Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

IL SEICENTO: tra Barocco e nuova scienza, Appunti di Letteratura Italiana

Inquadramento generale, Giovan Battista Marino (Adone) e la poesia barocca, Galileo Galilei e le nuova scienza

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 16/07/2023

GiuliaDelPrete
GiuliaDelPrete 🇮🇹

39 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica IL SEICENTO: tra Barocco e nuova scienza e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Il Seicento: tra Barocco e Nuova Scienza Il Seicento reca ancora in sé la taccia di secolo di decadenza, in cui la poesia porta all’estremo quel vuoto formalismo che Francesco De Sanctis indicava come un male della letteratura italiana. Il Seicento rappresenta un secolo particolarmente sfortunato, dal punto di vista squisitamente letterario, che punta molto sugli aspetti esteriori della letteratura e della poesia in generale, è un’età povera di contenuti forti Lo stesso De Sanctis esaltava invece gli autori che avevano praticato una letteratura diversa, “fatta di cose”, aperta alle scoperte scientifiche e in radicale opposizione al clima controriformistico. Maggior esponente in questo senso è Galilei, che compie una scelta precisa: scrivere in italiano le sue opere principali con l’idea di divulgare le scoperte scientifiche verso un pubblico molto ampio, un pubblico mediamente colto che possa entrare in contatto con le novità scientifiche grazie alla lingua e allo stile con cui scrive. Galilei avrebbe lottato contro l’oscurantismo portato dalla Controriforma e lo scadimento della letteratura a mero formalismo e vacua retorica Legame tra i due ‘mondi’ • Scoperte geografiche e scientifiche: allargamento degli orizzonti, venir meno di consolidati paradigmi conoscitivi • Letteratura barocca: allargamento della materia poetica, venir meno degli equilibri rinascimentali a favore di una poetica fondata sulla meraviglia, larga presenza di contenuti perturbanti (deforme, grottesco, orrido, macabro, evanescenza, metamorfosi). Il Barocco per i contenuti ha a che fare con l’enorme allargamento della realtà, che ha a che fare con le scoperte che via via si sono succedute e con la rottura degli equilibri tipici del Rinascimento, e mostra lo spaesamento, lo smarrimento che colgono l’individuo di fronte al cambiamento epocale che segue le grandi scoperte La poesia del Barocco ci parla di cose che prima non vengono toccate, che sono fuori dai canoni della poesia precedente, attraverso la ricerca di tutto ciò che è inedito, inconsueto e bizzarro, che rivelano un gusto per un senso di inquietudine nei confronti di una realtà che appare meno governabile. L’attitudine di un poeta barocco è quello di guardare il mondo con uno sguardo onnicomprensivo, con un’attitudine “post moderna” Si vede anche una differenza stilistica tra le due parti: Galileo persegue un ideale di limpidezza (Calvino lo seguirà come prosatore di grande importanza), dall’altra parte abbiamo uno stile artificioso, che punta sugli effetti stilistici, sulla meraviglia nel lettore, è uno stile sovraccarico da punto di vista retorico, ecc. MANIERISMO: complicazione e rottura degli equilibri rinascimentali che anticipa il Barocco Per il secondo Cinquecento è stata coniata la categoria di Manierismo: «Il manierismo in letteratura rappresentava […] il ripiegarsi e l’incrinarsi degli equilibri rinascimentali, complessi ma luminosi, in opere sempre più artificiose, dominate appunto dall’esercizio di una ‘maniera’, e da un rastremarsi e complicarsi degli esiti poetici, in soluzioni raffinate fino all’estenuazione» «il manierismo è un’arte deformante, ricca di morbide squisitezze calligrafiche, sempre in caccia del bizzarro, dell’insolito, dello stravagante. Basterebbe pensare […] all’autoritratto del Parmigianino, dipinto ‘alla maniera di’ Raffaello, ma visto attraverso uno specchio parabolico che ne ingigantisce smisuratamente la mano, la quale subisce un allungamento iperbolico, dove si può riconoscere un ritorno anticlassico di elementi gotici, propensi a distendersi in forme affusolate o verticalizzate. […] Altrettanto agevole riesce poi ascrivere le nevrosi del Tasso alla sindrome manieristica di un letterato raffinatissimo incapace di adagiarsi nei metri e nel lessico di una tradizione avvertita ormai come troppo semplificata per poter esprimere adeguatamente la sua morbosa sensibilità di poeta dalla coscienza turbata ma lucida, in continua auscultazione dei propri affetti e dei propri sentimenti alla ricerca tormentosa di uno stile intensamente patetico da immettere in un universo epico ove la varietà delle passioni avvolgenti e ribelli entrino in ‘discorde concordia’ con la struttura di un genere narrativo compatto» (A. Battistini) Da un punto di vista culturale l'età della Controriforma è caratterizzata dal Manierismo. Il Manierismo resta interno alla tradizione classicistica, alterandone ed esasperandone tuttavia i tratti, sino all'eccesso e alla bizzarria. Il termine deriva da "maniera", parola usata nel Cinquecento da Vasari per definire lo stile di un artista, che nel corso del secolo assume una connotazione negativa e caratterizza uno stile troppo studiato e artificioso. La sua arte si caratterizza per una complicazione e una torsione della compostezza rinascimentale BAROCCO Il termine Barocco può significare un sillogismo difettoso, o un tipo di perla irregolare; è evidente l'accezione negativa, a sottolineare gli aspetti bizzarri e irrispettosi delle norme. Per lungo tempo ha prevalso questa concezione negativa del Barocco, identificato con il "cattivo gusto" Il Barocco respinge la tradizione di misura e di equilibrio del classicismo perché si ispira a una nuova visione del mondo e a un nuovo modo di percepire le cose, prodotti dalla rivoluzione scientifica e dalla fine delle vecchie certezze. L'uomo è ormai solo, inquieto, smarrito, in un universo sconfinato, complicato, inafferrabile. La visione del mondo barocca è dominata dall’idea di un universo infinito e instabile, labirintico, confuso, precario… «Se il Manierismo riflette un’arte introversa e preziosa, il Barocco partecipa di una situazione teatralmente grandiosa ed espansiva, rutilante nel suo esibizionismo; se l’uno persegue un’aulica raffinatezza, l’altro mostra anche una tendenza più popolare ed emotiva […]; se il primo predilige la concentrazione del virtuosismo, il secondo mira a espandersi con la lussuria e l’abbondanza esagerata, dissipando i suoi tesori in modo da stordire e stordirsi in un delirio megalomane» (A. Battistini) Il Barocco accentua ancora più i concetti del Manierismo, puntando sulla spettacolarizzazione, sula meraviglia, su ciò che è particolarmente appariscente. C’è una continuità ma allo stesso tempo una frattura tra le due tendenze La meraviglia: è l’effetto di stupore e di sorpresa che l’arte deve suscitare nel pubblico • «I caratteri più marcati del Barocco sono la ricerca del nuovo e l’effetto della meraviglia. […] l’ordine e la misura del classicismo rinascimentale lasciano il posto […] all’inedito e al bizzarro, la cui ricerca esasperata si sottomette al gusto del fruitore» (Erminia Ardissino) «È del Poeta il fin la meraviglia / […] / chi non sa far stupir vada alla striglia» (G.B. Marino) • Sul docere prevale ora il delectare L’effetto che questa poesia di meraviglia dà un effetto di sazietà, di stucchevolezza, è come se il lettore dovesse essere continuamente sorpreso, e il diletto prevale perciò sulla volontà di insegnare, prevale il desiderio di creare semplicemente piacere nel lettore La metafora • La metafora può essere considerata l’emblema della letteratura barocca; è la base per la creazione dei concetti (*vd. concettismo: metodo grazie al quale la poesia barocca, mediante l’uso dei concetti, impreziosisce il linguaggio e le immagini, suscitandone nel lettore piacere e meraviglia) • Il massimo teorico della metafora come «il più alto colmo delle figure ingegnose» è Emanuele Tesauro, autore del Cannocchiale aristotelico (1654) Caratteristico di quest’arte che punta a un’immagine sorprendente è la metafora continuata, insistita, con il gusto di creare analogie tra ambiti diversi che hanno l’obbiettivo di spiazzare il lettore e stupirlo «Tesauro interveniva, ricorrendo alle categorie aristoteliche, a distinguere un uso logico della parola, finalizzato alla conoscenza e dipendente dall’“intelletto”, da un uso analogico, che è intimamente metaforico e dipende dall’“ingegno”. Questo secondo uso è un momento creativo, non semplicemente ripetitivo: la parola del poeta barocco non si esaurisce nella cosa che rappresenta, e quindi nella sua “verità” e “realtà”, ma è un di più: “l’unica loda della Argutezze, consiste nel saper ben mentire […]”» (Paolo Procaccioli) La metafora «traendo la mente, non men che la parola, da un genere all’altro, esprime un concetto per mezzo di un altro molto diverso, trovando in cose dissimiglianti la simiglianza»; «tanto più pellegrina sarà la metafora, quante più virtù pellegrine accoglierà in un vocabulo; or aggiungo che tanto più sarà acuta e ingegnosa, quanto men superficiali son le nozioni che in quella si rappresentano» (E. Tesauro) La metafora, come il cannocchiale, avvicina ciò che è lontano (il telescopio è uno strumento ottico che permette di vedere da vicino ciò che è lontano). L’analogia è importante nel processo di metaforizzazione, avvicina ambiti che sono LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA De Sanctis, come già aveva fatto Marino, accosta Galilei a Cristoforo Colombo: infatti l'opera dello scienziato pisano e le sue implicazioni sul piano culturale possono essere apprezzate e comprese appieno se inserite in quel vero e proprio terremoto che si produce a partire dalle grandi scoperte geografiche tra Quattrocento e Cinquecento, le quali spingevano necessariamente a porre in dubbio l'autorità degli antichi e delle Sacre Scritture. L'ampliamento progressivo degli orizzonti si estende dall'ambito geografico ad altri campi del sapere. Il Cinquecento è un secolo di scoperte scientifiche 1543: pubblicazione di due importanti trattati: - Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium: nascita della moderna astronomia: sostituisce a un sistema geocentrico un sistema eliocentrico, fondato sulla centralità del Sole, non più sulla Terra - Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica: nascita dell’anatomia La moderna astronomia e la moderna anatomia si alleano nel mettere in discussione convinzioni fino a quel momento ritenute intoccabili. Non è un caso se in una delle pagine più celebri del Dialogo sopra i due massimi sistemi si racconta di un aristotelico che, posto di fronte alla dimostrazione pratica del fatto che i nervi si dipartono dal cervello e non dal cuore, dichiara che sarebbe disposto a credere a ciò che vede se solo non contraddicesse l'autorità di Aristotele Prima di Copernico «Il mondo appariva rigidamente ordinato secondo una immutabile gerarchia. L’uomo, che partecipa con l’anima alla realtà intelligibile e incorporea, mentre è integrato con il corpo nell’ordine della natura terrena, è inserito in una struttura che è estremamente complessa, ma che è, al tempo stesso, rassicurante. Concepito come l’opera più alta della creazione, egli occupa, nell’universo, una posizione centrale. E l’universo nel quale egli vive è concepito come finito» → universo finito e ordinato secondo un processo geografico preciso. Il mondo è regolato attraverso un ordine molto preciso in cui l’uomo occupa una posizione centrale Nel corso di un secolo (circa tra 1610 e 1710) vengono scardinati diversi presupposti: 1) Distinzione di principio tra una fisica dei cieli e una fisica terrestre 2) Convinzione del carattere circolare dei moti celesti 3) Presupposto dell’immobilità della terra e della sua centralità 4) Credenza nella finitezza dell’universo 5) Movimento visto come o dipendente dalla forma o natura del corpo o provocato da un motore 6) Divorzio tra astronomia e fisica o tra matematica e fisica. «si trattò […] di un rifiuto che presupponeva un radicale rovesciamento di quadri mentali, una nuova considerazione della natura e del posto dell’uomo nella natura, un nuovo atteggiamento di fronte al passato e di fronte alla cultura […] la cosiddetta […] rivoluzione scientifica […] non è riducibile a una serie di perfezionamenti ‘tecnici’ che avvengono all’interno dei singoli rami del sapere e delle singole scienze, ma […] presuppone una differente filosofia, risponde alle richieste di una nuova cultura e di una nuova società» (Paolo Rossi) Implicazioni della rivoluzione scientifica John Donne, An Anatomy of the World (1612): and new philosophy calls all in doubt / […] / men confess that this world’s spent, / when in the planets, and the firmament, / they seek so many new; / they see that this / is crumbled out again to his atomies. E la nuova Filosofia mette tutto in dubbio […] E apertamente gli uomini confessano che questo mondo è estinto, quando nei pianeti e nel firmamento, ne cercano tanti nuovi; vedono che questo si è sgretolato, tornando ai suoi atomi. La rivoluzione scientifica è un’autentica rivoluzione non da intendere come semplice scientifica, implica una trasformazione nel modo di guardare la realtà Galileo Galilei L’uomo è chiamato a conoscere la realtà per esperienza diretta attraverso un metodo sperimentale che richiede di elaborare delle teorie, e verificarle sperimentalmente in un processo conoscitivo che si amplia progressivamente, ma al tempo stesso questo ampliarsi delle conoscenze fa sì che ci rendiamo conto sempre di più di ciò che non conosciamo. Questo modo di guardare la realtà si trasmette anche in letteratura metodo induttivo: metodo basato sull’esperienza, partendo dall’osservazione di dati empirici particolari si arriva alla formulazione di una regola o una legge universale La “favola dei suoni” è tratta da Il Saggiatore. Fin dal titolo dell'opera è evidente la polemica nei confronti della Libra astronomica ac philosophica del Grassi: se quest'ultimo aveva impiegato la libra, la 'bilancia' comune, Galilei dichiara di fare ricorso a uno strumento di maggiore precisione, il saggiatore usato dagli orefici. Nello scontro, in realtà, il gesuita si avvicinava di più alla verità, identificando nelle comete dei veri e propri corpi astronomici (anche se erroneamente attribuiva loro delle orbite circolari secondo i precetti di Aristotele), mentre Galilei le considerava delle rifrazioni della luce solare. Ma ciò che conta è che a una scienza fondata sulle auctoritates tradizionali, sugli ipse dixit, Galilei contrappone la lettura diretta del grande "libro dell'Universo", cioè la realtà, quindi una difesa della verifica sperimentale come unico metodo corretto di leggere il libro della natura, in opposizione al metodo dogmatico di fondare la filosofia e la scienza su autorità libresche e precostituite. La "favola dei suoni" riflette sull'esigenza di superare tanto le idee cristallizzate del passato quanto un'ingenua fiducia nei sensi, proponendo un'idea della ricerca come processo in costante divenire, basato sulla consapevolezza che chi più conosce più sa di non sapere La ‘favola dei suoni’: la ‘morale’ della storia Attraverso questa favola, Galilei intende dimostrare il carattere aperto e in continua evoluzione della conoscenza scientifica: il processo della conoscenza è lento e inesauribile, il suo possesso è instabile e mutevole, il vero uomo di scienza è dubbioso e incerto (conoscenza come qualcosa che deve essere sempre ridefinita attraverso esperienze sempre nuove) Socrate affermava so di non sapere: tanto meno si conosce tanto più si vuole discutere, al contrario il sapiente è cauto perché sa che sono infinite le cose che non conosce. In altri termini, i più ignoranti hanno la presunzione che il poco che conoscono valga per la totalità degli ambiti dello scibile Galileo parla di un uomo intelligente e curioso, in grado di meravigliarsi di ciò che accade e dei fenomeni a cui assiste. Egli allevava diversi uccelli e rimanendo colpito dai loro canti, vuole osservare precisamente quale fosse la natura dei loro suoni. Un giorno sentì una melodia simile a quella generata dagli uccelli; andò così verso la sorgente sonora e con stupore vide che il suono era prodotto da un flauto, uno zufolo suonato da un pastore. Il personaggio capisce che i suoni possono provenire da fonti disparate e che se non avesse sentito quel suono, non si sarebbe reso conto che altri strumenti potevano creare il medesimo suono prodotto gli uccelli, perciò si mise in cammino per vedere se vi fossero altre cose che creassero quei suoni; codesta è l'attitudine dello scienziato, della ricerca. Sentì un suono analogo ai precedenti, e credendo di trovato un flauto o un uccello, vide invece un violino. Si convinse così vi fossero altri mezzi per creare i suoni e tanto più scopriva nuovi generatori sonori, tanto più capiva che le sue iniziali convinzioni erano errate. II personaggio del racconto sentì poi il suono prodotto dalla cicala e mosso dalla curiosità la seziona per capire come essa generi rumore, ma così facendo, la uccide (limiti della conoscenza). Se inizialmente avessero chiesto al personaggio cosa potesse creare suoni, egli con fermezza e convinzione avrebbe risposto che sono gli uccelli ad emetterli; ciò simboleggia il fatto che colui che conosce poco presume di sapere tutto; al contrario, se glielo avessero chiesto alla fine egli, sapendo di possedere un sapere incompleto, parziale, avrebbe affermato che ci sono determinati modi per creare suoni ma che potrebbero essercene degli altri. Non bisogna perciò limitarsi a una scoperta, bisogna continuare a cercare, poichè non tutto è spiegabile e/o dimostrabile «Parmi d’aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all’incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità» Nacque già in un luogo assai solitario un uomo dotato da natura d’uno ingegno perspicacissimo e d’una curiosità straordinaria; e per suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del lor canto, e con grandissima meraviglia andava osservando con che bell’artificio, colla stess’aria con la quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi, e tutti soavissimi. Il pastorello e lo zufolo. Accadde che una notte vicino a casa sua sentì un delicato suono, né potendosi immaginar che fusse altro che qualche uccelletto, si mosse per prenderlo; e venuto nella strada, trovò un pastorello, che soffiando in certo legno forato e movendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori che vi erano, ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle d’un uccello, ma con maniera diversissima. Stupefatto e mosso dalla sua natural curiosità, donò al pastore un vitello per aver quel zufolo; e ritiratosi in sé stesso, e conoscendo che se non s’abbatteva a passar colui, egli non avrebbe mai imparato che ci erano in natura due modi da formar voci e canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando di potere incontrar qualche altra avventura. La viola. Ed occorse il giorno seguente, che passando presso a un piccol tugurio, sentì risonarvi dentro una simil voce; e per certificarsi se era un zufolo o pure un merlo, entrò dentro, e trovò un fanciullo che andava con un archetto, ch’ei teneva nella man destra, segando alcuni nervi tesi sopra certo legno concavo, e con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra movendo le dita, e senz’altro fiato ne traeva voci diverse e molto soavi. Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi participa dell’ingegno e della curiosità che aveva colui; il qual, vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il canto tanto inopinati, cominciò a creder ch’altri ancora ve ne potessero essere in natura. La porta e il bicchiere. Ma qual fu la sua meraviglia, quando entrando in certo tempio si mise a guardar dietro alla porta per veder chi aveva sonato, e s’accorse che il suono era uscito dagli arpioni e dalle bandelle nell’aprir la porta? Un’altra volta, spinto dalla curiosità (il motivo conduttore di questa favola è la curiosità) entrò in un’osteria, e credendo d’aver a veder uno che coll’archetto toccasse leggiermente le corde d’un violino, vide uno che fregando il polpastrello d’un dito sopra l’orlo d’un bicchiero, ne cavava soavissimo suono. Gli insetti. Ma quando poi gli venne osservato che le vespe, le zanzare e i mosconi, non, come i suoi primi uccelli, col respirare formavano voci interrotte, ma col velocissimo batter dell’ali rendevano un suono perpetuo, quanto crebbe in esso lo stupore, tanto si scemò l’opinione ch’egli aveva circa il sapere come si generi il suono; né tutte l’esperienze già vedute sarebbono state bastanti a fargli comprendere o credere che i grilli, già che non volavano, potessero, non col fiato, ma collo scuoter l’ali, cacciar sibili così dolci e sonori. La cicala. Ma quando ei si credeva non potere esser quasi possibile che vi fussero altre maniere di formar voci, dopo l’avere, oltre a i modi narrati, osservato ancora tanti organi, trombe, pifferi, strumenti da corde, di tante e tante sorte, e sino a quella linguetta di ferro che, sospesa fra i denti, si serve con modo strano della cavità della bocca per corpo della risonanza e del fiato per veicolo del suono; quando, dico, ei credeva d’aver veduto il tutto, trovossi più che mai rinvolto nell’ignoranza e nello stupore nel capitargli in mano una cicala, e che né per serrarle la bocca né per fermarle l’ali poteva né pur diminuire il suo altissimo stridore, né le vedeva muovere squamme né altra parte, e che finalmente, alzandole il casso del petto e vedendovi sotto alcune cartilagini dure ma sottili, e credendo che lo strepito derivasse dallo scuoter di quelle, si ridusse a romperle per farla chetare, e che tutto fu in vano, sin che, spingendo l’ago più a dentro, non le tolse, trafiggendola, colla voce la vita, sì che né anco poté accertarsi se il canto derivava da quelle: La conclusione della favola: onde si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo potervene essere cento altri incogniti ed inopinabili Attraverso questa pagina narrativa Galileo risalta l’incapacità dell’uomo di studiare la varietà dei fenomeni presenti in natura Considerazioni finali di Galileo Io potrei con altri molti essempi spiegar la ricchezza della natura nel produr suoi effetti con maniere inescogitabili da noi, quando il senso e l’esperienza non lo ci mostrasse, la quale anco talvolta non basta a supplire alla nostra incapacità; onde se io non saperò precisamente determinar la maniera della produzzion della cometa, non mi dovrà esser negata la scusa, e tanto più quant’io non mi son mai arrogato di poter ciò fare, conoscendo potere essere ch’ella si faccia in alcun modo lontano da ogni nostra immaginazione; e la difficoltà dell’intendere come si formi il canto della cicala, mentr’ella ci canta in mano, scusa di soverchio il non sapere come in tanta lontananza si generi la cometa. Lo strumento simbolo della nuova scienza è il cannocchiale, che Galilei perfeziona e che, puntato verso il cielo, porta con sé scoperte rivoluzionarie «Perfezionatosi sotto l’impulso di uno spirito pratico aperto alle esperienze tecniche degli artigiani, questo strumento trascende le scoperte, per altro sensazionali, che ha consentito, assurgendo a simbolo di una nuova èra e di un nuovo metodo» «Nel raffigurare il nuovo ethos dello scienziato che non accettava più la comoda lettura dei libri altrui, il cannocchiale rivelò in chi l’assunse “una coscienza moderna di sperimentatore”, divenendo sinonimo figurato di “logica scientifica che insegna a veder chiaro”» Galileo, Sidereus nuncius (1610), titolo traducibile in Messaggero celeste Tre scoperte fondamentali: • La superficie della Luna è come quella della Terra: i corpi celesti non sono fatti di una materia diversa, non sono perfetti e lisci in ogni loro parte
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved