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Verga e il Verismo: Opere di Giovanni Verga, Luigi Capuana e altri, Appunti di Italiano

La rappresentazione della sicilia, napoli, roma e altre regioni italiane nelle opere di importanti scrittori come giovanni verga, luigi capuana e federico de roberto. Il documento illustra come verga teorizzò il verismo e come questo stile narrativo differisce dalle altre tecniche narrative. Viene inoltre descritta la vita e l'opera di verga, inclusi i suoi romanzi più famosi come 'i malavoglia' e 'mastro-don gesualdo'.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 14/05/2020

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Scarica Verga e il Verismo: Opere di Giovanni Verga, Luigi Capuana e altri e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! IL VERISMO E GIOVANNI VERGA: FORMAZIONE, RIVOLUZIONE STILISTICHE E TEMATICHE, ROSSO MALPELO, LA LUPA, LA ROBA, MASTRO DON GESUALDO, I MALAVOGLIA Il Verismo, corrente letteraria italiana nata intorno al 1875, nasce sotto la diretta influenza del clima del positivismo. Inoltre, il Verismo si ispira in maniera evidente al Naturalismo, un movimento letterario diffuso in Francia a metà Ottocento. Il naturalismo si sviluppa a Milano, città dalla vita culturale, in cui si raccolgono intellettuali di regioni diverse; le opere veriste però rappresentano soprattutto le realtà sociali dell'Italia centrale, meridionale e insulare. Così la Sicilia è descritta nelle opere di Giovanni Verga, di Luigi Capuana e di Federico de Roberto; Napoli in quelle di Matilde Serao e di Salvatore di Giacomo; la Sardegna nelle opere di Grazia Deledda; Roma nelle poesie di Cesare Pascarella; la Toscana nelle novelle di Renato Fucini. Il primo autore italiano a teorizzare il verismo fu Luigi Capuana, il quale teorizzò la "poesia del vero"; in seguito tuttavia Verga, che dapprima era collocabile nella corrente letteraria tardoromantica (era stato soprannominato il poeta delle duchesse e aveva un successo notevole) intraprese la strada del verismo con la raccolta di novelle intitolata “Vita dei campi” e infine col primo romanzo del Ciclo dei Vinti, “I Malavoglia”, nel 1881. La "particolarità" del verismo rispetto ad altre tecniche narrative è l'utilizzo del "principio dell’impersonalità", tecnica che, come mostrato da Verga, consente all'autore di porsi in un'ottica di distacco nei confronti dei personaggi e dell'intreccio del racconto. L'impersonalità narrativa è propria di una narrazione distaccata, rigorosamente in terza persona e, ovviamente, in chiave oggettiva, priva, cioè, di commenti dell’ autore che potrebbero influenzare il pensiero che il lettore si crea a proposito di un determinato personaggio o di una determinata situazione. Secondo Verga, non è possibile che un personaggio di umili origini riesca in qualche modo, per quanto esso valga, a riemergere da quella condizione in cui è nato ("concetto dell'ostrica"). Non è possibile che un povero diventi ricco. In questo caso vi è la consueta eccezione narrativa nella novella “La roba”, in cui il povero e umile contadino Mazzarò riesce a divenire ricco, grazie al suo impegno. Ma anche giunto a una condizione relativamente benestante, o quanto meno comoda, il personaggio non potrà mai vivere tranquillamente, non potrà mai integrarsi in quello che si definisce l'ambiente alto-borghese, proprio perché egli non vi appartiene di nascita. Gli autori veristi, in particolare Verga, tendono ad usare un linguaggio non colto, che si caratterizza per l'assenza di segni grammaticali, celebre è anche l'artificio di regressione. È da citare, da ultimo, il principio della concatenazione e della concatenazione opposta; il primo consiste nel porre a poca distanza parole di significato analogo, il secondo di mettere una parola e subito dopo il suo contrario. GLI SCRITTORI VERISTI L’influenza del Naturalismo comincia a farsi sentire in Italia a partire dagli anni ’70. Dopo la pubblicazione dell’ ”Ammazzatoio” di Zola, alcuni romanzieri e critici italiani, tra cui Giovanni Verga e Luigi Capuana (che pubblicò un’entusiasta recensione dell’opera di Zola sul “Corriere della Sera”) cominciarono a progettare la nascita anche nel nostro paese del “romanzo moderno”, ispirato agli stessi principi del Naturalismo francese. Questo gruppo si riunisce periodicamente a Milano verso il 1878, dando così vita al movimento del “Verismo”, corrispondente appunto al Naturalismo francese. Il primo racconto verista di Verga “Rosso Malpelo”, mentre quello di Capuana è “Giacinta”. Successivamente Verga pubblicherà “Vita dei campi” e il primo romanzo de “Il ciclo dei Vinti” intitolato “I Malavoglia”. Contemporaneamente (1880 circa) anche il maggior critico italiano, Francesco De Sanctis (maestro di Capuana) si avvicina al positivismo e si avvicina a Zola, a cui dedica 2 saggi. De Sanctis, pur non accettando le formule scientifiche del Naturalismo, ritiene che la lezione zoliana possa essere in grado di liberare il letterato italiano dalla “malattia dell’ideale” e fargli fare un “salutare bagno nella realtà”. Anche Capuana tende a mettere in secondo piano l’aspetto scientifico e a rivalutare il ruolo della fantasia: per lui il Verismo non è una teoria generale dell’arte ma un metodo di scrittura che si risolve nella scelta dell’impersonalità formale e nell’adeguamento dell’linguaggio al soggetto (in base al ceto sociale di appartenenza). Il Verismo italiano non accetta pienamente la cultura positivista infatti sottolinea con minore energia l’importanza scientifica. Anche il Verismo condivide la necessita naturalista di procedere dai livelli bassi della scala sociale per risalire verso quelli più elevati: questo è evidente ne “Il 1922 Colpito da paralisi cerebrale il 24 gennaio, muore a Catania il 27 gennaio nella sua casa. I ROMANZI FIORENTINI E DEL PRIMO PERIODO MILANESE DI VERGA; LA FASE TARDOROMANTICA E SCAPIGLIATA. La formazione giovanile di Verga è provinciale e attardata, tutta interna all’esaltazione romantica del patriottismo. Il romanzo fiorentino “Storia di una capinera” sembra ispirarsi ad una letteratura di tipo filantropico volta a documentare un’ingiustizia sociale: la monacazione forzata di cui erano vittime le ragazze povere. Tuttavia il romanzo non si esaurisce affatto in una denuncia sociale, anzi esso vuole essere lo studio di una vicenda interiore ed esistenziale. Il romanzo narra la storia di un’educanda, Maria, orfana di madre, vissuta sempre in un collegio di monache. Prima di prendere i voti, ella trascorre qualche mese in campagna nella casa del padre e della matrigna: qui s’innamora del giovane Nino. Ma non avendo la dote, deve tornare in convento per prendere definitivamente il velo. Non riuscendo tuttavia a rinunciare all’amore e a dimenticare il giovane la giovane sfiora la follia sino a morire mentre il giovane Nino sposa la sorellastra di Maria. Il romanzo presenta i seguenti punti: 1) per la prima volta Verga si sforza di assumere il punto di vista di un personaggio semplice e il suo linguaggio ingenuo ed elementare: la scelta del romanzo epistolare (le lettere sono scritte da Maria ad un’amica) 2) come soluzione linguistica viene adottato il fiorentino 3) nell’opera compare il tema dell’orfano e dell’esulo che poi tornerà anche in altre opere: “Nedda”, “Rosso Malpelo” e “I Malavoglia” . 4) il motivo dell’esclusione sociale e della vittima si congiunge a quello economico: a prevalere è sempre la legge della roba e del denaro, mentre i sentimenti risultano impotenti. Però, il romanticismo di Verga è ancora ben vivo, anche in “Una peccatrice” la donna rappresenta l’ideale romantico dell’amore-passione come forza inarrestabile ed invincibile contrapposta alla società, non conosce la rinuncia e resta fedele ai propri sentimenti fino a morire. Elaborato in buona misura a Firenze, ma rivisto e completato a Milano è il successivo romanzo “Eva”. Esso risente fortemente dell’ambiente milanese, dell’impatto con la realtà ed economica più elevata del paese e con la cultura europea che vi circolava e mostra d’aver assimilato la lezione della Scapigliatura milanese. Il romanzo narra la storia di un giovane siciliano, Enrico Lanti, andato a Firenze a cercare fortuna come artista e qui conosce una ballerina di varietà, Eva, di cui si innamora. Eva, è consapevole del fatto che il suo fascino è legato al palcoscenico dello spettacolo teatrale e vorrebbe intrecciare con Enrico soltanto una storia breve e senza impegni. Ma Lanti crede all’ideale romantico dell’amore eterno e la convince a lasciare il teatro e a vivere con lui in una misera soffitta. A poco a poco, i bisogni materiali della vita quotidiana sopraffanno l’amore rivelando la vanità dell’idealismo romantico. Eva lascia Enrico, il quale raggiunge il successo artistico adeguandosi al gusto al gusto falso e volgare del pubblico. Enrico rincontra Eva, vorrebbe indurla a riprendere la relazione ma ella si rifiuta. Allora sfida e uccide l’amante di lei. Poi, ammalato di tisi, torna a morire in Sicilia, dove l’attendono i genitori e la sorella. Il romanzo si fonda sull’intreccio di 4 temi: 1) lo studio del rapporto fra arte e modernità, fra sentimenti e artificio, fra valori romantici e trionfo dell’autenticità prodotta dallo sviluppo economico e dalla alienante vita cittadina 2) l’esame di coscienza dell’artista in crisi che, nella realtà moderna, vede ormai irrealizzabili gli ideali romantici e deve aderire a un mondo dove dominano solo gli interessi materiali 3) la storia d’amore di un giovane romantico costretto a verificare il fallimento dei propri ideali e alla fine tornare sconfitto e morente alla famiglia 4) il contrasto fra modernità e il mondo pre-moderno. Il mondo arcaico-rurale della Sicilia si presenta infatti come un’alternativa ideale alla modernità. Alla ballerina, che incarna la civiltà moderna e i compromessi a cui deve giungere l’artista per affermarsi, si contrappongono la famiglia e la Sicilia. Nel successivo romanzo “Tigre reale”, la figura femminile è ancora contrapposta alla realtà della famiglia e della campagna siciliana. Nata, è una nobile russa che incarna ancora l’ideale romantico dell’amore assoluto identificato con la morte. Impersona invece gli autentici valori familiari la moglie del protagonista, la dolce Erminia, che per senso del dovere, rinuncia all’amore del cugino Carlo. L’opera successiva “Eros” è invece ambienta nell’alta società. La lettura di “Madame Bovary” di Flaubert induce infatti Verga di un cambiamento di impostazione, e cioè oggettiva e impassibile, condotta da una voce narrate estranea al narrato, superiore e giudicante. Protagonista di “Eros” è il marchese Alberti, un personaggio cinico e disincantato. Solo alla fine della propria vita si rende conto che avrebbe potuto salvarsi dall’aridità e dalla disperazione se fosse riuscito a restale fedele all’amore della moglie, ma è troppo tardi: la donna muore per i dolori che egli le ha procurato e lui stesso, allora, decide si suicidarsi. deve raccontarsi da solo. Perciò la forma deve cambiare di continuo, a seconda dell’ambiente rappresentato. In altri termini Verga sostiene l’esigenza di una stretta correlazione fra livelli sociali e livelli stilistici; ciò comporta per Verga la necessità di ricorrere al dialetto nella rappresentazione delle classi povere. Verga si oppone al dialetto sia per ragioni politiche(era fautore accanito dell’unità d’Italia e timoroso di tutto ciò che potesse indebolirla). Lo scrittore può solo registrare. L’intellettuale ha ormai perso il ruolo ideologico e la centralità protagonistica che aveva avuto durante il Romanticismo. ROSSO MALPELO (DA VITA DEI CAMPI ) Pubblicata per la prima volta nell'agosto 1878, la novella Rosso Malpelo entrò a far parte della raccolta Vita dei campi, che comprende altre sette novelle, tra le più famose di Verga. Rosso Malpelo è un ragazzo che lavora in una cava di rena. Il narratore ci tace il suo vero nome, si limita a dire che "Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone". Persino la mamma "aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo". Il ragazzo, dunque, è vittima di un pregiudizio popolare, quello che associa i capelli rossi alla cattiveria. Inoltre Malpelo "era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico". È la vita che conduce ad averlo ridotto così: la mamma lo trascura, la sorella si vergogna di lui. Il padre, l'unico che gli riservava una qualche forma di affetto, è morto nella stessa cava dove lavora Malpelo, sepolto da un pilastro di rena. In seguito alla morte del padre, un dolore che lo segnerà per sempre, Malpelo coltiva un oscuro spirito di vendetta. Lavora alacremente, ma fa di tutto per meritarsi l'appellativo col quale viene chiamato: picchia il suo povero vecchio asino, è cattivo con tutti. Sviluppa un rapporto di amore-odio per un ragazzetto arrivato da poco alla cava, Ranocchio, cui una lussazione del femore impedisce di fare il manovale, obbligandolo, invece, a lavorare sottoterra. Malpelo lo picchia, ma gli insegna nello stesso tempo, con rabbioso affetto, le dure e feroci leggi della vita, le uniche che egli conosca: la continua lotta di tutti contro tutti e la sopravvivenza del più forte. Un giorno colpisce Ranocchio che si accascia a terra senza più rialzarsi. Il ragazzo è gravemente malato di tisi e ha uno sbocco di sangue. Non è più in grado di lavorare. Malpelo, a modo suo, è disperato, lo va a trovare, gli porta del vino e della minestra, ma il ragazzo muore. Sempre più solo, - la madre e la sorella sono nel frattempo andate a vivere altrove -, Malpelo continua la sua bestiale vita alla cava. Persino un evaso, capitato a lavorare di nascosto nella cava, preferisce tornare in prigione, reputandola meno disumana di "quella vitaccia da talpa". A Malpelo toccano i lavori più ingrati e rischiosi, tanto non ha famiglia e di lui non importa niente a nessuno. In un'audace esplorazione del sottosuolo, alla ricerca di un passaggio che colleghi a un pozzo, un giorno Malpelo sparisce, portando con sé gli attrezzi che furono del padre, inghiottito per sempre dalla terra. E ora i ragazzi temono che il suo fantasma si aggiri per la cava, "hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi". Racconto denso, documento storico sullo sfruttamento del lavoro minorile nell'Ottocento, Rosso Malpelo ci spiega i meccanismi sociali e psicologici che possono costituire l'origine di comportamenti violenti e devianti. Malpelo è cattivo, a volte persino crudele, ma nello stesso tempo è vittima di pregiudizi, un perseguitato, un oppresso, un ragazzo che della vita ha esperito solo gli aspetti più duri, è un reietto che vive in un deserto affettivo. Le uniche forze positive, umane che lo muovono sono, oltre all'istinto di conservazione, il ricordo e la nostalgia del padre. Grazie al ricordo del padre, che qualche volta lo carezzava, tutte le violenze subite non riescono a spegnere in lui una scintilla di umanità. Egli odia Ranocchio per la sua debolezza, per la sua incapacità di sopravvivere in un mondo in cui vige la legge del più forte. Ma anche lo ama, perché nelle debolezze di Ranocchio, scorge le proprie e perché, nonostante cerchi di indurirsi il cuore per meglio proteggersi dall'aggressione del mondo esterno, non riesce a soffocare la pietà e la partecipazione nei confronti della sofferenza. Nel racconto di Verga, dove persino la natura e le cose inanimate mostrano un volto ostile, il lavoro assume, per le classi inferiori, i connotati di una maledizione che si tramanda di padre in figlio. Sono gli istinti elementari a muovere gli esseri viventi e fra loro vigono rapporti ispirati al semplice utilitarismo, alla strumentalizzazione gli uni degli altri. LA LUPA RIASSUNTO Nel villaggio dove viveva la chiamavano la Lupa perché ella non era mai sazia delle relazioni che aveva con gli uomini e le altre donne avevano paura di lei perché ella attirava con la sua bellezza i loro mariti e i loro figli anche se solo li guardava. Di ciò soffriva la figlia, Maricchia, che sapeva che non avrebbe trovato un marito. Una volta la Lupa si era innamorata di un giovane, Nanni, che mieteva il grano con lei, e lo guardava avidamente e lo seguiva; una sera gli dichiarò il suo amore e lui rispose che voleva in sposa Maricchia, ella se ne andò via per ripresentarsi ad ottobre per la spremitura delle olive e gli offrì in sposa Maricchia e Nanni accettò, ma sua figlia non ne voleva sapere ma la costrinse con le minacce. Maricchia aveva già dato dei figli a Nanni, e la Lupa aveva deciso di non farsi più vedere, anche perché lavorava molto durante la giornata. Un pomeriggio caldo svegliò Nanni che dormiva in un fosso e gli offrì del vino, ma egli la pregò di andarsene via, ma lei tornò altre volte incurante dei divieti di Nanni. Maricchia era disperata e accusava al madre di volerle rubare il marito e andò anche dal brigadiere e Nanni lo supplicò di metterlo in prigione pur non rivedere la Lupa, ma ella non lo lasciava in pace. Una volta Nanni prese un calcio al petto da un asino e stava sul punto di morire, il prete si rifiutò di confessarlo se la Lupa fosse stata là, ella se ne andò ma, visto che Nanni sopravvisse ella continuò a tormentarlo e lui alla fine la minacciò di ucciderla. La Lupa gli si presentò ancora davanti e Nanni la uccise, senza che lei opponesse resistenza. LA PROTAGONISTA La protagonista della novella è la Lupa, anche se il suo vero nome è Pina, ma questo è un soprannome molto azzeccato poiché ci rappresenta l'insaziabilità sessuale della protagonista, sempre intenta ad andare dietro agli uomini per cui provava solo ed unicamente attrazione fisica, perché quello che cercava lei non era l'amore ma il piacere. La Lupa era alta e magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna eppure non era più giovane, e sembrava avesse la malaria addosso, era pallida e aveva delle labbra rosse e fresche. La Lupa è un personaggio fuori da ogni regola morale e sociale, per questo temuta proprio perché il suo unico scopo nella vita era quello di soddisfare la sue voglie e perciò è disposta a mettere in gioco tutto della sua vita; per legare comunque a sé Nanni costringe la figlia a sposarlo e anche dopo il matrimonio lei continua a corteggiare il genero, non considerando minimamente sua figlia. La Lupa pagherà con la morte la sua passione per Nanni, che esasperato dalla corte continua a cui era sottoposto dalla suocera arriverà alla decisione di ucciderla. La Lupa lavorava Ma, giunto al termine della sua vita, non sapeva rassegnarsi di dover lasciare la sua roba e, come un pazzo uccideva le sue bestie e gridava alla sua terra che doveva andarsene con lui. CARATTERISTICHE DI MAZZARO’. Caratterizzazione fisica : Egli era un omiciattolo Di grasso non aveva che la pancia Forza fisica : Quando andava senza scarpe a lavorare la terra aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio , a star colla schiena curva 14 ore , col soprastante a cavallo dietro , che vi piglia e nerbate se fate di rizzarvi un momento . Caratterizzazione psicologica : Era ricco come un maiale Non mangiava altro che due soldi di pane Aveva la testa che era un brillante Mazzarò era ricco , ricchissimo ; nonostante ciò si privava di tutto ed era tirchio , non aveva nessun vizio per non sprecare soldi. Era un uomo molto intelligente , grazie appunto alla sua intelligenza e abilità era riuscito ad accumulare così tanta roba . NARRATORE. Narratore: il narratore è assente dalla storia come personaggio; segue la storia senza rendersi visibile. LIVELLO STILISTICO. Scelte lessicali : utilizzo di un linguaggio parlato , facendo riferimenti ad animali (conosciuti dal mondo contadino) e uso di proverbi. TEMI TRATTATI. L’uomo è vittima di un destino implacabile che non dà mai tregua alla sofferenza, indipendentemente dalla propria ricchezza. -------------------------------------------------------------------------------------- MASTRO DON GESUALDO Mastro Don Gesualdo (pubblicato nel 1889) è uno tra i più conosciuti romanzi di Giovanni Verga. È il secondo romanzo del “Ciclo dei Vinti” ed è ambientato a Vizzini, in Sicilia, nella prima metà dell'Ottocento, durante il periodo risorgimentale. RIASSUNTO La vicenda ha inizio con l'incendio nel palazzo dei Trao, annunciato dal suono delle campane. I paesani accorrono in aiuto e fra loro fa la sua comparsa Gesualdo, che fin dalle prime battute mostra il suo attaccamento alla "robae non alle persone. Durante la scena dell'incendio, viene trovato Ninì Rubiera nella stanza di Bianca Trao, sorella di don Diego e di don Ferdinando. Per riscattare l'onore della sorella, don Diego chiederà alla baronessa Rubiera di acconsentire alle nozze fra Bianca e Ninì, ma la baronessa, anche lei piegata dalla logica dell'accumulo materiale, non acconsente perché Bianca, pur essendo nobile di nascita, è povera. A sposare Bianca sarà invece Gesualdo, che su consiglio del canonico Lupi e amareggiato dagli egoismi della sua famiglia che lo sfrutta e nello stesso tempo gli rimprovera la conquista della ricchezza, decide di sposarla per aggiungere alla sua ascesa economica anche un'ascesa di classe sociale. Per far ciò rinuncerà a Diodata, una trovatella da cui Gesualdo ha avuto due figli che non ha riconosciuto né sostenuto economicamente. Bianca, contro il volere dei fratelli, acconsente alle nozze per riparare alla relazione colpevole con il cugino baronetto. Il matrimonio con Bianca si rivela per il protagonista un "affare sbagliato": la donna lo respinge, il suo fisico debole riesce a dargli solo una figlia e non gli procura neanche i rapporti amichevoli con la nobiltà del paese. Bianca ha una figlia, Isabella, che nonostante sia nata dalla precedente relazione che la donna ha avuto con il cugino, viene accettata da Gesualdo. La bambina, educata in collegio fra compagne di estrazione sociale alta, si vergogna a tal punto delle umili condizioni del padre da farsi chiamare con il cognome della madre. Divenuta grande ritorna al paese natale a causa della diffusione del colera, e lì si innamora di Corrado la Gurna. Gesualdo, data la condizione poco agiata del ragazzo, si oppone al loro rapporto, e così la figlia decide di scappare con Corrado. Il protagonista, dopo aver fatto esiliare il ragazzo, riesce a organizzare un matrimonio di riparazione fra la figlia e il duca de Leyra, un nobile palermitano decaduto che vivrà alle spalle del suocero sperperando tutte le sue sostanze. Da qui ha inizio il declino di Gesualdo, che nella quarta parte del romanzo, poco dopo la morte della moglie, si ammala ed è costretto a trasferirsi nel palazzo della figlia, dove assisterà impotente alla dilapidazione delle sue sostanze; sarà quindi preso dai rimorsi, e si renderà conto della mancanza di comunicazione fra lui e la figlia. Consumato dal cancro, Gesualdo muore tra le lenzuole di seta come i nobili che aveva da sempre ammirato, ma muore anche solo, tra l'indifferenza dei servitori, della figlia e del marito, in una stanza appartata del palazzo dei Leyra, lontano dalla sua casa e dalla sua terra. in flagrante durante il contrabbando ‘Ntoni accoltella Don Michele e viene condannato a 5 anni di carcere. Successivamente l’avvocato di ‘Ntoni rende pubblica la relazione tra Lia e il brigadiere e la giovane decide di fuggire dal paese e diventa una prostituta a Catania. Trascorso il periodo di carcere ‘Ntoni torna a casa: nel frattempo Alessi ha sposato la vicina di casa Nunziata e ha riacquistato la casa del nespolo, mentre il nonno è morto all’ospedale della città. Mena considerandosi disonorata dalla sorte del fratello e della sorella ha deciso di non sposare compare Alfio per non caricarlo di eccessive responsabilità. ‘Ntoni resta nella casa del nespolo solo una notte: all’alba decide di lasciare il paese siccome capisce di non poter continuare a vivere in una famiglia di cui ha violato le norme morali. Il romanzo può essere suddiviso in 3 parti: 14) le prime due hanno come protagonista padron ’Ntoni; 15) l’ultima ha come protagonista il nipote ‘Ntoni. p. Nella prima parte (cap I-IV)è breve il tempo della storia mentre è lungo il tempo del racconto. Vengono narrate le vicende che vanno dal dicembre 1863 e il settembre 1865. il tempo del racconto è lento e dilatato perché l’autore deve presentare tutti i personaggi. q. Nella parte centrale (cap V-X) si dilata il tempo della storia mentre si contrae quello del racconto. Ogni capitolo descrive gli avvenimenti che oscillano da 1 a 3 mesi (autunno 1865 - dicembre 1866). r. Nella parte finale (cap XI-XV) il tempo del racconto è quasi inesistente. In soli 5 capitoli vengono descritti gli avvenimenti che accadono in 5 anni (gennaio 1867- 1878). SPAZIO E TEMPO Nei malavoglia sono presenti 2 dimensioni temporali: 9) Il tempo della natura; 10) Il tempo della storia; Sono presenti anche 2 spazi diversi: 19) Il microcosmo paesano; 20) Il mondo esterno. Sono presenti due tipologie di personaggi: 21) Coloro che restano fedeli ai valori patriarcali  padron’Ntoni 22) Coloro che si ribellano al vecchio sistema arcaico e rurale  ‘Ntoni. CONTRASTO TEMPORALE. A dominare è il tempo della natura, cioè quello della ripetizione ciclica che ignora lo sviluppo e si identifica con l’alternarsi delle stagioni, dei lavori agricoli, delle ricorrenze religiose ecc.. Esso è quindi il tempo circolare che ritorna perennemente su se stesso, la cui la saggezza è contenuta nei proverbi trasmessi dalle varie generazioni. Il tempo naturale ha i suoi riferimenti naturali fissi nel mare, nel cielo, nelle costellazioni ecc.. Il tempo storico è presente nel racconto fin dall’inizio del I° capitolo, con l’inizio degli eventi che colpiscono la famiglia Malavoglia tra il 1865 e il 1877 (1878 secondo alcuni). Sono presenti nel racconto numerosi riferimenti alla storia nazionale di quel periodo (la leva,le tasse, la battaglia di Lissa ecc..) al progresso derivante dalla rivoluzione industriale (concorrenza della pesca industriale, il treno ecc..): essi hanno effetti sconvolgenti sulla vita immobile, arcaica e ripetitiva dei ceti minori. L’inizio delle difficoltà economiche della famiglia Malavoglia coincide con la partenza del giovane ‘Ntoni per il servizio militare: ne conseguono il negozio dei lupini e il naufragio. La morte di Luca nella battaglia di Lissa accelera ulteriormente la degradazione della famiglia. Il viaggio di ‘Ntoni nel Continente moderno mette in crisi radicale il sistema del nonno. Non esiste la possibilità comunicazione e mediazione tra il vecchio sistema e il nuovo sistema. Nel corso romanzo il tempo della storia si dilata sempre di più, mentre si accorcia quello del racconto (al contrario di quanto succede all’inizio). Il tempo storico del progresso procede secondo Verga come una “fiumana”, sconvolgendo i vecchi assetti e la famiglia patriarcale entra in crisi. La fuga di ‘Ntoni e di Lia indicano l’irrompere del tempo moderno nella società premoderna; tale rottura sarà irrisarcibile e decreta la fine del famiglia patriarcale. Con il riacquisto della casa da parte di Alessi, la storia si conclude con una perfetta circolarità: passato e futuro, unità e disgregazione coesistono nel finale. CONTRASTO TRA I PERSONAGGI. Il personaggio di padron ‘Ntoni rappresenta la legge patriarcale del lavoro e dell’onore, mentre quello del nipote ‘Ntoni rappresenta la legge moderna del progresso e della ricchezza. CONTRASTO SPAZIALE. L’universo di Aci Trezza è chiuso in se stesso, privo di rapporti con il macrocosmo nazionale. È una vecchia società rurale e patriarcale. Esso è descritto come luogo sociale, la cui vita collettiva si svolge nella piazza, nell’osteria, al lavatoio, sul sagrato della chiesa, nella bottega ecc.. È completamente assente una rappresentazione materialistica del villaggio: non vengono mai descritte le case, le strade ecc.. neppure la “casa del nespolo”. Oltre i confini paesani c’è il mondo esterno, l’ignoto pieno di minacce e pericoli. Catania, Napoli e Trieste (città menzionate nel racconto) rappresentano, secondo Verga, il luogo del vagabondaggio e della perdizione. Lo spazio esterno della città, nonostante il pericolo, emana un grande fascino: essa appare infatti a ‘Ntoni come il luogo del lusso, del consumo, del benessere, ecc.. È un luogo di emigrazione giovanile in cerca di fortuna. L’esperienza dello spazio esterno mette in crisi nel giovane la morale patriarca del lavoro e del sacrificio, maturando in lui l’inquietudine e la rivolta; tutto ciò mina la solidità familiare. Lo spazio del paese è ambivalente: da una parte appare a padron ‘Ntoni e a Mena come un nido protettivo, un rifugio sicuro dalle insidie del mondo esterno; dall’altra parte appare a ‘Ntoni come uno spazio mitico quando è costretto a lasciarlo. Il paese è attraversato dalla lotta per la vita, dall’egoismo e da tutti gli altri aspetti negativi che testimoniano la presenza dell’uomo; per esempio vengono descritti paesani avidi e speculatori come zio Crocifisso, Piedipapera, don Silvestro. La casa del nespolo (al contrario del paese) viene considerato l’unico luogo spazio idilliaco, positivo e familiare, che fa da argine alle violenze del mondo esterno. ‘Ntoni, infatti, avverte questa unità solidale e per lungo tempo vince il desiderio di andarsene per non creare dolore alla madre già segnata dalle difficoltà famigliari di quel momento; per questo motivo sacrifica il suo amore per Barbara. BREVE RIASSUNTO Presso il paese di Aci Trezza, in provincia di Catania, vive la laboriosa famiglia Toscano soprannominata ironicamente Malavoglia. Il patriarca è Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al figlio Bastiano (soprannominato, anch’esso ironicamente, Bastianazzo, nonostante la piccola statura). Bastianazzo è sposato con Maria (detta Maruzza la Longa), dalla quale ha avuto ben 5 figli: 'Ntoni, Luca, Filomena (abbreviata Mena), Alessio (detto Alessi) e Rosalia (per gli amici, Lia). Il principale mezzo di sostentamento della famigliola siciliana è la cosiddetta "Provvidenza", una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca. passato, essendosi egli auto-escluso dal nucleo familiare rinnegando sistematicamente i suoi valori. I MALAVOGLIA: IL TEMPO E LO SPAZIO Nei malavoglia sono presenti 2 dimensioni temporali:  Il tempo della natura;  Il tempo della storia; Sono presenti anche 2 spazi diversi: 11) Il microcosmo paesano; 12) Il mondo esterno. Sono presenti due tipologie di personaggi: 13) Coloro che restano fedeli ai valori patriarcali  padron’Ntoni 14) Coloro che si ribellano al vecchio sistema arcaico e rurale  ‘Ntoni. CONTRASTO TEMPORALE. A dominare è il tempo della natura, cioè quello della ripetizione ciclica che ignora lo sviluppo e si identifica con l’alternarsi delle stagioni, dei lavori agricoli, delle ricorrenze religiose ecc.. Esso è quindi il tempo circolare che ritorna perennemente su se stesso, la cui la saggezza è contenuta nei proverbi trasmessi dalle varie generazioni. Il tempo naturale ha i suoi riferimenti naturali fissi nel mare, nel cielo, nelle costellazioni ecc.. Il tempo storico è presente nel racconto fin dall’inizio del I° capitolo, con l’inizio degli eventi che colpiscono la famiglia Malavoglia tra il 1865 e il 1877 (1878 secondo alcuni). Sono presenti nel racconto numerosi riferimenti alla storia nazionale di quel periodo (la leva,le tasse, la battaglia di Lissa ecc..) al progresso derivante dalla rivoluzione industriale (concorrenza della pesca industriale, il treno ecc..): essi hanno effetti sconvolgenti sulla vita immobile, arcaica e ripetitiva dei ceti minori. L’inizio delle difficoltà economiche della famiglia Malavoglia coincide con la partenza del giovane ‘Ntoni per il servizio militare: ne conseguono il negozio dei lupini e il naufragio. La morte di Luca nella battaglia di Lissa accelera ulteriormente la degradazione della famiglia. Il viaggio di ‘Ntoni nel Continente moderno mette in crisi radicale il sistema del nonno. Non esiste la possibilità comunicazione e mediazione tra il vecchio sistema e il nuovo sistema. Nel corso romanzo il tempo della storia si dilata sempre di più, mentre si accorcia quello del racconto (al contrario di quanto succede all’inizio). Il tempo storico del progresso procede secondo Verga come una “fiumana”, sconvolgendo i vecchi assetti e la famiglia patriarcale entra in crisi. La fuga di ‘Ntoni e di Lia indicano l’irrompere del tempo moderno nella società premoderna; tale rottura sarà irrisarcibile e decreta la fine del famiglia patriarcale. Con il riacquisto della casa da parte di Alessi, la storia si conclude con una perfetta circolarità: passato e futuro, unità e disgregazione coesistono nel finale. CONTRASTO TRA I PERSONAGGI. Il personaggio di padron ‘Ntoni rappresenta la legge patriarcale del lavoro e dell’onore, mentre quello del nipote ‘Ntoni rappresenta la legge moderna del progresso e della ricchezza. CONTRASTO SPAZIALE. L’universo di Aci Trezza è chiuso in se stesso, privo di rapporti con il macrocosmo nazionale. È una vecchia società rurale e patriarcale. Esso è descritto come luogo sociale, la cui vita collettiva si svolge nella piazza, nell’osteria, al lavatoio, sul sagrato della chiesa, nella bottega ecc.. È completamente assente una rappresentazione materialistica del villaggio: non vengono mai descritte le case, le strade ecc.. neppure la “casa del nespolo”. Oltre i confini paesani c’è il mondo esterno, l’ignoto pieno di minacce e pericoli. Catania, Napoli e Trieste (città menzionate nel racconto) rappresentano, secondo Verga, il luogo del vagabondaggio e della perdizione. Lo spazio esterno della città, nonostante il pericolo, emana un grande fascino: essa appare infatti a ‘Ntoni come il luogo del lusso, del consumo, del benessere, ecc.. È un luogo di emigrazione giovanile in cerca di fortuna. L’esperienza dello spazio esterno mette in crisi nel giovane la morale patriarca del lavoro e del sacrificio, maturando in lui l’inquietudine e la rivolta; tutto ciò mina la solidità familiare. Lo spazio del paese è ambivalente: da una parte appare a padron ‘Ntoni e a Mena come un nido protettivo, un rifugio sicuro dalle insidie del mondo esterno; dall’altra parte appare a ‘Ntoni come uno spazio mitico quando è costretto a lasciarlo. Il paese è attraversato dalla lotta per la vita, dall’egoismo e da tutti gli altri aspetti negativi che testimoniano la presenza dell’uomo; per esempio vengono descritti paesani avidi e speculatori come zio Crocifisso, Piedipapera, don Silvestro. La casa del nespolo (al contrario del paese) viene considerato l’unico luogo spazio idilliaco, positivo e familiare, che fa da argine alle violenze del mondo esterno. ‘Ntoni, infatti, avverte questa unità solidale e per lungo tempo vince il desiderio di andarsene per non creare dolore alla madre già segnata dalle difficoltà famigliari di quel momento; per questo motivo sacrfica il suo amore per Barbara. I MALAVOGLIA: RIASSUNTO Presso il paese di Aci Trezza, nel catanese, vive la famiglia Toscano che, nonostante sia decisamente laboriosa, viene soprannominata (per antifrasi) Malavoglia. Il patriarca è Padron 'Ntoni, vedovo, che vive presso la casa del nespolo insieme al figlio Bastiano (detto Bastianazzo, nonostante sia di statura tutt'altro che elevata), quest'ultimo sposato con Maria (detta Maruzza la Longa). Bastiano ha cinque figli: 'Ntoni, Luca, Filomena (detta Mena), Alessio (detto Alessi) e Rosalia (detta Lia). Il principale mezzo di sostentamento è la "Provvidenza", una piccola imbarcazione utilizzata per la pesca. Nel 1863 'Ntoni, il maggiore dei figli, parte per la leva militare. Per far fronte alla mancanza, Padron ‘Ntoni tenta un affare comprando una grossa partita di lupini - peraltro avariati - da un suo compaesano, chiamato Zio Crocifisso per via delle sue continue lamentele e del suo perenne pessimismo. Il carico viene affidato al figlio Bastianazzo perché vada a venderlo a Riposto, ma egli perderà tutta la merce durante un naufragio, e con essa anche la vita. A seguito di questa disavventura, la famiglia si ritrova con una triplice disgrazia: il debito dei lupini, la Provvidenza da riparare e la perdita di Bastianazzo, membro importante della famiglia. Finito il servizio militare, 'Ntoni torna malvolentieri alla vita laboriosa della sua famiglia, e non rappresenta alcun sostegno per la già precaria situazione economica del nucleo familiare. Purtroppo, le disgrazie per la famiglia non terminano. Luca, uno dei nipoti, muore nella battaglia di Lissa (1866), e questo determina la rottura del fidanzamento di Mena con Brasi Cipolla. Il debito causerà alla famiglia la perdita dell'amata Casa del nespolo, e via via la reputazione della famiglia andrà peggiorando fino a raggiungere livelli umilianti. Un nuovo naufragio della "Provvidenza" porta Padron 'Ntoni ad un passo dalla morte, dalla quale, fortunatamente, riesce a scampare. In seguito Maruzza, la nuora, muore di colera. Il primogenito 'Ntoni decide di andare via dal paese per far ricchezze, ma, una volta tornato ancora più impoverito, perde ogni desiderio di lavorare, dandosi all'alcolismo ed all'ozio. La partenza di 'Ntoni costringe la famiglia a vendere la
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