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Il trecento, marazzini, Appunti di Storia della lingua italiana

Riassunto capitolo sul 300 del marazzini

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 04/03/2023

giulia-vaccarella
giulia-vaccarella 🇮🇹

2 documenti

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Scarica Il trecento, marazzini e più Appunti in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! IL TRECENTO 1.Dante e il successo del toscano Fondamentale per la storia della lingua Italiana è l’importanza linguistica delle opere di Dante.Abbiamo già visto la rilevanza del Convivio e del De Vulgari Eloquentia. Tuttavia L’eccezionalità assoluta della Commedia, permette di isolare questa opera dalle altre. Essa è scritta in una lingua diversa da quella da lui teorizzata nel de vulgari Eloquentia e il suo stile utilizza risorse più vaste di quelle della poesia lirica stilnovista.La ricchezza tematica e letteraria della Commedia favorì la promozione del volgare,dimostrando che la nuova lingua aveva grandi potenzialità. Ecco perché il successo della Commedia e il successo della lingua italiana (toscana) già nel Trecento andarono di pari passo. Il successo della Commedia fu determinante per il successo del toscano, che iniziò così una grande espansione.Questo successo del volgare si deve anche a due opere scritte in fiorentino degne di ammirazione: il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio che formano con la Commedia di Dante una triade giustamente celebrata, tanto che i tre autori costituiscono le “Tre Corone" della Letteratura italiana,a indicare la loro supremazia. 2.Varietà linguistica della Commedia dantesca Bruno Migliorini, nella sua Storia della lingua italiana, ha definito Dante il padre del nostro idioma nazionale. Infatti Tullio De Mauro ha osservato che quando Dante cominciò a scrivere la Commedia il vocabolario era già costituito del 60%, e Dante con la sua commedia fece si che alla fine del Trecento il vocabolario fondamentale dell’italiano era configurato e completo al 90% e ben poco fu aggiunto nei secoli successivi. Dante introdusse nella sua lingua: latinismi con provenienza diversa: la letteratura classica, le Sacre Scritture, la filosofia tomistica e scienza medievale.Ma l'opera dantesca non contiene solo latinismi,ma si arricchisce di provenzalismi,germanismi, grecismi, determinando un plurilinguismo mai visto fino ad allora.Il plurilinguimo infatti è una delle categorie che sono state utilizzate per definire la lingua poetica di Dante La Commedia, si caratterizza infatti per la disponibilità ad accogliere elementi di provenienza disparata: non solo i latinismi ma anche termini forestieri e plebei. Tale libertà nelle scelte lessicali deriva da una varietà del tono narrativo, in quanto le situazioni della Commedia vanno dal profondo dell’inferno alla visione di Dio. Si passa dunque dal livello basso e dal turpiloquio al livello più alto, al sublime teologico. Il poema però nel suo complesso si presenta come un'opera Fiorentina. Questa sostanziale fiorentinità non significa però appiattimento in una selezione rigida di forme locali o provinciali. Dante si sente libero di evitare il fiorentino del suo tempo, quando ragioni di gusto personale lo richiedono. La polimorfia della lingua di Dante nella Commedia riguarda l’alternanza di forme dittongate e non dittongate (core/cuore…) la presenza di i ed e in protonia (virtù al posto di vertù), o ancora di a in protonia (denari, giovanetto…) le forme del condizionale che si alternano tra quello siciliano e toscano,avria è più presente di avrei mentre direi più di diria. Questo polimorfismo non rimase senza conseguenze, ma produsse a sua volta una tendenza alla polimorfia della lingua italiana, diffusasi proprio da questo modello. 3.Il linguaggio lirico di Petrarca La caratteristica dominante del linguaggio poetico di Petrarca è la sua selettività. Il Canzoniere,per l’autore rappresentava una sorta di elegante divertimento dello scrittore, a cui però non avrebbe mai pensato di affidare la propria immortalità letteraria. Il titolo stesso dell’opera è in Latino: Rerum vulgarium fragmenta e tradotto in italiano Canzoniere; anche le postille apposte dallo stesso Petrarca al codice Vaticano Latino 3196 (codice degli Abbozzi) sono in latino. Il volgare non è qui una lingua naturale, ma la lingua di un raffinato gioco poetico. Sul piano della sintassi Petrarca fa largo uso di una dispositio che muta l’ordine regolare delle parole sottraendosi alla banalità del quotidiano; ricorrono chiasmi, antitesi, enjambement, allitterazioni. Petrarca, come era normale a quel tempo, scrive uniti al nome i possessivi, le preposizioni, gli articoli e a volte persino gli aggettivi; manca l’apostrofo che fu introdotto nel Cinquecento.Sono presenti molti latinismi grafici, come le –h etimologiche in huomo o honore o, il nesso –tj- in gratia e letitia. 4.La prosa di Boccaccio A differenza della poesia, la prosa trecentesca non aveva ancora una tradizione salda.Un buon modello di prosa narrativa era stato il Novellino, ma non offriva un campionario ampio e complesso di situazioni. Il salto di qualità si ebbe proprio con il Decameron di Boccaccio. Nelle novelle di Boccaccio ricorrono varie situazioni narrative in contesti sociali diversi, tutte le classi si muovono sulla scena in quadri geografici e ambienti molto diversi, determinando un grande realismo.Compaiono poi elementi diversi dal fiorentino: il veneziano di chichibio ad esempio.Le novelle mostrano una totale aderenza ai moduli del parlato; tuttavia lo stile boccacciano è quello caratterizzato dalla complessa ipotassi: è uno stile magniloquente, in cui le subordinate si accumulano in gran numero, la cui struttura è resa complessa dalle inversioni di sapore latineggiante e dalla posizione dei verbi in clausola. fiorentina di livello medio-alto. Anche nella grafia di Boccaccio si notano latinismi grafici, il nesso –ct-, le abbreviazioni nasali. Il sistema dei segni di interpunzione è più ricco che nel Canzoniere di Petrarca: si trovano virgola, punto e virgola, due punti, il punto, la sbarra obliqua, il punto interrogativo.Giovanni Boccaccio è anche autore di uno dei più antichi testi in volgare napoletano un’epistola databile al 1339. Essa è ciò che viene chiamata “letteratura dialettale riflessa” cioè letteratura dialettale cosciente di essere tale, volontariamente distinta dal codice della lingua letteraria, che Boccaccio era in grado di padroneggiare assai bene. Si tratta di uno scritto di tono scherzoso, in cui l’autore si è dedicato a una sorta di divertimento occasionale, rivolgendosi all’amico fiorentino Francesco de’ Bardi. L’esperimento di Boccaccio è importante dal punto di vista linguistico, perché mostra un uso volontario di un volgare diverso dal proprio, identificato nelle sue caratteristiche fonetiche, lessicali e sintattiche.
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