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in Relazioni Internazionali , Tesi di laurea di Economia

Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Relazioni Internazionali Comparate- International Relations

Tipologia: Tesi di laurea

2017/2018

Caricato il 08/01/2018

Aria.Wang93
Aria.Wang93 🇨🇳

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Scarica in Relazioni Internazionali e più Tesi di laurea in PDF di Economia solo su Docsity! Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Relazioni Internazionali Comparate- International Relations Tesi di Laurea Il ruolo delle istituzioni politiche nello sviluppo economico dei Bric Relatore Ch. Prof. Giancarlo Corò Correlatore Ch. Prof. Stefano Soriani Laureanda Eleonora Trevisan Matricola 826610 Anno Accademico 2013 / 2014 1 INDICE ABSTRACT Pag.3 INTRODUZIONE 4 CAPITOLO 1 – I Bric come fenomeno economico 1.1 Pil, produzione industriale e agricola 10 1.2 Popolazione e ascesa delle classi medie 13 1.3 Dimensione internazionale: commercio, conti con l’estero e investimenti esteri nei Bric 16 1.4 Le multinazionali e le grandi imprese dei Bric 22 1.5 Innovazione, R&D e creatività nei Bric 25 1.6 Istruzione nei Bric 36 1.7 1.8 Il rallentamento delle economie dei Bric Il middle-income trap 41 45 CAPITOLO 2 – I Bric: cambiamenti degli assetti istituzionali interni 2.1 Brasile: istituzioni e politiche dall’indipendenza ad oggi 2.1.1 Riforme politiche dall’indipendenza alla fine degli anni Ottanta 47 2.1.2 Le politiche del Brasile dagli anni Novanta ai giorni nostri 54 2.2 L’India delle riforme politiche dall’indipendenza ad oggi 61 2.2.1 Riforme del periodo post-indipendentista 63 2.3 Cina: uno sguardo alla storia delle riforme politiche 2.3.1 La Cina delle dinastie imperiali 78 2.3.2 Il periodo maoista 81 4 INTRODUZIONE Se un tempo erano gli Stati Uniti a dettare le regole di gioco dell’economia mondiale, a partire dall’inizio del XXI secolo si sono affacciati nel panorama internazionale quattro nuovi paesi accumunati da alcune caratteristiche: una popolazione numerosa, un territorio molto grande, una cospicua quantità di risorse naturali e, soprattutto, un Pil in forte crescita, oltre che una maggiore partecipazione al commercio mondiale. Sembrava quasi una profezia quella di Jim O’Neill, economista della banca d’affari americana Goldman Sachs, il quale nel 2001 ha coniato il termine Bric e ha ipotizzato che entro il 2041 il Pil di suddetti paesi sarebbe stato superiore a quello dei G7, le più influenti economie avanzate, ovvero Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Canada. Effettivamente, il tasso di crescita dei Bric fino al 2012 è stato vertiginoso. Pur tuttavia, già dal 2013 c’è stato qualche segnale di rallentamento della crescita. Di cruciale importanza è il report World Economic Outlook pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale il 7 ottobre 2014. I tassi di crescita del Pil riportati da Cina, Brasile e Russia nell’arco di due anni, dal 2012 al 2014, sono diminuiti. L’India risulta essere l’unica ad aver registrato un aumento del tasso di crescita del suo Pil nel periodo di tempo che va dal 2012 al 2014. Le proiezioni per il 2015, inoltre, sono positive solo per l’India; i tassi di Russia e Brasile sarebbero in lentissima ripresa, ma sembrerebbe comunque che non toccheranno più i valori registrati negli anni precedenti e quelli della Cina, infine, sono negativi. Che siano state troppo azzardate ed ottimistiche le previsioni avanzate da O’ Neill? O le politiche adottate dai governi non hanno funzionato poi così bene? Il punto focale della mia tesi risiede nella distinzione tra istituzioni inclusive ed estrattive e nell’analisi del loro diverso approccio all’economia e alle politiche di sviluppo. In breve, le istituzioni economiche di carattere estrattivo sono legate ad istituzioni politiche estrattive, che concentrano il potere nelle mani di pochi, i quali sono così incentivati a mantenere e sviluppare istituzioni economiche di tipo estrattivo per trarne un personale beneficio ed impiegare le risorse che hanno prelevato per consolidare il loro potere politico. Le dittature, i governi totalitari, le autocrazie e più in generale i governi non democratici rientrano in questa categoria; Cina e Russia, dunque, ne fanno parte. Al contrario, le istituzioni economiche di carattere inclusivo rafforzano i diritti di proprietà, incoraggiano gli investimenti nelle nuove tecnologie e le capacità personali e in tal modo facilitano la crescita economica. Esse sono supportate e, a loro volta supportano, istituzioni politiche inclusive, cioè quelle che distribuiscono il potere politico ampiamente secondo il 5 principio del pluralismo e riescono a raggiungere un certo livello di centralizzazione del potere tale da assicurare la giustizia, l’ordine e un’economia di mercato inclusiva. Ad esse corrispondono forme di governo democratiche, indi per cui Brasile e India fanno parte di questo gruppo. Nelle istituzioni estrattive ogni élite incoraggia quanto più possibile la crescita economica in modo da avere sempre più risorse da estrarre. Sebbene sia vero che le istituzioni estrattive che hanno raggiunto un minimo livello di accentramento politico sono in grado di generare crescita, il punto cruciale è che questa crescita non può essere sostenuta nel lungo periodo. Al fine di analizzare la relazione tra istituzioni politiche e sviluppo economico si sono utilizzate diverse fonti. In primo luogo, è stato fondamentale il libro di Andrea Goldstein BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’economia globale per avere dei dati concreti riguardo alla crescita senza precedenti dei Bric ed avere una panoramica generale sul loro sviluppo. Per poter definire bene alcuni concetti economici, come ad esempio il Pil pro capite, un valido riferimento è stato il manuale di economia di Kenneth A. Reinert, An introduction to International economics: New Perspectives on the World Economy. In secondo luogo, allo scopo di ricostruire la storia delle istituzioni politiche di ciascuno dei Bric, si sono consultati diversi libri, tra cui: Angus Maddison and Associates, The Political Economy of Poverty, Equity, and Growth-Brazil and Mexico; Jean-Joseph Boillot, L’economia dell’India; Ignazio Muso, La Cina contemporanea; François Benaroya, L’economia della Russia ed altri ancora. Siccome tali libri non rendono conto delle istituzioni dei Bric negli anni più recenti, si è dovuto ricorrere ai siti ufficiali di alcuni dei maggiori quotidiani nazionali ed internazionali, come The Guardian, The Financial Times, Il Sole 24 Ore, La Repubblica ed altri, contenenti numerosi articoli di attualità. In terzo luogo, essenziali per avere dei solidi innesti teorici sono stati i libri pubblicati dai seguenti autori: Luca Ricolfi, Daron Acemoglu, Mancur Olson, Benjamin Friedman, Angus Deaton e Branko Milanovic. Infine, per l’ultimo capitolo che ruota attorno ad un esercizio di analisi quantitativa, sono stati utilizzati i siti ufficiali di organismi internazionali come la World Bank, l’Oecd, l’Undp, Imf, l’Unep ed altri. Sempre a tale fine, si è usufruito del libro di David N. Weil il cui titolo è Economic Growth e del software Gapminder World, che raccoglie un gran numero di dati relativi ad un vastissimo range di paesi del mondo e permette di metterli in relazione tra loro su un grafico. 6 Si è scelto di approfondire questo argomento per non soffermarsi ai tradizionali studi sulla crescita economica dei Bric, bensì per mettere in luce un altro aspetto della questione, ovvero come a diversi assetti istituzionali corrispondano diverse scelte nell’ambito dello sviluppo economico. Tale ricerca è stata fatta nella consapevolezza che il vero progresso economico parte dalle istituzioni e che esso è una conseguenza e un sintomo del buon funzionamento dei governi. Un eventuale rinnovamento democratico delle istituzioni avrebbe certamente effetti positivi in ambito economico. Al contrario, si è adottato un punto di vista critico riguardo alla crescita economica cinese per esempio: è improbabile che le istituzioni di questo paese governino senza il consenso della maggior parte della popolazione. Ipoteticamente, a lungo andare le proteste e il malcontento dei cittadini potrebbe finire per minare le basi stesse del governo e ogni forma di crescita economica sarà di difficile attuazione. Un paese può svilupparsi innanzitutto se la popolazione è coinvolta nel processo decisionale del governo e se il singolo cittadino può esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso. Purtroppo attualmente ci sono ancora episodi di censura, di pilotamento e di manipolazione dell’informazione. Quel che è certo è che occorre distinguere tra la crescita vertiginosa che ha avuto luogo nel breve periodo e quel tipo di crescita che si protrae nel lungo periodo: la prima non è in grado di garantire uno sviluppo economico che duri nel tempo se non è supportata e alimentata da politiche inclusive. In aggiunta, l’analisi è stata fatta tenendo ben a mente che i Bric, per quanto costituiscano un gruppo con diverse caratteristiche in comune, hanno alle spalle vicende storiche differenti che li hanno portati ad essere ciò che oggi sono. Attualmente, dal punto di vista politico, il Brasile e l’India sono due paesi democratici, mentre la Cina e la Federazione Russa hanno governi autoritari o comunque antidemocratici. Si è ritenuto importante ripercorrere brevemente la storia economica e politica di questi paesi per capire meglio quale sia stata la loro evoluzione negli anni, perché il loro stato attuale è influenzato in modo significativo dalle vicissitudini passate che si sono trovati ad affrontare. Il Brasile, a differenza degli altri Bric, ha avuto una storia lineare e relativamente facile da ricostruire: colonizzazione portoghese, indipendenza, democrazia costituzionale, dittatura militare e ricostituzione della democrazia. Il regime militare è durato dal 1964 al 1985 e si è concluso con le grandi proteste di Rio de Janeiro e San Paolo, in seguito alle quali il governo si è visto costretto a concedere il ritorno alle elezioni democratiche che la popolazione tanto reclamava. L’esperienza della dittatura è stata fondamentale per il Brasile perché ha spinto tutte le componenti della società a mobilitarsi e coalizzarsi nel Partito del Lavoratori: forte è stata la volontà di far cambiare rotta 9 un indicatore inclusivo nel senso che valuta la ricchezza delle nazioni sulla base di un’ampia gamma di fattori: oltre al capitale fisico anche il capitale umano e soprattutto il capitale naturale; infine, si è utilizzato l’indice Gini per confrontare il livello di disuguaglianze di reddito tra questi quattro paesi e gli altri del mondo. 10 CAPITOLO 1 I Bric come fenomeno economico 1.1 Pil, produzione industriale e agricola Nel suo libro BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, Andrea Goldstein, economista all’Ocse ed esperto di economie emergenti, sostiene che la crescita della produttività è il motore della crescita di lungo periodo di un paese. Secondo le sue stime, quasi un quarto della crescita economica della Cina e più di un quarto di quella dell’India sono dovute alla crescita della produttività totale dei fattori, ovvero del capitale fisico e della forza lavoro. Secondo la Banca Mondiale, tra il 1999 e il 2005 anche la Russia ha sperimentato un forte aumento della produttività, pari al 5,8% annuo1. In Brasile, al contrario, tale fenomeno si è verificato fino alla metà degli anni ’70 e negli ultimi vent’anni si è assistito ad una fase di stabilità. I motivi che possono spiegare un incremento della produttività sono disparati: il modo in cui vengono impiegati dei fattori produttivi a disposizione, gli interventi sull’economia, la riallocazione dei fattori produttivi da settori tradizionali come l’agricoltura ad altri più moderni ed infine la scelta di imprese più efficienti e competitive per sostenere la crescita. Nel caso del Brasile, è il miglior utilizzo dei fattori produttivi che ha giocato un ruolo decisivo; in Cina e in India, invece, le imprese ormai vecchie sono state eliminate; in Russia, infine, l’impiego delle risorse è stato affidato ad imprese più dinamiche e produttive. Per comprendere in dettaglio l’evoluzione delle economie dei Bric, come afferma Goldstein, è necessario considerare il tasso di crescita del Pil. Tale indicatore è definito da Kenneth A. Reinert come il valore di tutti i beni e servizi prodotti all’interno di un paese in un anno.2 Più precisamente, esso “corrisponde alla produzione totale di beni e servizi dell’economia, al netto dei consumi intermedi e aumentata dell’Iva e delle imposte indirette sulle importazioni”.3 Analizzando i dati raccolti dalla Banca Mondiale e riportati da Goldstein emerge che, nel 1 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 17.. 2 Reinert Kenneth A., An introduction to International economics: New Perspectives on the World Economy, Cambridge University Press, New York, 2012, pag.459. 3 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 161. 11 periodo che va dal 2000 al 2008, i Bric sono cresciuti più rapidamente rispetto ai G6. Infatti, il Pil pro capite dei Bric è passato dal 6,4 al 14,3% di quello dei G64. Occorre però fare una precisazione: la sigla G6 indica gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, la Francia, il Regno Unito e l’Italia. Goldstein preferisce dunque escludere il Canada. Se si considerano poi i Bric singolarmente, le loro performance economiche sono tutte positive nel periodo 2000-2010. La Cina ha registrato una crescita del Pil maggiore rispetto agli altri tre paesi e non ha più toccato il valore più basso, cioè l’8,3% del 2001; al secondo posto c’è l’India, dove si è verificata un’inversione di tendenza eccezionale, dal 5,4% medio del 2000-2003, all’8,2% del 2004- 2009; terzo posto per il Brasile e, infine, la Russia, che è passata dal 6,8% nel 2000-2003 al 4,5% nel 2004-2009.5 La crescita del Pil di quest’ultimo paese è comunque complessivamente positiva considerata la recessione del 2009 causata dalla riduzione delle esportazioni petrolifere. Goldstein analizza poi la composizione del Pil nei Bric dal lato della domanda. Per domanda si intende “la spesa totale effettuata in un sistema economico, composta da consumo, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette”. 6 Tra il 2000 e il 2008, l’apporto di ognuno di questi fattori al Pil è rimasto inalterato, mentre nei Bric c’è stato un aumento di quello degli investimenti, dal 24,1% (rispetto al 21,1% nei G6) al 32,3% (a differenza del 20,1% nei G6). 7 Ognuno dei Bric, tuttavia, è un caso a sé stante: in Brasile la domanda è composta principalmente dai consumi; in Cina è dominante la componente degli investimenti; in Russia, infine, il saldo commerciale è il più alto di tutti.8 L’economista prende poi in considerazione i risultati dei Bric nell’industria e nell’agricoltura, dunque nel settore secondario e primario. Per quanto riguarda il settore manifatturiero, in quanto a valore aggiunto ed esportazioni pro capite (misurate in dollari), il Brasile è il paese più all’avanguardia, mentre l’economia cinese è più proiettata alle esportazioni e maggiore è l’incidenza del manifatturiero nel suo Pil.9 Inoltre, questi due paesi si differenziano dagli altri due Bric per il peso della produzione ad alta 4 Ibid., pag.14. 5 Ibid., pag.18. 6 Ibid. 7 Ibid. 8 Ibid., pag.21. 9 Ibid., pag.21-22. 14 Janeiro e Mosca la popolazione aumenterà del 27% tra il 2007 e il 202523. Tre nuove città, Shenzhen, Guangzhou e Chennai, raggiungeranno i 10 milioni di abitanti; crescerà anche il numero di città intermedie, ovvero con una popolazione compresa tra 1 e 5 milioni di abitanti. 24 Parallelamente, si stanno anche ampliando delle grandi regioni che fungono da collante con i centri urbani; due esempi indiscussi sono Hong Kong-Shenzhen-Guangzhou e il corridoio San Paolo-Rio de Janeiro. In India non troviamo questo scenario, ma ingenti finanziamenti sono previsti per mettere in comunicazione il porto Jawaharlal Nehru di Navi Mumbai con la capitale Delhi.25 Tra tutte le componenti della popolazione sono le classi medie ad avere sempre più influenza e a detenere un maggiore potere d’acquisto. Per classe media Goldstein intende “gli individui con un reddito annuo compreso tra i 6 e i 30 mila dollari”.26 Secondo le stime dell’economista, nel 2009 l’8% del consumo della classe media mondiale è stato nei Bric e dovremo attenderci che tale percentuale ammonti al 30% nel 2020 e al 46% nel 2030.27 Conformemente a quanto indicato dalla Banca asiatica di sviluppo, considerando un reddito disponibile giornaliero compreso tra i 2 e i 20 dollari (in Ppa), la classe media corrisponde al 63% della popolazione cinese e il 25 di quella indiana.28 Tali percentuali rappresentano 817 milioni di consumatori in Cina e 274 milioni in India.29 Siccome Brasile e Russia hanno redditi medi pro capite maggiori, la porzione di popolazione che è classificata come classe media è maggiore; malgrado ciò, avendo un numero di abitanti inferiore agli altri due Bric, le percentuali non sono parimente sorprendenti. Secondo il governatore della Banca centrale del Brasile, Henrique de Campos Meirelles, tra il 2003 e il 2009 all’incirca 36 milioni di brasiliani hanno avuto accesso alla classe media e tale dato rimarrà immutato fino a alla fine del 2014.30 Si è creata, sostanzialmente, una “classe media globale” 31che ha bisogni e prospettive affini. 23 Ibid. 24 Ibid. 25 Ibid. 26 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 37. 27 Ibid. 28 Ibid., pag. 38. 29 Ibid. 30 Ibid. 31 Ibid. 15 Inoltre, la popolazione dei Bric è composta sempre più da individui estremamente ricchi. È sorprendente il fatto che, secondo la classifica della rivista americana Forbes, nel 2010 Cina e Russia ospitano rispettivamente 64 e 62 miliardari e solo gli Stati Uniti ne hanno un numero maggiore.32 Interessanti sono anche i dati forniti da Capgemini, una delle società di consulenza più grandi del mondo, secondo cui su 10 milioni di individui che a livello mondiale hanno almeno 1 milione di dollari a disposizione da investire, 868 mila sono nei Bric.33 Utile ai fini di comprendere le tendenze di lungo periodo è la classifica elaborata da Cushman & Wakefield, una delle più prestigiose società private del mercato immobiliare mondiale, in merito ai quartieri commerciali più costosi al mondo. Tra il 2009 e il 2010, l’Iguatemi Shopping di San Paolo è salito di tre posizioni raggiungendo l’undicesimo posto, la Tverskaja di Mosca è attualmente al quindicesimo e, infine, la East Nanjing Road a Shangai ha scalato quattro posizioni e si colloca ora al sedicesimo posto. Queste nuove aree stanno dunque progressivamente sostituendo la celebre Fifth Avenue a New York, il quartiere Ginza a Tokyo e la New Bond Street a Londra. È inoltre sorprendente come prendere in affitto uno spazio commerciale al Khan Market, la via dello shopping di New Delhi, costi tanto quanto a Bloor Street, la strada più rinomata di Toronto, chiamata anche il “miglio dei visoni”.34 32 Ibid. 33 Ibid., pag.39. 34 Ibid., pag.39. 16 1.3 Dimensione internazionale: commercio, conti con l’estero e investimenti esteri nei Bric Allo scopo di analizzare il commercio, i conti con l’estero e gli investimenti esteri nei Bric, è di fondamentale importanza cominciare col definire il concetto di bilancia dei pagamenti. Secondo Goldstein, essa è uno “schema contabile che registra le transazioni economiche intervenute in un dato periodo tra residenti e non residenti”.35 Le transazioni economiche sono, a loro volta, il trasferimento di risorse sia reali, cioè beni, servizi e redditi, sia finanziarie. Anche la definizione di Kenneth A. Reinert non si discosta molto. Secondo lui la bilancia dei pagamenti è l’ insieme dei conti economici delle transazioni tra un paese e il resto del mondo;36 distingue poi tra conto corrente e conto finanziario, le due sottosezioni della bilancia dei pagamenti. Il primo implica il passaggio di “assets”, cioè beni e servizi, il secondo invece no.37 Innanzitutto, è importante considerare il commercio, ovvero le importazioni e le esportazioni di beni e servizi di un paese. La bilancia dei pagamenti, in questo caso, misura il saldo commerciale, inteso come la differenza tra export ed import. Se si considera la percentuale del commercio nel Pil di questi paesi, il dato che salta agli occhi immediatamente è il 65,1% della Cina nel 2008. A seguire, ci sono la Russia con un 52,8% e l’India con un 50,7%; il Brasile, al contrario, rileva solamente un 28,5%. La Cina ha un forte surplus commerciale poiché le sue esportazioni sono maggiori delle importazioni, nonostante le importazioni di materie prime stiano aumentando per supportare la produzione domestica. Gran parte delle esportazioni cinesi sono etichettate come “commercio di trasformazione”38, in altri termini beni intermedi che vengono importati e lavorati per essere immessi nel mercato estero; Hong Kong è il crocevia del commercio cinese. Straordinario è come nel 2009 la Cina sia riuscita a scavalcare la Germania guadagnandosi la posizione di primo esportatore mondiale di beni; il valore delle sue esportazioni nel medesimo anno è pari a 1.202 miliardi di dollari, mentre quello della Germania è 1.121.39 Risultato sbalorditivo visto e considerato che nel 2000 la Cina era al 35 Ibid., pag.157. 36 Reinert Kenneth A., An introduction to International economics: New Perspectives on the World Economy, Cambridge University Press, New York, 2012, pag.455. 37 Ibid., pag.457. 38 Ibid., pag.68. 39 Ibid., pag.72. 19 Nel caso dell’ “efficiency seeking”, il guadagno per l’impresa deriva dalle economie di scala, espressione che indica “la riduzione dei costi unitari al crescere della quantità prodotta”50, o dalle “firm-level economies”, vale a dire i guadagni di un’impresa che derivano dalla collocazione di specifici asset propri dell’impresa stessa, tangibili e non, in diverse strutture produttive, incluse strutture in più di un paese.51 Per asset tangibili si intendono specifici materiali o materie prime di cui l’impresa è in possesso, mentre gli asset intangibili sono le specifiche conoscenze o capacità organizzative proprie ad un’impresa.52 La Cina è stato il primo Bric ad usufruire delle global value chains, in un primo momento nell’abbigliamento e, successivamente, nell’elettronica. Anche i settori di trasformazione di risorse naturali sono interessati alle global value chains. Esempi significativi sono quelli dell’agricoltura brasiliana: le coltivazioni del mango e dell’uva di Petrolina Juazeiro, una delle Regioni amministrative integrate di sviluppo presenti in Brasile, quella della mela di Santa Catarina e del vino della Serra Gaucha.53 Fin qui si è discusso della parte della bilancia dei pagamenti che misura lo scambio di risorse reali. Resta allora da considerare l’altra parte: il flusso di rendite, interessi, profitti, rimesse ed altri tipi di trasferimenti. Due Bric, la Cina e la Russia, accumulano avanzi già da molti anni; l’avanzo russo è giustificato dalle esportazioni energetiche, mentre quello cinese dalle esportazioni in svariati settori tra cui quello manifatturiero e tecnologico. Per quanto riguarda gli investimenti esteri nei Bric, essi sono aumentati notevolmente negli ultimi anni. Le multinazionali di tutto il mondo sono attratte dai mercati di questi paesi. Infatti, dal 2007 al 2009 la percentuale complessiva dei Bric negli investimenti internazionali in entrata è quasi raddoppiata, dal 9,4% al 17,4%. 54 I motivi per cui le imprese occidentali sono indotte ad investire in questi paesi emergenti sono i seguenti: la significativa crescita economica; la progressiva affermazione delle classi medie; la presenza di manodopera e risorse naturali; l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei capitali e la riduzione delle barriere commerciali. In particolare, il Brasile nel 1991 ha aderito insieme all’Argentina, 50 www.treccani.it 51 Reinert Kenneth A., An introduction to International economics–New Perspectives on the World Economy, Cambridge University Press, New York, 2012, pag.163. 52 Ibid. 53 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 77. 54 Ibid. pag.79. 20 al Paraguay e all’Uruguay al Mercosur, ossia un accordo commerciale preferenziale istituito con il Trattato di Asunción.55 Dal 2006 il Mercosur è a tutti gli effetti un’unione doganale,56 cioè un accordo tra i paesi prima elencati finalizzato ad eliminare le restrizioni al commercio e ad adottare una tariffa esterna comune.57 Il Paraguay è stato sospeso nel 2012; sono Stati associati la Bolivia dal 1996 e il Cile dal 1997, il Perù dal 2003, la Colombia e l'Ecuador dal 2004. Il Venezuela, infine, è diventato membro dell'organizzazione il 31 luglio 2012.58 L’adesione del Brasile al Mercato comune del Sud allarga il suo raggio d’azione ad un mercato regionale più attraente di quello esclusivamente nazionale. Non sorprende che in Brasile nel 2010 le vendite delle imprese controllate da investitori esteri erano pari al 25% del Pil;59 tra le più importanti imprese estere presenti sul territorio brasiliano ci sono la Volkswagen, la Fiat, la Ford, la Tim e la Shell. Va citato anche Rhôdia, un gruppo chimico francese di prestigio mondiale, che è insediato in Brasile dal 1919 e in Cina dal 1980, dove oggi ha 14 siti industriali, ha 2 mila dipendenti e ha aperto un centro di ricerca60. Tutte queste attività rappresentano il 10% del fatturato del gruppo e il 70% dei nuovi investimenti.61 In India c’è stato un’enorme diffusione di centri di ricerca e sviluppo multinazionali, da meno di 100 nel 2003 a quasi 750 alla fine del 2009, tra cui uno della Unilever, una multinazionale anglo- olandese che detiene molti brand nel campo dell'alimentazione, bevande, prodotti per l'igiene e per la casa.62 Un altro centro è presente a Shangai. Se si considera poi il settore dell’automobile, è sorprendente constatare che i 13 principali produttori mondiali nel 2008 hanno assemblato un sesto del numero totale di automobili nei Bric.63 La Suzuki, per esempio, ha molto potere in India e la Fiat oramai produce di più in Brasile che in Italia. Nel settore 55 Reinert Kenneth A., An introduction to International economics–New Perspectives on the World Economy, Cambridge University Press, New York, 2012, pag.129. 56 Ibid. 57 Ibid., pag.119. 58 www.mercosur.int 59 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 80. 60 Ibid. 61 Ibid. 62 www.unilever.com 63 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 81. 21 vendite, Carrefour realizza il 14% dei suoi introiti in Brasile e Cina.64 Le banche, la Goldman Sachs per prima, acquistano titoli in base all’importanza rivestita dalle diverse società nei Bric: quanto più una società ha prestigio, tanto più il titolo è interessante. Attualmente, numerose società occidentali decidono di spostare alcuni dei propri dirigenti nei mercati emergenti, particolarmente in Asia, laddove ci sono delle aspettative di crescita. Esemplare è il caso della Hsbc (Hong Kong and Shangai Banking Corporation), uno dei più grandi gruppi bancari al mondo, che ha trasferito il proprio amministratore delegato, Michael Geoghegan, da Londra a Hong Kong.65 Ancor più significativa è la scelta della Fiat di far accedere il proprio responsabile per l’America Latina, il brasiliano Cledorvino Belini, nel consiglio esecutivo del Lingotto.66 64 Ibid. 65 Ibid. 66 Ibid. 24 La Cina, infine, è il caso più eclatante di dominio delle imprese pubbliche. I guadagni di Petrochina e China Mobile nel 2009 hanno superato quelli delle 500 principali società private messe insieme.79 Il mercato telefonico cinese, in particolare, è in mano a tre imprese pubbliche: la già citata China Mobile, Unicom e China Telecom. Dietro all’efficienza di tali imprese c’è stato un proliferare di banche e centri finanziari nei Bric. Da 43 nel 2000, le banche Bric tra le 1000 più grandi al mondo, sono diventate 130 nel 2008 e 146 nel 2009.80 In Cina ci sono prevalentemente banche pubbliche: alcune sono banche commerciali, come per esempio Bank of China, China Construction Bank, Agricultural Bank of China e la Icb; altre sono policy banks, ovvero banche che concedono fondi per progetti voluti dal governo, come la China Development Bank. Anche in Russia ci sono banche pubbliche, tra cui Grazprombank e Vtb; in Brasile invece ce ne sono anche di private, come Bradesco. Registrano una forte crescita anche i centri finanziari come Hong Kong, San Paolo e Singapore.81 79 Ibid. pag.105. 80 Ibid. pag.103. 81 Ibid. 25 1.5 Innovazione, R&D e creatività nei Bric C’è un forte legame tra innovazione e sviluppo economico. Come distingue Goldstein, ci sono indicatori che misurano “l’input dello sforzo innovativo”82 di un paese ed altri che ne misurano “l’output”. 83 In economia per input si intendono tutti i fattori produttivi impiegati per la produzione di un bene o servizio ed il loro relativo costo; con il termine output, al contrario, ci si riferisce a tutti i beni o servizi prodotti da un paese. Uno degli indicatori di input è la spesa interna lorda in ricerca e sviluppo (Gross domestic expenditure on R&D, Gerd); nei Bric si è attestato un aumento del 111% della spesa dal 2002 al 2007 e in quest’ultimo anno rispetto alla Gerd mondiale la loro percentuale è stata 14,9%.84 L’incremento nella spesa in R&D è stata superiore alla media Ocse. Da un lato nei Bric si è passati da un Gerd di 81,0 miliardi di dollari ad uno di 170,9 miliardi; dall’altro negli Ocse l’aumento è stato solo da 661,3 miliardi a 894,7 miliardi.85 Se si considera poi l’incidenza della Gerd sul Pil, notevole è la performance della Cina: dall’1,1% all’1,4% in cinque anni.86 Tra gli indicatori di output invece ci sono il numero di ricercatori e il numero di pubblicazioni scientifiche di un paese. Tra il 2002 e il 2007 il numero di ricercatori è cresciuto in Brasile, Cina e India. Cina e Russia sono i due Bric con più ricercatori, ma se la Russia ne conta 469 migliaia, la Tigre Asiatica ne ha addirittura 1,4 milioni, dunque ci sono dei buoni presupposti affinché essa possa minare la supremazia fin’ora incontrastata di Stati Uniti e Unione Europea. Anche i miglioramenti del Brasile sono degni di nota. Nell’anno 2007 se considerato il Gerd per ricercatore in migliaia di dollari, in poche parole i soldi di cui egli può usufruire, il ricercatore brasiliano ha un budget di 162 migliaia di dollari, il doppio rispetto ad un collega cinese e il triplo in confronto ad un russo. Solo l’India riesce ad avvicinarsi al Brasile con 127 migliaia di dollari a disposizione per ogni ricercatore.87 Un ulteriore indicatore di output è il numero di pubblicazioni. I Bric producono quasi un quinto del totale mondiale; considerato l’anno 2007, la Cina detiene la quota maggiore di pubblicazioni rispetto agli altri Bric (10,6%), 82 Ibid. pag.91. 83 Ibid. 84 Ibid. pag.91. 85 Ibid. 86 Ibid. 87 Ibid. pag.92. 26 percentuale che è più che raddoppiata dal 2002 al 2007. 88 Anche il Brasile è progredito notevolmente e la sua quota è aumentata del 60%.89 La Cina ha quindi compiuto passi da gigante nel campo della ricerca scientifica. Al rilievo che l’industria pesante, in cui rientrano i comparti del metalmeccanico, del siderurgico e del metallurgico, riveste nell’economia cinese è connesso l’interesse per la scienza dei materiali, la chimica e la fisica.90 Nel campo della metallurgia e dell’ingegneria gli scienziati cinesi hanno redatto un terzo di tutti i paper pubblicati al mondo negli ultimi dieci anni. Il colosso asiatico, tuttavia, non limita la propria ricerca a questi settori: esso sta crescendo anche nelle agroscienze, nell’immunologia e nella microbiologia. Il Brasile invece è specializzato in medicina tropicale, parassitologia, la Russia in fisica nucleare e gli indiani in ingegneria agricola e medicina tropicale.91 Un altro indicatore utile per mettere a paragone lo sforzo innovativo è la produzione di brevetti. La produzione di queste licenze è aumentata del 26% tra il 2003 e il 2009 in Cina e, se tale tasso rimarrà costante, l’ufficio brevetti cinese, il quale riceve le domande e i depositi finalizzati all'acquisto e al mantenimento dei diritti di proprietà sulle invenzioni, è destinato a divenire a breve il più dinamico di tutto il mondo.92 Anche l’India ha registrato un aumento di brevetti: nel 2002 erano 323, mentre nel 2007 sono divenuti 741.93 L’ufficio di Mosca, il sesto al mondo, è anch’esso molto attivo e riceve 42 mila domande all’anno. Complessivamente, i Bric nel 2007 hanno ottenuto il 5,5% rispetto al 4,0% di cinque anni prima; tale incremento è avvenuto grazie alla Cina. È rilevante aggiungere che esiste un trattato, il Patent Cooperation Treaty, concluso nel 1970 ed entrato in vigore nel 1979; come è specificato nel sito ufficiale della WIPO (World intellectual property organization), il trattato permette di entrare in possesso di protezioni brevettuali in un gran numero di paesi compilando una “international patent application”.94 Il numero di richieste dei Bric è passato dal 3% del totale nel 2005 al 6,4% nel 2009. Tra le imprese che presentano più domande di diritti brevettuali, c’è la cinese Huawei, un colosso nella produzione di telefoni cellulari. Essa si colloca al secondo posto, tra 88 Ibid. pag.93. 89 Ibid. 90 Ibid. 91 Ibid. 92 Ibid., pag.94. 93 Ibid., pag.95. 94 www.wipo.int 29 entrepreneur descrive le tre principali piattaforme di Alibaba: Taobao (transazioni elettroniche da consumatore a consumatore); Tmall (transazioni elettroniche dall’impresa commerciale al cliente) e infine Alibaba.com (transazioni commerciali elettroniche tra imprese).110 Come il riporta il New York Times in un articolo del 22 settembre 2014, in un suo recente discorso l’imprenditore cinese sostiene che gli americani sono molto abili con gli hardware, dunque con tutte le parti elettroniche e meccaniche dei computer, ma in quanto a software e conoscenze relative, i cervelli cinesi sono alla pari di quelli americani. Per questa ragione, Ma è convinto che i cinesi possano e debbano competere con le menti d’oltreoceano e prende come punto di riferimento lo spirito di impegno e duro lavoro di Silicon Valley. Ma ha lanciato così una sfida per la leadership globale della Silicon Valley e il potere di Internet potrebbe avere un nuovo centro gravitazionale: l’Asia;111 va aggiunto che i prodotti progettati nella San Francisco Bay Area affascinano fortemente il mercato cinese e il boom di acquisti dell'ultimo modello di iPhone della Apple in Cina è stato superiore a quello registrato in America.112 L’obiettivo di Ma è di creare un milione di posti di lavoro, fare della Cina il più grande mercato di Internet al mondo ed influenzare positivamente lo sviluppo del suo paese.113 Quattro elementi sono alla base dell’ideologia imprenditoriale di Jack Ma.114 In primo luogo, secondo lui tutto è possibile se si resta fedeli alla propria morale e si lavora sodo, senza mai abbattersi. In secondo luogo, innovazione non è sinonimo di invenzione, dunque è essenziale basarsi su ciò che c’è alle proprie spalle; e-Bay, per esempio, il più grande sito di e-commerce al mondo, è stato preso da Ma come modello per il lancio di Taobao. In terzo luogo, è importante circondarsi da menti capaci e non è un caso se lui ha raggruppato intorno a sé i manager e gli esperti più brillanti, tra cui Jerry Yang, cofondatore di Yahoo. Infine, fondamentali sono il lavoro di gruppo e il clima cooperativo nell’ambiente lavorativo. Ciò che Ma ha fatto è stato adattare la mentalità americana a quella cinese, realizzando una sorta di fusione dell’oriente con l’occidente; l’imprenditore cinese ha studiato molto la cultura occidentale tenendo ben a mente che la cultura, la storia, la filosofia e la mentalità sono elementi essenziali per il successo di un 110 www.entrepreneur.com, articolo del 29 settembre 2014. 111 www.repubblica.it, articolo del 25 settembre 2014. 112 Ibid. 113 www.nytimes.com, articolo del 2 settembre 2014. 114 www.entrepreneur.com, articolo del 29 settembre 2014. 30 qualsiasi business.115 Il suo sogno, inoltre, è quello di fondare un’università per creare una nuova generazione di imprenditori cinesi adeguatamente istruiti.116 Per quanto concerne l’India, essa è all’avanguardia principalmente in due campi: quello dell’ “innovazione frugale”117 e quello dell’industria spaziale. Come spiega Goldstein nel suo libro, per “innovazione frugale” si intende lo sforzo di progettazione di prodotti che siano il più possibile di facile utilizzo, considerato il target al quale sono destinati, ovvero un’utenza generalmente povera e che non ha accesso diretto alle infrastrutture elettriche. Due esempi meritano di essere citati: la Nano e il Mac 400. Nel primo caso si tratta dell’auto della Tata, chiamata appunto Nano, venduta nel 2008 a meno di 2 mila euro.118 Secondo un articolo dell’Indian Express pubblicato il 9 ottobre 2014, Tata Motors e Carzonrent, un’impresa di autonoleggi indiana, hanno siglato un accordo per cui i cittadini possono noleggiare una Nano a sole 399 rupie al giorno. Come parte dell’iniziativa “Myles City Drive”, Tata Motors fornirà 200 Nano a Carzonrent.119 L’esempio della Nano dimostra la forte capacità indiana di innovare e progettare in funzione delle nuove esigenze della propria popolazione; si tratta dunque di una creatività che trova soluzioni per nuovi bisogni. Il Mac 400 della General Electric è un apparecchio progettato a Bangalore per registrare l’elettrocardiogramma; è strumento estremamente innovativo in quanto è più leggero, meno costoso dei modelli tradizionali, è portatile e può essere utilizzato nelle campagne.120 La National Mission for Bamboo Applications incoraggia l’impiego di questo materiale, di cui l’India rappresenta il 30% della produzione mondiale.121 Non è tutto qui però; l’India infatti ha anche un’industria spaziale molto efficiente. Tra il 1975 e il 2009 la Indian Space Research Organization (ISRO) ha lanciato in orbita 55 satelliti, dei quali all’incirca la metà per osservare la Terra. Gli investimenti per finanziare tali missioni rappresentano lo 0,1% del Pil ed hanno permesso l’elaborazione e il lancio di un software, Bhuvan, che è in grado di fornire immagini 115 Ibid. 116 Ibid. 117 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 98. 118 Ibid. 119 www.indianexpress.com 120 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 98. 121 Ibid., pag. 98-99. 31 tridimensionali di una migliore qualità rispetto Google Earth e WikiMapia.122 Recentissima, per l’appunto, è la missione indiana su Marte, denominata Mangalyaan. La mattina del 24 settembre 2014 il satellite è arrivato in orbita dopo un viaggio di 299 giorni, avendo ricoperto una distanza di più di 670 km. Il lancio è avvenuto il 5 novembre 2013 dal Satish Dhawan Space Centre in Sriharikota in India. Si tratta della missione interplanetaria più economica mai intrapresa: è costata solo 74 milioni di dollari,123 equivalenti a 4,5 miliardi di rupie, ovvero poco più di un decimo di quella statunitense Maven, la nuova sonda della Nasa che è entrata in orbita attorno al pianeta rosso il 22 settembre 2014.124 In altre parole, la sonda indiana rappresenta l’11% dei costi avuti per realizzare Maven, 125 la quale è costata alla Nasa ben 671 milioni.126 È sorprendente come attraverso la Mars Orbiter Mission, (Mom), l’India abbia battuto ogni record: con tale sonda, è stato il primo paese a raggiungere al primo tentativo il Pianeta Rosso.127 La missione durerà sei mesi ed ha come obiettivo quello di analizzare l’atmosfera di Marte, cercando di rilevare grazie ad appositi sensori eventuali tracce di metano, un possibile indicatore della presenza di forme di vita.128 L’India vede tale missione come un’opportunità per battere il suo rivale per eccellenza in quanto all’approdo su Marte, cioè la Cina, dopo che la missione russa che trasportava il primo satellite cinese su Marte è fallita nel novembre del 2011. Anche il Giappone nel 1998 non era riuscito in tale impresa.129 È un grande risultato per l’India, considerando che fin’ora la Cina era sempre stata un passo avanti: i suoi razzi possono sollevare un peso quattro volte maggiore rispetto a quelli indiani; nel 2003 ha lanciato il suo primo viaggio dell’uomo sullo spazio, traguardo che l’India non ha ancora raggiunto; infine, nel 2007 la Cina ha fatto la sua prima missione sulla Luna, prima dell’India. Il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, ha affermato che l’India ha varcato il limite della capacità umana e dell’immaginazione, spingendosi oltre; egli ha aggiunto che, sebbene di 51 missioni intraprese fin’ora in tutto il mondo solo 21 erano riuscite, l’India ne è uscita 122 Ibid., pag. 99. 123 www.repubblica.it, articolo del 25 settembre 2014. 124 Ibid., articolo del 22 settembre 2014. 125 www.newindianexpress.com, articolo del 28 settembre 2014. 126 www.corriere.it, articolo del 18 settembre 2014. 127 Ibid., articolo del 25 settembre 2014. 128 www.bbc.com, articolo del 24 settembre 2014. 129 Ibid., articolo del 5 novembre 2013. 34 problemi di sovrapproduzione nell’industria dello zucchero.142 Negli anni ’70 ProAlcool viene visto come l’inizio di un’auspicata indipendenza energetica del Brasile. Tale programma prevedeva e prevede tutt’ora interventi economici mirati da parte del governo per quanto riguarda la commercializzazione di auto a etanolo e ad alimentazione mista benzina-etanolo, conosciuti come flex-fuel.143 L’etanolo è un biocarburante ottenuto a partire dalla canna da zucchero; ad oggi, il 90% delle nuove auto brasiliane vendute sono flex-fuel e funzionano con la miscela E85, ossia 85% etanolo e 15% benzina.144 È importante sottolineare che il Brasile è uno dei paesi pionieri in quanto ad utilizzo di etanolo come combustibile per le autovetture. Grazie ai sussidi del governo, queste auto di nuova generazione costano tanto quanto le auto convenzionali; l’etanolo inoltre rappresenta il 40% del carburante usato nelle auto in Brasile e ci si aspetta che superi l’impiego di benzina nel 2020.145 Come sostiene Andrew Liveris, amministratore delegato di Dow Chemicals, impresa multinazionale statunitense nonché seconda produttrice chimica al mondo, “"When it comes to biofuels and related products, Brazil is the leader. The US is thinking about it. Brazil is doing it."146 Altrimenti detto, in quanto a biocombustibili il Brasile è il paese leader; gli Stati Uniti ci stanno ancora pensando, mentre il Brasile sta agendo concretamente in questa direzione. Un report di Allianz assicurazioni ha collocato il Brasile al terzo posto per quanto riguarda l’indice di sostenibilità dello sviluppo ecologico, dovuto in gran parte all’utilizzo di biocarburanti;147 questo paese è attualmente il maggiore esportatore e produttore di etanolo.148 I vantaggi derivanti dall’utilizzo dell’etanolo sono svariati. Innanzitutto è un’ alternativa green rispetto ai combustibili fossili ed è ottenuto da fonti rinnovabili; in trent’anni, da quando il paese ha avviato il ProAlcool, si stima che ci sia stata una riduzione di 800 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio.149 In aggiunta, la canna da zucchero, da cui l’etanolo deriva, richiede relativamente poca energia per crescere e poi essere convertita in carburante. Un report del Fondo Monetario Internazionale mostra come l’etanolo brasiliano sia l’unica forma di etanolo meno costosa da produrre 142 Ibid., articolo del 3 ottobre 2013. 143 Ibid., articolo del 28 novembre 2012. 144 www.theguardian.com, articolo del 14 marzo 2008. 145 Ibid. 146 Ibid. 147 Ibid. 148 Ibid., articolo del 9 dicembre 2009. 149 Ibid. 35 rispetto alla benzina; in particolare, è meno costoso del 15%, mentre quello americano costa il 18% in più e quello europeo il doppio.150 Va precisato comunque che il Brasile è avvantaggiato rispetto ad altri paesi, poiché gode di un clima favorevole, di vaste estese di terreno e una buona qualità del suolo. La cultura della sostenibilità è molto più radicata e progredita in Brasile rispetto a qualsiasi altro paese dell’America Latina.151 La Russia, infine, sta cercando di applicare i risultati della sua ricerca in fisica alle nanotecnologie. Gli scienziati russi sono tradizionalmente forti nel campo della ricerca nucleare e nel 2014 a ricevere il Premio Nobel era stato individuato l’Accademico Yuri Oganesyan, scienziato del Laboratorio di Studi Nucleari presso l'Istituto congiunto per la ricerca nucleare di Dubna. Anche nel campo dei semiconduttori, che è considerato uno dei più promettenti nel 21° secolo, gli specialisti russi sono attivi e hanno ottenuto un notevole successo. Nel 2000, lo scienziato russo Alferov e l’americano Herbert Krёmer hanno ricevuto il Premio Nobel per lo sviluppo di eterostrutture di semiconduttori utilizzati in optoelettronica ad alta velocità. In generale, i fisici russi hanno ricevuto il Premio Nobel 11 volte. 150 Ibid., articolo del 14 marzo 2008. 151 Ibid. 36 1.6 Istruzione nei Bric Come sostiene Goldstein, affinché un paese si sviluppi è essenziale che la maggioranza della popolazione abbia accesso ad una soglia minima di istruzione. L’Inchiesta Pisa dell’Ocse (Programme for International Student Assessment) si pone come obiettivo quello di verificare le competenze dei quindicenni scolarizzati, se e in che misura abbiano acquisito alcune competenze giudicate essenziali per partecipare attivamente alla vita sociale e per continuare ad apprendere per tutta la vita. L'indagine non accerta soltanto le competenze in Lettura, Matematica e Scienze, ma si concentra soprattutto sulla capacità degli studenti di utilizzare le competenze acquisite durante gli anni di scuola per affrontare e risolvere problemi (problem solving) che si incontrano nella vita quotidiana.152 Tale inchiesta, effettuata ogni tre anni, permette di paragonare ciò che gli studenti apprendono in diversi paesi del mondo, inclusi Brasile e Russia, oltre che la città di Shangai; essa è attualmente il parametro più rilevante in quanto a standard educativi e viene condotta dall’ Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) o in inglese Oecd (Organisation for Economic Co-operation and Development. 153 Quest’ultima ha vinto Pisa 2009 e ciò significa che gli studenti di quindici anni che risiedono in questa città hanno livelli di apprendimento e comprensione superiore a tutti i paesi dell’Ocse.154 Traguardo notevole visto che Shangai ha superato anche Corea e Finlandia, considerate eccellenze indiscusse nel campo dell’istruzione. Ciò fa comprendere quanto peso abbia l’istruzione in Cina. In Russia si è riscontrato un ottimo livello in matematica: nel 2006 il punteggio era 476, dunque superiore a quello di Stati Uniti (474) e Italia (462). In Brasile in matematica c’è stato un miglioramento in Pisa 2006 rispetto a Pisa 2003.155. Per quanto riguarda Pisa 2012 Shangai domina in tutte e tre le discipline: è il primo tra tutti e 34 i paesi Ocse considerati e i 31 paesi partner. I Bric non fanno parte dei paesi membri dell’Ocse, ma Cina, Brasile e Russia in qualità di paesi partner sono presi in considerazione. 152 www.repubblica.it, articolo del 7 dicembre 2010. 153 www.bbc.com, articolo del 26 agosto 2014. 154 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag. 99. 155 Ibid., pag.100. 39 effetto positivo nel lungo periodo.160 L’importanza che l’istruzione riveste in questo paese spiega perché tutti quelli che hanno l’opportunità di studiare vedano ciò come un vero e proprio privilegio.161 Anche coloro che ricevono sussidi dal governo sono profondamente consapevoli dell’opportunità che viene loro concessa e cercano di sfruttarla al meglio. L’articolo sottolinea come lo spirito imprenditoriale e la libertà di innovazione siano il vero motore della crescita dell’economia indiana e come si stiano sfruttando questi due fattori per trasformare il sistema educativo.162 L’India ha grandi progetti in cantiere, tra cui la formazione di 500 milioni di persone per creare una forza lavoro qualificata, non solo nazionale, ma anche globale. Un articolo ancora più recente del The Guardian, pubblicato il 10 ottobre 2014, cita l’obiettivo del governo di portare il tasso di scolarizzazione (Gross enrolment ratio-GER) al 30% entro il 2020, raddoppiandolo. A tal scopo, gli investimenti privati sono fondamentali; Priyanka Goyal, direttore esecutivo dell’ APG Shimla University, sostiene che il Ministro per lo sviluppo delle risorse umane punta ad avere 1000 università private per usufruire di personale qualificato da posizionare nel settore dei servizi e dell’industria. Secondo Goal, l’India deve fare uno sforzo per portare le proprie università da un numero di 677 a 1000.163 Secondo un report del British Council, l’organizzazione internazionale britannica per la promozione delle relazioni culturali e delle opportunità in campo educativo,164 da qui al 2020 il più grande numero di studenti in tutto il mondo si iscriverà nelle università indiane.165 Il Regno Unito sta cercando di far sì che le università indiane creino più opportunità per studenti e accademici per studiare e insegnare in questo paese, oltre ad incoraggiare la collaborazione tramite la ricerca.166 Secondo Lynne Heslop, consulente in formazione di alto livello al British Council in India e autrice del report, entro il 2020 la Cina e l’India produrranno il 40% dei laureati più brillanti.167 A suo parere, siccome anche altri paesi si stanno interessando all’India, il Regno Unito perderà molte opportunità a meno che il settore dell’istruzione collabori con 160 Ibid. 161 Ibid. 162 Ibid. 163 www.theguardian.com, articolo del 10 ottobre 2014. 164 www.britishcouncil.org 165 www.theguardian.com, articolo del 14 febbraio 2014. 166 Ibid. 167 Ibid. 40 l’India, in India.168 Anche Heslop ribadisce che il governo indiano prevede di formare 500 milioni di persone entro il 2020 e creare nuove università. A suo avviso, infine, si tratta della più grande trasformazione del sistema universitario che nessun paese abbia mai affrontato prima d’ora.169 Parlando del report del British Council, Sir Steve Smith, vice cancelliere dell’ Università di Exter, ha affermato che entrambe le università devono vedere questa collaborazione come mutualmente vantaggiosa. Siccome al momento il Regno Unito collabora solo col 2,5%170 del sistema di istruzione secondaria indiana, è auspicabile un aumento dei rapporti collaborativi tra questi due paesi che, storicamente, hanno sempre intrattenuto relazioni molto strette per varie ragioni. 168 Ibid. 169 Ibid. 170 www.theguardian.com, articolo del 14 febbraio 2014. 41 1.7 Il rallentamento delle economie dei Bric Fino ad ora si è parlato della miracolosa ascesa dei Bric nell’economia mondiale. Malgrado ciò, i dati raccolti nell’ultimo anno ci pongono di fronte ad un dato di fatto: c’è stata una decelerazione della crescita. Il 7 ottobre 2014 il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato il report World Economic Outlook, che contiene le ultimissime proiezioni sulla crescita dell’economia globale e analizza i suoi sviluppi nel breve e nel medio termine. Qui di seguito nella figura 1.3 sono riportate le percentuali di crescita del Pil dell’economia mondiale e dei Pil dei Bric.171 Proiezioni 2012 2013 2014 2015 Economia mondiale 3.4% 3.3% 3.3% 3.8% Russia 3.4% 1.3% 0.2% 0.5% Cina 7.7% 7.7% 7.4% 7.1% India 4.7% 5.0% 5.6% 6.4% Brasile 1.0% 2.5% 0.3% 1.4% Figura 1.3 Percentuali di crescita del Pil dell’economia mondiale e dei Bric. Fonte: www.imf.org Il report evidenzia come in Cina la crescita rimarrà forte al 7.4%, trainata dagli investimenti nel settore delle infrastrutture, dal supporto del governo alle piccole e medie imprese e dall’aumento delle esportazioni nette. Ci si attende una leggera diminuzione della crescita che nel 2015 scenderà al 7.1% per due ragioni: minori investimenti dovuti ad un minor credito concesso dal settore bancario ed una minore dinamicità del settore immobiliare.172 Il futuro della Cina, però, è attualmente messo in discussione dalle proteste che hanno avuto luogo e continuano a verificarsi ad Hong Kong. Dopo vent’anni di crescita economica ininterrotta, la Cina si trova ad un vicolo cieco; la crisi cinese è aggravata da debiti arretrati, calo della 171 www.imf.org. 172 www.imf.org, World Economic Outlook, pag.54. 44 sottovalutare un altro effetto delle sanzioni, ovvero la fuga di capitali che ad oggi ammonta a 75 miliardi di dollari;182 l’IMF sottolinea inoltre che tale fenomeno mette pressione ai tassi di interesse e, conseguentemente, provoca inflazione.183 Occorre aggiungere anche il possibile verificarsi di una progressiva diminuzione delle riserve di valuta straniera dovuta alla fuga dei capitali di cui si è appena parlato, al limitato accesso al mercato internazionale dei prestiti e, infine, al calo del prezzo del petrolio, da cui dipende la maggior parte delle entrate di Mosca.184 Come illustrato nella tabella, la crescita della Russia è diminuita, passando da un 1.3% al 0.2% nel 2014, in seguito alle turbolenze geopolitiche prima discusse. Il Pil, in ogni caso, dovrebbe crescere nel 2015 ed assestarsi ad un 0.5%. In breve, il rallentamento della crescita dei Bric sta dimostrando che una crescita economica accelerata non è sufficiente per garantire la continuità dello sviluppo di lungo periodo. A ciò si aggiungono gli squilibri internazionali che stanno pesando ancora di più su queste economie. Il nocciolo della questione è proprio questo: la crescita dei Bric non è e non sarà sostenibile senza un profondo rinnovamento democratico, in senso inclusivo, delle istituzioni politiche ed economiche. 182 www.ilsole24ore.com, articolo del 18 settembre 2014. 183 www.imf.org, World Economic Outlook, pag.59. 184 www.ilsole24ore.com, articolo del 18 ottobre 2014. 45 1.8 Il middle-income trap Il declino della crescita economica dei paesi, inteso come periodi prolungati di recessione o stagnazione che rappresentano un’anomalia nella vita economica di un paese, è sempre più materia di studio e di indagine. Comprensibilmente, c’è un crescente interesse da parte dei leader politici relativo all’individuazione delle determinanti del rallentamento economico, specialmente nel caso dei middle-income countries. Il “middle-income trap”185 è un fenomeno che interessa le economie che hanno conosciuto una crescita economica rapidissima, ma che si sono poi cristallizzate ad un livello di reddito medio, incapaci di salire di grado diventando high-income countries. Sembrerebbe che molti paesi dell’America Latina, incluso il Brasile, rientrino in questa categoria, non essendo riusciti ad assurgere al rango di high-income countries sebbene abbiano raggiunto un livello di reddito medio diversi decenni fa. Al contrario, molti paesi dell’Asia orientale sono esempi di crescita incontrastata, avendo continuato a crescere dopo essere diventati middle-income e facendo sì che il Pil pro capite raggiungesse livelli paragonabili a quelli delle economie avanzate. Forte è il contrasto tra paesi dell’America Latina e quelli dell’Asia. Della prima regione fanno parte il Brasile, Messico e Perù. In passato, questi paesi sono stati i primi a raggiungere il livello in questione; dopo vent’anni circa, sono entrati in una fase di stagnazione (Brasile e Messico) o addirittura in recessione (Perù). Attualmente, anche il Brasile è in recessione. Dell’altra regione, fanno parte la Cina, l’India, Taiwan, la Corea, Singapore e Hong Kong. Per le quattro tigri asiatiche l’anno in cui la crescita ha preso avvio è il 1970. Per la Cina e l’India, invece, il periodo considerato è quello che coincide con la liberalizzazione economica: 1970- 2009 per la Cina e 1980-2008 per l’India. Ad oggi, la parabola della Cina appare essere più sorprendente di quella passata di Corea e Taiwan. In generale comunque, nei middle-income countries gli episodi di stagnazione o recessione sono più frequenti che nei low-income countries. I fattori che possono rappresentare un freno per l’economia possono essere raggruppati nelle seguenti sei categorie: istituzioni, demografia, infrastrutture, politiche macroeconomiche, struttura dell’economia e commercio. 185 Shekhar Aiyar, Romain Duval, Damien Puy, Yiqun Wu, and Longmei Zhang, Growth Slowdowns and the Middle-Income Trap, International Monetary Fund Working Paper, 2013, pag.2. 46 La prima è quella delle istituzioni. Esse svolgono un ruolo cruciale nella crescita. Ci sono quattro variabili in questa categoria: estensione dell’intervento del governo nell’economia, l’indice dello stato di diritto, liberalizzazione del commercio internazionale, regolamentazione e l’indice di apertura finanziaria. L’estensione dell’intervento governativo nell’economia è la variabile che pesa di più rispetto alle altre: la capacità del settore privato di espandersi può essere ostacolata dall’ingerenza del governo, ad esempio. In altre parole, gioca un ruolo di rilievo la capacità del settore privato di crescere e rinnovarsi. Anche la regolamentazione è un fattore importante: quanto più i middle-income countries riescono a deregolamentare le loro economie, tanto più evitano di incorrere in rallentamenti delle loro economie. L’indice dello stato di diritto indica che apparato giudiziario, diritti di proprietà e stipula di contratti sono fortemente associati ad una ridotta probabilità di rallentamento economico. Si ritiene che tra i paesi più a rischio di decrescita legata alle istituzioni politiche ci sia proprio la Cina. La terza è quella delle infrastrutture. Come si può ben intuire, esse hanno una relazione positiva con la crescita economica. Le più importanti tipologie di infrastrutture sono la rete stradale, le linee telefoniche e il sistema dell’elettricità. Si ritiene che l’India, il Vietnam e l’Indonesia siano a rischio di stagnazione proprio a causa delle faglie nel sistema delle comunicazioni e dei trasporti. In merito al commercio internazionale, l’India ha ancora molto da fare per quanto riguarda l’integrazione regionale. La quinta categoria è fondamentale ed è rappresentata dalla struttura economica. Quando un paese di reddito basso diventa a reddito medio si verifica uno spostamento della forza lavoro dal settore agricolo a quello dell’industria. Tale migrazione della forza lavoro e la conseguente trasformazione della struttura dell’economia costituiscono il vero motore della crescita e dello sviluppo. Nel momento in cui il paese è diventato middle-income, però, si pone un problema: riuscire a riorganizzare il settore industriale al suo interno in modo da renderlo efficiente e produttivo. La tendenza per queste economie è quella di restare intrappolate in uno stato di equilibrio mediano, senza riuscire a progredire ed arrivare al livello di reddito di paesi come il Giappone, per esempio. Una variabile che conta, a tal proposito, è la diversificazione settoriale: essa è associata ad una minore probabilità di decrescita. È il caso del Brasile che, avendo un’economia relativamente diversificata, non sta soffrendo al pari della Russia, per esempio, la quale ha puntato tutto sul settore dell’esportazione delle risorse naturali. La diversificazione settoriale, infatti, è una sorta di protezione per il paese da shock che colpiscono settori specifici dell’economia. 49 questi anni, l’intervento dello Stato divenne pervasivo; il dittatore rafforzò il governo centrale alle spese degli stati, privandoli del diritto di tassare il commercio interstatale. Fu dato maggior peso, invece, alle tasse imposte dal governo centrale; furono create imprese statali e negati gli investimenti sull’imprenditoria privata; furono creati i sindacati e posti sotto la sfera di influenza del governo; fu fissato un salario minimo ed infine aumentato il potere della burocrazia centrale. È rilevante sottolineare che ci fu una diversificazione della produzione: il Consiglio del Commercio Estero (Conshelo Federal de Comércio Exterior) cominciò a pianificare nuove produzioni tra cui la carta, l’acciaio e i prodotti chimici.194 L’acquisto di caffè da parte del governo, che sostenne i prezzi durante gli anni ’20, fu eliminato man mano che la produzione di questo bene nei paesi concorrenti cresceva. Al fine di accrescere il consenso attorno al proprio governo, creò un sistema di sicurezza nazionale per i lavoratori e dei sindacati, su cui deteneva il controllo. Egli inoltre costituì il Partito dei Lavoratori per ottenere il supporto dei gruppi populisti. 195 Malgrado ciò, le misure politiche di Vergas non fecero molto per i poveri: non venne previsto il suffragio universale, vennero esclusi gli illetterati dal voto e le riforme sociali non furono estese alle zone rurali.196 Nel 1937, come accennato prima, egli stabilì l’Estado Novo, ispirato alla dittatura del portoghese Antonio de Oliveira Salazar. Vargas perseguì una politica più nazionalista rispetto a quella della vecchia repubblica, riducendo il ruolo delle imprese estere negli impieghi pubblici e bloccando il pagamento dei debiti esteri. Conseguentemente alla sconfitta dei paesi dell’Asse, Vargas fu deposto. Complessivamente, durante gli anni successivi al 1930, il Brasile rimase sempre un’economia relativamente chiusa con infrastrutture piuttosto deficitarie.197 La Terza Repubblica, conosciuta anche come la Nuova Repubblica, durò dal 1946 al 1964. Si verificò l’insorgere del populismo, di una decentralizzazione in favore degli stati e di una crescente instabilità politica. Il populismo è un movimento politico, sociale e culturale che, sulla base di principi e programmi ispirati al socialismo, esalta il popolo come custode di valori positivi.198 Alla Seconda Guerra Mondiale fece seguito un periodo di transizione: si trattò di un intermezzo conservativo sotto la presidenza di Eurico Gaspar Dutra dal ’46 al ’51, 194 Ibid., pag.26. 195 Ibid., pag.21. 196 Ibid., pag.26. 197 Ibid., pag.17. 198 www.treccani.it 50 un generale dell’esercito che era stato un ministro sotto il governo di Vargas.199 Quest’ultimo ritornò come Presidente eletto nel 1951 a suffragio diretto. La sua presidenza fu caratterizzata da una marcata impronta nazionalista; in questo periodo fu creato Petróleo Brasileiro S.A., ossia la compagnia petrolifera Petrobras, il monopolio del governo sulla produzione di petrolio.200 Di tutti i provvedimenti è importante citare l’Istruzione 113 (Instruction 113), ideata per soddisfare il bisogno del settore industriale di importare beni e introdotta nel 1955 dal SUMOC (Superintendency of Money and Credit). Essa garantiva alle multinazionali estere di acquistare ad un basso prezzo i propri macchinari; essa rappresentò, in altre parole, un incentivo per gli investitori esteri, poiché permetteva loro di circonvenire il problema del differenziale tra il tasso di cambio delle importazioni e quello delle esportazioni.201 L’entrata delle multinazionali estere in Brasile fu in tal modo incoraggiata e ciò sostenne la crescita del sistema industriale brasiliano. Da ciò ne consegue che negli anni ’50 la priorità del governo brasiliano era lo sviluppo dell’industria. Sotto pressione per una serie di eventi, tuttavia, Vargas si suicidò nel 1954. Subentrò così Juscelino Kubitschek, che fu eletto presidente nel 1956; egli dichiarò apertamente il suo supporto allo sviluppo industriale basato sulla sostituzione delle importazioni,202logica che prevedeva l’imposizione di dazi all’importazione di determinati prodotti, in modo tale che fosse più conveniente produrli nel mercato domestico. Egli si circondò di tecnocrati, esperti che esercitavano il potere politico in base alle loro competenze tecniche. Va ad essi il merito di aver elaborato il Plano de Metas (Plan of Targets), che verificava i requisiti necessari per il raggiungimento di obiettivi produttivi in settori strategici come l’energia, i trasporti, la produzione di carta, l’acciaio, l’automobile ed infine il settore navale.203 Tre strumenti servirono ad attuare il piano: la creazione di gruppi esecutivi con a carico dei specifici piani settoriali, una politica tariffaria protezionistica di sostituzione alle importazioni e, infine, gli investimenti pubblici. Tutti le misure di controllo dei tassi di cambio applicate dal 1953 erano finalizzate alla protezione dalle importazioni; nonostante ciò, nel 1957 venne introdotto un nuovo sistema di cambi, la Legge delle Tariffe 199 Maddison Angus and Associates, The Political Economy of Poverty, Equity, and Growth-Brazil and Mexico, Oxford University Press, New York, 1992, pag.27. 200 Ibid. 201 Ibid., pag.28. 202 Ibid. 203 Ibid., pag.29. 51 (Law of Tariffs). Essa stabilì tariffe di cambio a valore aggiunto che andavano dallo 0% al 150%, classificate come essenziali o non essenziali.204 Il tasso di cambio per quelle non essenziali era due o tre volte superiore all’altro. Questo sistema era uno strumento della politica industriale.205 Attorno al 1964, però, si verificò una forte inflazione e la rapida crescita aveva accentuato le disuguaglianze sociali e settoriali. Nel 1961 João Goulart, ex ministro del lavoro di Vargas, successe alla Presidenza, in questo periodo di crisi economica e politica. 206 I militari, però, non volevano accettare la sua carica, perché volevano scongiurare il pericolo comunista. Le politiche dell’ex ministro laburista avevano come scopo principale quello di conquistare i favori delle masse, aumentando il salario minimo, promuovendo una riforma della proprietà terriera e rendendo la produzione petrolifera statale. Gran parte di questi provvedimenti collimavano con i principi dei militari, i quali approfittarono della crisi economica e della crescente inflazione come pretesto per destituire Goulart.207 Il colpo di stato ebbe luogo il 31 marzo del 1964 ad opera delle Forze Armate e costituì un vero e proprio spartiacque; tale dittatura si protrasse fino al 1985. Il primo presidente del regime militare fu Humberto Castelo Branco che condusse l’intervento contro di Goulart e fu presidente dal 1964 al 1967. Questo fu un periodo di riforme istituzionali mirate a ridurre il deficit del governo tramite la riduzione dei salari e misure di austerità sul budjet dello stato.208 Venne infatti attuata una politica di austerità con tagli sulle spese; inoltre, ci fu una riforma del sistema di tassazione e ciò aumentò la quota di tasse nel Pil.209 Tali misure ebbero effetti positivi nella riduzione del deficit. Durante questa dittatura, i militari centralizzarono il potere decisionale, limitarono drasticamente il ruolo del parlamento, abolirono i vecchi partiti e privarono i politici dei precedenti governi dei loro diritti civili. Nel periodo che va dal 1967 al 1974 le politiche dei due Presidenti in carica, cioè il generale Artur da Costa e Silva (1967- 1969) e il generale Emílio Garrastazu Médici (1968-74), furono molto repressive. Gli anni dal 204 Ibid. 205 Ibid. 206 Abreu Marcelo and Verner Dorte, Long-term Brazilian economic growth 1930-1994, OECD, 1997, pag.20. 207 Maddison Angus and Associates, The Political Economy of Poverty, Equity, and Growth-Brazil and Mexico, Oxford University Press, New York, 1992, pag.23. 208 Abreu Marcelo and Verner Dorte, Long-term Brazilian economic growth 1930-1994, OECD, 1997, pag.23. 209 Ibid., pag.32. 54 2.1.2 Le politiche del Brasile dagli anni Novanta ai giorni nostri La rinascita del Brasile fonda le proprie radice nelle politiche sociali ed economiche attuate dagli anni Novanta con le misure di Fernando Henrique Cardoso, che vinse le elezioni presidenziali nel 1994 e che era ex ministro delle Finanze nel governo di Itamar Franco.219 Da un lato le liberalizzazioni e privatizzazioni di Cardoso cominciarono ad aprire l'economia brasiliana agli investimenti e al commercio estero, contribuendo ad abbassare i prezzi delle importazioni e a rendere più efficiente la produzione interna.220 Dall'altro lato, il profondo piano di stabilizzazione monetaria introdotto nel 1994, il “Plano Real”, tenne a bada l’altissima inflazione di quegli anni, che cresceva del 1000-2000 percento all'anno e che aveva ridotto alla miseria i cittadini. Tre erano le riforme previste nel cosiddetto Piano Real: l’adozione del cambio fluttuante, la definizione di una politica monetaria basata su obiettivi di controllo dell'inflazione (inflation targeting) e l’approvazione della legge di responsabilità fiscale per tenere sotto controllo la spesa pubblica.221 Così come sottolinea Goldstein, la legge di responsabilità fiscale ha favorito positivamente il funzionamento del sistema federale, nonostante permangano difficoltà nell’organizzare la decentralizzazione fiscale in modo efficace.222 Il Piano Reale permise una diminuzione dei prezzi e, conseguentemente, un aumento dei consumi. I brasiliani ebbero accesso a beni di prima necessità che non avevano mai avuto la possibilità di comprare. Ci fu un’esplosione nel consumo di tutti i prodotti in vendita nei supermercati.223 Per di più, va a Cardoso il merito di aver provveduto ai primi aiuti alle famiglie povere con l’innovativo programma di sostegno all’istruzione, Bolsa Escola.224 Nel 1998 Cardoso fu rieletto Presidente per altri quattro anni e al termine del suo mandato l’indice di gradimento del governo era molto alto. La vera eccezione furono le elezioni presidenziali del 2002, durante le quali vinse l’opposizione di Luiz Inácio Lula da Silva, conosciuto come Lula; egli sconfisse Serra, il candidato del governo. Nel 2001, il Brasile aveva dovuto limitare l’impiego dell’energia: c’era stata una grave siccità e il livello dei 219 www.corriere.it, articolo del 28 marzo 2014. 220 www.lastampa.it, articolo del 2 aprile 2012. 221 www.treccani.it 222 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag.59. 223 www.corriere.it, articolo del 28 marzo 2014. 224 Ibid., pag.41. 55 serbatoi degli impianti idroelettrici era ai minimi. La diminuzione del consumo di energia portò alla recessione e il governo, che aveva avuto il pieno appoggio dei cittadini fino all’inizio del 2001, cominciò a ricevere meno consensi. Nel 2003 fu lanciato il programma Bolsa Família; esso prevedeva l’erogazione di assegni familiari, ovvero il trasferimento di contanti alle famiglie con basso reddito a condizione che i loro bambini frequentassero la scuola, mangiassero in modo adeguato e soddisfacessero altri requisiti finalizzati a migliorare il loro benessere.225 Più nello specifico, per la famiglia che comprende bambini in età scolare è prevista una componente di reddito aggiuntiva e il sussidio è condizionato alla frequenza scolastica; allo stesso modo, per i bambini di età inferiore ai sei anni, invece, sussiste l’obbligo delle visite mediche. Bolsa Família è definito da Goldstein, come un programma di “conditional cash transfer”, una novità nell’ambito delle politiche sociali.226 Un altro esempio è il «Minha Casa Minha vida», che prevede la consegna di tre milioni di case a finanziamento iper-agevolato dalla banca statale: le famiglie meno abbienti ricevono una casa di 50 metri quadrati pagando solo il 5% del suo valore con un mutuo decennale con rate fisse di nove euro al mese.227 Fino a qui, ammontavano a cinque le politiche di reddito minimo, affidate a ministeri diversi e aventi diversi parametri di selettività. I punti di forza di Bolsa Família consistono nell’aver unito i cinque sussidi esistenti in uno unico e di aver dislocato la funzione di gestione in un singolo ministero. La riforma ha consentito di allargare la copertura di questi sussidi da poco meno di 5 milioni di famiglie nel 2001 a 12 milioni nel 2009, equivalente al 26% della popolazione.228 La spesa pubblica a sostegno delle politiche di reddito minimo, d’altro canto, è passata dallo 0,2% del Pil nel 2002 allo 0,5% nel 2009.229 Fondamentalmente, il motore di queste riforme è la volontà di assicurare un trattamento minimo omogeneo su scala nazionale, rendendo standard le procedure, i livelli di sussidio e di accesso ai servizi reputati un diritto di cittadinanza. Di evidente stampo universalista, la riforma ha messo l’accento sulla minimizzazione dei rischi di esclusione e dei costi sociali legati alle pratiche di selettività e di condizionamento previste dalla politica di reddito minimo. In aggiunta, essa ha 225 www.ilsole24ore.com, articolo del 21 marzo 2014. 226 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag.43. 227 www.lastampa.it, articolo del 25 ottobre 2014. 228 Ibid., pag.42. 229 Ibid. 56 messo in rilievo l’applicazione di trattamenti differenziati per far fronte alle disuguaglianze e, per concludere, gli obblighi e la responsabilità dello Stato in qualità di fornitore dei servizi. Non rispettare le condizioni richieste, come per esempio il caso in cui un bambino abbia una frequenza scolastica inferiore al minimo richiesto dal programma, è visto come un sintomo di ulteriore vulnerabilità della famiglia beneficiaria. Altrimenti detto, queste famiglie sono legittimate a ricevere servizi aggiuntivi mirati ad individuare i motivi di inadempimento e a sostenere quelle maggiormente in difficoltà. Bolsa Família ha ampliato il diritto di sussidio a tutti gli individui con un reddito inferiore al livello di povertà estrema, al di là di altri requisiti, individuali o familiari. Va a Lula il merito di aver trascinato fuori dalla povertà 40 milioni di brasiliani dal 2003 al 2010;230 per questo suo impegno alla lotta contro la povertà ha ricevuto il 4 novembre 2009 il premio Chatham House dell’Istituto Affari Internazionali della Gran Bretagna, come riportato dal Sole 24 ore in un articolo del 1 novembre 2014.231 Nel 2006, Lula venne rieletto con grande sostegno da parte della popolazione. Alla base del consenso accordato al Partito dei Lavoratori di Lula c’è la pratica del “bilancio partecipativo”,232 che consente ai brasiliani di dichiarare le proprie preferenze in merito all’impiego delle risorse pubbliche. Negli anni ’70 tale pratica si è diffusa in zone periferiche, ma è diventata popolare su scala mondiale dopo essere stata adottata in città più grandi e importanti come Porto Alegre. Lula è ricordato anche per aver dato particolare rilievo all’imprenditorialità privata e alla politica industriale nei suoi otto anni di Presidenza. Inizialmente egli ha messo in atto politiche di incentivi all’innovazione, allo scopo di supportare la promozione di settori ritenuti dinamici, per poi adottare nel 2008 la “Política de desenvolvimento produtivo” (Pdp)233. Tale politica prevedeva obiettivi per il 2010 per quanto concerne gli investimenti, la spesa privata in ricerca e sviluppo, la percentuale del Brasile nelle esportazioni mondiali e la quantità di piccole e medie imprese esportatrici. Il braccio che ha operato l’attuazione di queste politiche è il Banco Nacional de Desenvolvimento Econômico e Social (Bndes), i cui prestiti per finanziare le privatizzazioni sono passati da circa 20 miliardi di real nel 2000 a 140 nel 2009.234 Il mandato di Lula è scaduto nel 2010, data del giuramento di Dilma Rousseff, il primo presidente donna 230 www.ilsole24ore.com, articolo del 27 ottobre 2014. 231 Ibid., articolo del 1 novembre 2014. 232 Ibid., pag.59. 233 Ibid., pag.107. 234 Ibid., pag.108. 59 situazione economica del Brasile è ambivalente, dunque ci sono due facce della stessa medaglia da considerare. Da un lato, come già messo in evidenza in precedenza e come sintetizzato da Antonella Mori dell'Istituto per gli studi di politica internazionale dell'Università Bocconi, i dati macroeconomici mostrano che il Paese è in recessione, con prezzi alti, un elevato disavanzo del bilancio pubblico e del conto corrente. Dopo un primo trimestre 2014 a -0,2%, anche il secondo periodo dell'anno è stato negativo dello 0,6%. Dall’altro lato però, la disoccupazione è molto bassa, quasi pieno l’impiego, il consumo è aumentato, milioni di brasiliani sono entrati nella classe media negli ultimi anni e milioni di famiglie beneficiano dei numerosi programmi sociali.243 Questa differenza tra cattiva situazione macroeconomica e buona situazione individuale spiega, sempre secondo Antonella Mori, la differente strategia elettorale dei due candidati. Il Presidente in carica, Dilma Rousseff, mette in risalto i successi degli ultimi dodici anni di governo del Partito dei Lavoratori e propone cambiamenti per riprendere il sentiero di crescita in uno spirito di continuità con il passato. Il candidato dell’opposizione, Aécio Neves, considera invece che l'attuale crisi economica sia il risultato del modello interventista-protezionista della Rousseff e che la crisi possa essere superata solo da un cambiamento radicale di modello. La Rousseff è dell’opinione che abbandonare la politica inaugurata da Lula metterebbe in pericolo i risultati ottenuti, vale a dire l’aumento del reddito individuale, la bassa disoccupazione, il calo della povertà e la riduzione della disuguaglianza. Non si può negare che il Brasile di Dilma è un Paese con piena occupazione, dove un numero enorme di persone in difficoltà riceve aiuti decisivi dallo Stato e una nuova classe media compra auto ed elettrodomestici, viaggia in aereo e “mangia carne tutti i giorni”.244 Nella sua concezione di politica, lo Stato è con lei protagonista come regolatore, nelle politiche economiche, nella politica industriale e come finanziatore per gli investimenti. Un’ importante novità, inoltre, è l'inserimento nel suo programma della “competitività produttiva”245 per aumentare la produttività del Paese. Anche per gli analisti della Société Générale, settima banca nella classifica per capitalizzazione dei gruppi bancari della zona Euro con sede a Parigi, con Rousseff di nuovo al potere per il secondo mandato, che significherà sedici anni consecutivi per il suo partito, la politica fiscale e monetaria sarà in linea con il passato. I nodi 243 Ibid. 244 www.corriere.it, articolo del 27 ottobre 2014. 245 www.repubblica.it, articolo del 27 ottobre 2014. 60 che la presidente si troverà a dover sciogliere sono di due tipi: quelli di macroeconomia e quelli di economia domestica. Nella prima categoria rientrano la situazione fiscale e l'inflazione troppo elevata, mentre della seconda fa parte la questione della povertà, la semplificazione del sistema di tassazione e il rilancio delle infrastrutture. È proprio il tema delle infrastrutture che costituisce uno dei puti focali del dibattito relativo all’economia brasiliana. Secondo il parere degli analisti della Société Générale, proprio il declino degli investimenti è stato il primo fattore recessivo per l'economia sudamericana; in questo senso appare motivata la posizione di Neves, secondo il quale per la ripresa degli investimenti è necessaria una maggiore partecipazione dei privati. I detrattori di Dilma aggiungono anche che l’economia stagnante è legata all’eccessivo interventismo dello Stato.246 A questi lei risponde che non c’è bisogno di manovre o tagli, che il Brasile continuerà a crescere e ridurre la povertà con le politiche fin qui seguite. La leader ha oltretutto promesso una lotta dura alla corruzione, nonostante gli scandali continuino a colpire soprattutto il suo partito. Dovrà tra l’altro cercare di risanare le ferite lasciate da una campagna elettorale violenta, che per la prima volta in decenni ha lasciato il Brasile piegato. Risulta dunque evidente come gli approcci dei due candidati si discostino notevolmente tra loro. Neves, infatti, proponeva un cambiamento radicale e soprattutto di ridurre la presenza dello Stato nell'economia. Il candidato dell'opposizione si era impegnato a rispettare tre principi per la politica economica: in primo luogo, autonomia della banca centrale, il cui obiettivo d'inflazione dovrebbe essere progressivamente ridotto fino al 3%; in secondo luogo, responsabilità della politica fiscale, con l'obiettivo di avere un avanzo primario del bilancio pubblico e, infine, flessibilità del tasso di cambio. Neves si era posto l'obiettivo di far ripartire gli investimenti fissi e di aumentare la partecipazione del Brasile al commercio mondiale, stimolando le esportazioni. 246 www.corriere.it, articolo del 27 ottobre 2014. 61 2.2 L’India delle riforme politiche dall’indipendenza ad oggi Per capire l’India di oggi è essenziale rivolgere il proprio sguardo al suo passato e rendersi conto che lo sviluppo attuale di questo Paese si ispira ad una civiltà con un bagaglio di cinquemila anni di storia. Già un trattato come l’ Arthasastra, espressione che significa “trattato di buon governo”, scritto dal consigliere Kautilya del re Chandragupta Maurya verso il 321-290 a.C., dimostra una profonda conoscenza dei mezzi per avere un’economia fiorente. Citando alcune righe del trattato: “La ricchezza ottenuta non deve essere conservata ma spesa […], la via della rettitudine è il lavoro continuo per l’acquisizione di ricchezze e profitti”.247 Secondo questa visione del governo, un buon re è colui che tassa in modo ragionevole, sviluppa le infrastrutture ed incoraggia l’attività di mercanti e contadini. In effetti, l’India ha avuto in passato regni prosperi con caste mercantili sempre in movimento che permisero l’espansione commerciale via mare verso il sud-est dell’Asia e il Medio Oriente, conosciuta come la “via delle spezie”,248 con punti di snodo commerciali dinamici come Malacca da cui era facilmente raggiungibile la Cina. In quanto alle vie terrestri, veniva percorsa la famosa “via della seta”, una cui parte comprendeva i passi dell’odierno Pakistan e confluiva nei porti del Gujarat (Surat), permettendo così alle caste mercantili jain e marwari, ancora oggi colonne portanti dell’economia indiana, di arricchirsi. È in questo processo di sviluppo che si inserisce la costituzione dell’impero Moghul (1556- 1739). L’India catalizza l’interesse degli europei attorno al commercio di tessuti, prodotti da una manodopera di gran lunga meno costosa rispetto a quella inglese, e venduti da caste di mercanti abbienti. All’epoca l’India è nel pieno del suo splendore: la sua bilancia commerciale è in attivo, ovvero il valore delle esportazioni supera quello delle importazioni. All’inizio del diciassettesimo secolo il dominio incontrastato Moghul tiene lontana ogni tipo di ingerenza politica o religiosa. La ricchezza economica genera profitti, maggiori entrate fiscali e doganali e uno sviluppo grandioso dell’industria tessile che garantisce il pieno impiego e riconferma l’India tra le prime potenze economiche del mondo. Tuttavia si nota già un disavanzo notevole con l’Europa, che sta facendo passi da gigante grazie alla rivoluzione agricola ed industriale; basti pensare che nel 1820 il Pil europeo è il doppio rispetto a quello indiano,249 come viene 247 Boillot Jean-Joseph, L’economia dell’India, il Mulino, Bologna, 2007, pag.12. 248 Ibid. 249 Ibid. pag.15. 64 tasso di crescita di lungo periodo. In breve, con il secondo Piano Quinquennale, l’India opera una svolta socialista pianificatrice. Il modello Pcm, dal nome del suo ideatore, viene accolto con gran favore da Nehru e si concretizza in un sistema economico misto, il cui controllo rimane però prerogativa dello Stato per mezzo di un settore pubblico dominante e un corpo di normative che regolamentano rigidamente il settore privato. Per queste ragioni, il piano diverrà celebre sotto il nome di Licence Raj. Il primo aspetto del modello socialista indiano è la pianificazione. Nata con la creazione della celebre Planning Commission da parte di Nehru nel 1950, la pianificazione assume un ruolo sempre più rilevante a partire dal 1955. Da un punto di vista quantitativo, le spese pianificate triplicano la loro quota nel Pil nazionale tra il 1951 e la metà degli anni Settanta.253 Ancor più sorprendente è il fatto che le spese del piano arrivano agli inizi degli anni Ottanta a rappresentare il 60% del bilancio.254 Il secondo aspetto del modello è il settore pubblico. Se si prendono in esame i singoli settori produttivi, il carattere pervasivo del settore pubblico è ancora più evidente con una percentuale nel 1979 del 100% nei trasporti e dell’88,5% in quello dell’energia.255 Per le banche passa dal 12% all’epoca dell’indipendenza, al 41% nel 1965 e all’81% nel 1980 con l’ondata di nazionalizzazioni compiuta sotto Indira Gandhi. In uno scenario di mancanza di risorse, l’Industrial Policy Resolution (Ipr) del 1948 delimita le aree di competenza del settore pubblico, privato delle grandi imprese e di quello delle piccole imprese. L’industria viene divisa in quattro settori: due sotto controllo del governo federale, uno a predominanza pubblica e un quarto lasciato ai privati. In sostanza, questa risoluzione stabilisce il diritto dello Stato di nazionalizzare qualunque impresa in nome dell’interesse pubblico. Nel 1956 è seguita un’altra Ipr che propone un’altra classificazione dei settori pubblico e privato. Si giunge, in particolare, ad un compromesso: una maggiore apertura alle imprese private accompagnata da quote per le piccole imprese.256 Il documento fondamentale è l’Industrial Development and Regulation Act, che stabilisce i parametri per ottenere le licenze industriali e i tetti al di sotto dei quali non serve una licenza. C’è dunque una volontà molto forte di limitare l’espansione delle grandi imprese indiane, che raggiunge il suo apice con l’adozione negli anni Settanta di due leggi: l’Mrtp Act (Monopoly and Restrictive Trade 253 Ibid., pag.23. 254 Ibid. 255 Ibid. 256 Ibid., pag.24. 65 Practices) e il Fera (Foreign Exchange Regulation Act), che fino al 1993 assoggetterà il settore privato al controllo della Banca centrale e del ministero delle Finanze. Dal punto di vista della lotta alle carestie, si può rilevare un dato positivo. Durante il periodo coloniale, come già detto, il paese ha sofferto numerose carestie, tra cui la più recente è quella del Bengala del 1943, che ha provocato 3 milioni di morti.257 Tuttavia, come sottolinea Benjamin M. Friedman nel suo libro Il valore etico della crescita: sviluppo economico e progresso civile, l’India non ha più sofferto carestie dopo il raggiungimento dell’indipendenza nel 1947. Ovviamente, la fame e la denutrizione persistono e il paese ha anche avuto carenze di alimenti particolarmente sentite, in genere come conseguenza dei cattivi raccolti. In ciascun caso, però, il governo ha preso misure in grado di evitare la morte di moltissime persone, tra cui la ridistribuzione di alimenti. Quando si tratta di affrontare crisi acute, dunque, i governi democratici ottengono frequentemente risultati migliori. Basti pensare allo sfortunato caso della Cina che non si è mai dotata di istituzioni democratiche: fra il 1958 e il 1961 la fame ha causato da 15 a 30 milioni di morti,258 una catastrofe dovuta in gran parte al “grande balzo in avanti”, il programma di ristrutturazione del settore agricolo del presidente Mao. Durante il periodo post-indipendentista si possono distinguere due fasi: l’era di Nehru dal 1950 al 1964 e la svolta radicale che fa seguito nel 1965 e che giunge ad un termine con lo stato di emergenza del 1975-1977. La prima fase è caratterizzata dall’instaurazione di un regime liberale. Nehru è Primo Ministro dal 1947 al 1964; egli è il leader del Partito del Congresso, sostiene un regime commerciale liberale e promuove politiche che prevedono investimenti esteri. Nel 1950 viene creata la “Planning Commission”259, nel 1951 viene lanciato il primo Piano Quinquennale e nel 1956 il secondo. Inoltre, nel 1951 hanno luogo le prime elezioni generali. Sostanzialmente, Nehru cerca di favorire gli investimenti esteri in India, concede una serie di facilitazioni alle imprese estere, inclusa l’eliminazione delle tasse sul personale estero e la riduzione delle tasse sul reddito d’impresa.260 Il focus della politica di Nehru è sull’industria pesante, nei confronti della quale adotta un approccio restrittivo. Ci sono tre elementi chiave della politica industriale 257 Friedman Benjamin M., Il valore etico della crescita: sviluppo economico e progresso civile, UBE paperback, Milano, 2013, pag. 466. 258 Ibid. 259 Boillot Jean-Joseph, L’economia dell’India, il Mulino, Bologna, 2007, pag.18. 260 Panagariya Arvind, India: the emerging giant, Oxford University Press, New York, 2008, pag.30. 66 di questo periodo: il ruolo dominante del settore pubblico nello sviluppo dell’industria pesante; la regolamentazione degli investimenti nel settore privato tramite la concessione di licenze; il controllo dei prezzi. Nonostante queste forme di controllo, il settore privato non viene comunque ostacolato ed è relativamente libero di agire. I meriti che vanno attribuiti a Nehru e al Partito del Congresso sono quelli di aver garantito stabilità politica al paese in un contesto democratico; grazie al loro intervento, sono stati fatti investimenti indispensabili nelle infrastrutture. Nei trent’anni successivi all’indipendenza, ad ogni modo, l’India è un paese ancora fragile, che fatica a reggersi in piedi. I risultati economici, infatti, vengono soprannominati “Hindu rate of growth”261 e non superano il 3,5% di crescita annua del Pil, cioè un aumento di circa l’1% pro capite. Lo scarto tra gli obiettivi dei numerosi piani di programmazione economica e i loro rendimenti effettivi continua, purtroppo, ad aumentare. Più precisamente, in India ci sono state un susseguirsi di crisi alimentari in seguito a monsoni devastanti come quello del 1965 che hanno messo a dura prova gli sforzi di investimento previsti da tali piani. Benché alcuni miglioramenti concreti siano stati raggiunti con l’autonomia agricola del paese, la crisi petrolifera del paese nel 1974 mette in luce le difficoltà dell’economia indiana. In più, la situazione politica peggiora durante la seconda metà degli anni Settanta, con lo stato di emergenza del 1977 e la fine della dinastia Gandhi. Per trovare una soluzione a questo malessere economico, si apre un dibattito che coinvolge economisti famosi come K.N Raj, uno degli ideatori dell’espressione “Hindu rate of growth”. È in questo periodo, in particolare dalla metà degli anni ‘90, che in India si sviluppa la pratica del microcredito. Programmi come Bolsa Família in Brasile, già trattati precedentemente, sono un esempio di sperimentazione nel campo delle politiche sociali. Il caso della microfinanza e, più precisamente, del microcredito indiano non sono poi così tanto diversi. Si tratta, per l’appunto, di un sistema basato sull’erogazione di piccole somme di prestiti a fasce della popolazione prive di copertura bancaria. Per questi interventi, l’India riceve il supporto della Ford Foundation e della Cooperazione svizzera. La scelta dei clienti non si fonda sulle garanzie concrete che questi possono offrire, ma piuttosto sulla reputazione di cui un individuo, generalmente donna, gode nella comunità di appartenenza e sulla velocità di rimborso dei prestiti. Le istituzioni di microcredito raccolgono soldi presso le banche 261 Boillot Jean-Joseph, L’economia dell’India, il Mulino, Bologna, 2007, pag.25. 69 Il ritorno al potere del Partito del Congresso di Indira Gandhi nel 1980 è accompagnato da un nuovo Piano Quinquennale, il sesto per la precisione. Tale piano va dal 1980 al 1985, si ispira agli orientamenti del precedente e la campagna elettorale del 1981 prende le mosse sempre dagli stessi slogan: “Garibi Hatao”, vale a dire “Combattiamo per la povertà”271, e l’autosufficienza. In questo periodo l’economia indiana si trasforma progressivamente, sia nell’ambito della configurazione politica, sia in quello della strategia e dei risultati economici. Il tasso di crescita medio del 6% e un aumento del reddito pro capite più del doppio (il 3,6% rispetto al 1,4%) spinge gli economisti a parlare di ascesa economica dell’India. Occorre sottolineare che nel 1976 muore Mao Zedong e la Cina, analogamente all’India, abbraccia una vera e propria svolta. Le strategie di sviluppo di questi due paesi, tuttavia, differiscono tra loro: l’era delle riforme di Deng Xiaoping è un processo radicale intrapreso dall’alto in un regime autoritario; la nuova conformazione politica in India, al contrario, è connessa al fallimento della politica assolutista e del commanding height di uno stato che è consapevole della propria debolezza di fronte ai gruppi di interesse. Lo sviluppo del regime democratico implica un mutamento estremo della partecipazione elettorale, con l’affermazione del voto di casta e dei partiti regionali. Ciò obbliga i partiti panindiani a creare costantemente alleanze per avere il controllo del parlamento federale. La fase delle riforme in India consiste quindi più in un movimento dal basso verso l’alto, e la sua natura democratica è basata sul consenso. La nuova crisi della bilancia dei pagamenti del 1980 causata dalla seconda crisi petrolifera induce la rieletta Indira Gandhi a chiedere sostegno al Fmi, guidato a quel tempo dal francese Jacques de Larosière. A dispetto del parere contrario degli Stati Uniti, ostili a questo alleato dell’Unione Sovietica, il Fondo ottiene l’accordo per la concessione di un prestito di 5 miliardi di Dsp (Diritti speciali di prelievo), contenente però specifiche clausole che scatenano proteste nel paese. Ad ogni modo l’India acconsente a rendere più flessibile la propria regolamentazione interna ed esterna; ciò, però, avviene con una modalità selettiva e secondo il caso, sulla base del cosiddetto “Hindu rate of reform”272, che rende palese la rigidità della burocrazia indiana e dei partiti politici. In tal modo il metodo di funzionamento delle licenze industriali, ovvero delle autorizzazioni amministrative, viene reso più elastico, specialmente dopo la salita al potere nel 1985 di Rajiv Gandhi, il figlio di Indira assassinata nel 1984 da un devoto del Sikhismo della sua guardia del corpo, il quale accelera sulla strada della 271 Boillot Jean-Joseph, L’economia dell’India, il Mulino, Bologna, 2007, pag.29. 272 Ibid., pag.30. 70 liberalizzazione dell’economia. Questo intervento è finalizzato a stimolare il “sentimento imprenditoriale”, citando Andrea Goldstein.273 Nel 1985 le imprese con un fatturato inferiore a 50 milioni di rupie sono quasi del tutto esenti da licenze. Similarmente, i grandi gruppi sottoposti al regime di regolamentazioni del Mrtp Act sono favoriti da una procedura automatica di permessi per importi inferiori ad un miliardo di Inr (rupia indiana), dando via alla concorrenza nel mercato interno. Anche il regime delle licenze all’importazione e all’esportazione viene liberalizzato in favore della modernizzazione industriale e delle esportazioni, che assumono un ruolo di rilievo per ridurre il debito estero. Infine viene alleggerito il pesante carico fiscale: più del 100% di imposta sui redditi delle attività produttive.274 Ciononostante, il sistema dei controlli viene conservato e le tariffe doganali aumentano per bilanciare la riduzione delle barriere non tariffarie. Invero, il miglioramento della performance dell’India è anche l’esito di circostanze esterne favorevoli, degli effetti della rivoluzione verde e di un cambiamento del regime di crescita, oltre che delle riforme adottate. Questa serie di piccoli cambiamenti ha stimolato una risposta rapida e forte dell’offerta e ciò giustifica l’aumento di produttività di questo periodo. Il settore manifatturiero, che si è consolidato sempre più a partire dal 1950, è quello che trae maggiore beneficio da questa nuova situazione. Il lancio nel 1984 dell’impresa automobilistica nata dalla fusione della Suzuki e dell’impresa pubblica Maruti voluto da Sanjay, il figlio maggiore di Indira Gandhi, è il primo emblema di questo nuovo periodo industriale dell’India. Ancora oggi la Suzuki- Maruti rappresenta più della metà dei veicoli privati venduti in India e ormai la Suzuki ha una quota di maggioranza nella joint venture. I risultati economici di questo decennio di svolta sono notevoli. La crescita economica arriva al 3,3% pro capite.275 I consumi privati crescono ad un ritmo molto forte (il 4,5%) e gli investimenti sono indirizzati prevalentemente al settore privato e alle attrezzature produttive. Il rapido incremento delle esportazioni permette di aumentare le importazioni di macchinari più evoluti e di aprire l’India alla rivoluzione elettronica. Il contratto firmato con Alcatel verso la metà degli anni Ottanta è un grande passo in avanti per un paese con una densità telefonica tra le più basse del mondo e dove servono più di dieci anni per avere una linea telefonica. La produttività totale dei fattori produttivi assume 273 Goldstein Andrea, BRIC Brasile, Russia, India, Cina alla guida dell’ economia globale, il Mulino, Bologna, 2011, pag.57. 274 Boillot Jean-Joseph, L’economia dell’India, il Mulino, Bologna, 2007, pag.31. 275 Ibid., pag.32. 71 segno positivo, passando da -0,4% annuo negli anni Settanta a +2,5% negli anni Ottanta.276 L’agricoltura, infine, fa passi da gigante grazie alla rivoluzione verde, che introduce nuove varietà di sementi, tecniche di irrigazione innovative ed un sistema pubblico di distribuzione che permette politiche di prezzi favorevoli per gli agricoltori. Il dinamismo dei servizi e del settore manifatturiero aumentano. Le politiche agricole adottate per rispondere alle carenze alimentari della popolazione meritano un breve approfondimento. Esse si sono articolate in tre fasi: una fase estensiva dopo l’indipendenza, che ha coinvolto tutte le colture e si è manifestata in un aumento delle superfici coltivate. In seguito, la crisi agricola del 1965-66, mettendo in pericolo l’indipendenza del paese, ha velocizzato la rivoluzione verde e ha dato all’obiettivo dell’autosufficienza la priorità in tutte le politiche economiche del paese. Questa fase intensiva si è fondata sull’introduzione di varietà di sementi ad alto rendimento, in prevalenza grano e riso; ci sono stati così cambiamenti nell’utilizzo di fertilizzanti chimici, nell’irrigazione, nello sviluppo di strumenti per lo stoccaggio e la distribuzione ed, infine, nell’ideazione di meccanismi istituzionali come il credito rurale. Viene inoltre previsto un sistema pubblico di distribuzione finalizzato a mantenere bassi i prezzi per la popolazione più povera attraverso sovvenzioni. L’economia nel suo complesso, perciò, è più forte e meno vulnerabile ai fattori esterni, come per esempio i monsoni, che non cessano di manifestarsi periodicamente. Ancorché questa possa sembrare una situazione rosea per l’economia, è proprio in questo contesto che ha luogo la crisi dei pagamenti nel 1991: il paese aveva solo due settimane di riserve di cambio e la situazione internazionale era aggravata dalla prima guerra in Iraq. Essenzialmente, la crisi di cambio è l’apice dell’indebitamento pubblico indiano che è aumentato durante gli anni Ottanta. L’incremento del deficit di bilancio è la prova più evidente di una “svolta incompiuta”277. Da una parte il sesto e settimo Piano Quinquennale (1980-1990) hanno cercato di mantenere vivo il settore pubblico tramite la crescita dei sussidi; dall’altra, gli introiti fiscali si sono ridotti a causa delle rivendicazioni dei gruppi di pressione. Di conseguenza, il debito totale lordo, che costituisce il 46% del Pil nel 1982, passa dal 63% nel 1987-88 al 75% nel 1990.278 Dato che i pagamenti di interessi sono cresciuti di anno in anno del 22% fra il 1979 e il 1987, gli economisti avevano già previsto una crisi nel 1990-92. Il debito estero inoltre 276 Ibid. 277 Ibid., pag.33. 278 Ibid. 74 doganali. In compenso la rupia viene svalutata del 30% nel 1991 e ancora del 15% nel marzo 1992. In ambito statale aumenta il controllo sulle imprese pubbliche, di cui si inizia a considerare un’eventuale privatizzazione, mentre per quanto concerne la politica di bilancio viene istituito uno stringente controllo sui finanziamenti per limitarne l’espansione. In ultima istanza, la Commissione responsabile per il Piano è ridotta sempre più ad un ruolo consultivo e i viene effettuato un taglio netto ai fondi di cui dispone. In occasione delle elezioni generali del 1996, l’economia indiana appare rinata e figura tra le economie più dinamiche del mondo con quattro anni consecutivi di crescita sopra al 7%, dal 1994 al 1997. Per sua grande fortuna, l’India non risente della grande crisi asiatica del 1997 grazie ad una minima integrazione commerciale e finanziaria con l’Asia orientale. Ad ogni modo, le svalutazioni competitive dei paesi dell’Asia del sud-est e della Corea la obbligano a svalutare la rupia nel 1997. La rapidità della crescita del secondo periodo di questo decennio di riforme diminuisce, ma oramai nel paese il consenso è talmente radicato che nessuna coalizione politica è capace far cambiare direzione alle misure avviate nel 1991. Il ritmo rallenta anche a causa dei partiti, che una volta all’opposizione cercano in tutti i modi di ostacolare la coalizione al potere. Del resto, si innesca un animato dibattito ideologico tra il laicismo propugnato dal Partito del Congresso e il fondamentalismo indù difeso dal partito indù Bjp. Quest’ultimo non smette di ricevere voti elezione dopo elezione, raccogliendo particolarmente il voto contro l’islam e contro il Pakistan. È questa tensione che condurrà al test nucleare di Pokhran nel 1998 e al nuovo conflitto con il Pakistan nella regione di Kargill nella primavera del 1999. Ciò causa la critica della comunità internazionale verso India e Pakistan, che per lungo tempo ha aggravato la situazione economica indiana e ha ridotto la fiducia nel paese. Il periodo 1996-2004 è marcato da un rallentamento nella messa in atto delle riforme. Le elezioni del 1996 configurano un parlamento senza una maggioranza ben precisa e il leader del Bjp, Atal Bihari Vajpayee, recede dal potere dopo soli tredici giorni. Il potere passa dunque nelle mani di un fronte guidato dal Partito del Congresso e da una coalizione di partiti di sinistra, tutti confluenti in un Programma minimo comune (Cmp). Un collaboratore di Manmohan Singh, P. Chidambaran, diventa Ministro delle Finanze e cerca di riproporre le riforme del 1991, specialmente una revisione della legge di bilancio in senso liberista. L’Mrtp e il Fera vengono eliminati e viene creata una commissione di privatizzazione (Disinvestment Commission). Il tentativo, però, ha vita breve e dura meno di due anni. 75 Dal 1998 al 2004 arriva per la coalizione Nda (Alleanza democratica nazionale), diretta dal Bjp, il momento di portare avanti le riforme. Il Fera è rimpiazzato da un Fema con competenze più limitate, mentre al posto dell’Mrtp Act arriva una Commissione per la concorrenza. In merito al bilancio pubblico, una legge di responsabilità fiscale è adottata nel 2003 con lo scopo di annullare il deficit corrente entro il 2008. Relativamente ai rapporti con l’estero, la liberalizzazione degli Ide abbraccia nuovi settori dopo il grande successo riscontrato nelle telecomunicazioni e nel settore bancario; oltretutto, la riduzione dei dazi doganali prende piede conformemente all’ Accordo di Marrakech, firmato nel 1994, che sancisce la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ( WTO - World Trade Organisation).287 Le prime privatizzazioni, soprannominate “disinvestimenti”288 per la forte opposizione pubblica, vengono avviate con la creazione di società emblematiche come la Maruti-Suzuki, l’albergo Centaur o la vendita di Modern Foods al gruppo Hindustan Lever. Last but not least, gli investimenti diretti esteri vengono incoraggiati grazie alla riduzione dell’inconvertibilità in valuta estera della rupia. Il bilancio del periodo 1991-2004 è più che positivo in quanto a crescita. Malgrado un ciclo economico che comincia a ridursi nel 1997-98 e i monsoni avversi del 2000 e del 2002, il ritmo di crescita in questo periodo ha oltrepassato il 6% ed il suo coefficiente di variazione inferiore della metà indica una struttura economica con fondamenta più solide. Le esportazioni di beni e servizi aumentano, come anche le riserve di cambio; il debito estero scende a livelli relativamente bassi. È sorprendente come l’India riesca a rimborsare in anticipo alcuni prestiti ottenuti, ad esempio dalla Banca mondiale, ed esce dalla sua situazione di paese in via di sviluppo assistito. Il paese riceve anche aiuti esteri come nel caso dello tsunami nel dicembre 2004. I due settori che trainano l’economia sono l’industria manifatturiera e i servizi commerciali. Una peculiarità della crescita indiana a partire dagli anni Novanta, infatti, è il grande contributo fornito dal settore dei servizi, soprattutto servizi informatici, le assicurazioni, le banche, il settore alberghiero e quello della ristorazione. Si tratta di un fenomeno simile a quello avvenuto in Cina nell’ambito dell’industria manifatturiera. L’India è diventata così il numero uno al mondo nell’esportazione di servizi informatici e di subfornitura alle imprese289. Parallelamente, le classi medie indiane entrano 287 Reinert Kenneth A., An introduction to International economics: New Perspectives on the World Economy, Cambridge University Press, New York, 2012, pag.95. 288 Boillot Jean-Joseph, L’economia dell’India, il Mulino, Bologna, 2007, pag.37. 289 Ibid., pag.102. 76 nell’era dei consumi di massa, con una notevole espansione dei consumi privati. Ancorché la prima generazione di riforme abbia introdotto un cambiamento profondo nel modello indiano di sviluppo, alcune lacune interne e la consapevolezza della crescente supremazia cinese rinsaldano il consenso sulla necessità di una seconda generazione di riforme. Nel 2004 la coalizione Upa (Alleanza Progressista Unita), diretta dal Partito del Congresso e sostenuta dalla sinistra comunista, torna al potere. Viene nominato Primo Ministro Manmohan Singh in carica fino al 2014. Viene così applicata la seconda generazione di riforme liberali e la simultanea adozione di programmi sociali. Le elezioni politiche del 2014 sono state segnate da una vittoria del BJP con la nomina a Primo Ministro del nazionalista Narendra Modi in maggio. Egli è originario del Gujarat, uno degli stati più sviluppati del Paese ed ha promesso di far uscire l’economia indiana da uno stallo quinquennale, di migliorare le condizioni di vita dei più poveri e di far diventare l’India una potenza globale. Come sottolinea un articolo de La Stampa del 17 maggio 2014, uno dei punti forti di Modi è stato l’esempio del Gujarat dove ha governato 12 anni debellando corruzione e migliorando economia e infrastrutture. Narendra Modi ha riportato al potere la destra indiana dopo dieci anni, battendo il Congresso di Sonia Gandhi, e il Partito Indù Nazionalista del Bharatya Janata Party (Bjp) ha conquistato un’ampia maggioranza del Parlamento. Il suo motto è: “Piccoli passi per grandi cambiamenti.”290 I tre principi di Modi sono: riportare la crescita all’8-9%, frenare l’inflazione e creare occupazione per i giovani. Il governo uscente di Singh si è rivelato incapace di risolvere i problemi in questi ambiti. Il Pil è precipitato sotto il 5% e i prezzi dei generi alimentari sono schizzati alle stelle. Modi vuole riportare il Paese ai fasti dell’ India di dieci anni fa e si è conquistato il voto dei giovani con la promessa di creare milioni di posti di lavoro grazie alla sua politica di incentivi all’industria e agli investimenti. La mancanza di infrastrutture, come strade, porti e ferrovie, infatti, è uno dei maggior ostacoli allo sviluppo. Modi è stato scelto anche per il suo operato nei suoi 12 anni di potere nello stato del Gujarat; qui il leader ha migliorato la rete stradale, assicurato una fornitura costante di elettricità e favorito la costruzione del più grande porto privato per i container a Mundra, sul Mar Arabico. Ha creato infine zone economiche speciali per attirare le industrie. La fabbrica della Tata Nano si trova in Gujarat, lo stato modello dove non c’è corruzione e che Modi vorrebbe esportare nel resto del Paese. L’ondata di stupri, a partire da quello di Nirbhaya del dicembre 2012, ha creato un’emergenza sul fronte delle violenze 290 www.ilsole24ore.it, articolo del 17 ottobre. 79 interessi personali e familiari piuttosto che al bene comune nei comportamenti dei funzionari pubblici e dei politici. Ciò che è necessario tenere presente è che il sistema di valori etici che ruotano attorno al confucianesimo ha una radice così profonda da essere tornato a farsi sentire dopo il periodo maoista e da essere considerato oggi come base culturale delle trasformazioni economiche e sociali. Alla fine degli ultimi duecento anni della dinastia Zhou, scanditi da conflitti tra i governatori delle varie regioni per conquistarsi il predominio sull’impero, e per questo definiti dagli storici il periodo degli “Stati combattenti”294, si è imposto il regno di Qin, il cui sovrano ha unificato il paese proclamandosi primo imperatore di una nuova era. Per quanto il primo imperatore fosse un autocrate che non sopportava dissensi, è con lui che ha avuto inizio l’unificazione culturale del nuovo impero. Dopo la sua morte è salita al potere la dinastia Han. Il periodo di quattrocento anni della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) è stato di sostanziale importanza nella storia cinese: durante questa dinastia, si sono sviluppate le più solide istituzioni statali. Durante la dinastia Han la dominanza del confucianesimo sulle altre scuole filosofiche è stata riconosciuta in modo ufficiale; il confucianesimo è diventato da allora il cuore pulsante della cultura cinese. In quanto all’economia, il periodo di questa dinastia è rilevante poiché ci sono testimonianze che in quel periodo erano già presenti in Cina le relazioni caratterizzanti un’economia di mercato. Un ruolo essenziale nello sviluppo economico è stato giocato dalla dinastia Song (960-1126). In questi anni il centro dell’economia cinese si è spostato verso il sud del paese, con un notevole sviluppo dell’agricoltura. Sostanzialmente, la civiltà cinese è migrata in questo periodo dal bacino del Fiume Giallo a quello dell’altro grande fiume, lo Yangzi. Lo spostamento è stato anche spinto dalle calamità che avevano colpito i territori bagnati dal Fiume Giallo. Gli imperatori della dinastia Song hanno realizzato ingenti opere mirate a recuperare il più possibile terre per la coltivazione, sottraendole al mare, distruggendo le foreste e terrazzando le colline. In aggiunta, è stato realizzato un efficiente sistema di irrigazione capace di sfruttare i grandi fiumi del sud. Il grande sviluppo agricolo fu favorito dalla diversificazione delle culture: tè, cotone, grano e soprattutto riso. L’imperatore Song Zhenzong (998-1022), del resto, aveva importato dal Vietnam un tipo di riso a raccolta accelerata e resistente alla siccità. Si potevano così avere più di due raccolti all’anno. L’aumento della produttività della terra attraeva forza lavoro, permetteva che una maggiore produzione fosse allocata nel mercato e consentiva anche che una parte della popolazione si 294 Ibid. 80 potesse dedicare ad attività manifatturiere, come la filatura e la tessitura. La popolazione aumentava perché aveva a sua disposizione cibo e vestiario, quindi godeva di un buon livello di vita. I metodi di coltivazione erano ad elevata intensità di lavoro e si basavano sulle unità familiari, raggruppate in clan. Le attività manifatturiere venivano ugualmente svolte da piccole imprese familiari e questo faceva sì che ci fosse una specializzazione nelle diverse produzioni. Per esempio, nella lavorazione della seta ad ogni fase corrispondeva una specifica impresa familiare. Questo caratteristico metodo di organizzare la produzione è significativo per comprendere il successo delle prime riforme dopo il periodo maoista, che riguardano soprattutto l’agricoltura, e hanno fatto leva proprio sul recupero dell’iniziativa imprenditoriale delle unità familiari nelle piccole attività artigianali e manifatturiere. Andava diffondendosi in Cina una visione sinocentrica della centralità dell’impero che etichettava come “barbari”295 tutti gli individui che popolavano il resto del mondo. Il nome stesso del paese lascia trasparire questa convinzione dei cinesi di rappresentare il centro del mondo: Cina si dice ancora oggi Zhongguo, parola costituita dall’insieme di “zhong” (centro) e “guo” (stato).296 Questa idea era presente soprattutto nella burocrazia imperiale, un’istituzione che ha avuto sempre un ruolo significativo nel governo dell’impero; ciò spiega la propensione che è sempre stata propria della Cina verso un modello di economia in cui l’attività mercantile e gli scambi sono sempre stati direzionati e controllati dalla presenza pubblica. Per tutto il periodo imperiale l’amministrazione pubblica è stata affidata ad una burocrazia potente, cresciuta secondo il pensiero confuciano, che era lo strumento per imporre l’ordine politico e sociale in uno stato unitario, ma complicato da gestire, anche vista la sua enorme estensione territoriale. La burocrazia ha consolidato gradualmente una posizione autonoma e dominante rispetto alla classe militare. Costituiva una cerchia esclusiva alla quale si aveva accesso tramite un esame che doveva dimostrare la conoscenza dei classici della cultura cinese. Questo modello è resistito alla caduta dell’impero ed è stato adottato nuovamente nel periodo delle riforme economiche. L’ideologia della burocrazia proveniva dalle prescrizioni del confucianesimo e presupponeva “nobiltà d’animo, virtù civica, senso del bene comune e disciplina sociale”297. Chi apparteneva alla burocrazia doveva conformarsi a queste virtù per ottenere la fiducia dei 295 Ibid., pag.17. 296 Ibid. 297 Ibid., pag.18. 81 cittadini, i quali potevano rivolgersi alla burocrazia anche per risolvere le loro controversie legali. La borghesia urbana includeva gli imprenditori nelle attività manifatturiere, i commercianti, i banchieri ed era organizzata in associazioni di categoria e corporazioni; queste ultime mostravano nei confronti della burocrazia un atteggiamento di rispetto. Tuttavia, spesso la burocrazia non si comportava secondo i dettami morali di Confucio. Ciò ha avuto ripercussioni negative per lo sviluppo dell’attività imprenditoriale, che veniva limitata dalle rendite che la burocrazia riusciva ad ottenere a proprio vantaggio. Un altro aspetto, questo, che è presente anche nella Cina del periodo delle riforme postmaoiste e che rappresenta uno dei maggiori problemi anche nella realtà di oggi. 2.3.2 Il periodo maoista Appena preso il potere nel 1949, Mao Zedong aveva davanti a sé un paese con gravi problemi economici sia per i danni arrecati dalla guerra sia per l’inflazione acuta. L’intervento cinese nella guerra di Corea iniziata nel 1950 aveva accresciuto l’ostilità delle potenze capitaliste e aveva rinsaldato il rapporto tra Cina e Unione Sovietica. Nei primi anni della Repubblica Popolare Cinese il modello fu quello di un’economia mista, in cui solo le grandi industrie e le grandi banche venivano messe sotto la supervisione dello Stato. A partire dal 1953, finita la guerra di Corea, Mao però abbandonò questo iniziale approccio e si dedicò alla realizzazione di un’economia pianificata. Con il primo Piano Quinquennale (1953-57), in Cina cominciò a venire attuato il modello pianificato di tipo sovietico. L’obiettivo primario era lo sviluppo dell’industria pesante e per fare ciò vennero costruiti impianti industriali con macchinari importati dall’Unione Sovietica e dall’Europa orientale. Ulteriori finanziamenti provenivano dai prestiti di questi paesi e dai prelievi sull’agricoltura, collettivizzata dal 1955 al 1956. L’Unione Sovietica forniva inoltre la formazione professionale necessaria ai tecnici e agli operai cinesi. Ad ogni modo questa strategia di industrializzazione era troppo drastica e squilibrata. In seguito alla denuncia da parte di Nikita Chruščëv al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico dei crimini dello stalinismo, si diffuse un clima di maggiore liberalizzazione economica e di libertà politica, chiamato dei “Cento Fiori”.298 Ben presto però, già nel 1958, Mao decise di puntare sul Grande Balzo in avanti. Egli cominciò una campagna contro gli intellettuali e coloro che avevano espresso liberamente le loro opinioni 298 Ibid., pag.26. 84 2.3.3 Le fasi del processo di riforma economica e le sfide odierne della politica cinese La Cina ha intrapreso la via delle riforme economiche nel 1979. Il momento per iniziare il processo di riforma era sicuramente propizio per due ragioni principali: l’insuccesso della pianificazione economica, anche a causa dei frequenti cambiamenti derivanti dai ripensamenti strategici di Mao, e la constatazione dell’eccezionale ascesa economica di altri paesi asiatici come il Giappone, suo nemico per eccellenza, ma anche delle “quattro tigri”306 Taiwan, Hong Kong, Singapore e la Corea del Sud. Ci sono due fasi nel processo di riforma economica cinese. La prima fase va dal 1978 all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, anni in cui fu affrontata la riforma del settore agricolo. Il problema da risolvere era l’elevata sottooccupazione della forza lavoro agricola e la bassissima produttività di questo settore. Tali inefficienze avevano un impatto negativo sulle potenzialità di crescita nazionali, sia per quanto riguarda l’adeguata allocazione delle risorse produttive, sia in termini di reddito delle famiglie di agricoltori. Fu attuato lo smantellamento delle comuni popolari del settore agricolo, a favore di un sistema semiprivato di gestione della terra, il cosiddetto “household responsibility system”,307 ovvero il principio della responsabilità delle famiglie. Esse in altre parole poterono contrattare con le autorità locali la quota di produzione da conferire, e rimasero libere di decidere autonomamente sull’impiego del surplus della quota, inclusa la possibilità di vendere tale produzione in eccesso sul mercato. Questa riforma incentivò un aumento della produttività agricola fornendo ai contadini un maggiore reddito che consentì loro di dedicarsi ad altre attività non agricole; nacquero così le Imprese di Città e di Villaggio (Tve, Town and Village Enterprises). Queste imprese furono fondamentali, perché costituirono il veicolo per lo sviluppo dell’imprenditorialità cinese. Uno dei fattori chiave del successo delle Tve è stato il fatto che si basavano sull’abbondanza di lavoro; in particolare, siccome queste imprese approfittavano del sottoimpiego della forza lavoro nelle campagne, i salari nelle aree rurali potevano essere molto più bassi di quelli pagati dalle imprese di Stato nelle aree urbane. Le Tve erano perciò più frequenti nei settori a più alta intensità di lavoro come l’agroalimentare, il tessile, l’abbigliamento, quello dei materiali da costruzione e dei prodotti metallici. Nel processo di riforma economica in Cina i governi locali hanno avuto un ruolo determinante nel 306 Ibid., pag.33. 307 Amighini Alessia, Chiarlone Stefano, L’economia della Cina: dalla pianificazione al mercato, Carocci editore, Roma, 2007, pag.16. 85 promuovere la nascita delle Tve. La decentralizzazione, dunque, è uno degli elementi cardine in questo processo; erano infatti i governi locali ad avere la responsabilità di stimolare la nascita delle nuove iniziative imprenditoriali e il governo centrale stimolava la competizione tra quelli locali per far sorgere nuove imprese. In aggiunta, sia ad alcune imprese pubbliche, le “State-owned enterprises”,308 sia ad alcune imprese collettive fu concesso di mantenere per sé i profitti e distribuire premi di produttività ai lavoratori, come incentivo per migliorare la performance. Tale riforma del settore agricolo si è rivelata un successo e la quota dell’agricoltura sul totale del Pil è aumentata; ciò dimostra, d’altro canto, l’impatto che una buona o cattiva politica può avere nell’economia di un paese, in quanto essa può demolirlo o risollevarlo. Una componente importante di questa fase è stata anche l’apertura internazionale del paese attraverso la “politica della porta aperta:”309 le imprese estere hanno avuto un peso crescente nell’economia cinese e in quattordici città e zone costiere è stata permessa una liberalizzazione del commercio internazionale e degli IDE. Precedentemente, nel 1980, erano state create quattro Zone Economiche Speciali, con esenzioni fiscali e doganali per incoraggiare l’afflusso di capitali ed attrarre gli investitori stranieri. Le Zes e le città portuali aperte erano vere e proprie “finestre sul mondo”,310 sia perché dovevano dimostrare al mondo la volontà di riforma verso un’economia di mercato, sia perché attraverso gli investimenti esteri in queste zone la Cina aveva accesso alle conoscenze in campo tecnologico e della gestione imprenditoriale. Va riconosciuto dunque il ruolo importante della politica delle porte aperte nel consentire lo sviluppo di quell’ imprenditorialità cinese che ad oggi si è diffusa in ogni angolo del mondo. Occorre precisare che in Cina c’è un vincolo fondamentale costituito dall’autorizzazione, indispensabile per l’apertura di nuove imprese da parte della burocrazia governativa, nazionale o locale. Si tratta di un elemento intrinseco alla cultura cinese, presente da secoli in questo paese. La relazione tra burocrazia ed investitori esteri, come quella tra burocrazia e imprenditori, non assume in Cina la forma di un contratto formale, coerentemente con le regole giuridiche del sistema occidentale. L’assenza di un sistema contrattuale legale è sostituita da una rete di relazioni di fiducia informale che entrano in gioco specialmente quando vengono coinvolte persone riconosciute come influenti quali sono, per tradizione 308 Ibid., pag.17. 309 Ibid., pag.18. 310 Muso Ignazio, La Cina contemporanea, il Mulino, Bologna, 2011, pag.46. 86 storica, gli esponenti della burocrazia. Questo ovviamente implica la possibilità di svariate forme di corruzione; in questo tipo di situazione, a mio avviso, assume un certo valore il confucianesimo al fine di uno sviluppo equilibrato. Per contrastare la corruzione, cioè, è fondamentale la dimensione dell’etica comportamentale, la convinzione degli individui di svolgere un’importante funzione sociale e di avere una responsabilità sociale, per l’appunto. Tuttavia ritengo anche che ciò non sia sufficiente; è necessario un preciso sistema di regolamentazioni che non lascino scoperte queste aree e che non le affidino a relazioni informali. La prima fase del processo va associata alla figura di Zhao Ziyang, primo ministro dal 1980 al 1987. A lui va il merito di aver tentato di far uscire la Cina dalla rigidità della pianificazione tramite il principio del gradualismo; in poche parole, egli riuscì a valorizzare la riforma dell’agricoltura in modo da farne il focolare di una piccola imprenditorialità che costituì la base per lo sviluppo di un’economia di mercato in Cina. Il 1989 è passato alla storia per il massacro di Piazza Tienanmen, che ricorda per molti aspetti le recenti proteste ad Hong Kong. Nelle università di Shangai e Pechino apparvero manifesti che denunciavano la corruzione ed il dispotismo del Partito Comunista. Alla protesta degli studenti si affiancò quella dei gruppi intellettuali. Il gruppo più radicale del Partito Comunista accusò il movimento di essere controrivoluzionario e antisocialista; decine di migliaia311 di studenti raccolti a Pechino nella Piazza Tienanmen chiedevano quelle riforme politiche che il leader Deng Xiaoping non aveva mai concesso: democrazia, libertà di riunione e di stampa, una più ampia circolazione delle informazioni. Il costo di vite fu pesante, tale strage suscitò orrore nell’opinione pubblica e fece perdere al Partito Comunista quel poco di consenso che ancora aveva tra i giovani intellettuali. La seconda fase delle riforme economiche cominciò nei primi anni Novanta; essa è stata caratterizzata da una ristrutturazione istituzionale finalizzata a rendere l’economia cinese un’ ”economia socialista di mercato”,312 come l’ha definita Deng Xiaoping. In questa fase ci furono una serie di passi in avanti positivi nel cambiamento formale e giuridico dell’economia verso il modello di mercato; nonostante ciò, al mutamento formale non corrispose sempre un cambiamento sostanziale nella qualità dei rapporti tra Stato e mercato. La presenza pubblica nell’economia rimase forte e il continuo dibattito all’interno delle alte sfere del Partito 311 Desideri Antonio e Themelly Mario, Storia e storiografia- il Novecento: dall’età giolittiana ai giorni nostri, Casa editrice G. D’Anna, Firenze, 1996, pag.1425. 312 Muso Ignazio, La Cina contemporanea, il Mulino, Bologna, 2011, pag.34. 89 Dall’inizio degli anni 2000 si possono vedere dei segnali di una certa riduzione della disuguaglianza, grazie agli sforzi fatti dal governo cinese. Per esempio, dagli inizi degli anni Novanta è stato introdotto un programma di assistenza mirato a garantire il godimento di un minimo vitale e tale meccanismo è stato perfezionato di recente. Tuttavia, come spesso accade in Cina, il meccanismo funziona in base alle particolarità delle situazioni locali. Sono i governi locali che hanno il compito di stabilire un minimo livello di costo della vita; agli individui che hanno un reddito al di sotto di quel livello spetta un sussidio. Il fatto che il funzionamento di tale meccanismo sia affidato ai governi locali, sfortunatamente, lascia aperte le porte all’eccessiva discrezionalità dei funzionari nelle decisioni dei sussidi. A mio avviso, ci dovrebbe essere invece un intervento operato dall’alto, dunque da parte del governo nazionale. Inoltre, siccome i residenti della città sono sempre stati privilegiati rispetto ai contadini, già all’epoca del Grande Balzo in avanti molti contadini cercarono di emigrare in città. Il governo pose un limite: senza avere un permesso di residenza un contadino non poteva lavorare in città. Il sistema dei permessi di residenza è rimasto, e continua ad essere, un fattore di grande divisione nella società cinese tra condizioni di vita nelle campagne e nelle città. 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 0,4 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 Aree urbane Aree rurali Figura 2 Evoluzione del coefficiente di disuguaglianza (coefficiente Gini) nelle aree urbane e rurali della Cina. Fonte: Chinese Statistical Yearbook. 90 Parlando di governi locali è utile precisare che il sistema di divisione amministrativa in Cina comprende: le province, le regioni autonome, le grandi municipalità, e poi le varie prefetture e municipalità minori. La questione della sanità è l’altro sintomo drammatico degli squilibri sociali a cui il processo di ristrutturazione sociale ha portato. Con l’avvento delle riforme, in agricoltura sono state eliminate le comuni, e si sono sviluppate le Imprese di Città e di Villaggio che però non avevano nessun obbligo di assicurare assistenza sanitaria. In breve, le famiglie insediate nelle zone rurali sono state private di ogni assistenza sanitaria. Nelle aree urbane, quando all’inizio della seconda fase di riforme vennero chiuse molte imprese di stato, i dipendenti si sono ritrovati disoccupati e anche senza assicurazione sanitaria perché le imprese non erano più in grado di sostenere questa spesa. Lo Stato si è praticamente ritirato e, di conseguenza, per assicurarsi le cure mediche i cinesi hanno dovuto spendere sempre di più. Appare evidente come, ancora oggi, molti cinesi non possano godere del trattamento sanitario a causa dei costi alti. A mio parere è un dato allarmante il fatto che il contributo del governo alle spese per la sanità è drammaticamente calato: agli inizi degli anni 2000, quasi il 60% di tali spese è stato sostenuto dai pazienti e dalle loro famiglie. Il problema della sanità è particolarmente grave nelle aree rurali. Qui, le strutture sono carenti ed insufficienti. Gli ospedali si trovano solo nelle aree urbane, e gli ospedali migliori, si trovano nelle grandi città. Nelle aree rurali operano centri medici di villaggio, gestiti privatamente. La qualità dello staff, soprattutto di quello medico, è mediocre e il livello di formazione dei medici nei centri di villaggio è molto inferiore a quello dei medici negli ospedali di città. È sorprendente constatare come solo da alcuni anni esiste un obbligo di certificazione dei medici, obbligo che spesso viene evaso. Oltretutto, vale la pena sottolineare che il meccanismo di assistenza sanitaria in Cina funziona tramite rimborsi. Essi però si rivelano insufficienti, soprattutto nel caso delle malattie più gravi: nelle aree rurali le persone, se colpite da malattie serie, finiscono col diventare povere proprio per questo motivo. I pagamenti dei rimborsi sono effettuati dai governi locali, ma accade nuovamente che i governi delle aree meno ricche siano capaci di garantire minori sostegni e ciò è un’ulteriore fonte di disuguaglianza. Dopo una serie di programmi di intervento carenti, il nuovo piano di riforma sanitaria ha l’obiettivo di assicurare una copertura totale per l’assistenza sanitaria. Per conseguire tale obiettivo, il nodo della questione è la modalità di finanziamento. Le possibilità sono due: la tassazione o l’assicurazione sanitaria. Se si opta per la prima, il problema è quello di controllare che non ci sia evasione; se si sceglie la seconda, l’assicurazione deve essere obbligatoria. In quest’ultimo caso, comunque, ci sarebbe 91 il problema degli abitanti delle zone rurali, che non sono in grado di pagare il premio necessario a garantire l’assistenza sanitaria prevista. Penso dunque che occorrerebbe un intervento pubblico e che, nel complesso, non si possa pensare ad una società stabile in Cina senza affrontare il problema delle disuguaglianze. In effetti il nuovo Piano Quinquennale approvato dall’ XI Congresso del Partito Comunista cinese nel marzo 2011 per il periodo 2011-2015 prende in considerazione soprattutto le problematiche enunciate precedentemente. Dopo quasi trent’anni di riforme, la Cina continua a dichiararsi un’economia socialista, ma anche dal punto di vista giuridico, grazie all’emendamento costituzionale del 1998, si è definita un’ “economia socialista di mercato”.318 Ad oggi, il controllo pubblico è ancora forte soprattutto nelle imprese più grandi; la presenza pubblica è centrale nei settori strategici ed è proprio sul problema se in questi settori la presenza pubblica debba essere rafforzata o ridimensionata, che è aperto oggi un dibattito nella classe dirigente cinese. A mio parere, la strada migliore da intraprendere è quella di estendere il processo di privatizzazione e di concorrenza e, parallelamente, costruire un modello adeguato di regole per il corretto funzionamento del mercato. Gli economisti parlano infatti della “rule of law”319. Sono forti le resistenze all’elaborazione di regole indipendenti che garantiscano il corretto funzionamento dei mercati attraverso la trasparenza ed il rispetto dei contratti. Ci sono molti esempi in Cina di situazioni nelle quali le regole sono state usate a vantaggio della burocrazia e della classe politica e a svantaggio dell’iniziativa individuale. Ciò induce gli imprenditori a cercare nella connessione con il governo il mezzo più appropriato per cercare di sostenere i propri interessi; incoraggia in altri termini l’attività di rent seeking, ossia di ricerca della protezione pubblica, e la corruzione. Un aspetto particolare di questo rapporto è l’alleanza strategica di molti imprenditori privati con le grandi imprese di stato per ricevere una protezione garantita dai loro poteri amministrativi e dalla loro influenza politica. La tendenza è quella di incanalarsi in un circolo vizioso: più si accumulano interessi di parte, più aumentano le resistenze alle riforme nella direzione della rule of law e più questo apre altri spazi ai singoli interessi. Il dilemma che si pone è se la leadership del Partito Comunista sia convinta pienamente della correttezza della linea dello sviluppo della rule of law e se riesca ad imporre tale linea ai livelli sottostanti nella gerarchia del Partito. 318 Ibid., pag.71. 319 Ibid. 94 Come anche in Cina, il Partito Comunista è l’organo centrale dotato di un potere decisionale esteso alla sfera economica. È dagli anni Trenta e dal periodo seguito alla Seconda Guerra Mondiale che l’Urss ha registrato una crescita economica impressionante. Questa crescita economica, sommata al prestigio conferito dalla vittoria sulla Germania nazista, ha contribuito a rendere ancora più prestigioso il modello sovietico al di là delle sue frontiere. Già dal 1964, però, si comincia a parlare della necessità di una riforma del sistema economico, in particolare di ridurre i vincoli burocratici, di sviluppare l’autonomia delle imprese. Michail Gorbačëv, salito al potere nel 1985, inizialmente adottò una linea di continuità con i suoi predecessori, vale a dire un Piano Quinquennale irrealistico, basato su un input accelerato finalizzato alla crescita e alla produttività. Questa politica, logicamente, aggravò ancor più gli squilibri. Ci fu un grande cambiamento di rotta solo con la “perestrojka”,324 termine che significa ricostruzione, che fu introdotta nel 1987 e che segnò la fine della pianificazione. La riforma legislativa attribuì alle imprese statali la responsabilità dei propri debiti, la facoltà di ottenere prestiti e negoziare contratti con altre imprese. In più, la legge sulle imprese individuali e quella sulle cooperative permisero lo sviluppo di attività private. Il leader russo promosse inoltre la glasnost, una politica di trasparenza, comprendente la libertà di stampa ed incoraggiò la fine del monopolio del Partito Comunista. I paesi dell’ Europa dell’ Est protestarono contro un potere sovietico che non aveva più i mezzi finanziari per sostenere il suo impero e che non voleva più governare per mezzo del terrore: il muro di Berlino cadde nel 1989. Gorbačëv si dimise e il 25 dicembre 1991 la bandiera rossa dell’Unione Sovietica smise di sventolare sulle torri del Cremlino di Mosca e fu sostituita con quella della Federazione Russa. Dal 1987 in poi la Russia intraprese la via dell’economia di mercato. È interessante notare la diversità della Cina, la quale ha realizzato la transizione all’economia di mercato senza rimettere in discussione il regime politico. Oltretutto, date le strutture diverse da quelle della Cina, che nel 1980 è un paese prevalentemente rurale, e con uno stato quasi disintegrato, la transizione russa avvenne con modalità diverse da quelle della Cina. Questo periodo di evoluzione della Russia dal punto di vista economico si protrae fino al 2000, anno che segna la fine delle trasformazioni economiche radicali della Russia contemporanea. Quando nel 1991 fu nominato Primo Ministro dal presidente Eltsin, l’economista Egor Gaidar ebbe il compito di ideare le misure che trasformeranno la Russia in un’economia di mercato. Occorre precisare 324 Ibid., pag.44. 95 che lo Stato a quel tempo era particolarmente indebolito. Se l’Urss controllava per mezzo della coercizione legale tutti gli ambiti dell’economia, lo stato russo che le succede è sguarnito: la coercizione non può più funzionare e la spina dorsale del potere, ovvero il Partito Comunista, non esiste più. Tutto ciò non facilitò sicuramente le riforme economiche. Il primo periodo di riforme cominciò nel 1992 con la liberalizzazione dei prezzi. Le conseguenze furono che i prezzi al consumo s’impennarono e ciò ridusse a zero i risparmi accumulati dalle famiglie e il rublo crollò. Il campanello di allarme dell’imminente crisi russa ci fu nel 1996: le incertezze sull’esito dell’elezione presidenziale che oppose Boris Eltsin al candidato comunista fecero aumentare a dismisura i tassi d’interesse e spinsero il governo a privatizzare in modo ambiguo varie grandi imprese. Dal 1997 il contagio della crisi asiatica e l’instabilità politica esasperarono gli squilibri finanziari. Un anno dopo, il governo, ridotto alla bancarotta, annunciò lo stato di insolvenza del debito russo e la svalutazione del rublo. L’aspetto più sorprendente della transizione russa fu il crollo della produzione: tra il 1990 e il 1998 il Pil si è dimezzato;325 del resto, tutti i paesi emersi dalla disgregazione dell’Urss hanno conosciuto una recessione negli anni Novanta, prima che l’attività economica riprendesse. In effetti, il calo del Pil è inevitabile quando si passa da un’economia in cui la produzione è determinata dal piano, ad un’economia in cui la produzione ha come fine ultimo il soddisfacimento della domanda. La recessione è durata otto anni, fino al 1998; la Russia, a quanto pare, pagò il prezzo della mancata ristrutturazione delle imprese e della forte dipendenza dal petrolio. La privatizzazione, in particolare, è emblematica delle difficoltà della transizione russa. Essa è stata attuata in tre periodi: dal 1990 al 1991 ha avuto luogo la privatizzazione spontanea di alcune imprese; dal 1992 al 1994 una privatizzazione di massa ha favorito i lavoratori e i dirigenti di imprese; infine, tra il 1994 e il 1996 si è avuta la privatizzazione di numerose grandi imprese, che è andata a beneficio di una ristretta cerchia di uomini d’affari vicini al potere, gli oligarchi. Per uscire dalla crisi il governo non è ricorso ad una pesante emissione monetaria, perché ciò aveva causato l’inflazione all’inizio della transazione. Quest’ultima ha avuto costi non indifferenti, che si riscontrano ancora negli squilibri della Russia attuale: l’aumento della povertà, delle disuguaglianze e della disoccupazione; la forte caduta iniziale della produzione; il degrado della qualità e della copertura dei servizi pubblici come 325 Ibid., pag.57. 96 l’istruzione e la sanità; l’aumento della corruzione; infine, molti conflitti armati tra cui quello ceceno. 2.4.2 Gli interventi di Putin dal 2000 in poi: corruzione, oligarchia e monopolio delle risorse naturali La crescita dell’economia russa osservata dal 1998 in poi è dovuta principalmente al rialzo dei prezzi mondiali del petrolio. La Russia, infatti, ha fondato la propria economia sulla ricchezza di risorse naturali che possiede; essa è il primo produttore mondiale di gas naturale,326 il secondo produttore di petrolio dopo l’Arabia Saudita,327 il primo produttore di numerosi metalli non ferrosi328 ed il quarto produttore di acciaio e legname.329 Queste risorse naturali generano una rendita, cioè forniscono un reddito superiore alla remunerazione normale del lavoro e del capitale impiegati per sfruttarle. Gli idrocarburi, tra i quali ovviamente c’è il petrolio, rappresentano il 55% sul totale delle esportazioni nel 2004 e il complesso di prodotti primari e semitrasformati supera l’80%330. Sotto questo profilo, la Russia non è al livello dell’Arabia Saudita, dell’Algeria o del Venezuela, dove la percentuale di prodotti primari è superiore al 90% delle esportazioni331; ciononostante, dipende di più dalla produzione di materie prime rispetto al Brasile e all’Indonesia, in cui la quota è circa il 40%, o al Canada (all’incirca il 30%)332. Ciò che ritengo importante sottolineare è che l’abbondanza di risorse naturali ha effetti negativi sul comportamento degli attori economici e sulle istituzioni: favorisce la corruzione, la carenza di riforme economiche e i regimi autoritari. Quest’ultimi, infatti, essendo finanziati dalla rendita, non hanno alcun interesse a ricorrere alla tassazione e la conseguenza principale è che viene a mancare uno dei pilastri della democrazia: il consenso sulla tassazione. Inoltre, l’economia russa è dominata da pochi gruppi industriali, tanto che si può parlare di un’ 326 Ibid., pag.86. 327 Ibid. 328 Ibid. 329 Ibid. 330 Ibid., pag.88. 331 Ibid. 332 Ibid.
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