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Il racconto audiovisivo - Teorie e strumenti semiotici, Sintesi del corso di Semiotica

Riassunto "Il racconto audiovisivo - Teorie e strumenti semiotici" di Paolo Bertetti, Cartman 2012 per esame di Semiotica dei media con prof Lucio Spaziante, a.a. 2023/2024, DAMS UNIBO

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 30/04/2024

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Scarica Il racconto audiovisivo - Teorie e strumenti semiotici e più Sintesi del corso in PDF di Semiotica solo su Docsity! 1 Il racconto audiovisivo: teorie e strumenti semiotici - Paolo Bertetti 1. Semiotica, audiovisivo, racconto, testo 1. Semiotica La parola semiotica viene dalla parola greca semeiotiché, che indica la dottrina dei segni. Essa deriva a sua volta dal termine seméion (segno), parola proveniente dell'arte divinatoria e dall'ambito medico, dove indicava i moderni sintomi. Lo studio dei segni ha origine nell'antichità classica e il termine semiotica fu introdotto dal filosofo inglese John Locke nel suo Trattato sull'intelletto umano (1690); la semiotica contemporanea si può fare risalire a due padri fondatori: Ferdinand De Saussure (1857-1913), che ipotizzava una disciplina, la semiologia, avente come oggetto lo studio dei segni all'interno della vita sociale, e il filosofo americano Charles Sanders Pierce, che intendeva la semiotica come logica, come una teoria della conoscenza, la quale per Pierce si attua attraverso i segni, non soltanto linguistici. Semiotica (Algirdas J. Greimas): disciplina che studia i sistemi e i processi di significazione, il meccanismo attraverso cui un certo significante rinvia a un determinato significato. Il segno è l'unità minima di significazione, cioè la porzione isolabile più piccola dotata di un significato e di un significante. In un qualsiasi atto di comunicazione raramente ci troviamo di fronte ai singoli segni isolati, ma piuttosto di fronte a testi, dati dall'insieme di più segni dotati di funzione segnica, cioè di un significante e di un significato (o di un'espressione e di un contenuto). La semiotica di fronte a un testo si concentrerà sui modi attraverso i quali tale testo e il suo piano dell'espressione manifesta il proprio contenuto: studierà le strategie attraverso cui tale contenuto viene manifestato dalla sua espressione. La semiotica studierà le strategie attraverso le quali un testo produce senso. Il fine ultimo dell'analisi semiotica consiste non nella descrizione e/o nell'interpretazione di un testo, ma nell'elaborazione di una teoria dei linguaggi. 2. Audiovisivo 2.1 Definizioni “L'audiovisivo è un prodotto significante, finalizzato a scambi comunicativi, che è normalmente definito dai sensi dell'uomo implicati direttamente nella sua fruizione (l'udito e la vista), anziché dalle sue caratteristiche segniche e dagli elementi che lo costituiscono” (Bettini, 1996). Il concetto di audiovisivo sarebbe definito dalla sua natura materiale e non dalla sua natura segnica. Il tratto comune che fonda la categoria è quello di una sinestesia della fruizione, cioè di una concorrenza di stimoli provenienti da organi sensoriali diversi, la vista e l'udito. Si tratta di un termine-ombrello, sotto il quale si raccolgono testi e prodotti diversi, che nella loro composizione uniscono immagini fisse e/o in movimento con parole, suoni, rumori (Bettini, 1996). Quello che differenzia l'audiovisivo dal teatro, dalla danza e da altre 2 manifestazioni semiotiche è il fatto che l'audiovisivo è sempre costituito da immagini, associate a suoni, voci e rumori. Poco importa che tali immagini siano statiche o in movimento: né importa l'origine e la loro natura. Quella audiovisiva è caratterizzata dalla presenza di un differimento tra il momento della produzione e quello della ricezione (débrayage tra il “qui ed ora” del soggetto enunciante e quello del soggetto enunciatario). Una rappresentazione teatrale non è un audiovisivo, anche se unisce suoni e visioni, mentre lo sono la sua registrazione o la sua ripresa televisiva in diretta. Tale differimento può essere di natura spaziale (trasmissione televisiva in diretta); oppure di natura spaziale e temporale (cinema, audiovisivi registrati). Sebbene per la creazione di un audiovisivo sia imprescindibile la presenza di un apparato tecnologico di produzione (telecamera, microfoni, cinepresa…) e di diversi supporti di trasmissione e riproduzione (pellicola, videocassette…) la natura di tali apparati e supporti materiali non è sempre discriminante per una classificazione degli audiovisivi. Spesso è più importante il tipo di discorso che sta alla base dei diversi generi audiovisivi, che non le caratteristiche tecniche dei loro supporti. Ciò è vero anche per una delle distinzioni identificabili all'interno degli audiovisivi: • Audiovisivi che fanno uso della diretta (la televisione); • Audiovisivi che non fanno uso della diretta (cinema, spot pubblicitari). Una volta sviluppato il linguaggio della diretta, esso è stato mantenuto anche in buona parte delle produzioni registrate e trasmesse in differita. 2.2 Problemi di una semiotica dell'audiovisivo Di tutti i generi audiovisivi è il cinema a essere stato maggiormente approfondito e studiato in quanto è il primo, il più diffuso e il più complesso degli audiovisivi, ma anche per una sorta di privilegio a esso attribuito dal punto di vista estetico. Il concetto di audiovisivo, per quanto possa risultare semioticamente problematico, pone l'accento sul nesso tra parola e immagine (per lo più in movimento) che unisce media e generi diversi, i quali sembrano sempre più confondersi e amalgamarsi. 2.3 L'audiovisivo come semiotica sincretica Il testo audiovisivo è stato spesso ricondotto alla categoria dei testi sincretici, che si caratterizzano per la messa in opera di diversi linguaggi di manifestazione. Oltre ai testi audiovisivi, sono esempi di discorso sincretico un'inserzione pubblicitaria, un fumetto, un telegiornale, una manifestazione culturale o politica (Floch, 1980). Secondo Hjemslev (1943), ogni linguaggio costituisce un sistema di segni, ognuno dei quali si compone di espressione e contenuto (equivalenti rispettivamente al significante e al significato di Saussure). Ogni sistema di segni segmenta e organizza in maniera diversa una materia dell'espressione e una materia del contenuto: nel caso del linguaggio verbale, la materia dell'espressione è il puro suono inarticolato che precede ogni 5 lessico della filologia. La nozione di testo elaborata dalla filologia fu estesa dal campo letterario a quello cinematografico e poi ai sistemi di comunicazione. Tale definizione prevedeva un qualcosa di attestato, di riconoscibile, individuabile, stabilito, classificato, sistemato in un qualche insieme. Ed ecco quindi caratteristiche come: • l'autonomia (un testo deve avere un suo significato autonomo); • la chiusura (un testo deve avere un inizio e una fine); • la coerenza; • l'intenzionalità; • il fine comunicativo. In semiotica la nozione di testo non corrisponde necessariamente con quella di opera. Rispetto alla chiusura e all'autonomia dei testi è emersa sempre più l'insufficienza della tradizionale idea di testo chiuso e definito: ad esempio la programmazione televisiva, organizzata come flusso. Si tratta di un problema che si poneva già alle origini del cinema, quando l'opera cinematografica era presentata al pubblico all'interno di spettacoli più ampi che accostavano il film a rappresentazioni di varietà, danze, musica. Metz (1971): i testi filmici sono unità di senso che possono avere un'ampiezza materiale differenziata. Se il film e cioè l'opera è un'unità privilegiata, si può prendere come testo anche entità più ampie (una serie di film, l'opera di un regista o un genere), oppure si può scegliere di considerare testo anche solo singole sequenze che risultino dotate di senso. In quest'ottica, può essere considerata testo qualsiasi porzione di realtà significante isolata ai fini dell'analisi e riconosciuta come tale. Il testo non è un'entità data una volta per tutte (un'opera d'arte, letteraria, cinematografica ecc…) su cui si esercita l'analisi, ma un costrutto (semiotico) la cui individuazione è il risultato delle pertinentizzazioni (cioè delle scelte strategiche) operate da colui che compie l'analisi, il quale individua all'interno di un continuum fatto di discorsi e di pratiche semiotiche delle porzioni significanti su cui esercitare il proprio sguardo semiotico. Qualsiasi costrutto significante può essere inteso e studiato come testo. Si tratta dell'idea semiotica che il mondo in cui siamo immersi, quello che Greimas chiama il mondo naturale, sia significante, organizzato da strutture semiotiche, e che noi umani articoliamo la nostra esperienza in modi non diversi da come strutturiamo un testo letterario, visivo o cinematografico. La produzione del senso non è riducibile all'individualità e alla compiutezza del singolo testo, ma è un qualcosa più dinamico e generalizzato, che si manifesta nella sua totalità o soltanto nei rapporti, nelle relazioni che legano tale testo agli altri testi, che però si ridefiniscono continuamente in base alle pratiche messe in atto dai soggetti coinvolti nell'interazione. I testi sono inseriti all'interno di una realtà sociale che può essere analizzata a diversi livelli di pertinenza. La realtà nella visione socio-semiotica è un fluire di discorsi significanti, e luogo di pratiche sociali e semiotiche, che si organizzano in discorsi e si coagulano in testi. 4.1 La stratificazione del testo 6 Génette distingue tra storia (le vicende raccontate) e discorso (l'insieme dei modi in cui sono narrate), ma già i formalisti russi, all'inizio del XX secolo, distinguevano (in relazione all'ordine del racconto) tra fabula e intreccio: secondo Tomasevskij (1928) la fabula è la catena di eventi, in ordine logico e temporale, che compone una storia, mentre l'intreccio è l'insieme degli stessi eventi come sono effettivamente raccontati nel testo. Roland Barthes (1966) distingue all'interno dell'opera narrativa tre livelli di analisi: 1) funzioni (le singole unità, i singoli elementi narrativi di cui si compone il testo); 2) azioni (in cui si articolano tali elementi narrativi); 3) narrazione (il livello del discorso). Barthes individua a livello delle funzioni, due sottolivelli di analisi: • il primo è quello delle funzioni in senso proprio, che riguarda la trama e le azioni (il fare); • il secondo è quello degli indizi, cioè quello degli elementi non narrativi, che rinviano all'essere. Se le prime rimandano alla sintassi, i secondi sono unità semantiche. Le funzioni propriamente dette possono essere suddivise in nuclei e catalisi, a seconda del ruolo centrale (“cardinale”) da loro rivestito nel processo narrativo, gli indizi in indizi in senso proprio e informanti: i primi rinviano a un carattere, un sentimento, a un'atmosfera, i secondi servono a identificare, a situare nel tempo e nello spazio. Indizi, informanti e catalisi possono essere considerati delle espansioni rispetto ai nuclei. Uno dei modelli più diffusi di stratificazione testuale si deve ad A.J. Greimas. Anni ’60 → sviluppo percorso generativo del senso. Ricostruzione ipotetica dei modi attraverso cui il testo attualizza e dà forma a un senso profondo indifferenziato, attraverso vari livelli, partendo da quelli più profondi e astratti per arrivare a quelli più superficiali. Il percorso generativo, secondo la definizione di Greimas e Courtés (1979), costituisce la forma di una teoria semiotica, data dalla disposizione delle sue componenti le une in rapporto alle altre. Si tratta di un modello euristico, cioè di una costruzione 7 dell'analista, che non esiste al di fuori dell'analisi ma che può essere utile ai fini di un'indagine scientifica. Il modello non è necessario (non corrisponde necessariamente alla realtà delle cose), ma ai fini dell'indagine scientifica è utile pensare che un testo possa essere organizzato in tale modo. Il percorso generativo non appartiene all'ordine dei testi, ma a quello dell'interpretazione. Ogni analisi che prende a modello il percorso generativo è l’esplicitazione di un possibile percorso di senso di un testo. Ogni livello del percorso generativo costituisce un livello di pertinenza e quindi un possibile livello di analisi del campo semiotico. Il modello ripropone la classica distinzione tra un livello della storia (livello semio-narrativo) e uno del discorso (livello discorsivo). Il livello semio-narrativo è articolato in due sottolivelli: • un livello profondo, corrispondente ai valori astratti manifestati nel testo; • un livello superficiale, quello delle strutture narrative. Ogni livello può essere oggetto di un'analisi semantica e sintattica. Il livello narrativo e quello discorsivo costituiscono il piano del contenuto di un testo: trovano la loro manifestazione nel testo, nell'unione con il Piano dell'Espressione (corrispondente al livello plastico). 10 funzioni vengono raggruppate da Propp in base ai personaggi che se ne fanno carico, individuando 7 sfere d'azione, cioè 7 tipi di ruoli rivestiti dai personaggi all'interno delle fiabe di magia: Eroe, Antagonista, Donatore del Mezzo Magico, Aiutante dell'Eroe, Principessa e Re Suo Padre, Falso Eroe. Alcune funzioni rivestono un'importanza maggiore rispetto ad altri. Ogni narrazione fiabesca incomincia con una Mancanza, che costituisce il motore dell'azione, oppure con un Danneggiamento a cui si deve porre rimedio, subito ad opera di un Antagonista, che sottrae o distrugge un qualcosa che deve essere recuperato dall’Eroe. Il Danneggiamento è preceduto da una serie di sette funzioni, che costituiscono una fase preparatoria, attraverso la quale, a partire da una situazione iniziale di sicurezza, si attuano le condizioni che rendono possibile il Danneggiamento stesso; tali funzioni non si trovano nel caso in cui la fiaba incominci con una Mancanza. Mancanza e Danneggiamento aprono la fase principale, che culminerà con la rimozione della Mancanza o del Danneggiamento, attraverso la lotta dell'eroe con l'antagonista e la conseguente vittoria del primo sul secondo. Propp identifica una serie di funzioni attraverso le quali l'eroe acquisisce la possibilità e la capacità per sostenere vittoriosamente lo scontro con l'antagonista. L'eroe dovrà abbandonare la casa o il villaggio, luogo sociale protetto, per raggiungere il luogo, diverso e selvaggio, in cui avverrà la lotta con l'antagonista (funzioni: partenza dell'eroe da casa e trasferimento); nel corso del viaggio dovrà acquisire il mezzo magico che solo gli permetterà di portare a compimento la sua impresa. Ciò avverrà grazie all'intervento di un donatore, che sottopone l'eroe a una prova tesa a rilevare le sue qualità fisiche e morali (prima funzione del donatore); Il superamento della prova (reazione) da parte del protagonista lo qualifica come degno del dono (Greimas parlerà di prova qualificante) e gli consente il conseguimento del mezzo magico. Una volta sconfitto l'antagonista e rimosso il danneggiamento (la prova principale, secondo Greimas), l'eroe intraprende il ritorno a casa, ma spesso questo non coincide con il finale felice della fiaba, bensì il protagonista si trova spesso a dover rivendicare il suo status di eroe attraverso ulteriori peripezie (la prova glorificante per Greimas) contro le pretese di un falso eroe, prima di poter ottenere il riconoscimento sociale della sua impresa e la giusta ricompensa, sancito tradizionalmente dalle nozze. Il risultato più importante delle ricerche di Propp consiste nell'aver mostrato come al di sotto della molteplicità delle azioni e degli attributi dei singoli personaggi, si possono rintracciare degli elementi costanti e iterativi che presiedono la realizzazione di diversi testi narrativi. Propp fu il primo a individuare, all'interno del racconto, due diversi piani: • un piano delle variabili (le azioni e gli attributi dei personaggi); • un piano delle costanti (il valore di tali azioni ai fini dello svolgimento della trama, cioè le funzioni). Alcune di queste funzioni sono applicabili anche al racconto audiovisivo (Casetti e Di Chio, 1990): classi di azione → privazione, allontanamento, viaggio, divieto, obbligo, 11 inganno, prova, rimozione della mancanza, ritorno, celebrazione, esemplificate su un classico come Stage coach (Ombre rosse) di John Ford. A conclusioni analoghe era arrivato anche il mitologo americano Joseph Campell nel suo the Hero With A Thousand Faces (1949), per il quale tutti i racconti mitici non sono che infinite variazioni di una medesima struttura fondamentale, che egli chiama monomito; tale struttura si incentra su un viaggio verso luoghi magici e meravigliosi che l’eroe affronta per compiere le proprie imprese, scandito in 19 tappe. Anni dopo Chris Volger riprese e semplificò il modello proposto da Campell nel Viaggio dell'eroe (1982): “Tutti i racconti sono costituiti da alcuni elementi strutturali comuni, che si trovano universalmente nel mito, nelle fiabe, nei sogni e nei film”. 3. La semiotica narrativa di A.J. Greimas È proprio il modello proppiano che rinvia alla distinzione fatta da Greimas tra un livello narrativo dei testi più profondi e astratto (corrispondente al livello delle costanti di Propp), dove troviamo le strutture narrative astratte e atemporali, e un livello che Greimas chiama discorsivo (livello delle variabili), nel quale tali strutture vengono rivestite da spazi, tempi ed elementi concreti (le figure) appartenenti al mondo naturale. Per Greimas tutte queste variabili che manifestano la struttura narrativa fondamentale (ambientazioni, diverse caratterizzazioni di personaggi ecc…) rientrano all'interno del livello discorsivo, dei modi in cui è possibile raccontare una storia. Il livello narrativo secondo Greimas si deve distinguere al suo interno in due sottolivelli: • un livello semio-narrativo superficiale (quello delle strutture narrative propriamente dette); • un livello profondo, detto anche logico-semantico, che corrisponde alle strutture di senso più astratte ed elementari, ai valori fondamentali e ai sistemi di valori che stanno alla base del contenuto dei testi. Tali strutture possono essere oggetto di una descrizione formale in base a una serie di categorie semantiche di natura oppositiva (euforia/disforia, bianco/nero, maschile/femminile). Una categoria semantica può essere rappresentata attraverso il quadrato semiotico, un modello visivo che permette di articolare un concetto ponendolo a confronto con i termini con cui esso è in relazione di opposizione. Il quadrato costituisce per Greimas la struttura elementare della significazione. 12 Per la semiotica, da Saussure in poi, il valore di un segno è dato dalla rete di relazioni in cui è inserito e che lo legano agli altri segni. In base al criterio della pertinenza, se analizziamo un testo, l'opposizione su cui si costruisce il quadrato semiotico deve essere individuata di volta in volta da chi compie le analisi in relazione al testo che ha di fronte. La categoria semantica definita dall’opposizione è un'ipotesi operativa, che sarà poi confermata o meno a seconda della sua capacità euristica, vale a dire dalla sua maggiore o minore fruttuosità ai fini della ricerca. Il modello presentato è semantico perché rende conto di una categoria semantica. Esso è sintattico in quanto consente delle operazioni. La sintassi opera delle trasformazioni in base alle quali un contenuto è negato e un altro affermato. È detta disgiunzione la trasformazione per negazione e congiunzione la trasformazione per affermazione → prima condizione della narratività. Le storie sono riconducibili a una serie di opposizioni che assumono valore ideologico, delle quali si fanno carico personaggi diversi. Sarà a livello più superficiale delle strutture che tali opposizioni verranno tradotte in strutture narrative e saranno prese in carico da personaggi diversi. Livello semio-narrativo di superficie Il livello delle strutture di superficie può essere analizzato, come quello profondo, da un punto di vista semantico e da uno sintattico. Sul piano semantico le opposizioni e i valori da esse rappresentati (presenti a livello profondo) vengono prese in carico dagli attanti, e in particolare dall’attante oggetto di valore. Sul piano sintattico le operazioni astratte del quadrato (come quelle di affermazione e di negazione) vengono convertite in un fare antropomorfo, cioè in azioni compiute da operatori umani. Attanti e attori Greimas (1966) attua una distinzione tra attanti e attori. Se gli attanti sono delle entità narrative astratte, definite dal loro valore narrativo, cioè dal loro ruolo ai fini dello svolgimento dell'azione, gli attori sono la loro realizzazione in entità specifiche e 15 lo stesso soggetto che opera la congiunzione. Si definirà Soggetto di stato quello che si trova in uno stato di congiunzione o di disgiunzione con l'oggetto, mentre sarà un soggetto del fare quello che opera la congiunzione o la disgiunzione. Vi è la distinzione tra un soggetto performante, che compie l'azione, e un soggetto competente, in possesso di una serie di abilità che lo mettono in grado di compiere l'azione. La teoria delle modalità La teoria degli attanti è insoddisfacente. Essa riguarda il piano delle azioni, ma nulla ci dice sulle motivazioni e sulla dimensione cognitiva del soggetto che agisce. Negli anni ‘70 nel suo saggio Pour une théorie des modalités (1976) Greimas sviluppò la sua teoria delle modalità narrative. In linguistica è detto modale un predicato che modifica un secondo predicato che lo segue nella catena sintagmatica dell'enunciato; tale modificazione è detta modalizzazione. Quattro momenti che costituiscono una struttura fondamentale della narrazione: • manipolazione o contratto → far fare • competenza → essere del fare • performanza → far essere • sanzione → essere dell'essere L'idea di Greimas è che alla base del rapporto fra un soggetto e un altro soggetto, o fra un soggetto e il mondo, vi siano quattro orientamenti: 1. Desideri del soggetto → modalità del volere; 2. Aspetto sociale del soggetto → lo lega alle regole della collettività con una serie di diritti e di doveri, di comportamenti ammessi o vietati → modalità del dovere; 3. Modalità del sapere → definisce l'ambito cognitivo del soggetto; 4. Modalità del potere → relativa alle abilità del soggetto e alle sue possibilità di azione: il soggetto può fare qualcosa allorché abbia la capacità di farlo, ma anche perché nessuno glielo impedisce o vieta. Per Greimas il soggetto può dirsi competente quando ha tutte le modalizzazioni che gli servono per portare a termine il programma narrativo. Lo schema narrativo canonico può facilmente ritrovarsi nei programmi televisivi di intrattenimento, ad esempio nei programmi a quiz. 3.Il racconto come discorso: figure, spazi, tempi Analizzare il racconto come discorso vuol dire studiare diversi modi in cui uno stesso avvenimento, o una serie di avvenimenti, viene narrato. Gerard Genette (1972), per analizzare i rapporti fra i tre livelli del racconto (storia, discorso, narrazione), fa ricorso alle tre categorie 16 • della voce (chi narra?) • del modo (chi vede? → da quale punto di vista è narrata la storia?) • del tempo Genette parte dall'idea che qualsiasi azione è narrativa e che ogni racconto è l’espansione di una forma verbale. Secondo Greimas, all'interno di quello che egli chiama il livello discorsivo, rientrano anche tutte le variabili che rendono concreta la struttura narrativa fondamentale, cioè ambientazioni, diverse caratterizzazioni dei personaggi ecc… È attraverso quella che egli chiama la messa in discorso che, per lo studioso, le strutture narrative astratte e atemporali (proprie del livello semio-narrativo) vengono rivestite di spazi, tempi ed elementi concreti, le cosiddette figure, venendo a costituire la componente figurativa dei testi. 1. Il livello figurativo In semiotica il termine figurativo si riferisce al livello concreto dei testi narrativi, in contrapposizione, a quello astratto degli attanti e delle strutture narrative. Esso corrisponderebbe a ciò che per Propp era il piano delle variabili, consistente negli attributi del personaggio → livello delle rappresentazioni o delle descrizioni degli oggetti e degli stati del mondo. La figuratività non è propria soltanto dei testi visivi, ma di ogni tipo di testo, anche di quelli letterari. Le figure consistono in elementi concreti (persone, cose, luoghi) appartenenti a quello che Greimas chiama mondo naturale, e cioè il mondo della realtà che cade sotto i nostri sensi. Anche questi elementi concreti possono essere studiati come delle costanti, distinguendosi da quanto sosteneva Propp, per il quale solo le funzioni erano elementi invariabili e potevano essere oggetto di un'analisi formale. Joseph Courtés (1987), analizzando un corpus di fiabe francesi prende in esame gli elementi figurativi, definiti da Propp come variabili, come invarianti, in opposizione alle forme narrative che verranno assunte come altrettante variabili. Le figure possono essere raggruppate in temi. Ogni tema è esprimibile attraverso percorsi figurativi diversi, e viceversa ogni figura può rinviare a temi diversi a seconda del contesto. Greimas (1979) sottolinea che le figure non sono pure rappresentazioni degli oggetti del mondo, né semplici riproduzioni delle nostre percezioni, ma sempre il risultato di una qualche mediazione di tipo culturale, sono cioè elementi già semiotizzati, già dotati di senso. Configurazioni e motivi Una figura non si presenta quasi mai isolata, ma richiama altre figure a esso associabili. Se il valore potenza può essere espresso da una figura, lo stesso processo che installa tale figura darà origine anche a una serie di altre figure a essa collegate, che diventerà un attore caratterizzato da una serie precisa di attributi. Le figure non sono oggetti chiusi in se stessi, ma incontrano e agganciano altre figure apparentate, costituendo 17 delle costellazioni figurative che hanno una loro propria organizzazione. Greimas parla di configurazioni discorsive. Ogni figura porta con sé delle azioni caratteristiche a essa legate. Esse sono organizzate secondo un preciso percorso figurativo (appaiono nel racconto secondo una determinata successione) e possono migrare da un racconto all'altro, venendo a costituire una invariante riconoscibile all'interno di qualsiasi testo in cui appaiono. Le configurazioni sono assimilabili al concetto di motivo. C’è un riferimento all'iconologia di Erwin Panofsky. Quello che contraddistingue la nozione semiotica di figura è la connessione e l'interdipendenza che viene posta tra essa e la narrazione: una figura è quasi sempre inserita all'interno di configurazioni e percorsi figurativi la cui logica è narrativa, nel senso che la realizzazione di un tema porterà con sé una serie di figure apparentate e una serie di azioni relative. Una figura è sempre connessa a una qualche virtualità narrativa, rende cioè possibili certi corsi di azione e ne preclude altri. Non c'è opposizione tra analisi delle strutture narrative e analisi figurale. Le figure, prima ancora di essere elementi appartenenti a un testo, sono entità autonome di natura storico-culturale e trans-testuale, appartenenti alla competenza comune dei soggetti (mittente e destinatario) coinvolti nello scambio comunicativo che attraverso il testo si instaura. Tali entità sono dotate di un proprio significato almeno in parte indipendente dal testo narrativo in cui sono inserite. Una determinata figura può essere investita di valorizzazioni e di significati di volta in volta diversi. Le indagini sulla figuratività possono contribuire allo studio dei generi e all'esplorazione dell'immaginario collettivo e di massa. Un secondo approccio allo studio delle figure è quello di concentrarsi sul valore che esse rivestono all'interno di un certo testo, sia dal punto di vista narrativo (ogni figura ha un valore narrativo, rende possibili certi corsi di azione e ne impedisce altri), sia da quello semantico (ogni figura è investita di determinati valori e significati, sia in relazione agli altri elementi che compongono il testo, sia intrinsecamente legati a essa all'interno di una data cultura). Per studiare il significato di un testo può essere utile e rivelatrice l'analisi delle figure ricorsive, cioè di quelle figure che ritornano all'interno di un testo, venendo a delineare un’istopia figurativa, cioè un insieme di elementi figurativi o accomunabili che costituiscono un livello di senso del testo. Livelli di figuratività Per Greimas, il livello figurativo non è proprio soltanto delle semiotiche visive, ma pertiene a tutti i sistemi semiotici: a seconda dei diversi sistemi, ma anche dei diversi generi discorsivi, avremo discorsi che si pongono a livelli diversi di densità figurativa. Una distinzione tra discorsi figurativi e non figurativi è puramente ideale; nella realtà, i testi non sono mai puramente astratti o figurativi. Si tratterà di distinguere tra testi con una figuratività poco marcata e altri che tendono a creare un effetto di reale, sviluppando un alto grado di iconicità. Greimas e Courtés (1979) distinguono due stadi intermedi di figurativizzazione: 20 In un audiovisivo la spazialità si definisce non soltanto in base a quanto è mostrato dalle immagini, ma anche in relazione alla dimensione sonora. Una porzione di spazio non inquadrata può venire comunque presentificata grazie al suono (parole, rumori, musica). Tra suono e immagini si possono avere tre tipi di rapporto: 1. suono in: il suono è diegetico (appartiene al mondo narrativo) e la sorgente del suono è inquadrata nello schermo; 2. suono off: il suono è diegetico ma la sua fonte non è inquadrata: è il suono fuori campo; 3. suono over: è il suono extradiegetico, la cui sorgente è invisibile ed è collocata in uno spazio-tempo altro rispetto a quello rappresentato sullo schermo: è il caso della voice over (la voce recitante) e dell'accompagnamento musicale. La distinzione tra suoni diegetici e suoni extradiegetici può venire messa in crisi per creare particolari effetti sullo spettatore. Spazialità e movimento Un altro aspetto della spazialità filmica è relativo alle relazioni che possono intercorrere tra movimenti della macchina da presa e movimenti all'interno dello spazio rappresentato. Vi sono quattro diversi tipi di spazi: 1. spazio statico fisso: inquadrature fisse e di ambienti immobili; 2. spazio statico mobile: definito da un'inquadratura fissa che riprende delle figure in movimento entro i bordi delle immagini; 3. spazio dinamico descrittivo: quando la macchina da presa si muove seguendo e assecondando i movimenti delle figure che vengono riprese oppure lo sguardo di un personaggio; 4. spazio dinamico espressivo: si realizza quando la macchina da presa si muove liberamente, sottolineando con i suoi movimenti azioni o elementi specifici che hanno luogo o si trovano all'interno dello spazio rappresentato, attuando una funzione di commento e interpretazione rispetto a quanto ripreso. Spazialità e messa in serie • spazio del profilmico → spazio, con tutto ciò che esso contiene, che si trova davanti alla macchina da presa e viene da esso ripreso, risultato della messinscena cinematografica, cioè dell'organizzazione da parte del regista dei materiali di ogni inquadratura • spazio che viene creato attraverso la messa in quadro, cioè attraverso le operazioni di selezione e di organizzazione attuate nel momento della ripresa. Tuttavia, l'organizzazione dello spazio proprio del film, il cosiddetto spazio filmico, passa anche attraverso la messa in serie nell'inquadratura attuata 21 attraverso il montaggio. I rapporti spaziali che si instaurano tra le quadrature (Gaudreault e Jost, 1990) → quattro tipi fondamentali. Si può avere un raccordo basato sull'identità spaziale. Le due inquadrature si riferiscono alla stessa porzione di spazio o a porzioni di spazi almeno in parte sovrapponibili, come nel caso in cui si inquadri prima una parete con due quadri e successivamente, con un'immagine ravvicinata, una parte di questa parete con un solo quadro. In opposizione all'identità spaziale possiamo avere dei raccordi tra le sequenze basati sull'alterità spaziale, che caratterizza le altre tre possibilità. La continuità, come nel caso del dialogo dei personaggi, durante il quale la macchina da presa inquadra alternativamente il volto di uno e dell'altro; in questo caso gli spazi sono adiacenti, legati da una relazione di convinzione. Viceversa, un regime di disgiunzione articola altri due tipi di spazi, vicini e lontani punto. Nel primo caso abbiamo relazioni di prossimità, laddove ci siano due spazi non adiacenti ma è comunque possibile una relazione visiva o sonora, come nel caso di due palazzi uno dirimpetto all'altro oppure di due spazi messi in relazione da un telefono; nel secondo caso abbiamo una relazione di distanza. Un altro schema di articolazione degli spazi, a partire dal “qui” costituito dal punto di vista di un osservatore è stato elaborato da Jacques Fontanille (1989). Lo spazio rappresentato In quanto rappresentato, lo spazio si studierà in relazione alla disposizione dei singoli elementi che costituiscono l'immagine, cioè da un punto di vista topologico. Si possono individuare all'interno di un'immagine delle categorie topologiche, espresse da posizioni binarie (alto/basso) che possono correlarsi ad altre posizioni presenti sul 22 piano del contenuto (ricchezza/povertà): tali categorie costituiscono dei sistemi semi simbolici. Esse afferiscono a tre diverse grandezze: • dimensionalità: si può articolare nello spazio secondo gli assi dell'orizzontale (davanti/dietro, sinistra/destra), della verticalità (alto/basso) e della prospettiva (vicino/lontano), ma anche secondo i volumi (inglobante/inglobato) e le superfici (circondante/circondato) • direzionalità: si riferisce all'orientamento di un soggetto all'interno di uno spazio, permettendo al movimento di articolarsi da uno spazio di partenza uno di destinazione; • organicità: lo spazio rappresentato può essere più o meno unitario e omogeneo; si può quindi analizzare in relazione a categorie quali piatto/profondo, omogeneo/disomogeneo, chiuso/aperto ecc… Spazialità e narrazione Oltre che nell'organizzazione topologica del piano dell'espressione, la problematica della spazialità si ritrova anche sul piano del contenuto: in ogni testo la costruzione del mondo diegetico si basa sulla costruzione di uno spazio narrativo. ogni narrazione oltre a fondarsi su un ordine degli eventi di tipo causale temporale, articola i propri contenuti attraverso una precisa struttura spaziale. Già Propp distingueva nelle fiabe di magia tra uno spazio proprio e uno spazio altrui. La classica distinzione, formalizzata da A.J. Greimas, tra spazi topici (quelli in cui avvengono le azioni del soggetto) e spazi eterotopici (a essi circostanti, al cui interno non si svolge l'azione, ma nei quali hanno luogo le fasi iniziali - il contratto - e finali - la sanzione - della narrazione); all'interno degli spazi topici Greimas distingue poi tra spazi paratopici (dove si acquisiscono le competenze necessarie per compiere le azioni) e spazi utopici (nei quali ha luogo la performanza). Spazialità e figuralità Uno spazio, secondo Greimas, si definisce sempre in relazione a un altro spazio: il qui presuppone un altrove; uno spazio inglobante ne implica un inglobato. Si crea una prima disgiunzione, un significante che può essere investito poi di significati variabili (natura/cultura, sacro/profano, umano/non umano), potranno essere soggetti a una valorizzazione positiva o negativa, in base a una categoria generica. Lo spazio del racconto è sempre uno spazio strutturato (non casuale) organizzato secondo caratteristiche diverse ma precise. Esso è sempre uno spazio significante, in quanto l'organizzazione spaziale si fa carico di un senso. L’organizzazione degli spazi diegetici (cioè degli spazi delineati all'interno di un testo narrativo) è organizzata in base a delle categorie positive di tipo binario, le categorie simboliche. Quello che si identifica in questo modo è un livello profondo del figurativo, detto livello figurale: si tratta di un livello astratto, costituito da articolazioni spaziali. In Lotman si possono identificare tre 25 La categoria della durata (o velocità) narrativa riguarda la relazione tra il tempo della storia (la durata degli avvenimenti narrati) e quello del racconto (la durata della narrazione). Genette (1972) individua quattro forme: • Scena: tempo della storia = tempo del racconto • Sommario: tempo del racconto < tempo della storia • Pausa: allo scorrere del tempo del racconto corrisponde un tempo della storia pari a zero • Ellissi: a un tempo del racconto pari a zero, corrisponde un avanzamento più o meno grande del tempo della storia. È prevedibile una quinta possibilità, l'estensione, che si avrebbe quando il tempo del racconto è più lungo del tempo della storia. Il caso della scena è quello in cui vi è conformità tra il tempo della storia e quello del racconto. Nel cinema, è abbastanza raro che, in un film, il tempo della storia coincida con quello del racconto, che ci sia conformità tra la durata della vicenda narrata e quella del film stesso. Particolare rilevanza narrativa assume il piano-sequenza, nel quale l'intera sequenza narrativa viene realizzata attraverso un'unica inquadratura continua in conformità temporale. La sequenza è data dall'insieme di inquadrature, che, nel mostrare un episodio compiuto, non mantiene una continuità temporale, presentando dei salti. Il caso della sequenza rientra nella forma del sommario, in cui il tempo del racconto è minore del tempo della storia. Si tratta della modalità narrativa più frequente nel romanzo, ma anche nel cinema: ogni film condensa in poche ore eventi più duraturi; a livello di sequenza tale configurazione temporale è usata per evitare i dettagli inutili e velocizzare il ritmo. Anche all'interno di una singola inquadratura si può avere una contrazione del tempo del racconto rispetto a quello della storia nel caso di uno scorrimento accelerato delle immagini. La pausa è data da un'interruzione dell'azione narrativa al perdurare del racconto. È il caso dell'inquadratura nelle quali non appare alcuna azione, ma l'obiettivo indugia su un paesaggio o su qualche particolare nell'ambientazione. A volte la pausa può estendersi a più inquadrature → sintagma descrittivo, corrispondente a una serie di piani descrittivi in sequenza. Secondo Seymour Chatman non si può parlare di pause descrittive nelle narrazioni audiovisive, in quanto qualsiasi inquadratura, anche di tipo descrittivo, è sempre una ripresa che avviene in e per un dato periodo di tempo e non vi è un'interruzione del tempo della storia; l'inquadratura di uno spazio è spesso ricondotta alla visione in soggettiva di un personaggio il cui sguardo percorre il paesaggio o l'ambiente che lo circonda. Secondo Seymour Chatman, l'unico vero effetto di pausa sarebbe da ricondurre al fermo immagine. Si ha un'ellissi quando si è in presenza di un salto temporale, vale a dire di un silenzio testuale su alcuni avvenimenti diegetici che non vengono raccontati. A differenza del sommario, che riassume un'azione omogenea, l'ellissi è una soppressione temporale che avviene tra due azioni diverse, tra due sequenze. Estensione (o dilatazione): la durata del racconto è più lunga della durata della storia. È il caso delle inquadrature in 26 slow motion, cioè delle riprese riprodotte a rallentatore per dare enfasi drammatica a certi momenti narrativi. Un secondo caso è dato dall'inserzione all'interno di un'azione di immagini descrittive o metaforiche o di commento che interrompono il fluire temporale della narrazione. Frequenza La categoria si riferisce alla relazione di ripetizione fra storia e racconto. Si può: • raccontare una volta quanto è avvenuto una volta → racconto singolativo • raccontare n volte quanto è avvenuto n volte → le ripetizioni nel racconto corrispondono alle ripetizioni della diegesi • raccontare n volte quanto è avvenuto una volta → racconto ripetitivo. Uno stesso episodio è visto più volte attraverso punti di vista diversi • raccontare una volta quanto è avvenuto n volte → racconto iterativo L'immagine è singolativa: una singola immagine non può che mostrare uno o più eventi che accadono contemporaneamente, indicando il loro accadere lì e in quel momento. Tuttavia, un film non è fatto di sole immagini, e il ricorso a una voce narrante (voice over) basta per indicare un'iteratività. Il cinema ha sviluppato tecniche specificamente visive per suggerire l'iteratività. È il caso del montaggio di una successione di immagini che ci mostra uno stesso evento, rappresentato ogni volta con piccole variazioni. Due o tre occorrenze di uno stesso evento bastano a indicare il loro ripetersi per un periodo più o meno lungo. Non si tratta tanto di raccontare una volta quanto è avvenuto n volte, ma piuttosto di raccontare poche volte quando è avvenuto tante volte. In entrambi i casi si crea un effetto di iteratività. 4. Il racconto come discorso: il personaggio 1. Gli attanti, gli attori, i personaggi Riservato agli esseri umani, il termine personaggio è stato rimpiazzato da due concetti di attante e di attore. Tale dissoluzione del personaggio viene da una reazione all'estetica dominante dell'Ottocento, che vedeva nel personaggio il centro ispiratore di ogni opera romanzesca. La distinzione tra il fare e l'essere del personaggio rinvia alla distinzione posta da Aristotele nel VI capitolo della Poetica, tra azione e carattere, ovvero tra il personaggio in quanto colui che agisce, che fa, e personaggio in quanto colui che è. Tale privilegio attribuito all'azione verrà nei secoli attenuato. Per Propp vi sono le funzioni narrative, delle costanti, e gli attributi dei personaggi, appartenenti al piano delle variabili. Per Greimas, gli attanti sono entità astratte, mentre gli attori sono la loro realizzazione in entità concrete, dotati di proprietà e attributi figurativi che li contraddistinguono e li rendono riconoscibili, dal nome alle caratteristiche fisiche, psicologiche ecc… essi sono figure, cioè delle unità linguistiche, proprietà la cui presenza o assenza determina le caratteristiche del personaggio stesso. Greimas riprende una concezione combinatoria del personaggio che si può far risalire a Lévi- 27 Strauss, per il quale il personaggio del mito può essere analizzato e scomposto in una serie di tratti distintivi. Roland Barthes (1970) parlava dell’identità del personaggio che è data dal suo essere un'unità lessicale - cioè un nome, sebbene non necessariamente un nome proprio - alla quale si associano una serie di proprietà ricorrenti. Quella del personaggio più che un'entità interna al testo appare essere un effetto personaggio prodotto dal testo. Secondo tale concezione il personaggio non è un'entità inscritta nel testo, ma un effetto prodotto dalla sua lettura. Esso è legato al momento della lettura e alla ricostruzione operata dal lettore dell'universo funzionale del racconto. All'interno del testo il personaggio si costruisce progressivamente attraverso notazioni figurative, e la sua figura completa si dispiega alla fine della lettura nella sintesi memoriale. La costruzione del personaggio avverrà attraverso progressive notazioni di tipo figurativo disseminate lungo tutto il testo. La figura completa si avrà solo all'ultima pagina, grazie alla memorizzazione operata dal lettore. Hamon identifica quattro criteri per lo studio del personaggio: 1. Il personaggio non è soltanto una nozione esclusivamente letteraria o estetologica; bisogna studiare la letteralità del personaggio, il suo funzionamento all'interno dell'enunciato; 2. Il personaggio non è solo una figura antropomorfica, ma può estendersi a entità più o meno figurative; 3. Non è legato a un sistema semiotico esclusivo; 4. Il personaggio è sia una costruzione del testo che una ricostruzione del lettore. Il personaggio verrà definito da un fascio di relazioni di rassomiglianza, di opposizione, di gerarchia e di organizzazione che esso stabilisce sul piano del significante e del significato e/o simultaneamente con gli altri personaggi ed elementi dell'opera. Il testo fornisce dati, spunti, indizi, segnali che permettono al lettore l'identificazione di un effetto-personaggio, l'illusione di una figura umana (o meno) necessaria allo sviluppo del racconto. Tale effetto è determinato dal testo, ma non appartiene al contesto testuale e nemmeno è di natura testuale distinguendolo da concetti quali attante o attore che sono delle entità di natura testuale. La presentazione non si risolve al momento dell'inizio del testo ma ha luogo nel momento in cui costui viene introdotto nel racconto. Secondo Tomasi nel testo cinematografico la presentazione del personaggio avviene attraverso cinque tappe non obbligate: • evocazione; • nominazione, importante in letteratura, meno al cinema e negli audiovisivi, dove alcune funzioni, come quella di riconoscimento o quella di costruzione di un effetto di realtà, sono demandate all'immagine; • messa in scena (bon corrisponde alla messa in inquadratura: quest'ultima può essere anticipata dagli sguardi); 30 di adottare) la visione o il punto di vista, dando l'impressione di adottare una prospettiva nei confronti della storia. Distanza e prospettiva sono le due modalità di regolazione dell'informazione narrativa. Il problema del punto di vista dell'informazione narrativa non era una questione nuova all'interno degli studi letterari: già nel 1943 Brooks e Warren parlavano di focus of narration, e anche Todorov (1966) lo aveva affrontato, soffermandosi sugli aspetti (o visioni) del racconto in cui si palesa il sapere degli avvenimenti narrati, filtrati dalla relazione tra l’egli nella storia e l'io nel discorso, tra il personaggio e il narratore. Il sapere del narratore può essere: • > a quello del personaggio: narratore onnisciente • = a quello del personaggio: narratore interno • < a quello del personaggio: narratore esterno Genette distingue tra istanza narrativa e istanza prospettica, tra la voce del narratore e il modo del racconto. Egli introduceva il concetto di focalizzazione per indicare la prospettiva attraverso cui viene vista la storia. A tale riguardo, lo studioso francese distingueva tra: • racconto non-focalizzato: racconto classico, nel quale si ha un narratore onnisciente e non è privilegiato il punto di vista di un particolare personaggio • racconto a focalizzazione esterna: quello che adotta la visione oggettiva, in cui i fatti vengono visti dall'esterno, senza alcuna intrusione nell'universo interiore (emotivo e cognitivo) del personaggio • racconto a focalizzazione interna: il racconto viene presentato nella prospettiva di un dato personaggio, con tutte le limitazioni e le restrizioni che ciò implica Sempre secondo Genette la focalizzazione interna può essere: • fissa, quando si adotta la prospettiva di un unico personaggio • variabile, quando la prospettiva passa di volta in volta da un personaggio all'altro • multipla, quando un evento viene visto da diverse prospettive (es. Rashomon di Akira Kurosawa) 2. Focalizzazione, ocularizzazione, auricolarizzazione Rimmond-Kenan (1983) osservava come si dovessero distinguere tre diversi aspetti: un aspetto percettivo, un aspetto psicologico (insieme cognitivo ed emotivo) e un aspetto ideologico. Casetti e Di Chio (1990) distinguono tre accezioni di punto di vista, una percettiva, una concettuale, una dell'interesse, che si riferiscono al vedere, al sapere, al credere. Secondo Maria Pia Pozzato, sono tre le funzioni che possono essere ascritte allo sguardo di un osservatore: • funzione percettiva, che instaura un punto di vista ottico 31 • funzione valutativa, con un punto di vista inteso come opinione, investimento di valore, orientamento di giudizio • funzione cognitiva, dove il punto di vista consiste in una distribuzione di saperi lungo il testo • funzione timico-passionale (emotiva), relativa alle emozioni e agli stati d'animo propri dell’attante osservatore Queste distinzioni permettono di distinguere la problematica della prospettiva narrativa, in quanto filtro attraverso il quale passa l'informazione narrativa, legato alla dimensione del sapere, da quella della visione di cui si fa carico la macchina da presa. Il fatto di adottare la prospettiva di un personaggio focalizzatore non implica necessariamente l'uso di un'inquadratura soggettiva che mostri quanto il personaggio/osservatore vede. Ci troviamo di fronte a due diverse funzioni dell'osservatore: quella cognitiva e quella percettiva. Differenza introdotta da François Jost (1987) per identificare la relazione fra ciò che la camera mostra e ciò che si presume vede il protagonista (1987). Jost distingue poi tra: • Ocularizzazione interna, che si ha quando ciò che si vede sullo schermo è quello che viene visto dal personaggio (è il caso definito come soggettiva); • Ocularizzazione zero, nella quale si vede qualcosa direttamente senza la mediazione di un personaggio che vede. Lo studioso non ritiene che si possa parlare di ocularrizzazione esterna, la quale si risolverebbe nella focalizzazione zero. La stessa inquadratura è per Metz (1991) un esempio di ocularizzazione esterna, vale a dire un caso di inquadratura marcata, che rinvia a uno sguardo senza che esso sia attribuibile a un personaggio. Jost assieme a Gaudreault (1990) distingue all'interno dell’ocularizzazione zero 3 casi: • Il primo rimanda al découpage classico, e al cinema di consumo, nella quale l'effetto complessivo è una neutralizzazione della presenza del narratore implicito. • Nel secondo la posizione o il movimento della cinecamera può sottolineare l'autonomia del narratore in rapporto ai personaggi della sua diegesi. La macchina da presa è al servizio di un narratore che vuole affermare il proprio ruolo. • Nel terzo caso, la camera può rinviare alla cifra stilistica del regista. Sono quelle che Metz (1991) chiama immagini oggettive orientate. L’ocularizzazione interna può essere distinta in: • ocularizzazione interna primaria, che si ha nei casi delle inquadrature che attraverso elementi plastici figurativi rinviano a qualcuno che guarda, come nei casi in cui le immagini presentano tratti di deformazione ottica (sguardo di un 32 personaggio miope, daltonico, ubriaco, strabico eccetera), o in quello di immagini in movimento che rinviano allo sguardo di un personaggio anch’egli movimento; • ocularizzazione interna secondaria, in cui la soggettività dell'immagine si costruisce attraverso i raccordi (come il campo/controcampo), ovvero attraverso una contestualizzazione. Quest'ultima distinzione rinvia a due tipi di identificazione spettatoriale individuata da Metz (1977), l'identificazione primaria con la macchina da presa, e l'identificazione secondaria con il personaggio. Un'immagine non è né soggettiva né oggettiva; perché lo spettatore la percepisca come soggettiva, e cioè attribuita a un personaggio occorre che subito prima, o subito dopo, egli veda questo stesso personaggio, oppure che un'indicazione qualsiasi purché chiara, gli dia almeno qualche minima informazione su questo osservatore incorporato. Per entrare nello sguardo (“soggettivamente”) bisogna conoscere la persona che guarda (“oggettivamente”). Edward Branigan individua sei elementi della rappresentazione cinematografica: Origin, Vision, Time, Frame (Inquadratura), Object, Mind. Nella soggettiva (Point Of View Shot), definita da Branigan come un'inquadratura in cui la camera assume la posizione del soggetto in modo da mostrare ciò che egli vede, i due elementi si distribuiscono in sei inquadrature. In una prima inquadratura (A) abbiamo due elementi: 1. Point, lo stabilirsi di un punto nello spazio; 2. Glance, lo stabilirsi di un oggetto, di solito fuori campo, attraverso lo sguardo. Tra le due inquadrature abbiamo una 3. Transizione, intesa come una continuità temporale o come una simultaneità, garantita dal montaggio. Nella seconda inquadratura (B) si hanno altri due elementi: 4. (From) point, il punto in cui si mette la macchina da presa, individuata nella prima inquadratura; 5. Object, inteso come la rivelazione dell'oggetto al quale è diretto lo sguardo dell'inquadratura A. In entrambe le inquadrature si trova il 6.Character: il tempo e lo spazio dei primi 5 elementi devono essere giustificati dalla presenza o dalla consapevolezza della presenza del personaggio che sta guardando. Per Branigan un POV shot deve essere contestualizzato. L'uso dell’ocularizzazione interna primaria è limitato, perché permane il problema di ancorare l'immagine soggettiva a un determinato personaggio (cioè di far capire chi è il personaggio che guarda). 35 (quello di cui si narra). La costruzione dei punti di vista riguarda la dimensione cognitiva. Fontanille (1989) individua tre diversi tipi di débrayage cognitivo: • Débrayage attanziale, che proietta delle istanze narrative dipendenti dall'istanza di enunciazione e consente di delegare un soggetto cognitivo, indipendente dall’enunciazione implicita che dispone di una propria competenza • Débrayage spazio-temporale, che proietta le categorie spazio-temporali dell'enunciato a partire dalla deissi dell'enunciazione presupposta • Débrayage attoriale, che proietta le identità figurative o gli attori dell'enunciato • Débrayage tematici, che vede il débrayage cognitivo associato a un débrayage parallelo del timico o del pragmatico Sulla base di progressivi débrayage (e dei corrispondenti ritorni all'istanza di enunciazione) si possono individuare quattro tipi principali di osservatore: • Il focalizzatore: è il risultato di un primo débrayage attanziale. Il ruolo di osservatore non è assunto da nessuno degli attori del discorso, ma si tratta di un'istanza presupposta. È ciò che alcuni assimilano al punto di vista della cinepresa. • Lo spettatore: si ha quando, oltre al débrayage attanziale, si ha anche un successivo embrayage cognitivo spazio-temporale. L'osservatore è implicato dalle coordinate spazio-temporali dell'enunciato, per cui sono riconducibili a esso i diversi fare percettivi presenti. Corrisponde al concetto di oculararizzazione in Jost. • L'assistente: originato da un ulteriore débrayage cognitivo attoriale; il ruolo di osservatore viene rivestito all'interno del testo da un attore riconoscibile e identificato • Assistente-partecipante: si ha attraverso un débrayage completo (attanziale- spazio temporale-tematico, di tipo pragmatico o timico). L'attore che svolge nel testo il ruolo dell'osservatore gioca un ruolo negli eventi di tipo pragmatico o timico e non soltanto cognitivo. Questo osservatore può partecipare agli eventi dell’enunciato sia in un ruolo secondario sia come soggetto protagonista dell'azione; in questo caso si parlerà di assistente protagonista. La presenza dei diversi tipi di attante osservatore è esplicitata all'interno del testo attraverso degli attori di volta in volta differenti, caratterizzati da diversi ruoli tematici. 36 Nel cinema ciascuna inquadratura prevederà degli osservatori di volta in volta diversi. Fontanille parla di un iperosservatore inteso come omogeneizzazione degli osservatori presenti a livello delle singole inquadrature: tale iperosservatore sarà un localizzatore nel caso di un montaggio in découpage, oppure uno spettatore nel caso di un piano-sequenza. L'approccio di Fontanille al problema può contribuire a evidenziare le relazioni tra prospettiva e costruzione dell'universo diegetico (spazi, tempi, personaggi), e sembra mostrare un'attenuazione delle distinzioni genettiane tra voce e tempo, e tra voce e modo, nel momento in cui l'attante osservatore viene costruito a partire da un débrayage enunciazionale, vale a dire come un delegato del soggetto dell'enunciazione. 6.Il racconto come enunciazione 1. La teoria dell'enunciazione Si dice enunciazione l'atto di produrre un enunciato. La definizione risale al linguista Emile Benveniste. Attraverso l'atto di enunciazione il parlante utilizza la sua conoscenza del codice linguistico per creare degli enunciati. L'atto di enunciazione è un'istanza di mediazione, che converte le regole del sistema in discorso. Ogni enunciazione implica: • un enunciatore: colui che compie l'enunciazione • un enunciato: il risultato dell’atto di enunciazione • un enunciatore: colui a cui ci si rivolge. Nell'ambito del cinema, l'enunciazione è ciò che permette a un film di prendere corpo e manifestarsi. Ma l'idea dell'enunciazione linguistica si fonda sul fatto che un testo è sempre un testo di qualcuno per qualcuno, in un determinato momento e in un determinato luogo. Nell’enunciazione verbale, all'atto di enunciazione e alla sua collocazione spazio-temporale fanno riferimento numerosi elementi presenti nell’enunciato, le tracce dell’enunciazione: • i pronomi di prima e di seconda persona (che si riferiscono rispettivamente all’enunciatore e all’enunciatario); • i termini deittici (qui, ora) che si riferiscono al momento dell'enunciazione • i segni ostensivi (questo, quello) • le forme verbali della temporalità che si riferiscono al momento dell'enunciazione • termini modali (come forse, chiaramente eccetera) che indicano l'atteggiamento del parlante nei confronti di ciò di cui si parla. 37 Ogni volta che il parlante esplicita il suo atteggiamento nei confronti di ciò di cui parla, le sue conoscenze, la sua interpretazione e valutazione degli avvenimenti raccontati, si manifesta la presenza di un enunciato. Da Benveniste in poi, l’enunciazione è anche il momento in cui, nel linguaggio, si manifesta la soggettività: è la presenza del pronome Io che permette alla soggettività, attraverso il linguaggio, di manifestarsi. Distinzione compiuta da Oswald Ducrot (1978- 1980) tra la nozione di enunciazione in senso proprio, che costituisce un evento (la comparsa dell'enunciato), da quella di attività linguistica, che raccoglie in sé i mezzi di produzione che portano come risultato all'elaborazione concreta del risultato. 2. Enunciazione e messa in discorso in Greimas Per Greimas la situazione di enunciazione (enunciazione reale) resta linguisticamente inattingibile e presupposta dalla presenza linguistica dell'enunciato: nel caso di un romanzo (ma anche di un film) non ci troviamo di fronte all'atto di enunciazione, che è già stato compiuto. Quello che si avrà nel testo potrà essere un simulacro, una sua ricostruzione, la tematizzazione e la rappresentazione figurativa di un atto di enunciazione. È quella che Greimas chiama enunciazione enunciata. Altre volte nel testo non sembra esserci nessuna figura, nessun attore che incarni i due soggetti dell'enunciazione. È il caso che Greimas chiama enunciato enunciato. Così facendo viene privilegiata l’istanza identificabile in un soggetto e l'enunciazione si slega dal suo apparato formale e diventa il principio di organizzazione testuale, svincolata dall'attività di riproduzione degli enunciati. La situazione di enunciazione è presente nei testi non attraverso gli elementi verbalizzati che fanno riferimento a essa, ma come simulacro. L’enunciatore e l’enunciatario saranno presenti nel testo soltanto in quanto simulacro. La nozione di enunciazione si può estendere a tutti i sistemi semiotici, anche se, in questi casi, si dovrebbe parlare di attività di produzione testuale, e non di enunciazione. Tale appiattimento della nozione di enunciazione su quella di produzione, così come la sua chiusura all'interno del testo, è una costante comune a molti studiosi. Greimas definisce la situazione di enunciazione come un Ego, Hic et Nunc (io, qui, ora). Nel momento della narrazione (quando attraverso un atto di enunciazione l’enunciatario mette in discorso una storia) viene negato l' “io, qui, ora” del momento dell'enunciazione e si creano le persone, i tempi e gli spazi. La creazione degli spazi, dei tempi e delle persone di un racconto avviene a livello discorsivo, attraverso le procedure di attoralizzazione, temporalizzazione e spazializzazione. L'operazione attraverso cui si negano certe coordinate spazio-temporali e se ne affermano delle altre viene detta débrayage (distanziamento, innesco). A seconda che riguardi la persona, il luogo o il tempo avremo tre tipi di débrayage: • Débrayage attanziale • Débrayage spaziale • Débrayage temporale 40 Elementi deittici nel film Il secondo problema è quello della presenza di marche dell'enunciazione (i deittici) all'interno degli audiovisivi. secondo Casetti il film disporrebbe di un certo numero di elementi deittici: • le tracce tecniche, che sono rimaste nella copia finale, e che rivelano il lavoro dell'immagine e del suono • i titoli di testa e di coda Casetti individua quattro diverse configurazioni enunciative, associate a quattro diversi tipi di sguardo rinvenibili nel film: • Inquadrature oggettive: piani anonimi (nobody shots). Lo sguardo che innesca non appartiene a nessuno. C'è un io (=enunciatore) e un tu (=enunciatario) che attraverso l'occhio della cinecamera guardano un egli (=enunciato, personaggio, film). L’enunciatario viene ad assumere la posizione del testimone. • Interpellazioni: è il caso degli sguardi in macchina. Vi è un io (l'enunciatario) che si confronta fino a coincidere con un egli che si fa vedere ma insieme guarda verso un tu che è portato a guardare ed è a sua volta guardato, ma non appare nell'immagine, viene soltanto evocato dallo sguardo fuori campo dell’egli. • Inquadrature soggettive: lo sguardo del personaggio viene a coincidere non con l'enunciatore ma con l'enunciatario. Tu e lui vedete ciò che io vi mostro. • Oggettive irreali: si tratta di angolazioni non riconducibili a un personaggio specifico. L'istanza si identifica con quella dell’enunciatore: tu vedi grazie a me, come se tu fossi me. L’enunciazione impersonale Christian Metz nel suo ultimo libro L'Enunciazione Impersonale o Il Luogo del Film (1991) nega che ci siano nel film elementi di natura deittica. Egli sostiene che nel caso delle tracce tecniche si sarebbe di fronte a un esempio di marche dell'enunciazione, ma non di deissi: si tratterebbe di una marca metafilmica, un elemento attraverso il quale il film parla di se stesso e della propria realizzazione. Nel film l'enunciazione non viene marcata attraverso delle impronte deittiche, ma attraverso delle costruzioni riflessive. La condizione minima per poter parlare dell'enunciazione si realizza quando si 41 manifesta quella sorta di sdoppiamento attraverso cui il film ci parla di se stesso, o del cinema, o dello spettatore. Per far questo non è necessario ricorrere all'apparato della deissi. Il cinema può fare un uso enunciativo di qualsiasi segno. Metz rifiuta anche la personificazione cui sarebbero soggetti i simulacri enunciazionali all'interno del testo. Nei testi audiovisivi lo spettatore difficilmente riesce ad attribuire le immagini a una presenza enunciativa personalizzata. Metz rinuncia ai simulacri quali l’enunciatore e l’enunciatario per indicare i due poli (di emissione e di ricezione) dell'enunciazione. Per lo studioso si tratta di luoghi dell'enunciazione, vale a dire di istanze astratte teoriche: • il foyer [origine] (o fonte) dell'enunciazione • la cible [bersaglio] (destinazione o mira) enunciativa Secondo Metz, parlare dell'enunciazione in temi di luogo (site), specificabile come origine e come fine, permetterebbe di essere più aderenti all'evidenza meccanica della macchina da presa, neutralizzando il carattere personale dell'enunciazione. Lo spettatore non si colloca sul versante esclusivo della cible, ma occupa sia il foyer, per il fatto di essere identificato alla macchina da presa, sia la cible, per la ragione che il film è rivolto a lui. Il ruolo dell'enunciatario trova un corpo nella persona dello spettatore, ma non quello dell'enunciatore. Esso si incarna nell'unico corpo disponibile, il corpo del testo. Esso è il film, in quanto foyer, che agisce come tale. Per Metz, il foyer e la cible non sono ruoli ma sono pezzi di testo, o aspetti del testo, o configurazioni del testo. Il foyer è l'intero testo del film, considerato dal punto di vista del suo farsi; la cible è lo stesso testo considerato dal punto di vista del suo darsi. L'enunciazione è dunque considerata da Metz come l'atto semiologico attraverso il quale certe parti di un testo ci parlano di questo testo come di un atto, in modo che la teoria generale dell’enunciazione si presenta così come un dispositivo a due dimensioni: • Quella della riflessione, ovvero dell'operazione attraverso cui l'enunciazione si enuncia da sé • Quella del commento, ovvero del discorso che l'enunciazione tiene in questo caso 6. L'espressione del racconto 1. Il piano dell'espressione nei testi audiovisivi Gli elementi del racconto vengono manifestati nella materialità dei testi, quello che è identificato come il piano delle espressioni dei linguaggi e dei testi: nel caso dell'audiovisivo si tratta di quell'insieme di luci, di colori e di forme che, nel loro interagire, esprimono i contenuti narrativi e discorsivi. L'audiovisivo può essere considerato una semiotica sincretica, in quanto costituirebbe il suo piano dell'espressione attraverso l'interazione di sistemi semiotici diversi o di diverse 42 sostanze dell'espressione. Nel caso dell’audiovisivo Metz ha individuato all'interno della materia visiva e sonora cinque diverse sostanze dell'espressione: • le immagini • le tracce grafiche • il suono verbale • il suono musicale • i rumori Il senso complessivo di un testo è dato dall'interazione tra i diversi sistemi semiotici verbali e sonori, vale a dire da una strategia globale di significazione; le semiotiche sincretiche sono caratterizzate, sul piano dell'espressione, da una pluralità di sostanze, alle quali corrisponde un'unica forma generale. Qualsiasi analisi di un testo audiovisivo dovrà considerare diverse componenti visive e sonore nel loro insieme, indagando gli effetti di senso che nascono dalla loro interazione. 2. Le forme dell'espressione audiovisiva Le forme del contenuto sono quelle più condivisibili tra semiotiche diverse, mentre le forme dell'espressione rinviano alla specificità del mezzo cinematografico e in più generale audiovisivo, essendo date dal montaggio e dai movimenti di macchina. Metz utilizzava il concetto di codice, distinguendo tra: • codici cinematografici specifici, che appaiono solo nel cinema • codici non specifici, condivisivi con gli altri linguaggi diversi dal cinema. Gli unici codici specifici del cinema e degli audiovisivi sono quelli relativi all'immagine in movimento, cioè quelli riguardanti i movimenti di macchina e i raccordi dinamici (il montaggio). Nella semiotica più recente il concetto di codice è considerato sorpassato e inadeguato. Già Eco (1984) aveva criticato tale nozione, proponendo di sostituirlo con la nozione di Enciclopedia; anche nella semiotica di impostazione greimasiana il termine codice è stato abbandonato, sostituito da quello di competenza. Con il termine di grammaticalità ci riferiamo a quegli insiemi di usi e convenzioni storicamente determinate. Si tratta di forme o modi di organizzazione dell'espressione audiovisiva, alle quali possono corrispondere effetti di senso mutevoli. Ci troviamo di fronte a quell'insieme eterogeneo di manifestazioni espressive e significanti che sono alla base della natura semiotica del cinema e degli altri audiovisivi. Un'ampia tipologia dei diversi codici cinematografici, basata sulle cinque sostanze dell'espressione individuate da Metz, è stata proposta da Casetti e di Chio: A) codici visivi, che presiedono l'organizzazione delle immagini B) codice grafici, relativi alle tracce grafiche: didascalie, titoli, sottotitoli, scritte ecc… 45 Le categorie cinetiche e le categorie ritmiche articolerebbero le figure plastiche nell'alternanza tra movimento/immobilità. Sebbene anche un'immagine fissa possa suggerire degli effetti cinetici, le categorie cinetiche e ritmiche pertengono solo alle immagini dinamiche. Nell'articolazione di tali categorie intervengono elementi di mutamento o di trasformazione, e quindi di temporalizzazione. Per definire la temporalizzazione di un'immagine non è necessario che si abbiano dei movimenti, ma è sufficiente la presenza di una qualsiasi variazione, ad esempio variazioni di tipo cromatico nell'illuminazione oppure variazioni (suoni, rumori) nella traccia sonora. È sufficiente anche solo la presenza del commento musicale, dato che l'esistenza del registro sonoro crea una temporalizzazione. Il suono implica uno spostamento anche minimo, un'azione. È la traccia di un movimento o di un tragitto. Si chiamano categorie auditive quelle relative al registro sonoro, come quelle legate all'altezza o al timbro. Nel caso della musica, le categorie alle quali si fa ricorso per la segmentazione in unità minimali sono: • la tonalità, corrispondente al posizionamento della nota all'interno della scala • l'intensità, traducibile in altezza del volume • il ritmo. 1. Categorie plastiche propriamente dette (dell'immagine statica) 2. Categorie dinamiche (proprie dell'immagine dinamica): • categorie cinetiche • categorie ritmiche 3. Categoria acustiche Formanti figurativi e formanti plastici Identificare le diverse categorie che concorrono a determinare la forma dell'espressione e riconoscere diversi tratti che le costituiscono non è sufficiente; bisogna determinare le loro combinazioni (figure plastiche) che vengono a costituire le unità sintagmatiche del piano dell'espressione. Se a tali elementi del piano dell'espressione è associato un elemento del piano dell'espressione essi vengono detti formanti. Un formante è il corrispettivo sul piano dell'espressione di un'unità del piano del contenuto, necessaria a quest'ultima per poter costituirsi in segno. Esso è una porzione del piano dell'espressione che viene definito per la sua capacità di congiungersi con dei significati e costituirsi in segno. In base al tipo di unità del contenuto cui il formante è congiunto distingueremo tra formanti plastici e formanti figurativi. Il formante è un'insieme di pacchetti di qualità sensibili, di proprietà percettive (alto/basso, chiaro/scuro, dritto/curvo ecc…) variamente componibili nei diversi elementi plastici: forme, colori eccetera; se tali elementi sono congiunti a un significato identificato come una figura, cioè come la rappresentazione parziale di un 46 oggetto del mondo naturale, avremo un formante figurativo; se invece sono investiti da altre significazioni, di tipo più astratto (timico o assiologico) e non devono loro significato all'applicazione di una griglia di lettura figurativa, avremo dei formanti plastici. È in questo senso che si può parlare di linguaggio plastico: è un linguaggio secondo, elaborato a partire dalla dimensione figurativa di un linguaggio primo. La semiotica plastica si costruisce come linguaggio secondo a partire dalla semiotica figurativa. È difficile isolare il plastico dal figurativo. 4. Il meccanismo semi-simbolico Particolare importanza nella relazione tra linguaggio plastico dell'espressione e il suo contenuto semantico (che può essere di natura astratta, timica o assiologica, relativo a concetti, emozioni, valori) è rivestita da meccanismi semi-simbolici. Un sistema semi- simbolico si basa sulla correlazione “uno a uno” fra una categoria del piano dell'espressione e una categoria del piano del contenuto. Il meccanismo, seppure caratteristico del linguaggio visivo, non è a esso esclusivo. Si ritrovano sistemi simbolici nel linguaggio musicale o in quello gestuale. Nel linguaggio audiovisivo possiamo avere correlazioni semi-simboliche a livello di costruzione dell'immagine, nei modi della ripresa, nei movimenti di macchina e a livello di montaggio. La natura dei sistemi simbolici è varia: ci sono sistemi che sono di origine culturale e hanno portata generale. Altri sistemi hanno carattere locale e acquisiscono valore soltanto all'interno di un dato sistema testuale o all'interno di un certo gruppo di testi. I sistemi semi-simbolici possono realizzarsi anche in una pluralità di sostanze, creando degli effetti di sinestesia, come nei casi in cui si combinano categorie dipendenti da diverse sostanze dell'espressione (visiva, uditiva, ecc…) per esprimere una sola categoria del contenuto. È su un meccanismo di questo tipo che si basa Sinchromy, uno dei più noti cortometraggi di animazione sperimentale di Norman McLaren. Fin dal 1950 McLaren utilizza un sistema di composizione di musica sintetica, ottenuta disegnando il suono direttamente sulla banda sonora della pellicola, che chiama animated sound: utilizza diverse forme che, impresse sulla banda sonora, possono essere coreografate e composte in musica, e associate a immagini dipinte direttamente sulla parte visiva della pellicola. In Sinchromy (1971) McLaren manipola una stessa materia visiva per ottenere effetti ottico-sonori coordinati. Nel cortometraggio, tre linee sonore, un basso, un medio e un alto, vengono a corrispondere sul piano visivo a delle colonne divise in senso verticale da rettangoli più ampie e radi se la nota è bassa, o più sottile e fitti quanto più la nota è acuta. Il volume del suono dipende dalla larghezza del rettangolo rispetto alla colonna. L'interazione ritmica e melodica tra le tre linee sonore viene rappresentata visivamente dai contrasti cromatici. Elementi di ordine plastico come altezza delle forme, spazio e colore vengono messi in relazione diretta con elementi sonori come altezza, volume e melodia/ritmo. 5. Il montaggio 47 Il montaggio è quell'operazione che consiste nell'unire la fine di un'inquadratura con l'inizio della successiva. È un mettere in relazione due o più elementi tra loro (funzione connettiva); relazione che può darsi sul piano diegetico, su quello discorsivo e su quello diegetico-discorsivo. Il montaggio è fondamentale nel creare la dimensione spazio- temporale, nello scandirne il ritmo e la velocità di narrazione. Principali funzioni del montaggio: 1. funzioni narrative, relative alla costruzione dello spazio-tempo diegetico 2. funzioni sintattiche (effetti di congiunzione, di disgiunzione, di alternanza) 3. funzioni semantiche (effetti di causalità, parallelismo, comparazione) 4. funzioni ritmiche Nel cinema classico (e in particolare nel cinema hollywoodiano dagli anni ‘30 agli inizi degli anni ‘60), il montaggio era finalizzato a un progetto narrativo: lo spettatore doveva essere immerso nell'universo del racconto, identificarsi con i protagonisti della storia, riducendo al minimo la percezione di stare assistendo a una finzione cinematografica. Il montaggio era reso il più discreto possibile: è il cosiddetto montaggio invisibile che caratterizza il découpage classico. Secondo André Bazin (1958) esso si basa su tre caratteristiche fondamentali: • Motivazione • Chiarezza • Drammatizzazione Ogni passaggio da un'inquadratura all'altra doveva essere giustificato narrativamente, rappresentare chiaramente l'azione e mettere in rilievo gli episodi drammatici della situazione. Tutto il découpage classico è teso a sottolineare la continuità del testo cinematografico. A tal fine diventavano fondamentali i raccordi, che permettevano di mantenere elementi di continuità tra un'inquadratura e l'altra: • raccordo di sguardo: un'inquadratura ci mostra un personaggio che guarda qualcosa, l'inquadratura successiva ci mostra questo qualcosa; • raccordo sul movimento: un gesto iniziato nella prima inquadratura, termina nella seconda; • raccordo sull'asse: due momenti successivi di un'azione sono mostrati in due inquadrature, la seconda delle quali è ripresa sullo stesso asse della prima, ma più vicina o lontana di questa in rapporto al soggetto agente; • raccordo sonoro: una battuta di dialogo, un rumore o una musica si sovrappone a due inquadrature legandole tra loro; • raccordo di posizione: due personaggi ripresi in un'inquadratura, l'uno a destra, l'altro a sinistra, dovranno mantenere la stessa posizione in quella successiva;
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