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IL REALISMO DA COURBET AGLI ANNI VENTI _ Antonello Negri, Sintesi del corso di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto completo del libro “Il realismo da Courbet agli anni Venti”, comprende i capitoli: 1. Un’arte viva per un pubblico nuovo 2. La tradizione del Realismo e le esposizioni internazionali 3. Pittori da fogna, pittura da spazzatura 4. La rappresentazione della guerra 5. Realismi tedeschi degli anni Venti 6. La rinascita di un nuovo stile in URSS 7. Tradizione narrativa e prima riflessione sui mezzi di comunicazione di massa in Gran Bretagna 8. Verso altri realismi

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 14/11/2023

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Scarica IL REALISMO DA COURBET AGLI ANNI VENTI _ Antonello Negri e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! UN’ARTE VIVA PER UN PUBBLICO NUOVO 1. Realismo: difficoltà di definizione 1855: anno del Pavillon du realisme di Courbet durante l’Esposizione universale di Parigi, e anno della prima aggregazione in Italia di un movimento realista nazionale mentre in Russia si ponevano le basi della pittura degli Ambulanti. Il termine “realismo”, già presente nel linguaggio della critica parigina dal 1830, dal 1855 ha inizio la sua fortuna nel campo dell’arte ma con significati molteplici: l’ambiguità del termine era già nota ai primi protagonisti del realismo di metà secolo scorso e anche a Courbet. Situazioni artistiche diverse e non apparentemente collegabili come il Cavaliere azzurro a Monaco, il Costruttivismo di Gabo a Mosca, il Nouveau Realisme a Milano, ricorrono tutti al termine realismo usato per la definizione di intenzioni estetiche diverse: la cosa in comune è che queste tendenze il realismo non deriva da modelli artistici precedenti, storicamente connotati come realisti, ma da riflessioni di tipo filosofico sui concetti di realtà e reale. Data la difficoltà di definire il Realismo, si tratta di considerate quelle aggregazioni, dibattiti, ricerche e produzioni artistiche che ebbero luogo dopo l’epifania del Realismo nelle arti figurative, quindi tra 1830\40 e 1860\70. 2. Il programma di Courbet La prima contrastata affermazione pubblica della pittura realista coincise con il padiglione di Courbet del 1855 agli Champs Elisèes con opere che gli erano state rifiutate quell’anno dalla giuria dell’Esposizione universale parigina, realizzati tra 1841-55 -> nel catalogo della sua mostra Courbet pubblicò una dichiarazione di poetica intitolata “il realismo” e in questo ci dice ciò che non ha fatto ne intende fare cioè lo studio sistematico dell’arte passata e presente schierandosi quindi contro la tradizione accademica e dell’imitazione, e quindi professa una sua osservazione del passato ma autonoma, non imposta dalle istituzioni e classi dominanti. Per Courbet solo attraverso la conoscenza e acquisizione di diverse esperienze si determina un sapere che permette al pittore di tradurre costumi, idee, aspetto della sua epoca, e si pone anche qui contro il concetto de “l’arte per l’arte” rivendicando invece il confronto dell’arte con la società del tempo. Il pensiero di Courbet di un’arte viva viene forse influenzato dal pensiero di Proudhon: quest’arte è inoltre eterodiretta, devia rispetto alle convenzioni rappresentative per istituire un rapporto immediato con un pubblico diverso da quello dei Salon, e quindi nelle opere di Courbet alla conoscenza della società contemporanea si mescola l’appello per una sua trasformazione. Tuttavia le opere del 1855 non sembrano rispondere a un modo univoco di procedere ma a una mobilità di soluzioni quindi coerente con la filosofia di Proudhon del progresso: molti di questi dipinti si basano su una presa diretta della realtà osservata senza mediazioni, per esempio negli Spaccapietre, 1849, e Il funerale a Ornans, 1849-50, mentre la realizzazione de Lo studio del pittore, 1855, sembra portare a termine un percorso durato 7 anni proponendo ora la nuova possibilità di accostare personaggi realmente esistenti con figure di invenzione. Inoltre la sua pittura, soprattutto fino al 1855, aveva una decisiva componente intellettuale e raramente si trovava quella caratteristica tipica della pittura realista individuata da Linda Nochlin cioè il mettersi di fronte alla realtà come per la prima volta, anzi Courbet spesso ripeteva e mescolava nelle sue opere figure e schemi formali presi da tradizioni figurative diverse. Da ciò non si può dedurre la poetica di un’arte realista: la sua adesione alla realtà non va intesa come adesione all’oggettività ma lui si serve di vocaboli-immagini corrispondenti a cose concrete e visibili ma nell’ambito di discorsi compositivi e formali difficilmente connotabili come oggettivi -> forse l’obiettivo per lui era di definire modelli più avanzati di rappresentazione della realtà caratterizzati da sperimentazioni, aggiustamenti e trasformazioni formali determinati anche dalla volontà di rivolgersi a un pubblico diverso da quello della produzione artistica conformista. 3. Realismo e maniera realista Il carattere particolare del realismo di Courbet era chiaro ai contemporanei, non solo in Francia, ma la scelta di soggetti bassi, vili, sporchi non era una novità ma ciò che infastidiva il pubblico e la critica della bella pittura era che quei soggetti, finora dipinti in piccoli quadri, ora con Courbet fossero dipinti in quadri di grandi dimensioni quindi comparandoli al più alto genere dell’accademia cioè la pittura di storia. La prosa ottocentesca di Lefevre, Viardot e Chirtani, descrive i problemi sollevati dalla provocazione di Courbet e non ultimo quello della contrapposizione del suo realismo all’eccesso di imitazione dell’arte ufficiale che però poteva contare e sopravvivere grazie alle commissioni dal Governo. Altro problema era la considerazione della pericolosità del modo di essere realista di Courbet: per esempio I lottatori poteva risultare al pubblico non solo sgradevole ma anche sovversivo quando venne esposto nel 1853 al Salon con Le Bagnanti e La filatrice addormentata I lottatori: sembra una presa diretta dal vero in cui due lottatori si battono in arena ma la scena anche se si riferisce a un luogo esistente cioè l’ippodromo parigino degli Champs Elisèe e a un avvenimento usuale, è costruito sulla base di sistematiche deviazioni dal vero. Quanto agli atleti, non sembrano basarsi su un’esperienza vissuta direttamente da Courbet ma forse usò dei modelli realizzando una composizione non credibile da nessun punto di vista: la posizione infatti non si trova ne nella manualistica sportiva né sembra praticabile perché unisce due mosse inusuali in uno scontro, quindi non doveva aver l’intenzione di rendere correttamente la tecnica di lotta, ne si sforza di costruire la perfetta anatomia ma sembra assemblare singoli pezzi ciascuno trattato con meticolosa attenzione ai dettagli, inoltre le due figure risultano avulse sullo sfondo senza rispetto delle regole compositive valide fino allora -> frammentarietà, semplificazione, evidenziazione dei dettagli, mancanza di relazioni organiche tra le parti, sono caratteri della pittura di Courbet che ricorrevano nelle raffigurazioni popolari quindi in entrambi i casi dedicate a un pubblico diverso da quello del Salon. Non si trattava per l’artista solo scegliere un soggetto contemporaneo e di trattarlo in termini non accademici, ma di costruire un’immagine dove i riferimenti alla situazione contemporanea implicassero un appello politico indirizzato a un determinato pubblico. I lottatori apparvero alla critica come incarnazione del brutto, l’intenzione dell’autore è però non idealizzare i loro corpi ne la lotta che non risulta come un piacere sportivo ma un lavoro: i lottatori erano lavoratori infatti, spesso contadini trasferitisi in città alla ricerca di un lavoro però difficile e quindi spesso si arrangiavano con ingaggi per incontri di lotta nelle fiere. Qui però i lottatori non si battono in periferia ma nell’elegante ippodromo degli Champs Elisèes, teatro di più raffinati divertimenti cui incoraggiamento divenne punto di forza della politica di Napoleone III: in questo modo Courbet lancia un attacco alla società e alla cultura del secondo impero e alla politica di Napoleone III. Courbet contrapponeva la popolare, rozza e primitiva arte ma vitale con l’artificiosità del mondo aristocratico e borghese, e sembra quasi nel dipinto attingere alle sue idee politiche e a una difesa dei valori e delle autonomie periferiche e qui si vedrebbero nella ineducata ma vitalissima energia di lottatori provinciali non immaginabili nel centro di Parigi. Altro importante significato simbolico si può dare al colore delle braghe dei due contendenti: nere e rosse che indicherebbero da una parte l’alleata di Napoleone III cioè la Chiesa e dall’altra il socialismo e la prevalenza del lottatore rosso sul nero potrebbe rispondere all’idea proudhoniana della necessità della sottomissione della chiesa alla rivoluzione, della morale religiosa a quella pubblica. Il realismo di Courbet quindi appare lontano dalla pittura di imitazione della realtà soprattutto quando, come qui, intreccia ragioni con programmi ideologici, politici e morali, è un realismo che gioca con i dati della realtà e li capovolge. Importante nella sua pittura sembra l’elemento della trasgressione, deve ribaltare e cambiare le formule artistiche per mirare a un rinnovamento del linguaggio che sia funzionale al rapporto con un pubblico ampio e non colto. Dopo il 1855 Courbet dipinse soprattutto paesaggi e nature morte, mostrando una caduta di interesse per la rappresentazione di soggetti contemporanei: il cambiamento viene forse dettato da una nuova concezione del quadro come oggetto materiale autosufficiente, diminuendo l’importanza del soggetto e allargando il campo della forma e delle strutture della produzione artistica -> già nel 1855 per Courbet, l’essere nella contemporaneità non era solo una questione di soggetto ma richiedeva la negazione e il superamento del sistema di produzione artistica vigente. Nel 1856-7 venne definita la nozione di gruppo/scuola realista e si creò quindi un tipo di pittura che aveva poco in comune con Courbet ma che interpretava bene l’emergente realista era dedicata alla rappresentazione di comportamenti e costumi collettivi e privati, dai caratteri innovativi infatti a tradizionali soggetti della pittura si affiancavano soggetti legati a un’organizzazione più moderna del tempo libero e dello sport; mentre l’ultima faccia dei comportamenti sociali moderni coincideva con la deviazione dalle regole, cioè gli aspetti oscuri, devianti della società moderna che continuavano ad attrarre gli artisti che volevano mettere in scena il proprio tempo. PITTORI DA FOGNA, PITTURA DA SPAZZATURA 1. I realisti della Secessione berlinese Nel 1901 a Berlino venne inaugurata la Siegesalle: viale trionfale che celebrava, con due file di sculture monumentali ai lati la dinastia degli Hohenzollern -> all’occasione l’imperatore Guglielmo II tenne un discorso compiacendosi delle altezze raggiunte dalla scuola berlinese di scultura che era riuscita ad allontanarsi dalle tendenze e correnti moderne che avevano ridotto l’arte a prodotto commerciale e molti artisti avevano perso il senso della decenza staccandosi dai valori di bellezza, estetica ed armonia, invece per lui l’arte doveva essere veicolo di educazione e valori soprattutto per gli strati sociali più bassi spesso invece l’arte moderna rappresentava la miseria ancora più brutta di quanto già non fosse quindi l’arte doveva coltivare nobili ideali e non scendere nelle fogne. Per capire quali fossero queste cattive tendenze moderne bisogna considerare cosa successe a Berlino nell’ultimo decennio del XIX. Dalla sua salita al trono nel 1888, Guglielmo II aveva ricercato un potere assoluto anche in campo artistico nominando i professori dell’accademia etc. con il programma di un’arte edificante e idealizzante che celebrasse anche i fasti della dinastia e quindi trovò un interprete eccellente in Anton von Werner: tramite lui controllava la formazione delle nuove generazioni artistiche, contenuti e carattere delle esposizioni accademiche determinando la cultura artistica ufficiale di Berlino. Nel 1892 l’opposizione al realismo accademico di von Werner si raccolse nella Libera lega degli artisti in concomitanza con la chiusura forzata della mostra berlinese di Munch considerata scandalosa e pornografica dall’establishment guglielmino, ma fu soprattutto il Gruppo XI attivo a fine anni 90 a proporre una pittura alternativa a von Werner. I pittori del Gruppo XI, Leistikow, Liebermann, Hoffman e Skarbina, si staccarono dall’associazione degli artisti berlinesi nel 1898 quando uno dei loro dipinti venne rifiutato dalla Grosse Berliner Kunstausstellung, e quindi fondarono un nuovo organismo cioè la Berliner Sezession cui presidente fu Liebermann: i membri della Secessione cominciarono così a esporre annualmente le proprie opere in un edificio appositamente costruito. La secessione divenne il bersaglio di attacco di Guglielmo II considerata priva di ideali e mostrante cose sgradevoli, e in particolare contro Baluschek, la Kollwitz, Zille che furono gli iniziatori di una linea di Realismo critico-sociale che, dagli anni 90, sarebbe diventata una costante nella cultura figurativa berlinese e tedesca -> i tre abitavano tutti a contatto con proletari e piccola borghesia dunque con miseria, sfruttamento, disperazione ma anche con modi di vivere e divertirsi che la coltura dominante aveva emarginato in onore di decoro e buon gusto, e sui tre artisti agivano gli appelli della letteratura e del teatro naturalisti. L’influenza del naturalismo non si vede solo nella scelta dei soggetti e nell’indagine, descrizione dell’ambiente urbano contemporanea condotta dai tre realisti sociali della secessioni, ma anche per l’uso di cicli grafici o gruppi di disegni e dipinti tematicamente compatti: nel campo delle arti figurative importante precedente erano i cicli grafici di Max Klinger: egli considerava la grafica come il mezzo espressivo autenticamente moderno contrapposto alla tradizione della pittura, inoltre parla di critica, ironia e satira che variamente miscelati divennero i modi con cui i tre artisti affrontavano i loro soggetti. grande influenza di Klinger si vede nella Kollwitz prima del suo viaggio a Parigi nel 1904 nella realizzazione delle 6 acqueforti della serie Una rivolta di tessitori, realizzata tra 1895-98, e nelle 7 acqueforti della Guerra dei contadini inviate alla biennale di Venezia nel 1909: in questi cicli viene unita la propria esperienza visiva con la messa in scena, spesso teatrale, di episodi di invenzione ispirati alla storia tedesca meno ufficiale, e ha ripreso da Klinger una “gestualità parlante” ed è di Klinger anche il tema di fondo cioè il destino dell’uomo. La Kollwitz, nella serie Immagini della miseria del 1909-10, descrisse la condizione delle donna dopo averla indagata a lungo con schizzi dal vero, tanto indagata da non aver più bisogno di modelli di riferimento, invece nei lavori successivi come Vigilia dell’anno nuovo e Industria casalinga mostra l’assimilazione della solidità plastica di Steinlen conosciuto nel soggiorno parigino: mantiene però i termini del suo realismo cioè pietismo ed eroicizzazione. Zille invece, con la sua opera grafica, lavorò per 30 anni come litografo presso la società fotografica di Berlino, e dal 1900 cominciò a collaborare con giornali e riviste di costume e satira, e nel 1901 espose per la prima volta alla mostra del bianco e nero della Secessione ma solo dal 1907 si potè dedicare alla libera professione di disegnatore, litografo e pittore raggiungendo popolarità soprattutto con libri illustrati in cui descriveva dall’interno la vita quotidiana e l’ambiente del proletariato berlinese. Zille aveva poco di accademico: coniugava la grande pratica del disegno con un approccio naturalista agli oggetti del suo interesse indagati sul campo con una macchina fotografica. In particolare le foto scattate al parco dei divertimenti che si allestiva annualmente a Lietzensee Park, costituiscono una documentazione importante in relazione al tema della cultura da baraccone che sarebbe diventata tema centrale del realismo berlinese con Baluschek, Grosz, Dix, Schlichter. Nella sua prima produzione grafica si avverte una tendenza alla correzione in senso patetico dello schizzo o della fotografia presa sul posto, da testimone oculare, però il tema della trasfigurazione dei soggetti non era determinante per Zille come lo era per la Kollwitz che pare assimilò da Klinger la dialettica tra ricerca della bellezza e orrite dell’esistenza, non ponendosi il problema della bellezza nella descrizione della realtà. La sua adesione al partito social democratico e poi a quello comunista non gli impedirono di raccontare con crudezza tagliente, e non sempre ironica, atteggiamenti e comportamenti del proletariato berlinese disdicevoli per la morale corrente -> immagini che non cessarono di essere biasimate a inizio 900 dalla critica benpensante cui il principio artistico di idealizzazione continuava a costituire un parametro fondamentale per disegno, dipinto e scultura. La pittura di Baluschek riprende tra 1890-1914 i temi già affrontati dal realismo di Genere in Germania da metà 800 con il risultato di proporsi come tramite tra quello e il realismo posteriore alla prima guerra mondiale. Da il Quaderno di schizzi del 1889 la figurazione narrativa di B. risulta concentrata su pochi temi tra loro intrecciati e connessi ad esperienze personali tratte dalla zona di Berlino di confine in cui si era trasferito: nei suoi lavori rappresenta così un grande campionario di tipi di proletari urbani e piccolo borghesi raffigurati in momenti diversi della loro esistenza e nei luoghi in cui si compiva. In particolare si è dedicato alla raffigurazione della nuova forma della città: già nei dipinti di Meyerheim e Menzel venivano restituiti impianti industriali e macchine dettagliate e studiate in cui il soggetto era l’umo che tratta alla pari di macchine e materia prima, invece nelle officine realizzate da B. cambia il ruolo dell’uomo rispetto alla macchina e c’è una maggiore oggettività di rappresentazione, e abbandona gli schemi accademici della buona composizione. Accanto al lavoro industriale, altro tema del manifestarsi della cultura contemporanea è quello del teatro e in generale dello spettacolo che ritroviamo sia in Menzel che B. prima di essere assunti dai veristi degli anni 20: già al loro tempo la realtà emergente non era più quella del teatro borghese ne contadini, ma la novità era data dalle forme di spettacolo connesse a fenomeni come le esposizione universali, e gli acquerelli di Menzel su questi temi sono un’anticipazione delle raffigurazioni di spettacoli e divertimenti di massa svolti da Baluschek: esempi di questa produzione sono Parco dei divertimenti e Luna park a Berlino. Complementari a questi lavori sono i disegni e dipinti dedicati al cabaret organizzati per lo stesso pubblico e spesso negli stessi luoghi delle fiere. Ciò che divide Baluschek e Menzel è la grafica di Max Klinger, quell’idea del disegno come strumento di conoscenza reso ancora più efficace dagli apporti dell’ironia, satira e critica, inoltre ciò che li divide e che fa di B. il condizionante mediatore del passaggio dal realismo borghese ottocentesco al verismo degli anni 20 è lo spostamento della propria attenzione su situazioni di margine: l’oggetto primario della grafica e della pittura di B. è costituito dai margini fisici della grande città industriale e ciò che avviene ai suoi margini e le manifestazioni volgari di una cultura fatta dall’incontro di tradizioni popolari ormai messe all’angolo con le prime invenzioni della comunicazione e dello spettacolo di massa. I margini di B. e la cultura che racconta sono ancora luoghi di possibili libertà, deviazioni, infrazioni di regole. 2. La Revolutionary Black Gang a NY Il 3 febbraio 1908 a NY fu inaugurata, nella galleria di William Macbeth, un’esposizione di dipinti di 8 pittori e la cronaca faceva riferimento al nuovo realismo che questi mettevano in mostra: la novità stava nella rappresentazione di soggetti e scene legati all’esperienza urbana quotidiana, anche stracciona, con uno stile pittorico che seguiva una certa corsività per raggiungere effetti di immediatezza espressiva, senza ripetere modi e modelli accademici importati dall’Europa. Alcuni non furono benevoli verso gli 8 artisti e la loro Revolutionary black gang come furono chiamati questi artisti che dipingevano vedute e aspetti poco piacevoli della metropoli senza la compostezza della pittura un po’ leccata che ora era di moda, e anzi la mostra venne accusata di un senso di nausea. Altra critica era che i quadri esposti risultavano tra loro dissonanti ma questo era il punto forte degli otto cioè la diversità, la libertà riconosciuta a ciascuno di elaborare un linguaggio pittorico proprio. Gli 8 erano: Davies, Glackens, Robert Henri, Lawson, Luks, Prendergast, Shinn e Sloan e la loro posizione riprendeva dopo 50 anni le indicazioni contenute nel programma di Courbet e le espressioni di Duranty sul realismo come espressione di individualità anti convenzionali e anti scolastiche. Altro elemento condiviso con Courbet era una sorta di incanaglimento del prodotto artistico: non significava solo raffigurazione di soggetti volgari ma implicava l’ipotesi di nuovi canali di circolazione per la pittura poco ortodossi e che raggiungessero un pubblico diverso da quello delle esposizioni accademiche -> la folla accorsa al Macbeth costituì un effettivo allargamento del pubblico rispetto a quello che accadeva alle esposizioni della National academy of design in cui il pubblico era selezionato e poco. Nonostante i punti in comune con Courbet, non sembra che gli 8 conoscessero i suoi programmi e la sua pittura, però con lui condividevano anche l’orgogliosa affermazione della propria indipendenza operativa e di giudizio nell’ambito della scelta di temi moderni e concreti, e nella libertà di individuare modelli pittorici tra i maestri del passato. Il nucleo propriamente realista del gruppo, era costituito da Henri, Sloan, Luks, Shinn e Glackens che si erano presentati per la prima volta insieme sulla scena artistica di NY nel 1904 con una mostra al National Arts Club, e la loro produzione più polemica contro i generi e il sentimentalismo dominante si sviluppò soprattutto nel primo decennio del 900 a NY -> la loro formazione aveva però avuto luogo a Filadelfia: qui la prima battaglia per il realismo venne battuta negli anni 70 da Thomas Eakins, e poi grazie al suo insegnamento di disegno e pittura presso la Pennsylvania Academy. Henri e Sloan, i primi a conoscersi, con altri come Glackens, insoddisfatti dell’insegnamento accademico e volenterosi di un rapporto autentico con la vita americana fondarono nel 1893 il Charcoal Club per potere riprendere la pratica del disegno dal vero di Eakins, e l’anno dopo si trasferirono nello studio di Henri dove avvenivano discussioni anti accademiche incentrate sul modo di produrre un’arte vitale e la considerazione della vita come motivo primario d’ispirazione. A queste riunioni nello studio di Henri partecipavano anche altri come Glackens, Lucks e Shinn che vivevano disegnando per i giornali cioè eseguivano sul posto disegni di fatti di cronaca, come degli artisti-reporter, e svilupparono quindi una rapidità di esecuzione e uno stile immediato, freddo, senza sentimentalismi -> questo portò gli artisti a una produzione artistica sempre legata a un progetto di registrazione-narrazione della scena urbana quotidiana. Il realismo di inizio secolo, quanto ai suoi modi, si basò sull’incontro della linea della tradizione pittorica alta con la volgarità della grafica di consumo, connessa alle esigenze della comunicazione di massa, ma intrecciata anche all’esperienza della strada e cresciuta fuori dalla scuola. Stimolati da Henri, gli altri artisti- reporter cominciarono a dipingere ad olio con sistematicità prima a Filadelfia poi a NY dove Sloan arrivò per ultimo nel 1904: dopo la mostra del National Arts Club iniziò la stagione più favorevole per gli artisti della vecchia gang di Filadelfia che tra 1904 e anni 10 realizzarono le loro opere migliori ma nonostante i primi riconoscimenti ufficiali il loro lavoro veniva visto con sospetto. Henri intanto insegnava alla NY School of art dove i nuovi allievi avevano massima libertà di approccio, stile e tecnica, invitati a rappresentare con la massima franchezza lo spirito del tempo e tutti si misero a ritrarre la vita della metropoli: il realismo era diventato ormai una tendenza di punto ma sempre disprezzato dagli accademici che nella mostra di primavera del 1910 respinsero le opere dello stesso Henri e la reazione degli 8 e dei suoi studenti fu l’Indipendent Exhibition dell’aprile 1910 che ripetè lo stesso successo della Macbeth Gallery. 3 anni dopo, degli eventi bellici, e di omaggio ai caduti e celebrazione di uno sforzo collettivo della nazione. Il lavoro degli official artists continuò anche nel periodo subito dopo la guerra con opere eseguite a memoria o ritornando sui luoghi degli eventi bellici a raccogliere info e spunti. Nel dicembre 1919 una grande mostra alla Royal Academy raccolse l’arte inglese della prima guerra mondiale: ebbe il consenso della critica specializzata ma la stampa popolare classificò molti lavori esposti come ulteriori orrori della guerra. 4. Cicli pittorici commemorativi, monumenti ai caduti. Tra i progetti del ministro Beaverbrook c’era anche quello di una Hall of Remembrance per ospitare una collezione nazionale di opere d’arte in memoria della guerra. Intanto Stanley Spencer realizza la decorazione murale della Sandham Memorial Chapel nello Hampshire consacrata nel 1927: all’origine delle scene è la sua esperienza militare in Macedonia. L’opera deriva dal mecenatismo privato infatti fu fatta costruire dai Behrend e l’intenzione iniziale non era ricordare caduti e loro sacrifici ma l’idea era di realizzare un’opera d’arte, di permettere all’artista di sviluppare i suoi disegni in Macedonia. Forse Spencer si ispirò ai dipinto di Piero nella chiesa di San Francesco ad Arezzo: sulla parete di fondo la Resurrezione dei soldati che consegnano le croci a Cristo esprime quei valori spirituali e di redenzione che l’autore attribuiva alla pittura, invece nelle pareti laterali scene di vita militare che fa emergere la vena narrativa, per poi rappresentare anche la dimensione privata con la ripetizione di gesti, azioni e comportamenti normali. Dal 1919 i modi più comuni della commemorazione avevano assunto forme diverse di grande comunicazione pubblica e questo si concretizzò in Europa con la realizzazione di monumenti ai caduti. A standard figurativi e compositivi, fecero riscontro anche deviazioni dalle norme: un provincialismo di provincia vivace e poco conformista che però rimane ancora un fenomeno in parte oscuro, ed esempi sono i monumenti di Pieve Porto Morone in Italia e di Lodève in Francia. Fuori provincia, l’arte commemorativa di guerra e caduti con caratteri originali sono ancora più rari, per esempio nell’eclettico Jagger che tra 1919-25 realizzò una serie di monumenti che raccontavano fatti concreti e specifici e ritorna il motivo della grande guerra come guerra moderna in cui i protagonisti, accanto agli uomini, erano le macchine, le arti, la meccanizzazione. 5. Un altro punto di vista: Otto Dix Anche il tedesco Otto Dix si interessò al rapporto tra uomo e meccanizzazione rappresentando uomini meccanici usciti dalla guerra, reduci mutilati con protesi e arti artificiali. Nel 1920 a Dresda realizza 4 opere in cui combina pittura e collage: gli esseri viventi vengono dimezzati, i reduci hanno parti artificiali, più o meno sofisticate, mentre i passanti vengono tagliati dai margini delle tele che lasciano vedere solo le parti del corpo mutilate, fa quindi emergere il ritratto di una società a pezzi, esplosa, impazzita. Nel Venditore di fiammiferi, un pezzo di giornale buttato nell’acqua da una chiave di lettura al suo realismo aggressivo, rozzo, elementare e diretto dove si vede il superamento del dadaismo: nel foglio c’è l’appello di Kokoschka, insegnante all’accademia di Dresda, che invitava i contendenti a combattere lontano dai musei dopo che una pallottola vagante aveva danneggiato un quadro di Rubens: per Dix un appello del genere era carta straccia da buttare perché si concentrava più sulla grande arte che sulla vita degli uomini in pericolo, anche per questo Dix prese le distanze anche in pittura dall’arte alta con una pittura che usava mezzi duri, volgari, taglienti e diretti. Mutilati, invalidi di guerra, sono figure su cui Dix torna spesso come ne La grande città del 1927-28 in cui ancora attacca violentemente la società contemporanea ma con un linguaggio diverso: al primo realismo grottesco di derivazione dadaista sostituisce una pittura più curata ricca di velature e trasparenze che si voleva collegare alla tradizione moralista e visionaria del Gotico e del rinascimento tedesco recuperato anche in chiave tecnico-esecutiva e di linguaggio. Ne La trincea del 1920-23 rappresenta ancora la guerra, e anche nelle 50 incisioni del 1923-24 La guerra derivate dalla sua esperienza al fronte nelle Fiandre e in Francia e accessibili a un pubblico ampio e popolare. Lo stesso tema si trova anche nel trittico La guerra del 1929-32 e in dipinti successivi del 1934-35 come Fiandre e Trionfo della Morte: nella Guerra viene attualizzata la passione di Cristo trasfigurata qui in un appello a non dimenticare e la brutalità del suo realismo viene qui mediata da un impianto compositivo costellato di metafore che si riallaccia alla tradizione pittorica del primo 500 tedesco, con oggettività visionaria. Nel Trionfo della morte crea un ponte tra memoria del passato e sinistra prefigurazione del futuro unendo allegorie e realtà alla maniera della visionarietà rinascimentale. Intorno al 1930, le raffinate rozzezze del realismo dadaisteggiante dei primi anni 20 lascia spazio a una figurazione che trovava la sua forza nell’aggiornamento di una tradizione visiva storica di grande diffusione popolare. REALISMI TEDESCHI DEGLI ANNI VENTI 1. La svolta oggettiva del 1920 Gli anni 20 si caratterizzano per una ripresa della figurazione dopo che le avanguardie avevano cambiato i modi di vedere e rappresentare -> in Germania questa ripresa si manifestò, oltre che con la rinascita del genere del ritratto, con un nuovo interesse per una figurazione concisa di andamento narrativo: si vede nelle parole di Alfred Doblin nel 1913 nel Programma berlinese pubblicato in Der Sturm, la rivista dell’avanguardia espressionista e cubofuturista: egli parlava della necessità di rompere l’incantesimo della parola per arrivare a cogliere il reale, per riuscire a riprodurre la realtà della vita. In campo artistico dopo la guerra, il programma di Doblin si consolidò in una linea realista innestata nella doppia tradizione del verismo sociale che non si era mai interrotta, ma sul vecchio naturalismo da cui furono ereditati molti temi e soggetti, operavano adesso nuovi stimoli formali e politico-ideologici. Tutti gli artisti che dopo il 1920 corressero il loro linguaggio in direzione oggettiva, verista, realista o di nuovo naturalismo avevano alle spalle esperienze d’avanguardia: la riscoperta dell’oggettività raramente cancellò tali esperienze da cui vennero tratti elementi linguistico-sintattici. Queste esperienze però non toccarono la produzione dei vecchi secessionisti ancora attivi e influenti per tutti gli anni 20 a Berlino che narrano oggettivamente il clima sociale berlinese nell’età di Weimar e rientrano nel quadro dei realismi tedeschi degli anni 20. Per le generazioni artistiche più giovani che avevano assimilato le innovazioni delle avanguardie, la svolta oggettiva del 1920 fu una novità invece con l’abbandono di linguaggi e tematiche considerate troppo soggettive e quindi condivisibili da un pubblico ristretto, inoltre l’inversione di tendenza venne accelerata dal dibattito su ruolo e funzioni degli artisti nella società uscita dalla guerra -> questo dibattito si manifestò dal 1918 nella nascita di nuovi raggruppamenti e programmi artistici. Nel novembre 1918 a Berlino fu fondata la Novembergruppe: tra i suoi ideali c’era anche la convinzione della necessità di un’alleanza degli artisti per arrivare a una stretta compenetrazione di popolo e arte per creare un contatto tra prospettiva politica ed estetica -> su queste basi la Novembergruppe raccoglieva tutti gli artisti disponibili a un cambiamento della propria condizione nella società: molti artisti erano ora convinti di avere un ruolo fondamentale e pedagogico e di guida verso gli altri uomini. È ancora però prematuro parlare di nuovo realismo o nuovo naturalismo tedesco. Tra le prime prese di posizione per una radicale svolta ideologico politica è da ricordare la lettere della Novembergruppe firmata da un gruppo di dissidenti che attaccavano le tendenze individualistiche e neoaccademiche degli artisti più affermati del gruppo, la perdita di spirito rivoluzionario e gli intrighi da mercati intessuti con la classe dominante, proponendo invece un linguaggio che lasciava alle spalle la nuova accademia espressionista e il mondo delle pure idee. L’opposizione alla Novembergruppe prospettava due possibili scelte di linguaggio: da un lato una nuova oggettività e dall’altro un’ottica non oggettiva che allora coincideva con la pratica dadaista del collage. Il primo lato viene rappresentato da Grosz e amici che penetravano e rappresentavano la realtà che avevano intorno cercando di evitare i filtri delle buone maniere e della cultura alta per arrivare dritti al centro della questione -> questo programma di messa a nudo della realtà fu perseguito da Grosz soprattutto nei disegni per riviste satirico-politiche. Lo stesso orrore verso la società borghese sfruttatrice era espresso da Schlichter nei disegni di storie nere, d’avventure e di bassifondi. Di più marcata derivazione espressionista era invece il Realismo che si stava definendo in parallelo a Dresda nell’ambito della Dresdner Sezession Gruppe 1919: anche a Dresda la situazione politica portò a una situa di conflitto sociale e da qui derivano i mutamenti linguistici, come successe a Berlino, nel 1920 da parte degli artisti: in questo gruppo oltre a Dix, si distaccarono le scelte di Felixmuller: invece di dipingere soggetti sacri o temi intimisti e introspettivi secondo la tradizione Die Brucke che il gruppo seguiva, rappresentava invece la vita degli sfruttati e lo sfruttamento con una serie di acqueforti, litografie e dipinti -> Infatti l’artista nel 1920 si allontanò dal gruppo che non condivideva il suo radicalismo politico. Oltre a Felixmuller e Dix, il 1920 fu anno di scolta linguistica anche per Otto Griebel considerato poi il capofila dei Veristi di Dresda: inizialmente il suo realismo si vide con la realizzazione di lavori che realizzava con metodi costruttivi cubofuturisti e dadaisti ripresi da Dix e Grosz, Hausmann e Hoch, poi sulla precisione del segno e su una pittura nitida e oggettiva e fu tra i primi artisti tedeschi a cercare una rappresentazione in positivo del “tipo” proletario, non solo inteso come uno sfruttato ma come un uomo nuovo, consapevole della sua appartenenza alla classe operaia e delle sue possibilità di trasformare il mondo. Nel 1919, in contemporanea alla Dresdner Sezession, si erano sviluppati numerosi gruppi locali che contribuirono alla diffusione in Germania delle problematiche artistiche e ideologiche-politiche discusse a Berlino e Dresda -> molti artisti che avevano assunto un linguaggio ricco di connotazioni politico-ideologiche, e che consideravano l’arte come strumento di indagine e disvelamento del reale, nel 1924 aderirono alla Rote Gruppe che volevano fare dell’arte un’arma per la lotta di classe: Grosz fu il presidente e ciò che contava per il gruppo era parlare chiaro a quanta più gente possibile attraverso un’arte con funzione didascalica, propagandistica, di stimolo. 2. Politica e magia La tendenza a trovare circuiti espositivi alternativi e a sviluppare una didattica artistica che desse voce agli artisti non inquadrabili in organizzazioni e raggruppamenti di categoria ed esclusi da un’educazione artistica alta era stata esplicitata nel programma della Rote Gruppe: animatore di questa politica artistica fu Otto Nagel che in amicizia con Zille e la Kollwitz, negli anni 20 sviluppò in pittura una forma di Neonaturalismo dai toni cupi che fece di lui il prototipo dell’artista proletario che nelle sue composizioni voleva rappresentare la vita dei lavoratori di una grande città. Di derivazione naturalista oltre al linguaggio era l’adozione della forma del polittico. Al suo realismo proletario si può ricondurre la produzione artistica dominante nelle mostre di arte dei lavoratori da lui organizzate dai primi anni 20 in luoghi caratterizzati dal passaggio di un pubblico popolare: la maggiore fu nel 1924 la Grande mostra di solidarietà tenuta nei magazzini Wertheim a cui fecero seguito nel 1926 altre mostre in magazzini di Berlino, e altre mostre organizzate da altri artisti -> il realismo politico delle opere esposte in queste occasioni era solo una delle polarità in cui si era articolata la svolta oggettiva della cultura figurativa tedesca. La mostra Nuova oggettività. Pittura tedesca dopo l’espressionismo ordinata da Hartlaub nel 1925 fu la prima riflessioni di ampio respiro su questa svolta e lo stesso anno venne pubblicato a Lipsia il libro di Roh “post impressionismo. Realismo magico. Problemi della nuova pittura europea” -> questi due con il Rote Gruppe chiarivano cosa stava accadendo nella cultura figurativa tedesca segnando un confine tra due modi di intendere il realismo: secondo Roh la nuova pittura oggettiva, il realismo magico, si distingueva dall’espressionismo per il rifiuto della sua empatia anticlassica, invece ora la tendenza figurativa si basava su un’analitica e distaccata restituzione visiva delle cose che si sostituiva alla dissoluzione del mondo tipica degli espressionisti. La distinzione tra realismo magico e realismo politico o neonaturalismo o verismo è tuttavia schematica e serve solo come ipotesi di lavoro: la situazione artistica tedesca nel 1925 presentava molte situazioni intermedie, complesse e spesso circoscritte a una singola personalità dove il confine tra magia e politica poteva diventare labile. 3. Temi e soggetti veristi Una linea di differenza tra i due principali filoni di realismo si può trovare nella scelta dei soggetti: alle figure quiete in interni, alle nature morte, al paesaggismo di alcuni artisti si contrapponeva l’inferno in terra della vita contemporanea in particolare quella urbana. L’Inferno, 1919, è il nome di una serie di litografie di Max Beckmann in cui raccontava, tramite l’unione di modelli rinascimentali nordici, espressionismo e cubofuturismo, la follia e disperazione della società del tempo, riassumeva temi e soggetti di derivazione per lo più naturalista che negli anni seguenti sarebbero stati approfonditi uno a uno. Storie urbane sono raccontate con patetica malinconia anche nei cicli grafici di Frans Masereel e di Carl Meffert etc. Tra i soggetti ricorrenti nei lavori dei veristi tedeschi due in particolare cioè i rapporti tra le classi messi in scena La ricerca di un soddisfacente equilibrio realista che eviti il pericolo di un naturalismo di superficie e che metta fuori gioco il formalismo, continuò a essere il nodo centrale del dibattito e della prassi artistica sovietica di tutti gli anni 20 -> la questione si trova nella Dichiarazione dell’OMCh cioè l’associazione dei pittori di Mosca in cui si trova l’appello a passare dalla rappresentazione e dalla conoscenza alla trasformazione del mondo: sostengono che loro compito sia l’uso delle arti figurative per la rivoluzione culturale e la costruzione del socialismo, e considerano l’arte come arte di massa, che vive per le masse e da queste attinge le sue forze e non intendono più solo raffigurare il mondo ma trasformarlo e l’unico modo per farlo è tenersi al passo con la classe destinata a trasformare il mondo cioè il proletariato e quindi i pittori dell’OMCh mettono a disposizione le loro forze al servizio del proletariato e per questo chiedono anche una riorganizzazione dell’istruzione artistica superiore. Questa posizione corrispose all’inizio di una fase di intensa attività degli artisti a contatto diretto con la costruzione del socialismo: nel 1929 infatti il partito cominciò a organizzare viaggi per gli artisti nei centri industriali dove l’uomo nuovo sovietico poteva essere conosciuto direttamente e non solo tramite mediazioni ideologiche e letterarie, quindi gli artisti spostarono l’attenzione su soggetti commessi all’edificazione socialista -> il padiglione sovietico alla biennale di Venezie del 1932 mostra infatti grandi cambiamenti rispetto a due anni prima quando c’erano ancora molti paesaggi e soggetti industriali di carattere generico, infatti nella presentazione del padiglione redatta da Kravcenko si accennava ora anche alle particolari condizioni di vita degli artisti e al loro rapporto col pubblico e la committenza del nuovo stato socialista: viene specificato che l’artista lavora ora per la collettività quindi l’arte si muove sul terreno della costruzione socialista e forma una base per la nuova società senza differenze di classi. Nel 1928 finisce la NEP, nuova politica economica, e viene lanciato il primo piano quinquennale che prevedeva l’industrializzazione dell’agricoltura attraverso la collettivizzazione forzata delle campagne quindi il partito doveva controllare ogni settore del paese per il successo di questo socialismo, inoltre il piano quinquennale aveva bisogno anche di un sostegno propagandistico quindi l’unione delle forze degli intellettuali a sostegno del partito: per questo dal 1930 vennero sciolti i liberi gruppi attivi dagli anni 20 e vennero uniti in federazioni di artisti e aumentò il controllo del partito su modi e contenuti dei prodotti artistici. Questo porterà alla formazione dei caratteri del realismo socialista TRADIZIONE NARRATIVA E PRIMA RIFLESSIONE SUI MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA IN GRAN BRETAGNA Già durante la guerra la ricerca formalista di molti artisti inglesi d’avanguardia era entrata in crisi a vantaggio del ritorno al racconto e all’oggettività, e questo si consolidò negli anni 20 in gran parte dei vecchi Vorticisti e Futuristi: per esempio Nevinson pensava che l’arte dovesse essere riportata alle tradizioni dei vecchi maestri salvandola dalle astrazioni e questo nella sua arte si tradusse in figurazioni con solidi impianti, alla riscoperta della tradizione del ritratto e del quadro di figura, del paesaggio, della scena di genere, dell’interno intimista a cui si affiancavano prese dirette sulla contemporaneità con soluzioni affini al verismo tedesco contemporaneo. Negli anni 20, la rappresentazione di brani di contemporaneità con un piacere per la narrazione, accomuna artisti di diversi indirizzi stilistico-forali: il racconto infatti univa diverse tendenze artistiche e generazioni. Nella pittura inglese di racconto della realtà in questi anni emerge l’interesse per i consumi e i riti collettivi e per i modi della comunicazione di massa che costituiscono dati di novità: polo attrattivo era ad esempio il cinema e le sue convenzioni di mediazione della realtà come si vede nel dipinto bianco e nero di Stickert Jack e Jill del 1936-38: la realtà a cui l’artista allude è quella dell’industria della comunicazione e dei modi formali da essa determinati, il quadro è il risultato radicale della sensibilità di Stickert per i modi della grande comunicazione, un’anticipazione delle prime esperienze pop degli anni 50 che furono appunto inglesi. Nella sua produzione pittorica tarda, Stickert aveva mostrato interesse per soggetti d’attualità trattati o divulgati dai giornali, da fotografie o cinegiornali: la novità dell’artista non era nell’uso dell’immagine fotografica come riferimento di base per la pittura, ma la novità era la ripresa sistematica di fotografie pubblicate sui giornali cioè fotografie già selezionate per una diffusione industriale quindi in grado di incidere sull’immaginario collettivo e su queste Stickert eseguì dipinti assai formali per esempio sui membri della famiglia reale. Inoltre le foto dei giornali dovevano piacere a Stickert anche per le loro qualità come i forti contrasti di bianchi e neri, ma l’interesse per i modi della comunicazione di massa non erano solo suoi ma per esempio anche di Charles Cundall che per esempio, in Una partita di spareggio a Chelsea del 1923, riprendeva lo stadio con la folla dall’alto come da una fotografia aerea che già allora documentavano fatti sportivi d’attualità. VERSO ALTRI REALISMI 1. Ai margini delle tendenze dominanti in Europa Con l’eccezione dell’esperienza tedesca e sovietica, la tradizione realista negli anni 20 non trovò terreno fertile, ma ciò non vieta che temi tipici di questi realismi si ritrovino in altri contesti come Italia e Francia però in una posizione marginale rispetto alle tendenze più conosciute e significative: la figurazione metafisica, magica, classicista e surrealista da un lato, e gli sviluppi della ricerca non oggettiva tra astrattismo e concretismo dall’altra. 2. Polemica con le avanguardie europee e inizi del regionalismo negli Stati uniti La tradizione del racconto realista continuava a suscitare interesse soprattutto negli Stati uniti, divisa tra un certo accademismo educato alla Charles Hawthorne e gli sviluppi della pittura degli Otto. Negli anni 10 le tematiche realiste della Black Gang si erano diffuse a NY e in quel periodo Sloan era art editor del periodico socialista e pacifista Masses che per Max Eastman fu il luogo dove si verificò la prima comparsa di realismo in una rivista americana. Ma il principale punto di riferimento di chi si sentiva coinvolto in un progetto di arte di denuncia e di impegno sociale, fu la rivista New Masses. Il vecchio realismo newyorchese, che si basava sull’idea di una restituzione del dato visivo con un taglio da istantanea fotografica, aveva imparato a fare i conti con i raffinati modi di una costruzione della forma di derivazione europea, importati a partire dall’Armory show del 1913, e l’unione degli aspetti diede il via al realismo americano basato su una nuova attenzione alla distribuzione dei pesi, alle corrispondenze formali, all’evidenza plastica delle figure -> queste preoccupazioni di buona costruzione del quadro interessarono molti artisti intorno al 1920. I secondi anni 20 si caratterizzano per la crescita di una polemica antiavanguardista e antieuropea che si accompagnò alla riscoperta critica di un’arte nuova, realista e non radicale, caratterizzata da un gusto più genuinamente locale: primi campioni della nuova tendenza furono Burchfield e Hopper che intorno al 1927 facevano un’arte che si poteva riconoscere come americana dal contenuto e non europea nello stile dipingendo con un realismo un po modernizzante, ma comprensibile a tutti gli americani e non solo a un’elite culturale, soggetti ed esperienze comuni. Quindi la riscoperta dell’America, di temi tipicamente americani e di un nuovo stile nativo in cui si mescolano il realismo della Hudson River School e degli Otto con forme artistiche popolari locali -> tendenza ben visibile nella produzione di Benton che soprattutto nelle sue pitture murali tra 1930-36 tradusse la propria poetica raccontando la vita e l’energia della nazione. Negli stati uniti gli effetti della crisi del 1929 e della grande depressione si erano fatti sentire anche in campo artistico: il mercato privato e le occasioni espositive erano diminuite determinando un impoverimento degli artisti e nuovi modi di riorganizzazione delle loro produzioni: Stuart Davis nel 1933, tra i fondatori dell’organizzazione sindacale Artists’ Union, propose una nuova figura di artista non più libero imprenditore del suo lavoro ma lavoratore salariato nell’ambito di iniziative municipali, statali e federali che gli garantissero libertà d’espressione artistica, e a questa esigenza il governo americano rispose con i Federal Arts Projects con cui venne data la possibilità di artisti di lavorare e ricevere uno stipendio in cambio di lavori destinati a uso e circolazione pubblica -> questo portò alla diffusione di prodotti artistici nella nazione senza precedenti e configurò la possibilità di una rinascita americana contrapposta agli elitari avanguardismi europei. La nuova committenza pubblica esercitava comunque dei controlli sul lavoro artistico affinchè fosse sentito proprio da un pubblico popolare e quindi forme di realismo venivano preferite all’astrattismo: in generale una gran parte del realismo nordamericano degli anni 30 finì con svolgere una funzione di comunicazione di massa e trasmissione di messaggi inserendosi in un programma ideologico-educativo e ciò rafforzò le tendenze anti avanguardistiche, anti internazionaliste, anti europee emerse già dal 1925 -> dagli anni 30 i soggetti divennero sempre più regionali, locali, nazionali mentre i vari modi formali erano di matrice genericamente realista accumunati da chiarezza didascalica. Oltre agli stati uniti, stili simili di realismo condizionati da simili intenzioni di comunicazione si definirono negli anni 30 in zone dove lo stato tendeva ad esercitare un maggiore controllo sulla società, cultura e arte: in Germania dopo il 1933 tutti i realismi non riconducibili al classicismo nazista furono messi al bando o in Urss dopo il 1934 il realismo socialista mise fuori gioco tutte le altre tendenze. Ciò che caratterizzò in generale i realismi degli anni 30 fu l’uso dell’arte come veicolo di messaggi, in funzione di un controllo e di una omogeneizzazione gestita dallo stato il cui ruolo di grande committente si faceva sempre più importante: ora si trattava in primis di condizionare e convincere, e non più di raccontare per capire e far immaginare.
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