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Il regno d'Italia dall'unità alla crisi di fine secolo e seconda rivoluzione industriale, Appunti di Storia

documento compreso di appunti riguardanti: il regno d'Italia dall'unità alla crisi di fine secolo, seconda rivoluzione industriale, colonialismo e imperialismo, socialismo, nazionalismo, razzismo

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 18/12/2019

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Scarica Il regno d'Italia dall'unità alla crisi di fine secolo e seconda rivoluzione industriale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! IL REGNO D’ITALIA DALL’UNITA’ ALLA CRISI DI FINE SECOLO Destra e sinistra storica sono due partiti che già erano presenti nel Regno di Sardegna prima dell’unificazione e che si consolideranno dopo questa. Non sono assimilabili al significato di destra e sinistra che acquisteranno i veri e propri partiti politici. Il partito politico è un organizzazione istituzionalizzata che unisce persone che hanno gli stessi ideali, obiettivi. Ha una propria struttura interna che prevede una segreteria che detta le linee del partito. Il primo partito nato è stato quello social democratico tedesco a Gotha nel 1875. Tra destra e sinistra non c’erano differenze sostanziali perché entrambe erano espressione di un elite. La destra era liberale e di un liberalismo conservatore (il massimo esponente era Cavour, morto nel 1861) e tendenzialmente faceva gli interessi degli imprenditori del settore agrario. La sinistra era liberale ma più progressista: ritiene che si debba essere più aperti a riforme moderate che permettano l’ingresso alla vita politica anche alla piccola borghesia. Rappresentava gli interessi dei liberi professionisti e della borghesia imprenditoriale. L’ETA’ DELLA DESTRA (1861-1876) Il Regno d’Italia dovette affrontare fin dall’inizio gravi problemi, alla cui soluzione venne a mancare la guida del genio politico di Cavour, morto il 6 giugno 1861. a) La questione istituzionale: la struttura accentrata dello Stato e le nuove leggi. Destra e sinistra si ritrovano su due fronti opposti per quanto riguarda la struttura da dare al nuovo regno. Bisognava creare un regno accentrato (destra) o democratico (sinistra)? Su 450.000 votanti vince l’accentramento del potere. La destra sostiene ciò perché se si fosse concessa autonomia ai singoli territori si correva il rischio che questi si facessero forza per fermare l’unità quindi bisognava uniformare le leggi in tutti il territorio nazionale con l’estensione dello Statuto Albertino,avere un’unica capitale cioè Torino con un unico parlamento, effettuare l’estensione al Regno degli ordinamenti che in precedenza erano del Regno di Sardegna (piemontizzazione). Es. viene estesa la lira, viene estesa la leva militare obbligatoria (nel sud Italia non c’era), si ha un sistema metrico decimale e il re Vittorio Emanuele II mantiene il numero dinastico che aveva nel Regno di Sardegna (e anche per la legislatura) perché vede il Regno d’Italia come l’estensione di questo. Viene creata la figura del prefetto. È nominato dal ministro degli interni ed è colui che all’interno di ogni provincia rappresenta l’autorità dello stato. Erano quasi tutti piemontesi all’inizio. La leva obbligatoria porta un effetto positivo: c’era bisogno di un esercito regolare e numeroso dunque bisognava portare i giovani in altri luoghi d’Italia e in questo modo si faceva conoscere loro altri aspetti, realtà, tradizioni. Ma ha anche un aspetto negativo ovvero quello di portare via dalle famiglie le braccia più forti, quindi dal lavoro nei campi che era tutto ciò su cui si reggeva l’economia familiare e del Regno d’Italia. b) La “questione meridionale” e il brigantaggio. Si ha una situazione di arretratezza al sud rispetto al nord e al centro Italia (non significa che qui la massa popolare stia meglio) perché in quest’ ultimi si era avviata una modernizzazione e meccanizzazione del lavoro agricolo mentre al sud c’era ancora lo sfruttamento dei braccianti da parte dei latifondisti. Il governo di destra con i vari provvedimenti che prese non migliorò la situazione al sud anzi, quelli che furono attuate peggiorarono la situazione. La leva obbligatoria non venne concepita una riforma agraria necessaria dunque si passa all’eliminazione del latifondismo e alla concessione delle terre ai contadini. Questo malcontento vissuto dai contadini (perché si aspettavano che le cose cambiassero) sfociò nel fenomeno del brigantaggio nel 1861 dovuto all’emissione della tassa del capestro che soffocava le famiglie. È un fenomeno di ribellione che si manifesta con atti violenti contro tutte le rappresentanze delle istituzioni. Ai contadini si unirono i malviventi, questi briganti furono finanziati dal clero e dai nostalgici dei borboni (speravano che ciò portasse ad una cacciata dei Savoia). Alle elezioni del gennaio del 1861 vennero eletti i signorotti aristocratici che non portarono provvedimenti per i contadini. Il fenomeno fu stroncato nel 1864. Nel 1863 viene emanata la legge Pica, la quale introduce la legge marziale ovvero i briganti venivano uccisi e catturati. Il fenomeno venne reciso. La lotta al brigantaggio trovò un numero di morti maggiore rispetto a tutte e tre le guerre d’indipendenza. c) La politica finanziaria ed economica della Destra Altri problemi erano il deficit dello stato e la necessità di creare un’economia nazionale. Quando il regno d’Italia si costituì, ereditò tutti i debiti degli stati preunitari e a ciò si aggiunsero anche le spese dovute alle guerre d’indipendenza. Si ritenne necessario attuare una politica finanziaria per attenuare il debito e dunque per pareggiare il bilancio: - Lo stato vende il proprio debito emanando dei buoni tesoro - Si promuove la vendita delle terre demaniali (degli enti statali) con l’obbiettivo di raccogliere denaro e per farle acquistare dalla massa popolare e creare una piccola proprietà agraria. Ciò non successe perché se il contadino non riesce a sfamare la famiglia non può neanche comprare le terre. - Venne imposta la tassa sul macinato nel 1865 da parte di Quintino Sella. Questa tassa si pagava al mugnaio sulla base della quantità di grano che veniva macinato. Venne chiamata tassa “capestro” o “della disperazione” perché ritenuta ingiusta in quanto non colpiva il reddito ma il consumo. Nascono così proteste e verrà successivamente eliminata. Dal punto di vista economico la Destra introduce il liberismo. Si abolisce così ogni forma di protezionismo cioè bisogna cercare di sviluppare su tutto il territorio nazionale. Si cerca di creare un mercato interno comune facendo costruire nuove mete ferroviarie in modo tale che le produzioni di un territorio potessero essere velocemente trasportate. Nascono così nuovi ponti, strade, palazzi … Di fronte a questa crisi tutti i Paesi Europei adottarono il protezionismo doganale perché bisognava proteggere la produzione interna, quella agricola e industriale, e la nascente industria italiana (ciò fu adottato anche da Agostino De Pretis). L’unica che non attuò questa riforma fu l’Inghilterra. Il settore industriale che viene favorito in Italia con il protezionismo e le commesse belliche fu quello bellico (è uno stato che chiede direttamente alle imprese determinati prodotti, dunque potenziare l’apparato bellico). Nel 1878 muore Vittorio Emanuele II e diventa re d’Italia Umberto I il quale si sposa con la principessa Margherita, tedesca. Lui era un grande ammiratore di Bismarck e tende a dare all’Italia una svolta autoritaria. Dunque il rafforzamento militare serviva per dare all’Italia un carattere forte dal punto di vista bellico. Il protezionismo intende anche salvaguardare la produzione agraria, cerealicola del nord dagli Stati Uniti d’America. I ceti agrari sostengono il governo. Il protezionismo ebbe effetti negativi: colpì le masse popolari perché di fatto vanificò la portata dell’abolizione della tassa sul macinato dunque la produzione del grano vede aumentare il suo prezzo; ci fu un massiccio movimento migratorio da parte degli italiani attorno al 1876 i quali si spostarono in Brasile, Argentina, America, Australia (27 milioni); l’introduzione del protezionismo doganale mette in crisi la produzione agricola specialista al sud Italia (agrumi, olive, vino…) perché l’introduzione dei dazi aprì una guerra doganale con la Francia che era il nostro partner commerciale privilegiato. Per affrontare la crisi i paesi europei avviarono la corsa alle colonie, inaugurata dall’Inghilterra. Ma se vigeva l’imperialismo perché era necessario cercare colonie? E dove? Si cercano in Africa ed Asia perché c’era bisogno di nuovi mercati privilegiati. Sarà De Pretis ad inaugurare il colonialismo italiano. e) La politica estera: la Triplice e l’esordio coloniale Nel 1878 ci fu il congresso di Berlino per la questione balcanica da cui ne conseguì la politica dei compensi ovvero che alla Francia viene dato il permesso di espandersi in Tunisia, luogo considerato colonia italiana di fatto per i rapporti commerciali Nel 1882 si ha la Triplice Alleanza tra Italia, Germania e Austria, un patto difensivo che prevedere l’aiuto reciproco solo nel caso in cui uno degli stati veniva attaccato. Nella prima guerra mondiale l’Italia si dichiara neutrale perché dichiarerà guerra ad Austria e Germania. Successivamente l’Austria ci punirà con l’altopiano di Asiago. De Pretis muore nel 1887 e sale al governo Francesco Crispi. IL PRIMO GOVERNO CRISPI (7 agosto 1887-6 febbraio 1891) Francesco Crispi (1818-1901): ex repubblicano convertitosi all’idea monarchica, ex democratico divenuto tenace oppositore delle lotte operaie e contadine, ex rivoluzionario convertitosi all’idea dello “Stato forte” sul modello bismarckiano (disprezzo per le lotte parlamentari, rafforzamento del potere dell’esecutivo: accentrò nella sua persona le cariche di Presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e ministro degli Interni); un ex patriota diventato acceso nazionalista, fautore di una politica di potenza e convinto colonialista. Uomo che meglio rappresenta l’alleanza tra grande industria e latifondo, disposto quindi a far pagare ai lavoratori qualunque prezzo per fare gli interessi dell’elite, ma anche l’unico capace di reggere il timone in una situazione di crisi sociale ed economica gravissima. Durante il suo primo ministero attua però importanti riforme: a) Politica interna: opera di riorganizzazione dell’apparato statale (1888: legge comunale e provinciale; 1888: legge sulla sanità pubblica e riforma carceraria; 1889: nuovo Codice penale- Codice Zanardelli con il quale si abolisce la pena di morte salvo casi eccezionali militari); azione repressiva nei confronti di irredentisti, di associazioni cattoliche e del movimento operaio; fallito tentativo di conciliazione tra Stato e Chiesa, che porta Crispi ad adottare una sempre più decisa politica anticlericale; ulteriore spinta al protezionismo, che sfocia alla guerra doganale con la Francia (1887-1898). b) Politica estera: politica rigidamente triplicistica e dichiaratamente antifrancese; ripresa della politica coloniale (soprattutto per motivi di prestigio) BREVE GOVERNO DI ANTONIO DI RUDINI’ (1891-1892), esponente della Destra conservatrice. Viene emanata da Papa Leone XIII l’enciclica Rerum Novarum (1891) dove invita i cattolici ad impegnarsi nella vita sociale, di occuparsi dei diseredati, dei lavoratori. Nascono le leghe bianche ovvero associazioni di assistenza ai lavoratori (la più importante è la Democrazia cristiana) diverse dalle leghe rosse che sono socialiste. PRIMO GOVERNO GIOLITTI (1892-1893) Giovanni Giolitti (1842-1928): liberale piemontese che nel 1889 si era dimesso da ministro del Tesoro perché disapprovava le eccessive spese militari del governo. La sua politica interna fu caratterizzata da un atteggiamento liberale nei confronti delle opposizioni socialiste e cattoliche e dei movimenti popolari in genere: era convinto infatti che le agitazioni operaie e contadine non dovessero essere represse, ma lasciate sviluppare liberamente nello stesso interesse economico del Paese (migliori salari avrebbero impresso una spinta all’attività produttiva) e politico (più ampio consenso allo Stato). Questi i fatti importanti che accadono durante il suo primo governo:  Prende campo, dopo l’enciclica Rerum Novarum, il movimento della democrazia cristiana (movimento sorto in Italia e in Francia inteso al “restauro sociale cristiano”: all’organizzazione di un sistema sociale ispirato al cristianesimo, da realizzarsi anche con l’intervento dello Stato) e sorsero veri e propri sindacati cattolici  Nel 1892 fu fondato il Partito dei lavoratori, futuro Partito socialista italiano  Tra il 1892 e il 1893 si sviluppò la rivolta dei Fasci siciliani (fasci = leghe), promossa da contadini e zolfatari rovinati dalla crisi economica e dalla politica protezionistica. Per la questione siciliana Giolitti non ricorse alla forza, anche se ordinò di colpire ogni atto illegale. Ma la sua supposta “debolezza”, la proposta di un’imposta progressiva sul reddito e lo scandalo della Banca Romana lo obbligarono a dimettersi. RITORNO E SCONFITTA DI CRISPI (1893-1896) Voleva risolvere la questione del sud con la forza: a) Ricorse a mezzi eccezionali per stroncare i Fasci siciliani (stato d’assedio, tribunali militari) e gli analoghi moti sociali dei cavatori di marmo della Lunigiana (1894) b) Emana le tre “Leggi antianarchiche”: scioglie con la forza il Partito socialista e le Camere del lavoro, fa approvare leggi limitative della libertà di associazione e di stampa, fa votare un’interpretazione restrittiva della legge elettorale del 1881 che portò alla cancellazione delle liste elettorali di oltre 800.000 cittadini. Per reazione si rafforzarono le opposizioni: si formò a Milano una Lega della libertà, che vide la nuova e imprevista alleanza tra socialisti e democratici repubblicani e radicali, vale a dire tra marxisti e rivendicazioni di “democrazia borghese”. Il metodo “forte” di Crispi aveva portato a risultati opposti a quelli auspicati. LA CRISI DI FINE SECOLO Caratterizzata dalla fine di una svolta autoritaria condotta dai governi della Destra conservatrice e reazionaria ma anche dalla politica del re. Tipica espressione della mentalità reazionaria fu un articolo di Sidney Sonnino, Torniamo allo Statuto, pubblicato sulla rivista Nuova Antologia il 1 gennaio 1897, dove si proponeva di tornare al sistema costituzionale puro, per il quale i ministri non dovevano rendere conto del loro operato alla Camera, ma soltanto al re. I tentativi reazionari furono violentemente contrastati e alla fine sconfitti dal blocco delle forze progressiste: cioè dall’alleanza dei socialisti coi gruppi democratici “borghesi” (repubblicani e radicali), cui aderirono anche uomini della Sinistra liberale come Giolitti e Zanardelli. Fuori dal Parlamento, ma attivi nella loro polemica contro il liberalismo conservatore, i “democratici cristiani”. cronometraggio delle diverse operazioni semplici che concorrono alla produzione di un pezzo finito), al fine di sostituire a operazioni complesse e differenziate – che implicavano da parte degli operai spreco di fatica e di attenzione – movimenti elementari, da ripetersi sempre nello stesso modo. A una manodopera che diventava così a buon mercato, anche per i lavori più complicati (poiché non le si richiedeva più di essere qualificata), si affiancavano i controllori del lavoro che – muniti di apposite schede contenenti le operazioni di lavoro scomposte – procedevano alla registrazione dei ritmi effettivi tenuti dagli operai. Attraverso queste organizzazioni si sarebbe ottenuta la massima ottimizzazione dei processi produttivi e, quindi, maggiori profitti; parallelamente si sarebbe ottenuta, però, la scomparsa dei mestieri operai e la formazione di una classe lavoratrice dequalificata e spersonalizzata, facilmente intercambiabile, maggiormente controllabile: resa idonea, cioè, a integrarsi in un sistema produttivo dominato dalle macchine e da tecnologie sempre più sofisticate. A fronte della nuova organizzazione del lavoro si affacciava la necessità di standardizzare i beni prodotti, cioè di semplificare al massimo la varietà e il tipo degli oggetti da mettere in commercio, in modo da poter sfruttare la maggiore velocità di produzione che questa organizzazione offriva. La compiuta razionalizzazione del lavoro è conosciuta sotto il nome di fordismo. HENRY FORD (1863-1947), il pioniere dell’industria americana dell’automobile, applicò nella sua azienda, fondata nel 1903, i principi per i quali sarebbe diventato famoso: all’interno della fabbrica, un’efficiente organizzazione che portasse il lavoro all’operaio invece di far spostare l’operaio verso il lavoro; l’applicazione della scomposizione tayloristica dei gesti complessi in gesti semplici; il calcolo esatto dei tempi di lavoro; la produzione in serie e di massa. La catena di montaggio, che univa le varie fasi della lavorazione di un prodotto senza comportare spostamenti nello spazio e sprechi di energia, era la macchina essenziale della nuova fabbrica. Il fordismo non fu un fenomeno limitato alla produzione: esso rappresentò anche una concezione più ampia del lavoro industriale, una filosofia complessiva della società e dei rapporti sociali, un credo etico. Era ferma convinzione di Ford che esistesse un nesso stretto tra prosperità industriale (aumento della produzione) e allargamento del mercato attraverso l’innalzamento del livello di vita: l’operaio diventava consumatore attraverso gli alti salari e assorbiva quella cultura dell’abbondanza che si andava diffondendo nell’epoca della produzione di massa. Si spiega anche in questo modo il fatto che il successo di Ford fosse legato a una macchina utilitaria (il celebre “modello T”), dal disegno semplificato al massimo per poter essere realizzata più facilmente, velocemente, con minori costi e in grandi quantità. Convinto che il progresso generale della società si realizzasse attraverso il progresso tecnico applicato alla produzione, Ford lo identificò con la diffusione sempre più ampia dei beni industriali, e con la loro larga accessibilità: il progresso, insomma, consisteva nel consumo messo alla portata di tutti. Conseguenze a) Miglioramento generalizzato del tenore di vita e nuove competenze dei governi b) Crescita demografica di tipo moderno, determinata cioè dal calo della mortalità nei paesi industrializzati c) Progressivo rafforzamento delle organizzazioni operaie d) La “grande depressione”, che portò a nuove forme di capitalismo, al ritorno al protezionismo e alla corsa a nuovi mercati (imperialismo) COLONIALISMO E IMPERIALISMO Nel 1902 appare in Inghilterra un saggio di un noto economista, JOHN ATKINSON HOBSON dal titolo Imperialism. A study. Veniva per la prima volta utilizzato il termine imperialismo con il quale si faceva riferimento alla corsa alle colonie che rispondeva a finalità molto diverse rispetto a quelle del colonialismo precedente. Questi imperi coloniali erano basati su di un nuovo fenomeno, che Hobson chiamò il cosmopolitismo del capitale, la tendenza, cioè, del capitale industriale e finanziario, accumulatosi all’interno dei grandi paesi industrializzati, a cercare costantemente nuovi spazi e nuovi mercati d’investimento per allargare il mercato interno, creando aree economiche protette, nelle quali far circolare le merci al riparo dalla concorrenza internazionale. Questo avveniva nel tentativo di sfuggire ad un nuovo “spettro”: la crisi economica da sovrapproduzione. Il nuovo colonialismo era di tipo imperialistico perché mirava alla conquista militare del territorio e al dominio delle società colonizzate, per trasformarle in entità politiche direttamente assoggettate alla madrepatria. Secondo Lenin (L’imperialismo, stadio supremo del capitalismo, 1917) per la concentrazione della produzione e del capitale, per la formazione del capitale finanziario e la conseguente necessità di esportarlo, per il sorgere di monopoli in aspra competizione tra loro: l’imperialismo era la fase conclusiva, lo “stadio monopolistico” del capitalismo, cui sarebbe seguita, come sbocco fatale, la guerra. INGHILTERRA E’ il Paese che avvia il nuovo processo di colonizzazione, spinto dalle necessità dello sviluppo industriale e dalle conseguenze della generale crisi economica degli anni Settanta. Agli inizi del XX sec. arriva a possedere circa un quarto delle terre emerse.  In Asia alla fine del secolo i possedimenti inglesi comprendevano la Birmania, la Malesia, Hong Kong, India e Pakistan.  In Africa  Da tempo avevano occupato i paesi dell’area del Golfo di Guinea: Nigeria, Costa d’Oro, Sierra Leone e Gambia  Nella seconda metà dell’Ottocento assunsero il controllo di una larga fascia di territori che andava dal Mediterraneo al Capo di Buona Speranza. - Nel 1882 occuparono l’Egitto, creando una forte tensione con la Francia, che considerava quest’area come un suo protettorato e vi aveva compito cospicui investimenti (soprattutto nella costruzione del canale di Suez) - Successivamente occuparono il Sudan, l’Uganda, il Kenya, la Rhodesia, mentre nell’Africa australe erano già insediati dall’inizio del XIX secolo nella Colonia del Capo; le zone più interne del Transvaal, ricche di diamanti e d’oro, erano invece occupate dai boeri, coloni di origine olandese. - Dal 1899 al 1902 combatterono una durissima guerra contro i boeri, che alla fine furono costretti a cedere i loro ricchissimi territori; si costituì così l’Unione Sudafricana, uno stato autonomo, ma sottoposto al controllo inglese. FRANCIA  Già possedeva in Francia il Senegal, l’Algeria e la Costa d’Avorio  Nel 1881 stabilì il proprio protettorato sulla Tunisia (vedi contenzioso con l’Italia)  Da qui successivamente estese il suo impero su Congo occ., il Dahomey, e il Sudan occ., impadronendosi di un immenso territorio che si affacciava sia sul Mediterraneo sia sull’Atlantico  Nel 1895 si aggiunse anche il Madagascar  Nell’Estremo Oriente, ai territori precedentemente conquistati, i francesi aggiunsero l’Annam e il Laos, raggruppati nel 1887 nell’Unione Indocinese Tra le ultime a spingersi nella gara dell’accaparramento delle colonie furono la Germania e l’Italia. GERMANIA  A partire dalla metà degli anni ottanta, stabilì rapidamente il suo dominio in territori dislocati in vari punti dell’Africa: Togo, Camerun, Africa sud-occidentale tedesca, Africa orientale tedesca. Costituisce così il terzo grande impero coloniale dopo quello inglese e francese ITALIA  Cercò di conquistare il Corno d’Africa, ma non riuscì a vincere la resistenza dell’Etiopia e si dovette accontentare dell’Eritrea, di parte della Somalia (conquistate nel 1889-90) e della Libia (1912) Spartizione dell’Africa La conquista dell’Africa fu un’impresa abbastanza semplice grazie alla superiorità tecnica e militare degli europei. La spartizione fra le potenze europee, basata su considerazioni strategiche e in funzione degli equilibri politici e militari di questi stati, avvenne in molti casi in modo quasi pacifico. La suddivisione dei territori fu fatta, quindi, sulle carte geografiche, senza tenere conto degli insediamenti umani preesistenti e creando separazioni traumatiche, le cui conseguenze si risentono ancora oggi. Gran parte delle lotte tribali, negli attuali stati dell’Africa, affondano infatti le loro radici nelle divisioni tra le varie etnie create allora dal colonialismo europeo. La difficile conquista dell’Asia Ben diversa fu la penetrazione nel continente asiatico, dove le potenze europee dovettero affrontare società più sviluppate e complesse di quelle africane, nonché la concorrenza di altre tre potenze assenti nella spartizione dell’Africa: la Russia, gli Stati Uniti e il Giappone.  Caso della Cina Nel 1900 scoppia la “rivolta dei boxers” (esempio di ribellione della popolazione locale contro la penetrazione degli stranieri). Essa raggiunse dimensioni tali da sconvolgere il corso del nuovo espansionismo europeo in Cina. Dopo la ribellione gli europei e i giapponesi capirono che una spartizione della Cina sulla falsariga di quella africana sarebbe stata troppo difficile e fallimentare. Europei, russi e giapponesi finirono con l’accettare la politica delle “porte aperte” caldeggiata dagli Stati Uniti: riconobbero cioè l’indipendenza L’opera di Marx si rivelò capace, nel tempo, di un’enorme incidenza sul movimento operaio; indicava infatti nel proletariato il protagonista del nuovo assetto politico e sociale, e ne collocava la rivoluzione in una concezione generale del processo storico, offrendo così alla rivoluzione stessa un saldo supporto ideologico. Il socialismo veniva presentato come conseguenza necessaria dello sviluppo economico: “la profezia acquistava il fascino della previsione scientifica”. Di qui la sua profonda penetrazione tra intellettuali e lavoratori e la sua importanza nella storia della cultura occidentale. Oltre a ciò, la conclusione del Manifesto, “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, mostra come Marx ed Engels, in netta contrapposizione al fondamento nazionalista dei movimenti politici borghesi, vogliono creare un movimento internazionalista, perché le leggi di funzionamento del sistema industriale e le sofferenze del proletariato sono le stesse in ogni luogo. Questa proposta internazionalista viene raccolta da molti individui che, tra gli Anni Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento, in Europa, danno vita ad organizzazioni operaie e sindacali. La prima grande organizzazione del movimento operaio viene creata a Londra nel 1864 per iniziativa di Marx: si tratta della Associazione internazionale dei lavoratori, meglio nota come Prima Internazionale. PRIMA INTERNAZIONALE  Composizione : sindacalisti e cartisti inglesi, proudhoniani francesi, lassalliani tedeschi, mazziniani italiani, seguaci di Bakunin, tutti uniti in un primo tempo dall’esigenza di un collegamento internazionale - Ferdinand Lassalle (1825-1864) fondò nel 1863 una Associazione generale dei lavoratori tedeschi, che fu il primo partito operaio d’Europa organizzato su scala nazionale. Esso si ispirava ideologicamente al cosiddetto “socialismo di Stato”: Lassalle infatti negava che gli operai, pur condannati a rimanere sempre al livello minimo di sussistenza, dovessero impadronirsi del potere con la forza; indirizzava invece gli operai tedeschi a lottare per il suffragio universale, per mezzo del quale avrebbero costretto lo Stato a creare fabbriche e a lasciale gestire direttamente da loro, ponendo così riparo alla loro miseria e riscattando in parte la loro inferiorità sociale. - Michail Alexandrovic Bakunin (1814-1876) era un esule russo nato da una nobile famiglia di proprietari terrieri; conobbe a Parigi Marx e Proudhon. Trasferitosi in Italia (1864-1867), dove la sua predicazione ebbe larghi consensi nelle zone più povere, vi fondò l’Alleanza Internazionale Socialdemocratica, che aderì alla Prima Internazionale. Il suo pensiero anarchico sosteneva che: si doveva combattere ogni dittatura, compresa quella del proletariato; la società del futuro doveva essere fondata sulla federazione di piccoli gruppi autonomi, ed escludere ogni organizzazione centralizzata. Bakunin negava perciò l’utilità dei partiti politici; l’iniziativa rivoluzionaria doveva essere affidata a piccoli gruppi di cospiratori e terroristi e rivolgersi contro ogni autorità, dello Stato come della Chiesa; la forza più rivoluzionaria era costituita non dagli operai, considerati quasi un ceto privilegiato, ma dai contadini, dal sottoproletariato miserabile e da tutti gli sfruttati.  Obiettivi (secondo il programma redatto da Marx): - L’emancipazione economica della classe operaia, che non poteva essere concessa dall’alto, ma conquistata dagli operai stessi, attraverso la lotta di classe - La costituzione di partiti operai nei diversi paesi - La conquista del potere politico, il solo strumento per controllare i mezzi di produzione  Presto sorsero divergenze interne di Marx: - Coi proudhoniani, che, al contrario di Marx, avversavano ogni forma di potere politico ed economico centralizzato, e non condividevano quindi l’obiettivo della dittatura del proletariato - Coi mazziniani, di cui Marx non condivideva la religiosità e l’idea della collaborazione tra capitale e lavoro (i mazziniani uscirono subito dall’Internazionale) - Coi lassalliani, che volevano portare avanti con mezzi legali le loro rivendicazioni, tanto che nel 1869 uscirono dall’Internazionale - Coi bakuniani (vedi sopra)  Nel 1872, nel corso del V Congresso dell’Internazionale tenutosi all’Aja, gli anarchici vennero espulsi, a seguito di una risoluzione approvata dalla maggioranza dei delegati, risoluzione che – accettando la visione marxista – afferma molto chiaramente “nella sua battaglia contro il potere collettivo delle classi possidenti, il proletariato può agire solo costituendosi in partito politico opposto a tutti i vecchi partiti formati dalle classi possidenti. La costituzione del proletariato in un partito politico è indispensabile per assicurare il trionfo della rivoluzione sociale e il suo obiettivo ultimo, l’abolizione delle classi”.  Gli anarchici fondarono una loro Internazionale anarchica: da questo momento l’anarchismo operò in contrapposizione al socialismo e ne ostacolò fortemente la diffusione, trovando adepti soprattutto nei paesi poveri e scarsamente industrializzati (Russia, Spagna, America Latina, Italia centro-meridionale). In tali paesi non esisteva un proletariato di fabbrica maturo e capace di realizzare un disegno organico; i gruppi sociali emarginati (contadini, braccianti) si sentivano attirati dalla ribellione armata immediata, dal “gesto” violento e, nella loro prospettiva, risolutorio. Risposero così alla spietata azione repressiva dei governi, attuata dopo la Comune: caddero per mano degli anarchici lo zar Alessandro II di Russia, il presidente francese Carnot, il re d’Italia Umberto I.  Nel 1872 la Prima Internazionale cessò praticamente di esistere, anche se l’autoscioglimento ufficiale sarebbe stato dichiarato solo nel 1876.  L’indicazione contenuta nella risoluzione di espulsione degli anarchici, e cioè di costituire un partito politico, viene accolta dai capi politici del movimento operaio tedesco i quali, nel 1875, fondarono il primo importante partito socialista della storia europea, il Partito socialista dei lavoratori di Germania, che dal 1891 prende il nome di Partito Socialdemocratico Tedesco ( Sozialdemokratische Partei Deutschlands, Spd) I PARTITI SOCIALISTI E LA SECONDA INTERNAZIONALE La struttura organizzativa di queste formazioni ne fa qualcosa di inedito nella storia politica europea: essenzialmente sono tra i primi partiti politici moderni e costituiranno il modello più influente di organizzazione politica per tutte le formazioni partitiche sorte nel XX secolo. Queste le caratteristiche essenziali: - Possiedono uno statuto, normalmente approvato dai rappresentanti delle associazioni che aderiscono al programma di partito - Lo statuto stabilisce il rapporto tra la direzione centrale del partito e le organizzazioni periferiche - Lo statuto prevede che i militanti rispettino la “linea” del partito e cioè le decisioni prese dagli organi dirigenti - Periodicamente vengono convocati dei congressi, nei quali vengono eletti i nuovi dirigenti o si confermano i vecchi e si discute la linea politica. - Si dotano di organi di stampa a diffusione nazionale, con varia periodicità (Avanti!) - Si dotano di tutta una serie di associazioni collaterali, che servono ad ampliare il consenso intorno al partito: circoli ricreativi, associazioni giovanili, femminili o ginniche - Essenziale è il collegamento con le organizzazioni sindacali che, a partire dagli anni Settanta, sono legalmente autorizzate un po’ dovunque (nel 1870 in Austria; nel 1871 in Gran Bretagna; nel 1881 in Spagna; nel 1884 in Francia; nel 1889 in Italia; nel 1890 in Germania). Si tratta di qualcosa di molto diverso dalle formazioni politiche dei notabili liberali, che sono aggregazioni informali, prive di strutture organizzative stabili e basate su rapporti individuali  PARTITO SOCIALDEMOCRATICO TEDESCO Grande partito di massa nato al Congresso di Gotha dalla fusione tra la corrente marxista e quella di Lassalle; intendeva raggiungere i propri obiettivi puntando non sulla rivoluzione ma sulla lotta parlamentare.  SECONDA INTERNAZIONALE Nel 1889 a Parigi rinacque l’Internazionale, all’interno della quale il Partito Socialdemocratico Tedesco assunse un ruolo preminente. - Proclamazione del 1° maggio quale giornata mondiale di lotta di tutti i lavoratori - Richiesta delle 8 ore lavorative - Al suo interno si delinearono tre tendenze (le stesse che caratterizzavano la Spd): una destra revisionista capeggiata dal tedesco Eduard Bernstein, una sinistra guidata da Rosa Luxemburg ed un centro del leader della socialdemocrazia tedesca Karl Kautsky  Il revisionismo deriva da un’analisi delle società industriali avanzate nella seconda metà del XIX secolo: per Bernstein lo sviluppo del capitalismo, invece di approfondire la distanza fra borghesia e proletariato e aggravare la miseria di quest’ultimo, aveva prodotto un miglioramento delle condizioni generali di vita, a cui era corrisposta in campo politico, una progressiva democratizzazione delle istituzioni. Pertanto i socialdemocratici non dovevano puntare sulla rivoluzione, ma sull’alleanza con le altre forze democratiche e progressiste, e prepararsi non alla dittatura del proletariato ma a riforme politiche e sociali da ottenere al più presto.  La sinistra riteneva vicina la rivoluzione, poiché il capitalismo stava scaricando le proprie contraddizioni all’esterno dei Paesi industrializzati e stava assumendo il volto di un coacervo di imperialismi contrapposti ed estremamente aggressivi, capaci di scatenare un conflitto terribile per il  ANARCO-SINDACALISMO - Rifiutava per principio la regolamentazione dall’alto del movimento operaio, perché l’accettazione del riformismo da parte di partiti e sindacati gli appariva un atto di resa al sistema capitalistico-borghese - Credeva nella lotta che scaturiva spontanea dalle assemblee operaie di base, nell’ “azione diretta”, nello sciopero violento - Proponeva di far divampare un grande conflitto sociale che avrebbe abbattuto il capitalismo e mostrato concretamente come si poteva prefigurare la società futura, fatta di consigli operai che si autoregolavano - Concepiva la democrazia non come rappresentanza, ma come associazione spontanea di uomini e donne che si univano nella lotta a partire da quello che li accomunava, le loro radici, le loro tradizioni, i loro bisogni concreti. - Si tratta di una particolare idea di democrazia partecipativa che produceva un’esaltazione della violenza e che in alcuni casi – per esempio, nel pensatore francese Georges Sorel (1847-1922) si collocava nel campo dei nemici della tradizione liberale. NAZIONALISMO Il nuovo nazionalismo che, inquinato anche da teorie razziste, aveva portato dopo il 1870 all’autoritarismo nella politica interna di alcuni stati (lotta contro le forze ritenute eversive, come il socialismo) e all’imperialismo nella politica internazionale, si coagulò in veri e propri movimenti tra 800 e 900. Assunse diversi caratteri a seconda dei diversi paesi e presentò componenti irrazionalistiche.  In Francia, in Germania e in Italia il nuovo nazionalismo propugnò, oltre alla teoria della superiorità di alcune razze e di alcune nazioni, quella della superiorità di alcuni gruppi sociali privilegiati (le élites) sul popolo votato all’obbedienza. Di qui il disprezzo per i sistemi parlamentari, per la democrazia e per il socialismo; di qui l’esaltazione della guerra, vista come occasione di gloria per le singole razze, per le singole nazioni e per i singoli individui, e insieme come mezzo per arrestare l’ascesa delle classi popolari. Questi caratteri furono anche in parte comuni al panslavismo russo. - In Francia, il nazionalismo fu alimentato dal “revanchisme” contro la Germania per la questione dell’Alsazia-Lorena. Il movimento dell’Action francaise (1899), formatosi nel clima arroventato dell’affare Dreyfus e capeggiato dagli scrittori M. Barrès e Ch. Maurras, faceva proprie queste rivendicazioni, ma estendeva il suo odio anche ai “nemici interni”, e in primo luogo agli ebrei; aspirava quasi istericamente al ritorno dell’assolutismo e al ripristino di un cattolicesimo reazionario. - In Germania il pangermanesimo (Lega pangermanica, 1894) riprendeva la teoria delle razze di Arthur de Gobineau (vedi sotto), esasperandola e individuando la purezza della razza ariana nel popolo tedesco. Aveva in programma non solo l’unificazione politica di tutti i popoli di stirpe tedesca sparsi in Europa, ma anche l’assoggettamento di altri popoli ritenuti inferiori. - In Italia il nazionalismo (Associazione nazionalistica italiana, 1910) ebbe anch’esso carattere antiparlamentare, antisocialista e bellicista. - Nell’Europa orientale il panslavismo aspirava all’unione politica e religiosa di tutti i popoli di razza slava dispersi all’interno dell’Impero austro-ungarico, della Germania e della Russia; se ne fece banditrice la Russia stessa, per i suoi interessi nei Balcani. Anche il panslavismo ebbe una forte connotazione antisemita, specie nell’Impero russo, dove gli ebrei furono oggetto di vere e proprie persecuzioni (pogrom).  In Gran Bretagna il nazionalismo si espresse in una politica imperialistica a sfondo razzistico e pseudo-umanitario; non metteva, però, in discussione il sistema parlamentare.  Un posto a parte occupa il movimento sionista, promosso nel 1896 dallo scrittore ebreo di origine ungherese Theodor Herzl, nel suo libro Lo Stato ebraico, in reazione all’antisemitismo tedesco, francese e russo. A Parigi per seguire il caso Dreyfus (vedi sotto), rimane particolarmente impressionato dalla violenza delle polemiche antisemite e colpito dall’andamento del processo. Pertanto si convince che l’assimilazione degli ebrei alle società dei vari paesi d’Europa è stato un totale fallimento e si proponeva di ricostruire in America latina, Palestina o in un qualunque altro luogo uno Stato che riunisse gli ebrei sparsi per il mondo. La proposta di Herzl viene discussa e accettata nel corso del I Congresso sionista (sulla collina di Sion sorge l’antica Gerusalemme) che si tenne a Basilea nel 1897, quando venne fondata l’Organizzazione sionista mondiale, di cui Herzl sarà presidente fino alla morte nel 1904. RAZZISMO Nella sua originaria elaborazione del primo Ottocento il nazionalismo ha raramente componenti razziste: semmai diffusa è l’idea di una cooperazione tra le nazioni Nella seconda metà dell’Ottocento, l’insistenza del discorso nazionalista sul sangue e sui caratteri parentali della comunità nazionale si intrecciano con la riflessione “scientifica” sulla differenza razziale, sollecitata sia dal sistema teorico di Darwin, sia dal contatto sempre più frequente e diretto con popoli culturalmente e fisicamente diversi dai bianchi europei. Secondo questo nuovo razzismo, è possibile non solo una classificazione delle razze, ma anche una loro gerarchizzazione.  JOSEPH-ARTHUR DE GOBINEAU (1816-1882): aristocratico francese pubblica nel 1855 il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane. Vi sostiene l’esistenza di tre razze fondamentali, bianca, gialla e nera: la bianca è portatrice di un bagaglio spirituale indiscutibilmente superiore alle altre due, fatto di senso dell’onore, della nobiltà e della libertà; la gialla è portatrice di valori puramente materiali; la nera è animalescamente sensuale. Egli pone poi la questione della decadenza delle razze, dovuta alla loro mescolanza.  FRANCIS GALTON (1822-1911): cugino di Darwin e rinomato statistico e psicologo inglese, sviluppa il pensiero di Darwin in senso razzista. Nel suo trattato intitolato Il genio ereditario (1869) afferma che le fondamentali differenze fisiche e psichiche che distinguono i gruppi umani tra di loro derivano non tanto dall’influenza dell’ambiente quanto dall’eredità genetica: le differenze tra i gruppi umani sono il frutto del riprodursi di un certo numero di fattori ereditari, derivanti dai caratteri dei genitori e degli avi. Proponendosi di rimediare agli eventuali processi di degenerazione che possono viziare la compattezza di un gruppo razziale, egli fonda l’eugenetica, cioè la disciplina che intende organizzare la riproduzione degli individui in modo tale da ottenere tipi umani sempre più adatti alle condizioni ambientali che essi sono destinati a trovare e sempre più coerenti con gli elementi fondamentali propri della razza di appartenenza.  GEORGES VACHER DE LAPOUGE (1854-1936): antropologo francese, seguace delle teorie di Darwin e fervido sostenitore dell’ideologia socialista, nei suoi numerosi libri sul tema delle razze (L’Ariano, suo ruolo sociale, 1899) sostiene che le razze bianche europee sono le razze dominanti, per le migliori qualità fisiche e intellettuali che possiedono. All’interno dei gruppi umani europei egli ritiene che la posizione preminente spetti alle razze nordiche, che egli definisce “ariane” (secondo la teoria formatasi nel corso dell’Ottocento, la razza ariana sarebbe l’erede biologica di una popolazione che in tempi preistorici si sarebbe trasferita dall’India all’Europa, dando un contributo fondamentale alla nascita della civiltà occidentale. Pensatori razzisti di fine Ottocento – come Lapouge o Chamberlain – considerano le popolazioni tedesche o scandinave come derivanti dal mitico popolo ariano). Tra le razze che L. colloca sui gradini più bassi c’è la razza ebraica, che egli ritiene inferiore e pericolosamente infida e aggressiva per la sua incontenibile avidità commerciale. Sulla base delle indicazioni di Galton, anche L. sostiene che l’incrocio razziale porta alla degenerazione delle razze (non hanno più nelle vene lo stesso sangue) e che, pertanto, andrebbe proibito a favore di unioni razzialmente omogenee; inoltre gli individui razzialmente meno perfetti potrebbero essere soppressi attraverso un’organica politica di eutanasia razziale (che consiste nell’eliminazione dei soggetti meno perfetti dal punto di vista razziale), così da conservare la purezza della razza di appartenenza. Coerentemente con le sue convinzioni socialiste, Lapouge ritiene che un simile programma possa essere attuato solo in una futura società socialista, l’unica formazione politica nella quale i governanti potrebbero avere l’autorità necessaria a realizzare un organico piano eugenetico (con la disciplina dei matrimoni e della riproduzione) e un altrettanto organico piano di eutanasia.  HOUSTON STEWART CHAMBERLAIN (1855-1927): saggista di origine inglese, ma tedesco di adozione, nel 1899 pubblica Basi del secolo XIX, saggio che dà un contributo essenziale al razzismo ariano. In questo libro, infatti, C. sostiene non solo la superiorità della razza bianca sulle altre, ma anche il predominio della razza germanica all’interno della bianca. D’accordo con Lapouge, anche lui pensa che la razza germanica, la più vicina nella sua costituzione e conformazione agli antichi popoli ariani, dovrebbe guardarsi soprattutto dalla razza ebraica, la quale, insinuandosi nelle sue comunità, ne minaccia l’integrità e la cultura. Prova della degenerazione della razza ebraica sarebbero le caratteristiche psicofisiche degli ebrei, dotati di nasi adunchi, di un fisico debole, di una infinita avidità e di una grande irritabilità nervosa (stereotipi tradotti in racconti e vignette satiriche). IL VALORE SCIENTIFICO DI TUTTA QUESTA PRODUZIONE E’ASSOLUTAMENTE NULLO.
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