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Il teatro tedesco del Novecento, Sintesi del corso di Storia Tedesca

a cura di Teodoro Scamardì. Un accurato sguardo d'insieme al teatro in lingua tedesca, i grandi autori, le opere indimenticabili.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 20/04/2020

Francesca.rossi1
Francesca.rossi1 🇮🇹

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Scarica Il teatro tedesco del Novecento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Tedesca solo su Docsity! IL TEATRO TEDESCO DEL NOVECENTO CAPITOLO 1: DALLA FIN DE SIECLE ALLA FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE L’AUSTRIA L’impero austriaco si avviava al tramonto anche se comunque resisteva ancora una solida burocrazia e un forte esercito di soldati e spie. Questo meccanismo si inceppa quando nel 1907 il suffragio universale diede vita a un parlamento a maggioranza slava che non riesce a emanare nuove leggi e nel mentre la crisi economica e i conflitti sociali si acutizzano. Si rafforza la socialdemocrazia e i partiti conservatori si fanno agguerriti perché sempre più antisemitici e “germanici”. Lo Stato nel 1908 annette definitivamente la Bosnia e l’Erzegovina e questo gesto innesca un malcontento che sfocerà nel 1914 nell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. La guerra, che doveva essere breve, mette a dura prova l’Austria-Ungheria. Dopo le vittorie sul fronte orientale il nuovo imperatore Carlo I deve accettare il 3 Novembre 1918 l’armistizio e così sparisce l’impero. 1921-1942: Robert Musil scrive “Der Mann ohne Eigenschaften” (l’uomo senza qualità) per celebrare la stagione più ricca della cultura austriaca. Protagonisti d questo tempo sono uomini dalle biografie singolari: immigrati da poco dall’Est europeo che hanno per lo più origini ebraiche, spesso sono figli di industriali ma diventano presto insofferenti alla modernità e si propongono come coscienza critica della nazione. Assenti i profeti nascono i moralisti. Karl Kraus si scaglierà contro la corruzione del linguaggio, Adolf Loos, pioniere della moderna architettura, contro l’ornamento, Arthur Schnitzler contro i pregiudizi e l’intolleranza. Il lavoro intellettuale è apprezzato nella capitale degli Asburgo e, tra le arti, in particolare il teatro. Sul piano formale lo sperimentalismo è moderato: si recupera e si stravolge la tragedia classica, si amano gli atti unici e si tende alla forma circolare in omaggio alle idee nietzscheane. Molti sono attirati dalla drammaturgia come Schnitzler, Musil e Hofmannsthal a cui dobbiamo operecchiare i caratteri della cultura viennese tra i due secoli. ARTHUR SCHNITZLER: si dedicherà alla fantasia lasciando la professione paterna a favore della letteratura, ma senza smettere di diagnosticare le malattie del suo tempo: curare con la verità, insegnare la benevolenza ed educare alla libertà costituiscono il filo rosso della sua ampia produzione. Interessato alle nuove frontiere della psicologia, egli porta nelle sue opere un’attenzione moderna alle forze dell’inconscio, ma è anche sensibile all’oppressione dei deboli, ed è in difesa dei sentimenti e della dignità dei più umili che scrive tra 1892 e 1896 alcuni testi di denuncia, in particolare “Liebelei” (amoretto), mentre per il tema dell’inconscio abbiamo “Paracelsus” nel 1899 e “Der Schleier der Beatrice” (il velo di Beatrice) nel 1900. Commedie: alcune scene dal ciclo di Anatol (1893) e Reigen (girotondo) nel 1900 colpito poi dalla censura per l’audacia con la quale si allestisce un girotondo amoroso in cui il sentimentalismo e la morale sembrano guidati dall’erotismo. Con il nuovo secolo si moltiplicano i testi nei quali Schnitzler si fa apostolo di verità e responsabilità. Del 1912 è “Professor Bernhardi”, dramma in memoria del padre e in difesa dell’Ebraismo, ma anche un appello al diritto alla felicità di ogni essere umano. Il professor Bernhardi è un medico ebreo che lavora in una clinica privata austriaca. Un giovane donna sua paziente sta morendo di setticemia in seguito ad un aborto. È in uno stato di benessere ed euforia e non si rende conto delle proprie gravissime condizioni. Giunge alla clinica Padre Reder, un prete chiamato da una delle infermiere, che chiede di dare alla ragazza l'estrema unzione. Il professor Bernhardi rifiuta, per non gettarla nella disperazione. Mentre Berhardi e Reder stanno discutendo, la paziente muore, subito dopo aver appreso dall'infermiera della presenza e delle intenzioni del prete. Scoppia uno scandalo pubblico sull'onda dell'antisemitismo diffuso all'epoca e Berhnardi è condannato a due mesi di prigione. Il professor Ebenwald gli offre la possibilità di evitare la condanna, a condizione di assumere alla clinica un medico cristiano al posto del dottor Wenger, ebreo, che Berhnardi aveva preferito per la superiore abilità professionale. Bernhardi rifiuta e va in prigione. Alla fine del conflitto mondiale, mentre si impone la sperimentazione dell’espressionismo, Schnitzler perde gran parte del suo pubblico che lo relega tra i testimoni di un mondo ormai scomparso. Anche se non abbandona la drammaturgia mette in scena “Komodie der Verfuhrung” (commedia della seduzione) e si dedica soprattutto a novelle che vengono considerate da molti critici il punto più alto della sua produzione. HUGO VON HOFMANNSTHAL: condivide con Schnitzler l’insofferenza ai canoni del teatro classico e l’interesse per la nervosità moderna, ma è attratto prepotentemente dallo spiritualismo di fine secolo. A solo 16 anni scrive versi e drammi lirici suggestivi. Dopo gli esperimenti degli anni Novanta come “Gestern” nel 1891 e “Der Tor und der Tod” nel 1893, propone opere innovative, debitrici al dramma medioevale con “ Das kleine Welttheater” nel 1897, alla commedia goldoniana con “Der Abenteurer und die Sangerin” nel 1898 o a temi e atmosfere romantici con “Das Bergwerk zu Falun” (la miniera di Falun) nel 1899. Nel 1903, dopo una crisi che lo aveva fatto dubitare della sua vocazione, scrive per il direttore del Kleines Theater di Berlino una tragedia moderna chiamata “Elektra”. Hofmannsthal modella sull’eroina del teatro classico gli studi sull’isteria condotti da Josef Breuer e Freud e così Elektra sarà una personalità disturbata, incapace di azione e ossessionata dal traumma dell’assassinio del padre. Si lascia morire nella danza per gioia e per impotenza, mentre il sangue della madre e del patrigno inonda la scena. Anche se continua a confrontarsi con testi del passato, Hofmannsthal tenta con successo la strada della commedia. Ritroviamo il gioco della seduzione, il tipo umano del conquistatore ridimensionato, la riflessione sulle antiche virtù e l’intrigo in “Florindo und die Unbekannte” del 1921 e quindi in “Christinas Heimreise” del 1910. Scrive testi che come Elektra vengono messi in musica dal compositore Richard Strauss: “Der Rosenkavalier” nel 1911 e “Ariadne auf Naxos” nel 1912, una composizione che unisce commedia e tragedia, seduzioni e miti arcaici. Per Strauss rielabora inoltre la novella scritta nel 1913 “Die Frau ohne Schatten”. Dopo il crollo dell’impero che tanto aveva idealizzato, Hofmannsthal torna al teatro negli anni Venti animato dall’utopia di una rigenerazione etica e spirituale nel segno della rivoluzione conservatrice. In particolare del 1921 è la commedia “Der Schwierige” (l’uomo difficile), la vicenda di un sopravvissuto di guerra e l’eclissi delle vecchie certezze. Lui si isola in un mondo inattuale fino a una doppia epifania: quella della volontà di una donna innamorata e quella di un frammento di rivelazione che torna improvviso alla coscienza. Segregato vive anche il protagonista dell’ultimo dramma di Hofmannsthal, “Der Turm” del 1925, al quale lavorò per vari anni cercando di testimoniare la resistenza dell’innocente che, tenuto all’oscuro di tutto in una torre, può preservare la propria integrità morale e opporsi ad una costellazione attratta dalla violenza di “uomini nuovi”. ROBERT MUSIL: autore legato al mondo di ieri, ingegnere e filosofo che cercherà tutta la vita di congiurare le certezze della scienza e la verità delle passioni. OPERE: - L’uomo senza qualità: disincantata epopea dell’uomo moderno - Die Scwarmerei (I Fanatici, 1921): dramma. Il protagonista è un intellettuale isterico che ha puntato sul successo personale, sacrificando l’amore di Maria, la donna con la quale distrattamente vive. Assuefatto a vivisezionare l’esperienza, non riuscirà a rompere l’isolamento, né a superare, nella nuova relazione con Regine, il suo esaltato individualismo. Ebbe una tiepida accoglienza e fu messo in scena a Berlino solo nel 1929. - Vinzenz e l’amica degli uomini importanti (1923): Vinzenz è l’opposto del protagonista de I Fanatici: è un imbroglione un po’ melanconico e cinico che rappresenta, insieme all’amica Alpha, una fragile alternativa alla disumanizzazione che affligge gli altri personaggi. Venne messo ripetutamente in scena nelle capitali d’Europa. inizia a scrivere le commedie raccolte nel “Ciclo dell’eroe borghese”, una saga antieroica di arrampicatori sociali scaltri, meschini e pronti ad ogni compromesso. - 1911 Die Hose (le mutande): il tema è pruriginoso. La bella signora Maske perde per la strada le mutande mentre sta passando il sovrano. Un parrucchiere e un poeta, attratti dallo scandalo, vorrebbero sedurla, ma finiscono per beneficiare il marito che li accetta a caro prezzo come prigionanti e , sfruttando i potenziali seduttori, costruisce la sua prosperità. In Sternheim i farabutti e i codardi vedono le loro azioni coronate da successo, mentre, col crescere delle fortune, cresce anche la mancanza di scrupoli, il nichilismo e lo spirito affaristico dei personaggi. - 1914 Der Snob: il figlio dei Maske ha perso la semplicità truffaldina del padre; liquida i genitori e amante per diventare direttore generale di una grande società, sposa una donna che non ama e, per farsi accettare, inventa una nobile genealogia. - 1912 Die Kassette: dedicato alla squallida e ridicola vicenda di una borghesia meschina in cui il denaro si fa più attraente del sesso, per non parlare dei sentimenti - 1913 Burger Schippel: il borghese Schippel cantore di successo e duellante controvoglia sposa l’amante del principe, felice di godere di tutte le benedizioni della borghesia; Schippel ricompare come direttore di fabbrica in Tabula rasa (1917), una satira impietosa sui lavoratori e le loro rappresentanze politiche. KARL VALENTIN (1882-1935): lo troviamo nella comunità del Simplicissimus, scrittore, musicista e attore dialettale. Alla scuola del varietà e nella tradizione di clown e cantastorie aveva sviluppato un particolarissimo linguaggio di parole e gesti ricco di autoironia. - 1914 crea il suo spettacolo più noto chiamato Tingeltangel che, composto da brevi scene dal gusto popolare, conosce oltre 20 versioni. In lotta contro gli oggetti e contro gli uomini, soprattutto quelli dotati di scaltrezza e buon senso, sviluppa una comicità anarchica, capace di mettere alla berlina la società del tempo e di modulare la discrepanza grottesca tra realtà e apparenze. La sua clownerie metafisica, la tipica comicità da eroe bastonato suscitano grande interesse tra gli innovatori influenzando il teatro della Repubblica di Weimar e, in modo particolare, Bertolt Brecht. A Monaco tra Arcadia e trasgressione, il terreno è fertile anche per la rivoluzione espressionista: la annuncia un gruppo di pittori che, nel 1911, ispirati dal gruppo della Brucke, danno vita a Der Blaue Reiter. Senza un preciso programma, ma con un orientamento spiritualistico, vogliono rendere visibile l’invisibile e annunciano la separazione definitiva dell’arte dalla natura. BERLINO E’ la capitale del mondo espressionista. All’alba del XX secolo ha una struttura metropolitana che la rende simile a New York con 60 teatri. Sulle scene si continua a rappresentare un repertorio classico, mentre il Naturalismo si impone con ritardo rispetto alla Francia. Fiorisce il cabaret, grazie a Wolzogen che da vita all’Uberbrettl nel 1901, un ritrovo con musica, farse e più seriosi testi contemporanei. Grande successo ha Die Brille animato da Christian Morgenstern, noto soprattutto per i suoi funambolici Galgenlieder (canti patibolari, 1905). Nasce quindi Schall und Rauch, un ritrovo frequentato da attori, pittori, musicisti e scrittori che amavano mettere alla berlina le rappresentazioni dei teatri cittadini. Quando poi le “cantine” di inizio secolo diventano locali alla moda i giovani autori dell’Espressionismo creano nuove associazioni come il Neuer Club e il Neupathetisches Kabaret. Nel 1905 il Deutsches Theater, tempio del Naturalismo, viene affidato ad un mediocre attore, giunto da Vienna e noto soprattutto come animatore di esperimenti legati all’avanguardia: Max Reinhardt, il primo regista moderno. Egli vuole un teatro che faccia di nuovo sognare gli uomini: non gli interessa la fedeltà al reale né la critica sociale del Naturalismo, si sente piuttosto attratto dalle potenzialità di un’arte totale in versione intima e decadente. Già con la prima di Salomè nel 1902 diffonde l’uso della scena girevole, introduce lampade a filamento di tungsteno e crea nuovi spazi: nel 1906 inaugura i Kammerspiele, un teatro da camera con 290 carissimi posti per opere moderne, quattro anni dopo con il Circus Schumann realizzerà un teatro dei cinquemila per grandi pantomime e tragedie classiche, amerà il festival, la trasformazione di piazze, teatri e giardini in templi dello spettacolo. La rivoluzione teatrale si sviluppa così in una delle città più arretrate d’Europa. GERHART HAUPTMANN (1862-1946): scrittore del Naturalismo e premio Nobel per la letteratura nel 1912. Si era imposto con il dramma Vor Sonnenaufgang nel 1889 e nel 1892 con Die Weber (i tessitori), considerato il capolavoro del naturalismo tedesco, mentre la commedia Der Biberpelz (la pelliccia di castoro) nel 1893 delude il pubblico berlinese. Seguono opere caratterizzate da atmosfere favolose, da personaggi e vicende simbolici e una forte attenzione al dionisiaco. Tra i due secoli troviamo elementi mistici in Hannales Himmelfahrt (l’assunzione di Hannele), un dramma fiabesco, Die versunkene Glocke (la campana sommersa), e un affresco storico che in realtà raffigura una metafisica vicenda umana, Florian Geyer, mentre la tragedia paesana, Fuhrmann Henschel (il vetturale Henschel), viene governata da un destino tragico e cupo che non ha più nulla a che vedere con il principio di causalità caro ai naturalisti. - Il nuovo secolo inizia con Michael Kramer (1900), l’avventura di due artisti che culmina in un altissimo discorso funebre nel quale il dolore per la morte di un figlio diventa, nelle parole del padre, amara consapevolezza da epigoni che contagia la vita sociale e affettiva, ma anche la possibilità di espressione artistica. - Nel 1903 scrive il dramma sociale Rose Bernd. Qui l’uso del dialetto e l’attenzione ai meccanismi della vita collettiva sono solo la cornice di una tragedia individuale che ripropone il tema settecentesco dell’infanticidio. Hauptmann presenta personaggi tipici che si rispecchiano e si integrano: delle due protagoniste femminili Rose è bella e appassionata fino all’irragionevolezza, la signora Flamm, immobilizzata dalla paralisi, dà invece prova di generosa saggezza; tra i maschi troviamo figure che orchestrano, esemplari, una sinfonia delle perversioni: il debole e il religiosissimo fidanzato, il malvagio Streckmann che ricatta e violenta Rosa per poi tradirla, il passionale Flamm che ne è stato l’amante ma poi l’ha abbandonata, il padre chiuso nel suo moralismo e incapace di comprendere eventi e sentimenti. - 1906 Und Pippa tanzt che inizia tra miseri vetrai slesiani per svilupparsi nel viaggio ermetico e surreale verso il Sud del protagonista, un giovane sognatore con molti tratti dell’eroe romantico. La sua compagna italiana, molto simile alla Mignon di Goethe, rapita e ritrovata, morirà danzando nella casa di Wann, figura idealizzata di eremita e di poeta. - 1911 Die ratten: visione impietosa della vita e della città moderna. Due azioni si intrecciano sullo sfondo degradato di una squallida urbanizzazione: da un lato la vicenda di un maturo ex direttore di teatro che non ha ritegno a sedurre giovani donne pur mostrandosi difensore dei valori della famiglia e dall’altro la tragica vicenda della signora John che, pur di essere madre, inganna una povera serva per impossessarsi del suo bambino. - 1914 Der Bogen von Odysseus (l’arco di Ulisse) in cui Hauptmann si rivolge alla mitologia greca anticipando la successiva tetralogia degli Atridi. Anche a PAUL ERNST non bastano la verità e la critica sociale. Dopo essere stato naturalista e socialdemocratico, nel 1896 si rivolge ai classici in polemica con i drammaturghi contemporanei. Se loro si accontentano di mettere in scena una misera realtà quotidiana, lui invece vuole rappresentare una nobiltà senza tempo ed esprimere alti valori etici. Queste concezioni vengono formulate in alcuni scritti teorici e in alcune opere teatrali nelle quali riesuma la forma del dramma in versi per rappresentare il conflitto tra la ragion di stato, il senso privato del dovere e l’aspirazione alla felicità degli eroi. Porterà avanti una radicale battaglia contro l’Impressionismo e Realismo insistendo sul repertorio tradizionale e scrivendo lui stesso le opere storiche e mitologiche (demetrios 1905, Canossa 1908 e Brunhild 1909). Più vicino all’Espressionismo invece è Preussengeist 1915, in cui si misura con il tema del conflitto generazionale. Si realizza così nella capitale del Reich una rivoluzione tragica e definitiva. Per secoli l’arte, la musica e la letteratura erano state una questione di forma, un tentativo di tradurre esperienze, nozioni e sentimenti in un linguaggio dotato di regole codificate. Quando il moderno si impone con la meccanicità della vita nelle fabbriche e nella metropoli, gli artisti cercano di combatterlo invocando l’immediatezza, l’istinto. Partono comunque dal presupposto che, nell’epoca della tecnica, gli uomini siano ridotti ad ingranaggio, a marionette e si ribellano alla disumanizzazione dichiarandosi portavoce dell’utopia. Alla realtà sostituiscono allora le visioni, al linguaggio accompagnano l’urlo, alla parola il gesto scomposto e provocatorio. Libertà, fratellanza e rivoluzione sono le parole d’ordine di una generazione di artisti che cerca di scardinare una società dominata dall’utile invocando dio, passione, delirio e caos, ma che non neghi il piacere della composizione. Il teatro non rappresenta, allude e richiama il pubblico a partecipare non a ciò che nei miti, nella storia o nell’esperienza già conosce, ma a qualcosa che gli è oscuro e che solo sulla scena diventerà manifesto. L’azione è ridotta al minimo e, sul modello strindberghiano, si suddivide in frammenti che rappresentano altrettante fasi della trasformazione dell’eroe, mentre avvenimenti, sogni, monologhi, azioni vere e proprie si legano senza legami di tempo e luogo. Si rinuncia inoltre alla psicologia, spesso persino al nome proprio dei personaggi, e sulle scene si muove un uomo primitivo, simbolo monologante, portatore di idee e di conflitti strazianti o rappresentante di una particolare consistenza familiare e sociale. DAS JUNGE DEUTSCHLAND Mentre le potenze dell’Intesa ripiegano, a Berlino viene presentata la nuova drammaturgia. Gli autori non hanno un programma omogeneo, ma decisa è la loro opposizione all’ideologia della guerra. Essi vanno in cerca di un mondo più umano in cui nessuno sia servo e nessuno padrone, dove regnino lo spirito e la fratellanza e all’interno del quale anche gli istinti conquistano una pacifica dignità. Questi scrittori trovano in Max Reinhardt un attento esempio. In rappresentazioni diurne e riservate per evitare l’intervento della censura il Deutsches Theater allestisce, a partire da dicembre 1917, una serie di opere dell’Espressionismo evidenziando l’estrema varietà dei temi e accentuando gli aspetti emotivi e la suggestività delle rappresentazioni. Manifesto di “Das junge Deutschland” è “Il mendicante” di Reinhardt Johannes Sorge che, scritto nel 1912, aveva ottenuto il prestigioso premio Kleist. Il sottotitolo è “una vocazione drammatica” in riferimento al Wilhelm Meister di Goethe, storia di un giovane che, attraverso il teatro, trova un onorevole posto nella società. Qui invece non sarà l’arte, ma un sogno di rigenerazione a salvare il protagonista dalle ombre della tradizione. Per rappresentare senza compromessi i suoi drammi chiede invano a un ricco mecenate di finanziare il teatro nel quale mettere in scena la sua opera. A casa dei genitori la tragedia si fa più cupa: il padre, impazzito, elabora progetti grandiosi e filantropici e il figlio lo uccide, distruggendo insieme a lui e alla madra, coinvolta per un tragico errore, il suo sogno di una umanità redenta. Tenterà invano di iniziare una nuova vita lavorando in un giornale e infine troverà nella promessa paternità, annuncio di tempi nuovi e di un nuovo regno dello spirito, una trasfigurazione per sé e per la sua vita. La più popolare delle opere del ciclo è però “Il figlio di Hasenclever”. Al centro, il conflitto tra padre e figlio in cui l’ostilità sfocia in un progetto omicida, anche per l’intervento di un amico dai sentimenti anarcoidi, mentre si fa spietata la critica al guglielminismo che rende assassini per violenza o impotenza i suoi sudditi. Il dramma finisce con la morte provvidenziale del vecchio che sventa l’omicidio e le sue ripercussioni e con la fuga del ragazzo verso una incerta libertà. sperimentalismo espressionista e che ora intendeva lo stesso Bauhaus come la fortezza dell’Espressionismo. Egli concepiva la scena come luogo di culto e di purificazione, un laboratorio sperimentale mirante a realizzare l’antico ideale espressionista di creazione dell’uomo nuovo: “L’opera teatrale produce l’effetto della vita”. Egli fonde ritualità, misticismo e astrattismo in una scena visuale assoluta, colma di presenze figurale, colori, suoni e movimenti ritmici disegnati dai corpi danzanti di attori organici e meccanici. Il superamento degli espressionisti si realizza però nell’accettazione della tecnica e non nel suo rifiuto pregiudiziale, una tecnica che risulta controllata e vivificata da un processo di ricomposizione visiva sulla scena di ciò che la violenza del sistema sociale frantuma nella realtà quotidiana. A Schreyer subentrò Oskar Schlemmer, che la diresse dal 1923 al 1929. Al suo nome sono legati spettacoli come Das figurale Kabinett nel 1923 e il Triadisches Ballet, abbozzato nel 1912 e riproposto a più riprese dal 1922 al 1929. Il movimento coreografico di ballerini in rigidi costumi multicolori disegnati dall’autore era scandito dal numero 3 e dai suoi multipli; nel corso della lunga coreografia in tre parti, i 3 personaggi del Balletto eseguivano 12 danze presentandosi in 18 costumi diversi. Il costume rappresentava la costrizione della legge esterna di fronte alla quale il ballerino marionetta sperimenta il margine di libertà motoria possibile nello spazio. Nei primi anni di Weimar il rinnovamento del repertorio tradizionale avviene soprattutto ad opera di registi e scenografi. Max Reinhardt usa i grandi testi classici dell’eredità culturale come partiture musicali, le regie di Leopold Jessner svincolano i testi da ogni riferimento all’epoca storica in cui erano sorti a vantaggio di una proposta della vicenda in una modulazione intenzionalmente astratta. Bisognerà aspettare la rielaborazione e la regia brechtiana di Leben Eduards des Zweiten von England (1924) tratto dall’elisabettiano Christopher Marlowe per avere un esempio di testo classico insieme fortemente storicizzato eppure ancorato alle tematiche contemporanee. IL TEATRO POLITICO DI ERWIN PISCATOR La figura del regista come vero artefice dello spettacolo che usa il testo d’autore come uno solo fra i tanti elementi e spesso arriva a prescinderne del tutto, si delinea nella forte personalità di Erwin Piscator (1893-1966). Come scriverà in Das politiche Theater (1929), se ci fossero stati drammi adeguati all’epoca, non avrebbe esitato a servirsene, ma dal momento in cui non ne trovava nessuno fu obbligato a crearseli da solo, dando luogo alla prima forma compiuta di scrittura scenica di un regista –autore. L’esperienza della guerra e il predominio dei rapporti socio- economici sull’esistenza degli uomini gli avevano dimostrato che destino, carattere, dilemmi astrattamente morali erano stati messi fuori corso una volta per tutte e che le uniche forze del destino erano la politica e l’economia, ed erano dunque quelle a dover essere rese visibili sulla scena al fine di conoscerle e modificarle con un’azione rivoluzionaria che, partendo dallo spettacolo, giungesse agli spettatori interessati al mutamento così da renderli “attori” consapevoli del rovesciamento pratico del presente stato delle cose. Sarà lui insieme a Brecht il principale innovatore teatrale negli anni di Weimar. Piscator aveva alle spalle un’esperienza di teatro sui fronti di guerra alla quale affiancò l’incontro con esponenti del Dadaismo berlinese come Georg Grosz, autore di alcune delle principali scenografie dei suoi spettacoli. Nel 1919 fonda il teatro Die Tribüne, presso il quale mette in scena opere di Strindberg, Wedekind, Kaiser e Toller. Dichiara inoltre di voler dar vita a un teatro concepito come l’istruttoria di un processo pubblico, con tanto di impianto accusatorio, esibizione delle prove materiali e di sentenza pronunciata contro responsabili e mandanti dei delitti sociali. L’anno dopo fonda a Berlino il Proletarische Theater, nel quale allestisce il grande affresco storico-politico di Russlands Tag (1921). Per le elezioni del 1924 realizza una vera e propria rivista politica, la Revue Roter Rummel, un montaggio di brevi scene, musiche e slogan di battaglia che trasferiva sul piano dello spettacolo di agitazione propagandistica il modello del varietè metropolitano importato dall’America e coniugato con generi “leggeri” della tradizione tedesca quali l’operetta e il cabaret. Dal 1924 al 1927 Piscator è alla Freie Volksbuhne e lì rappresenta: Fahnen (bandiere) nel 1924 sulla rivolta sindacale degli operai di Chicago, e Sturmflut (mareggiata) nel 1926 e soprattutto Nachtasyl nel 1926 (l’albergo dei poveri) di Maxim Gor’kij. Quest’ultimo allestimento rendeva evidenti le radici naturalistiche del teatro politico piscatorio e anche le innovative forme tecnico-ideologiche del loro superamento. Gor’kij aveva offerto un quadro del degrado umano ambientando la vicenda di dieci infelici nell’angusto spazio di un dormitorio pubblico, ma per Piscator era in discussione la miseria del proletariato in quanto tale. Il regista decide di dilatare lo spazio scenico alzando e abbassando il soffitto del ricovero fino a inglobarvi i quartieri poveri, il frastuono, il tumulto e gli scontri sociali della metropoli. La conseguenza teorica di tale innovazione tecnica è che con ciò venivano fatti saltare i rigidi limiti strutturali della forma drammatica, in particolare il carattere di assolutezza del dramma. Ora la scena non è più un mondo a sé stante, ma solo una porzione del reale in cui è immersa e con il quale deve essere visibilmente messa in relazione. Il tessitore del collegamento fra scena e mondo è l’io registico che assolve alla funzione di narratore delle vicende rappresentate, le espone e le commenta. Dopo la rottura con la Volksbuhne inaugura la Piscator-Buhne col dramma di Toller Hoppla, wir leben! del 1927. Se lo scopo del suo teatro era quello di inserire l’accadere scenico in un quadro storico, nessun altro mezzo tecnico era più adatto del cinema. Non solo Piscator riprende dal cinema la tecnica del montaggio, del primo piano e dei movimenti di macchina trasferendola in teatro, ma si serve largamente di filmati per esibire documenti dell’epoca per allargare la visuale dello spettatore e moltiplicare lo spazio proiettando su un palcoscenico simultaneo più luoghi dell’azione e così demolendo una dopo l’altra la unità aristoteliche di tempo, luogo e azione sulle quali si fondava il dramma tradizionale. Il montaggio registico di Piscator è in grado di imprimere alla vicenda il suo tempo, anticipando episodi cronologicamente successivi, come fa in Rsputin di Aleksej Tolstoj, dove la scena della fucilazione della famiglia dello zar viene proiettata già all’inizio dello spettacolo e non come esito dell’intera vicenda. Non vanno però taciuti i limiti dell’esperienza piscatoriana: 1- La natura politica, giacchè i suoi rivoluzionari spettacoli finivano per surrogare sulla scena le carenze e le ambiguità dei reali comportamenti dei partiti della sinistra. 2- Peso crescente della scenotecnica che sfocia in una sorta di ipertrofia dell’io registico e del macchinismo teatrale sempre più gigantesco e alla fine quasi incontrollabile dal suo stesso artefice. La Piscator-Buhne fu anche una fucina di che plasmò attori straordinari, da Helene Weigel a Max Pellenberg. L’ultima notevole stagione registica di Piscator è legata al suo ritorno in Germania. Nominato sovrintendente della Freie Volksbuhne di Berlino, negli anni Sessanta contribuirà in modo decisivo all’affermarsi del teatro documentario allestendone uno dopo l’altro in prima assoluta i testi canonici: Il Vicario (1963), Sul caso di J. Robert Oppenheimer (1964) e L’istruttoria (1965 di Peter Weiss) IL TEATRO EPICO DI BERTOLT BRECHT Il 31 agosto 1928 andava in scena al Theater am Schiffbauerdramm di Berlino Die Dreigroschenoper di Bertolt Brecht (1898-1956). Le settimane che avevano preceduto il più clamoroso evento teatrale degli anni Venti sembravano ripetere su un vero palcoscenico certe esilaranti farse d’avanguardia sul tema della scena in rivolta o sulla recita di uno spettacolo che non vuol saperne di stare in piedi (ci furono molti problemi per esempio la prima attrice che scomparve e venne sostituita all’ultimo momento, il regista esautorato dal giovane attore tirannico, gli orchestrali che si aggirano spaesati tra gli attori, il canovaccio del testo disfatto e poi riscritto più volte e anche i macchinari che si rifiutano di funzionare). Cosicchè la cronaca convulsa del disordine di una rappresentazione impossibile coincide con una crisi nella storia del teatro epico. L’opera da tre soldi non rappresenta il teatro epico nella sua forma più pura, tanto più che l’autore corredò il testo a stampa di una serie di Note (1931) che, insieme alle Note all’opera Mahagonny (1928-1930), espongono i fondamenti teorici del nuovo teatro. Per quanto riguarda il testo si tratta di un rifacimento, qui della Beggar’s opera (opera del mendicante, 1728) composta dall’inglese John Gay duecento anni prima per mettere alla berlina il miserabile governo di Walpole e l’opera händeliana. Il parallelo fra i metodi della malavita e quelli della politica resta, ma con il segno invertito: sono infatti i delinquenti a comportarsi come borghesi e non il contrario. Lo stesso vale per l’uso innovativo della musica, altra costante del teatro brechtiano come i rifacimenti. L’Opera da tre soldi deve gran parte del suo successo anche ai songs di Kurt Weill, a cominciare dalla celebre Ballata di Mackie Messer: tuttavia ciò che conta è l’uso drammaturgico che l’autore impose per le canzoni. La scena si oscurava lasciando in luce solo l’orchestra sul palchetto e gli attori-cantanti rivolti al pubblico che così spezzavano l’azione e la commentavano uscendo dal ruolo, cioè straniandosi da esso. E’ una struttura a quadri staccati contrapposta alla compatta partizione in atti che recupera elementi di una tradizione disparata ma coerente, dai cartelloni dei cantastorie al cabaret, dai quadri viventi del teatro medievale al dramma a stazioni espressionista e alla recentissima rivista politica di Piscator. Il posto di Brecht nella storia del teatro moderno non gli è dato tanto da una originalità assoluta e da una rottira brusca, quanto dal compimento di un processo di epicizzazione, ovvero di relativizzazione della scena, che reintroducendo prologo ed epilogo e presentando lo spettacolo come dichiarato artificio intacca il carattere di assolutezza del teatro drammatico o aristotelico nato nel Rinascimento, e che si manifesta a partire da Ibsen e dal Naturalismo per giungere ben oltre Brecht toccando il teatro del secondo dopoguerra. L’Opera da tre soldi occupa una posizione centrale anche nella vita dell’autore che si può divide approssimativamente in due grandi fasi. Nel 1928 Brecht aveva alle spalle un certo numero di testi robusti come Baal (1918) e Trommeln in der Nacht (1919) che riprendeva il tema espressionista del reduce; alcuni atti unici come il bel Lux in Tenebris (1919), che anticipa il motivo di fondo dell’Opera da tre soldi: non si vive con la morale, ma della morale. Aveva anche composto il suo dramma più astratto chiamato Nella giungla delle città (1921-1924), basato sul tema della lotta fra due personaggi svolto come un violento incontro pugilistico in una gelida Chicago d’invenzione. Aveva dato prova di saper partire da un testo classico come La vita di Edoardo II d’Inghilterra (1924) di Marlowe rielaborandolo al punto di farne un’opera completamente sua. C’era già stato Mann ist Mann (1924-1925) commedia nella quale attraverso la metamorfosi dell’ingenuo scaricatore Galy Gay in feroce soldato dell’esercito coloniale inglese veniva affrontato il tema della fungibilità degli esseri umani nella società di massa (Un uomo vale l’altro, è questo il significato del titolo), ma soprattutto veniva disintegrato il carattere del personaggio. Da allora, in Brecht la ferrea saldezza del carattere drammatico che può solo scegliere fra trionfare o perire sarà sostituita dalla labilità del personaggio epico osservato attraverso il suo farsi e disfarsi sulla scena, cioè come un processo continuo plasmato dalle circostanze esterne e dalle relazioni con gli altri attori della vicenda narrata in palcoscenico da un autore che ormai non si cura più di occultarsi, ma al contrario dichiara la sua presenza registica in mille modi. In senso stretto teatro epico non significa altro che teatro narrativo. Così anche il personaggio non è più autonomo nel suo agire. In Ascesa e caduta della città di Mahagonny (1929) sintetizza gli spostamenti di accento dal teatro drammatico a quello epico, opporrà all’uomo che si presuppone noto l’uomo oggetto di indagine, a ciò che l’uomo deve fare ciò che l’uomo non può fare e ai suoi impulsi i suoi movimenti. Il giovane autore poteva avvalersi di una notevole esperienza teatrale. Prima critico per il giornale Augsburger Volkswille, poi Dramaturg ai Kammerspiele di Monaco, collaboratore di due registi geniali come Reinhardt e Piscator. Brecht sapeva di cosa parlava quando diceva crisi del dramma ed esigenza di una nuova forma teatrale. Se la società risulta divisa in classi conflittuali non può più essere rappresentata nella forma uso sapiente delle pause e dei silenzi ( le didascalie dei suoi testi sono punteggiate dall’indicazione “Stille”, che sta per intervallo di tempo e sospensione vocale). La frantumazione linguistica e la povertà dell’azione restituiscono sulla scena l’agonia della Repubblica e l’avanzare del nazismo, come nell’esemplare Italienische Nacht (1931), che inscena lo scontro delle opposte fazioni politiche sullo sfondo di un borgo di provincia. Diversamente che nel teatro politico, qui i confini sono sfumati e i comportamenti degli individui sono dettati più dall’opportunismo che dall’ideologia. Per questo c’è chi, come Peter Handke, preferisce il suo teatro a quello di Brecht, ma ciò non vuol dire che l’uno esclude l’altro, anzi servono entrambi per costituire il panorama teatrale di Weimar. Lo smascheramento dell’idillio piccolo-borghese che cela cinismo e sopraffazione avviene soprattutto nelle Geschichte aus dem Wienerwald (1931). Il fidanzamento di Marianne con il macellaio Oskar sembra scorrere sui binari più ovvi con tanto di gita sul Danubio e accompagnamento musicale, e invece la ragazza conosce l’inganno, lo svanire dell’illusione di un altro amore e il ritorno di Oskar al prezzo della perdita del figlio “della colpa”. Invece Kasimir und Karoline (1932) varia il motivo della rottura di un’atmosfera spensierata e popolaresca- qui la Monaco dell’Oktoberfest- che sfocia nella disillusione e nel compromesso. Un testo amarissimo e crudele è Glaube, Liebe, Hoffnung (fede, speranza, carità, 1932) che trae spunto da un fatto di cronaca: una ragazza disperata tenta di vendere ancora in vita il proprio cadavere e non riuscendovi si toglierà la vita. BRECHT SENZA PALCOSCENICO: I DRAMMI DELL’ESILIO Con Vita di Gslileo anche per Brecht siamo nel pieno dell’esilio apertosi nel 1933 per la grande maggioranza degli artisti e intellettuali antifascisti. A questi anni risalgono testi ancora oggi considerati fra i maggiori, come Der gute Mensch von Sezuan e Mutter Courage und ihre Kinder (1941). Le conseguenze del radicale cambio di condizioni di lavoro e della radicale condizione politica sono avvertibili in primo luogo nella teoria teatrale: le norme epiche devono scendere a patti con la voglia di intrattenimento di un pubblico ben più tradizionale dell’aristocrazia operaia. Si impone così l’esigenza di affiancare piacere e insegnamento: dalla dialettica tra questi due poli nasceranno i testi del “teatro dialettico”. Inoltre si fanno avanti nuove esigenze di un immediato contributo alla lotta antifascista. Nascono così, oltre a I fucili di madre Carrar, le scene di Furcht und Elend des Dritten Reiches (terrore e miseria del terzo Reich, 1942), La moglie ebrea e lo Spione e Die Gesichte der Simone Machard (le visioni di simone machard, 1942-1943) che riprende la figura della Pulzella d’Orleans ambientandola nel contesto della resistenza nella Francia occupata. Una più ironica accezione di resistenza compare già nel titolo la resistibile ascesa di Arturo Ui (1941): qui le tappe dell’asce di Hitler vengono straniate attraverso una cavalcata storica di gangster al soldo del trust dei cavolfiori e usando il volgare linguaggio della lotta politico- economica in una parodistica deformazione del verso classico, da Shakespeare al Goethe del Faust. Resiste alla furia della Seconda guerra mondiale il soldato Schweyk (Schweyk im zweiten Weltkrieg, 1945) non resistendole affatto, o meglio eseguendo entusiasticamente alla lettera la raffica di ordini insensati che gli vengono impartiti e così portandone a galla in un crescendo di gags l’assurdità generale. C’è qualcosa che lega Schweyk, l’opportunista delle minuscole opportunità, ad Anna Fierling, la protagonista di Mutter Courage und ihre Kinder. In un altro modo ancora ella è una resistente e un’opportunista, ma anche un grande carattere. Da un punto di vista strutturale è un’opera perfettamente riuscita: una serie di quadri sullo sfondo della Guerra dei Trent’anni che scorrono sulla scena seguendo le peregrinazioni della vivandiera aggiogata al suo carro di mercanzie, che si illude di poter vendere con profitto nei vari teatri di guerra agli eserciti rivali. Sarà invece lei a rimetterci, uno dopo l’altro i suoi figli. Anche qui l’intenzione dell’autore di far aprire gli occhi al pubblico sulla cecità di Madre Coraggio, ricercata attraverso una profusione eccezionale di effetti di straniamento. E’ invece costretta a organizzare la resistenza contro se stessa, cioè contro la irresistibile, suicida tentazione della bontà, Shen Te, l’anima buona di Sezuan. Gravata del compito immanente di provare la possibilità di seguire al giorno d’oggi l’antico comandamento che impone di amare il nostro prossimo come noi stessi, si trasformerà in un cugino che disfa alla luce di un crudo realismo l’esile trama di rapporti umani che si ostina a voler intessere e in cui resta continuamente invischiata. E’ un crudele gioco delle parti che da’ luogo a un grande teatro, ma umanamente perverso e insostituibile sulla scena, dove l’inevitabile battuta finale che arresta lo spettacolo senza concluderlo lasciandolo sospeso su quello stesso mondo che lo ha prodotto: “A sipario caduto/qualunque problema è rimasto insoluto”. E’ forse la più sintetica ed efficace definizione per tutto il teatro epico. L’autore doveva far fronte a una doppia esigenza una volta ripresa l’attività in patria: provare concretamente “il budino teatrale” e insieme propagarne la ricetta. Si spiega così da un lato la formalizzazione dei principi del teatro epico in una sintesi teorica coerente e spesso normativa come quella del Breviario di estetica teatrale, dall’altro l’accentuata praticità che gli farà dire di non ricordare più i suoi stessi precetti. E se riterrà necessario proporre dei libri-modello sugli impeccabili allestimenti del Berliner Ensemble, sentirà anche l’esigenza di accompagnarli col saggio Come servirsi non servilmente di un modello di regia (1948). Il fatto è che l’iultima identità brechtiana si concretizzò in una nuova figura teatrale: il poeta-regista. Günter Grass, nel polemico I plebei provano la rivolta (1966), potrà rimproverargli di aver sostituito il conflitto reale (l’insurrezione berlinese nel 1953) con la finzione del palcoscenico, cioè la funzione surrogatoria dell’azione rivoluzionaria in cui restò invischiato il teatro di Piscator. CAPITOLO 3: IL TEATRO DEL TERZO REICH LA PRESA DI POTERE E LA POLITICA CULTURALE DEL NAZISMO PER IL TEATRO. Il 30 Gennaio 1933 Adolf Hitler (1889-1945) viene nominato cancelliere del Reich a capo di un governo di coalizione: è l’inizio di una delle più feroci e radicali dittature della storia moderna. Il 20 febbraio Hitler e Hermann Goring ricevono un fondo di 3 milioni di Reichsmark per il finanziamento della campagna elettorale per le elezioni del 5 marzo. Il 28 febbraio con un decreto del presidente del Reich vengono aboliti i diritti fondamentali e si autorizza l’arresto preventivo: è l’inizio dello stato di polizia. Il 22 marzo sorge a Dachau il primo campo di concentramento e il 1 aprile inizia il boicottaggio dei negozi ebraici. Il 23 viene pubblicata la prima lista nera di autori sgraditi al regime da allontanare dalle biblioteche e dalle librerie. Il 10 maggio, a Berlino, alla Opernplatz di fronte alla Humboldt-Universitat su iniziativa degli studenti nazisti, vengono organizzati roghi pubblici di pubblicazioni di autori non graditi al regime. Fra la seconda metà di giugno e gli inizi di luglio si ha la messa al bando della SPD, il Partito socialdemocratico tedesco e l’autoscioglimento degli altri partiti. Tutto ciò nei soli primi sei mesi di vita del regime. Gli anni successivi s’incaricheranno di allineare tutte le strutture pubbliche del paese ai dettami dell’ideologia del regime. Intanto la condizione degli ebrei peggiora di anno in anno e nella notte del 9 novembre 1938 (notte dei cristalli) viene organizzato il primo pogrom di massa. All’aggressione della Polonia da parte della Germania nazista (1 settembre 1939), la Francia e la Gran Bretagna reagiscono dichiarando la guerra all’aggressore (3 settembre): è l’inizio della Seconda guerra mondiale. Il 20 gennaio 1942 nella conferenza di Wannsee a Berlino viene decisa la soluzione finale della questione ebraica, ossia lo sterminio totale degli ebrei, e verso la fine di marzo i primi convogli di ebrei raggiungono il campo di concentramento di Auschwitz. Il 2 febbraio 1943 il generale Friedrich von Paulus firma a Stalingrado contro gli ordini del dittatore, la resa della VI Armata. E’ l’inizio della fine. Il 6 giugno 1944 gli alleati sbarcano in Normandia. Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche liberano il campo di sterminio di Auschwitz. Il 13 aprile l’armata Rossa entra a Vienna e inizia l’offensiva su Berlino. Il 30 aprile nella cancelleria del Reich il dittatore tedesco si toglie la vita e il 5 maggio l’ammiraglio Karl Donitz firma la resa incondizionata della Germania nazista. Dal momento della presa del potere erano trascorsi appena dodici anni: un periodo incredibilmente breve se rapportato al carico di morte, distruzione, barbarie che i nazisti erano riusciti a realizzare. In campo artistico il nazionalsocialismo non produce granchè di originale. Nella narrativa le opere letterarie più rappresentative precedono la vera e propria presa del potere. Il romanzo Volk ohne Raum di Hans Grimm, propugnatore di un imperialismo geopolitico orientato verso l’africa, fondato su un’intesa coloniale anglo-germanica e destinato a diventare la Bibbia del germanesimo, è del 1926. Addirittura degli inizi del secolo è il romanzo di Johannes Schlaf dal titolo emblematico Das dritte Reich: ein Berliner Roman (1900), mentre la rivitalizzazione del mito del nord germanico ed anticristiano e l’esaltazione della razza e del sangue germanici erano già presenti in un’opera del 1913 di Gorch Fock chiamata Seefahrt ist not! (navigare necessita!) destinato a diventare uno dei cult books del regime. Mentre nell’architettura si recupera un classicismo corroborante e pomposo, nelle arti figurative si ripropongono maschie figure di contadini tedeschi, nella letteratura si promuove una produzione provinciale di stampo nazionalistico, recuperando, in versione involontariamente parodistica e degradata, movimenti ed estetiche dei decenni precedenti nelle loro espressioni più irrazionali. La Gleichshaltung, il livellamento ai dettami del nazismo, viene ovviamente applicata al campo culturale. Già nel Congresso della NSDAP dell’agosto del 1927 si era deciso di dar vita alla Società nazionalsocialista per la cultura e la scienza che, già alla fine del 1928, si trasforma nel Kampfbund fur deutsche kultur (lega di lotta per la cultura tedesca). Le tendenze ideologiche dominanti sono un antisocialismo intriso di drammaturgia. Nei confronti dell’espressionismo per esempio la posizione di Goebbels differiva da quella di Rosenberg. Quest’utimo aborriva la modernità perché non tedesca e giudeicizzata, mentre Goebbels invece si era espresso favorevolmente nei confronti di un certo Espressionismo di marca germanica spingendosi a pronunciarsi a favore della qualità artistica e contro il Kitsch presentato in veste völkisch. IL THINGSPIEL Al momento della presa di potere Goebbels aveva dichiarato solennemente che il nazionalsocialismo avrebbe dato vita al teatro dei cinquanta, centomila e avrebbe fatto in modo che anche l’ultimo dei tedeschi venisse attratto dal teatro. Per realizzare questo programma uno studioso di teatro dell’università di Colonia, Carl Niessen, inventa una forma di rappresentazione che con espressione arcaicizzante chiama Thingspiel. Presso gli antichi Germani l’espressione thing indicava l’assemblea popolare che prendeva le decisioni importanti riguardanti la comunità. In sintonia con l’ideologia nazista Niessen guarda alle antichità germaniche come elemento fondante della nuova Germania e al thing come variante germanica del teatro greco. Il Thingspiel rappresenta il tentativo di dar vita ad una forma di teatro rivoluzionaria, aperta, in realtà ideologicamente blindata, tutt’altro che nuova, che recupera, piegandoli ai propri fini, il mistero medievale, il dramma dei gesuiti della controriforma cattolica, gli esperimenti wagneriani, le recite amatoriali in uso nella Jugendbewegung, il movimento giovanile dei primi del secolo, ma anche esperimenti teatrali più recenti come il teatro dei cinquemila di Max Reinhardt evocato da Goebbels col suo teatro dei cinquanta, centomila, il teatro politico di Piscator e il teatro totale di Walter Gropius. Dalla fusione di teatro popolare come teatro di massa e manifestazione politica doveva nascere con il Thingspiel una comunità di culto, una comunità di popolo che si opponeva in senso völkisch ad una società fondata sulla contrapposizione di classe. Il Thingspiel annullava però di fatto tutto ciò che di realmente rivoluzionario era avvenuto nel teatro dei primi decenni del secolo, sia in termini di realismo, sia in termini di fruizione da parte dello spettatore. Rainer Schlosser, il direttore artistico del Reich, aveva tracciato il profilo del Thingspiel sottolineando che questo teatro sarebbe stato innanzitutto oratoria, vale a dire un programma di cori e di slogan e poi ci sarebbero state marce, danze mimiche, esercizi ginnici e manifestazioni sportive. Alla musica toccava il compito di fondere in una favola drammatica unitaria questi elementi disparati. Occorreva quindi uno spazio costruito ad hoc. Si esclude subito l’uso anche solo provvisorio di stadi sportivi o di spazi teatrali preesistenti proprio perché si intendeva sottolineare, anche da un punto di vista architettonico, la novità di questa forma di evento teatrale. Il teatro doveva sorgere in un luogo denso di memorie storiche, o particolarmente suggestivo da un punto di vista naturalistico. Nella realtà, per motivi pratici, si dovette giungere a compromessi giacchè i luoghi storici o erano troppo lontani dalle città ed avrebbero richiesto infrastrutture di collegamento, o si trovano comunque in luoghi malagevoli. Scompare il palcoscenico tradizionale sostituito da terrazze-palcoscenico poste su diversi piani e collegate ai lati fra di loro da rampe di scale in un contesto naturale, a ridosso di un monte. Niente sipario. Lo stacco fra una scena e l’altra, fra un atto e l’altro, veniva segnalato da squilli di tromba. Lo spazio scenico era concepito come una dilatazione dell’auditorio al fine di segnalare anche per questa via l’unità di attori e spettatori. La favola drammatica era ovviamente al servizio della propaganda e dell’ideologia nazista. Il Thingspiel mirava in definitiva alla creazione di una comunità etnico-nazionale fondata sul mito del sangue e della zolla presentato come elemento costituente dell’identità germanica di cui il nazionalsocialismo intendeva accreditarsi come il completamento e l’inveramento. Esso rappresentava il tentativo di creare artificialmente Esso rappresentava il tentativo di creare artificialmente una mitologia, che, essendo priva di una tradizione e di una sostanza reali, era destinata a restare un artificio retorico. Il repertorio era costituito da drammi di carattere mitico tratti dalle antichità germaniche o ispirati al Medioevo germanico, ma anche ad eventi recenti come la guerra e il dopoguerra. La cornice naturale o monumentale contro la civiltà metropolitana e contro la civiltà teatrale borghese coi suoi rituali sociali e di classe metteva in particolare rilievo l’elemento rituale, metastorico della rappresentazione, atta a promuovere emozioni collettive e a veicolare slogan e messaggi politici. La distinzione tra attori e spettatori scompariva per dare luogo ad un’unione mistica intesa a fare emergere, purificata, la coscienza collettiva della razza. Nel 1936 in occasione delle Olimpiadi a Berlino il ministro della propaganda, Joseph Goebbels, incaricò Eberhard Wolfgang Moller di scrivere e mettere in scena un Thingspiel che questi realizzò con la messinscena di un episodio della Guerra dei Trent’anni, il Frankenburger Würfelspiel ( Gioco dei dadi a Frankenburg), che terminava con la celebrazione della germanica comunità di sangue e di suolo. Il Thingspiel, all’inizio fortemente sostenuto dal regime, viene però abbandonato verso il 1937 a favore del dramma eroico e del teatro di intrattenimento perché sicuramente era cambiato il contesto politico-sociale. Il Thingspiel era nato in un momento di forte confronto politico interno. Ora, nel 1937, il nemico interno era stato sgominato, si era avuto il riconoscimento internazionale della Germania nazista, l’adesione delle masse al regime era un dato acquisito, e quindi il teatro poteva tornare al ruolo che la tradizione gli assegnava: l’intrattenimento, l’edificazione, tanto più che per l’agitazione politica e la mobilitazione delle masse si erano rivelati molto più funzionali i nuovi media, la radio e il cinema. E allora gli spettacoli teatrali preferiti del regime saranno le adunanze di piazza, le marce, le fiaccolate, i raduni ufficiali, la celebrazione del congresso del partito. CAPITOLO 4: IL TEATRO DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA TEDESCA LA NUOVA REPUBBLICA E IL TEATRO DI BERTOLT BRECHT Il 7 ottobre 1949 viene fondata la Repubblica Democratica Tedesca (RDT), apparentemente democratica, ma in realtà sotto il controllo del Partito socialista unitario tedesco. Si procede rapidamente alla riproduzione del modello statale sovietico in cui il segretario della SED diventa di fatto un vero e proprio sovrano assoluto che deve rispondere soltanto alle prescrizioni dell’Urss e del suo capo Stalin. Si organizza poi l’economia sul modello sovietico della pianificazione centralizzata quinquennale, così come nell’industria si avvia il sistema delle norme produttive e in agricoltura si procede alla distribuzione delle terre. Già il 17 giugno 1953 l’insofferenza ad un modello calato dall’alto suscita una protesta operaia contro le norme produttive che rischia di trasformarsi in rivolta politica. L’invasione militare dell’Ungheria nel 1956, che ne seda i moti insurrezionali, spinge un numero crescente di cittadini della RDT a fuggire in occidente. A frenare ciò non serviranno né la Conferenza culturale di Bitterfeld, né la collettivizzazione delle terre e nemmeno la rivoluzione tecnico-scientifica accoppiata al decentramento della pianificazione produttiva. Ultima drastica misura sarà nel 1961 la costruzione del muro di Berlino. Le speranze collegate all’esperimento socialista della Primavera praghese del 1968, quelle legate al cambio della guardia nella SED con Erich Honecker nel 1971, la Ostpolitik di Willy Brandt e l’ascesa al potere in Unione Sovietica di Gorbacev nel 1985, saranno puntualmente deluse inducendo dapprima alla rassegnazione e in seguito al rifiuto totale. Il crollo del muro di Berlino il 9 novembre 1989 è il segno di quanto quello Stato da speranza dell’avvenire fosse diventato per i suoi cittadini l’incubo RDT. Nel momento della fondazione del nuovo Stato comunista tedesco le premesse per un teatro del tutto originale in teoria e prassi sembravano numerose e promettenti, e se esse si sono in parte realizzate al momento della sua scomparsa, lo si deve al coraggio e all’intelligenza di quei numerosi operatori che hanno saputo dire di no alle imposizioni delle autorità politiche. La bipartizione politica della Germania intervenuta dopo la seconda guerra mondiale intervenuta dopo la sconfitta del Terzo Reich e l’instaurarsi della guerra fredda tra le potenze occidentali e l’Urss, inducendo ad una differente ricerca di prospettiva democratica nella tradizione letteraria, procura già una prima opposizione: ad una impostazione improntata al pluralismo formale e contenutistico di stampo borghese in Occidente, si contrappone, ad Oriente, quella dogmatica del realismo socialista. Ispirata alla creazione di una comune coscienza proletaria, tale concezione riserva al teatro, al pari di altre istituzioni, il compito di confermare, sostenere e difendere l’ideologia di Stato trasmettendo alla base le decisioni politico-culturali del vertice. Un secondo e altrettanto aspro campo di tensione si manifesta all’interno dello stesso elemento teatrale con il rientro nel 1948 di Bertolt Brecht, la fondazione del Berliner Ensemble (1949) e la esplicita intenzione di realizzare sulla scena quel teatro epico a lungo teorizzato. Brecht dovrà fare i conti con l’ottusa ortodossia stalinista e con eventi traumatici quali la rivolta operaia di Berlino del 17 giugno 1953, che ne faranno vacillare non poco la fede comunista. Forse proprio per questo emergerà nella riflessione del drammaturgo il concetto di teatro dialettico, che pur non negando i presupposti del teatro epico tenterà di farlo avanzare nel senso di un adeguamento ai compiti posti dalla nuova società. Si tratta di uno sforzo di riflessione che include nel teatro la rappresentazione di contraddizioni reali sia pur non antagonistiche. Una prassi teatrale che Negli anni Sessanta la vita nella parte orientale si presenta come una vita frenata, impedita nella libera progettazione della propria quotidianità, il che induce al pessimismo e alla melanconia. Grazie alla ripresa del dramma popolare e dei drammi d’attualità, approderanno sulle scene di Berlino Est opere vecchie e nuove di Muller e Hacks, come anche rivisitazioni di classici quali Shakespeare, Moliere e Schiller, sempre però in chiave ironica e con lo sguardo rivolto all’attualità. A porre fine a questo breve periodo di tolleranza culturale interverrà l’annullamento della cittadinanza tedesco-orientale all’insolente Biermann, il “bardo” comunista che con le sue canzoni aveva denunciato apertamente la corruzione e l’ottusità della burocrazia. La misura presa nei suoi confronti: proprio nella notte del suo concerto a colonia gli sarà ritirata la cittadinanza tedesco- orientale, sicchè egli non potrà più far ritorno in patria. Ciò solleverà nella RDT una vibrata protesta pubblica da parte di circa 150 scrittori. Se ai loro occhi la vita appariva in precedenza frenata, ora essa era percepita addirittura come bloccata e ciò lasciava emergere il desiderio di sconfinare. Molti abbandonarono la RDT, mentre per coloro che vi rimasero fu il tempo di una lunga discussione sul senso e sulle perfettibilità dello Stato tedesco-orientale, nonché sulla propria collocazione al suo interno che poi assunse le forme di una diatriba sul rapporto tra Romanticismo e Classicismo. Esso prese l’avvio dal teatro e dalla acerrima polemica divampata in proposito tra Hacks e Muller. Il primo, che vagheggiava per il teatro della RDT un classicismo di stampo goethiano ma di indirizzo socialista, accusava l’altro di privilegiare nelle sue opere elementi notturni, sanguinolenti, pessimisti e distruttivi- ovvero il peggior romanticismo. L’altro ribatteva di converso che il classicismo hacksiano altro non era se non una forma di fuga dai problemi reali e che Hacks, proponendo sulla scena armonie, si poneva a puntello dell’immobilismo politico del regime. Gli autori agli inizi degli anni Ottanta dibattono il perenne problema della conciliazione tra soggettività e collettivismo marxista, all’ombra minacciosa di un’atmosfera da ultima spiaggia. L’avvento al potere di Gorbacev rafforzerà tale percezione e la correlata illusione di essere il faro morale e politico del paese, conducendo alle concitate fasi del crollo del Muro, che vedranno a Berlino gli scrittori assumere per breve tempo la guida della piazza nelle manifestazioni precedenti il 9 novembre 1989. Percepita più come una annessione di stampo coloniale che come la naturale prosecuzione dei movimenti popolari precedenti, la riunificazione marginalizzerà il ruolo di questi scrittori lasciandoli attoniti nel compilare l’inventario di quanto rimanesse nell’ormai ex RDT. In teatro Heiner Muller assumerà la direzione del Berliner Ensemble e continuerà a mettere in scena le proprie opere rivestendo così quel ruolo di effettivo erede brechtiano riconosciutogli a livello internazionale. Il resto degli antichi talenti dovrà invece fare i conti non solo con le rivelazioni degli atti della polizia segreta, la Stasi, ma anche con una montante forma depressiva definita Ostalgie, una sorta di nostalgia dell’Est comunista. La nuova generazione dovrà farsi strada nell’economia di mercato e cavarsela con i nuovi parametri dell’interesse collettivo che relegano l’esperienza della RDT ad un ruolo di secondo piano privilegiando in suo luogo temi quali l’antisemitismo e il terrorismo. L’esperienza teatrale della RDT non può non rilevare come essa abbia svolto quelle funzioni di tribuna morale, di luogo d’informazione e di dibattito culturale che caratterizzano il felice connubio tra la grande tradizione tedesca e la parte più genuina della proposta brechtiana. HEINER MÜLLER La sua intera drammaturgia può sintetizzarsi nel compito di riprodurre la dialettica di quel campo di tensioni che si instaura nel pronunciare il termine Germania. Tra utopia e realtà, bersaglio principe di tale impegno è il potere, con le sue crudeltà e i suoi più sottili meccanismi di perversione della coscienza umana. Mentre le sue armi saranno la dialettica marxista, l’autoironia e il gusto della provocazione. Agli inizi esercita la sua denuncia nel territorio ristretto della realtà tedesco-orientale, poi si amplia alla impietosa analisi dell’utopia comunista, sino a giungere infine al confronto con l’identità tedesca, con la sua storia e i suoi simulacri culturali. Non sono i temi della piatta realtà tedesco-orientale a costituire l’originalità della prima produzione, bensì la prospettiva con cui li inquadra: osservare dal basso, analizzare a fondo le cause per dialogare apertamente sia con il pubblico che con il potere. OPERE: - Lo stakanovista (1957) affronta d’impatto l’icona dell’eroe del lavoro socialista ponendo una pesante ipoteca sulla sua fungibilità politica e morale. Balke, attivista della SED, muratore impeccabile, instancabile e perciò inviso ai colleghi che a causa sua subiscono l’innalzamento della norma produttiva, riparerà i danni di un forno circolare senza interromperne la produzione. L’impresa eroica lo vedrà lavorare ad una temperatura di circa 90 gradi. Se in conclusione l’atto eroico andrà a buon fine dopo reiterati tentativi di sabotaggio e si assisterà ad una conciliazione tra Belke e il suo antagonista Karras, ciò non accadrà per amicizia, né tanto meno per la necessità storica di ricostruire la Germania, bensì per estorsione. Colui che ufficialmente è osannato come modello del lavoro socialista è infatti costretto a essere nuovamente il delatore che era stato al tempo del nazismo denunciato l’attuale segretario politico della fabbrica, Schorn. - Die Umsiedlerin smentisce l’immagine ufficiale di una marcia trionfale verso il collettivismo facendo del locale segretario del partito, Flint, l’opposto di quanto desiderato dalla burocrazia culturale. Ingenuo e goffo, egli è armato della sola stanca retorica quotidiana dinnanzi al suo antagonista Fondrak, che reclama una pienezza di vita impossibile da realizzare nella RDT. L’imperativo del si vive una volta sola è il risvolto di una esigenza che lo stesso Flint tiene a freno e emerge prepotente in tutta la popolazione - censura vieta la rappresentazione e l’associazione degli scrittori lo espelle. - Lo stesso destino toccherà al successivo Der Bau, vietato a pochi giorni dalla prima. Qui, quel desiderio di felicità immediata che nella commedia contadina era imbrigliato dall’ironia, riesce a trovare forme espressive di rara tensione drammatica. L’atto d’accusa è ora indirizzato verso la rivoluzione tecnico-scientifica degli anni Sessanta. Ai personaggi che si aggirano nell’immenso, caotico cantiere della RDT di quegli anni, la realtà appare come un inferno dantesco dalle cui colpe è impossibile venire fuori con i mezzi della politica. Il segretario del partito Donat, inviato nel polo chimico di Buna, riuscirà ad assolvere al mandato di ottimizzare la produzione soltanto a patto di rinunciare in suo nome ad ogni sentimento. Unica via di riscatto, afferma l’autore per voce del caposquadra Barka, è quella che conduce attraverso un doloroso processo di autoanalisi ad un rinnovamento individuale, accettando lo status quo senza però rinunciare all’utopia. Il successivo rivolgersi alla cosiddetta ricezione dell’eredità classica segna solo in apparenza un distacco dall’attualità e un approdo a lidi politicamente meno pericolosi. Attraverso la ripresa di soggetti della classicità greca e latina Muller affermerà il diritto di ampliare il proprio repertorio anche con elementi di una tradizione letteraria che lo scolasticismo marxista aveva giudicato ormai superati. Con il mito sperimenterà la possibilità di conferire alla riflessione sui problemi della costruzione del socialismo una dimensione al di sopra e al di fuori della provincia tedesco- orientale. - Filottete, la riscrittura della tragedia sofoclea, mette in campo una dialettica della politica che, tra necessità storica e istanza individuale, vede soccombere alla fine la sostanza umana immolata sull’altare della ragione di stato. La menzogna e il suo uso cinico e raffinato diventano strumento di oppressione, armi con cui non solo si perpetra un omicidio, ma lo si rende politicamente produttivo. Odisseo farà del cadavere di Filottete uno strumento di propaganda per spronare i Greci alla vittoria finale. La provocazione sull’ambiguità di parole quali verità, giustizia, civiltà nei percorsi della storia umana prosegue in altre opere di ambientazione mitologica. - Nell’Orazio (1968), si osserva l’eroe romano trasformarsi in un assassino per il quale la storia dovrà ad un tempo indicare la duplice verità; mentre nei vari approcci al mito di Ercole quale simbolo della classe operaia ci si imbatte in un eroe che risponde con l’azione alle strategie verbali dei suoi antagonisti. - Una lettura impietosa degli esiti nefasti del colonialismo occidentale disegna infine personaggi di alta tensione drammatica quali Giasone e Medea in Riva abbandonata, Materiale per Medea, Paesaggio con Argonauti (1982). Se il percorso attraverso i materiali mitologici segna nel linguaggio una crescente concentrazione e stratificazione di significati, anche le forme si contraggono, passando dal monolitismo della tragedia al frammento, dall’azione alla narrazione, dal dialogo al monologo. - Macchinamleto (1977), un monologo costruito su di una congerie di citazioni letterarie che riprendono sempre la crisi dell’intellettuale contemporaneo, evidenzia non tanto l’esperimento postmoderno quanto il tentativo di riguadagnare una dimensione predrammatica, che lasci spazio creativo a interpreti e spettatori spogli dei ruoli tradizionali. - Alla rivoluzione, alle sue conquiste come ai suoi misfatti, Muller dedicherà tre lavori: Cemento (1972), La missione (1980) e Mauser (1970), che saranno ulteriori esempi del fascino pericoloso della grande Idea. - Degli orrori e delle rovine che disseminano la storia tedesca, si animeranno invece Germania morte a Berlino (1971), Vita di Gundling Federico di Prussia sonno sogno grido di Lessing. Una crudele invenzione (1976) e La strada dei Panzer (1987), una ricerca dell’origine della miseria tedesca, miseria in termini morali e materiali, di orrori inflitti e subiti. Sono testi che contrassegnano in progressione una marcata predilezione per il frammento, un marginale uso della cifra onirica nel gioco stilistico e una spiccata tendenza verso forme di nichilismo sul piano del pensiero; i testi che paiono sospingere l’utopia verso lidi siderali proprio del teatro tedesco-orientale, Società di frontiera (1982) è scritta sulla scia di Tre sorelle di Anton Cechov per annunciare la definitiva scomparsa di ogni illusione di maggior benessere e tolleranza legata al cambio della guardia avvenuto con Honecker un decennio prima. Il tema del mutamento, del divenire altro, del passaggio a nuovi modi d’essere del singolo e della società è quanto caratterizza il teatro di Braun negli anni Ottanta e collega l’opera precedente al collage visionario Transito Europa (1987), in cui la condizione dell’esule proposta nel quasi omonimo romanzo di Anna Seghers (Transit, 1948) diventa la condizione immanente dell’uomo moderno sempre in attesa di ricevere permessi, di attraversare frontiere, di mutare identità. In Lenins Tod (1988) si analizza in maniera documentaristica la trasformazione della rivoluzione in dittatura stalinista, mentre in Guevara oder Der Sonnenstaat (1975) si riflette sul fallimento dell’ipotesi rivoluzionaria in America Latina a causa di un eccessivo idealismo. In La grande pace (1976) l’autore ripropone invece un progetto di una possibile pace universale allestito nella Cina del XVII secolo e rimasto incompleto per cause economiche, mentre in Dimitri (1980) l’ascesa a zar di un popolano che avrebbe potuto mutare il corso della storia si rivela purtroppo un sogno troncato dal suo assassinio. In due più recenti occasioni Braun rivolgerà il suo sguardo al passato tedesco e ai suoi orrori: Tedesco semplice (1980) e Sigfrido verbale femminile furore tedesco (1986). Nel primo si occupa dello spirito filisteo e nel secondo delle violente miserie della storia della civiltà tedesca. A fronte di tale produzione si può riconoscere nel teatro di Volker Braun l’empito autentico a combattere e pagare in prima persona le storture del socialismo reale non cedendo però mai allo scetticismo su una possibile realizzabilità dell’utopia. LA DRAMMATURGIA DELL’EPILOGO La seconda generazione di drammaturghi, nata intorno al 1945, e cresciuta quindi nella RDT, non avrà come modello il teatro brechtiano, ma si formerà alla scuola di Heiner Muller. Da lui autori quali Thomas Basch, Christoph Hein e Stefan Schutz apprenderanno come il teatro necessiti di un proprio individuale linguaggio poetico da sviluppare su modelli di grande respiro. Per questo storia e mito costituiscono la contemporaneità del socialismo reale. Da Thomas Basch fioriranno opere di rilevante efficacia sul ruolo della violenza nelle relazioni umane: - Die Rotter (1977), un profilo biografico di un arrampicatore sociale che, al pari del ruolo svolto nel Trezo Reich, offrirà al nuovo stato i suoi servizi divenendo un alto funzionario e denunciando così la squallida continuità di tante inossidabili presenze nella RDT - Lovely Rita (1978), il collage biografico di una eroina tanto forte da superare da sola sia le violenze della guerra che le avversità del socialismo. Christoph Hein svilupperà una produzione del tutto autonoma rispetto ai suoi maestri Muller e Braun. Noto come romanziere già agli inizi degli anni ottanta, Hein farà del ruolo dell’intellettuale all’interno della società il filo conduttore della sua opera. - Schlotel (1974) mette in scena il tragico conflitto di uno studente che crede nell’utopia comunista ed è deluso e umiliato da una asfissiante società piccolo borghese ancora socialista. - Cromwell (1980), in cui l’eroe della rivoluzione puritana è alla fine costretto a bloccarla prima che essa lo elimini - Lassalle chiede di Sonia al signor Herbert (1980) dove uno dei padri del socialismo utopistico, messo a confronto con i modesti risultati della sua organizzazione operaia, è risucchiato dalla teatralità dei salotti alto-borghesi - La vera storia di Ah Q (1983) in cui ci si prende gioco dell’ottuso autocompiacimento di un intellettuale dinnanzi ad una rivoluzione montante che lo eliminerà. - I cavalieri della tavola rotonda (1989) ritrarrà lo scioglimento della mitica compagine come la naturale conseguenza della fine dell’utopia. Anche l’opera di Stefan Schutz si affida ad una critica annichilente del socialismo reale: - Il ritorno di Odisseo (1972) mostra l’eroe in una situazione capovolta rispetto all’originale: egli soccombe dinnanzi ad una Penelope che si concede ai nemici, un Telemaco che aspira al potere assoluto e un popolo che non lo riconosce e vive in un sopore mortale senza alcun fremito di ribellione. - Meno eclatante ma più incisivo nel riproporre la violenza della ragion di Stato e dei meccanismi di ascesa al potere è Antiopi und Theseus/Die Amazonen (1974). Qui Teseo sacrifica alla ragione politica il suo amore. Rinuncerà ad Antiope che morirà per sua mano e sposerà Fedra ovvero procederà all’annientamento delle Amazzoni. Riconsiderando il percorso compiuto del teatro tedesco-orientale, emergono due elementi caratterizzanti il suo ruolo culturale: in primo luogo la sua funzione di istanza d’informazione e dibattito politico per il pubblico, e poi l’assunzione del compito di precettore del Principe, tentando costantemente di educare il regime al dialogo democratico con la base. Ciò che rimane oggi di questo teatro definito per queste caratteristiche “senza pubblico” è la sua autorità morale che, al di là delle forme più o meno moderne, ha perseguito con costanza e passione il fine di un inveramento dell’utopia comunista. CAPITOLO 5_ IL TEATRO DEL SECONDO DOPOGUERRA: LA REPUBBLICA FEDERALE, LA SVIZZERA, L’AUSTRIA LA RIPRESA DELL’ATTIVITA’ TEATRALE DOPO LA CAPITOLAZIONE L’8 maggio 1945 la guerra d’aggressione nazista si conclude con la resa incondizionata della Germania. Nelle città non funziona più nulla. Gravi sono i problemi d’approvvigionamento dei generi alimentari e la situazione igienico-sanitaria. Il ministro del tesoro americano Henry Morgenthau è per una politica punitiva ossia amputazione territoriale e trasformazione della Germania in pese agricolo. Stalin è invece per una Germania non smembrata, ma disarmata e neutrale. Tutte le potenze vincitrici sono comunque per una gestione unitaria del paese di cui si sarebbe dovuto fare garante un Consiglio di controllo interalleato che però fallirà lo scopo a causa del diritto di veto delle singole potenze. All’indomani della capitolazione la Germania risulta pertanto divisa in quattro zone di occupazione: inglese, americana, francese e sovietica. Nel novembre del 1945, a Norimberga, un tribunale interalleato istruisce un processo a carico di 24 criminali di guerra provenienti dai ranghi del partito, della Gestapo e delle SS che si erano macchiati di crimini contro l’umanità. Nel gennaio 1946 prende via un processo di denazificazione e rieducazione. La gente comune reagisce chiudendosi nel proprio privato. Rimuovendo il passato, solo preoccupata di risolvere i pressanti problemi della sopravvivenza quotidiana. Diffusa era la delinquenza giovanile e a ciò si aggiunge anche il fenomeno dei profughi dei territori orientali. L’american way of life comincia ad incidere sul costume dei tedeschi occidentali, con le sigarette Camel e la cioccolata Hershey’s, poi con la letteratura di autori americani, la visione di film di Hollywood e l’ascolto di musica americana. Il piano Marshall crea all’ovest le basi per una rapida ripresa economica e, nello stesso tempo, le condizioni per la creazione di una compagine statuale tedesco-occidentale. Quando in Occidente si profila l’unione delle tre zone di occupazione in una compagine tedesco-occidentale, Stalin reagisce bloccando le vie d’accesso a Berlino. Al blocco sovietico gli stati uniti e la Gran Bretagna rispondono con un colossale ponte aereo che rifornisce i settori occidentali della città di tutti i generi di sussistenza. Con l’entrata in vigore della Legge Fondamentale il 23 maggio 1949, nasce la Repubblica Federale Tedesca. Questa legge riduce il presidente della Repubblica a figura di mera rappresentanza formale, rafforzando il ruolo del cancelliere e introducendo il principio della sfiducia costruttiva (una crisi di governo può aprirsi solo in presenza di una maggioranza parlamentare alternativa). Alla fondazione dello Stato tedesco-occidentale i sovietici rispondono con la fondazione, il 7 ottobre del 1949, della Repubblica Democratica Tedesca. Primo cancelliere della Repubblica Federale è Konrad Adenauer, un politico renano già borgomastro di Colonia prima dell’avvento del nazismo. Poco esperto di questioni economiche e finanziarie, Adenauer ricorre al parere di esperti banchieri della sua generazione. Contrario ad ogni forma di dialogo con l’altra Germania denominata di volta in volta sprezzantemente la “zona” o “la cosiddetta RDT”, Adenauer rivendica in ogni sede il diritto della RFT a rappresentare tutta la Germania, pronto a rompere le relazioni diplomatiche con chiunque, ad eccezione dell’Unione Sovietica. Nel 1955 la RFT entra a far parte della Nato. QUALE ERA LA SITUAZIONE DELL’ATTIVITA’ TEATRALE IN GERMANIA AL MOMENTO DELLA FINE DELLA GUERRA? Mancano le strutture, manca un repertorio. Dei 230 teatri esistenti in Germania prima della guerra, più di un terzo sono stati distrutti dai bombardamenti; il resto è, almeno nei tempi brevi, impraticabile. Per fare teatro si usano allora chiese, birrerie diroccate con spettatori per i quali comprare il biglietto d’ingresso significa saltare un pasto. Alla fine della guerra, ad appena poco più di tre settimane dalla capitolazione, l’attività teatrale riprende: il 27 maggio al Reinassance- Theater di Berlino con Raub der Sabinerinnen (1885), Der Parasit (1803), un adattamento che Friedrich Schiller aveva tratto da una commedia del drammaturgo francese Louis Benoit Picard. Fra giugno e dicembre ci furono a Berlino ben 121 prime teatrali. I russi vietarono la messinscena della Piccola Città di Thornton Wilder, mentre si adoperano perché il 7 settembre vada in scena Nathan der Weise. L’opera di Lessing vietata negli anni della dittatura. Nel resto della Germania la ripresa teatrale è più lenta. Il repertorio è quello classico: Faust, Giulietta e Romeo, Macbeth. Del tutto assente un repertorio tedesco contemporaneo. Inoltre solo dopo il 1952 si avrà una ripresa della produzione teatrale autoctona perché fino a quel momento si rappresentavano testi stranieri. Molti autori giovani interessati al teatro si orientano dapprima verso il radiodramma. Fra questi il più importante è Gunter Eich. Il testo teatrale che all’epoca fece più scalpore fu Des Teufels General di Carl Zuckmayer, un’opera andata in scena a Zurigo nel 1946 ma composta durante gli anni dell’esilio americano. Zuckmayer portava in scena un tema allora di grande attualità: il dissidio interno di coloro che, pur disprezzando il regime, avevano finito con l’appoggiarlo, o, comunque, non vi si erano opposti. Costoro potevano ora identificarsi col generale Harras, tanto più che l’autore non designava al suo personaggio qualità morali e caratteriali che lo rendevano umanamente simpatico. L’impostazione naturalistica fondata sul meccanismo dell’identificazione, d’altra parte, non favoriva certo una ricezione critica dello spettacolo. L’opera però che meglio restituisce il clima spirituale di quegli anni è Draussen vor der Tur (fuori davanti alla porta, 1947) di Wolfgang Borchert, trasmessa prima come radiogramma e poi rappresentata al Kammerspiele di Amburgo nel 1947. La guerra stavolta è vista dalla prospettiva del reduce e non, come nell’opera di Zuckmayer, dai piani alti degli ufficiali superiori. Questo testo evoca la drammaturgia dell’Espressionismo: predominanza del monologo lirico sulla struttura dialogica, scardinamento del nesso cronologico, ottundimento del confine tra sogno e coscienza, appello diretto al pubblico, dissonanza e gestualità carica di pathos. Fuori davanti alla porta è il dramma del reduce che torna dal fronte e resta, come recita il titolo, fuori davanti alla porta: davanti alla porta della propria casa che lo ricusa, davanti alla porta del maggiore al quale cerca invano di restituire la consegna, davanti alla porta del direttore del teatro che non sa cosa farsene di un teatro realistico e chiede solo testi leggeri, davanti alla porta del Buon Dio che, irretito nei rituali delle sue chiese, è condannato all’impotenza, davanti alla porta della gente comune che vuole solo dimenticare. IL TEATRO DELLA SVIZZERA TEDESCA: MAX FRISCH E FRIEDRICH DÜRRENMATT alcuna possibilità di mutare alcunché. Le azioni dell’uomo sono definitive, anche se in un senso negativo; manca sempre la possibilità di correggere la vita. FRIDERICH DURRENMATT (1921-1990): figlio di un pastore protestante, con alle spalle studi di filosofia e teologia, artista grafico, autore di romanzi gialli, è soprattutto un autore di teatro. Convinto che l’epoca moderna non sopporti il tragico giacché la tragedia presuppone la colpa e la responsabilità abolite dal menefreghismo del nostro secolo, Durrenmatt è convinto che, per affrontare a teatro il paradosso mostruoso del nostro mondo, l’unica via praticabile sia quella della (tragi)commedia. Distante dall’ottimismo del teatro brechtiano da cui pure aveva imparato molto, Durrenmatt è l’intellettuale del dubbio: diffida di tutto e di tutti, soprattutto delle ideologie. Egli si limita a rappresentare la realtà come essa è, con le sue contraddizioni e le sue assurdità. Pervaso da visioni macabre, umorismo nero, disincantato, non nutre speranza in un mondo migliore. Il mondo per Durrenmatt è sempre sull’orlo della catastrofe. Approdo di questa posizione è un pessimismo radicale. Ma Durrenmatt ha dalla sua parte un robusto talento drammatico, una fantasia macabra, bizzarra, a volte barocca capace di inventare simboli incisivi per situazioni e problemi del nostro tempo. OPERE: - Es steht geschrieben 1947: dramma storico ma non documentario, che si rifà ad un evento reale del 1534, il moto rivoluzionario degli anabattisti di Thomas Muntzer. Con feroce e gioiosa fantasia barocca Durrenmatt se la prende con tutti i fanatismi, con quello degli anabattisti e con quello dei loro avversari, senza risparmiare le confessioni religiose tradizionali. Dal punto di vista drammaturgico l’opera è fortemente stilizzata, antinaturalista, straniata, ma con una, a volte pesante, propensione ad affrontare i massimi sistemi che deriva all’autore dalla formazione familiare e dagli studi filosofici. - Der Blinde 1948: dramma ambientato nel passato all’epoca della guerra dei trent’anni, la storia di un duca reso cieco dal suo voler vedere ad ogni costo in una luce positiva un mondo corrotto e prossimo alla distruzione. - Romulus der Grosse 1948: commedia ambientata sempre in una intenzionale deformazione della realtà storica, nell’anno 476 d.C. al momento della caduta dell’Impero romano. Mentre Odoacre sta conquistando la capitale, Romolo Augusto invece di occuparsi degli affari di stato, si è ritirato in una delle sue ville in campagna per dedicarsi all’allevamento dei polli. Pollicultura come scelta di vita contro la violenza e a favore dell’umanità. Il suo disegno filosofico è contribuire con la sua inerzia ad abbattere un Impero diventato col tempo un organismo che pratica apertamente l’assassinio, il saccheggio, l’oppressione, la rapina a spese degli altri popoli. Ma anche Odoacre per motivi analoghi si è convertito alla pollicultura. Egli è stato spinto alla guerra dal nipote Teodorico, un germano che, a parte i calzoni, non ha nulla di barbarico, cultore pedante di antichità classica e nel contempo avido di potere, trama contro lo zio per prendergli il posto. Odoacre ha paura di Teodorico che sogna la conquista del mondo, e che a questo ideale ha convertito il suo popolo. Per questo vorrebbe arrendersi a Romolo Augusto. La commedia si conclude con l’incontro dei due imperatori-pollicoltori al cospetto di due mondi solo apparentemente antagonisti, quello romano giunto al tramonto e quello germanico emergente, ma uniti dalla stessa idea suicida: il potere fondato sulla violenza e sulla sopraffazione. - Il matrimonio del signor Mississipi: L’opera inizia, per così dire, dalla fine: Saint-Claude, uno dei protagonisti, è nella stanza, insieme ad altri tre personaggi, che gli dichiarano la sua condanna a morte. Il suo fantasma prenderà la parola rivolgendosi al pubblico per introdurre l’antefatto, che coincide con l’opera intera: in pratica tutto il dramma non è altro che un lunghissimo flashback. Quattro sono i personaggi principali: il signor Mississippi, appunto, giudice implacabile e famoso per la sua ferrea morale, che ha come solo obiettivo nella vita la restaurazione della legge mosaica. Agisce come sua controparte ideale il personaggio già citato di Saint-Claude, agente sovietico che progetta di attuare la rivoluzione comunista. A fianco a questi personaggi che ragionano per assoluti si affianca la figura di un medico, Bodone di Uebelohe-Zabernsee: questo personaggio dal buffo nome italo-tedesco sembra fungere da contraltare “umano” davanti a queste due figure che ragionano per assoluti: la medicina e l’assistenzialismo umanitario contro le grandi ideologie che spaccavano in due l’Occidente. In mezzo a queste figure si colloca una donna del tutto normale, Anastasia. Anastasia è il vero fulcro della vicenda, la figura da cui prende avvio l’azione e attorno a cui ruotano tutti i personaggi principali. - Die Panne 1955: Protagonista del racconto è Alfredo Traps, rappresentante di articoli tessili, che sta viaggiando per lavoro in un'indefinita parte della Svizzera, quando la sua automobile, una lussuosa Studebaker, smette di funzionare: inizialmente non dispiace a Traps di passare una notte fuori casa, sperando in qualche piacevole avventura. Riesce così ad essere ospitato per la nottata a casa di un giudice in pensione che, vivendo solo, offre gratuitamente l'alloggio a favore di un poco di compagnia. Il padrone di casa annuncia inoltre che avrà dei colleghi (anche loro pensionati) a cena, con i quali è solito passare il tempo simulando processi storici o, in presenza d'ospiti come Traps, processandoli. Alfredo, per quanto confuso, è gioioso di prendervi parte, per divertirsi anche lui in questo gioco. A cena, tra ottimi piatti e del buon vino, Traps inizia a chiacchierare ed a raccontare di sé nel modo più sincero, rivelando i suoi molti rancori nei confronti del suo ex-principale, un certo Gygax che era casualmente morto poco prima che Traps prendesse il suo posto. Dopo un certo tempo scopre, però, che il processo, in cui lui fa la parte dell'imputato, è già iniziato ed è stato accusato dell'omicidio del suo principale. Scopre anche che c'è regolarmente un avvocato difensore e, soprattutto, un boia nel caso di condanna a morte. Il processo oscilla tra gioco e realtà: mentre gli ospiti diventano sempre più euforici ed iniziano a festeggiare per la strabiliante sincerità dell'imputato, egli, coinvolto dalla situazione, si comporta in modo surreale, giungendo persino a ringraziare il giudice per la definitiva sentenza di condanna a morte. Conclusosi il processo, tutti completamente ubriachi si addormentano. La mattina successiva i pensionati, recandosi nella stanza di Traps, lo trovano impiccato fuori dalla finestra. Il processo si rivela, quindi, in tutta la sua cruda realtà di gioco. In una successiva versione radiofonica dello stesso racconto di Dürrenmatt, contenuta nella sua serie dei Radiodrammi (1961), il protagonista, che s'era solo addormentato, al risveglio riprenderà il suo viaggio e la vita di sempre, rimuovendo in qualche modo il suo senso di colpa. - Der Besuch der alten Dame 1956: na di Güllen e ora multimiliardaria, tornata a visitare il paese natio. Claire Zachanassian giunge nel paese con suo marito (durante lo spettacolo ne cambierà diversi, che Dürrenmatt suggerisce siano interpretati sempre dallo stesso attore) e con un seguito a dir poco grottesco. Dopo alcuni convenevoli, annuncia ai concittadini la vera ragione della sua visita: in gioventù rimase incinta dalla relazione avuta con il fidanzato Alfredo Ill, che però negò la paternità e corruppe due ubriaconi perché dichiarassero in tribunaledi aver avuto rapporti con Claire Zachanassian. La ragazza venne cacciata con disonore dal villaggio e bollata come prostituta. Dopo aver accumulato uno straordinario patrimonio con una serie di fortunati matrimoni, offre un miliardo di franchi a Güllen per l'omicidio di Ill, che negli anni era diventato uno dei cittadini più stimati della città. Gli abitanti rifiutano energicamente, ma iniziano presto ad acquistare beni costosi a credito anche dal negozio dello stesso Ill, come se si aspettassero l'arrivo di nuove risorse nel futuro. Ill se ne rende conto ed inizia ad allarmarsi. Gli abitanti di Güllen iniziano lentamente ma inesorabilmente a mutare il loro atteggiamento di sostegno ad Alfredo Ill. Diventa presto ovvio che l'unica strada per sostenere un tale livello di indebitamento è la morte di Ill. Inizialmente ciascuno sembra sperare che avvenga qualche incidente. Claire Zachanassian da parte sua attende soltanto che gli abitanti prendano la loro decisione (scommette che anche la giustizia può essere comprata, e che gli abitanti cederanno). L'epilogo le dà ragione. Anche l'ultimo baluardo dell'etica, il preside della scuola, cede. In un'ambigua assemblea popolare Ill viene ucciso collettivamente, mentre il Borgomastro dichiara che giustizia è finalmente stata fatta. Mentre Claire Zachanassian consegna l'assegno ai cittadini, il tono cupo dell'opera cambia divenendo quasi farsesco. Ironicamente è proprio Claire Zachanassian a sembrare la meno soddisfatta per una vendetta attesa così a lungo. L 'autore sottolinea spesso che La visita è da interpretare principalmente come una commedia, nonostante ciò è difficile ignorare il tono cupo ed oscuro di moltissimi passaggi, l'angoscia crescente di un Alfredo Ill braccato come un animale (il paragone è infatti con una pantera). Il fondamentale messaggio sottostante l'opera è che nella moderna società capitalistica il denaro può ottenere ogni cosa, come si evince dall'arrivo di Claire Zachanassian che, promettendo ricchezze, induce le persone ad odiare e persino ad uccidere e si abusa del concetto di giustizia, distorcendolo in modo grottesco, un tema che Dürrenmatt affronta in molti suoi lavori - Die Physiker 1962: La commedia narra di un fisico nucleare, Möbius, che scopre la formula universale del sistema per tutte le scoperte. Onde evitare che i suoi studi finiscano nelle mani sbagliate si fa internare in una casa di cura, Les Cerisièrs, fingendosi pazzo. Lo seguono, inscenando la stessa malattia, un agente segreto americano che fa finta di credere di essere Newton, e una spia comunista, che dice di credersi Einstein. Questi intendono impadronirsi della formula segreta, ma al termine della pièce l'unica persona che riuscirà a ottenere le carte sarà la proprietaria della clinica, Mathilde von Zahnd. L'unica vera folle, che intende assoggettare tutto il mondo con la scoperta di Möbius. IL TEATRO DOCUMENTARIO Fra 1951 e il 1962 la Germania registra un tasso di incremento annuo del Pil del 7,1%. Con la nomina a capo del governo dell’Unione Sovietica di Nikita Chruscev (1958) e a presidente degli Stati Uniti di John Kennedy (1961), muta il contesto internazionale che rende sempre meno proponibile la politica conservatrice del vecchio Adenauer. Questi, nel 1963, passa la mano al suo ministro dell’economia Ludwig Erhard. Tre anni dopo viene varata la prima grande coalizione, il governo formato da cristiano-democratici e socialdemocratici. Da questa coalizione il paese si attende una maggiore stabilità politica e una maggiore sicurezza sociale. Da un punto di vista economico si stava bene, eppure cominciava ad avvertirsi, soprattutto in alcune fasce della popolazione, un certo disagio. Verso la metà degli anni Sessanta nelle università tedesche esplode il movimento studentesco, l’opposizione extraparlamentare (APO). Ben presto però la protesta dalle aule universitarie si estende a tutti i campi della vita sociale. Nascono nuove forme di convivenza e nuove forme di protesta importate dagli Stati Uniti. Entrano nella discussione politica tedesca tematiche nuove come la questione ambientale e la lotta contro la costruzione di nuove centrali atomiche. Nel 1969, l’anno dello sbarco sulla luna del primo astronauta americano, finisce la grande coalizione e Brandt diventa cancelliere. E’ l’inizio della Ostpolitik, la politica di apertura verso i paesi del blocco comunista mirante a ridurre la tensione della guerra fredda. A Varsavia, il 7 dicembre 1971, Brandt compie un gesto dalla forte valenza simbolica: si inginocchia davanti al monumento eretto in memoria degli ebrei periti nella distruzione del ghetto di Varsavia, una frutto di un più diretto e partigiano impegno politico, Cantata del fantoccio lusitano (1966) contro il colonialismo portoghese e la commistione di capitalismo e colonialismo. Discorso sulla preistoria e lo svolgimento della interminabile guerra di liberazione del Vietnam (1967), contro la guerra del Vietnam, Trotskij in esilio (1970) contro lo stalinismo e l’imperialismo sovietico e infine Holderlin (1971), un’opera incentrata sulla figura del grande poeta tedesco rinchiuso nella torre e presentato come una sorta di rivoluzionario fallito, rifugiatosi nella pazzia per sfuggire all’ingiustizia sociale del suo tempo, mentre i suoi contemporanei hanno fatto carriera accettando il ruolo di fedeli servitori dello stato. Un giorno gli fa visita un giovane redattore della Rheinische Zeitung, Karl Marx, che attesta a Holderlin di avere rinunciato alla poesia a favore dell’analisi politica ed economica della società, dopo aver letto i suoi versi. Nel 1968 Tankred Dorst aveva dedicato invece a Ernst Toller, protagonista della Repubblica dei consigli bavarese oltre che drammaturgo, rivisitato dalla prospettiva della contestazione studentesca, l’opera Toller.Scene di una rivoluzione tedesca e poi, nel 1973, al norvegese Knut Hamsun Era glaciale, un dramma lontanissimo dal teatro documentario. Nell’ambito del teatro documentario si colloca l’opera di Hans Magnus Enzensberger L’interrogatorio all’Avana (1970), concepita durante un soggiorno a Cuba, L’opera si fonda sui verbali degli interrogatori di dieci controrivoluzionari cubani, ex proprietari terrieri, politici, ex industriali, un operaio, un padre cappuccino, implicati nel tentativo, fallito, sostenuto dalla Cia di invadere Cuba. Attraverso un abile montaggio delle dichiarazioni dei singoli congiurati, che sostengono di aver agito per motivi per lo più personali, o sotto costrizione, quasi sempre con motivazioni idealistiche e di principio, lo spettatore ricava l’impressione di un’ingenuità politica e di un’incapacità di sottrarsi alla manipolazione ideologica disarmanti: un quadro della falsa coscienza e della sua diffusione a livello planetario. IL DRAMMA POPOLARE Nel 1966 va in scena a Brema Scene di caccia in Bassa Baviera di un giovane autore bavarese, Martin Sperr. La sua idea era di ricostruire a teatro uno spaccato di storia sociale tedesca dall’immediato dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. A questo seguiranno Racconti di Landshut (1967) e Libertà di Monaco (1971) allargando la prospettiva della sua indagine teatrale dal villaggio alla grande città attraverso un arco di tempo segnato da profonde trasformazioni sociali ed economiche. I drammi popolari di Sperr si riallacciano alla tradizione del dramma popolare di area austro-bavarese, tenendo l’occhio soprattutto a Odon von Horvath e Marieluise Fleisser, riproponendo un modello drammaturgico antico ma reso più trasparente nelle sue finalità dalla ricezione del teatro epico. Scene di caccia in Bassa Baviera ci offre uno spaccato della Germania all’epoca della riforma monetaria, rappresentando a forti tinte un caso di discriminazione, da parte della comunità di un villaggio della Bassa Baviera, di un diverso, un omosessuale dal nome provocatoriamente semita, Abram, quasi a sottolineare una preoccupante continuità nella recente storia tedesca, a dispetto dei mutamenti costituzionali. Agli inizi anche il giovane autore bavarese Franz Xaver Kroetz tematizza casi limite con un forte gusto della provocazione. Selvaggina di passo (1968) è la storia di ordinaria violenza di una coppia di adolescenti che, sentendosi disturbati nei loro traffici erotico sentimentali dal genitore della ragazza, decidono di eliminarlo. Seguono Lavoro a domicilio (1969), Cose da uomini (1970) che illustra la difficoltà di un rapporto di coppia dovuta dall’incapacità dell’uomo di accettare una partner che dispone di un guadagno superiore al suo, un dato che l’uomo vive come la rottura intollerabile di una norma sociale naturale. Ma è con Corte delle stalle (1972) che Kroetz s’impone definitivamente all’attenzione della critica nazionale grazie anche alla trasgressione di ogni forma di convenzione teatrale. Il caso rappresentato (l’amore fra un’adolescente ritardata mentale e un anziano servo agricolo nel contesto degradato di un maso di montagna) è anch’esso un caso limite. Con quest’opera Kroetz è riuscito a trovare un raro equilibrio fra struttura drammatica, soluzione linguistica e intenzionalità politica, fondendo in maniera credibile la denuncia sociale con la rappresentazione di una condizione creaturale. In Musica a richiesta (1971) la protagonista, una donna di quarant’anni, impiegata in una fabbrica di carta nel reparto buste per lettere, priva di rapporti umani, prototipo di un’esistenza metropolitana desolata che non conosce la variazione e la speranza con nessun’altra attesa che la vecchiaia e la morte, si muove, muta, sulla scena. L’opera è la trascrizione iperrealistica di uno spaccato di vita quotidiana secondo un rituale consolidato, solo che questa volta il meccanismo s’inceppa e si conclude con il suicidio. Con Alta Austria (1972), Il Nido (1974) e Né pesce né carne (1981) Kroetz rinuncia alla rappresentazione di casi limite e porta sulla scena casi normali coi quali lo spettatore può più agevolarmente identificarsi. Con né pesce né carne Kroetz si allontana ulteriormente da forme di realismo prossime ai canoni del realismo socialista e inaugura una drammaturgia aperta: rappresentare le contraddizioni e offrirle alla riflessione dello spettatore, astenendosi dall’indicare una soluzione. Nell’opera in questione vengono rappresentate le conseguenze del processo di modernizzazione tecnologica in atto nell’industria tipografica in seguito all’introduzione dell’uso del computer e il loro riflesso al livello della soggettività degli addetti ai lavori. Ultimo della triade di autori di commedie popolari della Baviera è Rainer Werner Fassbinder, più noto come regista cinematografico del nuovo cinema tedesco. La sua prima produzione teatrale importante, Katzelmacher (1969) mette in scena le dinamiche di gruppo di un gruppo di un clan di adolescenti e i meccanismi dell’emarginazione. Il gruppo autoctono è costituito da tedeschi. L’aggressività che in un primo momento si scarica su un elemento interno al gruppo (le ragazze), col sopraggiungere di uno straniero, Jorgos, un operaio greco, si indirizza verso quest’ultimo. Fassbinder è attento anche alle valenze politiche delle dinamiche psicologiche. In Preparadise sorry now (1969) la rappresentazione si estremizza e diventa uno studio in laboratorio di comportamenti fascistoidi. Per Libertà a Brema (1971) Fassbinder trae spunto da un fatto di cronaca nera dell’ottocento, la storia dell’avvelenatrice di Brema, Gesche Margarethe Gottfried, cui venivano addebitati non meno di quindici omicidi, per i quali era stata condannata alla pena capitale. Di questo fatto Fassbinder recupera in senso trasgressivo la trafila degli avvelenamenti vista come prassi evasiva nei confronti della moralità dominante del tempo. Gesche si ribella a coloro che sono di impedimento alla sua emancipazione, eliminandoli fisicamente e concludendosi con la sua morte. In Le lacrime amare di Petra von Kant (1971) vengono rappresentate le dinamiche del potere all’interno di un rapporto di coppia, in questo caso di un rapporto lesbico, fra Petra von Kant, una donna creatrice di moda di successo sui trentacinque anni, e la giovane Karin. Il rapporto si complica con la presenza di Marlene, innamorata di Petra che, pur di restare al suo fianco, ha accettato di annullarsi nel ruolo di collaboratrice schiava. Per I rifiuti, la città e la morte (1976) Fassbinder trae ispirazione da un caso di speculazione edilizia, il Westend di Francoforte, nel quale era rimasto coinvolto uno speculatore ebreo per la cui connotazione riattiva, provocatoriamente, stereotipi antisemiti. Fassbinder è consapevole che, così facendo, infrange uno dei più consolidati tabù della società tedesca contemporanea che, per una sorta di compensazione al senso di colpa per la Shoà, imponeva che degli ebrei non si parlasse affatto, o se ne parlasse solo in termini positivi. L’opera è da una parte un’impietosa resa dei conti con la metropoli capitalistica, e dall’altra un ripercorrere, malinconico e disperato, il tema dell’angoscia del vivere. IL TEATRO DELLA NUOVA SOGGETTIVITA’: BOTHO STRAUSS Nel corso degli anni Settanta e poi degli anni Ottanta si fa strada una nuova sensibilità, una Nuova Soggettività, le cui caratteristiche in qualche modo confluiscono in un fenomeno di non facile definizione, ma che il termine Postmodernismo può aiutarci a comprendere. Cioè una sorta di sospensione di ricerca di senso della realtà quando, per descriverla, si ricorre a metafore come catastrofe, naufragio, morte della storia. Il soggetto diventa il testimone sgomento di un disagio non risolvibile con le dogmatiche categorie della politica le quali, se mai, compromettono l’interazione con il mondo esterno. Lo sguardo di Botho Strauss è fissato sulla fenomenologia del quotidiano, si insinua negli spazi chiusi dei personaggi, nelle immagini del loro paesaggio interiore, raggela nell’insicurezza della loro identità. I suoi personaggi, privi di una reale presenza scenica, sono sempre sul punto did precipitare nel vuoto, di dissolversi nel nulla dell’irrealtà. La finzione supera la realtà e la vita assume sempre più tratti di una farsa angosciante. Lo spazio scenico diventa uno spazio mentale, la trasposizione drammatica di un’interiorità compressa dalle costrizioni del sistema sociale. Il teatro di Strauss mira a creare una sua propria realtà con sue regole e dinamiche che ne fanno l’espressione della propria relazione estetica col mondo. Sulla scena irrompe il fantastico; coesiste una molteplicità di prospettive con un recupero e rimescolamento di elementi della tradizione letteraria e con un forte senso dell’ineluttabile perdita della totalità. Eppure c’è nella poetica straussiana una forte esigenza etica che lo oppone alla falsità del vivere quotidiano, alle mille bugie del linguaggio ideologico, all’assenza di un orizzonte che trascenda la frantumazione di un universo culturale sfaldato. Nei suoi testi di narrativa centrale è il punto di vista dell’osservatore, una sorta di guardone che esamina il mondo e se stesso e da ciò prende spunto per annotazioni, osservazioni, commenti, riflessioni che si offrono indirettamente come un’interpretazione del mondo. Strauss applica questo stesso punto di vista alla scrittura teatrale. I personaggi vengono fatti sfilare davanti allo spettatore che li osserva con la stessa distanza dello scienziato che guarda attraverso un microscopio. In Il tempo e la stanza (1988) alcuni personaggi osservano e commentano dalla finestra di una stanza i comportamenti della gente che alla fine, raggiungendo la stanza, viene essa stessa integrata nell’azione. Analogamente in Visi noti, sentimenti confusi (1974) viene presentato un gruppo di persone nello spazio chiuso di un albergo abbandonato. Al centro dell’azione i conflitti che nascono dalle relazioni che intercorrono fra le persone. Quasi ognuna di esse ha intrattenuto, o intrattiene, rapporti erotici con qualcun altro. Nel finale grottesco il proprietario dell’albergo si toglie la vita in una cella frigorifera. Nella rappresentazione di una realtà quotidiana tratti realistici si mescolano a tratti fantastici. Questa critica della società tedesco-occidentale viene continuata nella Trilogia del rivedersi (1976) attraverso il flusso delle conversazioni che si svolgono fra la gente convenuta per un vernissage. In Gross und Klein (1978) il quadro si fa più complesso e più variegato. La protagonista, Lotte, che un tempo ha lavorato come grafica ed è stata sposata, viene mostrata nelle più disparate situazioni della vita quotidiana, ma sempre come una outsider senza un ruolo sociale definito, sempre più isolata, incapace di allacciare un rapporto, tant’è che quando nell’ultima scena si presenta nell’anticamera di un medico, questi non la riceve perché non ha fissato un appuntamento e d’altronde è lì solo così perché in realtà non ha bisogno di niente. E’ un viaggio attraverso la Germania di fine anni Settanta, un universo dove regna l’apatia, l’amore e l’odio sono scomparsi e gli individui sono rinchiusi, immobilizzati, nei loro ruoli. In Kalldewey Farce (1981) compare uno strano individuo, Kalldewey, a cui tutti guardano come a colui che può esaudire i loro desideri e dare una risposta ai loro bisogni. Quando questi misteriosamente scompare, la sua presenza, che in realtà non ha svolto alcuna funzione reale, viene stilizzata in una sorta di guru, di guida spirituale, a cui affidare la soluzione dei nostri problemi. Der park (1983), nato dal progetto di una rielaborazione del Sogno di una notte dimezza estate di Shakespeare, mette a confronto tipiche figure della nostra contemporaneità con le figure mitologiche di Oberon e Titania. Al modello erotico arcaico-mitologico si oppongono una sensualità e un erotismo in crisi dei nostri giorni che si manifestano soprattutto negli esperimenti di scambi di coppia e nelle scene di gelosia delle coppie Helen-Georg e Helma-Wolf. La commedia Besucher (1988) ripropone, superandolo, l’antico gioco del teatro nel teatro. Al centro dell’azione teatrale le prove per una non senza la speranza però di un suo superamento, o almeno di una conciliazione nella dimensione estetica. WOLFGANG BAUER (1941-2005) Nato a Graz e membro del Grazer Forum Stadtpark, una comunità di intellettuali ed operatori culturali fondata nel 1959, Bauer realizza proprio lì le sue prime produzioni teatrali. I suoi microdrammi si rifanno al teatro dell’assurdo con un forte gusto per la dissacrazione letteraria. In drammi come Magic Afternoon (1969), Change (1969), La notte di San Silvestro o Massacro all’Hotel Sacher (1971), presenta contesti all’apparenza realistici ambientati nella boheme austriaca, la vita di giovani pseudo artisti che rifiutano i miti della società tardo-capitalistica e ogni forma di controllo sociale, fallendo però, per i loro stessi condizionamenti, nella loro protesta; una protesta che trae origine da un senso profondo di noia e di frustrazione e finisce col ricorso alla droga, al sesso e alla pornografia. Ci troviamo di fronte alla rappresentazione di un mondo giovanile chiuso in se stesso e privo di identità. Nei drammi successivi i riferimenti al mondo reale tendono a scomparire quasi del tutto. In una delle sue ultime produzioni, La fabbrica umana (1996), luogo dell’azione è un albergo, l’Hotel la Napoule, dietro la cui facciata si nasconde in realtà una fabbrica dove ignari turisti vengono utilizzati come materiale per la clonazione in serie. PETER TURRINI (1944-) Anche lui carinziano si è affermato come drammaturgo agli inizi degli anni Sessanta. Egli costruisce testi che si caratterizzano per un atteggiamento critico nei confronti della società e per un uso della lingua (dialetto) intessuto di espressioni gergali, in bilico fra scandalo e provocazione. Con la rappresentazione di Caccia ai topi (1971), il palcoscenico del Volkstheater di Vienna diventa una discarica. L’opera è una serrata, estrema rappresentazione della disumanità della società dei consumi. Metafora scenica di questa società alienata è la discarica delle immondizie nella periferia di una grande città, un luogo silenzioso e deserto in cui l’unico segno di vita sono i topi che il protagonista maschile si diverte a uccidere a colpi di fucile. I due protagonisti, privati di tutti gli orpelli della civiltà subiscono un processo di regressione. Si annusano, si leccano, si graffiano, poi si baciano, si accarezzano e poi ballano. Il gioco parrebbe avviarsi verso l’Happy end, quando i due vengono eliminati a colpi di fucile da due cacciatori di topi che li hanno scambiati per questi ultimi. E che poi dirigeranno le loro armi verso il pubblico in sala. Alla fine degli anni Settanta Turrini si ripropone con testi meno provocatori, di impianto più realistico come Giuseppe e Maria (1980), I borghesi (1982). Dopo una pausa televisiva segue nel 1988 Lo scansafatiche, un’opera che, come né pesce né carne di Kroetz, affronta il problema della disoccupazione in seguito alla ristrutturazione aziendale dovuta a una grave crisi economica e la sua incidenza nella vita privata di una coppia operaia. Seguirà poi il monologo Finalmente è finita (1997), la storia di un uomo nauseato da una vita monotona che decide di contare sino a mille e togliersi la vita. Sessualità e violenza, un lessico crudo e provocatoriamente pornografico danno vita ad un conglomerato espressionistico che fa esplodere gli schemi della scrittura teatrale tradizionale e costituisce una provocazione nei confronti della Chiesa cattolica che agli occhi del drammaturgo austriaco ha perso ogni credibilità, ha mancato la propria missione e si è trasformata in un affare economico. THOMAS BERNHARD (1931-1989) Le sue opere sono un universo ermetico e nichilista dove i personaggi, per lo più artisti e intellettuali, vivono una situazione di profondo, insanabile dissidio col mondo circostante. L’Austria è vista come metafora barocca dell’inospitalità del mondo e della disperante preclusione allo spirito. Al fondo dell’universo poetico ed esistenziale di Bernhard c’è l’idea fissa che la vita sia una malattia mortale. Tutta la sua opera non è che una variazione ossessiva di questa idea. Privo quasi di azione, dialogo e in fondo anche di personaggi, il suo teatro postdrammatico è il monologo interminabile, grottesco, maniacale di un unico personaggio con sequenze che si ripetono all’infinito. Gli altri personaggi non sono altro che integrazioni di quell’unico personaggio che, o non parlano o si limitano a riprendere quanto quello ha detto, in un dialogo, quindi senza comunicazione. L’umanità si divide per Bernhard in imbecilli che non hanno alcuna idea e in folli che sono letteralmente posseduti da idee fisse e distorte. La lingua di Bernhard è un linguaggio stilizzato, artificiale, ma che in bocca a un artista non sembra innaturale. Il fine di questa lingua è la preparazione alla morte, e la morte è quasi sempre l’epilogo inatteso della storia, l’interruzione di un lamento o di una situazione disperata. Il motivo conduttore di Bernhard è infatti la disperazione. Eppure non sono rari gli esiti comici. Il mondo moderno è rappresentabile solo nella forma della (tragi)commedia. Gli spettatori, paradossalmente ridono dalla prima battuta all’ultima. Diversamente dal teatro di Beckett, l’immobilità della scena, la mancanza di azione, uno spazio claustrofobico e angosciante, la presenza continua della malattia e della morte. Il teatro di Bernhard si fa a suo modo portavoce di un’utopia: che questo monologare ossessivo annienti la realtà e il teatro così come essi sono, e lasci intravedere la possibilità di un teatro che si propaghi come peste e mobiliti energie contro la realtà degradata. OPERE: - Una festa per Boris (1970): è un dramma in tre atti (due preludi e una parte centrale, la festa) con un’azione teatrale ridotta al minimo. Il luogo dell’azione è uno spazio vuoto nell’abitazione della Buona Benestante che dalla sua sedia a rotelle – ha perso gambe e marito in un incidente automobilistico che però le ha fruttato milioni – impartisce i suoi ordini a Johanna, la cameriera, umiliandola e insultandola in continuazione. La donna è andata a prendersi in un ospizio per mutilati come marito Boris, il più brutto e il più primitivo di tutti, che lei ora considera la sua proprietà privata e su cui esercita il suo dominio. L’appellativo di buona le deriva dalla sua propensione alla beneficenza, di cui lei in realtà si serve per obbligare il suo entourage a sottostare ai suoi ordini. In occasione del compleanno di Boris la donna ha invitato a casa propria i ricoverati dell’ospizio. Costoro nel pieno della festa danno libero sfogo al loro malcontento; si lamentano dei letti dell’asilo, troppo corti, dell’assistenza medica e infermieristica, miserabile, del mangiare orrendo. Alla fine, mentre gli ospiti prima di congedarsi ringraziano la padrona di casa per l’invito, Johanna si accorge che Boris è morto nella sua sedia a rotelle. Rimasta sola con il cadavere di Boris, la Buona Benestante esplode in una orribile risata. - L’ignorante e il folle (1972): è una sorte di sguardo scurrile dal basso su quanto avviene dentro e intorno al Festival di Salisburgo. - La brigata dei cacciatori (1974): con quest’opera l’azione inizia con l’attesa del generale e capo di stato per una battuta di caccia. Questi soffre di una malattia mortale. Ma anche il bosco che il generale tanto ama è ammalato. Mentre il bosco verrà sottoposto a un’opera di disboscamento, il generale viene condotto in ospedale. Egli ignora però che l’operazione cui sta per sottoporsi può avere un esito letale. - La forza dell’abitudine (1974): contiene già nel titolo il riferimento alla coazionea ripetersi. Il direttore di un circo, Caribaldi, prova già da 22 anni l’esecuzione del Quintetto per pianoforte e archi La trota di Schubert, ma non riesce mai a portarlo a termine senza errrori perché la gente del circo è costretta a suonare la musica senza amarla. - Il Presidente (1975): in un regime totalitario il dittatore combatte contro un gruppo di studenti anarchici cui però si è aggregato il suo stesso figlio - Immanuel Kant (1978): su un moderno transatlantico Kant, il filosofo, quasi cieco, si dice orgoglioso di portare in America la luce della ragione, ma l’unico partner con cui il filosofo accetta di parlare è un pappagallo che ripete quanto lui dice. - Prima della pensione (1979): lo scrive sotto la suggestione delle discussioni che si tennero all’epoca sui media tedeschi contro il presidente del consiglio dei ministri del Baden- Wuttenberg, Hans Filbinger, che sotto il nazismo come giudice militare aveva comminato sentenze di morte. Rudolf Holler, presidente di un tribunale, vicino alla pensione, durante la guerra giudice militare in divisa da SS, continua a celebrare in privato ma con grande solennità l’anniversario della nascita di Himmler. Mentre la sorella Vera lo sostiene e collabora alla messinscena, la sorella Clara, paralizzata su una sedia a rotelle, protesta. - Il riformatore del mondo (1979): satira feroce di un vecchio tiranno domestico che, benché quasi paralitico e quasi sordo, dalla sua poltrona continua a tiranneggiare la sua governante in attesa che i notabili dell’università col rettore in testa gli consegnino la massima onorificenza per il suo trattato sul modo di rendere il mondo migliore. Solo che l’idea del trattato, che nessuno dei notabili ha evidentemente compreso, è che il mondo lo si può migliorare solo eliminandolo, per cui il conferimento dell’onorificenza da parte delle autorità si configura come un’autoliquidazione. - Alla meta (1981): è costruito sull’ ossessione di un’attrice che si identifica con la protagonista, costringe lo scrittore a riconoscere la sua interpretazione come la sua vera opera e, alla fine, si perde nella fantasticheria di essere lei l’anarchica che farà saltare in aria il mondo. - L’ultima opera importante per Bernhard è Heldenplatz (1988): Heldenplatz è la piazza di Vienna dove il 15 marzo 1938 Hitler proclamò fra le grida giubilanti della folla l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Cinquanta anni dopo in un appartamento che dà sulla piazza, una cameriera, Herta, e la governante del professor Josef Schuster, la signora Zittel, stanno preparando il banchetto funebre in onore del professor Schuster. Questi, che all’indomani dell’Anschluss, in quanto ebreo, era stato costretto a lasciare l’Austria per l’Inghilterra, e vi era ritornato poi negli anni Cinquanta su invito del borgomastro di Vienna, il giorno prima si è tolto la vita gettandosi dalla finestra temendo un ennesimo rigurgito di antisemitismo e non reggendo più agli attacchi di panico della moglie che da dieci anni soffre di allucinazioni uditive. Nella seconda scena le figlie del professore si intrattengono con lo zio Robert sulla loro famiglia, l’Austria e il mondo. Nella terza scena, quella del banchetto funebre, mentre lo zio continua ad imprecare contro l’Austria e contro gli austriaci, la moglie del defunto ha di nuovo un attacco delle sue allucinazioni uditive: le urla aumentano di intensità in modo insopportabile finché la donna si abbatte con il viso sul piatto, morta. Quest’opera provocò discussioni a non finire nei media e nello stesso parlamento austriaco. Si tentò di impedire che l’opera andasse in scena, ma alla fine venne rappresentata e fu uno dei maggiori successi teatrali dell’autore. Bernhard sarebbe morto da lì a qualche mese. ELFRIEDE JELINEK (1946-) La sua visione del mondo è fortemente orientata su un femminismo di marca marxista che riguarda il fallimento dell’autorealizzazione della donna come a un’inevitabile conseguenza di una società le cui strutture permangono fascistoidi e maschiliste. La Jelinek sembra non credere alla possibilità di superamento del rapporto di potere e di dipendenza fra i sessi, convinta com’è che, se l’uomo è la condanna a morte della donna, la donna è d’altra parte la condanna a morte dell’uomo. Per la sua produzione teatrale la scrittrice austriaca segue un percorso più normale: parte da forme sostanzialmente classiche che, pur col ricorso a procedimenti straniati e
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