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Il rituale del serpente, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Conferenza tenuta da Aby Warburg sullo studio del Pueblo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 13/02/2019

Francescaelicio2
Francescaelicio2 🇮🇹

4.5

(87)

17 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il rituale del serpente e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! Il rituale del serpente Il testo riguarda lo studio dei Pueblo. Malgrado questi indiani abitino gli uni vicino agli altri, i loro idiomi sono numerosi e diversi al punto che pure gli studiosi americani incontrano enormi difficoltà a penetrarne anche uno solo. Il viaggio di Walburg è durato poche settimane. Gli indiani Pueblo derivano il proprio nome dal fatto di risiedere in villaggi (pueblos), a differenza delle tribù di cacciatori nomadi tra il Nuovo Messico e l’Arizona. Ciò che interessava W. era capire come riuscissero a sopravvivere degli uomini primitivi e pagani che proprio in relazione all’agricoltura e alla caccia continuavano a praticare rituali magici da noi ritenuti arretrati. La superstizione accompagna l’attività quotidiana e consiste in una venerazione religiosa per i fenomeni naturali, animali, piante, cui gli indiani attribuiscono anime attive che credono di poter influenzare con le loro danze mascherate. Questa magia per l’indiano significa esperienza liberatoria di un’illimitata possibilità di correlazione tra uomo e mondo circostante. Dalla fine del 1500 viene a sovrapporsi la catechesi ispanico- cattolica he decade bruscamente alla fine del Seicento per riaffiorare più tardi; la terza stratificazione è lasciata dalla cultura nordamericana. È possibile individuare un fattore costituente oggettivo, la penuria d’acqua. Il forte desiderio di essa infatti ha portato a pratiche magiche simile a quelle diffuse in tutto il mondo presso le culture pretecnologiche per assoggettare le forze ostili della natura. Il problema del simbolismo religioso è portato dalle decorazioni di vasellame. Gli ornamenti puramente decorativi hanno un significato simbolico e cosmologico: a dimostrarlo un disegno regalato da un indiano dove accanto all’universo in forma di casa appare un demone enigmatico e temuto, ovvero il serpente. La forma del culto animistico è la danza che sarà opportuno illustrare con tre esempi: 1. La pura danza animale 2. La danza associata al culto dell’albero 3. La danza con serpenti vivi Il paesaggio in cui abitano queste popolazioni è costituito essenzialmente da altipiani, massicci rocciosi molto estesi, solcati da corsi d’acqua. Per la maggior parte dell’anno le piogge sono assenti e quasi tutti i fiumi prosciugati. Nella zona dell’altopiano delle montagne rocciose (zona Colorado, Arizona, Nuovo Messico e Utah) si trovano sia le rovine degli insediamenti preistorici sia i villaggi abitati dagli indiani. Nella parte nord- occidentale dell’altopiano sono situati gli antichi villaggi rupestri le cui abitazioni sono costruite nelle fenditure della roccia. Il gruppo orientale consiste in 18 villaggi, facili da raggiungere. I villaggi degli Zuni si trovano a sud-ovest e sono raggiungibili facilmente. Quelli più difficili sono quelli dei Moki, sei in tutto ed edificati su tre creste rocciose. Nella pianura si trova poi Santa Fe, capitale del Nuovo Messico. Da qui e vicino Albuquerque si raggiungono i villaggi orientali dei Pueblo; il villaggio di Laguna fornisce un ottimo esempio di insediamento Pueblo. Questo villaggio consiste di case a due piani cui si accede da sopra poiché non vi sono porte. Questo nasce dalla necessità di difendersi meglio contro gli attacchi dei nemici. All’interno di queste case sono appese piccole bambole che si possono paragonare alle immagini di santi: sono le bambole kachina, riproduzioni di danzatori mascherati che compaiono come mediatori demonici tra uomo e natura durante le feste connesse con il ciclo delle attività agricole e costituiscono manifestazioni di questa religiosità. Alla parete è appena la scopa di saggina. Il prodotto fondamentale dell’artigianato è il recipiente d’argilla in cui si raccoglie l’acqua. Una caratteristica del vasellame è la riduzione dell’immagine a figura araldica. Diventa quindi un geroglifico che non va guardato ma letto. Nella mitologia indiana l’uccello ha un ruolo importante, è oggetto di devozione nei riti di sepoltura. Esso è oggetto di culto idolatrico in virtù delle sue penne: come intermediari, gli indiani adoperano piccoli bastoni, bahos, che collocano pieni di penne davanti agli altari dei feticci e piantano sulle tombe. Le penne trasmettono i desideri e le preghiere degli indiani alle forze demoniche presenti nella natura. È facile notare l’influsso spagnolo nella tecnica della ceramica. Accanto all’uccello appare anche il serpente che è venerato come il più vitale dei simboli di culto. Questo è rappresentato sul fondo dei recipienti moderni avvolto in spire e con la testa pennuta; ai bordi quattro anse a forma di gradino recano piccole figure di animali. Questi animali (rana, ragno), rappresentano i punti cardinali e i recipienti sono collocati davanti ai feticci nella kiwa, luogo di preghiera posto sotto il livello del suolo. Nella kiwa il serpente, simbolo del fiume, viene dunque a trovarsi al centro del culto. Il tetto della casa-universo ha le falde a forma di scala. Sopra i muri poggia l’arcobaleno, mentre sotto gronda la pioggia disegnata con dei trattini. Nel mezzo compare il feticcio, Yaya o Yerrick, privo di attributi serpentini. L’indiano credente riesce ad ottenere il beneficio temporale in virtù di pratiche magiche; esiste una connessione magico-causale fra il serpente sagittato e il fulmine. La casa universo, la lingua a punta di freccia del serpente, sono elementi costituitivi del linguaggio simbolico degli indiani. In un viaggio presso la chiesa di Acoma egli nota che la parete della chiesa è coperta di simboli cosmologici pagani. Il motivo ornamentale dentellato simboleggia una scala che rappresenta l’esperienza primigenia dell’umanità. Sono il simbolo della conquista dello spazio verso l’alto e verso il basso, così come il cerchio è il simbolo del ritmo del tempo. L’uomo ha inventato con la scala lo strumento per nobilitare questa sua inferiorità nei confronti dell’animale. Nella cosmologia introducono l’elemento razionale immaginando la casa universo identica alla propria casa a gradini. Oltre che agricoltore, l’indiano Pueblo è cacciatore. La danza mascherata è per sua natura una pratica seria, guerresca, nella lotta per la vita. Il cacciatore o l’agricoltore, mascherandosi, credono di carpire in anticipo quello che nel contempo si sforzano di ottenere anche con il loro razionale, duro lavoro quotidiano. In questo caso quindi magia e tecnica vengono ad interagire. I Pueblos sono a metà strada tra magia e logos e lo strumento con cui si orientano è il simbolo. Ecco un esempio di danza: dapprima si sistemarono i musicisti, muniti di un grande tamburo. Sono in piedi, davanti ai messicani a cavallo. Poi i danzatori si dispongono su due file parallele e assumono con la danza la postura e le sembianze di un’antilope. Le file di danzatori si disponevano in maniera diversa: gli uni imitavano l’andatura dell’animale, gli altri si muovevano sul posto appoggiandosi a due corti bastoni avvolti di penne che fungevano da zampe anteriori. Ciascuna delle due file era aperta da una figura femminile, chiamata madre di tutti gli animali, e un cacciatore. Questo rituale non è ludico: per l’uomo primitivo le danze mascherate, all’interno del processo di relazione, significano totale sottomissione ad una entità estranea. Quando un indiano imita sembianze e movimenti dell’animale, entra in esso senza finalità giocose ma per carpire magicamente alla natura, trasformando il suo essere. L’imitazione è dunque un atto cultuale, una perdita di sé. L’uomo considera l’animale un essere superiore perché l’interezza della sua natura ferina ne fa una creatura dotata di forze maggiori rispetto al debole uomo. Gli uomini sanno fare in parte solo ciò che l’animale è interamente. C’è un timore reverenziale poiché credono di riconoscere nelle varie specie i mitici antenati delle loro tribù. Le danze dei kachina hanno un carattere diverso che si manifesta in tutta la sua peculiarità solo lontano dai luoghi della cultura europea. La danza mascherata magico- cultuale si può osservare ancora nella sua forma in certa misura originale solo in quei posti dove non arriva la ferrovia e dove non esiste più neppure una parvenza di cattolicesimo. Nei bambini viene instillato un rispetto per la kachina. Il bambino li considera esseri sovrannaturali e il momento nel quale viene istruito sulla loro natura e accolto nella società dei danzatori mascherati costituisce il momento saliente della sua educazione. W. ebbe modo di vedere anche l’insediamento di Walpi. Il villaggio dalle case a gradini sorge su una cresta pietrosa. Un viottolo angusto conduce alla vetta costeggiando l’agglomerato di abitazioni. Nella piazza del mercato di questo villaggio rupestre venne predisposto lo spazio per la danza. La danza dei humiskachina serve a propiziare la crescita del grano. I giovani erano impegnati a dipingere le loro maschere che venivano riutilizzate: si riempivano la bocca di acqua, con quella spruzzavano la simbolo del serpente a forma di freccia. Il rapporto con il serpente si muove nell’orbita della devozione culturale che va dal più brutale contatto fisico alla sublimazione. L’americano moderno non teme più il serpente a sonagli, lo uccide e non lo adora. Il destino del serpente è lo sterminio. Le forze della natura non sono più concepite come forze antropomorfe o biomorfe ma come onde che obbediscono al comando dell’uomo. La civiltà delle macchine distrugge ciò che la scienza naturale derivata dal mito aveva conquistato: lo spazio per la preghiera che si è trasformato in spazio per il pensiero. Il telefono, il telegrafo, Franklin, Wright distruggono il cosmo, il pensiero simbolico e mitico creano lo spazio per la preghiera e il pensiero che il contatto elettrico uccide. Postfazione Non si sanno ancora i reali motivi della morte di W., se dovuti alla sua psiche interdetta o ad una personalità fragile divisa tra l’adesione al sistema politico della Germania e il suo rifiuto, non riuscendo più a reggere la pressione. Prima di essere ricoverato in clinica, riuscì a terminare il lavoro che fu presentato nella seduta del 25 ottobre del 1919 dall’amico Boll e pubblicata l’anno seguente. Egli si affidò alle cure psichiatriche di Binswanger a Kreuzlingen. Il medico si era fatto conoscere per i primi tentativi di introdurre la psicoanalisi nella psichiatria clinica. Sviluppò in modo creativo la teoria di Freud (suo amico) e cercò di dare le basi umanistico- filosofiche liberandola dal naturalismo; in seguito fondò l’analisi esistenziale. Questa si distingue dalla psicoanalisi classica per l’approfondita riflessione sul processo analitico e il coinvolgimento dell’analista come per l’attenzione rivolta non solo al dato biografico ma alla necessità interiore che lo ha reso importante. Dimostrò anche che certe psicosi erano trattabili con il metodo analitico: tra medici e pazienti veniva a crearsi un rapporto confidenziale, una terapia dolce e lunga fondata sulla capacità di autoguarigione. Nel 1932 le condizioni di W. migliorarono ed egli chiese al medico di tenere una conferenza davanti ai medici e ai pazienti della clinica allo scopo di dimostrare che era in grado di riprendere l’attività scientifica. Il 21 aprile del 1923 W. tenne la conferenza sul rituale del serpente. Per preparare la conferenza egli utilizzò il materiale raccolto in tre decenni durante il viaggio nel sud-ovest degli Usa (1895-1896). I motivi del viaggio erano molteplici: vuotezza della civiltà sulla costa orientale dell’America era repellente; il viaggio era un modo per conoscere gli aspetti moderni e gli strati più bassi degli indigeni. Inoltre c’era il desiderio di compiere un’attività più coraggiosa e il subentro del disgusto per la storia dell’arte estetizzante. L’occasione del viaggio fu il matrimonio del fratello celebrato a NY nel 1895. I fratelli infatti a distanza di pochi anni si erano imparentati con la banca Kuhn, Loeb & Co. Paul che avevano dato un aiuto non solo economico ma soprattutto morale in quanto avevano spiccata propensione verso il mecenatismo e la filantropia. Boas è uno dei punti di riferimento di W.; Adler lo mise in contatto con la Smithsonian Institution nella doppia veste di bibliotecario dell’istituto e come insegnante di lingue semitiche alla John Hopkins University a partire dal 1890. Gli ambienti frequentati da W. si distinguono per la loro orgoliosa jewishness. La Smithsonian fu fondata nel 1846 come istituto di ricerca nel campo delle scienze naturali. Gli Annual Reports diventarono una fonte inestimabile di informazioni sui miti e sui costumi indiani. Il suo metodo comparativo del rituale trovava qui equivalente visto che anche Mooney aveva cercato analogie tra questa religione e le tradizioni ebraiche e musulmane. Ciò che restava della cultura indiana veniva studiato e catalogato dal punto di vista archeologico, etnologico e linguistico. La ricerca sul campo iniziava ad utilizzare nuove tecniche, come fotografia e fonogenia. Cushing visse a cavallo tra due mondi, la civiltà moderna ed evoluta della East Coast e la cultura arcaica della popolazione americana originaria. Egli aveva acquisito con gli anni una conoscenza straordinaria della vita e delle peculiarità degli indiani. I suoi studi lo portarono a prendere parte alla prima spedizione fra gli Zuni, una tribù Pueblo del Nuovo Messico; esercitò su questi un fascino straordinario per la sua capacità di mediare tra la coscienza mitico primitiva e quella razionalistica. Anche Matilda Stevenson fu tra i pionieri della ricerca indiana e la miglior conoscitrice degli Zuni. In particolar modo ella studiava la figura del bambino visto in una prospettiva antropologica; volle partecipare alle cerimonie hopi a Oraibi nonostante i tentativi di dissuasione, fu rinchiusa in una kiva sotterranea e dopo rilasciata grazie a Keam. Il suo interesse era rivolto soprattutto ai mutamenti prodotti nei Pueblo dall’avanzare della civiltà moderna. Nel corso degli anni raccolse in un erbario duecento varietà di piante commestibili, medicinali e rituali, usate dagli Zuni. W. riprese da Usener l’idea di affrontare la mitopoiesi (creazione del mito) dell’antichità come un problema psicologico per risolvere il quale occorreva allargare il più possibile il campo della ricerca all’etnologia e all’antropologia. Riaffiorava l’idea che i primitivi del Nordamerica e Africa potessero offrire la chiave d’accesso ai primordi della civiltà europea. (Similitudine tra Greci e barbari del loro tempo). Agli inizi del 1700 Lafitau tenta l’impresa di rintracciare nei costumi degli indiani i segni di una fede originaria e incontaminata avanzando l’ipotesi di una parentela di sangue tra gli Uroni, gli Irochesi e i primi coloni della Grecia. De Brosse non riteneva applicabile il metodo comparativo. Riaffiora dopo tanti anni l’idea di una evoluzione culturale unica e unidirezionale, cioè il passaggio dalla mitologia storicizzante e dal comparatismo indogermanico a indagini folkloristiche ed etnologiche. Chi va in America come studioso di mitologia comparata o storico della cultura intende comprendere la genesi del pensiero primitivo e partendo da qui i Greci e quindi noi moderni. W. cerca l’uomo creatore di simboli. W. evoca il terrore primitivo che il serpente riesce a scatenare nell’uomo, questa facoltà spiega la diffusione del culto del serpente in tutte le civiltà e le religioni. Il fascino e il terrore del serpente non nascono solo dalla paura istintiva del veleno ma da stimoli psichici meno comprensibili anche se primordiali radicati nell’evoluzione biologica dei primati; a differenza di altri animali, questi suscitano reazioni istintive, irrazionali, fobiche. Questo fascino è dovuto alle stimolazioni che la vista dei suoi movimenti sinuosi trasmette al sistema neurovegetativo. I rituali magici risalgono agli strati più profondi del pensiero primitivo e alle radici stesse della simbolizzazione. W. situa l’origine del pensare e dell’agire simbolico proprio nel punto dove la specificità del simbolismo è in pericolo; ma proprio dove sembra difficile, essa appare indispensabile. Chi riduce la carica fobica del serpente a favore della carica simbolica sottrae alla paura lo spazio per il pensiero. I Pueblo per W. non sono più raccoglitori primordiali, si trovano a metà strada tra magia e logos e si orientano con il simbolo. Il serpente non è pura immagine ma simbolo di animale vivente. La danza indiana non è esercizio fisico fine a se stesso, ma cerimoniale magico che deve produrre effetto reale e cerca di diventare egli stesso il principio da cui dipende la pioggia. Nel pensiero magico essi non vedevano la superstizione e l’irrazionalità ma una pratica razionale sorretta da una sua logica. Nel caso del serpente si comprende meglio cosa intende per polarità del simbolo. Un simbolo ambivalente, i cui poli possono convertirsi all’improvviso. Le due valenze implicite nel simbolo del serpente, salvezza e distruzione, sono personificate da due figure complementari, Laooconte e Asclepio, agone e terapia. La sua conferenza a Kreuzlingen fa parte del programma di autoguarigione e attraverso la malattia traduce in simbolo le potenze fobiche di cui è stato vittima, egli vuole dimostrare cosa significhi esorcizzare la paura mediante simboli. Egli non crede nella possibilità di uno scontro finale, né in senso ontogenetico né in senso filogenetico. Gli strati arcaici della psiche e il loro potenziale fobico non potevano mai essere sconfitti del tutto, la tensione tra ratio e forze irrazionali era un dato ineliminabile. Di forte ispirazione è stato Cassirer i cui scritti girano intorno ai problemi del simbolo e del pensiero mitico. Il pensiero religioso non può risolvere il conflitto tra le tendenza spirtualizzanti e quelle magico-demoniche, solo la visione estetica del mondo ci può riuscire. Definisce il pensiero mitico in rapporto a quello scientifico giungendo alla conclusione che il pensiero mitico non ignora il principio di causalità. Il mito non è narrazione. Quando W. lasciò la clinica in segno di gratitudine regalò al dottore una stampa dell’incisione da cento fiorini e rimase in contatto con lui. W. a differenza di C. non considera la produzione artistica superiore al pensiero mitico ma li colloca sullo stesso piano: a lui non interessava stabilire una tipologia o gerarchia di pratiche simboliche ma riconoscere la necessità biologica dell’immagine tra la religione e l’arte. Dopo la clinica, egli tenne un seminario su Burckhardt ad Amburgo in cui metteva a confronto questo e Nietzche e affermava che entrambi avevano sentito le onde mimetiche ma che B ha contrapposto l’inquietudine della forza formatrice del suo pensiero. La conferenza aveva per oggetto il dramma del destino culturale dell’uomo, il cammino difficile della sublimazione dal sacrificio all’immedesimazione mimico-mimetica e da questa al pensiero puro sottratto alla tirannia dei sensi e della paura. W. nega la possibilità che l’umana sofferenza possa essere sanata nella cultura, resta fedele al paganesimo tragico-pessimistico. La conferenza sul Pueblo non offre una visione tragica del destino culturale dell’uomo, è essa stessa un testo tragico.
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