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il silenzio degli innocenti, Dispense di Letteratura

il silenzio degli innocenti thomas harris

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 22/08/2019

manuel-soro
manuel-soro 🇮🇹

3.9

(8)

26 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica il silenzio degli innocenti e più Dispense in PDF di Letteratura solo su Docsity! THOMAS HARRIS IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI (The Silence Of The Lambs, 1988) Alla memoria di mio padre Poiché, come usano fare gli uomini, ho combattuto con le belve a Efeso, quale vantaggio ne traggo, se i morti non risorgono? I Epistola ai Corinzi Ho forse bisogno di guardare una testa di morto in un anello, quando ne ho una in faccia? JOHN DONNE, Devozioni 1 Scienza del Comportamento, la sezione dell'FBI che si occupa degli o- micidi in serie, è al piano più basso della sede dell'Accademia a Quantico, ed è semisepolta nel terreno. Clarice Starling vi arrivò un po' affannata do- po una veloce camminata da Hogan's Alley, il poligono di tiro. Aveva qualche filo d'erba tra i capelli e macchie d'erba sulla giacca a vento del- l'Accademia perché aveva dovuto buttarsi al suolo sotto il fuoco, in un'e- sercitazione di arresto al poligono. Nell'anticamera non c'era nessuno, e così si assestò rapidamente i capelli guardando la propria immagine riflessa nella porta di vetro. Sapeva di ave- re un aspetto accettabile anche senza farsi bella. Le mani avevano odore di polvere da sparo, ma non aveva avuto il tempo di lavarle... la convocazio- ne del caposezione Crawford era urgente. Trovò Jack Crawford nell'ufficio caotico. Era in piedi accanto alla scri- vania di un altro e parlava al telefono, e Clarice ebbe la possibilità di guar- darlo attentamente per la prima volta in un anno. E ciò che vide le ispirò un vago senso d'inquietudine. Di solito, Crawford aveva l'aspetto di un ingegnere di mezza età in otti- ma forma che probabilmente s'era pagato gli studi universitari giocando a baseball... un catcher abile e astuto, e duro quando doveva bloccare il piat- to. Adesso era magro, il colletto della camicia gli andava largo, e c'erano borse scure sotto gli occhi arrossati. Chi leggeva i giornali sapeva che la sezione Scienza del Comportamento era sotto il fuoco. Clarice si augurò che Crawford non fosse un po' brillo. Sembrava molto improbabile, lì. Crawford concluse la telefonata con un secco "No". Prese il fascicolo che teneva sotto il braccio e l'aprì. «Starling, Clarice M., buongiorno» disse. «Salve.» Il sorriso di Clarice era educato, niente di più. «Tutto a posto. Spero che la convocazione non l'abbia spaventata.» «No.» Ma non è del tutto vero, pensò Clarice. «I suoi istruttori mi dicono che va molto bene. È tra i primi della classe.» «Me lo auguro. Non hanno ancora comunicato i risultati.» «Io glieli chiedo di tanto in tanto.» Clarice si meravigliò un po'. Aveva pensato che Crawford fosse un figlio di puttana, subdolo come un sergente reclutatore. Aveva conosciuto l'agente speciale Crawford quando era andato a tenere lezioni all'Università della Virginia; e aveva fatto domanda di entrare nel- l'FBI dopo aver ammirato il livello dei suoi seminari di criminologia. Gli aveva scritto una lettera quando si era qualificata per l'Accademia, ma Crawford non aveva risposto; e aveva continuato a ignorarla du rante quei tre mesi, da quando era allieva a Quantico. Clarice Starling apparteneva a una famiglia dove nessuno chiedeva favo- ri o insisteva per fare amicizia: ma il comportamento di Crawford la scon- certava e l'irritava. Adesso che era in sua presenza, notò con un certo rammarico, le sembrava di nuovo simpatico. Evidentemente aveva qualcosa che non andava. Crawford aveva un a- cume particolare, oltre all'intelligenza, e Clarice l'aveva notato per la prima volta nel senso del colore che dimostrava nell'abbigliamento, persino entro i limiti del modo di vestire degli agenti dell'FBI, che parevano clonati da un unico prototipo. Adesso era in ordine ma piuttosto scialbo, come se fos- se nel periodo della muta. «È capitato un lavoro da sbrigare e ho pensato a lei» le disse. «Non è un vero lavoro; è una interessante commissione. Tolga dalla sedia la roba di Berry e si sieda. Qui ha scritto che quando finirà l'accademia vorrebbe ve- nire direttamente a Scienza del Comportamento.» «Infatti.» «Ha una preparazione nel campo della medicina legale, ma non ha espe- rienza nel settore pratico della tutela della legge. Noi richiediamo sei anni come minimo.» Lecter è uno psichiatra e scrive anche lui per le riviste di psichiatria... scri- ve cose straordinarie, ma non sulle sue piccole anomalie. Una volta ha fin- to di assecondare il direttore dell'ospedale, Chilton... si è lasciato mettere intorno al pene un misuratore della pressione sanguigna, ha guardato foto- grafie di incidenti... E poi ha pubblicato per primo ciò che aveva scoperto sul conto di Chilton e gli ha fatto fare la figura dell'idiota. Risponde alle lettere serie degli studenti di psichiatria purché si tratti di campi senza le- gami con il suo caso, ed è tutto quello che fa. Se non vorrà parlare con lei, voglio comunque un rapporto. Che aspetto ha lui, che aspetto ha la sua cel- la, che cosa fa. Un po' di colore locale, per così dire. E stia attenta alla stampa. Non la stampa vera, ma quella scandalistica. A quei giornali Lec- ter piace ancora più del principe Andrew.» «Una rivista scandalistica non aveva offerto a Lecter cinquantamila dol- lari per certe ricette? Così mi sembra di ricordare» disse Clarice. Crawford annuì. «Sono sicuro che il "National Tattler" ha corrotto qual- cuno all'interno dell'ospedale: quindi è possibile che siano informati della sua visita dopo che avrò fissato l'appuntamento.» Crawford si tese verso Clarice, e lei vide che gli occhiali a lunetta ma- scheravano un po' le borse sotto gli occhi. Aveva fatto da poco un gargari- smo con Listerine. «Dunque, stia molto attenta, Starling. Mi ascolta?» «Sì, signore.» «Sia molto prudente con Hannibal Lecter. Il dottor Chilton, il direttore dell'ospedale psichiatrico, le spiegherà la procedura da adottare per trattare con lui. Non se ne discosti. Non se ne discosti di una virgola, per nessuna ragione. Se Lecter le parlerà, lo farà per scoprire qualcosa sul suo conto. È la stessa curiosità che spinge un serpente a guardare nel nido di un uccelli- no. Sappiamo bene che in un colloquio c'è sempre uno scambio in entram- bi i sensi: ma non gli dica nulla di preciso su se stessa. Non gli consenta di conoscere i suoi fatti privati. Sa che cosa ha fatto a Will Graham.» «L'ho letto sui giornali quando è successo.» «Ha sventrato Will con un coltello da linoleum quando questi l'ha sco- perto. È un miracolo che Will non sia morto. Ricorda il caso del Delitto della Terza Luna? Lecter sguinzagliò Francis Dolarhyde contro Will e la sua famiglia. Ora la faccia di Will sembra disegnata da Picasso, grazie a Lecter. E ha quasi fatto a pezzi un'infermiera in manicomio. Svolga il suo lavoro, ma non dimentichi mai che cosa è Lecter.» «E che cosa è? Lei lo sa?» «So che è un mostro. A parte questo, nessuno può dirlo con certezza. Forse lei lo scoprirà. Non l'ho pescata a caso, Starling. Quando venni al- l'UVA, lei mi fece un paio di domande interessanti. Il direttore vedrà il rapporto firmato da lei... se sarà chiaro, conciso e organizzato. Giudicherò io. E lo voglio entro le nove di domenica. Bene, Starling, proceda nel mo- do prescritto.» Crawford le sorrise, ma i suoi occhi erano spenti. 2 Il dottor Frederick Chilton, cinquantotto anni, amministratore del Mani- comio Criminale statale di Baltimora, ha una scrivania ampia e lunga sulla quale non ci sono oggetti contundenti o appuntiti. Alcuni dipendenti lo chiamano "il fossato". Altri dipendenti non conoscono neppure la funzione dei fossati negli antichi castelli. Il dottor Chilton restò seduto dietro la scrivania quando Clarice Starling entrò nell'ufficio. «Qui sono venuti molti investigatori, ma non ne ricordo uno tanto cari- no» disse Chilton senza alzarsi. Clarice Starling sapeva, senza bisogno di pensarci, che il lustro sulla mano protesa era dovuto alla lanolina, e che si era unto accarezzandosi i capelli. Interruppe la stretta di mano prima di Chilton. «Lei è la signorina Sterling, no?» «Starling, dottore, con la a. Grazie per avermi ricevuta.» «Dunque l'FBI adesso va a donne come tutto il resto del mondo, ah, ah.» Chilton aggiunse il sorriso macchiato di tabacco che usava per separare le frasi. «Il Bureau sta migliorando, dottor Chilton. Senza il minimo dubbio.» «Si fermerà a Baltimora per diversi giorni? Sa, se conosce la città, qui ci si può divertire come a Washington o a New York.» Clarice Starling distolse gli occhi per non vedere il sorriso e comprese immediatamente che Chilton s'era accorto del suo disgusto. «Sono certa che sia una città splendida, ma ho ricevuto istruzioni di vedere il dottor Lecter e di rientrare per fare rapporto questo pomeriggio» «C'è qualche posto a Washington dove potrei chiamarla in seguito, per riparlarne?» «Certamente. È molto gentile ad averci pensato. L'agente speciale Jack Crawford è responsabile di questo progetto, e potrà sempre contattarmi per suo tramite.» «Capisco» disse Chilton. Le guance chiazzate di rosso contrastavano con l'improbabile bruno rossiccio dei capelli. «Mi dia i documenti, per favore.» La lasciò in piedi mentre esaminava con calma la carta d'identità. Poi la re- stituì e si alzò. «Non ci vorrà molto tempo. Venga.» «Mi risulta che lei debba darmi istruzioni, dottor Chilton» disse Clarice. «Posso farlo mentre camminiamo.» Chilton girò intorno alla scrivania e guardò l'orologio. «Ho un pranzo tra mezz'ora.» Accidenti, avrebbe dovuto comprenderlo meglio e più in fretta. Poteva darsi che non fosse un perfetto idiota. Forse sapeva qualcosa di utile. Non sarebbe stato male flirtare un po', anche se non era brava a farlo. «Dottor Chilton, in questo momento ho un appuntamento con lei. È stato fissato a suo comodo, quando poteva dedicarmi un po' di tempo. Potrebbe- ro saltar fuori diverse cose, durante il colloquio... forse avrò bisogno di e- saminare con lei qualcuna delle reazioni del dottor Lecter.» «Ne dubito molto. Oh, devo fare una telefonata, prima che andiamo. La raggiungerò in anticamera.» «Vorrei lasciare qui il cappotto e l'ombrello.» «Lì fuori» disse Chilton. «Li dia ad Alan in anticamera. Penserà lui a metterli via.» Alan portava l'uniforme simile a un pigiama che era d'ordinanza per i re- clusi. Stava pulendo i portacenere con il lembo della camicia. Rigirò la lingua all'interno della guancia mentre prendeva il cappotto di Clarice. «Grazie» disse lei. «Prego, prego. Caghi spesso?» chiese Alan. «Come?» «Lo stronzo esce fuori luuuungo luuuungo?» «Il cappotto e l'ombrello posso appenderli io.» «Non hai niente che blocchi la vista... puoi chinarti e vederlo uscire e cambiare colore quando entra a contatto con l'aria... lo fai? Non ti sembra di avere una grande coda marrone?» Alan non mollò il cappotto. «Il dottor Chilton ti vuole subito nel suo ufficio» disse Clarice. «No, non è vero» disse il dottor Chilton. «Metti il cappotto nel guarda- roba, Alan, e non tirarlo fuori durante la nostra assenza. Ricordalo. Avevo un'impiegata a tempo pieno, ma hanno tagliato le spese e me l'hanno porta- ta via. Adesso la ragazza che l'ha fatta entrare batte a macchina per tre ore al giorno. E poi ho Alan. Dove sono finite tutte le impiegate, signorina Starling?» Gli occhiali parvero lampeggiare. «È armata?» biamo bisogno dei risultati dei test. Se Lecter la considera un nemico... se è fissato su di lei, come ha detto, potremo avere più fortuna qualora l'af- frontassi da sola. Cosa ne pensa?» Un tic fece fremere la guancia di Chilton. «Per me va bene. Avrebbe po- tuto suggerirlo nel mio ufficio. Avrei mandato con lei un inserviente e a- vrei risparmiato tempo.» «Probabilmente l'avrei suggerito se mi avesse fornito subito le istruzio- ni.» «Non credo che la rivedrò più, signorina Starling... Barney, quando avrà finito con Lecter, suona e chiama qualcuno che l'accompagni fuori.» Chilton se ne andò senza degnarla di un'altra occhiata. Adesso erano rimasti soltanto l'inserviente grande e grosso e impassibile, l'orologio silenzioso dietro di lui e l'armadietto con le ante a rete dove sta- vano il Mace e la camicia di forza, il bavaglio e la pistola che sparava tranquillanti. Su un supporto a muro c'era un lungo tubo di cui un'estremità terminava a U per bloccare il detenuto in caso di violenza. L'inserviente la guardò. «Il dottor Chilton le ha detto di non toccare le sbarre?» La voce era alta e roca. Clarice pensò che le ricordava Aldo Ray. «Sì, me l'ha detto.» «Bene. È dopo tutti gli altri, l'ultima cella a destra. Quando passa si ten- ga al centro del corridoio e non dia ascolto a nessuno. Può portargli la po- sta, così partirà con il piede giusto.» L'inserviente sembrava divertito. «Ba- sta che la metta sul vassoio e spinga. Se il vassoio è all'interno, può tirarlo con il cordone, oppure lo manderà Lecter. Non può arrivare fino a lei nel punto dove il vassoio si ferma all'esterno.» Le diede due riviste con le pa- gine sciolte, tre giornali e diverse lettere già aperte. Il corridoio era lungo una trentina di metri, con le celle sui due lati. Al- cune erano celle imbottite con uno spioncino al centro della porta, lunghe e strette come feritoie. Altre erano comuni celle di prigione, con una parete di sbarre che si apriva sul corridoio. Clarice Starling vedeva le figure nelle celle, ma cercava di non guardarle. Era arrivata a metà del percorso quan- do una voce sibilò: «Sento l'odore della tua fica». Lei non diede segno di aver sentito e proseguì. Nell'ultima cella le luci erano accese. Clarice si portò verso il lato sini- stro del corridoio per vedere nell'interno mentre si avvicinava. Sapeva che il suono dei tacchi aveva annunciato la sua visita. 3 La cella del dottor Lecter è al di là delle altre: di fronte c'è soltanto uno sgabuzzino. Ed è unica sotto altri aspetti. C'è una parete di sbarre: ma al- l'interno di quella, a una distanza maggiore della lunghezza di un braccio umano, ce n'è una seconda, una solida rete di nailon che va dal pavimento al soffitto e da muro a muro. Al di là della rete, Clarice scorse un tavolo imbullonato al pavimento, carico di libri in brossura e di fogli, e una sedia, imbullonata anche quella. Il dottor Hannibal Lecter era sdraiato sulla branda e sfogliava l'edizione italiana di "Vogue". Teneva le pagine sciolte nella destra e se le posava ac- canto, una a una, con la sinistra. La mano sinistra del dottor Lecter aveva sei dita. Clarice si fermò poco più in là delle sbarre, più o meno alla distanza di un piccolo vestibolo. «Dottor Lecter.» Le sembrava che la sua voce fosse abbastanza naturale. Lui alzò gli occhi dalla rivista. Per un secondo vertiginoso Clarice ebbe la sensazione che quello sguar- do emettesse un ronzio. In realtà sentiva soltanto il rombo del proprio san- gue. «Mi chiamo Clarice Starling. Posso parlare con lei?» La cortesia era im- plicita nella distanza e nel tono. Il dottor Lecter rifletté, premendosi l'indice contro le labbra contratte. Poi si alzò senza tretta e avanzò nella sua gabbia. Si fermò vicino alla rete di nailon senza guardarla, come se avesse scelto lui la distanza. Clarice vide che era piccolo e agile; le braccia e le mani erano forti e nervose. «Buongiorno» disse il dottor Lecter, come se fosse andato ad aprire la porta a una sconosciuta. La voce educata aveva una leggera sfumatura me- tallica e graffiante, forse dovuta al fatto che parlava poco. Gli occhi del dottor Lecter erano marroni, e riflettevano la luce trasfor- mandola in puntini rossi. A volte i punti luminosi sembravano volare come scintille. Quegli occhi scrutavano Clarice Starling. Lei si avvicinò un poco di più alle sbarre, misurando con attenzione la distanza. I peli sulle braccia le si rizzarono contro l'interno delle maniche. «Dottore, noi abbiamo un grave problema con un profilo psicologico. Voglio chiedere il suo aiuto.» «Per "noi" intende Scienza del Comportamento a Quantico. Lavora per Jack Crawford, immagino.» «Sì.» «Posso vedere le sue credenziali?» Questo non se l'era aspettato. «Le ho già mostrate in... in ufficio.» «Vuol dire che le ha mostrate a Frederick Chilton, libero docente?» «Sì.» «E lei ha visto le sue credenziali?» «No.» «Quelle accademiche non costituiscono una lettura molto estesa, posso assicurarle. Ha conosciuto Alan? Non è simpatico? Con quale dei due pre- ferirebbe parlare?» «Tutto sommato, direi Alan.» «Potrebbe essere una giornalista che Chilton ha fatto entrare dietro pa- gamento. Credo di avere il diritto di vedere le sue credenziali.» «D'accordo.» Clarice mostrò il tesserino di plastica. «Non posso leggerlo a questa distanza. Me lo passi, per favore.» «Non posso.» «Perché è duro.» «Sì.» «Lo chieda a Barney.» L'inserviente venne e considerò il problema. «Dottor Lecter, lascerò pas- sare il tesserino. Ma se non lo restituisce quando glielo chiedo, se dovremo disturbare qualcuno per riprenderlo, allora mi arrabbierò. Se mi arrabbierò, dovrà tenere la camicia di forza finché non mi sarò calmato. Pasti con la sonda, pannolini cambiati due volte al giorno... tutto quanto. E non le darò la posta per una settimana. Ha capito bene?» «Certamente, Barney.» Il tesserino passò sul vassoio e il dottor Lecter l'accostò alla luce. «Un'allieva? Qui c'è scritto allieva. Jack Crawford ha mandato un'allieva per interrogarmi?» Si batté il tesserino contro i denti piccoli e candidi e ne aspirò l'odore. «Dottor Lecter» disse Barney. «Certo.» Il dottor Lecter rimise il tesserino sul vassoio e Barney lo ritirò. «Sono ancora allieva all'Accademia, infatti» disse Clarice. «Ma non stiamo parlando dell'FBI... stiamo parlando di psicologia. È in grado di de- cidere da solo se sono abbastanza qualificata negli argomenti di cui parle- remo?» «Uhmmmm» disse il dottor Lecter. «Per la verità... è piuttosto subdolo da parte sua. Barney, non credi che l'agente Starling dovrebbe avere una «La parola giusta è semplicistico. In effetti, in gran parte la psicologia è puerile, agente Starling, e quella praticata a Scienza del Comportamento è allo stesso livello della frenologia. Già in partenza, la psicologia non può contare su un buon materiale. Vada nella facoltà di psicologia di qualun- que college e dia un'occhiata a studenti e insegnanti: radioamatori é altri eccentrici, affetti da carenza della personalità. Non sono certo le menti mi- gliori del campo. Organizzati e disorganizzati... una pensata molto medio- cre.» «Lei come cambierebbe la classificazione?» «Non la cambierei.» «A proposito di pubblicazioni, ho letto i suoi pezzi sull'assuefazione alla chirurgia e sulle espressioni della metà destra e della metà sinistra del vi- so.» «Sì, erano di prim'ordine» disse il dottor Lecter. «L'ho pensato anch'io, e anche Jack Crawford. È stato lui a segnalarmeli. Anche per questa ragione è ansioso di...» «Crawford lo Stoico è ansioso? Deve avere molto da fare, se recluta i collaboratori tra gli allievi.». «È vero. E vuole...» «È occupato con Buffalo Bill.» «Immagino di sì.» «No, lei non lo immagina, agente Starling. Lei sa molto bene che si trat- ta di Buffalo Bill. Ho pensato subito che Jack Crawford l'ha mandata a chiedermi questo.» «No.» «Allora non fa niente per evitare questa impressione.» «No, sono venuta perché abbiamo bisogno del suo...» «Che cosa sa di Buffalo Bill?» «Nessuno ne sa molto.» «È stato pubblicato tutto sui giornali?» «Credo. Dottor Lecter, io non ho visto nessun materiale riservato sul ca- so, il mio compito è...» «Quante donne ha fatto fuori Buffalo Bill?» «La polizia ne ha trovate cinque.» «Tutte scuoiate?» «Parzialmente, si.» «I giornali non hanno mai spiegato il suo soprannome. Lei sa perché lo chiamano Buffalo Bill?» «Sì.» «Me lo dica.» «Glielo dirò se darà un'occhiata al questionario.» «Gli darò un'occhiata, e basta. Ora mi dica il perché.» «È cominciato con una battuta di cattivo gusto alla squadra omicidi di Kansas City.» «Sì...?» «Lo chiamano Buffalo Bill perché scuoia le prede.» Clarice Starling si era accorta che non si sentiva più spaventata, ma si sentiva volgare. Tra le due cose, preferiva lo spavento. «Mi passi il questionario.» Clarice passò la sezione azzurra per mezzo del vassoio e rimase in silen- zio mentre Lecter la sfogliava. Il dottor Lecter la lasciò cadere nuovamente nel vassoio. «Bene, agente Starling, crede davvero di potermi sezionare con un piccolo strumento spuntato?» «No. Credo che lei possa fornire indicazioni utili e far progredire questo studio.» «E quale ragione dovrei avere?» «La curiosità.» «Per che cosa?» «Per la ragione per cui è qui. Per ciò che le è successo.» «A me non è successo niente, agente Starling. Io esisto e basta. Non può ridurmi a una serie di influenze. Lei ha rinunciato al bene e al male per la scienza del comportamento, agente Starling. Ha messo i pannolini a tutti quanti... niente è mai colpa di qualcuno. Mi guardi. Se la sente di dire che sono malvagio? Sono malvagio, agente Starling?» «Credo che lei si sia comportato in modo distruttivo. Per me è la stessa cosa.» «Il male è soltanto distruttivo? Allora i temporali sono malvagi, se è tan- to semplice. E poi abbiamo gli incendi, e la grandine. Nelle polizze d'assi- curazione, tutti questi eventi sono accomunati sotto la dicitura "Atti di Dio".» «Se è voluto...» «Per passare il tempo faccio collezione di crolli di chiese. Ha visto quel- lo accaduto di recente in Sicilia? Meraviglioso! La facciata è crollata ad- dosso a sessantacinque nonne che assistevano a una messa speciale. È stato un atto malvagio? Se è così, chi lo ha commesso? Se c'è un Dio, si diverte, agente Starling. Febbre tifoide e cigni... provengono tutti dalla stessa fon- te.» «Non sono in grado di spiegarglielo, dottore, ma conosco chi può farlo.» Lecter la interruppe alzando la mano. Era una mano ben fatta, pensò Clarice, e il dito medio era duplicato perfettamente. Era la forma più rara di polidattilia. Quando Lecter riprese a parlare, il suo tono era sommesso e gentile. «A lei piacerebbe quantificarmi, agente Starling. È così ambiziosa, vero? Sa che cosa mi sembra, con la borsetta bella e le scarpe scadenti? Mi sembra una campagnola. Una campagnola benintenzionata e ben ripulita e con un pochino di buon gusto. I suoi occhi sono come pietre zodiacali da quattro soldi... la superficie brilla quando dà la caccia a una rispostina. E dietro quegli occhi è intelligente, vero? Le dispiace di non essere come sua ma- dre. Una buona alimentazione le ha permesso di diventare piuttosto alta, ma una generazione fa i suoi lavoravano nelle miniere, agente Starling. Sono gli Starling del West Virginia o gli Starling dell'Oklahoma, agente? C'era l'incertezza tra il college e le possibilità di una carriera nel Women's Army Corps, vero? Lasci che le dica qualcosa di preciso sul suo conto, al- lieva Starling. Nella sua stanza ha una sfilza di perline d'oro, di quelle che si aggiungono via via, e prova un senso di fastidio ogni volta che le guarda e vede quanto sono volgari, non è così? Tutti quei ringraziamenti noiosi, tutto quanto, ogni volta per ogni perlina. Noioso. Noioso. Seccante. Essere intelligenti rovina molte cose, no? E il buon gusto non è gentile. Quando penserà a questo colloquio, ricorderà l'animale stupido, la sua faccia ferita quando si è sbarazzata di lui. «Se la collana di perline è diventata banale, cos'altro lo diventerà con il passare del tempo? Se lo domanda la notte, no?» chiese il dottor Lecter con il tono più gentile. Clarice alzò la testa per fronteggiarlo. «Lei vede molte cose, dottor Lec- ter. Non starò a smentire tutto quello che ha detto. Ma ecco la domanda al- la quale sta rispondendo adesso, lo voglia o no: È abbastanza forte per ri- volgere verso se stesso la sua acutissima percezione? È difficile. Me ne sono accorta negli ultimi minuti. Cosa ne dice? Guardi dentro di sé e scriva la verità. Come potrebbe trovare un soggetto più adatto e più complicato? O forse ha paura di se stesso?» «È un tipo duro, vero, agente Starling?» «Abbastanza duro, sì.» «E non sopporterebbe di dover pensare che è comune. Le brucerebbe, Clarice Starling era emozionata, esausta, e stava in piedi con uno sforzo di volontà. Alcune delle cose che Lecter aveva detto su di lei erano vere, altre sfioravano la verità. Per qualche secondo le parve che una coscienza estranea si scatenasse nella sua mente e buttasse giù tutte le cose dagli scaffali, come un orso in una roulotte. Era furiosa per ciò che le aveva detto di sua madre; e doveva liberarsi della collera. Si trattava di lavoro. Sedette a bordo della sua vecchia Pinto, di fronte all'ospedale, e trasse un respiro profondo. Quando i finestrini si appannavano, era un po' riparata dagli sguardi di coloro che passavano sul marciapiede. Raspail. Ricordava quel nome. Era stato un paziente di Lecter e una del- le sue vittime. Aveva avuto a disposizione soltanto una serata per esamina- re il materiale relativo a Lecter. Il dossier era molto voluminoso e Raspail era stato una delle tante vittime. Doveva leggere i dettagli. Clarice avrebbe voluto precipitarsi; ma si rendeva conto che la fretta era lei a crearla. Il caso Raspail era stato chiuso anni prima. Nessuno era in pe- ricolo. Aveva tempo. Doveva cercare informazioni e consigli prima di pro- cedere. Crawford avrebbe potuto toglierle il caso e affidarlo a qualcun altro. Era un rischio che doveva correre. Cercò di chiamarlo da una cabina telefonica, ma seppe che era andato a mendicare fondi per il Dipartimento della Giustizia davanti alla Sotto- commissione della Camera per gli Stanziamenti. Avrebbe potuto chiedere i dettagli sul caso alla divisione omicidi della polizia di Baltimora: ma l'omicidio non è un reato federale, e sapeva senza il minimo dubbio che si sarebbero rifiutati di collaborare. Tornò a Quantico, a Scienza del Comportamento, con le modeste tende a quadretti marrone e i fascicoli grigi pieni di incubi. Ci rimase fino a sera inoltrata, dopo che fu uscita anche l'ultima segretaria, a esaminare i micro- film sul caso Lecter. Il vecchio visore bizzoso splendeva come un fuoco fatuo nella stanza buia, e le parole e i negativi delle foto le scorrevano da- vanti al volto contratto. Raspail, Benjamin René, maschio bianco di 46 anni, era primo flautista dell'Orchestra Filarmonica di Baltimora. Era un paziente dello psichiatra dottor Hannibal Lecter. Il 22 marzo 1975 non si era presentato per un concerto a Baltimora. Il 25 marzo il suo cadavere fu scoperto seduto in un banco di una chiesetta di campagna presso Falls Church, in Virginia. Aveva addosso soltanto il cra- vattino bianco e la marsina. L'autopsia aveva rivelato che il cuore di Ra- spail era stato trapassato, e che erano stati asportati il timo e il pancreas. Clarice Starling, che fin dall'infanzia aveva sempre saputo sulla lavora- zione della carne molto più di quanto desiderasse sapere, riconobbe che gli organi mancanti erano quelli chiamati genericamente "animelle". Alla squadra omicidi di Baltimora erano convinti che quegli organi a- vessero figurato sul menù di una cena che Lecter aveva offerto al presiden- te e al direttore della Filarmonica la sera dopo la sparizione di Raspail. Il dottor Hannibal Lecter sosteneva di non saperne nulla. Il presidente e il direttore della Filarmonica testimoniarono di non ricordare cos'era stato servito alla cena di Lecter, sebbene questi fosse noto per l'eccellenza della sua tavola e collaborasse con numerosi articoli a varie riviste di gastrono- mia. In seguito il presidente della Filarmonica fu curato per anoressia e pro- blemi di alcolismo in un ospedale generico per malattie nervose, a Basilea. Secondo la polizia di Baltimora, Raspail era la nona vittima conosciuta di Lecter. Raspail era morto senza lasciare testamento, e le cause legali intentate dai vari parenti per l'eredità erano state seguite dai giornali per diversi me- si, fino a quando l'interesse del pubblico era declinato. Inoltre, i parenti di Raspail si erano associati alle famiglie delle altre vit- time che erano state pazienti di Lecter, in un'azione per ottenere che le car- telle cliniche e le registrazioni dello psichiatra pazzo venissero distrutte. Era impossibile sapere quali segreti imbarazzanti poteva aver rivelato il ca- ro estinto, pensavano; e le cartelle cliniche costituivano una documenta- zione. Il tribunale aveva nominato esecutore testamentario di Raspail il suo av- vocato, Everett Yow. Clarice Starling avrebbe dovuto rivolgersi all'avvocato per arrivare alla macchina. Era possibile che Yow tendesse a proteggere la memoria di Ra- spail e, se fosse stato avvertito con un po' d'anticipo, fosse capace di di- struggere le prove per coprire il cliente defunto. Clarice preferiva agire di sorpresa, e aveva bisogno di consigli e di u- n'autorizzazione. Era sola a Scienza del Comportamento, e poteva fare ciò che voleva. Trovò il numero di casa di Crawford nel Rolodex. Non sentì squillare il telefono: ma all'improvviso risuonò la voce, calma e sommessa. «Jack Crawford.» «Sono Clarice Starling. Spero che non fosse a cena...» Clarice dovette continuare nel silenzio. «Oggi Lecter mi ha detto qualcosa a proposito del caso Raspail. Ora sono in ufficio a controllare. Mi ha detto che c'è qualco- sa nella macchina di Raspail: devo arrivarci tramite il suo avvocato e dato che domani è sabato e non c'è scuola... volevo chiederle se...» «Starling, si ricorda quel che le avevo detto di fare con le informazioni ottenute da Lecter?» La voce di Crawford era così terribilmente quieta. «Dovevo consegnarle un rapporto entro le nove di domenica.» «Lo faccia, Starling. Faccia esattamente ciò che le ho detto.» «Sissignore.» Il suono del ricevitore che veniva riattaccato le ferì l'orecchio. L'umilia- zione le fece bruciare gli occhi. «Bravo, stronzo fottuto» disse. «Vecchio mascalzone. Lurido figlio di puttana. Prova a lasciare che Miggs schizzi addosso a te e vedremo se ti diverte.» Tutta ripulita e insaccata nella camicia da notte dell'Accademia, Clarice Starling stava preparando la seconda stesura del rapporto quando la sua compagna di dormitorio, Ardelia Mapp, arrivò dalla libreria. Il largo viso bruno e razionale di Ardelia era una delle cose più gradite che le fosse ca- pitato di vedere in quella giornata. Ardelia Mapp notò la sua aria stanca. «Che cos'hai fatto oggi, ragazza mia?» Ardelia Mapp faceva sempre le domande come se le risposte non facessero nessuna differenza. «Ho cercato di sedurre un pazzo mentre ero tutta coperta di sperma.» «Vorrei avere anch'io un po' di tempo per fare la vita di società... non so proprio come ci riesci, con la scuola e tutto.» Clarice scoppiò a ridere. Ardelia Mapp rise con lei, per quello che pote- va valere la battuta scherzosa. Clarice Starling non smise: si sentiva ridere come da una grande distanza. Attraverso le lacrime che le riempivano gli occhi, la Mapp le sembrava stranamente vecchia, e il suo sorriso era triste. 5 Jack Crawford, cinquantatré anni, legge seduto in poltrona accanto a una lampada, nella camera da letto di casa sua. È rivolto verso due grandi letti, tutti e due montati su blocchi in modo da raggiungere l'altezza dei letti di ospedale. Uno è il suo; nell'altro c'è sua moglie Bella. Crawford la sente Nel corso di Procedure Investigative aveva ottimi voti, e avrebbe avuto la possibilità di rivolgere domande di carattere generale ai suoi istruttori. Durante il pranzo di lunedì, il personale addetto al Tribunale della Con- tea di Baltimora la mise per tre volte in lista d'attesa e per tre volte la di- menticò. Nei periodi di studio, si mise in contatto con un amico, cancellie- re del tribunale, che prese in esame la pratica per l'approvazione del testa- mento di Raspail. Il cancelliere confermò che era stato accordato il permesso per la vendita di un'automobile, e le comunicò la marca e il numero di serie, e il nome di un successivo proprietario che risultava dalla pratica del trapasso. Il martedì Clarice sprecò metà dell'ora di pranzo cercando di rintracciare quel nome. E le costò il resto dell'ora accertare che il Dipartimento della Motorizzazione del Maryland non è attrezzato per identificare un veicolo in base al numero di serie, ma solo in base al numero di registrazione o alla targa attuale. Il martedì pomeriggio un acquazzone costrinse gli allievi a fuggire dal poligono di tiro. In una sala delle riunioni praticamente invasa dal vapore degli indumenti bagnati e del sudore, John Brigham, l'ex marine che era i- struttore d'armi da fuoco, decise di mettere alla prova la forza della mano della Starling di fronte al resto della classe, controllando quante volte riu- sciva a premere il grilletto di una Smith & Wesson modello 19 in sessanta secondi. Clarice riuscì ad arrivare a settantaquattro con la mano sinistra, si scostò con un soffio una ciocca di capelli dagli occhi e ricominciò con la mano destra mentre un altro studente contava. Era nella posizione Weaver, ben piantata, con il mirino anteriore a fuoco, il mirino posteriore e il bersaglio improvvisato debitamente sfuocati. A metà del minuto, lasciò che la sua mente divagasse per distoglierla dal dolore. Il bersaglio appeso al muro si mise a fuoco. Era un attestato di riconoscimento della divisione di Polizia del Commercio Interstatale, a favore del suo istruttore, John Brigham. Interrogò Brigham storcendo la bocca mentre l'altro allievo contava gli scatti della pistola. «Come di può rintracciare l'attuale registrazione...» «...sessantacinquesessantaseisessantasettesessanta....» «...di una macchina, quando si conosce soltanto il numero di serie...» «...settantottosettantanoveottantaoitantuno...» «...e la marca? Non c'è l'attuale numero di targa.» «...ottantanovenovanta. Tempo scaduto.» «Bene, gente» disse l'istruttore. «Voglio che ne prendiate nota. La forza della mano è un fattore fondamentale quando c'è da sparare. Qualcuno di voi, signori, ha paura che lo chiami. È una preoccupazione giustificata... la Starling è molto al di sopra della media con entrambe le mani. Perché s'impegna. S'impegna con quei piccoli meccanismi a molla che potete usa- re tutti. Molti di voi non sono abituati a schiacciare niente di più duro del vostro...» Sempre attento a non usare la terminologia del marine, Brigham cercò a tentoni un paragone decente. «Niente di più duro di un pistolino» disse finalmente. «Siamo seri, Starling, neppure tu sei tanto brava. Voglio vederti usare più di novanta volte la mano sinistra, prima di diplomarti. Ora ognuno di voi si scelga un compagno e cronometratevi l'uno con l'al- tro... avanti, su!» «Tu no, Starling, vieni qui. Cos'altro sai della macchina?» «Solamente il, numero di serie e la marca, ecco tutto. Ha avuto un solo proprietario in precedenza, cinque anni fa.» «Bene, ascolta. Molti commettono la cazz... la cavolata di cercare di sal- tare nelle registrazioni da un proprietario all'altro. Ci si impantana da uno stato all'altro. Voglio dire, a volte lo fanno anche i poliziotti. Il computer non ha altro che registrazioni e numeri di targa. Siamo tutti abituati a ser- virci dei numeri di targa e di registrazione, non dei numeri di serie del vei- colo.» Gli scatti delle pistole da allenamento risuonavano in tutta la sala, e Bri- gham doveva parlarle a voce piuttosto alta nell'orecchio. «C'è un sistema facile. La R.L. Polk & Company pubblica gli annuari e gli elenchi cittadini... e anche una lista delle attuali registrazioni delle mac- chine secondo la marca e il numero di serie progressivo. È l'unica soluzio- ne. I commercianti di automobili gli passano parecchia pubblicità. Come mai hai pensato di chiederlo a me?» «Eri nel settore addetto al Commercio Interstatale, quindi ho immagina- to che avessi rintracciato una quantità di veicoli. Grazie.» «Se vuoi ripagarmi... datti da fare con la mano sinistra, e fai arrossire di vergogna qualcuno di quei tipi con le dita di pasta frolla.» Durante il periodo di studio Clarice tornò nella cabina telefonica. Le mani le tremavano tanto che i suoi appunti erano appena leggibili. La mac- china di Raspail era una Ford. C'era un concessionario Ford vicino all'Uni- versità della Virginia che da anni faceva tutto il possibile, con molta pa- zienza, per la sua Pinto. E adesso, con la stessa pazienza, il concessionario consultò l'elenco Polk. Tornò al telefono e comunicò il nome e l'indirizzo dell'ultima persona che aveva registrato la macchina di Benjamin Raspail. Clarice è in marcia, Clarice ha in pugno la situazione... Finiscila con queste sciocchezze e chiama quel tale a casa sua... vediamo un po'... Num- ber Nine Ditch, Arkansas. Jack Crawford non mi lascerà mai andare lag- giù, ma almeno potrò dirgli con sicurezza chi ha la macchina. Nessuna risposta. Richiamò e anche stavolta non ebbe risposta. Lo squil- lo sembrava strano e lontanissimo, un doppio rump-rump come di un duplex. Riprovò di sera, ma non rispose nessuno. Il mercoledì, all'ora di pranzo, un uomo rispose alla chiamata di Clarice. «WPOQ trasmette le vecchie canzoni.» «Pronto? Le telefono per...» «Non voglio rivestimenti d'alluminio e non desidero vivere in un cam- ping in Florida. Che altro ha da offrirmi?» Clarice Starling sentiva le colline dell'Arkansas nella voce dell'uomo. Sapeva parlare con quell'accento, quando voleva, e non aveva molto tem- po. «Sissignore, se potesse aiutarmi le sarei molto obbligata. Sto cercando il signor Lomax Bardwell. Sono Clarice Starling.» «È una certa Starling» gridò l'uomo rivolgendosi a chissà chi. «Che cosa vuole da Bardwell?» «È l'ufficio regionale della divisione assistenza della Ford. Il signor Bar- dwell ha diritto a un lavoro gratuito di revisione sulla sua LTD.» «Bardwell sono io. Avevo paura che cercasse di vendermi qualcosa per interurbana. Però è troppo tardi per una revisione, ho bisogno di una mac- china nuova. Io e mia moglie eravamo a Little Rock e uscivamo dal Sou- thland Mall...» «Sì, signore.» «Un maledetto pistone ha sfondato la coppa dell'olio. Olio dappertutto, e intanto che cosa arriva se non un camion? Finisce in pieno sull'olio e si mette di traverso.» «Santo cielo.» «Ha tirato giù la cabina per le foto automatiche, e il vetro è piovuto tutto per terra. Il tipo che era nella cabina è uscito fuori rimbecillito. Ho fatto fa- tica a tenerlo lontano, se no finiva in mezzo alla strada.» «Ma no! E poi che cosa è successo?» «Cosa è successo a che cosa?» «Alla macchina.» «Ho detto a Buddy Sipper, lo sfasciacarrozze, che poteva averla per cin- come rottame per il riciclaggio. Forse, se tornassi a parlare con Lecter, mi direbbe qualcosa d'altro.» «Ha esaurito la pista?» «Sì.» «Perché pensa che la macchina che Raspail guidava fosse anche l'unica di sua proprietà?» «Era l'unica registrata, lui era scapolo, quindi ho immaginato...» «Aha, un momento.» Crawford puntò l'indice verso un principio invisi- bile che aleggiava nell'aria tra loro. «Lei ha immaginato. Guardi qui.» Crawford scrisse immaginato su un blocco per appunti. Alcuni degli istrut- tori di Clarice Starling avevano preso quest'abitudine da Crawford, ma lei non diede a vedere di conoscerla già. Crawford cominciò a sottolineare. «Se lei immagina quando le affido un lavoro, farà la figura dell'idiota e così la farà fare anche a me.» Si stirac- chiò sulla sedia, con aria compiaciuta. Raspail faceva collezione di auto- mobili. Lo sapeva?» «No. E adesso chi le ha?» «Questo non lo so. Crede di poter riuscire a scoprirlo?» «Sì, certo.» «Da dove intende cominciare?» «Dall'esecutore testamentario.» «Un avvocato di Baltimora. Un cinese, mi sembra di ricordare» disse Crawford. «Everett Yow» disse Clarice Starling. «È nell'elenco telefonico di quella città.» «Ha pensato a chiedere un mandato per perquisire la macchina di Ra- spail?» Qualche volta il tono di Crawford ricordava a Clarice il bruco saccente di Alice. Tuttavia non osò ribattere con troppa energia. «Dato che Raspail è dece- duto e non era sospettato di niente, se avremo dall'esecutore testamentario il permesso di perquisire la macchina, sarà una procedura regolare; e il ri- sultato sarà una prova accettabile secondo la legge» recitò. «Appunto» disse Crawford. «Senta che cosa faremo. Avvertirò il nostro ufficio di Baltimora che lei andrà là. Sabato, Starling, nel suo tempo libero. Vada e trovi qualcosa, se c'è.» Crawford fece un piccolo sforzo per non seguirla con gli occhi quando uscì. Con due dita ripescò dal cestino un foglio appallottolato di carta da lettere color malva. Lo spiegò sulla scrivania. Parlava di sua moglie e di- ceva, in una grafia corretta: O scuole disputanti che chiedete qual fuoco Brucerà questo mondo, nessuno ha mai pensato Di domandar se a volte non fosse Quella febbre che arde la Tua donna? Mi dispiace moltissimo per Bella, Jack. Hannibal Lecter 8 Everett Yow guidava una Buick nera con l'adesivo della De Paul University sul lunotto posteriore. Il suo peso sbilanciava un po' la Buick sulla sinistra mentre Clarice Starling lo seguiva fuori Baltimora, sotto la pioggia. Era quasi buio. La giornata di Clarice dedicata all'indagine era quasi passata, e non ne aveva a disposizione un'altra. Cercava di dominare l'impazienza tamburellando sul volante al ritmo del movimento dei tergi- cristalli mentre il traffico avanzava lentamente sulla Strada 301. Yow era intelligente, grasso, e aveva difficoltà a respirare. Clarice pen- sava che dovesse avere una sessantina d'anni. Finora era stato accomodan- te. La giornata persa non era colpa sua; l'avvocato di Baltimora era tornato nel tardo pomeriggio da un viaggio d'una settimana a Chicago, ed era an- dato direttamente dall'aeroporto in ufficio per incontrarsi con lei. La Packard classica di Raspail era stata messa in magazzino molto tem- po prima della sua morte, spiegò Yow. Non aveva la targa e non era mai stata usata. L'avvocato l'aveva vista una volta, coperta e nel capannone, per confermarne l'esistenza per l'inventario che aveva compilato poco dopo l'assassinio del suo cliente. Se l'agente Starling avesse accettato di "rivelare subito e francamente" tutto ciò che avrebbe scoperto e che avrebbe potuto essere dannoso per la reputazione del defunto, disse, le avrebbe mostrato l'automobile senza bisogno di un mandato e di altre seccature. Clarice Starling si godeva, per quel giorno, l'uso di una Plymouth del parco macchine dell'FBI con tanto di radiotelefono; e aveva un tesserino nuovo fornito da Crawford. Diceva semplicemente INVESTIGATORE FEDERALE... e scadeva di lì a una settimana. La loro destinazione era lo Split City Mini-Storage, circa sette chilome- tri fuori dai confini della città. Mentre avanzava adagio a causa del traffi- co, Clarice si servì del radiotelefono per scoprire qualcosa di più sul ma- gazzino. Prima ancora di avvistare l'insegna arancione, SPLIT CITY MINI-STORAGE - LA CHIAVE LA TENETE VOI, aveva imparato qual- che particolare. Lo Split City aveva una licenza della Commissione Interstatale per il Commercio, intestata a Bernard Gary. Un gran giurì federale non era riu- scito, tre anni prima, a incriminare Gary per trasporto interstatale di merci rubate, e la sua licenza era in corso di revisione. Yow svoltò sotto l'insegna e mostrò le sue chiavi a un giovanotto in uni- forme che stava di guardia al cancello. Il giovane annotò i numeri di targa, aprì e accennò di passare con un gesto impaziente, come se avesse cose molto più importanti da fare. Split City è un posto squallido e ventoso. Come il volo domenicale dei divorzi dall'aeroporto La Guardia a Juarez, rappresenta un servizio per l'ir- razionale moto browniano della nostra popolazione; quasi tutto ciò che vi viene custodito è il frutto delle spartizioni che seguono i divorzi. I suoi ca- pannoni sono pieni di mobili da soggiorno, tinelli, materassi macchiati, giocattoli e fotografie di legami che non hanno funzionato. I dipendenti dell'ufficio dello sceriffo della Contea di Baltimora sono convinti, inoltre, che Split City nasconda parecchia roba di valore sottratta ai tribunali falli- mentari. Somiglia a un'installazione militare: dieci ettari di lunghi capannoni, suddivisi da muri antincendio in unità grandi come spaziosi garage singoli, ognuna con la saracinesca. Le tariffe sono ragionevoli e parte del materiale è lì da anni. Il servizio di sicurezza è efficiente. Il deposito è circondato da due recinzioni, e nello spazio intermedio si aggirano i cani da guardia, ven- tiquattr'ore su ventiquattro. Uno strato di quindici centimetri di foglie fradice, bicchieri di carta e al- tri rifiuti s'era ammucchiato alla base della porta dell'unità di Raspail, la numero 31. Un robusto lucchetto bloccava la porta da ogni lato. Su quello di sinistra c'era un sigillo. Everett Yow si chinò con un movimento rigido. Nell'oscurità appena discesa, Clarice reggeva un ombrello e una lampada tascabile. «Sembra non sia stata aperta da quando sono venuto qui cinque anni fa» disse. «Vede? Nella plastica è impresso il mio sigillo notarile. A quell'epo- ca non immaginavo che i patenti fossero tanto litigiosi e che l'approvazio- ne del testamento si sarebbe trascinata per tanto tempo.» gliere le prove stretto contro l'obiettivo della macchina fotografica, e si era legata i pantaloni alle caviglie con il suo fazzoletto e con quello che le a- veva dato Yow. La pioggerella le bagnava il viso, e l'odore di topi e di muffa le assaliva le narici. Quella che le venne in mente fu, per un caso as- surdo, una frase latina. Il suo insegnante di medicina legale l'aveva scritta sulla lavagna il gior- no della prima lezione, ed era il motto dei medici romani: Primum non no- cere. Per prima cosa, non nuocere. Ma non l'aveva detto in un garage pieno di stramaledetti topi. E all'improvviso risuonò la voce di suo padre. Le parlava tenendo la ma- no sulla spalla di suo fratello. «Se non sei capace di giocare senza strillare, Clarice, torna in casa.» Abbottonò il colletto della blusa, alzò le spalle intorno al collo e scivolò sotto la porta. Era sotto la parte posteriore della Packard. Là macchina era parcheggiata sul lato sinistro del magazzino e quasi toccava il muro. Sul lato destro c'era una catasta di scatoloni che riempiva lo spazio accanto alla macchina. Cla- rice continuò a strisciare sul dorso fino a quando sporse la testa nello stret- to varco tra la Packard e le scatole. Puntò il fascio di luce verso l'alto. Pa- recchi ragni avevano tessuto le tele in quello spàzio limitato. Erano quasi tutte ragnatele rotonde, costellate da minuscole carcasse raggrinzite e av- volte in bozzoli. Bene, l'unico ragno che può far paura è quello bruno, e non fa tele al- l'aperto, si disse Clarice. Gli altri sono quasi innocui. C'era abbastanza spazio per alzarsi dietro il paraurti posteriore. Clarice si girò fino a quando uscì da sotto là macchina, con la faccia vicina alla gomma dalla fascia bianca. Era tutta scrostata, ma vi si leggeva ancora la scritta GOODYEAR DOUBLE EAGLE. Clarice stette attenta a non urtare la testa, si alzò nello spazio stretto tenendo la mano davanti al viso per rompere le ragnatele. Era quella l'impressione, che si provava quando si portava un velo? Dall'esterno le arrivò la voce del signor Yow. «Tutto bene, signorina Starling?» «Tutto bene» rispose lei. Al suono della sua voce vi furono minuscoli fruscii, e qualcosa, all'interno di un pianoforte, fece udire alcune note alte. I fari della Plymouth le illuminavano le gambe fino al polpaccio. «Ha trovato il piano, agente Starling» disse il signor Yow. «Non ero io.» «Oh.» La macchina era grande, alta e lunga. Una berlina Packard del 1938, se- condo l'inventario di Yow. Era coperta da un tappeto, con il pelo all'inter- no. Clarice vi fece scorrere sopra la luce della lampada tascabile. «È stato lei a mettere il tappeto, signor Yow?» «Ho trovato la macchina così e non l'ho mai scoperta» rispose l'avvocato attraverso la porta. «Non potrei spostare un tappeto impolverato. Era stato Raspail a sistemare tutto. Io mi sono limitato ad assicurarmi che la mac- china ci fosse. I miei traslocatori hanno messo il piano contro il muro, l'hanno coperto, hanno ammucchiato altri scatolom accanto alla macchina e se ne sono andati. Li pagavo un tanto all'ora. Gli scatoloni contengono soprattutto fogli di musica e libri.» Il tappeto era pesante; e quando Clarice Starling lo tirò, una nube di pol- vere si alzò nel fascio di luce della lampada, facendola starnutire due volte. Si alzò in punta di piedi per sollevare il tappeto sulla fiancata della vecchia automobile. Le tendine dei finestrini posteriori erano tirate. La maniglia della portiera era coperta di polvere. Dovette sporgersi al di sopra degli scatoloni per toccarla. Riuscì ad arrivare all'estremità e cercò di abbassarla: era chiusa a chiave, e non c'era una serratura nella portiera posteriore. A- vrebbe dovuto spostare parecchi scatoloni per raggiungere la portiera ante- riore e c'era pochissimo spazio per sistemarli. Scorse un piccolo varco fra la tendina e la cornice del finestrino posteriore. Clarice si protese sopra le scatole per accostare l'occhio al vetro e fece filtrare il fascio di luce nella fenditura. Riuscì a scorgere solo la propria immagine riflessa, fino a quando coprì con la mano la parte superiore della lampada. Un filo di luce, diffuso dal vetro polveroso, si mosse sul sedile. C'era un album aperto. I colori erano fiochi nella poca luce, ma Clarice scorse i biglietti incollati sulle pagine. Erano vecchi biglietti di san Valen- tino, ornati di pizzi di carta. «Mille grazie, dottor Lecter.» Quando parlò, il suo alito sollevò la polve- re sul bordo del finestrino e appannò il vetro. Non voleva pulirlo, e dovette attendere che tornasse a schiarirsi. La luce continuò a muoversi, su un plaid caduto sopra il tappetino della macchina e sul luccichio polveroso di un paio di scarpe di vernice da uomo. Un paio di scarpe da sera. Sopra le scarpe, calzini neri, e sopra i calzini c'erano i pantaloni da smoking, con due gambe dentro. Nessunoèentratoquidacinque anni... Calma, calma, piccola. «Oh, signor Yow! Mi sente, signor Yow?» «Sì, agente Starling?» «Signor Yow, sembra che in macchina sia seduto qualcuno.» «Oh, santo cielo! È meglio che venga fuori, signorina Starling.» «Non subito. Lei mi aspetti lì, per favore.» Adesso è importante pensare. È molto più importante dì tutte le scioc- chezze che confiderai al tuo cuscino per il resto della tua vita. Respira profondamente e non sbagliare. Non voglio distruggere le prove. Ho biso- gno d'aiuto. Ma soprattutto non voglio dare un falso allarme. Se chiamo l'ufficio dì Baltimora e i poliziotti corrono qui per niente, sono fregata. Ho visto qualcosa che sembra un paio di gambe. Il signor Yow non mi avreb- be condotta qui se avesse saputo che c'era uno stecchito in macchina. Cla- rice riuscì a sorridere. "Stecchito"... era una spavalderia. Nessuno è stato più qui dopo l'ultima visita di Yow. D'accordo, significa che gli scatoloni sono stati portati dopo quello che c'è dentro alla macchina. E questo vuol dire che posso spostare le scatole senza perdere niente d'importante. «Tutto a posto, signor Yow?» «Sì. Dobbiamo chiamare la polizia oppure basta lei, agente Starling?» «Questo dovrò scoprirlo. Continui ad aspettare lì, per favore.» Il problema degli scatoloni era esasperante quanto il cubo di Rubik. Cla- rice cercò di lavorare tenendo la torcia elettrica sotto il braccio, la fece ca- dere due volte e alla fine la piazzò sopra la macchina. Doveva mettere gli scatoloni alle sue spalle, e alcuni dei più piccoli, quelli con i libri, poteva infilarli sotto l'automobile. Un morso di ragno o forse una scheggia le fa- ceva dolere il pollice. Adesso riusciva a vedere attraverso il vetro polveroso del finestrino an- teriore, dalla parte del passeggero. Un ragno aveva intessuto la tela tra il grande volante e la leva del cambio. Il vetro divisorio tra la parte anteriore e quella posteriore era chiuso. Clarice si rammaricava di non aver pensato a oliare la chiave della Pa- ckard prima di passare sotto la porta: ma quando la inserì nella serratura, funzionò. C'era spazio soltanto per aprire la portiera per circa un terzo, nello stretto varco: batté contro gli scatoloni con un tonfo che fece fuggire i topi e strappò altre note al pianoforte. Un odore stantio di putredine e di sostanze chimiche uscì dalla macchina e colpì la memoria di Clarice, evocando un luogo che non avrebbe saputo nominare. Si sporse all'interno, aprì il divisorio dietro il sedile dello chauffeur e puntò il fascio di luce della torcia elettrica nel compartimento posteriore. esserle utile: guardare la faccia con la lingua che cambiava colore dove toccava il vetro non era orribile come il pensiero di Miggs che inghiottiva la lingua nei suoi sogni. Si rendeva conto che poteva guardare qualunque cosa, se poteva fare qualcosa di positivo al riguardo. Clarice Starling era giovane. In dieci secondi, dopo che la sua unità mobile della WPIK-TV si fu fer- mata, Jonetta Johnson mise gli orecchini, s'incipriò il bel viso bruno e va- lutò la situazione. Lei e la sua troupe del telegiornale, dato che avevano a- scoltato la radio della polizia della Contea di Baltimora, erano arrivati a Split City precedendo addirittura le auto di pattuglia. Tutto ciò che la troupe vide inquadrato nella luce dei fari fu Clarice Star- ling, ritta davanti alla porta del garage con la torcia elettrica e il tesserino di plastica rigida e i capelli incollati alla testa dalla pioggerella. Jonetta Johnson era in grado di riconoscere una recluta novellina al pri- mo colpo d'occhio. Scese, seguita dalla troupe, e si avvicinò a Clarice. I ri- flettori si accesero. Il signor Yow si acquattò nella sua Buick. Soltanto il cappello rimase vi- sibile attraverso il finestrino. «Jonetta Johnson, telegiornale della WPIK, è stata lei a segnalare un o- micidio?» Clarice non aveva molto l'aria della rappresentante della legge e se ne rendeva conto. «Sono un agente federale, e questa è la scena di un delitto. Devo sorvegliarla finché le autorità di Baltimora...» L'assistente del cameraman aveva afferrato la porta del garage e stava cercando di sollevarla. «Fermo» ordinò Clarice Starling. «Sto parlando con lei, signore. Fermo. Indietro, per favore. Non sto scherzando. Mi aiuti.» Rimpiangeva di non avere un distintivo, un'uniforme... qualcosa, insomma. «Va bene, Harry» disse la giornalista. «Ah, agente, noi intendiamo col- laborare in tutti i modi. Francamente, questa troupe costa un pozzo di quat- trini e io voglio solo sapere se vale la pena di tenerla qui fino all'arrivo de- gli altri tutori della legge. Vuol dirmi se c'è un cadavere, là dentro? La te- lecamera non è in funzione, resterà fra noi. Me lo dica, e aspettiamo. Fa- remo i bravi, glielo prometto. D'accordo?» «Se fossi al suo posto, aspetterei» disse Clarice. «Grazie, non se ne pentirà» disse Jonetta Johnson. «Vede, ho certe in- formazioni sullo Split City Mini-Storage che forse potrebbero servirle. Vuole puntare la torcia elettrica sulla cartelletta? Vediamo se riesco a tro- varle.» «L'unità mobile della WEYE è appena entrata dal cancello, Joney» an- nunciò l'uomo che si chiamava Harry. «Vediamo se riesco a trovarle, agente... ecco qui. Ci fu uno scandalo un paio d'anni fa quando cercarono di provare che l'azienda trasportava e im- magazzinava... erano fuochi artificiali, mi sembra...» Jonetta Johnson lan- ciò un'occhiata al di là della spalla di Clarice, una volta di troppo. Clarice si voltò e vide il cameraman sdraiato supino, con la testa e le spalle all'interno del garage; l'assistente era accovacciato accanto a lui, pronto a passargli la minicamera sotto la porta. «Ehi!» gridò Clarice. Si lasciò cadere in ginocchio sul terreno bagnato e tirò l'uomo per la camicia. «Non può entrare! Ehi! Le ho detto di non far- lo.» Gli uomini continuavano a parlarle, gentilmente. «Non toccheremo nien- te. Siamo professionisti, non deve preoccuparsi. I poliziotti, tanto, ci lasce- ranno entrare. È tutto a posto, tesoro.» Quei modi suadenti da seduttori le fecero perdere la pazienza. Corse a uno dei cric da un lato della porta e azionò la leva. La porta si abbassò di cinque centimetri con uno stridore metallico. Clarice azionò la leva una seconda volta: adesso la porta toccava il petto dell'uomo. Quando vide che non si decideva a uscire, estrasse la leva e la portò accanto al ca- meraman. Adesso c'erano altri riflettori accesi: e in quel bagliore Clarice batté con forza la leva contro la porta facendo cadere sull'uomo una piog- gia di polvere e di ruggine. «Stia a sentire» disse. «Non vuole ascoltarmi, vero? Esca di lì. Immedia- tamente. O fra un secondo l'arresterò per aver ostacolato il corso della giu- stizia.» «Calma, calma» disse l'assistente, tendendo la mano verso di lei per toc- carla. Clarice si voltò di scatto. Al di là delle luci accecanti qualcuno gridò qualcosa. Poi si sentirono le sirene. «Giù le mani e indietro, amico.» Clarice montò sulla caviglia del came- raman e fronteggiò l'assistente con la leva del cric abbandonata lungo il fianco. Non l'alzò. E fu meglio. Già così sembrava terribile in televisione. 9 Gli odori del reparto violenti sembravano ancora più intensi nella semio- scurità. Un televisore acceso nel corridoio ma senza l'audio in funzione gettava l'ombra di Clarice Starling sulle sbarre della gabbia del dottor Lec- ter. Lei non riusciva a vedere nel buio al di là delle sbarre; ma non chiese al- l'inserviente di accendere le luci. Si sarebbe illuminato di colpo l'intero re- parto, e Clarice sapeva che i poliziotti della Contea di Baltimora avevano tenuto le lampade accese per ore e ore mentre urlavano le domande a Lec- ter. Lui si era rifiutato di parlare: si era limitato a fare un origami, un pul- cino di carta che beccava quando si alzava e si abbassava la coda. Infuria- to, l'ufficiale lo aveva schiacciato nel portacenere dell'atrio mentre faceva cenno a Clarice di entrare. «Dottor Lecter?» Clarice sentiva il proprio respiro, e i respiri che veni- vano da vari punti del corridoio... ma non dalla cella di Miggs. La cella di Miggs era immensamente vuota, e lei sentiva il silenzio come una corrente d'aria. Sapeva che Lecter la stava osservando dalla tenebra. Passarono due mi- nuti. Aveva le gambe e la schiena indolenzite dalla lotta con la porta del garage e i suoi indumenti erano fradici. Sedette sopra il cappotto, sul pa- vimento, lontano dalle sbarre e con i piedi ripiegati. Sollevò i capelli ba- gnati e spettinati al di sopra della blusa per scostarli dal collo. Dietro di lei, sul teleschermo, un predicatore agitava le braccia. «Dottor Lecter, sappiamo tutti e due di che cosa si tratta. Pensano che con me parlerà.» Silenzio. Qualcuno, nel corridoio, stava fischiettando Over the Sea to Skye. Dopo cinque minuti Clarice disse: «È stato strano, entrare là dentro. Vorrei parlargliene una volta o l'altra». Sussultò quando il vassoio rotolò fuori dalle sbarre della cella di Lecter. C'era un asciugamani pulito e ripiegato. Lei non aveva sentito nessun mo- vimento. Guardò l'asciugamani. Provò la sensazione di cadere. Lo prese e si stro- finò i capelli. «Grazie» disse. «Perché non mi chiede di Buffalo Bill?» La voce era vicina, e alla sua altezza. Anche Lecter doveva essere seduto sul pavimento. «Sa qualcosa di lui?» «Forse sì, se vedessi l'incartamento del caso.» «Non ce l'ho» disse Clarice. «E non avrà neppure questo caso, quando finiranno di servirsi di lei.» se ho subornato il signor Miggs per indurlo al suicidio? Non dica scioc- chezze. Tuttavia c'è una certa piacevole simmetria nel fatto che abbia in- ghiottito quella sua lingua malefica... non è d'accordo?» «No.» «Agente Starling, questa era una bugia. La prima che mi ha detto. U- n'occasione triste, direbbe Truman.» «Il presidente Truman?» «Lasciamo perdere. Perché pensa che l'abbia aiutata?» «Non lo so.» «È simpatica a Jack Crawford, vero?» «Non lo so.» «Probabilmente questo è falso. Vorrebbe piacergli. Mi dica, prova l'im- pulso di compiacerlo e questo la preoccupa. Diffida del suo impulso di compiacerlo?» «Tutti desiderano essere simpatici e benvoluti, dottor Lecter.» «Non tutti. Pensa che Jack Crawford la desideri sessualmente? Sono si- curo che adesso è molto frustrato. Pensa che immagini... scene rapporti... pensa che immagini di sbatterla?» «È una cosa che non mi incuriosisce affatto, dottor Lecter Ed è il genere di domanda che avrebbe fatto Miggs.» «Ora non più.» «È stato lei a suggestionarlo perché inghiottisse la lingua?» «La sua frase interrogativa ha il congiuntivo giusto. Con quell'accento, dev'essere dovuto a lunghe ore di studio. Evidentemente Crawford la trova simpatica e la giudica efficiente. E senza dubbio la strana confluenza degli eventi non le è sfuggita, Clarice... ha avuto l'aiuto di Crawford e anche il mio. Dice di non sapere perché Crawford l'aiuta... sa perché io l'ho fatto?» «No. Me lo dica.» «Pensa che sia perché mi piace guardarla e immaginare di mangiarla... immaginare che sapore avrebbe?» «È così?» «No. Io voglio qualcosa che Crawford può darmi, e intendo fare un ba- ratto con lui. Ma Crawford non verrà a vedermi. Non chiederà il mio aiuto per risolvere il caso di Buffalo Bill, sebbene sappia che così moriranno al- tre giovani donne.» «Questo non posso crederlo, dottor Lecter.» «Io voglio qualcosa di molto semplice, e lui potrebbe farmelo ottenere.» Lentamente, Lecter alzò il reostato nella sua cella. I libri e i disegni erano spariti. Il gabinetto non aveva più l'asse. Chilton aveva spogliato la cella per punirlo per la morte di Miggs. «Sono in questa stanza da otto anni, Clarice. So che non mi lasceranno uscire mai, mai più finché vivrò. Non chiedo altro che una... veduta. Vo- glio una finestra per poter vedere un albero, o magari un po' d'acqua.» «Il suo avvocato non ha chiesto...?» «Chilton ha piazzato nel corridoio quel televisore, sintonizzato su un ca- nale religioso. Non appena lei se ne andrà, l'inserviente alzerà di nuovo l'audio; e il mio avvocato non può impedirlo dato l'atteggiamento assunto nei miei confronti dal tribunale. Voglio essere trasferito in un'istituzione federale e voglio la restituzione dei miei libri e un panorama. È un favore per il quale potrò sdebitarmi abbondantemente. Crawford è in grado di ac- contentarmi. Glielo chieda.» «Gli riferirò quello che mi ha detto.» «E lui lo ignorerà. Intanto, Buffalo Bill continuerà a uccidere. Aspetti fi- no a che avrà scotennato una vittima e mi saprà dire se le sembra diverten- te. Uhmmm... le dirò una cosa sul conto di Buffalo Bill anche senza vedere la documentazione. E tra molti anni, quando lo prenderanno, se mai ci riu- sciranno, vedrà che avevo ragione e che avrei potuto essere utile. Avrei po- tuto salvare qualche vita umana. Clarice?» «Sì.» «Buffalo Bill ha una casa a due piani» disse il dottor Lecter e spense la luce. Non volle aggiungere altro. 10 Clarice Starling si appoggiò a un tavolo dei dadi nel casinò dell'FBI e cercò di fare attenzione a una lezione sul riciclaggio del denaro sporco per mezzo del gioco d'azzardo. Erano trascorse trentasei ore da quando la poli- zia della Contea di Baltimora aveva ricevuto la sua deposizione tramite un dattilografo che fumava con accanimento e batteva a macchina con due di- ta. («Se il fumo le dà fastidio, veda di riuscire ad aprire quella finestra») e l'aveva accomiatata ricordandole che l'omicidio non era un reato federale. I telegiornali della domenica sera avevano mostrato lo scontro tra Clari- ce e i cameramen; ed era sicura di essere nei pasticci fino al collo. E non aveva ricevuto notizie da Crawford o dall'ufficio dell'FBI di Baltimora. Era come se il suo rapporto fosse caduto nel vuoto. Il casinò dove si trovava adesso era piccolo: aveva funzionato a bordo di un camion fino a quando l'FBI l'aveva confiscato e l'aveva installato nella scuola come ausilio per l'insegnamento. La stanza stretta era affollata di poliziotti di varie giurisdizioni: Clarice Starling aveva rifiutato con un rin- graziamento le sedie offerte da due Ranger del Texas e da un investigatore di Scotland Yard. Gli altri del suo corso erano in fondo al corridoio nella sede dell'Acca- demia, e stavano cercando capelli nell'autentica moquette da motel della "camera da letto dov'era stato commesso un crimine a sfondo sessuale", e spargevano polvere per rilevare le impronte nella "banca di chissàdove". Clarice aveva dedicato molte ore alle perquisizioni e alle impronte digitali quando studiava medicina legale; perciò l'avevano mandata a quella lezio- ne che faceva parte di una serie riservata ai tutori della legge in visita al- l'Accademia. Si chiedeva se l'avevano separata dai suoi compagni per un'altra ragione. Forse ti isolavano prima di buttarti fuori. Appoggiò i gomiti sul tavolo dei dadi e cercò di concentrarsi sul rici- claggio del denaro sporco per mezzo del gioco d'azzardo. Ma in realtà pen- sava che l'FBI detestava vedere i suoi agenti in televisione a parte le confe- renze stampa ufficiali. Il dottor Hannibal Lecter era per i media ciò che il miele era per gli orsi, e la polizia di Baltimora era stata ben felice di passare ai cronisti il nome della Starling. Si era vista e rivista molte volte nei telegiornali della dome- nica sera. Ecco là "la Starling dell'FBI" a Baltimora, mentre batteva la leva di un cric contro la porta del garage sopra la testa del cameraman che ten- tava di passare strisciando. Ed ecco "l'agente federale Starling" che si vol- tava di scatto verso l'assistente, brandendo la medesima leva. Sul network rivale, la WPIK, che non aveva filmato la scena, aveva an- nunciato l'intenzione di far causa per lesioni alla "Starling dell'FBI" e allo stesso FBI perché al cameraman erano finiti negli occhi terriccio e particel- le di polvere quando Clarice aveva battuto contro la porta. Jonetta Johnson della WPIK era andata in onda durante un collegamento nazionale con la rivelazione che Clarice Starling aveva scoperto i macabri resti nel garage tramite "uno strano legame con un uomo che le autorità hanno bollato... come un mostro!". Era evidente che la WPIK aveva una fonte nell'ospedale psichiatrico. LA MOGLIE DI FRANKENSTEIN! strillava il "National Tattler" dagli espositori dei supermercati. «Stiamo parlando tra noi, giusto?» «Giusto.» Brigham ricambiò il saluto di un marine che dirigeva il traffico. «Portandoti con lui, oggi, Jack dimostra di aver fiducia in te, in modo che salti agli occhi di tutti» disse. «Nel caso che, diciamo, qualcuno del- l'Ufficio Responsabilità Professionale abbia le budella sottosopra... capisci cosa voglio dire?» «Uhmm.» «Crawford è un tipo leale. Ha detto chiaramente a chi di dovere che ti sei comportata così perché nessuno entrasse sul luogo del delitto. Ti ha lascia- ta entrare là dentro senza simboli visibili di autorità, e ha detto anche que- sto. E il tempo di reazione dei poliziotti di Baltimora è stato molto lento. Inoltre, oggi Crawford ha bisogno di aiuto; e avrebbe dovuto aspettare u- n'ora, prima che Jimmy Price gli mandasse qualcuno dal laboratorio. Quindi è un lavoretto per te, Starling. Un cadavere ripescato in acqua non è una gita alla spiaggia. Non è neppure una punizione, ma se qualcuno all'e- sterno vuole vederla così, tanto meglio. Vedi, Crawford è un individuo molto sottile, ma non è portato a dare spiegazioni; ecco perché ti sto di- cendo tutto questo... Se lavori con Crawford devi sapere che tipo è... lo sai?» «Per la verità, no.» «Ha tante altre cose per la testa, oltre Buffalo Bill. Sua moglie Bella è molto malata. È... è alla fine. Lui la tiene in casa. Se non fosse per la fac- cenda di Buffalo Bill, avrebbe chiesto un permesso per gravi motivi di fa- miglia.» «Questo non lo sapevo.» «Nessuno ne parla. Non dirgli che ti dispiace o qualcosa del genere, non gli sarebbe d'aiuto... Avevano... avevano passato insieme momenti molto belli.» «Sono contenta che me l'abbia detto.» Brigham s'illuminò quando raggiunsero la pista. «Ci sono un paio di di- scorsi importanti che tengo sempre alla fine del corso sulle armi da fuoco, Starling, cerca di non essere assente.» Prese una scorciatoia fra due hangar. «Ci sarò.» «Ascolta, quello che insegno io probabilmente tu non dovrai mai farlo. Anzi, te lo auguro. Ma hai una certa attitudine, Starling. Se devi sparare, sai sparare. Fai gli esercizi.» «Giusto.» «Non mettere mai la pistola nella borsetta.» «Giusto.» «Spara qualche colpo a vuoto in camera tua, la sera. E tienila a portata di mano.» «Senz'altro.» Un venerando bimotore Beechcraft stava sulla pista di Quantico con le luci che lampeggiavano e il portello aperto. Un'elica girava e faceva on- deggiare l'erba accanto alla pista asfaltata. «Non sarà quello, il Blue Canoe?» chiese Clarice. «Sì.» «È piccolo e vecchio.» «È vecchio» disse allegramente Brigham. «L'Antidroga lo ha requisito in Florida molto tempo fa, quando cadde nelle Everglades. Adesso è mecca- nicamente a posto, però. Spero che Gramm e Rudman non scoprano che l'usiamo noi... dovremmo viaggiare con l'autobus.» Fermò la macchina ac- canto all'aereo e scaricò il bagaglio di Clarice dal sedile posteriore. Con un po' di confusione, riuscì a consegnarglielo e a stringerle contemporanea- mente la mano. Poi, senza riflettere, Brigham disse: «Dio ti benedica, Starling». Quelle parole avevano un sapore strano nella sua bocca di marine. Non sapeva che cosa gliele avesse ispirate e si sentiva arrossire. «Grazie... grazie, signor Brigham.» Crawford era seduto al posto del secondo pilota, in maniche di camicia e occhiali da sole. Si voltò verso Clarice quando sentì il pilota sbattere il portello. Clarice non riusciva a scorgergli gli occhi dietro le lenti scure, e aveva la sensazione di non conoscerlo. Crawford era pallido e duro, come una radi- ce messa allo scoperto da una ruspa. «Si sieda e legga.» Fu tutto quello che disse. Sul sedile dietro di lui c'era un fascicolo piuttosto spesso. La copertina portava la dicitura BUFFALO BILL. Clarice Starling lo strinse mentre il Blue Canoe sussultava e tremava e incominciava a rollare. 11 I bordi della pista si sfuocarono e sparirono. A oriente, un bagliore del sole del mattino si rispecchiò sulla Baia di Cheasapeake mentre il piccolo aereo abbandonava il traffico. Clarice Starling vide la scuola, sotto di sé, e la base dei marines di Quan- tico. Sul percorso di guerra, le figure minuscole dei marines strisciavano e correvano. Era così che appariva la scena, vista dall'alto. Una volta, dopo un'esercitazione a fuoco notturna, mentre camminava nell'oscurità lungo l'Hogan's Alley deserto e cercava di pensare, Clarice aveva sentito gli aerei che passavano rombando e poi, nel nuovo silenzio, le voci che chiamavano nel cielo nero sopra di lei... truppe aviotrasportate che si scambiavano richiami mentre scendevano con il paracadute. E si era domandata cosa si provava quando si attendeva il segnale per lanciarsi ac- canto al portello dell'aereo, e quando ci si buttava nell'oscurità ruggente. Forse si provava esattamente ciò che lei provava adesso. Aprì il fascicolo. A quanto ne sapevano loro, Buffalo Bill l'aveva fatto cinque vòlte. Al- meno cinque volte, e probabilmente di più, negli ultimi dieci mesi aveva sequestrato una donna, l'aveva uccisa e l'aveva scuoiata. (Lo sguardo di Clarice scorse sui referti delle autopsie, fino ai test dell'istamina libera... confermavano che le aveva uccise prima di fare il resto.) Quando aveva finito, buttava il cadavere nell'acqua corrente. Ognuno era stato trovato in un fiume diverso, a valle di un ponte di un'autostrada inter- statale, e ogni volta in uno Stato diverso. Tutti sapevano che Buffalo Bill viaggiava molto. Era la sola cosa che i tutori della legge sapevano di lui... la sola cosa, a parte il fatto che aveva almeno una pistola. La pistola aveva sei solchi e tirava un po' sulla sinistra... probabilmente era una Colt o una copia esatta della Colt. I segni sui proiettili recuperati indicavano che pre- feriva sparare i .38 Special nelle camere più lunghe di una .357. I fiumi non lasciavano impronte digitali, non lasciavano tracce di capelli o di fibre. Quasi certamente era un maschio bianco: bianco perché di solito i mostri scelgono le vittime nel loro gruppo etnico e tutte le vittime erano bianche; e maschio perché in tempi recenti non sono mai risultati casi di donne che commettono omicidi in serie. Due giornalisti si erano ispirati per un titolo all'orribile poesiola di e.e. cummings, Buffalo Bill... "ti piace il tuo ragazzo dagli occhi azzurri, Si- gnore della Morte?" Qualcuno, forse Crawford, aveva incollato il ritaglio con la citazione al- l'interno della cartelletta. Non c'era una correlazione chiara tra i luoghi dove Bill sequestrava le è, così potremo cercare i testimoni del sequestro. Manderemo al più presto le impronte, appena le avremo.» Crawford inclinò la testa per guardare Clarice Starling attraverso la metà inferiore degli occhiali. «Jimmy Price mi ha detto che sa prendere le impronte di un annegato.» «Per la verità non ho mai avuto a che fare con un annegato vero e pro- prio. Prendevo le impronte digitali delle mani che il signor Price riceveva ogni giorno per posta. Molte, comunque, erano di annegati o di corpi rima- sti a lungo in acqua.» Coloro che non avevano mai lavorato sotto la supervisione di Jimmy Price credevano che fosse un simpatico brontolone. Come molti brontolo- ni, in realtà era un vecchio meschino e stizzoso. Jimmy Price era supervi- sore per le Impronte Latenti al laboratorio di Washington. Clarice Starling aveva lavorato con lui quando studiava medicina legale. «Quel Jimmy» disse affettuosamente Crawford. «Com'è che chiamano quel genere di lavoro...?» «Chi lo fa viene chiamato "lo sciagurato del laboratorio"; certuni prefe- riscono chiamarlo "Igor"... è stampato sul grembiule di gomma che ti dan- no.» «Ecco.» «Poi ti dicono di far finta di sezionare una rana.» «Capisco...» «E poi ti consegnano un bel pacchetto. Stanno tutti lì a guardare... certu- ni si sbrigano in fretta a tornare dopo aver preso il caffè, nella speranza di vederti vomitare. So cavarmela molto bene, per prendere le impronte di un annegato. Anzi...» «Bene, ora guardi questo. La prima vittima conosciuta fu trovata nel fiume Blackwater nel Missouri, presso Lone Jack, nel giugno scorso. La ragazza si chiamava Bimmel ed era sparita da Belvedere, Ohio, il 15 apri- le, due mesi prima. Non c'era molto da dire... ci vollero altri tre mesi solo per identificarla. La seconda, Bill la sequestrò a Chicago la terza settimana d'aprile. Fu trovata nel Wabash, nel centro di Lafayette, Indiana, appena dieci giorni dopo il rapimento, e così riuscimmo a capire che cosa le era successo. Poi ci è capitata una femmina bianca, poco più che ventenne, buttata nel Rolling Fork presso la I-65, a una sessantina di chilometri a sud di Louisville, Kehtucky. Non è mai stata identificata. E la Varner, seque- strata a Evansville, Indiana, e buttata nell'Embarras, poco a valle dell'Inter- statale 70, nella parte orientale dell'Illinois. «Quindi Bill si è spostato a sud e ha buttato una vittima nel Conasauga, a valle di Damascus, Georgia, nei pressi dell'Interstatale 75... era la Kittri- dge di Pittsburgh... ecco la sua foto alla festa per la consegna dei diplomi. Bill ha una fortuna maledetta... nessuno l'ha mai visto sequestrare una delle vittime. A parte il fatto che le butta in acqua vicino a un'Interstatale, non abbiamo ravvisato nessuno schema nel suo comportamento.» «E seguendo a ritroso i percorsi di maggior traffico a partire dalle locali- tà dove ha scaricato le vittime... Convergono?» «No.» «E se si... postulasse che Bill scarica una vittima ed effettua un nuovo sequestro nel corso dello stesso viaggio?» chiese Clarice, evitando con o- gni cura il verbo proibito, "immaginare". «Prima si sbarazzerebbe del ca- davere, no? Nell'eventualità che capitasse qualche guaio mentre sequestra qualcun'altra. Allora, se venisse sorpreso mentre assale una donna, se la caverebbe con una semplice imputazione di aggressione. Perciò cosa ne di- rebbe di tracciare i vettori a ritroso, partendo dalla località di ogni seque- stro fino alla località dello scarico precedente? Ci ha provato, vero?» «È una buona idea, ma l'ha avuta anche lui. Se fa entrambe le cose in un solo viaggio, allora procede a zigzag. Abbiamo provato con la simulazione del computer, prima con lui diretto verso ovest sulle Intentatali, quindi di- retto verso est, e infine varie combinazioni con le date più precise che pos- siamo attribuire agli scarichi e ai sequestri. Si mette tutto nel computer e non viene fuori un accidente. Il computer ci dice che vive all'Est, non se- gue le fasi lunari. Non ci sono date che possano aiutarci a giustificare la sua presenza nelle città. Un pugno di mosche. No, ha capito che cerchiamo di pescarlo, Starling.» «Secondo lei è troppo prudente per essere un tipo suicida.» Crawford annuì. «Troppo prudente, senza dubbio. Ora ha scoperto il modo di avere una correlazione significativa, e vuole continuare. Non pos- so sperare in un suicidio.» Crawford passò al pilota un bicchiere d'acqua versato da un thermos. Ne diede uno a Clarice e per sé aggiunse un Alka-Seltzer. Clarice sentì lo stomaco salirle in bocca quando l'aereo incominciò la di- scesa. «Un paio di cose, Starling. Da lei mi aspetto le migliòri prestazioni in fatto di medicina legale, ma ho bisogno di molto di più. Lei non parla mol- to ed è un bene; anch'io sono così. Ma non pensi di dover avere un fatto nuovo da rivelarmi prima di poter dimostrare qualcosa. Non esistono do- mande stupide. Vedrà cose che io non vedrò, e voglio sapere quali sono. Forse lei ha questa dote particolare: e adesso abbiamo l'occasione di sco- prire se è vero.» Mentre lo ascoltava, con lo stomaco che si ribellava e l'espressione debi- tamente estatica, Clarice si chiedeva da quanto tempo Crawford sapeva che si sarebbe servito di lei in quel caso e fino a che punto voleva vederla aspi- rare a un'occasione buona. Era un leader, con gli atteggiamenti franchi e aperti necessari a un leader. «Se pensa a lui abbastanza a lungo e vede i posti dov'è stato, acquisirà una specie di sintonia» continuò Crawford. «Finirà per non detestarlo di continuo, anche se le sembra difficile crederlo. Poi se avrà fortuna, tra tutto ciò che sa emergerà qualcosa che s'imporrà alla sua attenzione. Me lo dica sempre quando succede questo, Starling. «Mi dia retta: un delitto confonde già abbastanza le idee anche senza bi- sogno che le indagini mescolino le carte. Non si lasci mettere fuori strada da un'orda di poliziotti. Abbia fiducia nei suoi occhi. Ascolti se stessa. Mantenga il delitto ben separato da quanto succede intorno a lei. Non cer- chi di imporre a quell'individuo uno schema o una simmetria. Conservi una mentalità aperta, e lasci che sia lui a rivelarsi. «Un'altra cosa. Un'indagine come questa è una specie di zoo. Si estende su diverse giurisdizioni, e in alcune sono i falliti a comandare. Dobbiamo andare d'accordo con loro perché non creino ostacoli. Stiamo andando a Potter, West Virginia. Non so niente dei tipi con cui avremo a che fare. Può darsi che siano gente a posto e può darsi che ci considerino come gli esattori delle tasse.» Il pilota si scostò la cuffia dalla testa e si voltò. «Stiamo per atterrare, Jack. Resta lì dietro?» «Sì» disse Crawford. «La scuola è finita, Starling.» 12 Sono nella sede delle pompe funebri di Potter, la casa bianca più grande in Potter Street di Potter, West Virginia, che serve anche come obitorio per la Rankin County. Il coroner è un medico di famiglia, il dottor Akin. Se le cause della morte gli sembrano dubbie, il cadavere viene mandato al Cen- tro Medico Regionale di Claxton, nella vicina contea, dove c'è un medico legale. Quando Clarice Starling entrò a Potter dopo aver lasciato l'aeroporto a bordo di una macchina dell'ufficio dello sceriffo, dovette appoggiarsi alla credo che abbiano ancora cominciato. Digli che abbiamo Claxton in line- a.» Il coroner, dottor Akin, entrò nell'ufficio e si piazzò con un piede su una sedia, battendosi sugli incisivi un ventaglietto del Buon Pastore durante il breve colloquio telefonico con il medico legale di Claxton. Poi si mostrò molto arrendevole. E così, nella sala delle imbalsamazioni con la tappezzeria a rose centifo- lie e una modanatura dipinta sotto l'alto soffitto, in una candida casa di le- gno d'un tipo che conosceva bene, Clarice Starling incontrò per la prima volta una prova diretta delle imprese di Buffalo Bill. Il sacco di plastica verde vivo che conteneva il cadavere era l'unico og- getto moderno nella stanza. Era disteso su un antiquato tavolo di porcella- na da imbalsamatore, che si specchiava nei vetri degli armadietti dove sta- vano i trequarti e le confezioni di Rock-Hard Cavity Fluid. Crawford tornò alla macchina per prendere la trasmittente delle impronte digitali mentre Clarice sistemava la sua attrezzatura sul piano di scolo di un grosso lavello doppio. C'era troppa gente. Diversi aiutanti dello sceriffo e il vice capo erano en- trati con loro e non mostravano nessuna intenzione di andarsene. Non era giusto. Perché Crawford non arrivava e si sbarazzava di loro? La carta da parati ondeggiò leggermente in uno spiffero e ondeggiò di nuovo verso l'interno quando il dottore mise in funzione il grosso ventila- tore polveroso. Clarice Starling, che adesso era accanto al lavello, aveva bisogno d'un modello di coraggio più grande di quello necessario a un marine per lan- ciarsi con il paracadute. L'immagine le balzò alla mente e l'aiutò... ma nel- lo stesso tempo la ferì. Sua madre, davanti all'acquaio, mentre lavava il sangue dal cappello di suo padre... faceva scorrere l'acqua fredda sul cappello e diceva: "Ce la caveremo, Clarice. Di' a tuo fratello e a tua sorella di lavarsi e di venire a tavola. Dobbiamo parlare, e poi prepareremo la cena". Clarice si tolse la sciarpa e se la legò sui capelli come una levatrice di montagna. Prese dall'astuccio un paio di guanti chirurgici. Quando aprì la bocca, per la prima volta da quando era a Potter, la sua voce aveva un ac- cento più spiccato, così nitido che Crawford si fermò sulla soglia per a- scoltare. «Signori. Signori! Ascoltatemi un momento. Per favore. Lasciate- la a me.» Alzò le mani per infilare i guanti. «Dobbiamo fare certe cose. Voi l'avete portata qui, e sono sicura che i suoi vi ringrazierebbero, se po- tessero. Adesso, vi prego, uscite e lasciate che sia io a occuparmi di lei.» Crawford li vide diventare di colpo rispettosi, incitarsi reciprocamente a voce bassa: «Vieni, Jess, usciamo in cortile». Si accorse che l'atmosfera era cambiata dalla presenza della morte; qualunque fosse il luogo di pro- venienza della vittima, e chiunque fosse, il fiume l'aveva portata lì, e fin- ché giaceva impotente in quella stanza, Clarice Starling aveva con lei un rapporto speciale. Crawford si rese conto che in quel luogo Clarice era l'e- rede delle sagge nonne, delle guaritrici, delle erboriste, le solide campa- gnole che hanno sempre fatto quanto è necessario, che fanno la veglia e poi, quando finiscono, lavano e vestono i morti delle campagne. Poi rimasero con la vittima soltanto Crawford, Clarice e il dottore. Il dottor Akin e Clarice si scambiarono un'occhiata, come se si riconoscesse- ro. Entrambi erano stranamente compiaciuti e nel contempo sembravano stranamente intimiditi. Crawford prese dalla tasca un barattolo di Vicks Vaporub e l'offrì in gi- ro. Clarice attese per vedere cosa doveva fare; e quando Crawford e il dot- tore si spalmarono un po' d'unguento intorno alle narici, li imitò. Prese le macchine fotografiche dalla borsa dell'attrezzatura che aveva posato sul lavello, voltando le spalle al tavolo. Sentì scorrere la lampo del sacco che conteneva il cadavere. Batté le palpebre fissando le rose centifolie della tappezzeria, trasse un respiro profondo ed espirò. Si voltò e guardò il corpo sul tavolo. «Avrebbero dovuto infilarle le mani nei sacchetti di carta» disse. «Lo fa- rò io quando avremo finito.» Meticolosamente, regolando la macchina au- tomatica fotografò il corpo. La vittima era una giovane donna dai fianchi larghi, lunga 167 centime- tri secondo il metro a nastro di Clarice. L'acqua l'aveva fatta diventare gri- gia dove la pelle era stata asportata: ma si era trattato di acqua fredda, e chiaramente non c'era rimasta immersa per molti giorni. Il corpo era stato scuoiato da una linea netta appena al di sotto del seno fino alle ginocchia: all'incirca l'area che sarebbe stata coperta dai calzoni e dalla fascia di un torero. I seni erano piccoli: e in mezzo, sopra lo sterno, spiccava la causa appa- rente della morte, una ferita irregolare a forma di stella, larga quanto una mano. La testa rotonda era scotennata dalla linea delle sopracciglia e delle o- recchie fino alla nuca. «Il dottor Lecter aveva detto che Buffalo Bill avrebbe cominciato a sco- tennarle» disse Clarice. Crawford restò immobile, a braccia conserte, mentre lei scattava le foto. «Fotografi le orecchie con la Polaroid.» Fu tutto quello che disse. Poi sporse le labbra e girò intorno al cadavere. Clarice si sfilò un guanto per passare l'indice sul polpaccio. Un tratto del palamito con gli ami a tre punte che avevano trattenuto il corpo nel fiume era ancora avvolto intorno alla gamba. «Che cosa vede, Starling?» «Ecco... non è di qui. Ogni orecchio ha tre fori, e portava uno smalto molto lucido. Doveva essere di città. Sulle gambe, i peli non sono stati tolti da circa due settimane. E vede come sono morbidi? Credo si depilasse con la ceretta. Anche le ascelle. Guardi come si decolorava la peluria sul lab- bro superiore. Aveva molta cura di sé, ma non aveva potuto farlo per qual- che tempo.» «E la ferita?» «Non so» disse Clarice. «Avrei detto che fosse il foro d'uscita di un proiettile, ma sembrerebbe parte di un'abrasione, e c'è il segno della bocca di un'arma da fuoco.» «Giusto, Starling. È la ferita d'entrata a contatto, sopra lo sterno. I gas dell'esplosione si espandono tra l'osso e la pelle e formano la stella intorno al foro.» Al di là della parete un organo a canne gemette. Nella cappella delle pompe funebri il rito stava incominciando. «La morte è così ingiusta» disse il dottor Akin, accennando con la testa. «Devo andare di là, almeno per una parte del servizio funebre. I familiari se lo aspettano sempre. Lamar verrà ad aiutarvi appena avrà finito di suo- nare l'introduzione musicale. Sono certo che conserverà tutte le prove per il medico legale di Claxton, signor Crawford.» «Ci sono due unghie spezzate nella mano sinistra» disse Clarice quando il dottore fu uscito. «Sono spezzate dal vivo, e sembra che sotto le altre ci sia terriccio o particelle dure. Possiamo raccogliere?» «Prelevi i campioni del terriccio e un paio di scaglie di smalto» disse Crawford. «A loro lo spiegheremo quando avremo i risultati.» Lamar, l'assistente delle pompe funebri, magro e con la faccia arrossata dalla consuetudine al whisky, entrò mentre Clarice era al lavoro. «Lei deve avere fatto la manicure, in passato» fu il suo commento. Fu un sollievo vedere che la giovane donna non aveva segni di unghie sul palmo delle mani: come le altre, era morta prima che le venisse fatto Jabbo piace. "Be', inventa le parole se non le conosci" dice "e questa volta mettici le rime." Riceve un assegno mensile come reduce e verso Natale va a curarsi l'alcolismo all'Ospedale dei Veterani. Saranno quindici anni che mi aspetto di vederlo finire su questo tavolo.» «Dovremo fare i test della serotonina sulle punture causate dagli ami» disse Crawford. «Manderò un appunto al medico legale.» «Gli ami sono troppo vicini» osservò Lamar. «Come ha detto?» «I Franklin avevano calato un palamito con gli ami troppo vicini. È proibito. Probabilmente è per questo che si sono decisi a parlare soltanto stamattina.» «Lo sceriffo ha detto che erano cacciatori d'anitre.» «C'era da immaginare che gliel'avevano raccontata così» disse Lamar. «Le racconteranno anche che una volta, a Honolulu, hanno lottato con Du- ke Keomuka, e che erano in squadra con Satellite Monroe. E può credere anche quello, se vuole. Prenda un sacco di pesci regina e la porteranno a caccia di beccaccini, se le piacciono i beccaccini.» «Secondo lei cos'è successo, Lamar?» «I Franklin avevano calato il palamito, con gli ami vietati dalla legge, e lo stavano tirando su per vedere se aveva abboccato qualche pesce.» «Perché la pensa così?» «La donna non è ancora nelle condizioni giuste per venire a galla.» «No.» «Allora, se non avessero tirato su il palamito non l'avrebbero trovata. Con ogni probabilità sono scappati via tutti spaventati e alla fine si sono decisi a telefonare. Immagino vorrà sentire il guardaboschi.» «Penso di sì» disse Crawford. «Tante volte tengono un telefono a manovella dietro il sedile del loro Ramcharger. È molto comodo, se non si vuole finire al fresco.» Crawford inarcò le sopracciglia. «Serve per telefonare ai pesci» intervenne Clarice. «Si stordiscono con la corrente elettrica, quando si calano i fili nell'acqua e si gira la manovel- la. I pesci vengono a galla e allora basta tirarli fuori.» «Giusto» disse Lamar. «Lei è di queste parti?» «Lo fanno in un sacco di posti» disse Clarice. Provò l'impulso di dire qualcosa prima che richiudessero la lampo del sacco, di compiere un gesto o di esprimere una specie d'impegno. Ma si limitò a scuotere la testa e cominciò a riporre i campioni nell'astuccio. Era tutto molto diverso, ora che il cadavere e il problema non erano in vista. In quel momento di pausa fu assalita dalla reazione a ciò che aveva fatto. Si sfilò i guanti e fece scorrere l'acqua nel lavello. Si passò l'acqua sui polsi, voltanto le spalle alla stanza; ma l'acqua che usciva dai rubinetti non era molto fresca. Lamar la osservò e uscì nel corridoio. Tornò dopo aver preso dal distributore automatico una lattina gelata di soda, senza a- prirla. Gliela porse. «No, grazie» disse Clarice. «Non mi sento di berla.» «No, no, se la metta sotto il collo, proprio lì» disse Lamar. «E poi dietro la nuca. Il freddo la farà sentire meglio. È l'effetto che fa a me.» Quando Clarice finì di fissare con il nastro adesivo il promemoria per il medico legale alla lampo del sacco con il cadavere, la trasmittente delle impronte digitali che Crawford aveva portato con sé stava ticchettando sul- la scrivania dell'ufficio. Era stato un colpo di fortuna trovare quella vittima così poco tempo do- po la morte. Crawford era deciso a identificarla in fretta e a cercare nei dintorni della sua abitazione gli eventuali testimoni del sequestro. Il suo metodo causava una quantità di fastidi a tutti, ma era molto rapido. Crawford aveva portato una trasmittente d'impronte digitali Little Poli- cefax. Diversamente dalle macchine usate abitualmente dai federali, la Po- licefax è compatibile con quasi tutti i sistemi della polizia delle grandi cit- tà. La scheda con le impronte raccolte da Clarice era appena asciutta. «La inserisca, Starling, lei ha le dita più agili.» Non fare sbavature... ecco cosa voleva dire in realtà, e Clarice non le fe- ce. Era difficile avvolgere la scheda composita intorno al piccolo rullo mentre in tutto il paese erano in attesa sei stazioni riceventi. Crawford era al telefono e stava parlando attraverso il centralino del- l'FBI a Washington. «Dorothy, c'è qualcuno in linea? Bene, signori, passe- remo a uno-e-venti perché arrivino nitide... attenti a uno-e-venti, tutti quanti. Atlanta, come ha detto? Bene, mi passi il servizio telefoto, subi- to...» Poi l'apparecchio entrò in funzione^ lentamente per produrre immagini più chiare, e trasmise le impronte digitali della morta simultaneamente al- l'FBI e ai maggiori dipartimenti di polizia dell'Est. Se a Chicago, Detroit, Atlanta o in qualche altro posto avessero trovato le impronte, entro pochi minuti sarebbe incominciata l'operazione di ricerca. Poi Crawford trasmise le foto dei denti della vittima e del viso, con la te- sta avvolta nell'asciugamani usato da Clarice nell'eventualità che la stampa popolare si impadronisse di quelle immagini. Tre agenti della Stazione Investigativa della polizia statale del West Vir- ginia arrivarono da Charleston mentre loro se ne stavano andando. Cra- wford strinse le mani a tutti e distribuì i biglietti da visita con il numero della "linea calda" del Centro Nazionale Informazioni sulla Criminalità. Clarice fu stupita nel vedere con quanta rapidità Crawford aveva stabilito con loro un rapporto di solidarietà maschile. Avrebbero chiamato se aves- sero scoperto qualcosa, senza il minimo dubbio. Ci può scommettere. Mol- to obbligato. Ma forse non era solidarietà maschile, pensò Clarice. Funzio- nava anche con lei. Lamar salutò dal portico, agitando la mano, mentre Crawford e Clarice partivano in macchina con il vicesceriffo per raggiungere l'Elk River. La Coca-Cola era ancora abbastanza fredda. Lamar la portò in magazzino e si preparò una bevanda ristoratrice. 13 «Lasciami al laboratorio, Jeff» disse Crawford all'autista. «Poi voglio che aspetti l'agente Starling allo Smithsonian. Da lì proseguirà per Quanti- co.» «Sì, signore.» Stavano attraversando il fiume Potomac in senso contrario al traffico del dopopranzo, per entrare a Washington dall'Aeroporto Nazionale. Il giovane al volante doveva avere una gran soggezione di Crawford e guidava con prudenza esagerata, pensava Clarice Starling. Non gli dava torto: tutti sapevano, all'Accademia che l'ultimo agente che aveva combi- nato un grosso pasticcio sotto il comando di Crawford adesso indagava sui furti nelle installazioni della DEW lungo il Circolo Polare Artico. Crawford non era di buonumore. Erano trascorse nove ore da quando aveva trasmesso le impronte digitali e le foto della vittima, e ancora non era stata identificata. Accompagnato dagli agenti statali del West Virginia e da Clarice Starling, aveva esaminato il ponte e la riva del fiume fino al- l'imbrunire, ma senza risultati. Clarice lo aveva sentito parlare dall'aereo per radiotelefono; s'era accor- dato perché un'infermiera andasse a casa sua per fare il turno di notte. La berlina dell'FBI sembrava meravigliosamente silenziosa, dopo il Blue Canoe, e parlare era più facile. «Piazzerò qualcuno alla linea calda e al Latent Descriptor Index quando legato, riesce ad alzarsi, se riesce a trovare un punto dove appoggiare i piedi. Una scala a pioli rappresenta una minaccia. Le vittime non la sali- rebbero mai con gli occhi bendati, e tanto meno si rassegnerebbero a salire se vedessero il cappio. Bisogna farlo nella tromba delle scale. Le comuni scale sono familiari. Si dice alla vittima che la si accompagna di sopra in bagno o qualcosa del genere, la si fa salire con un cappuccio sulla testa, si infila il cappio, e la si butta con un calcio dal gradino più alto, con l'altra estremità della corda legata alla ringhiera del pianerottolo. È l'unico si- stema efficiente, in una casa. Un tale, in California, lo ha reso famoso. Se Bill non avesse una scala, ucciderebbe le vittime in un'altra maniera. Ora mi dia quei nomi... il vice capo di Potter e il tale della polizia di Stato.» Clarice cercò i nomi negli appunti leggendoli con una minuscola lampa- da tascabile stretta fra i denti. «Bene» disse Crawford. «Quando usa una linea calda, Starling, faccia- sempre i nomi dei poliziotti. Loro li sentono e collaborano più volentieri. La notorietà li aiuta a ricordare di chiamarci se trovano qualcosa. Cosa le suggerisce la scottatura sulla gamba?» «Dipende se si è prodotta dopo la morte.» «E in questo caso?» «Allora Buffalo Bill ha un camioncino chiuso, un furgone o una station wagon, un veicolo piuttosto lungo.» «Perché?» «Perché l'ustione è nella parte posteriore del polpaccio.» Erano arrivati all'incrocio tra la Decima e Pennsylvania, davanti alla nuova sede dell'FBI che nessuno chiama J. Edgar Hoover Building. «Jeff, puoi farmi scendere qui» disse Crawford. «Proprio qui, non occor- re che mi porti nel seminterrato. Rimani in macchina e apri il portabagagli. Mi faccia vedere, Starling.» Clarice scese con Crawford mentre lui prendeva dal baule il datafax e la cartella. «Ha trasportato il corpo dentro qualcosa di abbastanza grande per tener- lo disteso supino» disse Clarice. «È l'unico modo in cui la parte posteriore del polpaccio poteva poggiare sul pianale al di sopra del tubo di scappa- mento. Se fosse stata messa in un portabagagli come questo, sarebbe stata raggomitolata sul fianco e...» «Certamente, anch'io la vedo così» disse Crawford. Clarice Starling si rese conto che l'aveva fatta scendere dalla macchina per poterle parlare in privato. «Quando ho detto a quel vicesceriffo che io e lui non dovevamo parlare di fronte a una donna, le è bruciato abbastanza, non è vero?» «Infatti.» «Era soltanto una cortina fumogena. Volevo parlargli a quattr'occhi.» «Lo so.» «Bene.» Crawford richiuse rumorosamente il portabagagli e si voltò. Clarice non volle lasciar perdere. «È importante, signor Crawford.» Lui tornò a voltarsi, un po' curvo sotto il peso del datafax e della borsa, e la fissò con tutta l'attenzione di cui era capace. «Quei poliziotti sanno chi è lei» disse Clarice. «La osservano per vedere come si devono comportare.» Rimase eretta, scrollò le spalle e allargò leg- germente le braccia. Ecco: era la verità. Crawford valutò la situazione con tutta la freddezza possibile. «Ne ho preso debita nota, Starling. E adesso proceda con quell'insetto.» «Sì, signore.» Clarice lo guardò allontanarsi: un uomo di mezza età, carico di borse e un po' spettinato dopo il volo, con gli orli dei calzoni incrostati dal fango della riva del fiume, che tornava a casa a fare quello che faceva sempre. In quel momento sarebbe stata disposta a uccidere per lui. Era una delle grandi qualità di Crawford. 14 Lo Smithsonian's National Museum of Natural History era chiuso già da diverse ore, ma Crawford aveva telefonato per avvertire e un guardiano stava aspettando per fare entrare Clarice Starling dall'ingresso di Constitu- tion Avenue. Nel museo le luci erano abbassate, l'aria immobile. Soltanto la statua co- lossale di un capotribù dei Mari del Sud, piazzata di fronte all'entrata, era abbastanza alta perché la luce fioca che si irradiava dal soffitto le brillasse sulla faccia. La guida di Clarice Starling era un negro imponente, nell'elegante uni- forme dei guardiani dello Smithsonian. Lei pensò che somigliava un po' al capotribù, quando lo vide alzare la testa verso le luci dell'ascensore. Quella fantasia oziosa le diede un momento di sollievo... come massaggiare un crampo. Il secondo piano, sopra il grande elefante imbalsamato, è uno spazio immenso chiuso al pubblico, assegnato ai dipartimenti di Antropologia e di Entomologia. Gli antropologi lo chiamano il quarto piano. Gli entomologi sostengono che è il terzo. Alcuni scienziati di Agricoltura dichiarano di avere le prove che è il sesto. Ogni fazione ha i suoi argomenti validi, per- ché il vecchio edificio è tutto ampliamenti e suddivisioni. Clarice seguì il guardiano in un labirinto semibuio di corridoi fiancheg- giati da casse di legno piene di reperti antropologici. Soltanto le minuscole etichette ne rivelavano il contenuto. «Ci sono migliaia di esseri umani in quelle casse» spiegò il guardiano. «Quarantamila reperti.» Mentre camminavano, inquadrava con il raggio della torcia elettrica i numeri sulle porte degli uffici e le etichette delle casse. Le culle per i bambini daiachi e i teschi cerimoniali cedettero il posto a- gli Afidi. Lasciarono l'Uomo per il mondo degli Insetti, assai più antico e ordinato. Adesso il corridoio era fiancheggiato da grandi scatole metalliche dipinte di verde chiaro. «Trenta milioni di insetti... e poi ci sono i ragni. Non metta i ragni fra gli insetti» avvertì il guardiano. «Gli studiosi dei ragni le salterebbero addos- so. Ecco là, l'ufficio illuminato. Non cerchi di uscire da sola. Se non si of- frono di accompagnarla giù, mi chiami a questo interno, è l'ufficio dei guardiani. Salirò a prenderla.» Le porse un cartoncino e se ne andò. Clarice si trovava nel cuore di Entomologia, in una galleria che sovra- stava il grande elefante imbalsamato. C'era un ufficio con le luci accese e la porta aperta. «Tempo scaduto, Pilch!» Era una voce d'uomo, resa stridula dall'eccita- zione. «Su, andiamo. Tempo scaduto!» Clarice Starling varcò la soglia. Due uomini erano seduti a un tavolo di laboratorio e giocavano a scacchi. Tutti e due erano sulla trentina: uno bruno e snello, l'altro piuttosto grasso, con i capelli rossi. La loro attenzio- ne era concentrata sulla scacchiera. Se avevano notato Clarice, non ne da- vano segno. E se notavano l'enorme scarabeo rinoceronte che attraversava lentamente la scacchiera zigzagando tra i pezzi, non davano segno neppure di quello. Poi lo scarabeo superò il bordo della scacchiera. «Tempo scaduto, Roden!» disse immediatamente l'uomo snello e bruno. L'altro mosse l'alfiere e immediatamente girò lo scarabeo, che prese a marciare nella direzione opposta. «E se lo scarabeo taglia l'angolo, il tempo scade lo stesso?» chiese Clari- areale molto limitato, capisce? O che magari dorma soltanto su una certa specie di albero... vogliamo sapere da dove proviene. Vi ho chiesto di mantenere il segreto perché, se l'assassino ha messo di proposito l'insetto dove l'abbiamo trovato, soltanto lui può saperlo e noi potremmo servircene per eliminare le confessioni fasulle dei maniaci e risparmiare parecchio tempo. Ha ucciso almeno sei volte. E il tempo stringe.» «Crede che stia tenendo prigioniera un'altra donna, in questo momento, mentre osserviamo l'insetto?» chiese apertamente Roden. Aveva gli occhi spalancati, le labbra socchiuse. Clarice poteva vedere l'interno della sua bocca; per un momento le balenò nella mente un altro pensiero. «Non lo so.» La risposta aveva un tono un po' stridulo. «Non lo so» ripe- té, in tono più smorzato. «Ma lo rifarà appena ne avrà l'occasione.» «Quindi ci daremo subito da fare» disse Pilcher. «Non abbia paura, sia- mo in gamba. Non poteva mettersi in mani migliori.» Estrasse dal reci- piente l'oggetto bruno con un forcipe sottile e lo posò su un foglio di carta bianca sotto la luce, quindi spostò una lente d'ingrandimento su un braccio flessibile, per vedere meglio. L'insetto era lungo e sembrava una mummia. Era inguainato in un invo- lucro semitrasparente che seguiva i contorni come un sarcofago. Le appen- dici erano premute strettamente contro il corpo e sembravano scolpite a bassorilievo. Il muso minuscolo aveva un'espressione saggia. «In primo luogo, non è un insetto che normalmente infesterebbe un ca- davere all'aperto, e non potrebbe trovarsi nell'acqua se non per caso» disse Pilcher. «Non so quanta familiarità abbia con gli insetti e quanto le piaccia sentirne parlare.» «Diciamo pure che non ne so niente. Voglio che mi diciate tutto quan- to.» «Sta bene. Questa è una pupa, cioè un insetto immaturo, in una crisali- de... vale a dire il bozzolo che lo racchiude mentre si trasforma passando dallo stadio di larva a quello adulto» disse Pilcher. «Una pupa protetta da un involucro chitinoso, Pilch?» Roden arricciò il naso per non lasciar scivolare gli occhiali. «Sì, direi di sì. Vuoi prendere il testo di Chu sugli insetti immaturi? Be- ne, è lo stadio di pupa d'un grosso insetto. Quasi tutti gli insetti più elevati hanno lo stadio di pupa. Molti trascorrono l'inverno in questo modo.» «Vuoi il libro o vuoi guardare, Pilch?» chiese Roden. «Preferisco guardare.» Pilcher mise l'esemplare sotto un microscopio e si chinò a osservarlo, tenendo nella mano un ferretto da dentista. «Ecco qui: niente organi respiratori distinti nella regione dorsocefaliea, spiracolo nel mesotorace e alcuni addominali. Incominciamo da qui.» «Uhhhhmmmm» disse Roden mentre sfogliava le pagine di un piccolo manuale. «Mandibole funzionali?» . «No.» «Galee appaiate di mascella mesoventrali?» «Sì, sì.» «Dove sono le antenne?» «Adiacenti al margine mediato delle ali. Due paia di ali, e il paio interno è completamente coperto. Sono liberi solo i tre segmenti addominali infe- riori. Un piccolo cremastere appuntito... Direi che appartiene ai lepidotte- ri.» «È quel che c'è scritto qui» commentò Roden. «La famiglia che include le farfalle e le falene. Una famiglia molto nu- merosa» disse Pilcher. . «Sarà difficile se le ali sono bagnate fradice. Prenderò i testi da consulta- re» disse Roden. «Immagino sia impossibile impedirvi di parlare di me du- rante la mia assenza.» «Penso proprio di no» rispose Pilcher. «Roden è un tipo a posto» spiegò a Clarice appena il collega fu uscito. «Ne sono sicura.» «Davvero?» Pilcher aveva l'aria divertita. «Abbiamo frequentato l'uni- versità insieme, e abbiamo sgobbato e cercato di ottenere tutte le borse di studio disponibili. Lui ne ha avuta una che lo costringeva a stare in una miniera di carbone ad aspettare il decadimento dei protoni. È rimasto trop- po al buio. È un bravo ragazzo. Basta che non gli parli del decadimento dei protoni.» «Mi sforzerò di evitarlo.» Pilcher voltò le spalle alla luce intensa. «È una grande famiglia, quella dei lepidotteri. Circa trentamila farfalle e centotrentamila falene. Mi piace- rebbe tirar fuori l'insetto dalla crisalide... e dovrò farlo, se vogliamo re- stringere il campo.» «D'accordo. Può riuscirci senza mandarlo in pezzi?» «Credo di sì. Vede, questo aveva cominciato a uscire con le proprie for- ze prima di morire. Aveva incominciato a produrre una frattura irregolare nella crisalide, proprio qui. A volte ci vuole un po' di tempo.» Pilcher allargò la fenditura naturale ed estrasse con delicatezza l'insetto. Le ali raggrinzite erano bagnate: allargarle era come lavorare con una veli- na detergente, umida e gualcita. Non era visibile uno schema. Roden ritornò con i libri. «Sei pronto?» chiese Pilcher. «Bene, il femore protoracico è nascosto.» «E i piliferi?» «Niente piliferi» rispose Pilcher. «Le dispiace spegnere la luce, agente Starling?» Clarice attese accanto all'interruttore fino a quando Pilcher accese la lampada tascabile, si scostò dal tavolo e puntò il fascio luminoso sull'inset- to. Gli occhi sfaccettati brillarono nell'oscurità riflettendo il raggio. «Nottuide» disse Roden. «È probabile, ma quale?» ribatté Pilcher. «Riaccenda la luce, per favore. È un nottuide, agente Starling... una falena notturna. Quante ce ne sono, Roden?» «Duemilaseicento e... Be', ne sono state descritte circa duemilaseicento.» «Non molte sono così grosse, però. Bene, vediamo cosa riesci ad accer- tare, amico mio.» La testa rossa di Roden coprì il microscopio. «Ora dobbiamo passare alla chetassia... studiare la pelle dell'insetto, chiamiamola così, per scoprire a quale specie appartiene» disse Pilcher. «In questo, Roden è più abile di me.» Clarice ebbe la sensazione che una ventata di cortesia fosse passata nella stanza. Roden reagì iniziando una discussione accanita con Pilcher per decidere se le protuberanze larvali dell'esemplare erano disposte in cerchi oppure no. La controversia continuò a imperversare anche sulla disposizione dei peli sull'addome.. «Erebus odora» sentenziò alla fine Roden. «Verifichiamo» disse Pilcher. Presero l'esemplare e con l'ascensore giunsero al piano immediatamente al di sopra del grande elefante imbalsamato, quindi in un enorme corte quadrangolare piena di cassette verde pallido. In passato, quello era un ampio atrio che era stato spartito in due livelli per mezzo di soppalchi per offrire più spazio agli insetti dello Smithsonian. Adesso erano nel settore dei Neotropicali e stavano avanzando tra i Nottuidi. Pilcher consultò il blocco degli appunti e si fermò davanti a una cassetta in un'altissima cata- sta. «Bisogna starci attenti, con questi cosi» disse facendo scorrere il pesante sportello metallico della cassetta e posandolo sul pavimento. «Se te ne la- logia, comparandole per mezzo del computer con i dossier dei criminali noti all'FBI e con i dossier nelle città più vicine alle località dei sequestri, nonché con i dossier dei colpevoli di reati sessuali e di reati gravi di Metro Dade, San Antonio e Houston, le aree dove le falene erano più numerose. C'era anche un'altra questione, e Clarice dovette sollevarla per la secon- da volta: "Chiediamo al dottor Lecter perché ha pensato che l'assassino a- vrebbe cominciato a scotennare le vittime". Consegnò il tutto all'agente del turno di notte e si buttò sul letto con un senso di sollievo. Le voci della giornata sussurravano ancora intorno a lei, più sommesse del respiro di Ardelia Mapp dall'altra parte della stanza. Nell'oscurità fremente vedeva la faccia saggia della falena. Quegli occhi brillanti avevano visto Buffalo Bill. E dai postumi della sbronza cosmica ispirata dallo Smithsonian, emerse- ro l'ultimo pensiero e la sua conclusione per la giornata: In questo strano mondo, in questa metà del mondo che ora è buia, devo dare la caccia a una cosa che vive di lacrime. 15 A East Memphis, Tennessee, era tarda sera. Catherine Baker Martin e il suo ragazzo guardavano un film alla televisione nell'appartamento di lui e tiravano qualche boccata da una pipa caricata con l'hashish. Le interruzioni pubblicitarie diventavano sempre più lunghe e frequenti. «Mi è venuta fame. Vuoi un po' di popcorn?» chiese Catherine. «Vado a prenderlo io. Dammi le tue chiavi.» «Rimani pure. Tanto, devo andare a vedere se ha telefonato mia madre.» Catherine si alzò dal divano. Era una giovane donna alta, con l'ossatura solida, bene in carne, quasi pesante, con un bel viso e una gran massa di capelli lucenti. Mise le scarpe che erano finite sotto il tavolino e uscì. La sera di febbraio era più rigida che fredda. Una nebbia leggera che sa- liva dal Mississippi aleggiava quasi ad altezza d'uomo sul grande parcheg- gio. Sopra di sé, Catherine scorgeva la luna morente, pallida e sottile come un amo di osso. Guardare in alto le dava un po' di vertigini. Si avviò attra- verso il parcheggio, dirigendosi con passo sicuro verso la porta del suo ap- partamento, a un centinaio di metri di distanza. Un furgoncino marrone era fermo vicino a casa sua, tra alcuni camper e barche sui carrelli per il rimorchio. Lo notò perché somigliava ai camion- cini del servizio recapiti a domicilio che spesso le portavano i regali di sua madre. Mentre passava accanto al furgoncino, una lampada si accese nella neb- bia. Era una lampada a stelo con tanto di paralume, e stava sull'asfalto die- tro il veicolo. Sotto la lampada c'era una poltrona di cinz a fiorami rossi, e grandi fiori parevano sbocciare nella nebbia. I due oggetti sembravano messi in mostra come in un negozio d'arredamento. Catherine Baker Martin batté un paio di volte le palpebre e continuò a camminare. Pensò che fosse qualcosa di surreale e l'attribuì all'effetto del- l'hashish. Ma no, era lucida. C'era qualcuno che traslocava: arrivava o an- dava via. Arrivava o andava via. C'era sempre qualcuno che andava o ve- niva, nelle Stonehinge Villas. Nel suo appartamento una tenda si mosse leggermente e Catherine vide il gatto che s'inarcava e si strusciava contro il vetro. Aveva già in mano la chiave. Prima di usarla si voltò. Un uomo scese dalla parte posteriore del furgoncino. Nella luce della lampada vide che aveva una mano ingessata e il braccio al collo. Entrò e chiuse a chiave la porta. Catherine Baker Martin sbirciò dalla tenda e vide che l'uomo stava cer- cando di issare la poltrona sul veicolo. La strinse con la mano illesa e tentò di sollevarla con il ginocchio. La poltrona cadde e si rovesciò. L'uomo la raddrizzò, si leccò l'indice e strofinò il punto dove il cinz s'era sporcato. Catherine uscì. «L'aiuto io.» Aveva il tono giusto... premuroso e gentile. «Davvero mi farebbe questo piacere? Grazie.» La voce era strana, forza- ta. Non aveva l'accento locale. La lampada gli illuminava il viso dal basso e gli alterava i lineamenti, ma Catherine poteva vedere chiaramente il resto della figura. L'uomo in- dossava un paio di calzoni kaki ben stirati e una specie di camicia di camo- scio, sbottonata sul torace lentigginoso. Il mento e le guance erano glabri, lisci come quelli di una donna, e gli occhi erano soltanto punti scintillanti al di sopra degli zigomi, nelle ombre della lampada. Anche l'uomo la guardava; e Catherine era sensibile a queste cose. Spes- so gli uomini restavano sorpresi nel vederla così imponente quando si av- vicinava; e alcuni lo nascondevano meglio di altri. «Bene» disse lui. Aveva un odore sgradevole, e Catherine notò con un senso di disgusto che la camicia di camoscio aveva ancora qualche pelo... peli arricciati sulle spalle e sotto le braccia. Non fu difficile sollevare la poltrona sul pianale basso del furgoncino. «Facciamola scivolare più avanti, le dispiace?» L'uomo salì e spostò al- cuni recipienti grandi e piatti, di quelli che si mettono sotto un veicolo per cambiare l'olio, e un piccolo argano a mano, come quelli adoperati per le bare. Spinsero la poltrona in avanti, finché venne sistemata dietro i sedili. «È una quarantotto?» chiese l'uomo. «Che cosa?» «Le dispiace passarmi la corda? È lì ai suoi piedi.» Quando Catherine si chinò per guardare, l'uomo la colpì all'occipite con l'ingessatura. Lei pensò di aver urtato la testa e alzò la mano per tastarla mentre l'ingessatura colpiva ancora, le schiacciava le dita contro il cranio, e poi di nuovo, stavolta dietro l'orecchio, in una successione dì colpi non troppo forti, mentre lei si accasciava sulla poltrona, scivolava sul pianale del furgoncino e restava immobile, sdraiata sul fianco. L'uomo la fissò per un secondo, poi si tolse l'ingessatura e la fascia che reggeva il braccio. Caricò in fretta la lampada sul furgone e chiuse gli sportelli posteriori. Scostò il colletto di Catherine e, con una lampada tascabile, lesse il nu- mero di taglia della camicetta. «Bene» disse. Tagliò la camicetta sulla schiena con un paio di forbici per bende, la sfi- lò e le ammanettò le mani dietro la schiena. Stese sul pianale un telo im- bottito da traslocatore e girò Catherine sul dorso. Non portava il reggiseno. L'uomo le palpò i seni voluminosi con le dita per saggiarne il peso e la consistenza. «Bene» disse. C'era il segno rosso di un succhione sul seno sinistro. L'uomo si leccò l'indice per strofinarlo come aveva fatto con il cinz e annuì quando il livido sparì sotto la leggera pressione. La girò bocconi e controllò la cute, sco- stando con le dita i capelli folti. Il gesso non l'aveva tagliata. L'uomo controllò il battito del cuore premendo due dita sul lato del collo e si accorse che era forte. «Beeene» disse. Aveva molta strada da percorrere prima di raggiungere la sua casa a due piani, e preferiva non doversi occupare di lei mentre era lì. Il gatto di Catherine Baker Martin continuò a guardare dalla finestra nendo con tutte le nostre forze, come abbiamo sempre fatto. E... è al cor- rente della sua situazione personale, e le mette a disposizione un Lear del- l'azienda. Ne approfitti... torni a casa la sera, se è possibile.» «Bene. La senatrice è un tipo duro, Tommy. Se tenterà di prendere il comando finiremo per scontrarci.» «Lo so. Se è necessario, mi chiami pure in causa. Quanto tempo abbia- mo nel migliore dei casi, Jack?» «Non lo so. Se lui si fa prendere dal panico quando scopre chi ha seque- strato... può darsi che la faccia subito fuori e la scarichi.» «Ora dove si trova?» «A tre chilometri da Quantico.» «Sulla pista di Quantico può atterrare un Lear?» «Sì.» «Venti minuti.» «Sì, signore.» Crawford compose un numero sul radiotelefono e tornò a inserirsi nel traffico. 17 Tutta indolenzita dopo un sonno agitato, Clarice Starling, in vestaglia e pantofole con un asciugamani sulle spalle, attendeva di entrare nel bagno che lei e Ardelia Mapp dividevano con le allieve della stanza accanto. Le notizie da Memphis, trasmesse dalla radio l'agghiacciarono per un attimo. «Oh, Dio» disse. «Oh, santo cielo. EHI, LÀ DENTRO! IL BAGNO È CONFISCATO. ESCI CON LE MUTANDE A POSTO. NON È UN'E- SERCITAZIONE!» Entrò nella doccia già occupata dalla sbalordita vici- na. «Sparisci, Gracie, e passami il sapone.» Con l'orecchio teso per captare il primo squillo del telefono, preparò una valigetta e piazzò accanto alla porta la borsa con l'equipaggiamento. Fece sapere al centralino che era in camera sua, e rinunciò a far colazione per restare accanto al telefono. Quando mancavano dieci minuti all'inizio delle lezioni e ancora non era arrivata una chiamata, si precipitò a Scienza del Comportamento con la sua attrezzatura. «Il signor Crawford è partito per Memphis quarantacinque minuti fa» ri- spose soavemente la segretaria. «È andato anche Burroughs, e Stanford del laboratorio è partito dall'Aeroporto Nazionale.» «Ieri sera avevo lasciato qui un rapporto per lui. Non mi ha comunicato niente? Sono Clarice Starling.» «Sì, so chi è. Ho qui tre copie del suo numero di telefono, e ce ne sono altre sulla scrivania del signor Crawford, credo. No, non ha lasciato niente per lei, Clarice.» La segretaria lanciò un'occhiata ai bagagli. «Vuole che gli riferisca qualcosa, quando chiamerà?» «Ha lasciato un numero di telefono per contattarlo a Memphis?» «No, chiamerà per comunicarlo. Oggi lei non ha lezioni, Clarice? È an- cora alla scuola, no?» «Sì. Sì, certo.» L'ingresso di Clarice Starling in aula non fu facilitato da Gracie Pitman, la giovane donna che aveva spodestato sotto la doccia. Gracie Pitman era seduta immediatamente dietro di lei. Sembrava che il percorso fosse lun- ghissimo per arrivare al posto. La lingua di Gracie Pitman ebbe il tempo di compiere due rivoluzioni complete all'interno della guancia lanuginosa prima òhe Clarice potesse mimetizzarsi nella classe. Per due ore, senza aver fatto colazione, ascoltò "Le eccezioni dei manda- ti in buona fede alla norma d'esclusione nelle perquisizioni e negli arresti," prima di poter andare al distributore automatico a prendere una Coca. A mezzogiorno controllò nella sua casella per vedere se c'era qualche messaggio; non ce n'erano. E come era avvenuto in altre occasione della sua vita, pensò che la frustrazione intensa ha lo stesso sapore di certe me- dicine disgustose che era stata costretta a ingurgitare da bambina. In certi giorni ci si sveglia cambiati. Ed era uno di quei giorni per Clari- ce Starling: lo capiva. Ciò che aveva visto il giorno prima nella sede del- l'impresa di pompe funebri di Potter aveva provocato in lei un piccolo mo- vimento sismico. Aveva studiato psicologia e criminologia in un'ottima scuola. In tutta la sua vita aveva visto alcuni dei modi orribilmente disinvolti con cui il mon- do distrugge le cose. Ma non aveva veramente saputo, e adesso sapeva. A volte la specie umana produce, dietro un volto normale, una mente che trova piacere in ciò che adesso giaceva sul tavolo di porcellana a Potter, West Virginia, nella stanza con la tappezzeria a rose centifolie. Il primo contatto tra Clarice e quella mente era anche peggio di ciò che poteva ve- dere durante l'autopsia. La conoscenza le avrebbe aderito alla pelle per sempre; e sapeva che doveva farci il callo, per non venire consumata. La routine della scuola non le era d'aiuto. Per tutto il giorno ebbe la sen- sazione che tutto si stesse svolgendo un po' al di là dell'orizzonte. Le sem- brava di udire un immenso brusio di eventi, come il suono che proviene da uno stadio lontano. Il minimo movimento la faceva trasalire... qualche gruppo che passava nel corridoio, le ombre delle nubi che si muovevano sopra di lei, il rombo di un aereo. Dopo le lezioni, Clarice fece troppi giri di corsa, poi andò a nuotare. Nuotò fino a quando cominciò a pensare ai cadaveri che galleggiavano nel fiume e non sopportò più il contatto dell'acqua sulla pelle. Guardò il telegiornale delle sette in compagnia di Ardelia Mapp e di una dozzina di altre allieve in sala ricreazione. Il sequestro della figlia della se- natrice Martin non era la notizia più importante, ma era la prima dopo i negoziati di Ginevra per la riduzione degli armamenti. C'era un servizio filmato da Memphis: partiva con il cartello delle Sto- nehinge Villas inquadrato nelle luci rotanti di una macchina della polizia. I media stavano dando molta importanza all'avvenimento e, dato che aveva- no ben poco di nuovo da segnalare, i cronisti si intervistavano a vicenda nel parcheggio di Stonehinge. Le autorità di Memphis e della Shelby County chinavano la testa davanti alla selva di microfoni cui non erano a- bituati. In un inferno tumultuoso di bagliori di flash e di feedback alimen- tazione audio, ascoltavano cose che non sapevano. I fotografi si curvavano e scappavano, arretravano e andavano a sbattere contro le camere portatili della TV ogni volta che gli investigatori entravano o uscivano dall'appar- tamento di Catherine Baker Martin. Nella sala ricreazione dell'Accademia si levò un breve applauso ironico quando la faccia di Crawford apparve per un attimo alla finestra dell'appar- tamento. Clarice Starling sorrise distorcendo un po' la bocca. Si chiese se Buffalo Bill stava guardando la televisione. Si chiese cosa pensava della faccia di Crawford e addirittura se sapeva chi era Crawford. Anche altri sembravano convinti che Bill potesse essere in ascolto, co- munque. Apparve la senatrice Martin, in un collegamento diretto con Peter Jen- nings. Era sola nella stanza da letto della figlia. Sulla parete dietro di lei erano visibili il gagliardetto della Southwestern University e un paio di po- ster, uno di Vilcoyote e l'altro dell'Emendamento per l'Eguaglianza dei Di- ritti. La senatrice era una donna alta dalla faccia energica e piuttosto comune. «Mi rivolgo alla persona che trattiene mia figlia» disse. Si avvicinò alla telecamera, obbligando a rimetterla a fuoco, e parlò come non avrebbe mai fatto se si fosse rivolta a un terrorista. «Lei ha il potere di lasciar andare mia figlia illesa. Si chiama Catherine. letti e aprivano i libri. «Quale sarebbe?» «Tu fai conoscenza con due uomini, giusto? Ed è sempre quello sbaglia- to che ti chiama.» «Questo lo sapevo già.» Il telefono squillò. Ardelia Mapp si toccò la punta del naso con la matita. «Se è Hot Bobby Lowrance, ti dispiace dirgli che sono in biblioteca?» disse. «E che gli tele- fonerò domani.» Era Crawford che chiamava dall'aereo. La voce era gracchiante. «Star- ling, prepari una valigia per due notti e venga a raggiungermi fra un'ora.» Clarice pensò che avesse interrotto la comunicazione. Si sentiva soltanto un ronzio sordo. Poi la voce si fece udire di nuovo all'improvviso: «Non avrà bisogno dell'attrezzatura ma soltanto dei vestiti». «Dove debbo raggiungerla?» «Allo Smithsonian.» Crawford incominciò a parlare con qualcun altro prima di riattaccare. «Jack Crawford» disse Clarice, e buttò la valigetta sopra il letto. Ardelia Mapp si affacciò al di sopra del Codice Federale di Procedura Penale. Seguì con lo sguardo la compagna che preparava la valigia e ab- bassò una palpebra su uno dei grandi occhi scuri. «Non vorrei metterti in testa qualche idea» disse. «E invece lo vuoi» rispose Clarice. Sapeva cosa doveva aspettarsi. Ardelia Mapp si era laureata in legge all'Università del Maryland mentre lavorava di notte. All'Accademia era la seconda della sua classe e il suo at- teggiamento verso i libri era di entusiasmo allo stato puro. «Domani devi fare l'esame sul Codice Penale, e fra due giorni hai il test PE. Fai sapere a Crawford il Supremo che potresti venire rimandata se non starà molto attento. Non appena dice: "Buon lavoro, allieva Starling" non rispondere "È stato un piacere". Guarda con fermezza quella sua faccia impassibile da statua dell'Isola di Pasqua e digli: "Conto su di lei perché si dia da fare personalmente per evitare che io venga rimandata per aver sal- tato la scuola". Capisci cosa sto dicendo?» «Posso vedere di arrangiarmi con il Codice» disse Clarice mentre apriva con i denti un fermaglio per i capelli. «Brava, e se poi fai fiasco perché non hai avuto tempo di studiare, speri che non ti rimanderanno? Vuoi prendermi in giro? Ragazza mia, ti butte- ranno fuori dalla porta di servizio come si butta via un pulcino di Pasqua defunto. La gratitudine ha vita breve, Clarice. Costringilo a dire: niente bocciatura. Hai voti ottimi... costringilo a dire così. Non riuscirei mai a trovare un'altra compagna di stanza che sappia stirare alla svelta come te quando manca un minuto all'inizio delle lezioni.» Clarice Starling procedeva con la vecchia Pinto sulla strada a quattro corsie, circa un chilometro al di sotto della velocità alla quale il volante in- cominciava a vibrare. L'odore dell'olio caldo e della muffa, lo sferragliare, il gemito della trasmissione echeggiavano vagamente dei ricordi del fur- goncino del padre, quando gli viaggiava seduta accanto, in compagnia dei fratelli e della sorella che non stavano fermi un attimo. Adesso era lei che guidava, guidava di notte e i segni bianchi della mez- zeria scorrevano sotto di lei, blip, blip, blip. Aveva tempo per pensare. Le paure le respiravano sul collo; e altri ricordi recenti si dibattevano al suo fianco. Clarice Starling temeva che fosse stato trovato il cadavere di Catherine Baker Martin. Quando Buffalo Bill aveva scoperto chi era, forse aveva ce- duto al panico. Poteva darsi che l'avesse uccisa e avesse scaricato il corpo con un insetto nella gola. Forse Crawford stava portando l'insetto per farlo identificare. Altrimenti, perché le avrebbe detto di raggiungerlo allo Smithsonian? Ma qualunque agente avrebbe potuto consegnare un insetto allo Smithsonian... anzi, a- vrebbe potuto farlo anche un fattorino dell'FBI. E Crawford le aveva detto di preparare una valigia per due notti. Capiva benissimo perché non le aveva dato spiegazioni tramite il colle- gamento radio: ma era esasperante non sapere niente. Trovò alla radio una stazione che trasmetteva continuamente notiziari e attese che finisse il bollettino meteorologico. Quando ricominciarono le notizie, non furono di molto aiuto. Il servizio da Memphis era un rimpasto di quello delle sette. La figlia della senatrice Martin era scomparsa. La sua camicetta era stata trovata tagliata sul dorso nello stile tipico di Buffalo Bill. Non c'erano testimoni. La vittima del West Virginia non era stata i- dentificata. West Virginia. Tra i ricordi che Clarice Starling conservava della sede delle pompe funebri di Potter c'era qualcosa di concreto e prezioso, qual- cosa di durevole che risplendeva, separato dalle rivelazioni tenebrose. Lo rammentò di proposito e si accorse che poteva stringerlo in pugno come un talismano. Là, mentre fissava il lavello, aveva trovato la forza attingendola da una fonte che le causava sorpresa e soddisfazione... il ricordo di sua madre. Clarice era una superstite navigata grazie alla forza trasmessa dal padre defunto tramite i suoi fratelli: era sorpresa e commossa dal tesoro che aveva scoperto. Parcheggiò la Pinto sotto la sede centrale dell'FBI all'incrocio tra la De- cima Strada e Pennsylvania Ayenue. C'erano due troupe televisive sul marciapiede, e i cronisti apparivano fin troppo eleganti e leccati sotto le lu- ci. Recitavano le loro notizie stando in piedi con il J. Edgar Hoover Building alle spalle. Clarice girò intorno ai riflettori e percorse due isolati a piedi per arrivare all'American Museum of Natural History dello Smi- thsonian. Vide alcune finestre illuminate a uno degli ultimi piani del vecchio pa- lazzo. Un furgone della polizia della Contea, di Baltimora era parcheggiato sul viale semicircolare. L'autista di Crawford, Jeff, attendeva al volante di un nuovo furgone per la sorveglianza, subito dietro l'altro. Quando vide avvicinarsi Clarice Starling, disse qualcosa nel microfono della radio. 18 Il guardiano accompagnò Clarice Starling al secondo piano, sopra il grande elefante impagliato dello Smithsonian. La porta dell'ascensore si aprì sull'ampio spazio semibuio. Crawford era lì ad attenderla, solo, con le mani affondate nelle tasche dell'impermeabile. «Buonasera, Starling.» «Salve» disse lei. Crawford girò la testa per parlare al guardiano. «Possiamo proseguire da soli, grazie.» Si avviarono lungo un corridoio fiancheggiato dalle casse dei reperti ar- cheologici. Solo alcune lampade del soffitto erano accese. Mentre proce- deva accanto a Crawford in atteggiamento curvo e pensieroso, Clarice si accorse che Crawford avrebbe voluto posarle la mano sulla spalla e che l'a- vrebbe fatto, se gli fosse stato possibile toccarla. Attese che le dicesse qualcosa. Alla fine si fermò, mise anche lei le mani nelle tasche. Si fronteggiarono nel corridoio, nel silenzio delle ossa. Crawford appoggiò la testa contro le casse e trasse un respiro profondo attraverso il naso. «Con ogni probabilità Catherine Martin è ancora viva» disse. Clarice annuì e tenne abbassata la testa. Forse per lui sarebbe stato più «Al Johns Hopkins l'hanno trovato stasera verso le sette. Il procuratore distrettuale di Baltimora me l'ha comunicato sull'aereo. Ci hanno mandato Klaus e tutto quanto perché potessimo vederlo in situ. E volevano anche un'opinione del dottor Angel sull'età di Klaus e su quella che aveva quando si fratturò lo zigomo. Anche loro, come noi, consultano lo Smithsonian.» «Mi lasci riprendere fiato un secondo. Vuol dire che forse fu Buffalo Bill a uccidere Klaus? Parecchi anni fa?» «Le sembra assurdo? Una coincidenza eccessiva?» «In questo momento sì.» «Ci rifletta ancora un attimo.» «II dottor Lecter mi aveva detto dove avrei trovato Klaus» disse Clarice. «Sì, infatti.» «Il dottor Lecter mi aveva detto che Benjamin Raspail, il suo paziente, sosteneva di aver ucciso Klaus. Però, secondo Lecter s'era trattato proba- bilmente d'un caso accidentale di asfissia erotica.» «È ciò che le ha detto.» «Pensa che forse il dottor Lecter sa esattamente come morì Klaus, e sa che l'assassino non fu Raspail e che l'asfissia erotica non fu la causa della morte?» «Klaus aveva un insetto in gola, la ragazza del West Virginia aveva un insetto in gola. Non ho mai visto niente del genere in nessun'altra occasio- ne. Non ho mai letto né sentito parlare di casi simili. Cosa ne pensa?» «Penso che lei mi ha detto di preparare una valigia per due giorni. Vuole che lo chieda al dottor Lecter, vero?» «Con lei è disposto a parlare, Starling.» Crawford aveva un'espressione molto triste quando disse: «Immagino che accetterà». Clarice annuì. «Ne parleremo mentre andiamo al manicomio.» 19 «Il dottor Lecter svolse un'avviata attività psichiatrica per anni, prima che lo prendessimo per gli omicidi» disse Crawford. «Faceva una quantità di perizie psichiatriche per i tribunali del Maryland e della Virginia e per vari altri lungo la Costa Orientale. Aveva visto una quantità di pazzi peri- colosi. Chi sa che cosa poteva aver scatenato per il gusto di divertirsi? Ec- co, questo è uno dei modi in cui poteva saperlo. Inoltre, frequentava Ra- spail e Raspail gli confidava parecchie cose nel corso della terapia. Forse gli aveva detto chi era l'uccisore di Klaus.» Crawford e Clarice Starling erano l'uno di Fronte all'altra, seduti sulle poltroncine girevoli a bordo del furgone della sorveglianza che sfrecciava verso nord sulla Nazionale 95 in direzione di Baltimora, a una sessantina di chilometri di distanza. Jeff, al volante, aveva chiaramente ricevuto l'or- dine di premere sull'acceleratore. «Lecter si è offerto di aiutarci, e io non ho voluto saperne. Avevo avuto il suo aiuto già in passato. Non ci rivelò niente di utile, e l'ultima volta aiu- tò Will Graham a ritrovarsi con un coltello piantato nella faccia. Così, per divertimento. «Ma un insetto nella gola di Klaus, un insetto nella gola della ragazza del West Virginia... questo non posso ignorarlo. Alan Bloom non aveva mai sentito parlare di questo sistema specifico, e neppure io. A lei è mai capitato d'imbattersi in una cosa del genere, Starling? Ha letto i testi spe- cializzati in tempi molto più recenti di quanto li abbia letti io.» «Mai. Ci sono casi d'inserimento di altri oggetti, questo sì, ma non un in- setto.» «Due cose, tanto per incominciare. Innanzi tutto, procediamo in base alla premessa che il dottor Lecter sappia effettivamente qualcosa di concreto. In secondo luogo, teniamo presente che Lecter mira soltanto a divertirsi. Non lo dimentichi mai. Deve volere che Buffalo Bill venga preso finché Catherine Martin è ancora viva. Tutto il divertimento e tutti i benefici per lui devono venire da quella direzione. Non abbiamo nessuna possibilità di minacciarlo: ha già perso l'asse del cesso e i suoi libri. Non ha assoluta- mente più nulla da perdere.» «Che cosa succederebbe se gli spiegassimo la situazione e gli offrissimo qualcosa in cambio... una cella con veduta? È quanto ha chiesto quando si è offerto di aiutarci.» «Si è offerto di aiutarci, Starling. Non si è offerto di fare la spia. Fare la spia non gli offrirebbe l'occasione di mettersi in luce. Lei ne dubita? Prefe- risce la verità? Mi ascolti, Lecter non ha nessuna fretta. Ha seguito questa storia come se fosse il campionato di baseball. Se gli chiediamo di fare la spia, aspetterà. Non lo farà subito.» «Neppure per una ricompensa? Per qualcosa che non otterrà se Catheri- ne Martin dovesse morire?» «Immaginiamo di dirgli: sappiamo che possiede informazioni e voglia- mo che ce le spifferi. Lui si divertirebbe come un matto aspettando e com- portandosi come se cercasse di ricordare, per settimane e settimane, ali- mentando le speranze della senatrice Martin e lasciando morire Catherine, per poi tormentare un'altra madre e un'altra ancora, incoraggiandole a spe- rare, dicendo di essere sempre sul punto di ricordare... per lui sarebbe mol- to meglio che avere un panorama davanti alla finestra. È di questo che vi- ve. È il suo nutrimento. «Non sono sicuro che invecchiando si diventi più saggi, Starling: però si impara a schivare una certa quantità di dispiaceri. E possiamo schivarne diversi, in questo caso.» «Perciò il dottor Lecter deve pensare che ci rivolgiamo a lui al solo sco- po di chiedergli teorie e intuizioni» disse Clarice. «Appunto». «Perché me l'ha detto? Perché non si è limitato a mandarmi da lui per chiederglielo in questo modo?» «Voglio essere molto franco con lei. E faccia altrettanto quando avrà il comando. Non c'è niente altro che funzioni a lungo.» «Quindi non si parla dell'insetto nella gola di Klaus, né di collegamenti tra Klaus e Buffalo Bill.» «No. Lei è tornata a parlargli perché è rimasta colpita scoprendo con quanta precisione aveva predetto che Buffalo Bill avrebbe cominciato a scotennare le vittime. Ufficialmente, io non gli ho dato importanza, e al- trettanto ha fatto Alan Bloom. Però la lascio fare, almeno in una certa mi- sura. Gli porta l'offerta di certi privilegi... cose che può fare soltanto qual- cuno potente come la senatrice Martin. Lecter deve convincersi che per lui è meglio affrettarsi, perché se Catherine muore l'offerta viene a cadere. Se questo avvenisse, la senatrice perderebbe ogni interesse nei suoi confronti. E se Lecter fallirà, fallirà perché non è abbastanza intelligente e informato da fare ciò che aveva promesso... e non perché sta nascondendoci qualcosa per farci dispetto.» «La senatrice perderà davvero ogni interesse?» «Sarebbe meglio se lei potesse dire sotto giuramento di non aver mai conosciuto la risposta a questo interrogativo.» «Capisco.» Dunque la senatrice Martin non era stata informata. Ci vole- va una buona dose di faccia tosta. Crawford aveva paura di interferenze, temeva che la senatrice commettesse l'errore di fare appello al dottor Lec- ter. «Capisce veramente?» «Sì. Come potrà essere abbastanza preciso da portarci a Buffalo Bill senza rivelare che dispone di informazioni specifiche? Come può farlo u-
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