modelli e cercano di replicarne al meglio i pregi. Ma l’atteggiamento umanistico di fronte all’antico non è una duplicazione passiva ed inerte. Petrarca aveva articolato in una lettera a Boccaccio il problema dell’imitazione partendo da un’esperienza personale, cioè di inserire nelle sue opere involontariamente citazioni degli autori prediletti, dal momento che per il lungo uso certe idee sono divenute come sue: non si tratta di imitazione, ma di immedesimazione: certi autori sono stati così assimilati da essere divenuti una memoria personale. Petrarca contrappone due metafore che simboleggiano l’accezione positiva (ape che vecchia oligarchia fiorentina. Il giovane Lorenzo come poeta è più vicino al gusto della madre; in questi anni gli sono molto vicini i fratelli Pulci, la cui impronta si rivela in tutte le sue opere giovanili. Nel 1473 cambia bruscamente registro con la composizione del De Summo Bono, che mette in scena il dialogo tra Lauro e Ficino; dal 73 iniziano anche i dissapori con i Pulci e diversi membri della corte medicea. Lorenzo si riallaccia alla cultura medicea e al programma originario di Cosimo, così il platonismo torna alla ribalta. Solo nell’ultima fase della sua poesia torna indietro alla poesia d’amore toscana e riscopre oltre a Petrarca e Dante anche Guido Cavalcanti. Lorenzo finisce così per tracciare la fisionomia di una tradizione letteraria e poetica in volgare che il 400 pareva aver smarrito. Muore nel 92. [1478: Congiura dei Pazzi, momento più critico della signoria occulta di Lorenzo: il fratello Giuliano viene ucciso durante la messa in Santa Maria del Fiore; i congiurati vengono linciati dal popolo fiorentino: trionfo personale di Lorenzo, dotato di grande sapienza diplomatica e abilità mediatrice, grazie a cui patteggia la fine delle ostilità col re di Napoli.] LUIGI PULCI (1432-84): Assiduo frequentatore del palazzo mediceo, legato a Lucrezia. La materia del “Morgante” è di repertorio e non solo nel senso di richiamo a diffuse fonti cavalleresche: nella biblioteca laurenziana fu trovato un testo che pare il precedente diretto del Morgante, mutilo e destinato alla recitazione in piazza; probabilmente hanno una comune discendenza da uno dei tanti testi che recitano le opere dell’Orlando. L’originalità del Morgante è tutta di carattere stilistico e linguistico parola espressionistica, deformata, lessico gergale, neologismi, costante sovraeccitazione; non conta il cosa, ma il come: il mondo stesso dei paladini carolingi ne esce comicamente rovesciato per via dello stile. POLIZIANO (1954-94): Allievo di Ficino e Pico della Mirandola, frequenta lezioni di greco dei dotti bizantini ed entra subito nelle grazie di Lorenzo, che lo nomina precettore dei suoi figli; più esponente membro della brigata laurenziana. La sua produzione è caratterizzata da una raffinata imitazione dei modelli classici, in cui mette in luce la sua erudizione; in volgare scrive esclusivamente poesia, in sintonia con la politica culturale di tipo popolareggiante promossa da Lorenzo. Poco usate canzoni e sonetto, le forme nobili della tradizione in volgare, contraddistinte dalla centralità della tematica dell’amor cortese, a lui estranea. Lo stile delle rime volgari è caratterizzato dalla docta varietas: amalgama temi della lirica volgare petrarchesca e contemporanea con numerose forme classiche. FERRARA L’umanesimo fiorentino si distingue per la sua complessità, prima civile, poi laurenziano, poi popolaresco e signorile insieme: è gestito da una molteplicità di fattori che vanno oltre le mura del palazzo di Lorenzo. Fuori Firenze invece l’umanesimo si struttura secondo il modello cortigiano, accentrandosi nell’iniziativa esclusiva del principe e trovando nella corte il suo unico centro di irradiazione: Ferrare degli Este. Ferrara nel 400 è un feudo pontificio con una statura politica- culturale di primo piano; è un principato esemplarmente umanistico il ducato di Ercole D’Este lancia Ferrara all’avanguardia tra le città del suo tempo e diede grande impulso agli studi letterari: sotto il suo segno Boiardo pubblicò l’Orlando Innamorato. BOIARDO: Preparazione classica; tutta la prima parte della sua carriera letteraria è inclinata sul versante umanistico, dagli anni 60 estende la sua sperimentazione poetica alla poesia d’amore in volgare. Il suo canzoniere concluso nel 76 è la ripresa più seria e consapevole del modello petrarchesco. È un libro di rime dove ogni componimento contribuisce a un testo organico e compatto: no dispersività sentimentale tipica della poesia cortigiana corrente, ma un’unica passione amorosa al centro. Orlando Innamorato: il nome stesso è un ossimoro provocatorio, non solo psicologico-caratteriale, ma anche narrativo innamorandosi Orlando esce dalla scena epica, abbandona fisicamente il paesaggio bretone della ventura, pieno di prove magico-meravigliose. L’opera nasce dalla fusione dei due maggiori cicli medievali, carolingio ed arturiano. I personaggi sono carolingi, ma il sistema di valori e i comportamenti sono arturiani. L’Orlando inaugura un modello narrativo che costituisce uno degli archetipi fondamentali della narrativa europea: struttura ad intreccio del racconto, continua interruzione e ripresa a distanza dei vali fili narrativi; numerose formule di transizione narrativa segno di un testo recitato destinato all’ascolto. Il narratore non è uno scrittore, ma un cantarino. (Es. Suspance: tecnica degli antichi cantari di piazza) NAPOLI: La Napoli aragonese rappresenta un caso estremo di identificazione tra mecenatismo principesco e promozione della nuova cultura umanistica, con Alfonso D’Aragona: entrato nella città nel 43 vi impiantò una corte sfarzosa e di grandi ambizioni intellettuali, richiamandovi una schiera di dotti-letterari. Inizialmente al sud mancava la diffusione del nuovo sapere e gli intellettuali migravano verso le corti del nord, così l’umanesimo aragonese ha un aspetto di trapianto artificioso legato all’energica iniziativa del re, che promuove le traduzioni dei classici, ma tutto si consuma tra la corte e l’Accademia: non promuove l’università né estende la vita culturale ad altri centri del regno. Lo spazio culturale dà col tempo frutti caratteristici legati anche linguisticamente alla realtà peculiare del regno, soprattutto grazie a Jacopo Sannazzaro, che muovendosi tra latino e volgare proseguì ben dentro il 500 il bilinguismo tipico del grande umanesimo quattrocentesco, 500 Quando si parla di Rinascimento ci si riferisce al classicismo rinascimentale, ovvero gli aspetti della civiltà di 400/500 che più appaiono indebitati col ritorno all’antico e il recupero e imitazione del mondo classico. Nel 500, più ancora che nel 400, il classicismo non esaurisce il quadro culturale del secolo: all’aspetto classicheggiante di tale cultura si intreccia un aspetto diverso, oscuro, turbato e inquieto che spesso nasce da zone di pensiero diverse rispetto al platonismo imperante (credenze esoteriche, magiche, irrazionali) e da strati socioculturali diversi (popolari, non alfabetizzati). Controrinascimento: presenza di correnti naturalistiche, magiche, esoteriche accanto al neoplatonismo ufficiale, proliferare di un gusto per l’irregolare, il grottesco e il mostruoso accanto al culto armonico della bellezza ideale tipico del classicismo rinascimentale. Manierismo: anello di congiunzione tra Rinascimento e Barocco. È categoria primariamente della storia dell’arte; il termine nasce per indicare certe manifestazioni artistiche del tardo 500 che sembravano l’irrigidimento e la ripetizione sterile e schematica, la trasformazione in ‘maniera’ delle forme create dall’arte classica del rinascimento. Solo all’inizio del 900 non viene più visto come fenomeno di decadenza, ma come l’emergere di una carattere soggettivistico e deformante dell’arte cinquecentesca contrapposto alle regole classiche e rigide. In seguito si è visto nel manierismo l’espressione artistica della crisi che scuote un secolo travagliato come il 500, sintomo di una introversione malinconica, che esprime il disagio ideologico e sociale dell’artista: in letteratura linee di preziosità e raffinatezza goticheggiante, in contrasto con l’armonico equilibrio umanistico, diversa anche dalla grandiosità del Barocco. Nell’ambito della letteratura italiana del 500 manieristi sono considerati tutti gli anticlassici (es. Berni) nonché tutti i personaggi tormentati e combattuti (es. Cellini, Tasso): tentativo di cogliere e caratterizzare quella vasta area di sensibilità inquieta, ombrosa ed eccentrica che attraversa tutto il Rinascimento e che ritorce su se stessa l’estetica classicista, stilizzandola in consapevole maniera. CORTI: Rispetto al 400, il 500 vede un accentrarsi ancora più forte delle attività intellettuali e culturali all’interno della corte, che viene descritta dal Castiglione ne “Il libro del Cortigiano” come il luogo della conversazione e dello scambio di idee, che è caratterizzata dalla presenza femminile, che fa sì che la conversazione non possa mai addentrarsi in terreni troppo specialistici. Nelle numerose parodie le corti sono rappresentate come un luogo spietato, carico di insidie e competizione, unico palcoscenico capace di assicurare lustro e visibilità. Infatti nel 500 tutta l’Italia tranne Venezia è governata dalla mano dei principi e il loro mecenatismo è la fonte principale di sostegno di ogni attività cultural. ACCADEMIE: Seppur sottoposte al controllo del principe, proprio le accademie restano per tutto il 500 uno spazio relativo di libertà e confronto culturale: sono inconfrontabili quelle di 400 e 500; se quelle umanistiche del 400 erano circoli di cultura alternativa, legata all’avanguardia dei nuovi studi classici, quelle del 500 sono organismi tutt’altro che elitari, legate alla divulgazione della cultura. L’Accademia si distingue dalla corte per il carattere non gerarchico, con pari dignità dei partecipanti. UNIVERSITÀ: Coltivano saperi ormai arretrati (tradizione aristotelica, tolemaica), mentre il nuovo maturava in spazi di libero scambio intellettuale estranei alla rigida burocraticità del sistema universitario. Controllate fortemente dalla chiesa: Pio IV nel 65 prescrive il giuramento di fedeltà cattolica a tutti gli studenti stranieri. TIPOGRAFIE: Centri nuovi e propulsivi della cultura cinquecentesca; non più editori coltissimi del 400, ma editori di mercato, sensibilissimi ai gusti di un pubblico ora maturo e smaliziato: non stampano più solo per gli umanisti, ma cercano lettori di ogni classe sociale e livello di educazione. INTELLETTUALI: All’inizio del 500 per gli intellettuali la sistemazione cortigiana sembra ancora la più appetibile: si affaticano tutti per entrare al servizio di qualche principe, specie a Roma. Ma nel corso del primo 500 i travagli delle guerre d’Italia spingono il cortigiano laico verso l’approdo ecclesiastico, più tranquillo e sicuro, ma questo passo sarà possibile solo fino al Concilio di Trento, che disciplina con più rigore le regole del personale ecclesiastico e impedisce il transito dallo stato di intellettuale cortigiano a quello di uomo di chiesa. Si assiste a fine 500 a una marcata professionalizzazione del lavoro intellettuale, che trasforma gli antichi cortigiani in semplici funzionari del principe. STAMPA: Nella sua organizzazione culturale il 500 vive una paradossale contraddizione: il mercato del libro di espande presso ogni classe sociale, ma allo stesso tempo la chiesa autoritaria della società tardo cinquecentesca esige un controllo capillare delle idee e quindi della stampa. Nel 59 esce l’indice dei libri proibiti di papa Paolo IV, tra cui tanti autori volgari come Boccaccio e Macchiavelli e tutte le edizioni in volgare della Bibbia. Ma è quasi impossibile controllare davvero la stampa, tutta l’Europa cristiana ci prova e la censura assume forme sempre più raffinate. LINGUA NAZIONALE: Nei primi anni 30 del 500 l’Italia constata il suo distacco dall’Europa dove si consolidano i nuovi stati-nazione e si perfezionano le moderne monarchie assolute, mentre l’Italia è incapace di superare il suo particolarismo (fino al 61: Regno D’Italia). La coscienza che l’Italia non sa dare origine a uno stato unificato esaspera per contrasto l’esigenza di affermare un’identità italiana, se non politica, almeno culturale e linguistica. La questione è se un paese così frammentato, senza centro o unità, senza re o capitale, possa dotarsi di una lingua unitaria. Le opzioni linguistiche che tentano di rispondere a questa
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