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Il Quattrocento e il Cinquecento, Dispense di Letteratura Italiana

Riassunto Volume II de Storia della Letteratura Italiana a cura di Andrea Battistini. Il Quattrocento e il Cinquecento.

Tipologia: Dispense

2015/2016

In vendita dal 12/04/2016

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Scarica Il Quattrocento e il Cinquecento e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! CAPITOLO 1 IL QUATTROCENTO: IDEE, CULTURA E ISTITUZIONI QUESTIONI DI NOMENCLATURA E PERIODIZZAZIONI - Il Quattrocento e il Cinquecento sono i secoli dell’Umanesimo e del Rinascimento. Il termine umanesimo nasce in Germania nell’Ottocento ma ha radici ben più antiche. Deriva infatti da Humanista, termine usato nel 500 in ambito universitario per designare colui che si occupava di discipline letterarie, che a sua volta viene dall’espressione “studia humanitatis”, espressione che indica la formazione liberale letteraria e artistica. - Con la nascita del termine umanesimo, si apre quella diatriba che lo vede contrapposto come periodo letterario e storico al Medioevo. Noto il primo come periodo di rinascita, luce e splendore, liberato da ogni dogma religioso, il secondo come un periodo rozzo, buio dominato dalle superstizioni religiose. Oggi, dopo innumerevoli studi, la situazione si è andata chiarendo: il Medioevo non è più quel periodo decadente che tutti pensavano fosse e anzi, numerosi sono i punti di continuità con l’Umanesimo. La differenza sostanziale sta nel modo di porsi dinanzi ai fatti. Come pensa infatti Eugenio Garin, la novità dell’Umanesimo sta nel nuovo senso storico degli umanisti: il Medioevo aveva conosciuto l’antico, ma poco importasse a chi era attribuibile una determinata teoria. Ciò che contava era assimilarla e farne bagaglio culturale. Con l’umanesimo e invece e la conseguente riscoperta dell’uomo, non è solo il messaggio quello che conta ma anche la funzione di chi si cela dietro alle parole che ogni uomo assimila in modo diverso. - Caratteristica dell’Umanesimo, è il rinnovamento degli studi attraverso un ritorno all’antico. La tendenza nasceva già dal Petrarca, il quale studioso di testi, volle reperirli materialmente per avere la possibilità di studiarli e confrontare le loro varie edizioni per giungere a quella più verosimile all’originale. I testi che gli Umanisti vanno riscoprendo si dividono in due grandi categorie: quelli latini e quelli greci. I primi, reperibili nei grandi monasteri inesplorati o nelle biblioteche capitolari erano per lo più codici altomedievali risalenti all’epoca della rinascita carolingia; i secondi invece, arrivarono dall’Oriente non solo tramite coloro che dall’Occidente compivano viaggi e soggiorni, ma anche grazie agli spostamenti dei doti e degli scrittori orientali che minacciati dal pericolo Turco rompono l’isolamento costantinopoliano alla ricerca di alleanze in occidente. - Con la riscoperta dei grandi classici si pone il problema dell’imitazione. Già Petrarca aveva affrontato nei suoi scritti l’argomento quando dopo aver citato nelle sue opere i grandi maestri latini, sosteneva che l’imitazione non consisteva nel ricopiare passivamente le massime di questi autori,ma nel fatto di averli studiati, interpretati e fatti propri tanto da essere ormai parte di una memoria personale. Procedeva poi col proporre attraverso due metafore, quella dell’attore e quella dell’ape, un lato negativo e un lato positivo del fenomeno. L’attore infatti, cambia vesti cambiando personaggio e passa da un’identità fittizia all’altra. L’ape invece succhia il dolce da ogni fiore ma lo elabora e lo trasforma in qualcosa di diverso. - Quindi, dato per scontato che l’imitazione non deve essere semplice copia, chi imitare? Quali sono i modelli da seguire? Due sono le posizioni al riguardo: 1) Agnolo Poliziano : non pone nessun limite al principio dell’imitazione e difende la libertà di imitare attingendo alla lezione dei più vari autori. 2) Paolo Cortesi:sostiene la necessità di attenersi a un solo autore da imitare, nel suo casdo Cicerone per la prosa e Virgilio per la poesia. LE ISTITUZIONI DELLA CULTURA UMANISTA - Mentre la cultura medievale si era diffusa nell’ambito della Chiesa e delle università ad esso collegate, la cultura umanista prende avvio in spazi privati o semi-privati dove gruppi di letterati si incontrano dando avvio ad una delle più fervide istituzioni del periodo: le accademie. Organizzate autonomamente ma con alla base tutti programmi di studio che posavano sugli studia humanitatis, considerati come discipline necessarie alla formazione dell’individuo. - L’influenza dell’Umanesimo si ripercuote anche sull’istituto delle biblioteche e degli scriptorium ad esse adiacenti. Sulla scia delle indicazioni fornite da Petrarca, le nuove biblioteche sono pubbliche, ossia aperte agli studiosi e centri di controllo filologico dei libri contenuti. È proprio questa una delle più grandi novità del secolo: il libro. Per tutta la prima metà del 400, infatti, il libro continuava ad essere manoscritto. Di originale e preziosa bellezza, scritto a mano dagli artigiani preposti, con copertine che diventavano vere e proprie opere d’arte. Una cultura insomma d’elite, dal momento che esemplari del genere avevano un costo elevatissimo. Il tutto cambia con l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Il libro diviene bene di consumo, il prezzo più basso favorisce la sua circolazione tra la massa divenendo anche potente elemento di alfabetizzazione. CAPITOLO 2 FIRENZE TRA UMANESIMO CIVILE E UMANESIMO LAURENZIANO I DUE TEMPI DELL’UMANESIMO FIORENTINO - Con le espressioni “Umanesimo civile” e “Umanesimo laurenziano”, si distinguono due periodi contigui della storia letteraria e culturale fiorentina. Il primo trova la personalità di maggior spicco nella persona del cancelliere Coluccio Salutati e vede una forte connessione tra istituzioni politiche e culturali; il secondo, vede come personalità di spicco Lorenzo il Magnifico e si caratterizza per un progressivo allontanamento dei letterati dalla società e un accerchiamento intorno al potere politico. È proprio grazie a Lorenzo e alla Brigata Laurenziana, la cerchia di letterati riunitisi intorno a lui ( Fratelli Pulci, Poliziano, Pico della Mirandola)che Firenze diventa nella seconda metà del Quattrocento la moderna capitale del Neoplatonismo - Per tutto il Medioevo, infatti, il filosofo di eccellenza era stato Aristotele, conosciuto non attraverso l’originario greco quanto tramite le traduzione latine dei copisti arabi. Durante l’Umanesimo, il suo posto viene occupato da Platone non senza aspri confronti. Il primo profeta del platonismo in Italia si riconosce in Gemisto Pletone: fu proprio grazie alle sue lezioni che Cosimo il Vecchio ebbe l’ispirazione per creare l’Accademia Platonica, ma è solo grazie all’incontro con Marsilio Ficino che egli potè coltivare il suo proposito di portare Platone in Occidente. Intuite le virtù del giovane, gli mise a disposizione una delle sue ville e gli fece pervenire le opere nell’originale greco di Platone dando avvio a quella traduzione di “tutto Platone”. L’ANTIUMANESIMO DI GIROLAMO SAVONAROLA - Firenze conobbe in mezzo allo splendore umanista, anche un suo oppositore dichiarato: il frate domenicano Girolamo Savonarola. Identificato come l’anti-Lorenzo per eccellenza, propugnatore di una cultura rigorosamente cristiana in opposizione a quella umanista, classicheggiante e pagana del Magnifico. Propugnatore della libertà fiorentina contro il pericolo di un terribile tiranno dietro il quale non era difficile identificare Lorenzo, tanto che nell’Ottocento si propagò la leggenda di un Savonarola che in punto di morte avrebbe negato l’assoluzione a Lorenzo stesso, non avendo da lui ottenuto la promessa di restituire la libertà a Firenze. AGNOLO POLIZIANO - Il Poliziano nasce a Montepulciano ma si trasferisce a Firenze all'età di 13 anni dedicandosi da subito all'attività di traduzione. Celebre è quella dei canti II-V dell'Iiade, il cui secondo libro viene dedicato a Lorenzo il Magnifico, entrando così ufficialmente a far parte della Brigata Laurenziana. - Le sue opere in latino sono caratterizzate da un'imitazione dei modelli classici mentre le opere in volgare, tutte poesie ( eccetto qualche lettera), si rifanno al modello culturale popolare del Magnifico. Sono opere nelle quali egli mescola sapientemente i canoni della lirica petrarchsca e contemporanea con lo stile dei grandi classici ( Ovidio e Catullo in particolare) - Il testo poetico in volgare più importante rimane “Le stanze per la giostra”, dedicate a Giuliano de' Medici e rimaste incompiute a causa della sua morte. - Nel gennaio del 1475, si teneva in Santa Croce un torneo in cui risultò vincitore Giuliano, fratello di Lorenzo de' Medici, era usanza infatti che i giovani rampolli delle nobili famiglie fiorentine facessero l’ingresso nella pubblica società in questo modo, così come si usava tenere vivo il ricordo di questi tornei attraverso scritti e opere. Non deve sembrare strano perciò, che il Poliziano ormai divenuto poeta della famiglia medicea, pensasse di comporre l’opera. Una netta differenza però intercorre tra le Stanze Poliziane e le ottave tradizionali: queste ultime erano una sorta di cronaca cittadina, niente di più che reportage sportivi nei quali si narravano gli splendori della città e l’importanza delle famiglie che avevano partecipato al torneo; le Stanze poliziane, lungi dall’essere una semplice cronaca, sono un vero e proprio poemetto bel quale i personaggi reali vengono sfigurati nelle loro fattezze, accanto ai protagonisti terreni appaiono gli dei ( Amore,Venere e Marte) e nel quale la vittoria di Giuliano al torneo risulta solo come spunto che da’ avvio alla storia: il pastore Iulio, incontra durante una battuta di caccia una splendida ninfa, se ne innamora e decide di rendersene degno mediante un atto eroico. Qui avrebbe dovuto partire la celebrazione della partecipazione al torneo, appunto. La morte improvvisa nella congiura dei pazzi di Giuliano rende però l’opera incompiuta. - Dopo la congiura che mina il potere e l’immagine della famiglia medicea e alcuni contrasti con la moglie di Lorenzo il Magnifico, il Poliziano decide di abbandonare Firenze e vaga nelle corti dell’Italia settentrionale. Si ferma a Mantova, dove da alla luce la sua unica opera non fiorentina: l’Orfeo , commissionatagli a quanto dice il poeta in una delle sue lettere direttamente da Francesco Gonzaga in volgare, afriche venisse meglio compresa dal popolo. Si narra il classico mito di Orfeo ed Euridice che morta per il morto di un serpente è discesa nell’ade. Orfeo, ottiene dagli dei di poterla andare a riprendere a patto che durante la risalita nel mondo terreno egli non si giri mai a guardarla. Orfeo però, per paura di smarrirla nella nebbia del luogo, si volta perdendo così per sempre la sua amata sposa. Si converte così all’amore dei giovinetti suscitando l’ira delle Baccanti. Proprio con un canto in onore di Bacco si conclude la fabula. L’opera si avvicina al tipo del dramma satiresco greco per la presenza di una trama mitologica, personaggi rustici e terreni accanto agli dei, una storia comica ma con un finale tragico e la presenza del coro. - Ritornato a Firenze e ripristinati i rapporti con i Medici, il Poliziano compone i Miscellanea, una serie di osservazioni e dissertazioni riguardanti l’esegesi dei testi classici e una raccolta di citazioni di questi ultimi. I temi trattati sono i più disparati: l’autore si occupa di correggerne errori attraverso validi manuali, di proporre questioni grammaticali, di avviare indagini storiche e di costume. - Muore due anni dopo il Magnifico, nel 1494. CAPITOLO 3 FERRARA E L’UMANESIMO CORTIGIANO - Se l’umanesimo di Firenze si caratterizza per la sua complessità, prima civile, poi laurenziano, popolaresco e dedito al mecenatismo, nelle altre città del Settentrione e soprattutto nella Ferrara degli Este, il fenomeno si concentra attorno alla figura del principe e della sua corte. - A far risplendere la città dopo la sua promozione da marchesato a ducato è Ercole I d’Este che non solo le dona un fascino urbanistico nuovo e moderno, ma nonostante fosse dedito più alle armi che alla letteratura, da’ un grande impulso a letteratura e poesia contribuendo alla formazione di quello che sarà sempre il gusto letterario ferrarese: un perfetto impasto tra l’umanesimo più tradizionale e l’antica passione della città per la tradizione cavalleresca. MATTEOMARIA BOIARDO - La carriera letteraria del Boiardo, può essere suddivisa in due fasi: la prima, al servizio del duca Ercole d’Este per il quale compì numerose traduzioni e volgarizzamenti dei testi classici, la seconda, iniziata a partire dagli anni Sessanta del Quattrocento, nella quale egli si accosta alla poesia d’amore in volgare. - Capolavoro di questa seconda parte, sono gli Amorum libri. L’opera consta di 3 libri nei quali si narra l’evoluzione e il declino di una passione amorosa del poeta. Nel primo, infatti, si descrive l’innamoramento, nel secondo il tradimento dell’amata e l’agonia del poeta,nel terzo un ritorno di fiamma accompagnato dalla consapevolezza che non si può sfuggire alle pene d’amore. Ogni libro è composto da 60 rime, 50 delle quali sono sonetti, 5 ballate e gli altri 5 in metri vari. È senza dubbio l’opera che più di ogni altra nel Quattrocento si avvicina al dettato petrarchesco per due motivi principali: 1) dal punto di vista del contenuto: si narra infatti di una passione amorosa giovanile che folgora il poeta provocando in lui angoscia e dolore e della quale egli stesso si ravvede in età matura 2) dal punto di vista strutturale: le rime compongono, proprio come nel petrarca, una sorta di puzzle. Sono pezzetti singoli di una struttura perfettamente organica e omogenea. - Oltre al Petrarca, il Boiardo riprende Ovidio ( nel titolo) e i poeti elegiaci ed erotici latini, con la loro concezione dell’amore più concreta e carnale. - Capolavoro indiscusso della letteratura boiardesca è però l’Orlando Innamorato. Pubblicato per la prima volta nel 1482 con i primi soli due libri, e quindi con un’edizione non definitiva, della quale oggi non ci rimane nulla. Il terzo libro venne pubblicato dopo qualche mese dalla morte dell’autore, quando per volere degli eredi venne edita anche la versione integrale dell’opera. Non essendo rimasta traccia delle prime edizioni, incertezza vi è anche sul titolo: all’Orlando innamorato, appartenente a una visione più classica alla quale si rifarà anche l’Ariosto con il suo Orlando furioso, in tempi recenti è stato anche proposto Inamoramento de Orlando, sulla scia di quel genere degli “innamoramenti” , in voga ai tempi dell’autore. - Se Orlando da’ l’avvio al capolavoro boiardesco e il titolo, è però Ruggiero ad attirare un’attenzione particolare,presentato come capostipite della casata degli Este, forse nel tentativo di eludere quella leggenda che voleva come progenitore degli Estensi quel Gano di Maganza, il traditore di Roncisvalle. TRAMA I LIBRO: il poema si apre con una grande festa voluta da Carlo Magno a cui partecipano i migliori paladini cristiani e qualche pagano. Qui si presenta la bella Angelica, figlia del Re del Catai,la quale si promette in sposa a chiunque riuscirà a battere a duello il fratello, impossibile da sconfiggere in quanto dotato di armi fatate. Ella è stata inviata lì dal padre, nell’intento di disfarsi di tutti i paladini più forti della corte carolingia. Tutti si innamorano di lei e sono pronti a battersi anche Orlando e Ranaldo. Ma a battere il fratello, tramite vari espedienti non è nessuno di loro due, bensì un altro paladino di corte il quale non riesce però a ritirare il suo premio in quanto la ragazza scappa inseguita dagli altri pretendenti. La preda e questi, si ritrovano in un bosco incantato, dove ci sono due fontane, una dell’odio e una dell’amore. La fanciulla beve alla seconda, innamorandosi di Ranaldo, ma questi si disinnamora di lei bevendo dalla fontana dell’odio. La fanciulla ritorna così in patria dove il suo castello è assediato da un altro pretendente: Agricane, ucciso da Orlando sopraggiunto con Ranaldo sul luogo. II LIBRO: il re dei mori Agramante vuole dichiarare guerra alla Francia per vendicare il padre Troiano ucciso da Orlando. Per farlo ha però bisogno del suo guerriero più valoroso, Ruggiero, tenuto nascosto dal tutore che conoscendo il suo destino, vuole risparmiargli la morte in guerra. Attraverso un anello fatato però, Agramante riesce a scovarlo e la spedizione può partire. Intanto nel bosco, Angelica beve dalla fontana dell’odio, disinnamorandosi di Ranaldo che invece torna ad innamorarsi di lei. Orlando e Ranaldo sono nuovamente rivali in amore e sono pronti a Sfidarsi in duello. Solo Carlo magno riesce a fermarli promettendo in sposa la fanciulla a chi si distinguerà nella battaglia contro i Saraceni che sarebbe avvenuta da lì a poco. III LIBRO: anche il figlio di Agricane vuole dichiarare guerra alla Francia per vendicare il padre. Intanto sul campo di battaglia Ruggiero incontra Bradamante, una bellissima guerriera cristiana e i due si innamorano, ma sono separati dall’infuriare del combattimento. Il poema si interrompe in questo punto. - L’intenzione dell’autore è chiara sin dal titolo dell’opera: far innamorare Orlando, il più valoroso dei paladini carolingi. Innamorandosi, egli avrebbe abbandonato la dimensione epica, quella cavalleresca, il campo di Battaglia, Carlo Magno e l’armata cristiana per entrare in un mondo magico-rituale, dominato dall’amore, in quel mondo sostanzialmente dipinto dai romanzi del ciclo bretone. L’Orlando innamorato è infatti l’opera che meglio rappresenta la fusione dei due generi, il carolingio e il bretone e addirittura il sovvertimento dei ruoli tra questi. Se infatti i personaggi sono oggettivamente carolingi, il sistema di valori e di comportamenti degli stessi è spiccatamente bretone. Non solo. Sovvertendo l’ordine tradizionale che preferiva la cavalleria carolingia vista come epica, seria, cristiana, storicamente fondata, egli proclama la superiorità di quella bretone , magica, amorosa, fantastica, in nome di quell’Amore che ne poteva sembrare invece la pecca più evidente. - Uno dei motivi fondamentali per i quali quest’opera viene ritenuta un capolavoro,è la tecnica narrativa ad intreccio voluta dal suo autore. Non un piano lineare ed unico della narrazione, ma un suo continuo inizio e stasi,iniziando discorsi nuovi ed introducendo nuovi personaggi senza concludere le scene precedenti. Questo deriva, probabilmente dalla credenza che il ciò che noi leggiamo non è veramente un racconto ma la rappresentazione di una performance orale, come si può intuire dalle formule di apertura e congedo dal pubblico. Da questa dimensione orale, dal timore che il suo pubblico si annoi, nasce l’intreccio delle storie continuamente abbandonate e riprese. Ciò tuttavia non impedisce che alcuni dei personaggi dilatino i tempi del racconto inserendo nel romanzo delle vere e proprie novelle, dando inizio a quelle tecniche del romanzo moderno come le digressioni e i flashback. - Il Boiardo muore nel 1494, poche settimane dopo aver assistito all’entrata di Carlo VIII in Italia. Proprio con un ottava in cui viene descritta la sua Italia “messa a ferro e foco “ dai Galli, il poema si interrompe. - Il secolo che va dalla morte del Petrarca al recupero delle humanae litterae da parte del Magnifico prende il nome di “secolo senza poesia”. Questo non vuol dire che in questo periodo la produzione poetica si arrestò, anzi, dal punto di vista quantitativo la poesia non conobbe crisi. La definizione segnala due fenomeni: 1) In questo secolo la poesia non produsse capolavori 2) con il diffondersi dell’umanesimo, l’elite intellettuale si dedica a componimenti esclusivamente in latino, relegando il volgare a temi di intrattenimento e consumo nelle corti. La lirica cortigiana sarebbe continuata nella sua versione cortigiana caratterizzata da una lingua ibrida e incerta se non fosse sopravvenuto il fenomeno del “Petrarchismo”. E’ proprio il Bembo dapprima nei suoi Asolani e poi nelle sue Rime a tracciare la nuova strada della lirica cinquecentesca stretta attorno ad un unico modello: il Petrarca. - Asolani: opera scritta in prosa intervallata da componimenti poetici. Narra dell’incontro ad Asolo, in una villa di 3 giovani e 3 ragazze che discutono sul tema dell’amore. In tre giorni che corrispondono poi ad altrettanti volumi, si hanno 3 definizioni diverse dell’amore: 1) come forza distruttiva che conduce alla pazzia 2) come gioia e felicità voluta e creata da Dio 3) l’amore come desiderio il quale può generare del bene o del male. L’AMPLIAMENTO DELLA SOCIETA’ LETTERARIA - Donne e artisti. - Michelangelo: trascrive con un linguaggio aspro e concreto il contrasto irrisolto tra carne e spirito, tra la sua esistenza meschina e la bellezza trasfigurata. L’oggetto amoroso, prima Vittoria Colonna, poi uno scultore romano che egli amerà per tutta la vita,diventano traguardo di perfezione, ricerca, che spinge verso una sublimazione del sentimento amoroso. LUDOVICO ARIOSTO - Ludovico Ariosto nasce nel 1474 in Emilia Romagna. - È egli stesso ad affermare orgogliosamente di aver composto da giovane poesia “in più d’una lingua e di uno stile”, rivendicando la duplice frequentazione del latino e del volgare. Tuttavia se i primi componimenti si rifanno alla fase giovanile e alla vicinanza dell’Ariosto all’umanesimo cortigiano, i secondi si pongono in una sorta di via di mezzo tra la tradizione cortigiana ( che ha dato risultati come quelli del Boiardo) e il recupero del Petrarca da parte di Bembo. LE COMMEDIE - L’esordio letterario si ha in ambito ducale con la rappresentazione di una delle sue commedie: la Cassaria ( IN PROSA), alla quale ne seguono altre 4, i Suppositi ( IN PROSA) , il Negromante, la Lena e i Studenti, rimasta incompiuta. Queste opere non risaltano per originalità di trama, recuperata da modelli come Plauto e Terenzio, ma dal punto di vista linguistico, in quanto l’autore recupera la materia tradizionale classica rimaneggiandola in una lingua, il volgare toscano illustre, ancora acerba. ( VEDI CAPITOLO 9) Tra tutte quella che ebbe maggior successo fu la Lena: storia incentrata su di una donna di mezza età, cinica ma di bell’aspetto, Lena, appunto, che per far indispettire il suo amante taccagno, ordisce in casa sua un incontro tra la figlia di quest’ultimo e un suo spasimante, Flavio. Quest’ultimo ha promesso alla donna un corrispettivo in denaro. Proprio mentre il servo di questi è a prelevare il denaro dall’usuraio, a casa di Lena arriva l’amante, Fazio. Ella, con la complicità del marito nasconde il seminudo Flavio in una botte, che, oggetto di contenzioso, viene affidata in qualità di giudice proprio a Fazio, padre della ragazza che può quindi incontrare l’amato nella comodità della sua casa. È qui che interviene il servo di Flavio, il quale riferisce al padre di lui di averlo visto intrattenere rapporti con Lena e che, scopertili, il marito della donna vuole ucciderlo. Il padre, terrorizzato consegna al servo una somma in denaro per placare l’ira del marito, ma poi viene a sapere che non Lena, ma Licinia è stata vista amoreggiare in casa sua con Flavio. I due padri non possono quindi che acconsentire al matrimonio riparatore. La commedia si conclude con la riappacificazione tra Lena e Fazio che continuerà ad esserne l’amante con il silenzioso beneplacito del marito. LE SATIRE - Tra il 1517 e il 1525, durante la revisione del suo capolavoro, l’Orlando Innamorato, dopo aver troncato i rapporti col cardinale Ippolito, Ariosto scrive le Satire. Il titolo non deve riportare a quello che il genere era nel medioevo, ossia un modo per palesare vizi e viziosi, ma deve essere inteso alla maniera di Orazio e dei suoi Sermones ( o appunto Satire), ossia come una sorta di autobiografia morale dell’autore che partendo da spunti personali finisce poi con lo scrivere di problemi comuni. - Le satire sono VII. Nella prima, si racconta della sofferenza dell’autore data dalla rottura col cardinale Ippolito. Nella seconda, si narra la corruzione della corte romana. Nella terza, dei disagi della vita di corte. Nella quarta del periodo del protettorato in Garfagnana. Nella quinta, dei pro e i contro della vita matrimoniale. Nella sesta, del basso livello dei precettori dell’epoca. Nella settima, dopo aver rifiutato un importante incarico papale, conferma la sua immagine di uomo schivo, riservato e antieroico. - Oltre che essere un opera morale, le Satire possono essere considerate un’opera storica, poiché partendo da dati, esperienze e sentimenti personali, l’autore rilette il periodo storico circostante: le guerre d’Italia fanno perdere il già precario equilibrio a quel sistema delle corti che ne uscirà senza dubbio mal ridotto. IL CAPOLAVORO: L’ORLANDO FURIOSO - L’Ariosto inizia a stendere il suo capolavoro intorno al 1504-1505. - La materia cavalleresca appartenente al ciclo carolingio ma anche a quello bretone, aveva da sempre affascinato i ferraresi, ed era stata già ripresa dal Boiardo nel suo Orlando Innamorato, lasciato incompiuto a causa della morte dell’autore. Opera di intrattenimento, il Furioso condivide con quest’ultimo il pubblico di dame e cavalieri al quale il poema è rivolto e che appare spesso all’interno dell’opera. In questo senso l’Ariosto continua il Boiardo, non solo perché prende le fila della trama lasciata interrotta nel suo incompiuto Innamorato, ma anche perché ne eredita l’artificio narrativo fondamentale: quello di aver trasportato la recita delle avventure cavalleresche all’interno della corte. Tuttavia l’Ariosto attenua l’integrale oralità del Boiardo: basti pensare all’incipit dell’opera “ le donne e i cavalier, l’armi e l’amore io canto”, il quale si avvicina molto più al classico dell’Eneide che alla teatralità Boiardesca; come pure le formule di congedo: spiccatamente orali quelle dell’Innamorato, commenti morali nel Furioso. Altro punto in comune con l’opera che lo precede, è il metodo della narrazione: una narrazione ad intreccio, che procede su più piani, dove personaggi, storie e avventure iniziano ma non finiscono, vengono lasciate sospese in un tempo indefinito provocando lo smarrimento nel lettore. - Proprio per questo risulta impossibile riassumere l’Orlando Furioso. Si possono tuttavia tracciare delle linee guida che ne semplificano la lettura e i principali temi tra i quali le armi e l’amore. Nel primo, si identifica la polarizzazione del conflitto tra Saraceni e cristiani. La guerra si articola in 3 fasi: 1) l’assedio del re dei Mori Agramante a Parigi con innumerevoli stragi di cristiani 2) la disfatta dei saraceni seguita alla riscossa dei cristiani 3)La definitiva vittoria di questi a seguito della cacciata dei Saraceni e dell’invasione africana da parte dei paladini di Carlo magno e del triplice duello vinto a Lampedusa. Il secondo si articola nella narrazione di due filoni: il primo riguarda la storia di Orlando e Angelica, il secondo quello di Ruggiero e Bradamante. - In Fuga dai suoi pretendenti, Angelica,bellissima figlia del re del Catai già incontrata nell’Innamorato, dopo aver vissuto varie vicende avventurose, giunge in un bosco ove incontra Medoro, un giovane eroe ferito. Lo cura, se ne innamora ricambiata e i due si sposano, tornando in Oriente. Alla ricerca di Angelica della quale si è innamorato, parte però Orlando, il quale giunto nel bosco dei due innamorati e preso visione di alcune prove che sanciscono la loro unione impazzisce per amore. Nudo, rabbioso e folle semina morte e distruzione vagando dalla Francia, alla Spagna in Africa, venendo fermato solo da Astolfo il quale riesce a fargli recuperare il senno tramite una sorta di pozione magica. Solo così egli può recuperare la sua figura di paladino glorioso e sconfiggere i Saraceni nel duello di Lampedusa. - Profondamente diversa la seconda storia amorosa, grazie alla quale si narra la nascita della stirpe estense della quale Ruggero e Bradamante sono secondo la leggenda i progenitori. Incontratisi ed innamoratisi, i due possono sposarsi solo previa conversione e battesimo del saraceno Ruggero. A fornire gli escamotage narrativi è il mago Atlante, tutore di Ruggero, il quale sa che il destino dell’eroe sarà quello di morire poco dopo il matrimonio e cerca cosi di impedirlo prima rinchiudendolo in un castello fatato dalla quale Bradamante riesce a liberarlo, poi usando l’espediente dell’ippogrifo. Esso era un cavallo alato che lo trasporta su di un’isola dell’Atlantico dove, la regina del luogo lo tiene in una sorta di prigionia dorata fino a quando non viene liberato da Melissa la quale le da in dono un anello magico che ha il dono di regalare l’invisibilità a chi lo indossa. Ruggero può perciò fuggire dall’isola e sulle ali dell’ippogrifo, salva Angelica dal popolo degli Ebudesi che volevano darla in pasto ad un orca. Ella però, rubando l’anello, fugge da lui. Il mago Atlante può così nuovamente rapire Ruggiero e imprigionarlo in un altro castello. Bradamante, nel tentativo di liberarlo rimane vittima di un sortilegio e solo Astolfo potrà liberare i due amanti. Ricongiuntisi, sono nuovamente costretti da varie disavventure a separarsi: Ruggiero rischia di morire a causa di una tempesta e giunto a riva, si fa battezzare dal prete del luogo. I genitori di Bradamante vogliono darla in sposa a Leone, che nel frattempo ha catturato e tiene prigioniero Ruggero. Per ritardare il matrimonio ed aspettare l’amato, Bradamante promette di sposare il valoroso guerriero che la sconfiggerò a duello, così Leone, riconosciuto in Ruggero un uomo valido alle armi, lo fa combattere al suo posto. Egli sconfigge Bradamante e per lealtà cavalleresca si ritira in un bosco. Ma Leone venendo a conoscenza dell’amore che lega i due si fa eroicamente da parte e gli amanti possono finalmente congiungersi. Proprio mentre va in scena il banchetto nuziale, si presenta a corte Rodomonte, il quale vuole sfidare a duello Ruggiero. Egli accetta e dopo uno scontro di inaudita violenza, riesce ad ucciderlo. - La prima edizione dell’Orlando furioso viene pubblicata nel 1516 a Ferrara e comprendeva 40 canti. La seconda, dopo un’accurata revisione viene data alle stampe nella medesima città e col medesimo numero di canti nel 1521. La terza e definitiva redazione uscì a Ferrara nel 1532 in 46 canti. L’Orlando Furioso si presenta come un opera in progress, questo carattere aperto e infinitamente continuabile del poema, si coglie con piena evidenza osservando il passaggio tra la prima e la terza edizione. Tra la prima e la seconda redazione, la differenza è data soprattutto dal livello linguistico:l’Ariosto mirò a ripulire l’opera di quel sostrato canterino e padano, facendole poi varcare con l’edizione del 1532 i confini della corte estense per farla divenire una vera e propria opera di letteratura italiana ( questione della lingua in corso). Tra la seconda e la terza edizione invece le differenze sono più sostanziali: non solo muta la veste linguistica, ma l’atmosfera si fa più cupa, vengono inseriti richiami a eventi drammatici della storia contemporanea, emerge un’Ariosto sempre più votato al pessimismo. La profonda revisione lavora anche sul contenuto aggiungendo quattro nuovi episodi: la storia di Olimpia, l’episodio della rocca di Tristano, la vicenda del tiranno Marganorre e la storia di Ruggiero e Leone. I nuovi episodi non sono aggiunti alla coda, che rimane quella del 1516, ma intrecciandoli alla trama preesistente arricchendo e complicando ulteriormente la narrazione. IL TEATRO DI MACHIAVELLI - La ricerca teatrale, occupa in Machiavelli un arco di tempo che dura un ventennio, dalla prima commedia a noi non pervenuta, Le Maschere all’ultima, la Clizia. Nel mezzo si pone quello che per la critica è il suo capolavoro principale: la Mandragola. Il suo testo è quanto di più lontano si possa immaginare rispetto al teatro classico dell’Ariosto. Le fonti sono tutte volgari, basti pensare agli espedienti narrativi recuperati dalla VI novella della terza giornata del Decameron: la sostituzione nella disputa amorosa e la preferenza verso l’amante piuttosto che verso il marito. La storia è incentrata sulla volontà di Callimaco che vuole conquistare Lucrezia, sposa di un dottore in legge di poco cervello. Facendo leva sulla presunta sterilità di Lucrezia e sulla volontà del marito di volere disperatamente un erede, Callimaco si finge medico e propone il rimedio della mandragola: un erba che renderà fertile la donna ma provocherà la morte del primo che giacerà con lei. Nicia si lascia convincere e accetta di mettere nel letto della moglie un ragazzaccio di strada sotto il quale però si nasconderà Callimaco. La notte d’amore ha luogo e il ragazzo confessa i suoi sentimenti a Lucrezia che superate le prime resistenze iniziali, accetta il suo amore. - Rispetto alla Mandragola, pesa sulla Clizia il pregiudizio di derivare dalla Casina di Plauto. In realtà il testo Machiavelliano riprende il contenuto latino solo a partire dalla scena quarta dell’atto III, per cui più della metà dell’opera sarebbe da considerarsi originale. Quello che in Plauto era un testo dal contenuto ridanciano, qui diventa la descrizione di un vero e proprio dramma familiare. La vicenda ruota intorno ad un vecchio padre di famiglia che si incapriccia della figlia adottiva ma che nella scena finale si ritrova nel letto il suo servo travestito. Rilievo acquistano la figura della Moglie Sostrata, gravemente preoccupata per la perdita d’equilibrio della famiglia e il figlio Cleandro ( a sua volta innamorato della fanciulla) che in Plauto non compariva nemmeno in scena. FRANCESCO GUICCIARDINI - Nasce a Firenze nella seconda metà del 400 in una delle famiglie più nobili e ricche della città. Intraprende gli studi in giurisprudenza, si laurea e si avvia alla carriera forense sino a quando un matrimonio di comodo con la giovane Maria Salviati, figlia di uno degli ottimati più in vista, lo avvia alla carriera politica e al prestigio da sempre desiderato. Grazie al suocero infatti gli vengono affidate nonostante la giovane età importanti missioni diplomatiche come quella di delegato di Firenze in Spagna. Qui rimane due anni e al ritorno si lega alla famiglia Medici: attraverso prima Leone X, poi Clemente VII riceve cariche politiche e governative sempre più importanti fino ad essere designato come luogotenente generale della Chiesa nella Lega di Cognac. Il fallimento di quest’ultima e il sacco di Roma del 1527, lo costrinsero ad allontanarsi dalla politica. Ci ritornò pochi anni dopo per sostenere la candidatura prima di Alessandro Medici e alla sua morte di Cosimo, il quale eletto iniziò sempre più a tenerlo ai margini della scena. Si ritira così a vita privata a scrive quella che è ritenuta la sua opera più importante, le Storie d’Italia. - Vista dall’esterno la figura di Guicciardini può apparire controversa: come può infatti un uomo cambaire tanto radicalmente idee e pensieri tanto da poter lavorare a distanza di breve tempo prima a servizio della Repubblica Fiorentina, poi con i Medici ( avversi al regime repubblicano) e poi addirittura con la Chiesa? La risposta è semplice se si tiene conto di quel che Guicciardini era: un teorico dello Stato, un intellettuale-funzionario, che metteva al servizio di chi deteneva il potere un bagaglio di competenze e tecniche specifiche che garantivano l’efficacia e l’efficienza della cosa pubblica - Molto ha scritto Guicciardini, ma pochi dei suoi scritti sono stati pubblicati. Questo per due motivi principali. 1) le sue opere erano personali o familiari. Idee, appunti e scritti destinati a se stesso o ai parenti più intimi 2) gli scritti politici, contenevano idee in contrasto con quella che era la sua carica politica all’interno della città. È l’autore stesso a dichiararlo nel Proemio al Dialogo del Reggimento di Firenze nel quale vengono esaminate ed escluse varie forme di stato ideale: quello popolare ( giudicato poco efficiente), quello oligarchico ( in balia delle rivalità tra potenti famiglie) e quello signorile( dipendente dal puro arbitrio del principe). La proposta alternativa è quella di un governo misto che dia sfogo sia alle esigenze di rappresentatività del popolo, sia al bisogno di prestigio dei grandi, sia all’ambizione del singolo di farsi non signore né principe, ma di emergere sia pure in un regime di libertà. - la linea tematica più cospicua dell’opera del Guicciardini, riguarda la storia: appartengono al genere storiografico 1) le Storie fiorentine 2) le Storie d’Italia. 3) le Cose Fiorentine 4) le considerazioni sui “Discorsi” del Machiavelli. LE STORIE FIORENTINE Le prime narrano gli avvenimenti politico –civili più salienti della Firenze che va dal 1378 al 1509, ossia dall’anno della rivolta dei Ciompi agli anni in cui è scritta l’opera. L’opera rivela l’acerbità dell’autore che all’epoca aveva all’incirca 25 anni attraverso: 1) la diversa velocità del racconto tra una prima parte che va fino agli ultimi anni del 400, dal ritmo costante e una seconda, quella riguardante i fatti di cui l’autore è testimone che viene narrata con grande dovizia di particolari rallentando la narrazione. 2) il diverso punto di vista da cui vengono osservati i fatti. Più distaccato e oggettivo nella prima parte, molto meno distaccato nella seconda. LE CONSIDERAZIONI SUI DISCORSI DI MACHIAVELLI Guicciardini ebbe modo di leggere l’opera dell’amico Machiavelli quando ancora se ne stava approntando la stampa. Dalla sua attenta lettura scaturirono queste considerazioni che l’autore annotò con cura senza sapere che uso farne. L’analisi è sistematica per il primo libro mentre più vaga per gli altri due. La critica all’opera investe già il disegno generale del libro: Machiavelli ricerca dei principi e dei fondamenti che possano essere estrapolati dal contesto particolare e fungere da leggi generali dell’agire politico; Guicciardini nega la validità di questa procedura, perché è convinto che la storia non si ripeta mai e che dunque le costanti non ci sono o sono solo apparenti. La critica investe anche aspetti particolari dell’opera quali la funzione delle lotte civili nella Roma repubblicana, o le responsabilità della chiesa rispetto alla frammentazione politica italiana. Mentre per Machiavelli le lotte tra patrizi e plebei furono un fattore di progresso per la politica di Roma, che non avendo avuto una costituzione perfetta sin dall’inizio, se la venne creando sotto la spinta di occorrenze particolari( come appunto le lotte sociali), per Guicciardini il conflitto sociale è solo un fattore negativo di degenerazione. Il suo punto di vista, riflettendo le sue origini borghesi, non poteva che condannare ogni insurrezione popolare. Qualcosa di simile avviene circa la valutazione del ruolo della Chiesa nella politica italiana. LA STORIA D’ITALIA L’opera che esprime al meglio l’esperienza storiografica di Guicciardini è la Storia d’Italia, l’unica che egli avesse avviato destinandola alla stampa. È un’opera monumentale, non solo per l’estensione, venti volumi, ma perché riesce a comporre in perfetta armonia le dimensioni più disparate, da quella documentaria a quella morale a quella economica. Pur presentando una narrazione lineare dei fatti ordinati in successione cronologica, il racconto risulta complicato dalla sapiente orchestrazione di fatti privati e pubblici, dal passaggio dall’orizzonte cittadino a quello nazionale e internazionale e dai frequenti innesti nell’esposizione che forniscono le chiavi per l’interpretazione dei fatti che vanno dal 1494, anno della discesa in Italia dell’esercito francese, fino alla morte di Clemente VII nel 1534. Se formalmente Guicciardini si dimostra attento a confezionare un’opera pienamente corrispondente alla norma del genere storico, la sua Storia presenta caratteristiche che la allontanano dalla tradizione umanistica. Intanto la narrazione è fondata su un’attenta analisi delle fonti documentarie forse mai prima d’ora attestata nella storiografia italiana. In secondo luogo, la ricostruzione dei fatti si arricchisce dell’analisi psicologica dei personaggi storici, con le loro passioni e i loro caratteri. Persa ormai ogni fiducia nella razionalità dei fenomeni storici e dunque nella possibilità di trarne una norma, Guicciardini illustra lo scenario della serie di errori che conducono ai disastri d’Italia, come conseguenza di un’infausta combinazione di debolezze umane e di arbitri della fortuna. La storia diviene così il terreno su cui sondare la capacità degli uomini con la mutevolezza e l’incostanza del destino. I RICORDI Asistematica e antilibresca è l’opera dei ricordi: uno zibaldone di pensieri, idee e massime scaturiti dall’esperienza pratica diretta dell’autore e messi su carta. L’opera sancisce lo stacco definitivo dalla concezione della storia come Magistrae vitae e l’impossibilità di trarre dal reale regole e leggi che ne chiariscano il funzionamento. L’avversione alle regole occupa infatti molti dei Ricordi e si chiarisce ora come preponderanza della pratica sulla teoria, ora come esplicita negazione dell’esemplarità dell’antico. Ciò non significa che il mondo per Guicciardini sia una congerie di eventi casuali: egli è consapevole che esistano delle leggi fisse ed immutabili ma è altrettanto consapevole che non è dato all’uomo di conoscerle. LA GERUSALEMME LIBERATA - Precursori di quello che è considerato il capolavoro del Tasso, sono i due poemetti giovanili: la Gierusalemme e il Rinaldo. Il primo occupa la trama dei primi 3 canti della liberata: l’esercito crociato marcia con sventolii di bandiere e squilli di trombe verso Gerusalemme. Il secondo si compone di 12 canti e narra la storia del paladino carolingio e il suo amore per Clarice. Incontrata in un bosco e rapita da un mago, Rinaldo parte alla sua ricerca ma si ferma al castello della regina Floriana con la quale intrattiene una relazione amorosa. Una notte in sogno, gli compare Clarice la quale lo accusa di tradimento. Egli allora parte alla sua ricerca e dopo varie avventure i due si ricongiungono e si sposano. Due sono i punti in comune con quello che sarà l’impasto narrativo della Liberata: la psicologia del protagonista, lacerato tra la voglia di onore e fama e gli affanni di una religione che spesso non sente sua, e l’amore infelice che vive nella vicenda del pastore Florindo e che si rispecchia nel capolavoro nella storia di Erminia e Tancredi e Tancredi e Clorinda. - L’idea di un poema storico imperniato sull’ideale della prima crociata è quindi aspirazione giovanile del Tasso e tema molto sentito dalla società contemporanea . Nell’idea della conquista dei luoghi santi della Palestina, la cultura della Controriforma esprimeva tanto un desiderio di rivalsa dopo le pesanti perdite dovute all’estensione della riforma protestante, quanto la paura e il senso di assedio dovuto all’espansione turca, che trovò uno sfogo liberatorio con la vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto, dove un’alleanza di principi cristiani sconfisse la flotta turca. - L’incunambolo della Gerusalemme liberata è il Gottifredo ( in nome del generale comandante dell’esercito crociato Goffredo di Buglione), iniziato intorno al 1570 e pubblicato con il titolo di Goffredo nel 1580. La prima stampa completa con il titolo definitivo, la Gerusalemme liberata è dello stesso anno, ma la prima edizione autorizzata dall’autore è del 1581. - Fin dalla prima ottava del proemio, dopo aver definito la materia del poema nelle “armi pietose” e il protagonista in “colui che liberò il sepolcro di Cristo”, Tasso passa a delineare tre piani d’azione. Goffredo deve infatti scontrarsi con “l’Inferno, il popolo d’asia e di libia e i compagni erranti”. Il primo incarna un universo impalpabile, cosmico, il diavolo e le forze infernali, il secondo un fronte bellico, naturale mentre il terzo un fronte etico-politico. - Antitetici sono i due schieramenti posti in campo, quello degli infedeli e quello cristiano. Il primo dominato dal principio dell’individualità, dell’onore e della fama, della casualità e del destino, incarna la tradizione cavalleresca per eccellenza; il secondo invece, abbandona l’individualismo in favore di una cavalleria rigidamente subordinata ad una causa collettiva. Tuttavia, non mancano segni di divisione al suo interno. Si pensi soprattutto al canto IV quando Aminta, travestito da donzella si presenta al campo dei cristiani per chiedere aiuto: Goffredo in nome della causa comune rifiuta di prestare aiuto alla supplice, ma al suo diniego reagisce Eustazio rivendicando il valore supremo della cortesia. - i personaggi della Liberata, si caratterizzano per un’intensa analisi psicologica e caratteriale. Nello schieramento cristiano, figura monolitica è Goffredo, generale dell’esercito crociato, primo esempio letterario di eroe positivo. La critica lo ha spesso definito schematico, prevedibile, quasi monotono, tuttavia egli si sparte in un dissidio interiore che lo vede da un lato comandante che deve infondere forza e calma, dall’altro uomo dalle tormentose veglie notturne, dei mille pensieri e dubbi. Accanto a lui, Rinaldo, il braccio dell’impresa, così come da Tasso stesso Goffredo viene definito come “testa”, l’uomo fatale senza il quale la vittoria crociata non sarebbe stata possibile. Un discorso a parte merita Tancredi: eroe risoluto disfatto dalla potenza dell’amore per Clorinda, guerriera pagana. Basta la visione del’amata a far perdere tutte le doti guerresche dell’eroe. L’epilogo è tragico: Non avendola riconosciuta, Tancredi la uccide obbedendo in punto di morte al suo desiderio di ricevere il battesimo. Riconquista così sì un eroe nemico della Grazia cristiana ma allo stesso tempo distrugge ogni sua speranza di felicità. - Come aveva scritto nei suoi giovanili Discorsi, l’epica richiede uno stile magnifico che all’occorrenza si fletta verso l’abbondanza di ornamenti della lirica o la semplicità della tragedia: non dunque uno stile mediocre, addirittura comico (come quello dell’Ariosto), ma uno stile complessivamente alto sebbene non uniforme. Questa teoria si concretizza in un impasto originalissimo tra due registri fondamentali: quello della guerra santa e quello dei turbamenti interiori ( bifrontismo spirituale). Sul piano delle figure retoriche è da notare l’uso dell’enjambement che rallenta i ritmi della narrazione nelle stanze dove il poeta vuole dare più pathos. - Finito e dato alle stampe il suo capolavoro, il Tasso non ne era pienamente soddisfatto. Sono gli anni dell’esilio al Sant’Anna quelli in cui si dedica con fervore ad una piena revisione dell’opera dichiarando di volerne scrivere un’altra edizione, pronta agli inizi del 1590: la Gerusalemme conquistata. Nonostante essa sia ideologicamente vicina alla precedente non riuscirà mai a soppiantarne però la diffusione. Più che di un rifacimento, la critica ha spesso parlato di un’altra opera parallela alla Liberata: se infatti il contenuto e l’intreccio dei fatti rimane uguale, è il criterio di disposizione del materiale narrativo che muta assieme allo stile e alla lingua. Numerosi sono i tagli presenti nell’opera ma ancor più sono le aggiunte riguardanti essenzialmente episodi guerreschi al cui centro vi è Goffredo( poiché l’autore vuole metterne ancora più in rilievo la centralità nella vittoria crociata), nei quali vengono particolarmente esaltate le virtù dei crociati, portatori di qualità positive contro gli infedeli, portatori di qualità negative. La lingua risulta profondamente modificata in favore di un toscaneggia mento dell’opera in relazione alle critiche che gli erano state rivolte dalla crusca. L’ULTIMO TASSO: IL RE TORRISMONDO - Il re Torrismondo appartiene alle ultime opere del Tasso ed né dedicato a Vincenzo Gonzaga, il suo liberatore dal Sant’Anna. La trama ruota attorno al Re Torrismondo diviso tra l’amore per Alvida,figlia del re di Norvegia e la lealtà verso l’amico, innamorato della stessa donna. Torrismondo, ingannando padre e figlia, chiede in sposa la donna all’uomo con l’intenzione di consegnarla all’amico che non si era fatto avanti prima a causa dell’inimicizia che lo divideva da Araldo. Ma i due si innamorano ed hanno un furtivo rapporto sessuale. Dopo alterne vicende, l’amico di Torrismondo sembra disposto a tirarsi indietro ma questi scopre che Alvida è sua sorella. La donna non crede all’incesto, pensa di non essere più amata e si suicida seguita dell’amante che prima invia una lettera all’amico per affidargli la madre e il regno.L a tragedia si chiude con una sconsolata considerazione sulla vanità dell’esistenza. Due sono le tipologie di tragedia che si intrecciano nell’opera: quella cavalleresca che si trova nella psicologia del protagonista lacerato tra l’amore per la donna e la lealtà verso l’amico, e quella greca dell’Edipo re, nell’incesto inconsapevole dei due amanti.
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