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Immobilizzazione degli enzimi, Sbobinature di Farmacia

Introduzioni sull'argomento dell'immobilizzazione degli enzimi e tecniche di immobilizzazione carrier-free

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

Caricato il 04/04/2023

Lauralocatelli
Lauralocatelli 🇮🇹

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(5)

28 documenti

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Scarica Immobilizzazione degli enzimi e più Sbobinature in PDF di Farmacia solo su Docsity! 56 IMMOBILIZZAZIONE DI ENZIMI Siamo in un contesto industriale e vogliamo sintetizzare un principio attivo mediante biocatalisi, quindi una reazione catalizzata da un enzima. Il biocatalizzatore (enzima) può essere utilizzato in forma solubile, quindi in forma libera, oppure l’enzima può essere utilizzato in forma immobilizzata. Gli svantaggi dell’utilizzo dell’enzima in forma solubile nell’ambiente di reazione sono: N.B. gli enzimi innanzitutto sono proteine e quindi come tali sono solubili in acqua quindi si possono utilizzare in catalisi omogenea. Nell’immagine è possibile vedere un reattore in cui c’è l’agitazione meccanica, le sferette in rosa sono l’enzima, S sta per substrato e P per prodotto. L’enzima in queste condizioni può andare incontro a diversi fenomeni, come aggregazione, quindi molecole di enzima che si aggregano tra loro e questo porta all’inattivazione dell’enzima cioè perde la sua attività. Può andare incontro a proteolisi oppure incontro ad interazioni ad esempio con le pareti del reattore, quindi si sottrae in un certo senso alla catalisi e tutti questi fenomeni portano ad una diminuzione dell’attività dell’enzima e il processo risulta meno efficiente. L’enzima in forma solubile si può utilizzare però è difficile recuperarlo dall’ambiente di reazione proprio perché si solubilizza in esso. Ci sono degli strumenti che si possono utilizzare per il recupero dell’enzima che sono reattori dotati di ultrafiltrazione quindi ci sono dei filtri all’intero di questo reattore con un determinato cut off per separare il prodotto dall’enzima (si ricorda che l’enzima deve essere eliminato dal prodotto finito perché rappresenta un’impurezza del prodotto). Questi reattori sono però molto costosi per un’azienda e ancor di più in ambito accademico, quindi si utilizzano difficilmente. Ma non sono solo questi gli svantaggi dell’enzima in forma solubile: innanzitutto la solubilità per la loro stessa natura e quindi difficilmente recuperabili se non con un reattore con ultrafiltrazione. Inoltre, parliamo di processi che avvengono in ambiente industriale quindi processi che devono portare alla sintesi di una elevata quantità di prodotto per cui generalmente si utilizzano elevate concentrazioni di substrato per ottenerla. Gli enzimi in queste condizioni possono essere inibiti proprio dall’elevata concentrazione sia di prodotto sia di substrato. Inoltre generalmente i substrati sono molecole molto complesse e difficilmente si solubilizzano in ambienti acquosi, che è l’ambiente ideale affinché un enzima sia efficiente, quindi per solubilizzare il substrato nell’ambiente di reazione si utilizzano delle percentuali di solvente organico. La percentuale di solvente organico, anche se minima, può inattivare l’enzima però essa è necessaria affinchè il substrato sia solubilizzato e la reazione possa avvenire. A livello industriale si utilizzano quindi dei solventi organici che vanno a detrimento dell’attività dell’enzima stesso. La solubilizzazione può essere migliorata alzando la temperatura del mezzo di reazione e anche questo può portare all’inattivazione dell’enzima quindi sono tanti gli svantaggi dell’utilizzo dell’enzima in forma solubile. Per ovviare a questi problemi è possibile immobilizzare 57 l’enzima. L’immobilizzazione avviene su un supporto solido, su un carrier, che può essere una resina, un polimero, una matrice su cui l’enzima viene ancorato. L’enzima quindi si lega a questo supporto diventando insolubile nell’ambiente di reazione, per cui la catalisi da omogenea diventa eterogenea (l’enzima si presenta come un solido quindi è come se avessimo non più una soluzione ma una sospensione). Questo comporta che l’enzima può essere facilmente recuperato dall’ambiente di reazione mediante un semplice sistema di filtrazione, a disposizione di tutti i laboratori, e può anche essere riutilizzato perché l’enzima immobilizzato generalmente mantiene la sua attività nel tempo quindi è più stabile dell’enzima in forma libera. Viene quindi recuperato, conservato e riutilizzato per un altro processo di reazione enzimatica e può essere fatto anche per più cicli: quanti più cicli di reazione l’enzima riesce a catalizzare, più il processo è efficiente. Se l’enzima viene recuperato dall’ambiente di reazione questo va a facilitare il processo del downstream ovvero di purificazione del prodotto per l’ottenimento del prodotto stesso (l’enzima è una delle contaminazioni presenti, oltre a eventuali prodotti di degradazione che comunque se l’enzima è regio-, stereo-, e chemo- selettivo dovrebbero essere pochi). Esistono quindi una serie di vantaggi nell’immobilizzare un enzima per ottenere un processo efficiente soprattutto a livello industriale dove, si ricorda, il costo principale del processo è dovuto proprio all’enzima per cui riutilizzarlo per più cicli comporta anche un abbattimento dei costi dell’enzima stesso. La definizione di immobilizzazione è la seguente: l’immobilizzazione è il processo attraverso il quale l’enzima si lega ad un supporto, carrier o matrice in termini generali, per ottenere delle forme insolubili quindi la catalisi da omogenea diventa eterogenea. Nell’immagine sono presenti molecole di enzima legate ad un supporto. L’enzima è la componente catalitica dell’enzima immobilizzato mentre il supporto (ovale grigio) è la parte non catalitica (spesso è inerte). L’insieme enzima+supporto viene chiamato derivato enzimatico o preparazione enzimatica, che identifica appunto l’enzima immobilizzato. Ovviamente esistono delle proprietà catalitiche e non che il derivato enzimatico acquista in seguito all’immobilizzazione. Le proprietà non catalitiche che sono dovute al supporto sono: • il recupero dell’enzima dall’ambiente di reazione mediante filtrazione • il suo riutilizzo • i due punti precedenti incidono su un controllo di tutto il processo sia nella sintesi sia nella purificazione del prodotto finito Inoltre l’enzima, in seguito all’immobilizzazione, può modulare o migliorare le sue proprietà catalitiche in termini di attività, di stabilità e di selettività. Questo dipende però da tanti fattori, in particolare dal tipo di enzima che viene utilizzato. Spesso l’attività infatti, non viene migliorata: questo è dovuto al fatto che in seguito all’immobilizzazione l’enzima può subire un cambio conformazionale rispetto al suo stato nativo perché in un certo senso lo costringiamo ad essere legato ad un supporto mediante un legame quindi può diminuire la sua attività. Questo può essere dovuto anche al fatto che il legame si viene a creare tra i gruppi funzionali presenti sul supporto e alcuni amminoacidi dell’enzima e questi aa potrebbero far parte del sito attivo, tuttavia è un evento abbastanza raro perché generalmente gli aa coinvolti nel legame con il supporto sono quelli superficiali, non quelli all’interno dove solitamente è presente il sito attivo. È vero che può perdere parte della sua attività però quest’ultima può essere mantenuta nel tempo quindi il derivato enzimatico acquista nella stabilità e proprio per questo può essere riutilizzato per più cicli. 60 I primi metodi chimici che sono stati studiati e progettati sono però metodi in cui non era previsto l’uso del supporto, in cui molecole di enzima si legano tra di loro a formare degli aggregati. Il vantaggio principale è che, essendo il solido l’enzima, quest’ultimo presenta una elevata attività; inoltre non è presente il supporto per cui il costo è minore, mantiene una certa stabilità meccanica, però di contro, anche in questo caso, essendo le molecole di enzima legate tra di loro, c’è una rigidificazione dell’enzima e un altro aspetto riguarda anche il microambiente, intendendo con esso la diffusione del substrato nel sito attivo. Gli enzimi immobilizzati carrier-free possono essere di tre tipi: 1) i CLE → enzimi cross-linkati 2) i CLEA → aggregati enzimatici cross-linkati 3) i CLEC → cristalli di enzima cross-linkati I CLE (cross-linked enzyme) rappresentano il primo metodo di immobilizzazione creato. Sono molecole enzimatiche legate tra di loro mediante un agente cross-linkante, per esempio la glutaraldeide, il più utilizzato. La struttura della glutaraldeide è raffigurata nell’immagine in basso: ha una struttura bidentata che presenta due gruppi funzionali aldeidici. Questi possono reagire da lati opposti con due molecole enzimatiche, quindi possono legare più molecole enzimatiche tra di loro a formare questo solido (CLE). In generale, anche questi metodi sono poco utilizzati perché non portano, in particolare il CLE, ad una struttura solida ma alla formazione di una sostanza gelatinosa, densa, che limita la loro applicazione industriale. Per quanto riguarda i CLEA, l’enzima solubile viene aggregato e poi cross-linkato con glutaraldeide, a dare un aggregato piuttosto stabile. Nel caso dei CLEC invece, l’enzima solubile deve essere molto puro affinchè possa formare un cristallo, quindi si aggrega a formare dei cristalli (forma ordinata) e successivamente avviene cross- linking delle molecole enzimatiche sempre tramite la glutaraldeide a formare i cristalli cross-linkati. Per quanto riguarda gli aggregati: - l’enzima solubile viene posto in una soluzione in cui è presente una elevata concentrazione di sali, quindi con un’elevata forza ionica - in presenza di questa elevata forza ionica e di agitazione, le molecole di enzima si avvicinano tra di loro e formano degli aggregati - si utilizza la glutaraldeide per legare questi aggregati tra di loro. 61 Questo metodo è stato utilizzato ad esempio per gli enzimi multimerici. Affinchè essi possano mantenere la propria attività è necessario che le varie subunità siano legate tra loro. Quando si utilizzano degli enzimi multimerici in un ambiente di reazione in cui sono presenti elevate temperature o pH non fisiologico può succedere che le subunità si disaggreghino e che l’enzima non risulti attivo, per cui questo metodo si può utilizzare per stabilizzare gli enzimi multimerici oppure per aggregare enzimi diversi che possono essere utilizzati per esempio in una reazione bi-enzimatica. Anche se comunque sono metodi poco utilizzati. Per quanto riguarda i CLEC: avere l’enzima puro è un requisito fondamentale per ottenere la forma cristallina. È importante che quando le molecole enzimatiche vengono poste in un ambiente in cui è presente elevata forza ionica, queste molecole si impacchettino tra di loro in condizioni ordinate, formando appunto un cristallo. Successivamente bisogna stabilizzarlo con la glutaraldeide. Il cristallo che viene a formarsi è una struttura molto stabile e anche questo metodo è utilizzato per stabilizzare enzimi multimerici, però la purezza dell’enzima, requisito fondamentale, non è molto facile da ottenere, per questo anche questo metodo di immobilizzazione è poco utilizzato. IMMOBILIZZAZIONE CON SUPPORTO L’enzima, mediante un metodo chimico, che può avvenire mediante adsorbimento, legame ionico e covalente, viene legato ad un supporto. L’interazione preferenziale è quella di tipo covalente. I supporti utilizzati sono di tanti tipi: di lato è presente la classificazione dei supporti in organici e inorganici. Quelli più utilizzati sono di tipo organico e questi a loro volta si suddividono in polimeri naturali e polimeri sintetici. Tra i polimeri naturali è presente l’agarosio, un supporto molto versatile e molto utilizzato per l’immobilizzazione di enzimi. Per quanto riguarda i polimeri sintetici abbiamo generalmente polimeri metacrilati. In particolare, vedremo l’agarosio e un polimero sintetico che si chiama Eupergit/Sepabeads. L’agarosio è un polisaccaride purificato dall’agar agar, sostanza gelatinosa estratta dalle alghe rosse ed è un polimero lineare la cui unità fondamentale è un disaccaride costituito da galattosio e il 3,6-anidro-galattosio, legati mediante legame glicosidico β-1,4. Questo disaccaride prende il nome di agarobiosio. L’agarosio presenta dei gruppi funzionali ossidrilici che sono importanti perché possono essere funzionalizzati. Solitamente il gruppo ossidrilico non è molto reattivo ma per reagire ha bisogno di una attivazione quindi prima di essere utilizzato nell’immobilizzazione di enzimi l’agarosio deve essere attivato. L’altro supporto (Eupergit/Sepabeads) che vedremo in seguito è un polimero sintetico metacrilato il cui gruppo funzionale (riportato in nero) è un epossido ed è proprio questo che viene utilizzato per legare gli enzimi. Tra i polimeri inorganici quello più utilizzato è la silice, materiale che possiede dei gruppi ossidrilici come gruppi funzionali, che possono essere derivatizzati e utilizzati per l’immobilizzazione di enzimi. L’immobilizzazione avviene tra un supporto con i propri gruppi funzionali e alcuni amminoacidi degli enzimi. Di seguito vengono mostrati gli amminoacidi che vengono coinvolti nel legame con il supporto: 62 Possono essere gruppi amminici, carbossilici e anche gruppi tiolici. Generalmente gli aa coinvolti sono le lisine, in particolare il gruppo amminico della catena laterale. Il motivo dietro al coinvolgimento di questo aa è che, innanzitutto, gli enzimi presentano un elevato numero di residui di lisina che normalmente non fanno parte del sito attivo e quindi non sono coinvolti nell’attività catalitica; inoltre, essendo aa polari grazie al gruppo amminico, si trovano sulla superficie esterna dell’enzima, quindi sono più facilmente accessibili al supporto. Quest’immagine è riportata per far capire che la reazione di immobilizzazione è una reazione chimica a tutti gli effetti, che avviene tra i diversi gruppi funzionali. Per valutare quanto il processo di immobilizzazione sia efficiente è importante valutare alcuni parametri: - la resa di immobilizzazione, in termini di attività e di proteina legata al supporto - l’efficienza - attività che viene recuperata a fine immobilizzazione; inizialmente l’enzima immobilizzato presenta una certa attività in termini di unità/grammo → è importante capire quante unità rimangono a fine immobilizzazione per determinare l’attività del derivato enzimatico e servirà nel momento in cui si deve allestire una reazione per sapere quante unità inserire nella reazione per poter catalizzare la sintesi di una certa quantità di prodotto a partire da una certa quantità di substrato. Importante ricordare la definizione di unità enzimatica: quantità di enzima in grado di convertire in prodotto una micromole di substrato. Le unità enzimatiche esprimono l’efficienza di un enzima.
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