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Il ruolo della donna nella società strutturata al maschile, Guide, Progetti e Ricerche di Storia

Dai miti antichi al diritto moderno. Schemi e ruoli sociali nelle civiltà dalle indoeuropee fino a quelle post industriali

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2020/2021

Caricato il 10/01/2023

rino_graziano
rino_graziano 🇮🇹

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Scarica Il ruolo della donna nella società strutturata al maschile e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Storia solo su Docsity! IL RUOLO DELLA DONNA NELLA SOCIETA’ DEGLI UOMINI Rino Graziano Alle nostre figlie, donne di domani, perché forti degli errori delle loro madri, e dei loro padri, sappiano riconoscersi il valore che loro compete; e superando qualsiasi logica di prevaricazione o rivalsa, imparino a camminare fianco a fianco, mano nella mano con i loro uomini, per costruire insieme un futuro migliore, in cui si realizzi finalmente una sintesi perfetta tra il maschile e il femminile! - I - “E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza: e domini sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra” (Gen. 1, 26). “Poi il Signore Dio disse: non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che gli fosse simile, allora il Signore fece scendere un torpore sull’uomo che si addormentò. Poi gli tolse una costola e con quella plasmò una donna e la condusse all’uomo” (Gen. 2, 18) A partire da una riflessione sia pure sommaria sul mito biblico della creazione, è possibile trovare elementi costitutivi di una realtà sociale fortemente radicata nella cultura occidentale e che di essa stessa è fondamento, nella misura in cui fin dalle origini ne definisce orientamenti e caratteri. Nel racconto biblico appare immediatamente chiaro in riferimento alla donna, il suo carattere funzionale rispetto all’uomo, implicito già nella formula: prima Adamo poi Eva. Il testo sottolinea anche che il maschio fu creato ad immagine somiglianza di Dio, mentre nulla di simile afferma riguardo al modello adottato per la femmina. Adamo, inoltre, la precede nel tempo per essere stato creato prima. A ciò si aggiunga che essendo stata creata la donna da una costola di Adamo , per di più mentre questi è caduto in un sonno profondo, se ne ricaverà per un verso che la donna in quanto preformata nell’uomo risulta come la parte in relazione al tutto. Essa poi, risultando dall’incoscienza dell’uomo, nella misura in cui interviene a personificarla, incarna evidentemente anche una condizione di essere degradato, in quanto non in possesso delle sue piene facoltà. L’uomo, e non infine, assurge contemporaneamente a sua causa materiale perchè lei è stata creata dalla sua costola, ma anche a causa finale, in quanto la donna è stata creata al preciso scopo di servirlo. Il maschio dunque rappresenta il prototipo di cui la donna costituisce l’analogo. Non si può tuttavia omettere di osservare che nel testo biblico, a voler ben leggere, è possibile cogliere altresì una non volontà di denigrare il femminile tanto più che in quanto creato prima di Eva e diventando poi, come già osservato, di essa causa materiale, Adamo sintetizza in sé entrambi i principi, il maschile e il femminile; ciò tuttavia rimanda ad altri ambiti disciplinari per effetto delle sue implicazioni androgine, e non è, comunque, oggetto della presente indagine. Quel che importa sottolineare, è che il testo biblico, anche in considerazione del fatto che non si sforza di costruirsi in maniera scientifica, non appare impregnato di quei pregiudizi antifemminili che pure tanto hanno caratterizzato e ancora caratterizzano la cultura occidentale. Più pertinenti in tal senso,risultano, a mio avviso, i mitologhemi di Apollo di cui un esempio illuminante in tal senso è possibile rintracciare nell’Orestea di Eschilo. In essa Oreste, dopo aver ucciso, su sollecitazione di Apollo,la madre , colpevole di aver ucciso il marito Agamennone, è perseguitato dalle Furie, numi tutelari del diritto materno. Per intervento di Atena è rinviato a Giudizio dinanzi all’Areopago e nella sua arringa di difesa Apollo affermerà: “non la madre è generatrice di colui che da lei è partorito; lei è invece nutrice del feto in lei seminato. Generatore colui che getta il seme… uno può esser padre anche senza madre.” Al di la delle Caratterizzazioni di natura pseudo-scientifica di cui tutto il mondo antico appare connotato, e con esso il Medioevo e buona parte dell’era moderna (vedi infra), in tutto il suo discorso Apollo appare fortemente impegnato a denigrare il femminile, ponendolo in una condizione di inferiorità, con argomentazioni che hanno la presunzione di essere oggettive in quanto anatomico - fisiologiche e, in ultima analisi, scientifiche! Una tale convinzione ritorna anche in Aristotele il quale a più riprese sosterrà che la donna non concorre alla procreazione con il proprio seme bensì per effetto del sangue catameniale. La vita, dunque, è tutta nella capacità dell’uomo di produrre seme che, in quanto sangue purificato, è pura essenza laddove il sangue mestruale, non raffinato e, al contrario,universalmente inteso come uno scarto, un fattore contaminante e in quanto tale alla base di infiniti tabù, risulta conforme a materia. Anche i Padri della Chiesa, in quanto eredi dell’assunto aristotelico, continueranno a motivare con argomentazioni pseudo-fisiologiche il persistere nell’uomo di passioni animali unite ad una naturale e primigenia istintualità come retaggio delle sue ascendenze Femminili ( cfr. ad Theodorum di S. Giovanni Grisostomo, De cultu foeminarum e il De virginibus velandis di Tertulliano e il Contra Helvidium di S. Girolamo.) Anche S. Tommaso In pieno Medio Evo afferma: femina nihil facit ad negazione di se stesse in quanto figlie, madri o mogli, risvegliando in esse impulsi primordiali ed animaleschi, propri delle baccanti. Appare, d’altro canto, acclarata la convinzione che la donna in virtù di una sua naturale infirmitas o imbecillitas mentis, non sia in grado assumere decisioni senza la tutela di un maschio, adulto e in pieno possesso dei diritti civili. Ancora Aristofane nella Lisistratata immagina la paradossale realizzazione di una ginecocrazia con le donne che si impadroniscono dell’ekklesia e, discutendo di importanti questioni politiche, deliberano di indurre i loro uomini alla pace con Sparta precludendo loro i piaceri del talamo. La Medea della tragedia omonima di Euripide descrive in maniera lapidaria la reale condizione della donna greca (vv.244 ss.) “l’uomo quando è stanco delle mura domestiche, esce di casa recandosi da un amico e ponendo così rimedio al fastidio che prova nel cuore. Noi donne invece siamo costrette ad avere nel cuore una sola persona. Si dice che noi viviamo protette in casa , al sicuro, mentre loro combattono con le armi in pugno. Errore! Preferirei tre volte essere schierata in battaglia piuttosto che una sola volta subire i dolori del parto!”. La condizione femminile fin qui delineata, sia pure per somme linee, trova già nel IV sec. a. C. con Aristotele, una giustificazione di natura scientifica; a partire da lui la teoria dell’l’inferiorità biologica della donna troverà un sicuro e mai discusso supporto nella biologia e nella psicologia antica, fino alla psichiatria ottocentesca. Aristotele affronta il tema dei ruoli e della sostanza del maschile e del femminile in natura, nell’opera Sulla riproduzione degli animali. E’ bene precisare che si tratta di un ‘opera tarda, realizzata intorno al 330 a.C. quando ormai tutto il suo impianto filosofico era ben definito, e quindi le conclusioni a cui egli arriva nell’opera di cui sopra sono in qualche misura sintesi e nel contempo esemplificazione su un campo concreto di tutto il suo pensiero, in quanto applicazione del binomio Identico/Diverso, declinato questa volta sul piano della riproduzione sessuale. Fin dal secondo paragrafo del primo libro egli afferma essere prerogativa del maschio il possesso dello spirito e la facoltà di generare. La femmina, al contrario è solo la materia su cui lo spirito agisce: proprio per questo , egli sostiene, si è soliti considerare la terra come femmina e madre, mentre ci si rivolge al cielo e al sole come a generatori e padri. E’ da dire che già Anassagora, Empedocle e Democrito avevano distinto l’elemento caldo da quello freddo in quanto prerogativa il primo del maschio, il secondo della femmina. Aristotele afferma che in virtù del suo calore, il maschio, contrariamente alla femmina , che è fredda materia, è in grado di cuocere il sangue facendo in modo che si trasformi in sperma, la cui pura essenza sola è in grado di trasmettere la vita ; in esso risiede lo pneuma, ossia lo spirito vitale ed è riposto il “principio della forma”. La donna, invece, materia inerte e passiva, è puro ricettacolo del seme maschile; essa, infatti, poiché più fredda, non è in grado di cuocere il sangue alla maniera del maschio e quindi è costretta mensilmente ad espellere quel sangue in più come materia residua, attraverso le mestruazioni. Come, poi, dalla perfezione possa discendere l’imperfezione, in che modo, quindi, dal maschio possa derivare la femmina, è spiegabile, secondo Aristotele in funzione di una parziale impotenza dell’uomo che, o perché troppo giovane, o perché troppo vecchio, non riesce a cuocere bene il suo sangue, dando così più facilmente vita a femmine. Ciò potrebbe dipendere anche da fattori climatici, quali vento, freddo o umidità eccessiva, in grado anch’essi di incrinare la potenza del principio maschile. L’assunto aristotelico avrà, come già detto, ampia eco in tutta la cultura filosofico-scientifica del medioevo. Interessante in tal senso risulta quanto affermato da Alberto Magno (Questiones super de animalibus, XVIII,1): “Il vento del nord dà forza, quello del sud la toglie… il vento del nord favorisce la generazione dei maschi, il vento del sud quello delle femmine, poiché il vento del nord è puro e purifica l’aria stimolando la forza naturale. Il vento del sud invece è umido e carico di pioggia”. Questo stesso pensiero troviamo anche in S. Tommaso (cfr. Summa Theologiae, I, 99,1-2), il quale ritiene che la donna sia il frutto dell’inquinamento ecologico, nel senso che essa non esprime “la prima intenzione della natura, che mira alla perfezione e quindi all’uomo. La donna, quindi, si configura come un fallimento della natura che per varie ragioni è ostacolata nel suo processo, anche se questo errore è in qualche modo programmato da Dio, predestinando la donna alla procreazione. Le donne, dunque, sono l’effetto delle abbondanti precipitazioni causate dai venti umidi del sud. Per questo stesso motivo sono più ricche d’acqua, il che fa si che siano dotate di una minor forza spirituale rispetto agli uomini e per questo stesso motivo possono essere più facilmente sedotte dal piacere sessuale(op. cit., III,42,4-5). L’uomo è altresì dotato di una ragione più perfetta e una virtus più solida della donna (Summa contra Gentiles, III,123). “Il padre deve essere amato dai figli più della madre,perché egli è il principio attivo della procreazione,mentre la madre quello passivo”.( S. TH., II, 26,10); anche l’educazione dei figli deve essere prerogativa del padre in quanto la madre, essere difettoso,non può essere una valida guida spirituale per i figli. Da ciò discende per S. Tommaso anche l’indissolubilità del matrimonio (S. contra Gentiles, III,122). Questi principi costituiranno l’impianto concettuale da cui procederà e su cui si fonderà tutta la successiva dottrina scientifica dei secoli a venire. Anche in Fliess e Charcot, padri della psichiatria ottocentesca, compare in maniera ossessiva la polarità destra-sinistra che aveva caratterizzato tutto il medioevo, fondandosi sulla sinonimia istaurata tra destra, maschile e superiorità da un lato, sinistra,femminile ed inferiore dall’altro. Per Fliess era assolutamente scontato che le persone mancine, in quanto espressione di uno squilibrio tra maschile e femminile, si dessero più facilmente alla prostituzione ed attività criminose. Charcot, invece, convinto aprioristicamente dell’equazione isterico = malato = femmina, scrisse numerosi saggi sul tema, dai quali ,però, emerge sempre come egli orientasse la ricerca clinica in direzione di una conferma dell’assunto di una preconcetta inferiorità femminile. Anche J. Mobius, di cui Freud sarà attento discepolo, in un’opera pubblicata nel 1903, dal titolo “ Sesso e dimensioni del cranio” affermò che un uomo normale anche se di piccola taglia ha bisogno di una circonferenza cranica di almeno 53 cm.. Per i compiti di una donna, invece, anche un cranio di 51 cm e sufficiente, Ma per i compiti della vita di un uomo 51 cm. non sono sufficienti. Con 51 cm si può essere una donna intelligente ma non un uomo intelligente”. Per lui, evidentemente, la necessità fisiologica della debolezza mentale della donna è un postulato: gli fece in ciò eco Otto Weininger il quale nello stesso anno pubblicò un saggio intitolato Sesso e Carattere, nel quale, partendo dall’equazione tra il maschile e le qualità di bello, buono, vero ed oggettivo e, in antitesi con questa, l’altra tra il femminile e le qualità di cattivo, delittuoso, pazzo, soggettivo, egli arriva ad affermare che l’uomo che si accoppia si abbassa al suo contrario, il male! Lo stesso Freud nel saggio intitolato “Sessualità femminile” , riprese tale convinzione, arrivando a ritenere, in linea con la psichiatria ottocentesca, che l’isteria fosse una malattia femminile: del resto già nel Corpus Hippocraticum l’isteria veniva descritta come una malattia della sfera femminile: essa era posta in relazione al costante impulso dell’utero alla procreazione; questo veniva rappresentato come un animale che, attivandosi, toglie alla femmina il controllo della respirazione ,” chiudendo i passaggi dell’aria”, dissociandola, cioè, dall’elemento aereo spirituale a cui invece i maschi restano sempre aderenti. Così Freud descrive l’isteria come caratterizzata dall’ “improvviso insorgere di affetti dolorosi,di lacrime,urla e agitazione violenta che esprimono la conversione somatica di fantasie sessuali. Nei Tre saggi sulla teoria sessuale egli, ipotizzando che la libido sia un impulso di natura maschile, sostiene che nella bambina, l’attività autoerotica sia rivolta essenzialmente al clitoride; ma dal momento che il clitoride, per sua stessa conformazione, si presenta come un pene atrofico, per questo stesso motivo la bambina, percependo inconsciamente la sua condizione di essere incompleto, è portata a maturare l’invidia del pene, che condiziona tutto il suo sviluppo psichico, laddove il maschio incarna il tipo ideale di umanità perfetta. Nella maggior parte dei casi essa si indurrà a compensare questo difetto della sua natura, maturando uno specifico atteggiamento universalmente assunto come Femminile. Talvolta, però, la bambina, non riuscendo a superare questo suo intimo tormento, è portata ad estendere all’intero SE’ il suo giudizio di inadeguatezza relativo al suo pene atrofico. Da ciò deriva, secondo Freud, l’isteria femminile. imperiale a Roma (14-96 d.C.), in cui, tra i vari mali che affliggono la società di quel tempo e di cui i letterati contemporanei sono portavoce (corruzione del potere imperiale, della letteratura, della morale), è riportato anche un giudizio molto negativo sul nuovo spazio conquistato dalle figure femminili, destinate ad imporsi sugli uomini, a rovesciare i ruoli, insomma. Portavoce di questo particolare punto di vista è Giovenale4, il quale ricorre al genere satirico5 come mezzo per inveire contro la morale romana del tempo, limitandosi a denunciare i mali, senza presumere che la sua poesia possa influire sul comportamento degli uomini, giudicati prede irrimediabili della corruzione. Egli compone sedici satire, di cui la sesta è la più lunga ed è, appunto, la celeberrima feroce requisitoria contro l’immoralità e i vizi delle donne. Il poeta offre un affresco della condizione femminile del suo tempo dipingendo diversi prototipi di figure: la moglie, la suocera, l’intellettuale. Nella rappresentazione delle figure femminili Giovenale sembra unire al disgusto un sarcasmo devastante che insiste sul grottesco delle situazioni, fino ad arrivare a squarci di pathos tragico, quasi a rappresentare la donna come “demone”. Il dominio della donna si manifesta anche in campo sessuale: da qui, il tema dominante della pretesa, disgustosa sfrenatezza sessuale della femmina. Questo per quel che riguarda la considerazione dell’ascesa del ruolo della donna nelle società antiche. Si è in precedenza affermato che il processo di emancipazione femminile è una tendenza peculiare della storia contemporanea, su cui gli storici si sono dibattuti offrendo diverse interpretazioni: se si considera quella femminile come una delle tante questioni connesse all’evoluzione storica della società, allora si pone l’accento sui tempi della conquista della parità dei diritti civili e politici, di migliori garanzie in ambito lavorativo, etc. (posizione di Anna Kuliscioff6); se, invece, si fa riferimento alla specificità della condizione femminile in rapporto alla dicotomia maschile/femminile, allora ci si concentra sui tempi della liberazione della donna dall’oppressione maschile cui è soggetta come genere ed eventualmente sulla valorizzazione della specificità femminile contro un universo impregnato di valori maschili (posizione di Anna Maria Mozzoni). E’, in ogni caso, fuori discussione che oggi, soprattutto nelle società industrializzate, le condizioni di inferiorità sociale, politica, giuridica, culturale delle donne si sono molto attenuate. Gli storici distinguono questo processo in 2 fasi: 4 Decimo Giunio Giovenale (Aquino 60-140, secondo la testimonianza dell’amico Marziale, autore di epigrammi). 5 Tra gli altri autori del genere satirico della prima età imperiale si ricordi Persio. 6 Kuliscioff, Anna Michajlovna (Moskaja, Cherson 1857 - Milano 1925), socialista russa. Dopo aver combattuto il regime zarista, Anna Kuliscioff è esule in Svizzera e quindi in Italia, dove si unisce ai circoli socialisti. Compagna di Andrea Costa e successivamente di Filippo Turati, insieme a questi dirige la rivista "Critica sociale", dando un contributo fondamentale al socialismo italiano. Altrettanto attiva sul fronte dell'emancipazione femminile, si impegna per l'estensione del suffragio alle donne. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo (1790-1920 ca), in cui si assiste alla conquista di spazi sociali e politici prima preclusi: prime introduzioni del suffragio femminile, possibilità di accedere a livelli di istruzione e professioni prettamente maschili, maggior libertà di costumi che si riflette in una maggior scioltezza nell’abbigliamento femminile e in una diversa gestione del tempo libero (turismo, sport: nel 1912 anche le donne sono ammesse ai Giochi Olimpici). dopo il secondo dopoguerra fino agli anni ’80, in cui parallelamente alla trasformazione dei ruoli femminile si elaborano le teorie del femminismo. La “questione femminile” sorge, in forme ancora frammentarie e minoritarie, agli albori della moderna società di massa. Il problema dell’inferiorità economica, politica e giuridica delle donne era rimasto, con poche eccezioni (si ricordi “Sulla schiavitù della donna”, 1869, di John Stuart Mill, opera composta sotto l’influenza della moglie dell’autore, Harriet Taylor, e della figlia, Helen, facente parte del movimento femminista delle suffragette), estraneo al pensiero liberal-democratico ottocentesco. I primi movimenti di emancipazione femminile, nati alla fine del’700 nella Francia giacobina (carattere democratico-borghese) e nell’Inghilterra della rivoluzione industriale (carattere salariale-sindacale), hanno scarsissimo seguito e sono subito dimenticati. Alla fine dell’800 le donne dappertutto non possono votare né essere votate e, in molti paesi, non possono nemmeno accedere agli studi universitari e alle professioni. Infatti, sono soprattutto il fenomeno dell’urbanesimo e lo sviluppo dei servizi, tipici della società di massa, ad offrire nuove opportunità di lavoro alla manodopera femminile, da sempre impiegata in maggioranza nei settori tessile e dell’abbigliamento: segretarie, commesse, dattilografe, insegnanti. Solo in Gran Bretagna il movimento femminile, sotto la guida di Emmeline Pankhurst7, fondatrice, nel 1902, della Women’s Social and Political Union (WSPU), riesce ad imporsi all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe dirigente, concentrando l’attività nell’agitazione per il diritto al suffragio (movimento delle suffragette) e ricorrendo non di rado a forme di protesta quali dimostrazioni di piazza, marce sul Parlamento, scioperi della fame e attentati a edifici pubblici. Nel 1907, infatti, la Pankhurst guida una marcia verso la sede del Parlamento, durante la quale decine di donne si incatenano lungo Downing Street, dove risiedeva il primo ministro. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, l'Unione abbandona la campagna militante per sostenere lo sforzo bellico. Nel 1918, in parte a causa di tale valido sostegno, le argomentazioni contro il suffragio femminile non hanno più fondamento, così le donne di età superiore ai 30 anni ottengono il diritto di voto. Nel 1928 il diritto di voto è concesso a tutte le donne che hanno compiuto 21 anni. 7 Femminista inglese, Emmeline Pankhurst si batte per ottenere riforme legislative e sociali che garantiscano alle donne gli stessi diritti, fra cui il suffragio, riconosciuti agli uomini, cosa che le vale numerosi arresti. Tuttavia, a parte l’appoggio dei parlamentari laburisti, i movimenti femminili sono guardati con sospetto e diffidenza, soprattutto dai dirigenti socialisti, che auspicano ad un ritorno delle donne ai loro compiti “naturali” in seno alla famiglia. Movimenti femminili si sviluppano anche negli USA, contemporaneamente a quello delle suffragette inglesi. Johnson, blocca tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento è appiccato fuoco e le 129 operaie prigioniere all’interno muoiono arse dalle fiamme. In seguito, questa data, l’8 marzo appunto, è proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg8, proprio in ricordo della tragedia. Altro punto da considerare è il trattamento riservato alle donne durante il regime fascista italiano. Si tratta, però, di organismi poco vitali, la cui funzione principale consiste nel valorizzare le virtù domestiche della donna, nel ribadirne l’immagine tradizionale di “angelo del focolare” diffusa attraverso la stampa, la letteratura fascista e i testi scolastici. In particolare, dopo la II G.M., esauritasi, con l’estensione generalizzata del voto alle donne, la battaglia per la conquista dei diritti politici, l’impegno del movimento femminista si rivolge, innanzi tutto, alla rivendicazione di un trattamento egualitario per il lavoro femminile, il che mette in discussione gli equilibri e i ruoli interni alla struttura familiare tradizionale. Questa nuova ondata femminista ha origine negli USA alla metà degli anni ’60 e trova i suoi testi fondamentali negli scritti di militanti quali Betty Friedan9, “La mistica della femminilità” (1963), Juliet Mitchell, “La condizione della donna” (1966), Kate Millet10, “La politica del sesso” (1970), che presentano temi in parte già anticipati dall’opera della francese Simone de Beauvoir, “Il secondo sesso” (1949), celebre per l’affermazione “Donne non si nasce, si diventa”. La nuova corrente segna una svolta, rispetto alla fase precedente, sia per la radicalità degli obiettivi, che implicano una politicizzazione del privato, ossia il riconoscimento della rilevanza politica di ciò che avviene nella sfera dei rapporti personali e familiari, sia per la novità dei metodi di lotta: la contestazione di tutti i modelli culturali legati al “maschilismo”, esaltazione dei valori tipicamente femminili (“donna è bello”), affermazione del separatismo rispetto agli uomini, autonomia da ogni gruppo politico, rifiuto dell’organizzazione tradizionale (vista come imposizione di una gerarchia tipica del mondo maschile) e adozione del collettivo femminista come principale forma di aggregazione e militanza. Le lotte del femminismo sono tese, da un lato, al conseguimento di misure legislative per il miglioramento della condizione della donna (legalizzazione dell’aborto 8 Luxemburg, Rosa (Zamość, Polonia 1870 - Berlino 1919), rivoluzionaria socialista di origine ebraica. 9 Betty Naomi Friedan (Peoria, Illinois 1921), iniziatrice della ripresa dell’organizzazione delle donne su prospettive legate al filone liberale. A lei e ad altre si deve la nascita della National Organization of Women (NOW) negli USA, la prima ad occuparsi a tutti gli effetti della questione femminile. Nel suo libro, ella denuncia quella visione idealizzata della donna che la vede prigioniera di un’alienante “mistica della femminilità” fondata su casa, figli e marito. 10 Nella sua opera si dimostra che il sesso non è politicamente neutro, ma ha connotazioni politiche maschiliste e oppressive Maria Montessori presentarono una petizione al Parlamento per il voto femminile. Anche Anna Kuliscioff si era impegnata a favore del voto alle donne con la rivista “Critica sociale”. La presenza della donna all’interno della società italiana era più arretrata rispetto alla maggior parte dell’Europa. Molte cose cambiarono con l’arrivo della prima Guerra Mondiale. Il ruolo della donna è fondamentale: è chiamata a sostituire i soldati sia in campagna sia in città, in più è impegnata come crocerossina e ausiliaria. Così tra il 1914 e il 1918 acquisisce sempre più importanza all’interno della società. Ma non è così facile come sembra, perché, la nuova posizione della donna nella società, era vista come pericolo per il mondo maschile, così iniziarono le prime manifestazioni contro le donne lavoratrici arrivando persino ad aggredire le lavoratrici nei tram. Fin dall’inizio del secolo si era parlato in Parlamento del voto alle donne, ma gli unici favorevoli erano i socialisti. Con l’arrivo del fascismo, si perse ogni speranza quando nel 1925 l’istituzione dei podestà tolse il voto amministrativo a donne e uomini. Così, fino al 1945, nessuno ebbe più la possibilità di votare. Nel 1927 furono dimezzati gli stipendi e i salari, questo fatto contribuì a far aumentare l’occupazione delle donne e alla nascita di associazioni a tutela delle lavoratrici. Il codice Rocco, ribadisce la subalternità della donna all’uomo, viene riconosciuto il delitto d’onore, la potestà maritale, la patria potestà. Nel corso del ventennio fascista le donne italiane vengono messe alla prova in un confronto diretto con sollecitazioni nuove sul piano sociale, culturale e lavorativo; ed è in questo clima denso di tensioni che molte donne giovani e meno giovani si sentono incuriosite e stimolate. La donna nuova si trova nel corso del ventennio al centro di un processo di trasformazione che investe le strutture sociali, economiche e ideologiche della nazione. Nella società giungevano le prime richieste di consigli e di suggerimenti volti a facilitare l’ingresso delle donne nel mondo esterno dei maschi. Per questa figura femminile emergente e alla faticosa ricerca di una propria identità venivano confezionate apposite riviste sorte con il preciso intento di ricoprire gli interessi femminili. Inizialmente le organizzazioni cattolico-popolari incominciarono ad interessarsi al settore della buona stampa indirizzata alle donne, invece negli anni venti le donne affluirono negli uffici e nelle fabbriche, acquisendo maggiore conoscenza dei propri diritti come soggetti sociali autonomi. Le donne della piccola e media borghesia e del proletariato urbano avevano sperimentato nuove opportunità di socializzazione e di organizzazione dell’esistenza, acquisendo consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri diritti come soggetti sociali e produttivi autonomi, mentre nelle famiglie contadine il lavoro della massaia o moglie del capofamiglia superava in genere quello del capo famiglia stesso. All’inizio degli anni ’30 tre lavoratori toscani totalizzarono ciascuno 2926, 2834 e 2487 ore lavorative annuali a differenza delle loro mogli che arrivavano fino a 3290, 3001 e 3655. Il fascismo imponeva una rigida divisione del lavoro: gli uomini si occupavano della produzione e del sostentamento della famiglia; le donne della riproduzione e del governo della casa. Tuttavia i dirigenti fascisti riconoscevano che le donne lavoravano; secondo i dati forniti dal censimento del 1936 queste rappresentavano il 27% dell’intera forza lavoro. Oltre al lavoro nei campi e nelle fabbriche le donne dovevano preparare i fanciulli al doposcuola fascista e trascorrere l’estate nelle colonie marine o elioterapiche organizzate dal partito e dai comuni; in alcuni casi diventavano specialiste all’assistenza per strappare i sussidi allo Stato. Per la realizzazione dei suoi programmi lo Stato assistenziale fascista dipese largamente dal volontariato femminile. Donne di ceto sociale elevato giunsero così a giocare un ruolo importante nella definizione delle nuove norme di condotta familiare attraverso corsi per casalinghe, lezioni sull’allevamento dei figli e riunioni informali. In seguito il fascismo prese alcuni provvedimenti legislativi per impedire alle donne di competere con gli uomini sul mercato del lavoro e per tutelare le madri lavoratrici. La dittatura rese inoltre più severe le norme che proibivano i lavori notturni a tutte le donne e quelli pericolosi alle ragazze di età inferiore ai quindici-venti anni e ai maschi sotto ai quindici; vietava invece ogni tipo di lavoro ai minori di dodici anni. Mentre il lavoro era indispensabile alla costruzione di una solida identità maschile, l’occupazione femminile, come dichiarò Mussolini, “ove non è diretto impedimento distrae dalla generazione, fomenta una indipendenza e conseguenti mode fisiche-morali contrarie al parto”. Dapprima a mobilitarsi furono le organizzazioni femminili cattoliche che si impegnarono in un’opera di educazione e di propaganda tra le masse femminili maggiormente esposte alle insidie della civiltà urbano-industriale così che nei primi anni Venti furono proprio gli istituti cattolici ad assumersi l’incarico di far rientrare le donne nei ranghi. La confusione e lo smarrimento sono una conseguenza della contraddittoria politica femminile fascista e del suo pretendere che le donne siano al contempo cittadine responsabili e membri subordinati della famiglia ma sottomesse all’autorità paterna. Con la caduta del regime fascista e con l’inizio della resistenza il ruolo della donna incomincia a cambiare. Anche con la seconda Guerra Mondiale si ebbe un miglioramento della vita delle donne. Venne approvato un disegno di legge per sostituire nel lavoro il personale maschile con quello femminile. In mancanza degli uomini, le donne divennero capofamiglia e parteciparono attivamente alla resistenza. Tuttavia, anche se le donne riuscirono nel 1945 a conquistare il diritto al voto, non ottennero però il diritto ad essere elette. Al Referendum partecipò l’89% dell’elettorato femminile. All’Assemblea Costituente venne candidato il 7% di donne e ne venne eletto circa la metà. Alla commissione dei 75, incaricate di redigere la nuova Costituzione, parteciparono quattro donne: Maria Federici, la socialista Lina Merlin e le comuniste Teresa Noce e Nilde Jotti. Anche in Giappone, la parità fra i sessi è sancita dalla Costituzione, ma la società giapponese è fortemente maschilista, infatti, nel 1988 all’inaugurazione di un grande tunnel fu proibito alle donne l’accesso per paura che le divinità fossero offese. In questa società, la donna, è costretta ad indossare un particolare tipo di abito, conosciuto con il nome di kimono, solo nelle occasioni particolari. Il femminismo arabo iniziò nel 1897, quando Qasim Amin pubblicò un libro sulla condizione femminile. Intorno agli anni venti, la Turchia, imboccò la via della laicizzazione, mentre nel Libano le donne lottavano per l’abolizione del velo e della poligamia. Nel terzo millennio esistono ancora violenze barbare nei confronti delle donne. Un primo esempio sono gli aborti dei feti femminili in molti paesi. Dati recenti affermano che sulla terra ci dovrebbero essere 70.000.000 di bambini in più, molte donne islamiche o orientali vengono costrette ad abortire dopo la scoperta del sesso del nascituro. Lo scopo è di evitare che le ragazze abbiano rapporti prima del matrimonio e prima delle nozze deve subire l’operazione inversa. Fin dall’infanzia si insegna loro che la bellezza è lo scettro della donna e la mente quindi si modella sul corpo e si aggira nella sua gabbia dorata, contenta di adorarne la prigione. Le donne, assieme agli uomini, sono rese deboli e amanti del lusso dai piaceri rilassanti che il benessere procura; ma in aggiunta a questo, sono rese schiave della propria persona, e devono renderla attraente in modo che l’uomo presti loro la sua ragione per guidarne bene i passi malsicuri”. La donna non riesce ancora ad emanciparsi da un ruolo, quello di oggetto, che da sempre la rende succube del volere e del desiderio altrui. Il corpo femminile, spiega la studiosa, è un’ossessione già nella Grecia antica, che rappresenta l’anima con metafore femminili. “Platone stabilisce la differenza tra maschile e femminile. E il femminile è incompleto, mostruoso, è l’ombra del maschile”. Così l’anima diventa metafora del corpo. Viene somatizzata, anche se si dubita che la donna ne abbia una. “L’anima del filosofo che produce pensiero e concetti è come un corpo di donna che produce figli. Platone recupera il linguaggio del corpo, il linguaggio della sessualità femminile ma non in termini positivi: il corpo è l’ostacolo, “lascia intravedere ciò che il femminile può significare”. Viene riproposto il primato assoluto del maschile sul femminile e di nuovo il corpo diventa elemento condizionante. Il femminile lascia scorgere un residuo corporeo nelle nostre attività intellettuali. Pensiamo alla filosofia cartesiana, in essa viene alla luce sia l’opposizione fra corpo e pensiero, sia il costruirsi del soggetto sul pensiero medesimo, e cioè, in ultima analisi, sulla ragione 15. Una sorta di consigli per gli acquisti rivolti al consumatore che desidera per esempio amare - o essere - una donna femminile ma competente, sexy ma non passiva”. Resta il fatto che “per le donne l’accesso alla cultura, alle professioni intellettuali è stato complesso. Non siamo ancora usciti dal rapporto asimmetrico del maschile e del femminile”. Ancora si discute se davvero le donne siano meno portate alla matematica degli uomini. Si continua a pensare che siano dotate di “una intelligenza più legata ai valori della sensibilità, in ogni caso questi valori sono svalutati rispetto alla pura intelligenza”. Partendo dalla sua analisi sul mondo greco, la Sissa osserva quanto sia “difficile far astrazione dal corpo se si parla di una donna. C’è una sua pertinenza nella condizione intellettuale. “Dalle nove alle cinque di pomeriggio devi, dovresti diventare trasparente”. Specie da noi: in Italia c’è ancora una cultura in cui la differenza dei sessi è molto marcata. L’OMOLOGAZIONE CULTURALE UNA CAUSA? Il ruolo della donna è ancora imprigionato in un modello. Dalle prime conquiste del pensiero illuminista ad oggi sono passati più di due secoli e ormai dovrebbe essere consolidata in noi l’abitudine a pensare, riflettere, ragionare. 15 A. CAVARERO, “Il pensiero femminista. Un approccio teoretico” in Le filosofie femministe, F. RESTAINO, A. CAVARERO, Torino 1999, p. 135. Umberto Galimberti16 illustra la condizione di “omologazione” nella quale siamo costretti, come condizione del nostro modo di vivere. Il cui valore consiste semplicemente nell’essere cosa come esso è, senza la minima cura della sua qualità morale.”17 Le donne, e gli uomini naturalmente, della moderna realtà contemporanea, fanno parte di una società conformista, che nonostante l’enorme quantità di voci diffuse dai media, o forse proprio per questo, parla nel suo insieme solo con se stessa rendendo ancora più difficile un autentico ed efficace processo di reimpostazione dei ruoli maschili e femminili, basato finalmente su un’autentico concetto di parità che è tale solo se arriva al reciproco riconoscimento del valore delle peculiarità di ognuno, in primo luogo delle proprie. Rino graziano 16 U. GALIMBERTI, “La grande tribù dei prevedibili” in La Repubblica, 15 agosto 2002. 17 U. GALIMBERTI, “La grande tribù dei prevedibili” in La Repubblica, 15 agosto 2002.
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