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Il tema della follia nella tragedia greca, Appunti di Lingue e letterature classiche

Approfondimento sullo scontro ragione-follia nell'Orestea di Eschilo e nella Medea di Euripide.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 19/05/2021

e.divenere
e.divenere 🇮🇹

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Scarica Il tema della follia nella tragedia greca e più Appunti in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! 1. INTRODUZIONE L’uomo contemporaneo identifica nel teatro il luogo dello svago e dell’arricchimento culturale. Per i Greci il teatro non era solo un luogo dove passare il tempo libero, era considerato espressione di una scelta che accomunava più persone pronte a vivere una esperienza politico-religiosa di rilevante importanza. Solo addentrandoci all’interno della tragedia e analizzandola da vicino, esplorandone i vari aspetti, potremmo comprenderla davvero. Essa, infatti, delinea un passaggio evolutivo davvero essenziale per noi uomini: non si occupa essenzialmente dell’aspetto teatrale o letterario ma affronta soprattutto l’aspetto esistenziale della vita. «In questo teatro, le parole rendevano dunque visibile, per il pubblico, l’invisibile e l’indeterminato, l’impossibile e l’irrealizzabile nominando e facendo esistere le realtà implicate o necessarie all’azione.» Davode Susanetti Il teatro dei Greci, cit. p.45. La tragedia è stata dunque in grado di mettere in scena e rendere visibile ciò che l'uomo il più delle volte, fa fatica a vedere. Durante il passato, non si può ravvisare la presenza di una follia, per così dire, autonoma, bensì è necessario porla in relazione con forze divine, demoniache e, insomma, con la manifestazione del sacro. La tragedia ha infatti un’origine religiosa e tali rappresentazioni nell’Atene classica sono collegate al culto di Dioniso, tanto è vero che le tragedie erano messe in scena nelle feste a lui dedicate e durante le “Dionisie urbane”. Nelle tragedie dei grandi autori classici non si avverte una presenza diretta del dio, ma si riscontra una costante presenza del sacro, soprattutto nel costante gioco della vita e della morte. Del resto Dioniso era una divinità particolare, perché era il dio del vino e dell’ebbrezza e della “sacra” follia”. Del resto il mondo della tragedia è dominato dal mistero e dalla paura, dalla violenza e dal sangue, dallo scontro tra la volontà umana e il daimon, la potenza divina; in questo mondo di forti passioni rientra anche la follia, intesa come perdita della ragione a causa dell’intervento divino che successivamente consente un ritorno alla ragione con conseguenze spesso drammatiche. Ammiratore della cultura classica, Nietzsche in La nascita della tragedia mise in luce come convivessero in uno stesso mondo, quello greco, assieme a serenità ed armonia, anche aspetti carichi di inquietudine e di dolore. «Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente. […] i due impulsi cosí diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo piú in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e piú robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell’antitesi, che il comune termine “arte” solo apparentemente supera; finché da ultimo, per un miracoloso atto metafisico della “volontà” ellenica, appaiono accoppiati l’uno all’altro e in questo accoppiamento producono finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia attica.»84 Apollo è il dio che esalta le capacità figurative, che per sopportare il tragico della vita si manifesta, con la proposta di un ordine di forme stabili e rassicuranti, anche attraverso il sogno. Dioniso è il dio dell'arte non figurativa, della musica, con lui l'ebbrezza viene raggiunta anche con la danza e la scarica orgiastica. È il dio dell'oscurità, del caos, dello smisurato, simboleggia l'energia degli istinti. Il rapporto esistente tra apollineo e dionisiaco corrisponde a quello esistente tra ragione ed istinto, tra sogno ed ebbrezza, tra forma e caos, tra luce e oscurità. L'impulso apollineo si identificava nella bellezza, originava un mondo illusorio che fuggiva dall'imprevedibilità degli eventi e si esprimeva nell'armonia dell'arte plastica mentre l'impulso dionisiaco spingeva l'uomo ad immergersi nel caos dell'esistenza tralasciando la propria individualità abbandonarsi al canto e alla danza riconciliandosi con gli altri e la natura. Nietzsche definisce impulsi contrastanti le diverse caratteristiche che connotano le sostanze di Apollo e Dioniso. Questi impulsi, con la loro complementarità, esprimevano la realtà esistenziale così come veniva percepita dal popolo greco. Le pulsioni sfrenate che caratterizzavano Dioniso non venivano giudicate come un'espressione contro la morale, ma erano accettate come un aspetto del proprio sé. Apollo e Dioniso, dunque, si completavano. Il mondo greco vide la riconciliazione di questi due spiriti contrastanti nell'espressione più alta dell'opera d'arte: la tragedia attica. Nella grande tragedia greca, che esprimeva il culmine della cultura ellenica, vediamo il fondersi dei i due impulsi: la musica e la danza del coro, che rappresentano lo spirito dionisiaco, convive perfettamente con la vicenda dell'eroe nell'azione drammatica, legata all'apollineo. All’interno del sapere tradizionale degli antichi greci, la follia è cosa diversa da ciò che teorizza la psichiatria moderna: chi è colpito da “mania” è visto come un “posseduto”, mosso da una forza invisibile che viene attribuita a una divinità o a un demone. La follia è la conseguenza di una contaminazione, in particolare di una contaminazione “sacra” e il folle contiene in sé una forza ambivalente, positiva e negativa, che esalta e che distrugge al tempo stesso. Nel mito i contaminati sono spesso eroi, come Oreste, o donne, come Medea, i quali vengono trascinati da un delirio che li induce a delitti efferati. 2. ESCHILO - Orestea Nelle tragedie di Eschilo vi sono molti episodi e personaggi che possono essere visti come “casi” di follia, ma la follia diviene tema centrale nell’Orestea. Nella trilogia, la follia sembra il motivo dominante: nella prima opera (Agamennone) il tradimento di Clitemnestra che insieme al suo amante prima accoglie amorevolmente il marito e poi lo trucida spietatamente, per vendicare l’irrazionale scelta di Agamennone di sacrificare Ifigenia per buon auspicio alla partenza per la guerra; nella seconda (Le Coefore) Oreste uccide Clitemnestra per ordine di Apollo che vuole ripristinare la giustizia divina, strana giustizia che impone al figlio di assassinare la madre per poi abbandonarlo alla furia delle Erinni, le divinità incaricate di punire il crimine, che inducono Oreste a smarrire la ragione e a entrare nel baratro della pazzia fino a quando nella terza opera (Le Eumenidi), egli sarà affidato alla giustizia degli uomini e le Erinni diverranno le Eumenidi, destinate a vegliare per impedire il verificarsi di crimini. . Il dialogo con il marito Agamennone, appena rientrato in patria dalla guerra di Troia, rivela fin da subito la violenta passione e la forza distruttrice di Clitemnestra, contrapposta all’inconsapevolezza del re vincitore. La donna accoglie il marito e la sua schiava di guerra, Cassandra, con un discorso ambiguo. Dopo aver espresso amore, devozione e fedeltà nei confronti di Agamennone, Clitemnestra esorta infatti le ancelle a stendere il tappeto rosso, che rappresenta una via di sangue che condurrà il re dentro casa e al luogo in cui avverrà il suo assassinio. Agamennone non comprende i piani reali della sposa e acquista così un carattere quasi patetico. Le ultime parole rivelano l’ambiguità del discorso di Clitemnestra: se apparentemente la sposa prepara il benvenuto al marito, nelle intenzioni reali ella si augura che la Giustizia lo punisca per l’uccisione della figlia Ifigenia. Dal palazzo risuonano le grida del re colpito a morte e Clitemnestra appare fiera accanto ai cadaveri del marito e di Cassandra, finalmente paga della vendetta. La scena dell’assassinio è descritto dalla stessa protagonista, che nella narrazione sembra riassaporare ogni momento dell’accaduto.
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