Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Il teatro e il suo doppio - Artaud, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Riassunto sintetico del libro.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 10/12/2021

PaoloLucianj
PaoloLucianj 🇮🇹

4.5

(11)

2 documenti

1 / 12

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Il teatro e il suo doppio - Artaud e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! IL TEATRO E IL SUO DOPPIO Vita Scrittore, regista, attore francese (Marsiglia 1896 - Ivry-sur-Seine 1948); aderente al surrealismo, se ne allontanò per frequentare la scuola di Charles Dullin, esordendo come attore all’Atelier. Nel 1926 impostò un'attività teatrale autonoma con la fondazione del teatro Alfred Jarry (dove esordì come regista mettendo in scena una sua pochade commedia dai toni farseschi) e con la elaborazione di alcuni manifesti teorici sul coinvolgimento dello spettatore. Per Artaud compito del teatro sarebbe scuotere e sconvolgere lo spettatore: il suo teatro della crudeltà intendeva appunto proporre uno spettacolo totale in cui fossero impiegati tutti i mezzi d’azione (luci, suoni, gesti, vicende, ecc.) atti a suscitare la partecipazione incondizionata dello spettatore. Una malattia mentale lo costrinse a vivere lontano dalla vita teatrale, ma scrisse ancora qualche saggio (tra cui il volume Van Gogh, le suicidé de la société, 1947). Tra le sue opere fondamentali per il teatro abbiamo Le théatre et son double, 1938. Introduzione Antonin Artaud è stato, assieme a Stanislavskij e Brecht, il più autorevole teorico del teatro del ‘900, non tanto per i risultati ottenuti (in quanto il suo teatro non fu mai all'altezza dei “manifesti” pubblicati) quanto per l'originalità dei sui scritti e dei suoi trattati. Per Artaud, come per Brecht, il dramma è uno strumento di rivoluzione, capace di riordinare l’esistenza umana. Artaud si preoccupò di separare il teatro come doveva essere (“il compimento dei più puri desideri umani”) dal teatro come era allora (“superficiale e posticcio, di consumo momentaneo”). Tuttavia, l’obiettivo di Artaud - a differenza di altri registi pedagoghi del ‘900 - non era quello di trasformare l’uomo socialmente, ma psicologicamente, liberando tutte quelle forze oscure e nascoste che fanno parte di ogni individuo. Così Artaud e Brecht si trovano in due posizione diametralmente opposte: Brecht voleva affermare un teatro che stimolasse lo spettatore, inducendolo al ragionamento e all'analisi, mentre Artaud voleva un teatro senza alcuna riflessione razionale che ostacolasse il risveglio dello spirito interiore dell’uomo. Artaud porta le teorie simboliste e surrealiste al loro limite più estremo. Secondo Artaud, il teatro dovrebbe “rituffarsi nella vita”, ma non alla maniera dei naturalisti, bensì ad un livello mistico, metafisico; compito degli scenografi e degli attori è rivelare la vita segreta dei grandi drammi, creano un teatro dove il pubblico non venga per osservare, ma per partecipare emotivamente. Queste idee sono tutte sviluppate da Artaud nei suoi manifesti scritti tra il 1926 ed il 1929 a sostegno della sua organizzazione teatrale, Il teatro Alfred Jerry. Artaud prometteva un teatro che avrebbe mostrato allo spettatore le angosce e le inquietudini della vita reale, in cui sarebbero entrati in gioco molti fattori: “lo spirito, ma anche i sensi e la came”. Si sarebbe dovuto avere un teatro “di magia”, rivolto non allo sguardo o alla mente bensì “agli aspetti più segreti del cuore”. Nel saggio Il teatro Alfred Jarry, Artaud respinge le neonate accuse alle proprie idee dicendo che il suon teatro era uno spettacolo “libero” (come la poesia, la musica e la pittura), ma anche un “teatro totale” di pura esperienza; l’obiettivo di Artaud era extra-teatrale, cioè una reintegrazione della vita stessa secondo una visione quasi allucinatoria della realtà umana. Durante i primi anni ’30, Artaud scrive una serie di saggi che formano la sua opera più importante, il teatro e il suo “doppio” (1938); il saggio, contenuto nell'opera dedicato agli attori baliensi segna un evento assolutamente importante: la visione dei danzatori balinesi, da parte di Artaud, contribuì ad una svolta nel suo pensiero. Infatti, fino al 1926, Artaud aveva affermato che la recitazione e la messinscena avrebbero dovuto essere considerate come i segni visibili di un linguaggio che invece è “invisibile e segreto”; tuttavia, il modello per questi segni non gli fu molto chiaro fino a che non vide i danzatori balinesi: divenne quindi concreta l’idea di un teatro puro, dove tutto diviene oggettivo solo nel momento stesso in cui si trova sulla scena. Le parole erano eliminate: gli attori diventavano “geroglifici animati”, le cui grida ed i cui gesti risvegliavano nel pubblico una risposta emotiva, non traducibile in un linguaggio logico e discorsivo. Fin dall'inizio della sua carriera di poeta e di attore (con Charles Dullin), Artaud era ossessionato dall'incapacità delle parole ad esprimere il mondo interiore di ogni individuo; i danzatori balinesi gli dimostrarono come era possibile utilizzare un sistema di segni spirituali capace di sostituire la parola. Il teatro, per Artaud, doveva essere liberato dalla sua sottomissione al testo, così come il corpo dell'attore doveva essere liberato dalla sua subordinazione alla mente. Il linguaggio da usare, quindi, non doveva più essere umanistico e realistico, bensì un linguaggio della magia. Il termine “crudeltà” fu scelto da Artaud per definire il suono nuovo teatro, nel 1932, dopo aver scartato termini come “assoluto”, “metafisico”, “alchimistico”; pubblicò ben due manifesti de il teatro della crudeltà, nel 1932 e nel 1933. Sin dall’inizio, Artaud precisò che non si trattava di un'interpretazione morale e fisica della crudeltà: lo spargimento di sangue e di carne costituivano un aspetto secondario della questione (ma comunque presente), lasciando posto ad una crudeltà intesa come forza ed energia creatriva, come illustro irrazionale la cui legge unica è il Male. L'unico vero compito del teatro di Artaud era offrire allo spettatore una rivelazione, cioè rivelare il cuore di tenebra presente nella vita stessa. Di conseguenza, tutte le convenzioni della società moderna, specie quella occidentale (cioè la sua morale, i suoi tabù, le sue istituzioni), sono per Artaud inutili tentativi di negare questa crudeltà cosmica: per Artaud la sproporzione esistente fra i sentimenti ed il linguaggio andava inquadrata in una più generale cristi culturale (come si legge nella prefazione). Nel saggio Il teatro e la peste, Artaud paragona il teatro alla peste, in quanto - come la peste - è capace di rivelare lo spirito represso in ogni uomo. Il teatro, come la peste, spinge in superficie la crudeltà nascosta; libera le possibilità più oscure. Alcuni critici hanno acutamente individuato nel teatro di Artaud una tendenza anticonvenzionale: se per secolo si è parlato del teatro come “purgazione” dei sentimenti e dei valori negativi, con il Teatro della Crudeltà abbiamo una sorta di anti-purgazione: esso evidenzia come l'animo umano sia caratterizzato da lati oscuri ed energie dolorose, senza possibilità di conciliazione. Il concetto di “doppio” di Artaud fu fonte di malintesi: egli spiegava il titolo del suo libro dicendo che “se il teatro è il doppio della vita, la vita è il doppio del teatro”; i doppi del tetro sono allora la metafisica, la poesia e la crudeltà. Il doppio del teatro non è la realtà quotidiana, sempre più vuota ed insignificante, ma piuttosto la realtà archetipica e pericolosa. Il concetto di “doppio” viene applicato da Artaud anche a proposito dell'attore: l'attore deve vedere il suo corpo come il doppio di uno “spettro”, plastico e mai compiuto, simili al “Ka” delle mummie egiziane; ogni parte del corpo ha uno speciale potere mistico ed ogni emozione ha una base organica. Ogni differente metodo di respirazione può essere analizzato per il contenuto simbolico. Il teatro Alfred Jarry Alfred Jarry è stato un drammaturgo, scrittore e poeta francese. | suoi testi sono sta i primi a trattare del tema dell’assurdità dell’esistenza e hanno a che fare con il grottesco e il fraintendimento. Antonin Artaud è il fondatore del teatro Alfred Jarry; Artaud vuole che la rappresentazione provochi lo spettatore, che lo mistifichi, lo traumatizzi, lo impegni attivamente nell’avvenimento che si rinnova ogni sera, liberi in lui le forza più brutali e crudeli. Per ottener questo scopo il drammaturgo rinuncerà al dialogo tradizionale: “Un teatro che sottometta la messa in scena e la realizzazione vale a dire quanto vi è in esso di più specificatamente teatrale, al testo, è un teatro di idioti, di pazzi, di invertiti, di grammatici di droghieri, di antipasti e di positivisti, nsomma di Occidentali”. Artaud lancia dunque l’anatema contro la letteratura. Niente idee sulla scena, né psicologia, né personaggi, né umanità, disordine e improvvisazione. Jarry derideva già l’importanza che l’uomo, nella sua boria, si attribuisce nell'universo. Artaud né ride, come lui. Dell'uomo ammette sulla scena solo quanto vi è di torbido e di meno individualizzato: sogni e istinti. E, riguardo all’espressione, un linguaggio particolare, fatto soprattutto per i sensi: gesti, illuminazione, valorizzazione dell'oggetto e dell’accessorio. La recitazione deve dare l'impressione di essere rallentatore come al cinema. Nell'ultimo atto gli attori quasi non si muoveranno. Solo alla fine per lanciare l’invocazione alla morte l’attore ritroverà la sua forza, la sua consistenza, una voce bene in carne. Progetto: Le coup de Trafalgar di Roger Vitrac Dramma borghese solo per i personaggi che vi appaiono: per le loro idee, i loro appetiti meschini. | personaggi vanno fino in fondo ai loro impulsi, ai loro pensieri, raggiungendo così la verità generale che è lo scopo stesso del teatro. Il linguaggio è diretto, violento, sincero —> si preoccupa di non tralasciare nulla della verità già segreta e nascosta. Questa opera è modema per la particolare accentuazione data ai personaggi e alla loro psicologia e perché propone un certo numero di problemi di attualità (borghesia, rivoluzione, libertà, diserzione in tempo di guerra, ecc.) tutte idee sollevate dalla società giunta al colmo della sua decomposizione e del suo disorientamento, l’autore non si pronuncia in merito (senza partito preso). Ci sono tre tipi di illuminazioni che si unificheranno alla fine, quando il chiarore temporalesco della strada dominerà tutto. Vi è un rumore di fondo che manifesta la continua presenza della vita di fuori (rumori della strada e rumori della casa). Gli attori reciteranno con verità, senza nessuna intenzione prestabilita né dalla dizione né dalla pantomima. Viene evitata ogni stilizzazione. L’Atelier di Charles Dullin Con la creazione dell’Atelier, Charles Dullin affronta i gravi problemi del risanamento e della generazione morale e intellettuale del teatro francese, non c'è niente che si possa chiamare teatro. Dullin vuole costituire un piccolo nucleo di attori disciplinati, al corrente delle esigenze del loro mestiere, coscienti —> usa il metodo dell'improvvisazione che costringe l'attore a pensare agli impulsi dell'anima invece di rappresentarli. Dullin considera l’Atelier come un laboratorio di ricerche. C'è gente che va a teatro come andrebbe al bordello —> piacere furtivo, eccitazione momentanea, luogo di scarico, teatro-svago. Esistono così due teatri: un falso teatro facile e fittizio, il teatro dei borghesi, militari, benestanti, ecc.; e un teatro concepito come il compimento dei più puri desideri umani —> Atelier di Charles Dullin. Gli artisti dell’Atelier si sono rivelati straordinari nel rappresentare con poche parole certi personaggi della nostra umanità, sentimenti astratti come il vento, il fuoco, i vegetali oppure creazioni dello spirito, sogni, deformazioni, il tutto senza testo, senza preparazione. Sei personaggi in cerca d'autore alla Comedie des Champs-Elysees (regia di George Pitoeff, recensione di Artaud) Tutta la sala è un immenso palcoscenico dove lo spettatore assisterà allo svolgersi alla prova. Prova di cosa? non c'è testo; il dramma si produce davanti ai nostri occhi. Famiglia in lutto, dai volti pallidissimi e come non del tutto usciti da un sogno. Sono i sei personaggi in cerca d'autore, personaggi che chiedono di vivere, vogliono essere immersi in un dramma, sono reali e lo dimostrano (rapporto realtà-vita). Ma se loro sono reali, allora noi cosa siamo? Si pone così il problema del teatro. Les Mysteres de l’Amour di Roger Vitrac Roger Vitrac conosce la ripartizione dello spirito. Quest'opera è un'alchimia dell'amore, di un certo amore, degli amori di un certo numero di esseri fantocci determinati, impossibili da confondere; sono rappresentazioni, stati, immagini, ma sono anche ESSERI, impossibili da pensare eppure reali, fenomenali. Prendono possesso della storia. Il teatro e il suo doppio Il teatro e la cultura Artaud parte dal presupposto che nel mondo esistono alcuni grandi problemi “oggettivi” - il suo esempio preferito è “la fame” - che di fatto annullano ogni preoccupazione per la cultura. Artaud non intende difendere una cultura che non ha mai salvato nessuno dall’ansia i vivere meglio e di avere fame, bensì estrarre da ciò che noi chiamiamo “cultura” delle idee la cui forza di vita sia pari a quella della fame. “Abbiamo soprattutto bisogno di vivere, e di credere in ciò che ci fa vivere e che qualcosa ci fa vivere”. Artaud intende dire, con questa frase, che se è essenziale per tutti noi mangiare, è per noi ancora più essenziale non dissipare nell'unica preoccupazione di mangiare subito la forza del semplice fatto di avere fame. Se il tempo corrente è caratterizzato dalla confusione, alla base di essa vi è una frattura fra le cose e le parole, le idee, i segni che la rappresentano. Ciò premesso, Artuad passa a delineare un’idea della cultura, idea che si concretizza innanzitutto in una protesta. Protesta contro l’impoverimento imposto al concetto di cultura, ridotta ad un qualcosa che da idolatrare, ridotta ad un Pantheon; protesta contro la cultura come concetto a se stante, come se esistesse la cultura da un lato e la vita dall’altro. Ciò che secondo Artaud ci ha fatto perdere il senso della cultura è la nostra idea occidentale dell’arte: contrariamente a quanto si vuole far credere, arte e cultura non possono andare d'accordo. La vera cultura agisce attraverso l'esaltazione e la forza, mentre l'ideale estetico europeo tende ad esaltare lo spirito separandolo dalla forza. Ogni autentica effige ha un'ombra che costituisce il suo doppio: l’arte cessa di avere importanza a partire dall’istante in cui lo scultore, nel modellare, pensa di aver liberato una sorta d'ombra la cui esistenza strazierà il suo riposo. Come ogni cultura magica espressa da appropriati geroglifici, anche il vero teatro ha le sue ombre; e, tra tutti i linguaggi e tutte le arti, è il solo le cui ombre abbiano tavolo i loro limiti. Anzi, esse non hanno tollerato alcun limite fin dalla loro origine. Il nostro concetto pietrificato del teatro si riallaccia alla nozione pietrificata di una cultura senza ombre, in cui il nostro spirito incontra solamente il vuoto. Ma il vero teatro, che si avvale di strumenti “vivi” (come gli attori), continua ad agitare ombre; l'attore, che non ripete mai due volte lo stesso gesto, ma compie gesti, si muove fra le forme e le esalta, le mostra, le violenta rendendo tutto lo spazio uno spazio vivo e multiforme. Il teatro non consiste in nulla ma si serve di tutti i linguaggi - gesti, suoni, parole, luce, grida - nasce proprio nel momento stesso in cui si fissa in uno solo di questi linguaggi (ad esempio “la parola”). Utilizzare o privilegiare un linguaggio, ingigantendone l’importanza, significa inevitabilmente limitarlo. Spezzare il linguaggio, ecco cosa vuole Artaud: spezzarlo per raggiungere la vita. In questo modo si può fare o rifare il teatro. Ciò che importa non è credere che questo atto debba rimanere “sacro” - riservato cioè a pochi - bensì credere che non tutti possono compierlo, in quanto esso esige una preparazione. Il che significa rifiutare i consueti limiti dell'uomo e delle sue facoltà, e allargare i confini di quella che noi conosciamo come realtà. Solo in questo modo, conclude Artaud, si può ambire ad una concezione di vita rinnovata, dove l’uomo diviene signore di ciò che ancora non esiste e che dunque egli fa nascere. Il teatro e la peste Si tratta di uno dei saggi più originali di Artaud. Egli parte da una lunga considerazione sulla “peste” (intesa come virus) per allacciarsi ad una metafora riguardante il teatro: quando in una città si verifica la pesta, le forme di vita normale crollano; la situazione dell'appestato che muore senza distruzione materiale, con tutte le stigmate di un male assoluto e quasi astratto, è identica a quella dell'attore, che viene penetrato interamente dai propri sentimenti, e da questi sconvolto, senza alcun beneficio per la realtà. Nell’aspetto fisico dell'attore, come in quello dell’appestato, tutto testimonia che la vita ha reagito fino al culmine, e che nonostante ciò non è avvenuto nulla. Fra l'appestato che corre urlando dietro alle proprie allucinazioni e l'attore che si lancia alla ricerca della propria “sensibilità”, fra l'uomo che si inventa personaggi ai quali non ha mai pensato e l’attore che li raffigura in mezzo ad un pubblico consenziente, esistono anche altre analogie che pongono il teatro alla stregua della pestilenza: entrambe sono un'autentica epidemia. Eppure Artaud individua una sostanziale differenza: mentre le immagini della peste, essendo in rapporto con uno stato di degradazione fisica, sono come gli ultimi sprazzi di una forza spirituale che si va esaurendo, le immagini della poesia a teatro sono una forza spirituale che parte dal sensibile per fare a meno della realtà. La forza dell'attore non si esaurisce, non va morendo, non si degrada: l'attore è confinato in un cerchio puro e completo. Bisogna però ammettere, ancora una volta, che la rappresentazione teatrale, come la peste, è un delirio ed è comunicativa: tuttavia, per far nascere dallo spirito uno spettacolo vero e proprio, si devono riscoprire determinati procedimenti. E non è semplicemente questione di arte. Infatti il teatro è come la peste, c'è in esso qualcosa di vittorioso ed insieme di vendicativo; e come la peste, anche il teatro stabilisce un legame tra ciò che è e ciò che non è, fra realtà materiale e realtà virtualmente possibile. Ritrova così il concetto di simbolo e di archetipo, creando dinanzi agli occhi dello spettatore un universo di simboli e, come tale, impossibile, indecifrabile, inaccessibile. Da questo presupposto di realtà possibile nasce la poesia, che sulla scena alimenta questi simboli. Una vera opera teatrale, secondo Artaud - è ciò è confermato dai suoi Manifesti - scuote il riposo dei sensi, libera l'inconscio, spinge ad una specie di rivolta spirituale: impone alla collettività radunata un atteggiamento eroico e difficile. Come la peste, dunque, il teatro diviene formidabile veicolo di forza che riportano lo spirito all'origine dei suoi conflitti. Il teatro è essenziale come la peste, non perché contagioso, ma perché come la peste è rivelazione. Come la peste è il momento del Male, il trionfo delle forze oscure; in esso c'è una specie di strano Sole, una luce anomale, dove nulla si accende in modo normale. Si può dire che ogni vera libertà è nera e si identifica immancabilmente con la libera sessuale: da un pezzo l’Eros platonico - in senso genetico - la libertà di vita, sono scomparsi sotto i freni della Libido, nella quale si identifica tutto ciò che è sporco, infamante e abbietto. Tutti i grandi Miti sono neri, e fuori da un'atmosfera di stage, torture, sangue versato non si possono immaginare le splendide favole che raccontano alle folle (forse tutte le favole hanno il male alla base). Il teatro, come la peste, non è colpa del teatro né della pesta, bensì della vita. Ad Artaud non sembra affatto che la vita, così com'è, possa essere fonte di esaltazione. Dal punto di vista umano, l’azione del teatro, come quella della peste, è benefica: essa, spingendo gli uomini a vedersi come sono, fa cadere la maschera, mette a nudo la menzogna, porta a galla la verità, spinge ad atti di eroismo e di consapevolezza. La messa in scena e la metafisica Artaud analizza un quadro custodito al Louvre: Le figlie di Loth, dipinto che secondo il regista rende inutili gli altri 4 0 5 secoli di storia della pittura che lo hanno seguito. Tale dipinto ha la caratteristica fondamentale di “scatenare” qualcosa nell’osservatore, di colpire tanto l'orecchio quando l'occhio: infatti, esso raccoglie in sé un grande dramma intellettuale. Sembra, dice Artaud, che il pittore sia a conoscenza dei mezzi per agire sul cervello umano. Ma il quadro non sprigiona idee chiare: le idee che esso raccoglie sono tutte metafisiche. Anzi, Artaud aggiunge che la grandezza poetica di queste idee deriva proprio dal fatto di essere metafisiche. L'idea stessa di “caos” presente nel quadro si aggiunge al Meraviglioso e all’Equilibrio: e secondo Artaud questo dipinto è ciò che dovrebbe essere il Teatro. Ma per farlo, il teatro dovrebbe saper parlare il linguaggio che gli è proprio: invece, dice Artaud, la situazione è ben diversa. E pone una domanda: perché in Occidente tutto ciò che è specificatamente teatrale (cioè tutto ciò che non è contenuto nel dialogo) rimane in secondo piano quasi non fosse poi così importante? Il dialogo non appartiene specificatamente alla scena, appartiene al libro; la scena è un luogo fisico concreto che dev'essere “riempito” e che pretende di parlare un suo linguaggio concreto. Questo linguaggio, per Artaud, deve innanzitutto soffiare i sensi, poiché esiste una poesia per i sensi come ne esiste una per il linguaggio, ed è un linguaggio puramente teatrale poiché i pensieri che esprime sfuggono al linguaggio articolato. Il linguaggio fisico, materiale e solido, del teatro è nettamente differente dalla parola: esso consiste in tutto ciò che occupa la scena, in tutto ciò che può manifestarsi ed esprimersi materialmente sulla scena, e che si rivolge innanzitutto ai sensi. È un linguaggio fatto per soddisfare i sensi. Si può così sostituire alla poesia del linguaggio una poesia dello spazio, che si svilupperà in un campo non appartenente alla parola. Questa poesia utilizza tutti i mezzi di espressione utilizzabili su un palcoscenico - musica, danza, plastica, pantomima, mimica, intonazione, architettura, illuminazione, scenografia, ecc. - ed come qualcosa di inferiore al testo. Quindi, vista questa sudditanza del teatro alla parola, ci viene da chiederci se il teatro abbia o no un linguaggio proprio (come ha il cinema), se p insomma un'arte indipendente ed ed autonoma come la musica, la pittura o la danza. Secondo Artaud, questo linguaggio, ammesso che esista, si identifica necessariamente con lo spettacolo, inteso come: 1. materializzazione visuale e plastica della parola; 2. il linguaggio di tutto ciò che si può rappresentare indipendentemente dalla parola. Considerando questo linguaggio dello spettacolo, il linguaggio teatrale puro, si tratta poi di scoprire se esso può raggiungere gli stessi obiettivi della parola, cioè verificare se esso è in grado non di precisare pensieri ma di far pensare (cioè indurre lo spirito ad assumere atteggiamenti profondi). In una parola, dice Artaud, porre il problema dell'efficacia intellettuale di un linguaggio che utilizzi solamente forme, rumori, gesti; quindi il problema dell’efficacia intellettuale dell’arte. È solo una povertà della nostra cultura occidentale confondere arte ed estetismo, cioè credere che possa aversi una pittura che si esaurisca nel dipingere, una danza che si esaurisca nel danzare e, quindi, un teatro che si esaurisca nel visualizzare un testo scritto. L'obiettivo reale del teatro, e questo ce lo insegno proprio il teatro orientale, non è quello di risolvere conflitti sociali o psicologici, bensì esprimere in modo obiettivo verità segrete di mettere in luce con gesti attivi le verità nascoste. Fare del teatro un'arte capace di esprimere attraverso l'intera drammaturgia della forma equivale a restituirli la sua dimensione originaria, metafisica e religiosa. Basta con i capolavori Per Artaud bisogna farla finita con l’idea malsana che i capolavori siano riservati ad un élite di pubblico e non adatti alla folla; ovvero, che i testi del passato sono oggi comprensibili solo a pochi. I capolavori del passato vanno bene per il passato, ma non per noi. Il teatro odierno ha il diritto di dire ciò che è stato o ciò che è stato detto in una forma che sia propria, immediata, diretta, legata ad un linguaggio che tutti indistintamente sappiano comprendere. È sciocco rimproverare le masse di non saper cogliere il sublime, poiché esso viene sempre portato in scena in modo formale ed oltretutto è sempre una manifestazione morta. Bisogna invece entrare nell'ottica che una folla abituata terremoti, pestilenze, catastrofi e guerre piò avvicinarsi a questi concetti e al sublime, anzi non chiede di meglio che prenderne coscienza: a condizione però che si parli nel suo linguaggio, e che la nozione di queste cose le pervenga tramite costumi e discorsi sofisticati, appartenenti ad epoche morte e destinate a non tornare più. Oggi, come un tempo, la folla è avida di misteri e vuole venire a conoscenza delle leggi attraverso le quali il destino si manifesta. Se la folla non accorre ai capolavori letterari, ciò accade perché questi capolavori sono letterari, cioè congelati nel tempo; e congelati in forme che non rispondo più alle esigenze del nostro tempo. Non si può confondere il sublime con le forme che esso ha assunto nel tempo. E se la gente si è stufata del teatro, è perché il teatro da 400 anni - cioè dal Rinascimento in poi - ci ha abituati ad un teatro puramente descrittivo e narrativo, che racconta soltanto psicologia. Ed Artaud è convinto che gli uomini del teatro dovrebbero farla finita con la psicologia. Le storie di denaro, di amori finiti, di arrivismo sociale, di sessualità senza mistero, sono forse psicologia ma non sono teatro. L'idea di un'arte fine a se stessa che serva a dare svago alla gente è un'idea assurda che dimostra l'incapacità degli occidentali di pensare il teatro per come esso è nato e vissuto prima della sua istituzione. Per questo motivo, Artaud propone un “teatro della crudeltà”: ma per “crudeltà” non si deve subito intendere “sangue e massacri”. Artaud spiega che l’espressione “teatro della crudeltà” indica un teatro difficile e crudele anzitutto per se stesso. Attraverso il suo teatro, il teorico francese auspica un ritorno alle origini, cioè un recupero del concetto di poesia (con mezzi moderni) che sta alla base dei Miti raccontati dai grandi tragici antichi; un recupero dell'idea religiosa di teatro, dell'idea magica per cui il teatro provoca una sorta di trance che risvegli lo spirito dell’uomo e lo inizi alla poesia. Il teatro è per Artaud l’ultimo mezzo al mondo capace di toccare direttamente l'organismo e la sensibilità umana: per questo lo spettatore è al centro e lo spettacolo gli sta attorno. Il teatro della crudeltà 10 Secondo Artaud, la cosa più preoccupante è che si è persa un'idea del teatro. Infatti il teatro si limita a farci penetrare nell'intimità di qualche fantoccio o a trasformare lo spettatori in un voyeur. Per questo la gente non va più a teatro ed è normale che cerchi nuove emozioni nel cinema, nel circo o nella rivista. Il fatto è che c'è un bisogno urgente di un teatro che ci svegli, che ci colpisca ai neri e al cuore. La storia del teatro psicologico, da Racine in poi, ci hanno abituato ad un tipo di azione che dovrebbe essere propria del teatro; a sua volta il cinema ci bombarda di immagini riflesse che non possono raggiungere la nostra sensibilità in quanto filtrare da una macchina. L'abitudine agli spettacoli di pura evasione ci ha fatto dimenticare l’idea di un teatro serio che, sconvolgendo tutti i nostri preconcetti, ci trasmetta emozioni inaspettate ed agisca su di noi come una terapia spirituale. Tutto ciò che agisce è crudeltà. Pertanto, a partire da questa idea, il teatro deve rinnovarsi: il teatro della crudeltà vuole lo spettacolo di massa, vuole ricreare quella poesia che esiste nelle feste e nelle folle, quando la gente si riversa nelle strade. Artaud è convinto, in altre parole, che nella cosiddetta poesia esistano forze vive, e che l’immagine di un delitto presentata in condizioni teatrali sia per lo spirito infinitamente più atroce della realizzazione di quello stesso delitto. Si vuole fare del teatro una realtà alla quale si possa credere e che dia una scossa al cuore ed ai sensi. Il pubblico, però, potrà Dara libero corso alla libertà magica del sogno solamente se impregnato di terrore e di crudeltà. Da qui nasce l'appello alla crudeltà e al terrore, ma su vasta scala, e con un'ampiezza tale da metterci dinanzi a tutte le nostre possibilità. Per raggiungere da ogni lato la sensibilità dello spettatore, Artaud propone uno spettacolo mobile il quale, anziché dividere sala e scena in due mondi chiusi, crei una comunicazione che permetta di diffondere i lampi visivi e sonori su tutta la massa del pubblico. In pratica si cerca l’idea dello spettacolo totale, in cui il teatro riprenda dal cinema e ad altri spettacoli ciò che gli è sempre appartenuto. Le parole dicono poco e allo spirito giunge solo la dimensione e gli oggetti; parlano le immagini, lo spazio, il suono ed i colori. La regia dispone di mezzi puri per ottenere tutto questo, e ciò è dimostrato dal Manifesto del teatro della crudeltà. Un’atletica affettiva Il saggio più importante a riguardo dell'attore è sicuramente “Un'atletica affettiva”: secondo Artaud l’attore è simile ad un vero e proprio atleta fisica, ma con una correzione importante: l'attore è un atleta affettivo, è un atleta del cuore. All’attore compete la sfera affettiva: tutti i mezzi della lotta, del pugilato, dei cento metri e del salto in alto trovano analogie organiche nell’esercizio delle passioni. Anche qui, però, Artaud corregge la questione: si tratta di un rovesciamento, per il quale mentre il corpo dell’attore è sostenuto dal respiro, il respiro dell'atleta si sostiene sul corpo. Il problema della respirazione è fondamentale per Artaud: ad ogni sentimento, ad ogni movimento, ad ogni affetto corrisponde un diverso respiro; i tempi della respirazione danno una forma al cuore umano. Ogni attore non è guidato che dall’istinto: ma l'attore dotato trova nel proprio istinto la propria arte, e per Artaud bisogna finirla con le stupide tendenze del teatro contemporaneo, dove l’satino viene soffocato a favore della tecnica. Le idee di Artaud circa la consistenza dell'anima e delle passioni è molto chiara: l’attore deve credere alla materialità dell'anima; deve sapere che una passione è materia, in modo da poterla dominare. Raggiungere le passioni attraverso le proprie forze, senza considerarle un’astrazione, dà all'attore la sua maestra. Conoscere il segreto del ritmo delle passioni, del tempo musica che ne regola il battito, è l’aspetto più importante per l'attore del teatro di Artaud. Negli anni dopo il 1936, il teatro di Artaud venne sempre più ad identificarsi con il compo: Antonin Artaud concepisce la cena come “luogo dove si rifanno i corpi”, quindi come luogo di rigenerazione fisica che dovrebbe dare vita ad un corpo nuovo capace di liberare l’uomo da tutti i suoi automatismi. Per raggiungere questo obiettivo, l’uomo ha un solo modo: un durissimo lavoro su se stesso. Quindi l’espressione “rifare il corpo” ha un significato duplice: lavoro su se stessi e ricerca sulle azioni fisiche. Si tratta di due fra le maggiori novità, per quanto riguarda il teatro, dell'intero secolo ma è bene precisare che si tratta anche di due novità che si concretizzano dentro e fuori il teatro. 11 La ricerca sulle azioni fisiche, ad esempio, si afferma in teatro con Stanislavskji ma ha alle sue spalle un più ampio fenomeno di riscoperta del corpo che non nasce dal teatro e che va ben al di là di esso (poiché caratterizza la cultura e la società della fine dell’800 in poi e che possiamo riassumere con l’espressione tedesca “korperkulture”). Artaud parla di necessità di “rifare i corpi” per sottolineare uno dei problemi centrali della cultura occidentale dentro e fuori dal teatro: quella di pensare separatamente - come per un dualismo inevitabile che li divide in modo netto - il corpo e l’anima, l’azione e la coscienza, il movimento e l'emozione. Ed è contro questa divisione che i maestri fuori e dentro il teatro hanno lottato. 12
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved