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Immaginazione sociologica e comunicazione del rischio: Miti antichi e moderni, Guide, Progetti e Ricerche di Sociologia

Sociologia della comunicazionePsicologia del rischioStoria della conoscenzaInnovazione e tecnologia

Dell'importanza della comunicazione del rischio e della sua relazione con l'immaginazione sociologica. Esplora il ruolo della sociologia nella costruzione di immagini mentali e il suo impatto sulla società. Confronta il Canone Antico (Gaia e Kronos) con il Canone Moderno (atomo e Narciso), mostrando come le immagini che abitiamo nella mente influenzano il nostro comportamento e la nostra comprensione del mondo.

Cosa imparerai

  • Quali sono le caratteristiche del Canone Antico e del Canone Moderno?
  • Quali sono i due canoni speculari che emergono nella sociologia della comunicazione del rischio?

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2017/2018

Caricato il 06/10/2018

Jessica126
Jessica126 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Immaginazione sociologica e comunicazione del rischio: Miti antichi e moderni e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Sociologia solo su Docsity! Immaginazione sociologica e comunicazione del rischio (pubblicato in Ambiente Rischio Comunicazione, n.8, 2014, pp.22-26) La comunicazione del rischio è oggi senz’altro l’ambito più difficile della comunicazione scientifica ed è anche uno di quelli nei quali quest’ultima può essere più utile nell’incontro fra scienza e società. Costituisce, infatti, una grande sfida intellettuale e una grande responsabilità civica da parte della scienza. È ormai acquisito che sia fondamentale, per ogni innovazione che la società della conoscenza produce quotidianamente, la rappresentazione mentale che i cittadini se ne formano. Questa, però, non segue i canoni dell’informazione tecnica, che gli esperti sono tipicamente ben attrezzati a fornire e a trattare. Oltre alla costruzione prospettica del rischio, come evidenziato da importanti elaborazioni di psicologia del rischio (prospect theory), e al profilo fenomenologico delle responsabilità verso altri (i “deboli” intesi come persone attuali e future, animali, Natura, Ambiente ecc.) emerge il ruolo critico della immaginazione sociologica. È questo un concetto fondamentale nella sociologia, particolarmente tematizzato da Charles Wright Mills, tanto che possiamo dire che il fine principale per il quale la sociologia è nata è proprio di sviluppare la nostra capacità di immaginazione sociologica. Di che si tratta, dunque? Quando pensiamo un tema nel quale ci sentiamo coinvolti, nel nostro caso una innovazione, che abbia dunque una concreta rilevanza per noi, lo facciamo inserendolo in un frame composto fondamentalmente dalla vita quotidiana all’interno della nostra biografia personale, dall’ambito delle interazioni sociali che intratteniamo, in maniera più o meno diretta e, infine, da uno scenario più generale che ha a che fare con il mondo simbolico. Ed è su quest’ultimo che ora dobbiamo concentrarci. Siamo di fronte a un mondo simbolico anch’esso attraversato dalle medesime tre dimensioni (in una sorta di modello frattale), ovvero dal rapporto fra i costituenti elementari della natura e la totalità del mondo naturale; da quello fra i singoli individui e la società (le configurazioni dei ruoli nelle interazioni e il loro assetto complessivo); e, infine, dal significato che possiamo assegnare alla conoscenza che ciascuno può costruirsi su se stesso, sulla società e sulla natura. Nell’immaginazione sociologica contemporanea possiamo riconoscere due Canoni speculari ormai quasi egualmente diffusi e fra loro opposti. Dal loro contenuto cognitivo traiamo le risorse per assegnare i significati alle situazioni di rischio e dal loro contenuto emotivo sono disposti i nostri atteggiamenti. Il Canone Antico lo vediamo esplicitato in tre miti che si succedettero nel primato simbolico, ma rimasero sempre compresenti, sopravvivendo all’avvento della modernità e giungendo a noi persino rafforzati dagli esiti problematici e perturbanti della modernità. Il primo è il mito di Gaia, la Grande Dea della terra, figura femminile legata alla fertilità naturale e caratterizzata dalle triformità (giovane guerriera, luminosa signora delle messi, misteriosa sovrana dell’oltretomba). Gli antichi, in effetti, emergevano da una fusione ancestrale, una matrifocalità indistinta fatta di Pathos, naturalistico e sociologico, in cui il Bello è costituito da un’armonia bucolica in parte reale e in parte agognata, mitica e utopica. Ecco che, oggi, sentiamo questa stessa corda olistica risuonare nell’ipotesi Gaia di Lovelock (1979), nella New Age, nella deep ecology, tanto nel loro aspetto auspicabile quanto in quello perdutamente anacronistico. Come in un fantasy in cui viene messo in scena il dolce naufragar delle magnifiche sorti e progressive dei moderni. Il secondo mito è quello di Kronos, dio del tempo e dell’ordine sociale, dispotico e caduco signore della felice Età dell’Oro. Sviluppato in un tempo successivo rispetto a Gaia, è un dio patriarcale arcaico che simboleggia l’ordine temporale costante, quasi una contraddizione in termini fra il temporaneo e il duraturo, dunque un dio sotto minaccia. La concatenazione ordinata del decorso “naturale” degli eventi, sia nella Natura sia nella Società, con le loro regole speculari, deve essere sempre mantenuta altrimenti si dissolve. Il dio caduco delle ferree leggi della natura e quelle non meno ferree dell’ordine temporale costituito, cioè della realtà sociale data, dei valori della tradizione: Kronos è, dunque, signore del Nomos, del fatato Eden e della Cacciata per hybris. Il comportamento Giusto è stare al proprio posto, il posto assegnato dall’ordine a ciascun membro della comunità umana. Ma da ogni albero pende una tentazione, ogni mela cela un’insidia e un inesorabile pendio scivoloso si spalanca d’improvviso verso la perdizione eterna. È lo slippery slope spesso usato come immaginifica arma retorica (si comincia con poco, ma poi si sa come va a finire…) contro l’innovazione in sé, più che come avvisaglia di nuovi rischi legati alle nuove tecnologie. Il terzo mito, infine, è quello di Athena, divinità femminile, sì, ma nata pur sempre dalla testa del padre (Zeus), simboleggiata in armi a personificare l’intelligenza e il sapere assoluto. Ecco, dunque, il Logos. La logica è ovviamente orientata al Vero, a una conoscenza prodotta da uno sguardo spiccato da nessun-luogo, il regno del puro sapere, del “Mondo delle Idee” più volte (ri)scoperto da Platone a Popper, costante riferimento anche inconsapevole delle attese e pretese di una scienza strappata alle sue realistiche origini nella storia di individui reali all’opera in una reale divisione sociale del lavoro conoscitivo. A fronte di questo Canone, composto da Bello-Pathos, Giusto-Nomos e il Vero-Logos, i moderni elaborarono nuovi miti speculari, a partire evidentemente da materiale già presente, ma solo sottotraccia, nel retroscena della cultura fino ad allora dominante. La modernità è nata con la scoperta di nuovi mondi, astronomici e geografici, etnici e sociali, simbolici e intellettuali. La modernità, dunque, parte dalla registrazione dell’incapacità del Vecchio Mondo di reggere al nuovo che si veniva scoprendo e, in misura crescente, producendo. E se quello va in frantumi, quel che resta sono i tasselli elementari del mondo naturale, i suoi atomi. La Natura, dunque, cede progressivamente il campo agli elementi finiti, alle differenze finite di una minuziosa analisi infinitesimale. La complessità, dunque, si riduce a un agglomerato di piccole parti atomiche, ciascuna delle quali indistinguibile da quelle della medesima “famiglia” (principio di indistinguibilità delle particelle identiche) anche fuori della fisica. E se questa ha comportato (ma forse era proprio questa la motivazione profonda) le grandi conquiste moderne dell’eguaglianza formale, dei diritti universali, dell’astrattezza della norma giuridica, ha portato anche la contabilità nel mondo, compreso il mondo umano. L’universale intercambiabilità degli identici (atomo, bit, neurone, gene, homo oeconomicus) è infatti alla base della contabilità, ma per dirla con Albert Einstein, << non tutto ciò che può essere contato necessariamente conta, non tutto ciò che conta può necessariamente essere contato >>. E quindi il mondo umano si trasforma in un gioco di dadi. La totalità non è nient’altro che una somma delle sue parti e chi contrasta tale riduzione universale viene sospinto al polo opposto di una totalità che è tutt’altro che la somma delle parti. Come se l’una potesse fare a meno delle altre, come se ciascuna non fosse altro che una nostra lettura per certi scopi di analisi. Come se il nostro separare (e contrapporre) il tutto e le sue parti non fosse una ricostruzione puramente (il)logica, ma un progetto costruttivo ontologico. Ecco, dunque, a Gaia essere stato contrapposto il riduzionismo, con tutte le sue potenzialità, e con tutti i suoi limiti, fino al revival, l’ennesimo, della colonizzazione delle scienze sociali. Al centro del Canone Moderno, e in diretto collegamento con il modernizzarsi della storia umana, vi è il mito tipicamente moderno, l’atomo a cui si riduce l’ordine sociale e l’attore tragico della riduzione universale. Di contro all’ordine costituito della società tradizionale i moderni hanno riesumato, rispolverato e portato sotto i riflettori quello di Narciso, ovvero la sindrome patologica dell’inseguimento di un inarrivabile modello di sé, nella ricerca vana del quale l’individuo immola la sua vita. Altro che un innamorato di sé. Ma la contrapposizione fra narcisismo e Kronos è ancor più stringente di una mera contrapposizione fra ordine sociale e carica individuale e svela tutta la solitudine tragica dei moderni. È il tempo l’ultima vittima del narcisismo, ovvero la chiusura
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