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Immanuel Kant: biografia, pensiero ed opere., Appunti di Filosofia

In questo documento, sono appuntati dettagliatamente la biografia, il pensiero e le opere del filosofo Immanuel Kant. Ricco di immagini e sottolineature, questo testo dovrebbe essere ben comprensibile ad alunni del quarto e/o del quinto anno di scuola secondaria di secondo grado. Gli appunti sono stati ricavati con pochissimi cenni al libro adottato dalla docente, piuttosto sono basati sulle spiegazioni, raccolte mediante audio, e successivamente trascritte in ogni frase e parola, cercando di non ricorrere a molteplici ripetizioni. Ogni aspetto ed ogni argomento necessario per affrontare un'interrogazione di filosofia in merito ad Immanuel Kant sono ben approfonditi in queste pagine, ed il testo dovrebbe risultare abbastanza scorrevole.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 24/07/2023

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7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Immanuel Kant: biografia, pensiero ed opere. e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! Indice Immanuel Kant. (Con paragrafi, parole chiave e immagini) Prodotto da: Daniela Izzo. [E’ fatto assoluto divieto di copiare il contenuto di queste pagine e rivenderlo sotto proprio nome.] BIOGRAFIA Immanuel Kant è stato un filosofo tedesco, nonché uno dei più importanti filosofi del pensiero occidentale. Oltre che essere riconosciuto per i suoi pensieri principali, che a seguire verranno esplicati, Immanuel Kant è anche stato ideatore della definizione di Illuminismo, infatti, secondo egli, con questo termine, si indicava l'uscita dallo stato di minorità, quando gli uomini cominciavano ad utilizzare la propria testa, senza farsi mettere in condizioni di minorità ("minorato" o "minorenne", gli aggettivi che si attribuivano agli uomini stessi in caso contrario), ma anzi ragionando da sé. Egli nacque agli inizi del Settecento (1724) nella Prussia orientale, in una città molto importante dal nome di Königsberg, sede di università. Oggi questa città non possiede più questo nome, da quando fa parte della Russia è stata nominata come Kaliningrad. Figlio di una famiglia modesta, Kant viene educato tanto a casa quanto al collegio, in un ambito pietistico: il pietismo è una corrente radicale di una severa moralità ed interpretazione del protestantesimo. Nella sua città natale compie gli studi di filosofia e scienze, prendendo successivamente una laurea, ma date le modeste condizioni familiari si mantiene con il mestiere di precettore, ossia di educatore privato. Riesce ad ottenere la libera docenza, ossia la possibilità di insegnare, ma non ancora l'assunzione, la quale avverrà molto più tardi; infatti, egli è in grado di diventare professore ordinario tra i quaranta e i cinquanta anni di vita. La libera docenza riesce ad ottenerla grazie ad un elaborato in latino, uno scritto molto importante che ha come titolo "Dissertazione sulla forma e i principi del mondo sensibile ed intellegibile (De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis)". Nel periodo 1770-1790, considerato periodo della maturità di Kant, egli elabora il suo pensiero originale e principale, andando oltre il suo pensiero precedente. Tra il 1746 ed il 1770, infatti, egli possiede un pensiero precritico, poi nei successivi venti anni possiede un pensiero critico o pensiero della maturità. Kant è stato una persona rigorosa, tranquilla, metodica, dotato di regolarità, tranne nel 1789, quando arrivò la notizia dell’inizio della Rivoluzione Francese, e nel 1794, quando il re di Prussia Federico Guglielmo II vietò a Kant di insegnare i contenuti di una sua opera, “La religione entro i limiti della pura ragione”. Kant ritirò l’opera, non insegnò più sull’argomento, inoltre non la modificò mai. Morì nel 1804 per gravi problemi di salute. INTERESSI E OPERE Nella prima fase della sua vita, egli ha interessi tanto scientifici quanto filosofici, ed è in questo stesso periodo che ipotizza l'origine dell'universo da una nebulosa. Si interessa alla metafisica e dice che bisogna insegnare quest'ultima, tanto quanto la filosofia, in maniera non- dogmatica. Tuttavia, la sua filosofia iniziale era molto razionalista, legata al pensiero di Leibniz e simili, quindi è pienamente metafisica. Egli pensava, al tempo, che la metafisica e la filosofia fossero in qualche modo conciliabili con la scienza, poi si rende conto che mentre la scienza ha raggiunto risultati concreti ed accettati da tutti, la metafisica è ancora oggetto di continue discussioni, di conseguenza questa conciliazione avrebbe potuto esserci solo se la metafisica fosse stata rifondata, con delle basi più rinforzate. Con la sua opera dapprima citata, nel 1770 intuisce un nuovo modo di concepire la metafisica, ma soprattutto il problema gnoseologico, ossia ciò che riguarda la conoscenza e ciò che era stato il problema della filosofia IMMANUEL KANT ragione, diceva Leibniz, sono raccolti tra proposizioni, poi c’erano le proposizioni che facevano riferimento a questioni di fatto; i ragionamenti che non fanno riferimento all’esperienza, dice Kant, portano ai giudizi analitici, mentre quelli legati all’esperienza portano ai giudizi sintetici. I giudizi sintetici a priori, ossia quelli scientifici (della matematica e della fisica, per esempio), sono giudizi fecondi, accrescitivi del sapere, inoltre possiedono universalità e necessarietà. Per avere questi giudizi, lo strumento conoscitivo, specificato nell’opera della Dissertazione e riportato nella Critica della ragion pura, è proprio la rivoluzione copernicana: Kant fa il paragone tra la mente umana e l’oggetto di conoscenza, così come con Copernico c’era il paragone tra la Terra ed il Sole. In ambito gnoseologico, Kant dice che dobbiamo capire che al centro della conoscenza c’è il soggetto, cioè noi conosciamo, in quanto soggetti, in una determinata maniera, determinando l’oggetto di conoscenza. Di conseguenza, i giudizi vengono formulati a partire da noi. Gli oggetti non vengono conosciuti in se stessi, ma vengono filtrati attraverso delle strutture conoscitive chiamate da Kant strutture a priori. Noi cerchiamo quali sono le nostre forme a priori della conoscenza, ed una volta che le individuiamo sappiamo che comprenderemo le cose sempre in una determinata maniera perchè abbiamo conosciuto quali sono i nostri strumenti per avere conoscenza. Non possiamo pronunciarci, quindi, su cosa vedremo, ma su come vedremo. Queste strutture conoscitive, però, non sono solo i sensi. Così facendo, il soggetto diventa attivo nei confronti dell’oggetto. Per capire in che modo il soggetto condiziona l’oggetto di conoscenza, occorre ripercorrere l’analisi di tutte le nostre facoltà, e Kant, questa analisi, la fa sempre nell’opera “Critica della ragion pura”. Egli dice che le facoltà umane sono divise in due parti, ossia il senso e l’intelletto, strettamente collegate tra loro: con il senso, si percepiscono gli oggetti, mentre con l’intelletto gli oggetti vengono pensati. La differenza, quindi, tra il senso e l’intelletto è di tipo qualitativo e non quantitativo, ossia è il modo di conoscere che cambia, ma non quanto si conosce. Kant dice che le cose, prima di essere pensate, devono essere percepite (lo diceva anche Hume), di conseguenza bisogna analizzare la conoscenza umana a partire dalla sensazione. Detto ciò, si può dedurre che, per esempio, Dio non può essere conosciuto, ed è proprio per questo motivo che Kant si definisce agnostico, perchè appunto su Dio ci possono essere discussioni, supposizioni, ragionamenti, ma egli non può costituire una conoscenza. Le conoscenze sono un valore forte, sono le informazioni e i giudizi che derivano dalla riflessione, dal lavoro dell’intelletto sul materiale e sulle conoscenze grezze che derivano dai sensi. L’opera “Critica della ragion pura” è divisa quindi in tre sezioni: ● introduzione: in cui egli si fa domande, in merito alla metafisica e alla scienza, e sull’uso puro della ragione; ● una parte centrale: Kant analizza i vari tipi di conoscenza (sensoriale/sensibile, che appartiene ad una determinata disciplina detta estetica trascendentale), poi c’è una parte intitolata “dottrina degli elementi”, in cui tratta di altre due discipline, che riguardano la mente, ossia la disciplina analitica trascendentale e la disciplina dialettica trascendentale. L’analitica trascendentale tratta dell’intelletto, mentre la dialettica trascendentale tratta della ragione; ● una parte conclusiva: Kant parla della dottrina del metodo, ossia del metodo della conoscenza. Noi possiamo conoscere attraverso la mente in due modi: quando la mente utilizza le conoscenze che provengono dai sensi, sta facendo intervenire l’intelletto, ed il percorso conoscitivo è lecito e scientifico; quando la mente vuole trovare delle conoscenze e fare appunto dei ragionamenti, non utilizza i sensi, quindi fa intervenire la ragione, ed arriva solo alle idee, non alle conoscenze stesse. La ragione, cioè, è uno strumento che funziona in maniera illegittima, ai fini della conoscenza vera e propria. L’aggettivo “trascendentale” veniva usato per indicare i concetti che si predicano di ogni cosa (come il concetto di uno, di bene, di verità), tuttavia Kant lo usa per indicare qualcosa che trascende l’esperienza (cioè non dipende e viene prima dell’esperienza), ma che la rende comunque necessaria e possibile (è condizione dell’esperienza stessa), come le nostre strutture conoscitive. Non sono gli oggetti ad essere trascendentali, ma il nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo è possibile a priori. Normalmente il termine “estetica” rimanda a qualcosa che si riferisce all’arte, alla bellezza, all’aspetto esteriore; tuttavia, Kant lo utilizza con un altro significato: egli utilizza il termine come dottrina che studia la conoscenza sensibile partendo dal termine greco αίσθηση (aìsthisi), che significa appunto “sensazione”. La conoscenza sensibile, per Kant, è intuizione, perchè è diretta e immediata, cioè non indica la rapidità e non ci sono passaggi, come la riflessione, che invece riguarda la mente. Questa conoscenza riguarda l’intuizione dei fenomeni (dal greco φαινόμενο, che significa “apparire, ciò che appare”, infatti quando conosciamo un fenomeno, non conosciamo l’oggetto ma la manifestazione di esso, il modo in cui esso appare), di conseguenza non stiamo conoscendo l’oggetto in sé, ma per noi. Kant distingue nella conoscenza sensibile una materia e una forma: la materia viene dall’esterno, è l’oggetto che noi in qualche modo riusciamo a cogliere con le sensazioni; la forma, invece, è ciò che il soggetto mette nel conoscere l’oggetto esterno, per ordinare i dati e le sensazioni. Queste forme a priori della conoscenza sensibile sono, per Kant, due: spazio e tempo, che non sono realtà ontologiche, ma sono situate nel soggetto, perchè quest’ultimo opera con essi sulla sensibilità. Spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza, perchè noi abbiamo esperienza proprio grazie ad essi. Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè dei fenomeni che appaiono al di fuori di noi, mentre il tempo è la forma del senso interno ed esterno, cioè percepisce sia i fenomeni interni che i fenomeni esterni, quindi è più universale. Spazio e tempo possono essere utilizzati anche in forma pura: le intuizioni che ricaviamo dalla conoscenza sensibile sono legate all’esperienza, ma spazio e tempo possono essere utilizzati anche senza esperienza; quindi, le intuizioni che ricaviamo sono pure (quelle della matematica, della fisica). Le intuizioni pure del tempo, in particolare, ci danno l’aritmetica, mentre quelle pure dello spazio ci danno la geometria, entrambe teoretiche. Queste forme della sensibilità di spazio e tempo hanno un limite, perchè possono essere applicate solo ai fenomeni, agli oggetti, e non a conoscenze extra- fenomeniche. Non si può conoscere l’oggetto in se stesso neppure attraverso la matematica e la fisica, perchè queste ultime due possono essere applicate solo sul fenomeno, mentre sull’oggetto in sé esse non dicono nulla. L’ente di partenza, chiamato da Kant “noumeno”, è ciò che si manifesta a noi attraverso il fenomeno. Materia e forma sono necessarie, ma non sufficienti, quindi c’è bisogno di un terzo elemento complementare per il percorso conoscitivo, che altro non è che i concetti puri e le strutture logiche dell’intelletto chiamate da Kant come categorie. Questi elementi si impegnano nell’unire e ricostruire i dati, in modo da ricavarne un concetto. I concetti e i principi puri dell’intelletto (trascendentali, a priori) ci consentono di costituire il concetto empirico, legato appunto all’esperienza. Tutto ciò è espresso nella logica trascendentale, dedicata all’analitica trascendentale (che si occupa dei concetti puri dell’intelletto) e alla dialettica trascendentale (che si occupa dei concetti puri della ragione). Mentre i concetti puri e trascendentali dell’intelletto vengono riempiti di dati sensibili, la ragione vuole ragionare appunto su concetti di cui non si possiedono dati sensibili, quindi crea la metafisica. L’analitica trascendentale è alla base della fisica e della scienza. L’intelletto, a differenza dei sensi, non è una facoltà intuitiva, i dati che si ricavano con esso non sono immediati, perchè esso ragiona discorsivamente, per passaggi. Non si riferisce direttamente agli oggetti, ma è una conoscenza mediata, ha bisogno di altri passaggi, ossia quelli dei sensi. Quando arrivano questi dati sensibili, l’intelletto li unifica (Kant utilizza il termine “sussunzione”, che significa appunto “unione”) per creare un concetto. Dalla logica tradizionale, Kant copia lo studio dei giudizi, e dice che possono esistere giudizi universali, giudizi particolari e giudizi singolari (dal punto di vista della quantità), giudizi affermativi, giudizi negativi, giudizi indefiniti (dal punto di vista della qualità), giudizi categorici, giudizi ipotetici, giudizi disgiuntivi (dal punto di vista della relazione), giudizi problematici, giudizi assertori e giudizi apodittici (dal punto di vista della modalità). I vari tipi di giudizi possono essere mischiati per categorie. La nostra mente possiede delle facoltà, dette categorie, che ci consentono di creare questi giudizi: facoltà di totalità, pluralità, unità, realtà, negazione, e a proseguire. Molto importanti sono le categorie di relazione, perchè riguardano la sostanza, la causalità e l’azione reciproca. Con tutto ciò, si comprende come la conoscenza parta dai sensi per arrivare poi all’intelletto. Siamo noi ciò che dà senso alla realtà, attraverso il modo in cui conosciamo il fenomeno con cui un determinato oggetto si presenta. Kant afferma che l’io umano, quindi, può essere chiamato “legislatore della realtà”, ossia è colui che getta le leggi e legge la realtà in una determinata maniera. E qui, ritorna la rivoluzione copernicana di Kant: la realtà non ha in sé delle leggi che noi dobbiamo scoprire, bensì essa è letta attraverso le leggi che sono presenti in noi. Si può leggere la realtà solo seguendo le dodici categorie, e in nessun altro modo, delle categorie rilevate dai giudizi, già studiati attraverso la logica di altri filosofi del passato: gli studiosi di logica, come Aristotele, a partire dai tempi antichi, hanno rilevato come si possono formulare dodici tipi di giudizi (possibilità, totalità, ecc.), e da qui Kant ha compreso che, avendo questi giudizi, si devono avere dodici modalità per organizzare i dati, quindi questo pensiero non è del tutto suo, ma si tratta solo di una razionalizzazione di quanto già detto in passato. L’inizio della “Critica della ragion pura” è composto da delle domande, ossia: “com’è fatto un giudizio scientifico?”, “perchè la scienza è universalmente valida?”, “perchè sulla metafisica ci sono continui dibattiti?”, “la filosofia può diventare una scienza come la fisica?”. La vera scienza, riconosciuta da tutti come un sapere valido, si basa sui giudizi sintetici a priori, in cui il soggetto viene ampliato attraverso l’esperienza, ma, allo stesso tempo, in cui c’è qualcosa che precede l’esperienza e dà a questi dati una certa universalità. Questi giudizi a priori derivano proprio dalle dodici categorie, che ci permettono di formulare dei principi a priori definiti da Kant come “principi dell’intelletto puro”, i quali ci servono per indagare sul mondo fisico e che sono necessari alla fisica per renderla una scienza universale. Questi, quindi, sono delle asserzioni sulla realtà che precedono lo studio scientifico. Prima dell’esperienza, noi abbiamo delle modalità di lettura della realtà che applichiamo quando andiamo a compiere degli studi fisici. In relazione alle categorie di quantità, formuliamo dei principi dell’intelletto puro chiamati “assiomi dell’intuizione”: qualsiasi fenomeno osserviamo del mondo fisico, rileviamo una quantità estensiva. In relazione alla qualità, formuliamo dei principi dell’intelletto puro, o giudizi generici che precedono l’esperienza, che prendono il nome di “anticipazione della percezione”: andando ad osservare il mondo fisico, già sappiamo che qualsiasi fenomeno andremo a studiare avrà un determinato grado di intensità. I principi dell’intelletto puro legati alla relazione sono chiamati “analogia dell’esperienza”: qui, abbiamo delle modalità di lettura della realtà che già ci dicono che i singoli fenomeni sono in un determinato rapporto reciproco di causa ed effetto tra loro, di simultaneità, e così a proseguire. In relazione alla categoria della modalità, i principi dell’intelletto puro prendono il nome di “postulati del pensiero empirico”: stabiliscono che i fenomeni osservati sono possibili, reali o necessari. Kant formula le analogie dell’esperienza nel seguente modo: 1. In ogni mutamento, la sostanza permane invariata: essa si trasforma, ma non scompare; 2. Tutti i mutamenti avvengono secondo il nesso di causa ed effetto: ecco che il problema posto da Hume è stato risolto, perchè sappiamo per certo che dei fenomeni avvengono secondo il modo in cui leggiamo la realtà. Ogni mutamento ed ogni trasformazione hanno una causa ed un effetto, ma non perchè si trovano nella realtà, bensì perchè noi così vediamo la realtà (l’essere umano così mette in relazione i fenomeni); 3. Tutte le sostanze esistono simultaneamente e sono tra loro in un’azione reciproca universale (principio di azione e reazione): quali sono le sostanze che si influenzano a vicenda, però, dipendono dal fenomeno che stiamo osservando. Tutto ciò che accade in un punto del mondo influenza tutto il resto nel complesso simultaneo degli eventi. Con questa modalità di approccio alla realtà, noi facciamo esperienza e conosciamo il fenomeno, il mondo che esiste per noi; quindi, il concetto di “fenomeno” si oppone al concetto di “noumeno”, che riguarda il mondo in se stesso, ossia ciò che non conosciamo. Kant, in merito al noumeno, ossia, appunto, al mondo in se stesso, si esprime dicendo che non nega la sua esistenza; tuttavia, non si può conoscere (è un “concetto limite”), perchè ciò che conosciamo è solo il fenomeno della realtà. Mentre la fisica è fondata sulle nostre categorie e sui principi dell'intelletto puro, la metafisica non può essere scienza perchè pretende di conoscere il noumeno, ossia le cose al di là della nostra esperienza sensibile. Per conoscere la realtà, noi abbiamo i sensi, che utilizzano le strutture a priori di spazio e tempo e raccolgono dei dati, ed un intelletto che unifica e dà significato a questi dati: se vogliamo conoscere Dio, perfettissimo, identificando i due termini. Così facendo, questa operazione ricade nella prima prova. Kant dice che, pur avendo dimostrato solo teoricamente che debba esistere un ente necessario, è incerto sul fatto che questo ente necessario possa coincidere con l’ente perfettissimo, e che questo ente perfettissimo possa essere proprio Dio. Anche la prova cosmologica, quindi, si rivela non essere convincente. 3. la prova fisico-teologica (o teleologica) parte dall’ordine della natura e dice che la natura è ordinata, quindi i moti degli astri, le stagioni, e tutti gli altri fenomeni, siano opera di un ordinatore, di conseguenza che non siano casuali. Kant dice che: a. quest’ordine potrebbe venire dalla natura stessa; b. dire che ci sia un ordinatore non significa che questo sia l’ente perfettissimo; quindi, c’è di nuovo un’impropria identificazione dell’ordinatore con l’ente necessario e l’ente perfettissimo, di conseguenza la terza prova ricade nella seconda e nella prima. Anche la prova teleologica risulta non convincente. A questo punto, ci si domanda se tutte queste idee, se secoli e secoli di filosofia e di riflessioni, siano stati inutili: Kant dice che essi sono inutili se noi vogliamo dare a quelle idee un valore conoscitivo, ma le idee della metafisica hanno un valore che egli stesso chiama regolativo. Possiamo quindi dire tre cose: 1. noi dobbiamo studiare ed operare come se tutti i fenomeni psichici fossero connessi in un’unità che è l’anima; 2. dobbiamo condurre gli studi naturalistici come se esistesse una totalità dei fenomeni, ossia l’idea di mondo, a cui ricondurre tutte le conoscenze sul mondo fisico; 3. dobbiamo connettere tutti i fenomeni interni, quelli psichici, ed esterni, come se esistesse un’intelligenza suprema, un Dio, che dà ordine a queste cose (che poi, del fatto che esista o meno, noi non possiamo averne la certezza). L’uso legittimo, quindi, delle idee della metafisica è un uso non costitutivo, ma regolativo, del sapere, per dare ordine e organicità alle nostre conoscenze. CRITICA DELLA RAGION PRATICA Nella “Critica della ragion pratica”, seconda opera di Kant dal nome di “critica”, egli parla della morale, di comportamento, di etica. Qui, ci dice anche che due cose lo sorprendono e lo riempiono di ammirazione: il mondo esterno (il cielo stellato) ed il mondo interiore (la coscienza e la morale dentro di sé). Secondo lui, esiste una ragione non conoscitiva ma pratica che guida la vita pratica e la volontà di agire nel mondo (l’agire morale). Il termine “pratico” è opposto rispetto al termine “puro”, non solo perchè in quest’ultimo caso si tratta della ragione intellettiva e nel primo caso della ragione che guida l’azione, ma anche perchè la ragione rivolta all’azione pratica deve, secondo Kant, essere una ragione che guida la vita pratica, ed essere anche pura nel suo utilizzo (cioè deve essere una ragione mossa solo da se stessa, dalla volontà di essere morale, e non dalla ricerca della felicità o di qualsiasi altro scopo concreto). La ragione pratica è, quindi, legittima solo se pura, solo se non è mossa da interesse. Il termine “pratico”, adesso, non significa “esperienza”, bensì è rivolto all’agire concreto. La nostra volontà è mossa in maniera pura perchè, dentro di noi, c’è una legge morale chiara, fissa in ogni uomo. Mentre il nostro corpo ci unisce al mondo infinito sul piano materiale ed animale, la legge morale ci fa vedere una profondità ed un infinito di diversa natura. Tuttavia, pur avendo tutti questa legge morale interiore, non è detto che tutti la rispettino, perchè, dice Kant, l’uomo non ha solo la legge morale, ma, nel suo agire, è mosso da molte altre inclinazioni (istinto, desiderio, paura ed altre emozioni) e quindi spesso deroga dalla legge morale. La legge naturale è così e non può essere diversamente, è inderogabile, mentre dalla legge morale noi possiamo derogare, anzi, proprio perchè abbiamo questa facoltà di derogarla la legge è morale, in quanto, se fossimo obbligati, si tratterebbe di una legge naturale. Ci sono varie regole che noi ci diamo nel nostro agire morale, ma non tutte queste regole che guidano l’azione pratica sono la legge morale. Kant distingue i vari tipi di principi pratici che noi ci diamo nell’agire morale. Noi a volte abbiamo delle massime, ossia delle regole morali che ci diamo in maniera soggettiva. La legge morale non può essere una massima, quindi non può essere soggettiva, perchè deve riguardare tutti. L’uomo, quindi, ha altre regole morali che Kant chiama “imperativi ipotetici (formula: se… devi…)” ed “imperativi categorici (devi perchè devi)”. Quest’ultima è la formula che caratterizza anche la legge morale. L’imperativo ipotetico non vale per tutti, ma solo per coloro che hanno un determinato scopo, mentre l’imperativo categorico vale per tutti incondizionatamente, così come la legge morale. Il dovere ha valore in se stesso e la moralità sta nell’intenzione, quindi non nella ricerca di una ricompensa (esempio: non mettiamo il casco per non prendere la multa, ma perchè è un dovere). Noi non abbiamo una legge morale specifica, che spinge in merito al contenuto, bensì una legge morale che spinge in merito alla forma: i contenuti morali sono infiniti e qualcosa di concreto, legati all’esperienza; quindi, viene meno quel carattere di purezza della legge morale. In questo modo, si parla di formalismo etico (la legge morale non impegna perchè indica un determinato contenuto o una determinata materia, quindi il cosa, ma perchè indica il come si deve agire, partendo cioè da un qualcosa di generale e non specifico) e di etica dell’intenzionalità. Si deve agire in modo che le azioni possano essere un principio valido per tutti e in modo che, quindi, anche gli altri possano ripetere quel tipo di azione che stiamo facendo. Diventiamo immorali quando compiamo qualcosa che va contro il legale e quando sappiamo che potrebbe essere un’azione ripetibile dagli altri. Kant elabora tre formulazioni per l’imperativo categorico. La prima formulazione dice “Agisci in modo che la massima (il nostro principio pratico che guida l’azione) della tua volontà possa valere sempre come principio di una legislazione universale”: la massima della nostra volontà, che è soggettiva, cioè, deve diventare universale. La seconda formulazione dice "Agisci in modo che sia rispettata l'umanità, nella tua persona e negli altri, e fa che questa umanità sia considerata sempre come fine e mai come mezzo". Ciò significa che noi, nell'agire morale, dobbiamo considerare l'uomo come fine e non come mezzo, e l'aspetto di umanità di cui si parla è la nostra natura razionale; quindi, bisogna agire secondo la ragione (è questa l'umanità che ci accomuna agli altri). La terza formulazione dell'imperativo categorico dice che bisogna agire in modo che la nostra volontà sia legislatrice a se stessa, cioè che la legge morale che noi seguiamo sia nostra, che provenga da noi stessi e non dall'esterno. La morale di Kant è detta "morale autonoma", perché la volontà che guida il nostro agire deve dare a se stessa la sua norma, sapendo che questa norma debba essere universalizzata, ossia resa valida per tutti. Si parla di rivoluzione copernicana di Kant anche in campo etico, perché fino a quel momento, chi ha parlato di morale ha sempre detto che essa fosse eteronoma, ossia costituiva una norma al di fuori di sé, aveva quindi un punto di riferimento esterno. Ciò significa che vigeva il pensiero che ci si dovesse comportare bene perché era necessario rispettare il dettato divino, presente nella Bibbia, oppure in modo tale da raggiungere la felicità (cosa detta già da Epicuro). Ciò che provocava piacere, voleva dire che era bene, viceversa ciò che non dava piacere doveva essere evitato. Con la morale eteronoma, quindi, si cercava nell'esteriorità la motivazione dell'agire morale. Per Kant, invece, è l'esatto contrario: quando si trova una motivazione esterna, l'azione non è morale, perché la morale è interiore, autonoma, si trova nell'intenzione e non nello scopo o nel fine. Da qui, Kant parla di "morale dell'intenzione": l'intenzione deve essere morale, si deve agire per il dovere, e non per qualche altro fine esterno al dovere stesso. Qualsiasi sentimento, come la paura, o la venerazione, non è motivazione di comportamento morale, magari lo regola, ma non ci rende morali, piuttosto ci rende legali. Il nostro aspetto morale ci apre all'infinito, ad un'altra dimensione. Nella Critica della Ragion Pura, quando Kant parla della conoscenza, di come si conosce (scientificamente, attraverso la fisica, mentre la metafisica non è possibile), dice anche che noi non possiamo conoscere anima, mondo e Dio, ossia le idee elaborate dalla metafisica (che altro non è che la filosofia). Anche se si sono sviluppate delle vere e proprie discipline, come cosmologia, psicologia e teologia razionale, comunque anima, mondo e Dio non possono essere conosciuti, infatti, nei confronti di Dio, Kant si definisce agnostico. Tuttavia, nella Critica della Ragion Pratica, egli dice che, in qualche modo, noi possiamo attingere, ossia avere una sorta di intuizione e contatto, con l'incondizionato, cioè noi possiamo uscire dai nostri limiti: la nostra condizione è quella di poter conoscere solo ciò che ci dice l'esperienza; quindi, non possiamo conoscere aspetti come anima, mondo e Dio, ma, non attraverso l'esperienza, piuttosto attraverso dei postulati, ragionando attorno alla legge morale, possiamo logicamente affermare, anche non costituendo una conoscenza scientifica, che anima, libertà nel mondo e Dio devono esserci. Di conseguenza, si può dire che la Critica della Ragion Pratica squarcia il mondo e ci fa guardare nell'incondizionato. Noi, come esseri umani naturali, viviamo nel mondo condizionato, nel mondo della causa e dell'effetto, nel mondo del determinismo, e siamo soggetti alle leggi della natura, tuttavia, come esseri morali, apparteniamo ad un altro mondo, appunto quello dell'incondizionato, della libertà (non presente nel mondo naturale, perché i fenomeni sono fissi e non hanno la libertà di cambiare). Ci sono tre postulati legati alla legge morale, ossia delle affermazioni teoretiche che sono presupposte o sono conseguenza dell'esistenza della legge morale, la quale è un fatto. Si tratta, quindi, di supposizioni che si fanno in merito all'anima, a Dio e alla libertà nel mondo. Sono comunque postulati fondati, perché partono da un fatto certo, appunto la legge morale. Il primo postulato dice "Devi, dunque puoi": parlando della cosmologia razionale, ossia di come è fatto il mondo, da un lato c'era chi, come Galileo, diceva "tutto accade meccanicisticamente" (il mondo è come se fosse un grande meccanismo e tutto avviene secondo la causa e l'effetto), dall'altro c'erano pensatori che dicevano "nel mondo, oltre ad esserci dei fenomeni retti da causa ed effetto e determinismo, c'è anche la libertà". La legge morale dimostra che l'uomo è libero dal punto di vista morale, perché ha senso solo se possiede questa libertà. Kant dice, infatti, che se l'uomo non avesse questa libertà di scegliere e fosse anche moralmente obbligato ad un dato comportamento, la sua azione non avrebbe valore morale, perché non agirebbe per dovere, piuttosto perché costretto dalle leggi della natura. Se tutti avessimo una legge morale dipendente dalle leggi della natura, allora tutti saremmo morali. Il fatto di poter scegliere se essere morali o meno significa che noi siamo liberi di fare. La libertà, a livello di conoscenza, non può essere dimostrata, solo a livello morale. Ecco perché Kant dice che siamo cittadini di due mondi, uno in cui siamo esseri corporei e in cui abbiamo le regole della natura ed uno più libero, ossia quello della coscienza. L’uomo, come essere fenomenico, è sottoposto al determinismo (causa- effetto) dei fenomeni naturali, mentre come essere morale è libero; quindi, fa parte anche del mondo incondizionato, il cosiddetto mondo noumenico. Questi due mondi, quello fenomenico e quello noumenico, sono in contrapposizione: niente ci garantisce che tra questi due mondi ci sia un contatto, un accordo. Kant dice che, questa cosa, non possiamo capirla con la ragione teoretica, perchè l’accordo tra i due mondi non è oggetto di conoscenza; tuttavia, noi possiamo coglierlo con una terza facoltà, da lui chiamata “facoltà del giudizio (chiamato anche gusto o sentimento)”, che verrà approfondita in un’altra sua opera, ossia la “Critica del giudizio”. Non si tratta, quindi, di una dimostrazione scientifica dell'esistenza della libertà, ma, essendoci la legge morale, abbiamo postulato l'esistenza della libertà. Il secondo postulato può essere riassunto con l'espressione "Sommo bene e Dio": abbiamo appena detto che ci si può comportare più o meno secondo la legge morale (c'è chi riesce a seguirla in modo più costante, chi invece meno). Chi normalmente è virtuoso, ossia segue ampiamente la legge morale (mai totalmente, perché siamo esseri umani), è meritevole della felicità e del bene, tuttavia non tutti ricevono questo "premio". Possiamo pensare quindi, secondo Kant, che esista qualche autorità, una qualche forma di ricompensa per chi si comporta bene, e che quindi esista un Dio che premi i meritevoli e virtuosi. Da qui, possiamo postulare l'esistenza di Dio come colui che premia i meritevoli, dando loro la felicità. Dio, ovviamente, non è solo questo, semplicemente Kant fa queste affermazioni in base alla legge morale, senza spiegare se questa entità sia più o meno di quanto detto. Chi si comporta bene, ritornando al discorso di prima, non lo fa per la felicità che deve ottenere come ricompensa (fine esterno), ma per dovere (fine interiore). Il terzo ed ultimo postulato riguarda la santità e l'anima. La legge morale pretende la santità, ossia il perfetto adeguamento del comportamento al dovere, non ammette quindi deroghe (del tipo, ogni tanto si segue la morale, ed altre volte no, perché la morale dice che il dovere dovrebbe essere sempre fatto). Gli esseri umani,
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