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Il verismo: Capuana e Verga, Appunti di Italiano

il verismo, Luigi Capuana, differenze fra verismo e naturalismo, Giovanni Verga, Le opere veriste, Mastro-Don-Gesualdo, I Malavoglia, le tecniche veriste, Vita dei Campi, La Lupa, La Roba.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 23/02/2021

beatrice-baronchelli
beatrice-baronchelli 🇮🇹

4.6

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Scarica Il verismo: Capuana e Verga e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! VERISMO: È un movimento nato dall’influenza del Naturalismo, che si diffuse a partire dagli anni 70 dell’ottocento, in Italia e in particolar modo ebbe il suo principale centro di diffusione a Milano, dove i primi a conoscerlo furono gli “scapigliati” Il movimento si dice essere “regionale”, perché ogni scrittore scrive e descrive la realtà della propria regione. Sebbene il movimento si diffuse in particolar modo nel nord Italia in quanto era lì che era molto acceso il dibattito sulle trasformazioni economiche e sociali innescate dal processo di unificazione territoriale, i maggiori esponenti del Verismo furono meridionali, in quanto il sud aveva grandi problemi di arretratezza e di degrado, tutti elementi oggetto della loro narrazione. Coloro che si distinsero furono due siciliani, Luigi Capuana e Giovanni Verga. Alcuni collocano l’inizio del Verismo nel 1874 quando Verga pubblica “Nedda”, mentre altri, considerandolo troppo personale, collocano l’inizio nel 1878 quando lo scrittore pubblica “Rosso Malpelo”, molto più oggettivo e impersonale. Luigi Capuana, teorico del Verismo, nacque a Milano e fu un giornalista e critico letterario del Corriere della Sera, che contribuì a diffondere il Naturalismo e le idee di Zola. Egli pubblica il primo romanzo verista fra i più importanti intitolato “Giacinta”, nel 1879 e poi “Il marchese di Roccaverdina”, che però si allontana un po' da quella corrente letteraria per lo stato psicologico. Secondo lui lo scrittore deve seguire determinati canoni, deve abbandonare i romanzi storico-politici, a favore di romanzi di costumi contemporanei, soffermarsi sulla realtà italiana ritraendola dal vero, seguire il canone dell’impersonalità e non trascurare la fantasia e l’immaginazione. Fondamentale è che i fatti giungano al lettore privi di qualsiasi mediazione e che l’opera letteraria non sia ridotta ad un’esperienza di laboratorio. IL VERISMO: In Italia le tesi francesi del naturalismo arrivano alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento, grazie principalmente a due fattori. Il primo è la diffusione delle teorie positivistiche che richiamavano la necessità della concretezza e un esame materiale delle condizioni sociali ed economiche del paese. L’altro fattore consiste nella presa di coscienza dei problemi presenti in Italia all’indomani dell’Unità: in particolare la “questione meridionale”. Ciò forniva agli scrittori argomenti per applicare anche in Italia le istanze del naturalismo francese e attribuire alla letteratura un valore di documentazione e denuncia. Il Verismo, così definito per distinguerlo dal naturalismo, riprende molte caratteristiche dal modello francese. I tre maggiori esponenti sono: Luigi Capuana, capostipite e principale teorico e Giovanni Verga. I principali caratteri di questa corrente sono: la fedeltà e l’amore per il vero, l’osservazione e l’analisi dei rapporti tra l’individuo e l’ambiente, l’obbiettività e l’impersonalità del racconto e l’importanza dei fattori ereditari e del contesto sociale nello studio dei meccanismi psicologici. Sono presenti però varie differenze con il naturalismo: -Nel verismo viene meno la componente scientifica, in quanto l’opera non può essere solo fredda scienza ma deve essere originale sul piano espressivo; -il verismo non esclude i fondamenti del Naturalismo (race, milieu e moment), però considera anche altri fattori, soprattutto culturali e psicologici. -Se nel Naturalismo c’è la convinzione che si possa migliorare la società, con il Verismo c’è una visione profondamente pessimistica della vita in quanto si pensa che non sia possibile cambiare la società perché l’arte e la letteratura può solo denunciare i mali, ma non influire su di essa. -Per quanto riguarda l’ambientazione i naturalisti descrivono le caotiche metropoli, aree industriali, bassifondi di Parigi (con vizi, prostituzione, criminalità..) mentre i veristi prediligono l’umile gente (carpentieri, muratori...coloro che, ricchi di lavoro, hanno ancora dei valori) delle campagne, focalizzandosi su storie di contadini (del sud), pastori e pescatori; -Gli scrittori francesi mostrano le ingiustizie per superarle e debellarle, mentre i veristi non assumono alcun impegno politico, esprimendo una concezione conservatrice della vita (astorica immobilità). Compito dell’artista secondo il verismo è quello di fotografare lo stato delle cose, non modificarlo; I veristi elaborano specifiche tecniche espressive attribuendo alla voce narrante il punto di vista corale dei personaggi ed evitando il ricorso al dialetto. Creano quindi un italiano accessibile a tutti non rinunciando però al colore locale. La produzione verista ha scarso consenso da parte del pubblico ma viene rivalutata nel corso del Novecento. L’assenza di un programma ha consentito di annettere alla corrente esperienze molto diverse tra loro. In alcuni casi al posto della matrice positivistica troviamo il gusto provocatorio della denuncia, in altri casi prevale la tendenza regionale. Anche i primi esordi di Gabriele d’Annunzio riportano ad un verismo venato di morbosa sensualità. Giovanni Verga nacque a Catania nel settembre del 1840, da una famiglia di proprietari terrieri di antica origine nobiliare; egli frequentò la facoltà di legge, ma li interruppe per seguire gli eventi di Garibaldi. Tra il 1861 e il 1863 pubblica due romanzi di argomenti patriottici, prima di recarsi a Firenze, dove conosce Luigi Capuana diventando suo amico e dove scrive il romanzo, “Una peccatrice”. Si divide fra Firenze e Catania, poi si traferisce a Milano, dove conosce gli scapigliati. Poi pubblica tre romanzi di ambientazione borghese con la tematica romantica dell’amore passionale e legge i grandi scrittori realisti e naturalisti francesi, dai quali è profondamente influenzato. Insieme a Capuana contribuisce alla nascita del Verismo, scrivendo “Nedda” e “Rosso Malpelo”, prima di dedicarsi alla scrittura di un ciclo di cinque romanzi intitolato “Il ciclo dei vinti”, che illustravano la lotta per la vita all’interno delle classi sociali. Verga vede il progresso come una marea nella quale i forti vanno avanti e i vinti vengono lasciati ai margini. Poi pubblica le raccolte di novelle “Vita dei campi”, “Novelle rusticane” e “Vagabondaggio”. In seguito pubblica i primi due romanzi del “Ciclo dei vinti”, intitolati i “Malavoglia” (Fantasticheria) nel 1881 e “Mastro don Gesualdo”. Successivamente tornò a vivere a Catania, dove visse un periodo di crisi creativa nella quale non terminò “il ciclo dei Vinti”. Verga, che aveva già appoggiato la repressione del movimento dei Fasci italiani e le rivolte operaie di Milano, adesso alla di lupini, che però vengono persi durante il trasporto a causa di un naufragio della Provvidenza che porta anche la morte di Bastianazzo, figlio di Padron Ntoni. La casa gli viene pignorata e c’è il debito da pagare. In seguito Luca, il secondogenito muore nella battaglia di Lissa e Maruzza, la madre, muore di colera. La barca dopo esser stata riparata naufraga una seconda volta e ‘Ntoni torna dalla leva militare ma è tormentato dal desiderio di allontanarsi nuovamente perché non vuole vivere una vita di rinunce, così si dà al contrabbando e finisce in carcere perché accoltella il brigadiere. Lia, la figlia minore, diventa amante del doganiere e scappa dal paese, diventando una prostituta e tale scandalo manda a monte il matrimonio di Mena (con Alfio). La famiglia aveva la casa pignorata ed è ora costretta a vendere la casa del Nespolo per ripagare il debito allo zio Crocifisso. Nel frattempo Luca muore come marinaio in una battaglia contro l’Austria. Muore anche padron ‘Ntoni in ospedale solo e disperato per aver assistito alla disgregazione della sua famiglia. Alla fine Alessi, l’ultimo figlio, riesce a riscattare la casa del Nespolo, continuando il mestiere del nonno. Il finale è comunque amaro in quanto ‘Ntoni esce di prigione ma capisce quanto ormai sia lontano dagli affetti più intimi, saluta Aci Trezza per l’ultima volta e parte per una destinazione ignota. La figura del protagonista viene sostituita da una schiera di personaggi la cui somma rende il senso di una comunità. La narrazione è dominata dai discorsi e dai commenti delle persone che chiacchierano e criticano, mostrando la spietatezza della legge economica. La morte di Bastianazzo viene considerata solo per le conseguenze nella stabilità patrimoniale della sua famiglia. Anche l’amore è sacrificato per denaro: quando si parla di matrimonio lo si fa intendendo lo sposalizio come un affare economico. Nei personaggi è presente un valore simbolico. Padron ‘Ntoni è il vecchio di casa, saggio ed equilibrato, fedele alle proprie radici che si contrappone al giovane ‘Ntoni e alla sorella Lia che rappresentano l’ansia del nuovo che li porterà a perdersi. Alessi invece porterà avanti il lavoro del nonno, rappresentando la possibilità di preservare i valori della famiglia. L’unico appiglio infatti nella tempesta della vita è la famiglia, un istituto quasi sacro. Affinchè rimanga tale è necessario che nessuno sviluppi desideri di fuga in quanto la famiglia è unì istituzione che esercita un controllo sociale e morale. LE TECNICHE VERISTE: Lo scrittore inizia ad utilizzare i canoni naturalistici per interpretare la realtà in un’ottica antiromantica e anti-individualistica. Verga quindi si propone di avvicinarsi alla realtà con “scrupolo scientifico” applicando le indicazioni del Positivismo, ma senza condividere la fiducia nella risoluzione dei problemi. Come lo scienziato si avvicina alla materia in maniera informata e distaccata, lo scrittore persegue una conoscenza il più possibile oggettiva. È presente quindi un’ispirazione artistica desiderosa di rappresentare un ambiente autentico e sofferente. Verga recupera dal naturalismo le tecniche compositive e stilistiche. Le tecniche utilizzate da Verga sono: -L’impersonalità: che consiste nell’eclissi dell’autore e nell’esclusione di ogni intervento personale dell’autore nella narrazione ed infatti l’autore rinuncia a esprimere giudizi. Tramite quest’impersonalità Verga fa sembrare che l’opera sia fatta da sé -L’artificio o la tecnica della regressione; con la quale Verga “regredisce” al livello del mondo narrato e dei personaggi. -Lo straniamento ovvero la presenza di un narratore capace di far apparire strano ciò che è normale e normale ciò che è strano. La voce narrante presenta come normali e accettabili comportamenti che non lo sono affatto così che chi li legge non sia d’accordo. L’autore riesce così a sollecitare la presa di distanza e la condanna di tali pensieri da parte del lettore. -Il discorso diretto e quello indiretto libero -L’uso di un linguaggio che riproduce la parlata dei personaggi e del mondo rappresentato di cui recupera espressioni, modi di fare … RAPPRESENTAZIONE DEGLI UMILI: Il contesto per la rappresentazione della realtà è quello popolare siciliano, che significa per l’autore tornare laddove c’è una lotta quotidiana per la soddisfazione dei bisogni materiali. La Sicilia costituisce un ambiente mitico e anteriore alla Storia, in quanto rispetta le tradizioni, preserva la famiglia e non cede alle lusinghe del denaro. Verga attinge anche alle conoscenze sul folclore effettuate dall’antropologo palermitano Giuseppe Pitrè. Per molti aspetti l’opera verghiana rappresenta una sorta di enciclopedia delle manifestazioni e delle usanze, studiate nella loro concretezza storica ma vissute drammaticamente con l’anima dell’artista che il popolo interpreta nella sua mentalità. La Sicilia è il teatro ideale per descrivere l’unico mondo vero, quello degli umili che combattono per l’esistenza, caratterizzati da “rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti”. Il destino dei personaggi verghiani non può essere mutato. Ad esempio Malpelo sa che il povero non ha scampo e deve soggiacere a una legge e a un fato più forti di lui; egli sa adattarsi, senza scendere a compromessi. I personaggi di Verga non sono fatti oggetto di pietismo perché possibilità di riscatto o di liberazione non esistono, né sulla terra né in cielo. “LA LUPA” (Vita dei campi): La novella ha come protagonista una donna, soprannominata la Lupa, esclusa dalla società a causa della sua prorompente sensualità. All’inizio della novella notiamo il tentativo dell’autore di far vivere i personaggi di forza propria (Rosso Malpelo) tramite una descrizione in cui si avverte lo sguardo che gli uomini hanno su di lei e il peso del giudizio delle comari. Verga cede la parola al coro contadino femminile che la raffigura come una creatura minacciosa e diabolica, dominata dalla pulsione erotica: per questo viene degradata a essere un animale. Termini come “cagnaccia” e “lupa affamata” simboleggiano la sua esclusione dalla comunità. Questa però non fa nulla per essere accettata, anzi decide di rimanere fino in fondo fedele all’immagine che le è stata cucita addosso. Sfida infatti la figlia seducendone il marito Nanni. Questo è troppo debole per resistere alla tentazione, così oscilla tra il rifiuto e il desiderio per poi trasgredire anch’egli la norma. Per liberarsi da questa tentazione Nanni capisce che non gli rimane che uccidere la Lupa. Questa, piuttosto che rinunciare al genero preferisce affermare la propria identità e farsi uccidere. Intorno alla Lupa sono presenti dei simboli, la natura si configura come mitica e ancestrale, immobile ne ripetersi delle stagioni, regolato dalle ricorrenze religiose e dai ritmi del lavoro nei campi. La civiltà moderna è lontana, Verga rappresenta un mondo rusticano che la Lupa profana con i suoi istinti selvatici. “LA ROBA” (Novelle Rusticane): La roba è una novella che incentrata sull’ascesa sociale e la tragedia personale di un contadino, Mazzarò, il quale dopo aver lavorato per molto tempo alle dipendenze di un padrone riesce grazie alla sua volontà/avidità ad accumulare una ricchezza considerevole. Il racconto si apre con una tecnica narrativa sperimentata da Verga in varie occasioni: la presentazione del protagonista attraverso la narrazione indiretta. La ricchezza del protagonista viene infatti implicitamente rivelata attraverso lo stupore di un viandante che contempla gli immensi possedimenti di Mazzarò (fattorie, magazzini, ulivi, campi di grano, e pascoli). Mazzarò è descritto come un uomo basso e grasso che con l’ingegno era riuscito a diventare padrone di molte terre, rispettato da tutto il paese, era famoso, oltre che per la sua ricchezza, per la sua avidità, per lui i soldi non erano un mezzo per migliorare la propria condizione di vita, ma solamente un continuo accumulare di terre e ricchezze senza godersele. Egli, infatti, nonostante fosse ricchissimo, mangiava poco, (probabilmente meno dei contadini alle proprie dipendenze) e solo pane e cipolle, inoltre per non spendere troppi soldi, non fumava, non beveva vino, non aveva nessun vizio. Mazzarò era così attaccato alla sua roba, perché si ricordava quando, negli anni passati, doveva lavorare duramente a volte fino a 14 ore al giorno e in qualsiasi condizione climatica. L’unico problema di Mazzarò era quello di non avere nulla oltre alla sua roba, nessun affetto, nessun parente a cui donare le terre dopo la sua morte e visto che per lui si stava avvicinando il periodo della vecchiaia, il solo pensiero di dover abbandonare le sue terre lo faceva diventare matto. Proprio per questo motivo compie atti di eroismo vuoto e tragico pur di portare la sua roba con sé, come per esempio l’uccisione di parte del bestiame, nel tentativo disperato di trasportarlo fino all’aldilà. Mazzarò è un vinto, un uomo che grazie all’astuzia riesce ad emanciparsi dalla condizione lavorativa di bracciante finendo però per accumulare ricchezze inutili senza concentrarsi sulle cose davvero importanti della vita. Tutto per lui si traduce in denaro, in perdita o in ricchezza, persino la morte della madre, che gli costa dodici tarì. Egli è un eroe sconfitto, malinconico, pieno di solitudine che lotta e si sacrifica una vita intera non rendendosi conto che i suoi beni andranno perduti una volta deceduto.
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