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Il sabato del villaggio, Appunti di Italiano

parafrasi, analisi e commento dettagliato della poesia

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 31/05/2023

maria-stella-riili
maria-stella-riili 🇮🇹

5

(1)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il sabato del villaggio e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! IL SABATO DEL VILLAGGIO Il sabato del villaggio Il sabato del villaggio, nella raccolta dei canti, è il canto n. 25 ed è stato composto a Recanati tra il 20-29 settembre 1829, subito dopo “la quiete dopo la tempesta”. Queste due poesie sono da sempre state considerate dalla critica un “dittico”, cioè sono due ante della stessa opera: hanno delle evidenti affinità di tono, di argomento, di struttura e l’una integra l’altra. Se ne la quiete dopo la tempesta l’argomento è il “piacere figlio d’affanno”, cioè, dice Leopardi, il piacere è cessazione del dolore, nel sabato del villaggio il piacere viene identificato nella sua attesa, cioè nell’attesa del piacere. Le immagini gioiose del borgo che si prepara, nel giorno di sabato, al giorno di festa, annunciano che il piacere consiste nell’attesa di una felicità futura che non arriverà mai. Quindi, queste esperienze, tanto quella del sabato del villaggio quanto quella della quiete dopo la tempesta, sono effimere e sono destinate a cessare con il passare del tempo. Leopardi scrive, nello Zibaldone, a proposito di questo argomento, “tutti hanno provato il piacere o lo proveranno ma niuno lo prova, tutti hanno goduto o godranno ma nessuno gode” (<-tema del sabato del villaggio). La donzelletta vien dalla campagna, 1 in sul calar del sole, col suo fascio dell’erba, e reca in mano un mazzolin di rose e di viole, onde, siccome suole, 5 ornare ella si appresta dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine su la scala a filar la vecchierella, incontro là dove si perde il giorno; 10 e novellando vien del suo buon tempo, quando ai dì della festa ella si ornava, ed ancor sana e snella solea danzar la sera intra di quei ch'ebbe compagni dell'età più bella. 15 Già tutta l'aria imbruna, torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre giù da' colli e da' tetti, al biancheggiar della recente luna. Or la squilla dà segno 20 della festa che viene; ed a quel suon diresti che il cor si riconforta. I fanciulli gridando su la piazzuola in frotta, 25 e qua e là saltando, fanno un lieto romore: e intanto riede alla sua parca mensa, fischiando, il zappatore, e seco pensa al dì del suo riposo. 30 Poi, quando intorno è spenta ogni altra face, e tutto l'altro tace, odi il martel picchiare, odi la sega del legnaiuol, che veglia nella chiusa bottega alla lucerna, 35 e s'affretta, e s'adopra di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba. Questo di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia 40 recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno. Garzoncello scherzoso, cotesta età fiorita è come un giorno d'allegrezza pieno, 45 giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo'; ma la tua festa 50 ch'anco tardi a venir non ti sia grave. Parafrasi: la ragazza viene dalla campagna al tramonto, con il foraggio (il mazzo d’erba che ha raccolto per dar da mangiare agli animali, il segno del suo lavoro) e tiene in mano un mazzolino di rose e di viole con le quali si appresta ad ormare il petto e i capelli, come d’abitudine (come suole), domani nel giorno di festa. La donzelletta, ne la quiete dopo la tempesta, corrisponde a “femminetta” e qui ritroveremo, al v.9, “vecchiarella”, sono tutti e tre dei vezzeggiativi, ne ritroveremo un altro al v.43 “garzoncello”. Tutte queste parole Leopardi le definisce “pellegrine”, cioè delle parole poco comuni. Oltre ad esprimere un valore di affettuosità (il vezzeggiativo conferisce questo alla parola), servono a trasporre la figura della ragazza, che è inserita all’interno del contesto della quotidianità, in un ambito poetico. Quindi, la ragazza perde i suoi caratteri troppo concreti, troppo umani per diventare un’allegoria, l’allegoria della giovinezza e della speranza. Possiamo notare l’opposizione che c’è già presentata in questa poesia tra la donzelletta del v.1 e la vecchiarella del v.9, rappresentano due età diverse, la giovinezza e la vecchiaia. Poi, vecchiarella e zappatore, v.29, sono parole che Leopardi riprende da Petrarca. La donzelletta porta il mazzo di fiori e il foraggio per gli animali, due cose diverse: uno allude al lavoro che lei compie tutti i giorni > dimensione del lavoro; l’altro, il mazzolino di fiori, che le serve per abbellirsi nel giorno di festa > dimensione dello svago. Sono le due dimensioni della vita dell’uomo. A proposito di questo mazzolin di rose e di viole, Pascoli, grande ammiratore di Leopardi, scrive, nel 1896, un saggio 1 IL SABATO DEL VILLAGGIO “Il sabato” (prende proprio spunto dal sabato del villaggio) e critica però Giacomino dicendo che la donzelletta non può portare un mazzolino di rose e di viole perché le rose e le viole non fioriscono nello stesso periodo (marzo è il mese in cui fioriscono le viole e maggio quello in cui fioriscono le rose). Perché Leopardi ha fatto questo “errore”? Le rose e le viole sono i due fiori della tradizione letteraria, quindi, rappresentano i fiori per eccellenza. La vecchierella siede con le sue vicine di casa a filare, sulle scale, rivolta verso il tramonto si nota l’opposizione con la fanciulletta: la ragazza che viene con il mazzolino di rose e di viole che le devono servire per prepararsi per il giorno di festa; invece, la vecchierella è rivolta verso il tramonto. Quindi, la perifrasi là dove si perde il giorno sottolinea il dileguare, il cadere, il perdersi del giorno, che è comune al momento della sera del sabato e alla condizione della vecchierella, che è alla fine della sua vita, ma questa è anche immagine della memoria, dopo la fanciulletta è anche immagine della speranza. Anche il gesto del filare viene da Petrarca, come anche quello del venir novellando. Novellando, della sua giovinezza la vecchierella non può più vivere i momenti di festa, ormai è troppo vecchia e ricorda i momenti di festa di quando lei era giovane e si immedesima nella situazione della giovane che si prepara alla domenica. Si può notare il continuo gioco tra presente e passato delle due protagoniste. Quando nei giorni di festa, ancora giovane e agile, ella si adornava e soleva danzare alla sera insieme a quelli che ebbe come compagni dell’età più bella. La danza è un’immagine legata sempre alla giovinezza sin dall’antichità. Orazio, ad esempio, rappresenta tante volte la fanciullezza legata alla danza; dirà, nell’ode 1,9, “tu, finché sei giovane, non disprezzare le danze”. Già tutto il cielo diventa scuro, il cielo assume il colore azzurro intenso della sera (dopo l’arancione, il rosso del tramonto) e ritornano le ombre giù dai colli e dai tetti (tornano giù perché erano svanite con il tramonto del sole) al biancheggiare della luna appena sorta è tramontato il sole, non ci sono più le ombre proiettate dal sole, rimangono le ombre proiettate dalla luna. Questo v. 19 riprende un v. della fine della prima bucolica di Virgilio, ma è anche ripreso da Petrarca, da Sannazzaro, nell’arcadia. Questa poesia alterna sempre passi letterari, citazioni, tessere dell’antichità con l’osservazione della realtà. Non è un quadretto naturalistico, realistico. Ora la campana dà il segno della domenica che sta per arrivare, e a quel suono diresti che il cuore si riconforta. Fino al v. 19 Leopardi ha descritto delle sensazioni visive (la donzelletta che ritorna, la vecchierella, l’aria, l’azzurro, la luna…), ora, invece, si inseriscono delle sensazioni uditive, che andranno dal v. 20-37: squilla, segno, suon, gridando, rumore, fischiando, tace, martello, odi, picchiare, sega. È il contrario di quello che avviene ne la quiete dopo la tempesta, nella quale prima vengono le sensazioni uditive e poi quelle visive. Il v.20 inaugura una serie di 8 settenari contigui che danno il senso dell’entusiasmo e della vivacità dei suoni che sono manifestazione di gioia, di movimento, di vitalità, a maggior ragione quando si tratta di ragazzi. Qui i protagonisti sono i fanciulli, cioè gli esseri più felici tra tutti perché sono i più inconsapevoli tra gli esseri umani, quelli che non sanno come funziona la vita e si illudono che la vita sia bella. I fanciulli gridando sulla piazzuola in gruppo, e saltando qua e là, fanno un lieto rumore e nel frattempo ritorna (“riede”, un latinismo) alla sua casa per una mensa frugola, fischiando il zappatore (“il zappatore”, tessera petrarchesca) e fra sé e sé pensa al giorno del suo riposo. L’agricoltore torna a casa, domani non lavorerà e pensa che il giorno sarà un bel giorno, di festa. ● Abbiamo la giovinezza rappresentata dalla donzelletta, che rappresenta la speranza; ● Abbiamo la vecchiaia rappresentata dalla vecchierella, che rappresenta il passato, il ricordo della vita passata; ● Poi ci sono i bambini che saltano e gridano, i quali non pensano né al passato né al futuro, si divertono in quel momento e basta. ● Segue il contadino, cioè l’uomo maturo, il quale non è né giovane come la donzelletta, non è vecchio come la vecchierella e non è nemmeno come i bambini perché capisce bene che cosa sarà domani: la domenica non sarà un giorno di felicità, sarà un giorno di riposo. Quindi, lui è disilluso nei confronti della vita, è annoiata, non si aspetta altro dal giorno di festa. Poi, quando tutto intorno (“è spenta ogni altra face” un latinismo, face=fiaccola) questo verso è un endecasillabo molto lungo, full of sinalefi, Leopardi vuole mettere in evidenza il dilagare progressivo dell’ombra e del silenzio (si nota pure la rima tace-face), è spenta ogni altro fuoco, e non ci sono altri rumori, si sente il picchiare del martello, odi la sega del falegname che sta sveglio nella chiusa bottega alla luce della sua lucerna, e si affretta, e si sforza di terminare il suo lavoro prima dello spuntar del giorno. Spunta un altro personaggio, cioè il falegname, il quale lavora il sabato, il momento più bello in cui tutti pensano all’indomani e non lavorano, invece lui lo usa per lavorare. Perché lavora il sabato? Per finire il lavoro prima della domenica perché chissà domani cosa succederà. È il più stupido tra tutti perché domani non succederà niente, la domenica non porta nessuna felicità e lui ha sprecato l’attesa della 2
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