Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Il romanticismo e Leopardi, Appunti di Italiano

Una descrizione del movimento culturale del Romanticismo e una biografia di Giacomo Leopardi. Vengono descritti i temi principali del Romanticismo, come il titanismo, il nichilismo, il pessimismo, la natura, il patriottismo e l'ignoto. Viene poi descritta la vita di Giacomo Leopardi, dalla sua educazione rigida e tradizionalista alla sua conversione letteraria e filosofica. Viene descritta la sua produzione letteraria, dalla poesia alla prosa, e i suoi spostamenti tra varie città italiane. Infine, viene descritta la sua stagione poetica più celebre e la sua speranza nell'infinito.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 22/01/2023

n.almasio
n.almasio 🇮🇹

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il romanticismo e Leopardi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! 1 IL ROMANTICISMO È un movimento culturale (in quanto comprendeva vari ambiti), che non ha una data precisa di inizio e di fine. Al centro di questa corrente ci sono i sentimenti dell’individuo, il suo sentire. Oltre a questo, altri temi sono: • TITANISMO: il poeta si sente un eroe (dicotomia tematica con il nichilismo) • NICHILISMO: il poeta si sente piccolo rispetto al resto (collegato al pessimismo) • PESSIMISMO: è dovuto a instabilità politiche, la nascita di interrogativi esistenziali, relazioni amorose (non sono tra due individui, ma un amore a 360°) • NATURA: l’uomo di relaziona con essa che ha quindi un ruolo e un valore, con mille sfaccettature (può avere sia un ruolo positivo e aperto, sia negativo e di distruzione) • PATRIOTTISMO: la patria è al centro, sopra a tutto, viene quasi esasperata (è una tematica molto sentita a causa delle guerre di indipendenza) • IGNOTO: attrazione per ciò che non conosco. L’uomo è spinto dalla paura (non sa a cosa va incontro) e dalla curiosità (c’è l’idea del diverso che mi permette di arricchirmi e acculturarmi: in particolare dalla natura esotica) + PREROMANTICISMO (nasce dopo l’illuminismo) Es: Foscolo che presenta caratteristiche tipiche del romanticismo e del neoclassicismo (entrambi i temi) N “Le Grazie” “A Zacinto” “Alla Sera” R “In morte del fratello Giovanni” “Sepolcri” 2 GIACOMO LEOPARDI Leopardi nasce il 29 giugno 1798 a Recanati, dal conte Monaldo Leopardi e dalla marchesa Adelaide Antici. Era una famiglia dell’aristocrazia terriera, rigida e tradizionalista, e lo influenzerà molto facendolo crescere in un clima di rigida ortodossia cattolica e di educazione autoritaria, priva di affetto. In casa c’era una grande biblioteca che gli permise già a sette anni di studiare in autonomia il greco e l’ebraico e fu anche istruito da insegnanti privati. Studiò molto e questo lo portò ad avere problemi di salute. Gli innumerevoli componenti giovanili, in versi e in prosa, testimoniano una formazione letteraria tipicamente classicista. Sul piano ideologico, in Leopardi convivono il culto ai principi del cattolicesimo e una nascente attitudine razionalistica di ascendenza illuministica. Al 1816 risale la CONVERSIONE LETTERARIA che consiste nello spostamento degli interessi dagli studi eruditi alla poesia, quindi il passaggio dalle indagini alla ricerca del “bello” e all’analisi interiore. In questo periodo Giacomo inizierà a leggere con entusiasmo i classici (Omero, Dante, Virgilio) e anche i suoi contemporanei (Alfieri, Foscolo). In lui cresceva il desiderio di lasciare Recanati ed entrare nel dibattito culturale italiano. Nel 1816 scrisse una lettera nella quale si schierava a favore del classicismo, che venne inviata alla Biblioteca Italiana ma che non venne mai pubblicata. Ad agosto 1817, Leopardi iniziò a registrare note e appunti delle sue lettere e delle sue meditazioni nello Zibaldone di pensieri (diario e autobiografia intellettuale, nel quale è presente per la prima volta la meditazione sulla natura, considerata benigna in quanto ha donato all’uomo le illusioni: valori che danno senso all’esistenza). Nello stesso anno conobbe Gertrude Cassi Lazzari della quale si innamorò senza dichiararsi. Nel 1818 ribadì il suo classicismo (nl dibattito tra i classicisti e i romantici, appoggia i primi ma si allontana rifiutando il canone dell’imitazione e elogiando l’originalità del poeta) e diede voce alla propria ispirazione patriottica e civile in due canzoni. Intanto l’impossibilità di lasciare Recanati rendeva maggiormente opprimente l’atmosfera del palazzo paterno, tanto da tentare di fuggire nel 1819. In questo anno, oltre al tentativo di fuga, ci fu anche un peggioramento delle sue condizioni di salute. La crisi di questo anno fu all’origine della CONVERSIONE FILOSOFICA e quindi il passaggio dalla fede religiosa della fanciullezza e delle abitudini familiari a una posizione atea e materialistica, che elaborò tramite la lettura di filosofi greci e di autori del 1700. Ci fu anche un nuovo interesse per la poesia: scrisse l’Infinito, avviando la stesura degli Idilli. Nel 1822 i genitori concessero a leopardi di lasciare Recanati e di traferirsi a Roma dallo zio Carlo Antici. Questa esperienza fu però molto deludente e l’autore visse in solitudine. il suo ritorno nella terra natale significò la caduta di diverse speranze, ma nonostante ciò decise di pubblicare nel 1824 le Canzoni (scritte tra il 1818 e il 1823). Successivamente abbandonò però la poesia (FASE DEL SILENZIO POETICO) per dedicarsi alla stesura in prosa, più riflessiva. Nel 1825 andò a Milano e successivamente a Bologna. Qui si innamorò di Teresa Carniani Malvezzi e pubblicò la raccolta Versi. Nel 1827 uscirono a Milano le Operette Morali e poi andò a Firenze dove frequentò il gruppo dell’”Antologia” e conobbe Antonio Ranieri che divenne suo grande amico. Nel 1828 fu costretto a tornare a Recanati e qui ci fu la sua grande stagione poetica (1828-1830), durante la quale scrisse i canti più celebri detti pisano-recanatesi. Nel 1830 partecipò al concorso quinquennale della Crusca sperando di vincere il premio e poter lasciare Recanati, ma non ci riuscì. Grazie però ad alcuni amici poté lasciare la sua città. Nel 1831 l’editore Piatti fece stampare la prima edizione dei Canti. A Firenze si innamorò di Fanny Targioni Tozzetti, che ispirò i cinque componimenti del ciclo di Aspasia. Nel 1832 compose le due Operette morali e l’ultimo pensiero dello Zibaldone. 5 Con l’immaginazione l’uomo è in grado di fare quello che vuole, anche ricercare l’infinito. Da qui derivano la speranza e le illusioni e quindi la prima fase del suo pessimismo. La natura è benigna poiché non dà all’uomo la felicità ma la possibilità di raggiungerla tramite le illusioni e l’immaginazione. Questi elementi sono stati dati all’uomo nella fase primordiale ma con il progresso la razionalità prevale e con essa l’uomo non riesce più ad essere felice (seconda fase) Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell'uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell'uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e figurarseli infiniti: 1. in numero, 2. in durata, 3. in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è meraviglia: 1. che la speranza sia sempre maggior del bene; 2. che la felicità umana non possa consistere se non nella immaginazione e nelle illusioni. Quindi bisogna considerare la gran misericordia e il gran magistero della natura, che da una parte non potendo spogliar l'uomo e nessun essere vivente, dell'amor del piacere che è una conseguenza immediata e quasi tutt'uno coll'amor proprio e della propria conservazione necessario alla sussistenza delle cose, dall'altra parte non potendo fornirli di piaceri reali infiniti, ha voluto supplire: 1. colle illusioni, e di queste è stata loro liberalissima, e bisogna considerarle come cose arbitrarie in natura, la quale poteva ben farcene senza; 2. coll'immensa varietà acciocché l'uomo stanco o disingannato di un piacere ricorresse all'altro, o anche disingannato di tutti i piaceri fosse distratto e confuso dalla gran varietà delle cose, ed anche non potesse così facilmente stancarsi di un piacere, non avendo troppo tempo di fermarcisi, e di lasciarlo logorare, e dall'altro canto non avesse troppo campo di riflettere sulla incapacità di tutti i piaceri a soddisfarlo. Quindi deducete le solite conseguenze della superiorità degli antichi sopra i moderni in ordine alla felicità. 1. L'immaginazione come ho detto è il primo fonte della felicità umana. Quanto più questa regnerà nell'uomo, tanto più l'uomo sarà felice. Lo vediamo nei fanciulli. Ma questa non può regnare senza l'ignoranza, almeno una certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei limiti e definizioni delle cose, circoscrive l'immaginazione. E osservate che la facoltà immaginativa essendo spesse volte più grande negl'istruiti che negl'ignoranti, non lo è in atto come in potenza, e perciò operando molto più negl'ignoranti, li fa più felici di quelli che da natura avrebbero sortito una fonte più copiosa di piaceri. [...] Del resto il desiderio del piacere essendo materialmente infinito in estensione (non solamente nell'uomo, ma in ogni vivente), la pena dell'uomo nel provare un piacere è di veder subito i limiti della sua estensione, i quali l'uomo non molto profondo gli scorge solamente da presso. Quindi è manifesto: 1. perché tutti i beni paiano bellissimi e sommi da lontano, e l'ignoto sia più bello del noto; effetto della immaginazione determinato dalla inclinazione della natura al piacere, effetto delle illusioni voluto dalla natura. 2. Perché l'anima preferisca in poesia e da per tutto, il bello aereo, le idee infinite. Stante la considerazione qui sopra detta, l'anima deve naturalmente preferire agli altri quel piacere ch'ella non può abbracciare. Di questo bello aereo, di queste idee abbondavano gli antichi, abbondano i loro poeti, massime iI più antico cioè Omero, abbondano i fanciulli, veramente Omerici in questo, [...] gl'ignoranti ec. in somma la natura. La cognizione e il sapere ne fa strage, e a noi riesce difficilissimo il provarne. Un ragazzo a differenza di un adulto ha maggiore immaginazione perché può ancora progettare il suo futuro. Gli adulti sono razionali, i bambini invece sono ignoranti mancando di istruzione, consapevolezza e razionalità, ignorando le conseguenze. Proprio come loro gli antichi ignoravano qualcosa: il progresso. Chi è troppo razionale non immagina e lui infatti durante il silenzio poetico lui raggiunge la consapevolezza che la realtà non la si può cambiare. La malinconia, il sentimentale moderno, ec., perciò appunto sono così dolci, perché immergono l'anima in un abisso di pensieri indeterminati, de' quali non sa vedere il fondo né i contorni. [...] Del rimanente, alle volte l'anima desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell'infinito, perché allora in luogo della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima s’immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario. Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel vedere il cielo ec. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come chiamano. Al contrario la vastità e molteplicità delle sensazioni diletta moltissimo l'anima. Ne deducono ch'ella è nata per il grande ec. Non è questa la ragione. Ma proviene da ciò, che la molteplicità delle sensazioni confonde l'anima, gl'impedisce di vedere i confini di ciascheduna, toglie 6 l'esaurimento subitaneo del piacere, la fa errare d'un piacere in un altro, senza poterne approfondare nessuno, e quindi si rassomiglia in certo modo a un piacere infinito. I CANTI Nel 1819 Leopardi continua la produzione letteraria (prima fase) e realizza i canti: un raggruppamento di opere. L’ultima redazione fu nel 1845 a Firenze e comprendeva 2 poesia in più rispetto a quella del 1835. Il titolo canti è inedito nella letteratura italiana (ha un carattere tipicamente lirico), trova infatti spunto dalla soggettività dell’autore, anche con temi civili. Il titolo indica inoltre un genere poetico in versi: • 2 canzoni civili con un impianto più classicistico (Ultimo canto di Saffo, Bruto minore, Alla primavera, Ad angelo mai, All’inno dei patriarchi, Alla sua donna) • Idilli: termine che deriva dal greco eidillian (quadretto, bozzetto paesaggistico) (da eidos = immagine, quadro) (usato da Teocrito, che accompagnava ai paesaggi le storie di pastori). Qui si parla di un ambiente idealizzato (che dona tranquillità a Leopardi), agreste, una sorta di rifugio per i pastori. C’è anche l’idea di brevità con i testi più corti rispetto all’illuminismo. o Temi intimi e autobiografici o Linguaggio semplice e colloquiale Sono stati composti tra il 1819 e il 1821 e hanno un valore più intimo e privato rispetto a quelli di Teocrito (nell’Infinito parte da ciò che vede dalla sua finestra). Sono 6: L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, Frammento XXXVII, La vita solitaria. Il linguaggio è piatto, paratattico, con parole rare e anche quotidiane. Successivamente scriverà i Grandi Idilli (1831-1832, dopo il silenzio poetico) e parte da una nuova consapevolezza che modifica i suoi pensieri e le sue idee. 7 L’INFINITO Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare. Sempre: avverbio di tempo (infinito e indefinito) Ma parlando di infinità cita il colle (= monte Tabor) e la siepe, due oggetti finiti, e li accompagna all’aggettivo dimostrativo “questo”. Entrambi gli elementi impediscono all’autore la visione completa di ciò che c’è al di fuori della sua finestra: parte da un elemento finito, che simboleggia una sorta di trampolino di lancio, e cerca di immaginare. Il limite quindi non è più un ostacolo (vuole imitare l’uomo del passato). Ultimo: indica la parte più lontana, l’estremo raggiungibile con lo sguardo. Ma: congiunz. avv. (= nonostante) Mirando: indica la sua concentrazione su un solo punto Qui vediamo come non si ferma a guardare solo con gli occhi, ma prova ad immaginare. Gli aggettivi, caratterizzati da una notevole lunghezza grafica, sottolineano l’idea di infinito che si contrappone al colle e alla siepe. L’immaginazione si interseca con la realtà, proprio come il finito e l’infinito e, in questo modo, Leopardi riesce ad andare oltre la siepe. Interminati: superlativo non tradizionale (a metà tra infinito ed eterno) Sovrumani: superlativo non tradizionale Profondissima: superlativo assoluto Cor: indica un ritorno alla realtà, si spaventa perché c’è l’ignoto. Come: valore temporale (= non appena) Vento: viene personificato Silenzio: si riferisce a quello che aveva sentito guardando la siepe, il vento lo riporta quindi alla realtà. Qui vediamo una antitesi tra naufragar e dolce, annega e dolce Tra il verso 8 (rimane basito, il cuore si spaventa) e il 14 (immensità dell’infinito immaginato, vista come sensazione dolce da Leopardi perché sembra appagato dopo aver raggiunto la tranquillità) possiamo vedere un collegamento, ma non un’antitesi tra dolce e spavento: sono 2 aspetti dell’”Orrore Dilettevole” (reazione suscitata, secondo il sensismo, dall’idea di infinito, non conosciuto dall’uomo). 10 La Mirra e Saul, nel quale la morte è vista come l’unico modo per smettere di soffrire (ci vuole coraggio a suicidarsi e Leopardi non lo aveva). Vediamo anche come sia importante secondo alcuni morire facendo ciò che si ma, ad esempio Petronio morì durante un banchetto continuando a festeggiare. Anche i bambini nascono piangendo perché sono consapevoli di quello che li aspetterà nel corso della vita, al contrario quando uno muore sorride perché sa che non soffrirà più. LE OPERETTE MORALI L’antefatto di quest’opera è costituito dalla conversione filosofica del 1819 quando cominciarono ad essere evidente nel pensiero dell’autore una crisi nella fiducia del sistema della natura. Qui vediamo uno stato di fermezza interiore e di amaro distacco. Con questo genere letterario si riprendono l’antico apologo morale, al quale consegue una scelta di termini arcaici. Prevale la forma dialogata, ma sono anche presenti favole mitologiche, prosa lirica, piccoli trattati. Il poeta qui è ormai giunto alla coscienza dell’inevitabilità del dolore. DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE Quest’opera fa parte delle operette morali e fu composta a Recanati nel 1824, durante i cinque anni di silenzio poetico (1823-1828). Qui la natura viene vista per la prima volta come matrigna, indifferente alla sorte dei suoi figli. Si approda al pessimismo materialistico, secondo il quale l’infelicità umana è una inevitabile conseguenza delle leggi che regolano la vita dell’universo. Perché proprio un islandese? Scelta fatta in seguito alla lettura della Storia di Jenni di Voltaire, dove gli islandesi sono presentati come particolarmente infelici, tormentati dai ghiacci. Sempre da un’opera di Voltaire, Dizionario filosofico, prende spunto per alcune domande che l’islandese pone alla natura. Sin da subito è visibile la scelta del poeta di limitare al minimo le sue esigenze senza disturbare gli altri. Ma nonostante questo si accorge che non riesce ad evitare la sofferenza che ci è imposta dalla natura stessa. Questo lo porta a pensare che il male e il dolore sono due destini inevitabili. L’islandese diventa il simbolo di una intera umanità che si immedesima nella sua condizione di vittima della natura. Si confrontano l’esperienza dell’islandese a quella di Vasco da Gama (navigatore portoghese che per primo doppiò il capo di Buona Speranza) e viene anche personificato il corno d’Africa. Alla riga 13 la natura viene paragonata ad una donna che è considerata il male. L’islandese cerca di fuggire dalla natura ma, recandosi in un luogo sperduto, trova proprio la natura personificata. Da qui inizia il dialogo tra i due. L’uomo, interrogato dalla natura sui motivi che lo spingevano ad evitarla, si mostra fermamente convinto della vanità della vita e della stupidità gli uomini che, stolti, combattono continuamente gli uni con gli altri per piaceri effimeri. Convinto che non potesse raggiungere il piacere, mirava solo a stare lontano dai dolori, dalle sofferenze. L’islandese afferma che cercò di viaggiare per trovare la felicità (questa corrisponde alla prima fase del pessimismo storico). Ricercava infatti nuovi luoghi, nuovi climi, pensando che la colpa fosse degli islandesi, che in altre aree c’erano climi diversi perché gli uomini erano stati migliori. Ma qualsiasi posto visitasse, aveva dei problemi che gli impedivano di essere tranquillo. 11 Successivamente elenca le varie calamità naturali, gli animali (riga 109), le malattie che non lo fanno vivere tranquillamente e che rendono la vita ancora più dolorosa (righe 65- 110 circa). Vediamo l’idea del timore (riga 115) che ci permette però di non superare il limite; riprende Seneca con l’espressione: “omnia timenda sunt”. L’islandese sa che la natura ha infuso nell’uomo tanta avidità del piacere (senza il quale la vita sarebbe imperfetta, riga 119), fine ultimo posto dalla natura stessa. È però dannoso per noi perché fatichiamo a raggiungerlo: nelle difficoltà è insita l’impossibilità. Si ha il passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico (riga 135-139), nel quale la natura è vista come matrigna, cattiva. Ma prima di ciò, per poco tempo, Leopardi considera la natura vittima del progresso dell’uomo, ma subito dopo cambierà idea. Critica anche il sole e l’aria nonostante siano vitale per l’uomo (riga 142). C’è un dualismo tra la natura e il fato (= ciò che succede, che è superiore alla natura stessa): a. Pessimismo storico con una natura benigna b. Breve fase in cui si considera il fato maligno e la natura benigna c. Pessimismo cosmico con la natura maligna, tutti gli eventi catastrofici descritti dall’islandese dipendono da lei Arriva quindi ad una conclusione (riga 153-154): “Tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue”: lei crea i suoi figli e poi li distrugge. L’islandese pensa anche alla vecchiaia, cumulo di mali, che è stata predetta per tutti dalla natura. La vecchiaia secondo l’islandese inizia a 25 anni, quindi un terzo della vita è assegnato al fiorire (0-20), pochi istanti alla maturità (20-25), tutto il resto allo scadere. La natura dice che lei fa quello che fa senza rendersene conto, non considera gli uomini, al contrario di ciò che pensava l’islandese (no uomo al centro). Le azioni che compie sono una conseguenza della concezione materialistica, le leggi sono già prestabilite. L’islandese fa poi un esempio (riga 183): se qualcuno mi invita a casa sua e non mi intrattiene, mi lascia prendere in giro dalla famiglia, non è un buon padrone di casa, ma appena glielo si fa notare lui afferma che la casa non è stata costruita per l’ospite, e quindi: perché mi hai invitato? Quindi la natura non ha creato il mondo per l’uomo, ma l ha messo al mondo: almeno fammi vivere tranquillo. La natura afferma che esiste un circolo vitale per permettere la sopravvivenza della specie (riga 126) e quindi la morte, come gli altri aspetti sono inevitabili. Il dialogo termina con un interrogativo dell’islandese (righe 229-231) e in seguito lui muore per eventi naturali: • viene ucciso dai leoni • il vento lo stende e su di lui nasce un mausoleo Qui vediamo il massimo esempio di pessimismo leopardiano espresso tramite l’islandese che rappresenta l’alter ego di Leopardi. È molto evidente la duplice visione della natura sia come matrigna (entità che perseguita gli uomini), sia come autrice di un male involontario, e quindi si crea l’espressione a 360° di come Leopardi vede la natura. Lo stile è diverso dalle altre opere morali: non c’è tono di distacco e riflessione sull’infelicità, ma si ha un ritmo incalzante dato dalle domande continue nel dialogo (si anticipa la protesta che sarà presente negli Idilli del 1828-1830). Si usano toni elevati e una sintassi sostenuta, l’islandese costruisce argomentazioni filosofiche al contrario della natura che è invece più breve e secca. 12 CANTICO DEL GALLO SILVESTRE Questa operetta morale è l’ultima scritta da Leopardi e costituisce l’epilogo del discorso del pessimismo cosmico e materialistico già affrontato nella precedente operetta. L’idea di fondo è quella del manoscritto ritrovato (come fece Manzoni), tracciato sulle lettere ebraiche con natura esotica, e quindi di difficile comprensione (la figura del gallo e le due caratteristiche rimangono avvolte nel mistero). Leopardi ha trovato il testo scritto in varie lingue e l’ha tradotto in volgare (riga 10). Come Manzoni aveva detto, anche lui afferma di aver solo tradotto il romanzo (riga 17) e quindi non vuole essere imputato se il romanzo non viene gradito dal lettore. Alla riga 20 fa riferimento a delle immagini vane, che rappresentano i sogni. L’autore dice di abbandonare questo mondo e tornare nella realtà (l’unico modo per essere felici è immaginare, sia da svegli che mentre si dorme). Ci fa capire quindi che il fulcro del suo pensiero consiste nell’idea che lo svegliarsi dal sonno sia un danno, perché nel momento in cui dormo e sogno non soffro poiché in quel momento riesco a raggiungere il piacere perché non ha limiti e la ragione non c’è. Se però dormissimo sempre il mondo sarebbe inutile (riga 29). Il gallo chiede al sole se ha mai visto una persona felice nel mondo (prima più nel particolare, poi parla in generale) (riga 39), pensa quindi che magari la felicità possa essere nascosta da qualche parte e poi chiede al sole se lui è felice o no (riga 47) (leopardi è felice quando raggiunge il piacere). Non è vero che il fine ultimo degli uomini è la felicità, ma al contrario è la morte (riga 61), come dice il testo. Il sonno pone fine alle sofferenze del giorno, ma quando inizia la giornata può esserci quella speranza che fa pensare che possa essere una giornata migliore (durante la notte i pensieri si amplificano, probabilmente affaticati a causa della giornata) (riga 68). Si può paragonare la sera paragonata alla vecchiaia e la mattina alla giovinezza (riga 72). L’opera la si può dividere in due parti: il preambolo iniziale, in cui si parla del manoscritto e funge da contrapposto ironico al canto del gallo e ha la funzione di attenuare la forza e l’inesorabilità dei rimandi simbolici e biblici che il cantico vuole comunicare, e la seconda parte che riporta il cantico vero e proprio. Il passaggio dalla prima alla seconda parte del cantico è segnalato da un brusco cambiamento di stile: il gallo si esprime con tono aulico, che caratterizza una prosa di alta qualità poetica. Sono infatti visibili censure, elementi ripetuti (sia suoni che vocaboli) e veri e propri versi (es: Su, mortali, destatevi è un settenario). L’intero discorso del gallo contiene una metafora del cammino della vita umana: il mattino è come la giovinezza con speranze e attese, che però non vengono soddisfatte con il proseguire della giornata e in modo particolare alla sera. Leopardi ipotizza che l’intero universo si diriga a poco a poco verso la propria estinzione e procede verso il nulla. 15 LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA Questo canto fu scritto a Recanati nel 1828 e pubblicato nel 1831. È possibile dividere il componimento in due parti: • Versi 1-24 (prima strofa): descrittiva con una sintassi colloquiale con alcune espressioni auliche Qui è descritta una scena con tratti positivi (il risveglio della natura): c’è un borgo che, dopo il temporale, torna alle attività quotidiane. Questo non è un quadro realistico ma è la poetica dell’astratto: scrive basandosi suoi suoni che sente da lontano. Anche qui torna qui l’idea di vastità e di vago con una descrizione soggettiva interiorizzata (fatta tramite l’udito). Al verso 4 troviamo una metonimia e poi una serie di immagini che esprimono la sorpresa per il ritorno del sereno. • Versi 25-54 (seconda e terza strofa): riflessiva Nella seconda strofa, più filosofica, il piacere è definito figlio d’affanno, idea che nasce dalla cessazione di un dolore (concetto già espresso nello Zibaldone) (inevitabilità del male). Prima, con il pessimismo storica, credeva che la sofferenza fosse necessaria e che tutto sarebbe servito per raggiungere un preciso scopo; ora dice però che il piacere e la gioia sono vane, effimere: ci sarà un’altra tempesta, un altro dolore. Anche qui vediamo una polemica verso la natura. Il tema centrale dell’opera si basa sull’opposizione tra illusione e consapevolezza del vero. Nel canto si assiste ad una progressiva dilatazione del punto di vista, prima sul piano uditivo (verbo odo al verso 2), poi su quello visivo (sereno che torna, verso 4). Dopo questa apertura spaziale si passa alla descrizione della comunità umana, con l’intreccio di suoni e immagini. Alla fine poi, appare il sole. Nella seconda strofa ci sono cinque interrogative che sono come un eco del rallegrarsi, per riflettere sull’illusorietà della luce. Questi versi sono legati tra loro da ripetizioni interne e da rime (secondo lo schema ABBACC). A queste interrogative si ha la risposta del verso 32 il piacere è figlio dell’affanno. Da qui ritorna poi la tempesta che, assieme al timore, rappresenta la norma del vivere. Nella terza strofa vediamo subentrare un’ironia amara (l’aggettivo “cortese” è usato in modo sarcastico verso la natura). 16 IL SABATO DEL VILLAGGIO Questo canto riguarda la vanità della speranza ed è stato composto poco dopo “La quiete dopo la tempesta (formano un dittico) I due componimenti sono complementari dal punto di vista tematico: il piacere coincide con l’attesa del godimento futuro (speranza e illusione). La si può dividere in due parti: • Parte descrittiva della vita borghigiana • Parte riflessiva in ci esprime le sue idee Tra le due parti non si riesce a distinguere una separazione evidente, non essendo la seconda particolarmente dura o sarcastica: il tono non è di ammonimento ma è come una esortazione verso il ragazzo. È un colloquio affettuoso, non è raziocinante come nella “Quiete dopo la tempesta”: offre un invito a non spingere lo sguardo verso i confini dell’illusione giovanile (mostra anche le conseguenze che questa azione comporterebbe). Nella seconda parte vediamo un monito (verso 48) che Leopardi rivolge al fanciullo che al verso 43 sogna di diventare grande. Riflettendo si giunge alla conclusione che, se una persona ha vissuto bene la sua vita, non rimpiangerà il passato e non desidererà il futuro ardentemente. Il garzoncello di cui si parla è metaforicamente inteso come la giovinezza, l’adolescenza, le speranze, e viene paragonato alla donzelletta (che, al verso 1, mostra la sua speranza per il futuro), tornata dalla campagna e felice per il giorno festivo che arriverà; a questa si contrappone la vecchierella (verso 9) che, seduta sulla scala, simboleggia la parte finale della vita di ciascuno di noi e anche la fine della giornata ( = morte) (sappiamo che lei e la fanciulla non sono la stessa persona in quanto l’autore utilizza il tempo presente). Anche lei ricorda la gioia passata della giovinezza al verso 11. Al centro ci sono quindi due temi: la speranza verso il futuro e il ricordo (presenti anche il ”A Silvia”). A questi si unisce quello della festa e della primavera (stagione di rinascita), entrambi collegati alla speranza e alla giovinezza. Questi due temi sono visibili anche in “A Silvia”, quando si cita maggio e al verso 48, e nel componimento precedenti nei primi due versi. La speranza e la primavera si concretizzano nella donzelletta e nel mazzolino di rose e viole e si oppongono alla vecchierella e al fascio d’erba (fa riferimento alla realtà quotidiana, alle fatiche da affrontare). Nell’opera vediamo una scansione temporale che segna lentamente il passaggio dal tramonto alla notte. Ci sono sia elementi cromatici, come il chiarore lunare, e uditivi, come le campane e il martello. La descrizione bozzettistica del paesaggio non riporta immagini ben definite, ma vaghe (es: la campagna ampia che dà l’idea di infinito). 17 CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA Questo canto, pur essendo cronologicamente posteriore alla “Quiete dopo la tempesta” e al “Sabato del villaggio”, fin dalla prima edizione dei Canti è stato posizionato prima di questi. In questo momento siamo nella fase del pessimismo cosmico (dove gli uomini sono considerati sempre infelici: idea espressa ala meglio ai versi 39-40) e viene evidenziato come il pianto iniziale dei bambini appena nati mostri già la consapevolezza presente in loro di ciò che li attende (è una visione metaforica). Sono quindi disperati e i genitori hanno il compito di aiutarli, sostenerli e dargli coraggio. La luna, che compare per la prima volta nel verso 2 dove viene accompagnata dall’aggettivo silenziosa, successivamente viene anche definita vergine, intatta e candida. In particolare l’aggettivo intatta indica la lontananza dai dolori umani, viene quasi invidiata dall’uomo. Questa sensazione, al verso 105, viene provata anche dal pastore nei confronti del suo gregge: gli animali non hanno la capacità raziocinante, non hanno memoria o consapevolezza e per questo vivono una vita tranquilla. Soprattutto però non percepiscono la noia (da taedium) che, assieme al dolore, rappresenta il male peggiore. Al contrario l’uomo è destinato per natura da essere infelice e ad essere turbato, come si vede nel verso 122-123, e ha quindi pochi momenti di gioia. Rivolgendosi nei versi 137-138 al gregge e alla luna, li definisce felici e sereni perché privi della capacità raziocinante. Al verso 139 ci pensa e crede di sbagliarsi: forse il giorno della nascita è funesto per tutti e non solo per gli uomini: il pessimismo cosmico si estende oltre i confini umani. In questo componimento Leopardi non usa la prima persona, ma mette le sue parole nella bocca del pastore che simboleggia l’uomo primitivo ritenuto felice dall’autore nella prima fase del suo pessimismo. Ora però capisce che anche lui era infelice (passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico). Qui l’opera si fonde su una riflessione lucida, ferma, che partendo da domande elementari coinvolge i problemi metafisici (si fonda sul vero , condizione reale a cui l’uomo è condannato). Il paesaggio è stratto, metafisico, sconfinato (idea resa anche dalla luna): non è creato dall’immaginazione ma viene contemplato dalla ragione (c’è quindi l’idea di una coscienza vigile). • La prima strofa espone le domande del pastore. Vediamo una sorta di somiglianza (ripetizione ciclica del loro cammino) e antitesi (caducità della vita umana ed eternità della luna) tra il pastore e la luna • La seconda mette in scena l’affanno inutile della vita, come una corsa verso il precipizio rappresentata figurativamente • La terza afferma che la vita umana è segnata dal dolore fin dalla nascita (quindi la vita è un dolore inevitabile), facendo prevalere l’aspetto riflessivo • La quarta si fonda sul senso della fragilità umana, sul mistero dell’esistenza. La strofa alterna la superiorità della luna e l’ignoranza del pastore che, curioso, continua a fare domande • La quinta cita la noia e ha dei legami stretti con la prima: là c’è un rapporto di somiglianza tra la luna e il pastore, qui un’antitesi tra il pastore e il gregge. Ci sono anche alcuni parallelismi tra le due strofe • La sesta estende il peso del male a tutti i viventi e quindi parla della sua inevitabilità I canti pisano recanatese sono caratterizzati da una progressiva accentuazione autobiografica. Con la “Quiete dopo la tempesta” e “Il sabato del villaggio” scompare il motivo del ricordo e si allenta la centralità della prima persona. Restano tuttavia il villaggio e quel preciso e concreto ambiente recanatese. Con il canto notturno l’ “io” autobiografico scompare e non c’è più contrasto fra presente momentaneo e presente universale: il presente si universalizza e diventa assoluto, identificandosi con la condizione esistenziale di ogni vivente. L’allontanamento da Recanati, nello spazio e nel tempo, è la premessa necessaria per rivelare la dolorosa verità universale comune a ogni creatura. Per questo lo sfondo del canto è nudo costituito da pochi elementi. L’ambiente è caratterizzato soltanto da ciò che è essenziale alla vita. 20 Al verso 38 vediamo un riferimento all’islandese, convinto che l’uomo dovesse essere esente dai malanni della natura. Al verso 51 cita le costruzioni delle città sotto le pendici del monte, mostrando come una sola eruzione possa distruggere tutto in un attimo: la natura è più forte. La ginestra è quindi la vita che resiste ad ogni costo con un atteggiamento coraggioso di chi non viene sopraffatto dalla natura, ma cerca di resisterle. Questo atteggiamento sarà però punito dalla natura, che lo considera superbo; l’uomo deve quindi cercare aiuto dagli altri suoi simili. SECONDA STROFA Il tono nella seconda strofa diventa più polemico poiché riprende il discorso già iniziato nella strofa precedente: il ritorno all’antica Roma e quindi alle concezioni spiritualistiche visibili anche nella sua epoca. Leopardi è però convinto che in questo modo si torna indietro, sarebbe come abbandonare i progressi fatti (lui è un materialista). Durante l’illuminismo infatti l’uomo era uscito dall’ignoranza, rimuovendo anche alcuni limiti mentali. Si ha quindi una situazione in cui si esalta il progresso ma si vuole tornare alla barbaria precedente (è più facile dominare uomini ignoranti). Questo desiderio di tornar indietro Leopardi lo collega ad una mancanza di coraggio da parte della sua epoca. Si contrappone quindi il pensiero scientifico e quello religioso, considerato l’ancora di salvezza per chi non riesce a trovare spiegazioni sufficienti nella scienza. In questo componimento si specchia l’ambiente fisico nel quale Leopardi trascorre gli ultimi anni della sua vita: il Vesuvio. Ma la napoletanità del componimento è visibile anche tramite l’ambiente culturale partenopeo caratterizzato in quegli anni da un clima di ottimismo spiritualistico e cattolico che suscitava lo sdegno del poeta. I versi in cui Leopardi polemizza contro il secolo presente (nella seconda strofa) vibrano pertanto di una forte tensione morale che si traduce in parole aspre e sdegnate. TERZA STROFA Al verso 111 Leopardi definisce nobile chi è in grado di guardare in faccia la realtà (al contrario dello stolto, verso 99). È sempre più facile per l’uomo dare la colpa ad un suo simile a causa del non raggiungimento della felicità. La natura infatti agisce indirettamente e quindi non ci si può arrabbiare con lei. Si deve però creare solidarietà tra gli uomini, il cui piacere risiede negli altri uomini (sono essere sociali per natura) (definita social catena la verso 149), poiché devono riuscire insieme a contrastare i danni della natura, devono darsi forza. Devono riuscire a guardare in faccia la realtà e raggiungere la consapevolezza che l’uomo è condannato all’infelicità. L’appello all’unione di tutti gli esseri umani ha dato origine a differenti interpretazioni: alcuni studiosi che hanno visto uno accento evangelico e cristiano altri l’anticipazione di una visione socialista Altri un appello di tipo morale. C’è una grande novità: oltre alla consapevolezza del vero, vediamo qui anche un guizzo, una certezza in più che porta Leopardi a credere che l’umo unito possa creare una barriera contro la natura. Questa fase fa parte del pessimismo eroico (fase finale del pessimismo cosmico) dove l’autore mostra la speranza degli uomini di poter fare fronte comune davanti alla natura (atteggiamento costruttivo). Leopardi crede che, se gli uomini avessero come obiettivo quello di salvaguardare la propria specie, il progresso non si baserebbe su fondamenta deboli ma su concetti base forti (ad esempio non farebbe la guerra per non unire ulteriore infelicità alla sua condizione). La guida per il raggiungimento di questo obiettivo è l’INTELLETTUALE (da intellego: capisco, penso) che deve creare una nuova società, rendendo palese la consapevolezza del vero e anche il nemico, contro il quale tutti devono combattere (questa è l’unica via da seguire per vivere in maniera dignitosamente tranquilla). 21 QUARTA STROFA La strofa si apre con un sorcio paesaggistico, come la pima strofa, visibile al verso 158. La coscienza della precarietà delle creature, la polemica contro il presente e l’appello solidaristico acquistano più intensa risonanza di fronte all’universo stellato che esalta la marginalità e la piccolezza del genere umano. La visione cosmica si sviluppa nella quarta strofa articolandosi in periodi lunghi che intendono trasmettere l’immensità dello spazio fra terra e stelle. L’effetto di amplificazione è dato da ripetersi delle stesse parole lungo il 17 versi. Al verso 167 l’uomo capisce che non è al centro, che tutti di dimenticheranno di lui. L’io ora è immerso in una realtà non filtrata (come negli Idilli), è orrida, è la vera condizione dell’uomo che si trova davanti ad una natura matrigna. Si sviluppa quindi una nuova poesia: quella della consapevolezza del vero (diversa da quella del caro immaginar). L’uomo è di fronte ad una realtà spaziale e temporale: vengono trasmesse in modo diverso rispetto a quelle dell’Infinito (ora c’è la consapevolezza della piccolezza dell’uomo). QUINTA STROFA La strofa si apre con l’immagine della caduta di una mela dall’albero, proprio su un formicaio. Questa immagine viene paragonata all’eruzione del Vesuvio e entrambe servono a dimostrare la potenza distruttiva della natura e il suo agire in modo casuale e immediato. L’amplificazione, la dilatazione, l’attesa dell’immensità dello spazio senza confini: tutto conferma l’infinita piccolezza dell’umanità, e in questa strofa vediamo la prova della sua misera fragilità. I versi che descrivono l’eruzione del 79 d.C. hanno ritmo concitato con un effetto di rovine improvvisa, repentina, terribile. Alcuni dei termini che esprimono la violenza della distruzione e altri che esprimono la materia espulsa dal vulcano sono tipici di una poesia catastrofica. SESTA STROFA Qui vediamo io contrasto tra il tempo insignificante dell’uomo e l’immobilità del tempo eterno della natura. La distruzione di Pompei appartiene al passato ma il vulcano incombe tuttora e incute terrore. Quasi 1800 anni non contano nulla infatti di fronte alla terribilità della natura che è incurante del genere umano e della sua storia. • Nella prima parte vediamo il contrasto tra il quadro quasi idilliaco e la natura distruttiva • Nella seconda parte (verso 269) ci sono le rovina delle città antiche che tornano alla luce grazie agli scavi archeologici Al verso 292 vediamo come la natura, diversamente dai popoli, sia sempre verde, sempre lì. SETTIMA STROFA Contro le immagini cupe torna ginestra, apparse nelle prime strofe, a suggellare, come un simbolo, l’intero componimento. Il fiore non è simbolo di salvezza né di pacificazione ma simboleggia piuttosto la dignità, la nobiltà d’animo, il coraggio di chi sa accettare la propria inevitabile condizione davanti alla natura. La ginestra ha una funzione esemplare. Il suo profumo è segno di solidarietà e comprensione per i propri simili e allude a un ideale etico. la ginestra proclama la nobilissima e fiera dignità dell’esistere (anche se sa che morirà) e diventa così il simbolo della stessa poesia di Leopardi, anche se nata dal dolore e anche se è capace di comunicare bellezza. La sua esaltazione implica una critica al genere umano, che dovrebbe prendere spunto.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved