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INFERMIERISTICA CLINICA, Sbobinature di Infermieristica

Appunti (sbobina) completi e approfonditi scritti al computer, chiari e semplici da comprendere, delle lezioni di Infermieristica Clinica (A3) del primo anno del corso di infermieristica. Argomenti: accettazione pz, dimissione pz, assistenza inf.ca, ricovero in ospedale, vari tipi di ricovero, cartella inf.ca, visita medica e inf.ca, competenze inf.che, parametri vitali, ruolo dei microrganismi nelle infezioni, le infezioni nelle strutture sanitarie, prevenzione, DPI, igiene e cura pz (anche neonato), microclima, unità del malato, processo di nursing, movimentazione pz, sindrome da immobilizzazione, piaghe da decubito, trattamento ferite e medicazione, terapia, varie modalità di somministrazione farmaci e varie procedure assistenziali.

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

In vendita dal 18/01/2024

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Scarica INFERMIERISTICA CLINICA e più Sbobinature in PDF di Infermieristica solo su Docsity! INFERMIERISTICA CLINICA ACCETTAZIONE Accettare deriva dal latino “accipere”, ricevere. L’accettazione è l’insieme delle attività che sono attuate per consentire o regolarizzare l’ammissione del paziente in ospedale. Accoglienza, “includere, ospitare”: L’accoglienza è una forma di Cura e Trattamento ed è una funzione degli operatori sanitari, un’attività necessaria per costruire un rapporto di fiducia e collaborazione tra persona assistita e persona che assiste all’interno di una relazione di aiuto focalizzata sui bisogni dell’utenza e sulla partecipazione alle decisioni assistenziali che la riguardano. Accoglienza e Qualità delle cure: L’accoglienza rappresenta un “indicatore” della qualità percepita da utenti ed operatori, quindi è importante garantire personalizzazione e umanizzazione dell’assistenza. La parola chiave è la qualità (delle cure, servizi, salute, della vita) Qualità percepita: Si riferisce sostanzialmente a come la struttura e gli aspetti relazionali vengono vissuti dai protagonisti del processo assistenziale (utenti operatori) riconosciuto anche come “customer satisfaction” (livello di soddisfazione del cliente) Aspetti relazionali: Tra gli aspetti relazionali (disponibilità, cortesia, rispetto, sensazione di essere attore principale del processo assistenziale) assume particolare importanza l’accoglienza (ma anche il comfort, l’igiene, il trattamento alberghiero). Presa in carico: Modalità di “governance” di un processo assistenziale articolato ed integrato, che assicura la continuità assistenziale a seconda del bisogno individuale espresso. Condivisione delle scelte terapeutiche e assistenziali sul piano gestionale ed umano (compassionevole). ASSISTENZA INFERMIERISTICA: ARTE Fornire assistenza con empatia, cura e rispetto per la dignità e la personalità di ogni paziente. SCIENZA Basata su un corpus di conoscenze che evolve continuamente con nuove scoperte e innovazioni. La pratica infermieristica racchiude in sé conoscenze proveniente dalle scienze sociali e comportamenti, dalla biologia, dalla fisiologia e dalle teorie infermieristiche; L’esercizio professionale comprende valori sociali, autonomia professionale, senso di dedizione e codice etico. Assistenza infermieristica: Indica l’attività relativa all’assistenza terapeutica, palliativa, riabilitativa, educativa e preventiva, rivolta all’individuo, alla comunità o alla popolazione, sia che essa sia svolta su soggetti sani o malati, al fine di migliorare e recuperare uno stato di salute ottimale o del prevenire l’insorgenza di alterazioni morfo funzionali dell’individuo o della popolazione; Disciplina incentrata sull’assistenza dell’individuo sano o malato, della famiglia o della comunità e ottenere mantenere o ristabilire la salute del soggetto oggetto di cure. Il fondamento dell’assistenza infermieristica si basa sull’abilità di interpretare le situazioni cliniche e prendere decisioni. Durante l’assistenza dovranno formulare giudizi clinici sui bisogni di salute dei pazienti basandosi su fatti, sull’esperienza e su standard assistenziali. Nella pratica infermieristica il counselling è un importante strumento nell’ambito della relazione comunicativa che si instaura tra infermiere-assistito-famiglia dell’assistito nelle fasi di accoglienza, degenza e dimissione. L’aiuto consiste proprio nel rendere possibile una riattivazione e riorganizzativa delle energie del paziente (cognitive, emotive, strategiche), partendo dal presupposto che in ogni persona ci sono delle potenzialità che permettono di sfruttare l’aiuto ricevuto e di farlo diventare una propria risorsa. COUNSELLING: Processo di aiuto ad una persona nell’esplorazione dei propri problemi al fine di renderla capace di azioni comportamentali razionali e positive di autocontrollo e di autodeterminazione. 1. PREPARA la comunicazione di una diagnosi 2. FAVORISCE l’aderenza del paziente alle prescrizioni mediche 3. AIUTA a gestire le situazioni di crisi Il counselling applicato all’assistenza infermieristica permette all’operatore di promuovere nel malato la corretta individuazione di un problema o di un disagio, avvertiti prima di tutto nel rapporto con il proprio contesto di appartenenza. Ha l’obbiettivo di fornire il supporto necessario a fronteggiare la vasta gamma di aspetti psicosociali connessi alla malattia sostenendo, guidando ed educando il paziente. gli consentono di esprimere la propria individualità, rispettare regole a cui non è abituato, adattarsi a orari diversi da quelli previsti dalle sue abitudini. Ha sempre il diritto di essere rispettato in qualità di persona e nella sua intimità; Il rapporto infermiere-paziente deve essere di collaborazione e di partecipazione; È parte attiva del piano di cura e deve essere coinvolto in tutte le attività che lo riguardano; Deve essere stimolato e utilizzare le proprie risorse per soddisfare i suoi bisogni; Il tempo dedicato al malato e ai suoi familiari produce un effetto tranquillizzante e crea le basi per programmare la dimissione; Se il paziente e i familiari riceveranno informazioni esaurienti più disponibili e più aperti nei confronti della struttura. Quindi le modalità di accoglienza nella struttura condizionano notevolmente l’andamento della degenza ospedaliera e sono un indice della qualità dell’assistenza erogata. ANSIA E PAURA: I problemi che producono con maggior frequenza una condizione di ansia nel paziente sono: Paura del dolore e minaccia alla sopravvivenza; Paura di subire fisicamente una determinazione e di non sopportare una modificazione dell’immagine di sé; La paura di perdere autonomia e stima in sé stessi. AMBITO OPERATIVO (delle figure sanitarie): - Reparto ospedaliero; - Day Hospital; - Servizio diagnostico; - Residenza Sanitaria Assistita; - Servizio domiciliare; - Hospice; - Libera professione; - Ambulatorio infermieristico. Accogliere un paziente e riconoscerlo come persona “in una situazione di bisogno” = per l’infermiere significa intraprendere un percorso che porterà poi a una relazione completa, matura. Significa anche riconoscere le diversità altrui e che ognuno ha diritto al rispetto delle loro svariate esigenze. L’accoglienza è una forma di assistenza di cura e di trattamento, tre concetti propri della professione infermieristica che si fondano sulla relazione professione/assistito. MODALITA’ PER L’ACCOGLIENZA: Obbiettivo generale da perseguire durante l’accoglimento del paziente. 1. Mantenimento dell’integrità , inteso come persona, con una propria identità che non deve essere stravolta in funzione della routine ospedaliera. 2. Instaurare un rapporto positivo non solo con gli operatori ma con la stessa struttura che lo accoglie. OSTACOLI DURANTE LA FASE DI ACCOGLIENZA: - Situazioni comportanti immediato pericolo per il paziente; - Contemporanea presenza di più persone e operatori nella zona riservata all’accettazione; - Presenza di un accesso unico per pazienti ricoverati d’urgenza e per i ricoveri programmati; - Contiguità dei locali riservati all’accettazione; - Promiscuità di percorsi che conducono e che partono dalla zona accettazione per pazienti e visitatori. FATTORI CHE FAVORISCONO L’INTEGRAZIONE: - Configurazione struttura; - Personale infermieristico e di supporto; - Schemi organizzativi programmati. L’INFERMIERE: Saper ascoltare e parlare, ma anche osservare i movimenti, la postura, il modo di gesticolare con le mani, il timbro e il tono della voce, i silenzi, l’aspetto, lo sguardo (linguaggio non verbale). Questi sono tutti i segnali della situazione di “adattamento” all’ambiente e alle persone che lo stanno seguendo. L’INFERMIERE NON DEVE: - Banalizzare o ridicolizzare i problemi della persona; - Avere un’osservazione veloce e superficiale; - Instaurare un dialogo frettoloso; - Ricorrere ad atteggiamenti inquisitori; - Assumere atteggiamenti paternalistici. CARTELLA INFERMIERISTICA: La documentazione infermieristica è la rappresentazione in forma scelta degli atti compiuti degli infermieri in relazione a una determinata persona, rilievi effettuati sulla medesima, informazioni raccolte, nonché dati di carattere progettuale inerenti la pianificazione dell’intervento assistenziale di competenza infermieristica e delle connesse valutazione. La cartella infermieristica è lo strumento mediante cui l’infermiere documenta il processo di assistenza infermieristica, in particolare la pianificazione dell’assistenza e la sua attuazione. Struttura generale cartella infermieristica: Un modo razionale di affrontare la progettazione di una cartella infermieristica per un’azienda sanitaria, sia essa informatica, cartacea o a contenuto misto, prevede la suddivisione strutturale in due “macro-aree”. La prima è una base/nucleo comune, contenente quattro moduli (ovvero parti suddivise ma non scorporabili della cartella) la cui presenza è necessaria in tutte le sedi operative: - Modulo Dati anagrafici; - Modulo Anamnesi infermieristica; - Modulo Piano di assistenza; - Modulo Diario infermieristico. La seconda macro-area è composta da un numero variabile di Schede. Alcune di queste sono comuni in molte realtà, come la scheda di registrazione dei parametri vitali. Molte altre saranno utilizzate solo saltuariamente addirittura progettate sulla base dello specifico contesto operativo: schede per il controllo dell’attività respiratoria, schede per la determinazione del trauma, schede per il bilancio idrico, schede con istruzioni di medicazione, schede per la valutazione rischio lesioni da decubito, schede per prevenzione rischio caduta, eccetera. DESCRIZIONE CARTELLA INFERMIERISTICA AZIENDALE: È composta da: - Frontespizio (dati anagrafici, provenienza paziente…); - Condizioni cliniche all’ingresso; - Valutazione della presenza e del rischio di lesioni da pressione; - Valutazione e rilevazione rischio caduta; - Azioni preventive intraprese nei pazienti a rischio caduta; - Usi presidi; - Medicazione ferita chirurgica. - La cartella infermieristica documenta il processo di assistenza in tutte le sue fasi , dal momento dell’accoglimento del paziente fino alla sua dimissione a domicilio o presso altre strutture. MODALITA’ DI ACCESSO: Di regola la proposta di ricovero viene da un medico di base o specialista. Il ricovero, nei casi di urgenza, può essere disposto dal medico che ha prestato soccorso. IL GIORNO DEL RICOVERO: - Il giorno del ricovero, previo passaggio all’ufficio accettazione/spedalità, il paziente che accade all’U.O deve presentare la documentazione clinica personale (lettere di dimissioni ed eventuali cartelle cliniche di precedenti ricoveri, referti di visite specialistiche strumentali e di laboratorio già eseguono, informare delle terapie in atto ed indicare il nominativo ed il recapito del familiare di riferimento. RUOLO DELL’INFERMIERE NELL’ACCETTAZIONE DEL PAZIENTE IN REPARTO: comportamento dell’infermiere: - Salutare il paziente e i familiari, presentarsi con nome e cognome e ruolo svolto all’interno dell’equipe di cura. Spiegare al paziente quali sono le responsabilità dell’infermiere; - Accompagnare il paziente nella stanza, se non è in camera singola, presentare i compagni di stanza. Qualora fosse possibile lasciare scegliere al paziente il letto che preferisce. - Valutare l’aspetto generale, verificare se sono presenti segni e sintomi di disagio fisico; - Valutare lo stato psicologico del paziente e della famiglia attraverso comportamenti non verbali e le risposte verbali alle spiegazioni fornite. L’ansia influenza la capacità di comprendere le istruzioni, per cui l’infermiere dovrà pianificare quando e quante informazioni è opportuni fornire al paziente stesso. - Lasciare il paziente con i familiari in camera, affinché possa in indossare il pigiama (chiudere porta della stanza); - Consigliare al paziente di assumere una posizione comoda e procede con la raccolta dati per la compilazione della cartella infermieristica. Far sempre attenzione al rispetto della privacy; - Effettuare la visita infermieristica; - Informare il paziente come è organizzata la giornata all’interno del reparto (visita medica, terapia, igiene, dispensa); - Dare la possibilità al paziente e alla famiglia di porre domande e fornire risposte chiare ed esaudienti. - Assicurarsi che il campanello di chiamata sia facilmente raggiungibile dal paziente. Lasciare la stanza salutando e rimanendo a disposizione per ulteriori informazioni; - Lavarsi le mani ; - Compilare appositi moduli previsti per le procedure di ammissione che prevede la compilazione di diversi registri e ogni struttura dispone di una propria modulistica; - Iniziare lo sviluppo del piano di cura infermieristica . Di seguito l’infermiere, con la collaborazione del personale di supporto: - Stampa le etichette identificative , da applicare sulla documentazione e sul bracciale identificativo che appone al polso; - Verifica la presenza della richiesta di ricovero (impegnativa regionale) e l’eventuale documentazione sanitaria; - Compila la catena infermieristica (identifica i bisogni assistenziali, utilizza le scale di valutazione previste dai protocolli aziendali o specifici di U.O); - Verifica la presenza di protesi dentarie mobili; - Avvisa il medico dell’avvenuto ricovero ; - Rileva e registra i parametri vitali, inclusi il dolore; se richiesto esegue l’ECG ed il prelievo ematico e provvede a far eseguire gli specifici accertamenti previsti; - Rileva eventuali esigenze alimentari del paziente, aggiorna l’elenco dei pazienti per la richiesta dei pasti, comunica al personale di supporto il regime dietetico, se prescritto; - Consegna l’opuscolo informativo in cui sono riportati i regolamenti interno all’U.O.; - Favorisce l’orientamento/inserimento del paziente e familiari nell’U.O: 1- Descrive l’ubicazione di bagni e docce, l’utilizzo di sistemi di chiamata, di illuminazione, ecc.; 2- Informa che il personale non è responsabile della custodia di oggetti personali; 3- Informa sulla locazione del bar o dei distributori automatici di bevande o snack; - Rileva il fabbisogno educativa del paziente/familiare. LA VISITA INFERMIERISTICA: Dopo aver affrontato le pratiche burocratiche e aver consentito di ambientarsi nel nuovo ambiente l’infermiere procederà all’effettuazione della visita. Momento più importante del processo assistenziale poiché in questa fase vengano raccolti gli elementi per la programmazione del piano di cura. L’obbiettivo è di permettere un approfondimento della conoscenza, attraverso alcune domande mirate anche negli aspetti emozionali della situazione del paziente. Da valutare elementi importanti della vita del malato, in particolare: - La percezione che il paziente ha della malattia; - Identificazione da parte del paziente delle persone di sostegno e di supporto; - Identificazione di particolari situazioni stressanti affrontati dal paziente negli ultimi anni (lutti, separazione…); - L’attenzione all’eventuale utilizzo di farmaci; - L’offerta di ascoltare eventuali argomenti o problemi che il paziente desidera comunicare all’infermiere. Protocollo per l’accoglienza: Il protocollo è la descrizione delle tecniche che devono essere impiegate e/o degli atti da osservare in certe situazioni assistenziali, o per determinare prestazioni infermieristiche. I suoi obbiettivi sono: - Garantire sicurezza al paziente; - Fornire le dovute informazioni attraverso una comunicazione strutturata; - Stabilire le priorità di interventi; - Stabilire la natura dei dati da raccogliere. VISITA MEDICA E PROCEDIMENTO DIAGNOSTICO: 1° MOMENTO: RACCOLTA DATI: - Raccolta dall’anamnesi; - Effettuazione dell’esame fisico (esame medico); - Prescrizione ed effettuazione indagini diagnostiche; - Osservazione del paziente durante la degenza. 2° MOMENTO: ANALISI E INTERPRETAZIONE DEI DATI: - Analisi e interpretazione di tutte le informazioni raccolte che porteranno alla definizione della diagnosi e della prognosi (esiti e durata della malattia), VISITA MEDICA: - ASCULTAZIONE d i suoni prodotto dal funzionamento dei vari organi e apparati (suoni, respiratori, cardiaci, gestazionali, intestinali, articolari, del circolo); Al paziente si può chiedere di trattenere il respiro, tossire, respirare profondamente, ecc. PREPAZIONE DEL PAZIENTE ALLA VISITA MEDICA: COMPITI INFERMIERISTICI: - Spiegare al paziente scopo e modalità della visita; - Verificare che il paziente indossi indumenti sufficientemente ampi; - Controllare microclima della stanza; - Garantire la privacy. Fase dell’accertamento diagnostico ruolo dell’infermiere: MOMENTO AMMINISTRATICO – ORGANIZZATIVO: - Compilazione richieste esami diagnostici; - Programmazione esami diagnostici. DIMISSIONE: - Dimissioni e trasferimenti vengono di norma programmati, compatibilmente con le esigenze del paziente e/o della U.O. di destinazione; - La responsabilità della dimissione è a carico del dirigente medico che, durante la visita giornaliera, individua e/o stabilisce il momento in cui il paziente può essere dimesso o deve essere trasferito; - La valutazione finale comprende l’epicrisi , che descrive i problemi affrontati nel processo di cura, i problemi di cura, i problemi non risolti, la diagnosi e lo stato di salute del paziente all’atto della dimissione. La dimissione può verificarsi a diversi livelli: Dimissione a domicilio: si effettua dopo un’analisi accurata delle condizioni cliniche del paziente il quale deve risultare dimissibile presso il proprio domicilio, a seguito anche della valutazione della rete formale, informale e delle condizioni sociali del paziente. Generalmente la data ella dismissione viene comunicata al paziente con anticipo di almeno di ventiquattro ore, coinvolgendo, ove necessario, anche i familiari. Il giorno della dismissione il medico fornisce le raccomandazioni ed i consigli per il decorso, stabilisce la continuazione del piano terapeutico al domicilio e dispone la chiusura della cartella clinica; Dimissione verso struttura riabilitativa : riguarda quei pazienti che, a conclusione della fase diagnostica-terapeutica, necessitano di un ulteriore periodo di ricovero in una struttura sanitaria a scopo riabilitativa e/o assistenziale. Il Medico, previa verifica di disponibilità di posti letto, procede con la chiusura amministrativa dei ricoveri, la compilazione della SDO e della lettera di dimissione. Il coordinatore infermieristico e/o l’infermiere organizza l’eventuale trasporto in ambulanza per il giorno della dimissione, che sia compilata la relazione infermieristica per la dimissione. Dimissione protette: Con il termine “dimissione protetta” si intende l’insieme delle azioni che contribuiscono il processo di passaggio organizzato di un paziente da un setting di cura ad un altro, al fine di garantire la continuità assistenziale. Dimissione a domicilia con attivazione Assistenza Domiciliare Integra (ADI): L’ADI è un programma assistenziale domiciliare di tipo socio-sanitario integrare (comprensivo anche di prestazioni socio-sanitarie di basso intensità assistenziale), erogato da caregiver professionali, prioritariamente rivolto a soggetti fragili e/o anziani affetti da patologie cronico – degenerative o da disabilità: MMG, l’infermiere, terapista della riabilitazione e OSS. Dimissione verso Residenza sanitaria assistenziale (RSA): La RSA è una struttura residenziale extra ospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie e di recupero, tutela e trattamenti riabilitativi ad anziani in condizioni di non autosufficienza fisica e psichica, privi di supporto familiare che consenta di erogare a domicilio gli interventi sanitari continui e l’assistenza necessaria. Le RSA sono volte a coniugare le esigenze di assistenza sanitaria con le esigenze di assistenza tutelare ed alberghiera. Dimissione verso Hospice: L’Hospice costituisce un luogo di accoglienza e ricovero temporaneo, nel quale il paziente è accompagnato nelle ultime fasi della vita con adeguato approccio sanitario inclusivo; Le modalità di dimissione dalle UU.OO. di provenienza sono equivalenti a quelle della dimissione a domicilio, compito del personale di U.O. è l’organizzazione dell’eventuale ricovero presso l’Hospice, che deve essere pianificati durante il ricovero dato la scarsità di strutture disponibili. LA DIMISSIONE = Momento ugualmente importante come l’accoglienza. Fa insorgere ansia incertezza nel soggetto perché perde la sicurezza che si è acquisita vivendo in un ambiente protetto. Infatti la struttura inizialmente estranea diviene (si spera) familiare perché si è stabilito un rapporto di fiducia con gli operatori e rapporto di amicizia. - Importante quindi che la dimissione venga pianificata dall’equipe di cura col paziente, non può essere un vento improvviso al quale il malato non ha avuto il tempo di abituarsi; - Spesso è necessario che l’assistito venga educata a nuova terapia, assunzione di dieta, preparato a essere il più autonomo possibile; - Quindi l’infermiere deve avere il tempo di valutare il reale apprendimento del paziente. RUOLO DELL’INFERMIERE NELLA DIMISSIONE DEL PAZIENTE: IMPORTANTE - Controllare che il paziente sia nelle condizioni di salute necessarie per essere dimesso; - Quello rappresenta la fine di un processo continuativo proseguito per tutto il periodo della degenza; - Importante dopo ogni intervento eseguire il monitoraggio degli obbiettivi raggiunti senza il quale non è possibile sapere se si è soddisfatto il bisogno del malato. REQUISITI CLINICI PER LA DIMISSIONE DEL PAZIENTE: - Presenza di segni vitali stabili; - Assenza delle conseguenze della sindrome di immobilizzazione; - Presenza di un quadro ematochimico-nutrizionale soddisfacente; - Presenza delle capacità di eliminazione urinaria e fecale; - Presenza di un controllo adeguato del dolore; - Presenza di capacità di assumere correttamente le terapie; - Assenza di infezioni in atto; - Conoscenza delle limitazioni reali apportate della malattia rispetto alle attività di vite quotidiane; - Presenza dell’apprendimento di una nuova situazione se diversa all’ingresso; - Assenza o limitazioni di stati espressivi o ansiosi che comprometterebbero il recupero totale; - Presenza di un adeguato sistema di sostegno domiciliare; - Avvio delle pratiche burocratiche richieste dalla nuova situazione (esenzione ticket, invalidità, accesso assistenza domiciliare). Relazione infermieristica alla dimissione: Il personale infermieristico per garantire la continuità assistenziale, nei casi di trasferimento ad altre UU.OO, o di dimissione verso strutture sanitarie o sociosanitarie, provvede alla stesura della “Relazione infermieristica alla dimissione” Per le dimissioni a domicilio, qualora si accerti il mancato raggiungimento di autonomia, l’infermiere consegnerà al paziente/familiare il medesimo documento con le informazioni personalizzate sulla base della complessità assistenziali ancora presenti. Caratteristiche della scheda di dimissione infermieristica: La scheda di dimissione comprende: - Informazioni di tipo anagrafica, anamnesi, condizioni abitative e famigliari; - La destinazione del paziente ed in particolare i contatti avuti con altri professionisti sul territorio o in un’eventuale altra struttura; l’eventuale richiesta di ausili, o attrezzature; - I bisogni pregressi e attuali del paziente. È utile segnalare se durante il ricovero sono cambiate le condizioni del paziente. Progressivo allettamento, perdita o diminuzione dell’autonomia rispetta ai pre-ricovero, comparsa di condizione psicofisiche che alterino le condizioni pregresse (emiplegia, deficit di forza, ecc.). Infine: - Al paziente non deve essere messa fretta, gli vanno lasciati i suoi tempi… - Quando tutto è pronto viene accompagnato all’uscita e salutato cordialmente. - Forza con cui il sangue è spinto dai ventricoli (efficienza); - La quantità del sangue emesso ad ogni contrazione; - L’elasticità delle arterie. LA FREQUENZA: - La frequenza cardiaca (FC) è data dal numero d battiti al minuto primo. Il valore considerato normale nell’adulto sano a riposo è compreso tra 60 – 85 battiti cardiaci; - I valori normali variano con l’età, nei bambini sono maggiori (di media neonato 130, età scolare 90, adolescenti 80), con l’allenamento allo sforzo fisico (negli atleti a riposo tendono ad essere minori anche 45-50), con la postura (maggiore se ortopnoica, minore se supina). Aumenta nelle emozioni, nello sforzo fisico, dopo i pasti, con l’assunzione di stimolanti come caffeina e anfetamine, nella gravidanza. I valori in situazioni di malattia possono variare rispetto alla norma. Aumentano nella: - Febbre; - Nell’ipertensione arteriosa; - Nelle anemie; - Nelle cardiopatie soprattutto da insufficienza forza di contrazione; - Nel tifo, nell’ipertensione endocrina (meningiti, emorragie o tumori celebrali), nell’iper o ipotiroidismo, embolia polmonare, infarto microcardiaco, anossia, assunzione di farmaci, ecc. Quando il numero dei battiti è al di sotto di 60 si parla di BRADICARDIA (sinusale). Quando il numero dei battiti è al di sopra dei 100 si parla di TACHICARDIA (sinusale). IL RITMO: Significa cadenza dei battiti, potrà essere regolare o irregolare. - Se i battiti avvengono ad intervalli regolari si parla di RITMO SINUSALE, se avvengono ad intervalli irregolari si parla di ARITMIA; - Nell’infanzia e nei giovani è normale che la sequenza delle pulsazioni cambi: cioè che la frequenza sia maggiore durante l’inspirazione e minore nell’espirazione (aritmia respiratoria o sinusale). Talvolta si ha la sensazione, palpando il polso, che un battito sia mancato: in realtà i ventricoli si sono contratti, ma prima di quanto avrebbero dovuto. Questo avviene definito EXTRASISTICLE e poiché la pressione sistolica prodotta dal battito anticipato è bassa, ne manca la percezione al polso. L’extrasistole è quindi un battito irregolare inserito tra due battiti regolari. Rare extrasistoli possono verificarsi anche nei soggetti normali. Talora le extrasistoli si ripetono con regolarità alternando una sistole normale e una extrasistole (trigeminismo extrasistole) oppure due sistole normale una extrasistole (trigeminismo extrasistole). In altri casi si possono verificare multiple extrasistoli che si susseguono per un breve periodo (extrasistole a salve) avvertite alla palpazione del polso come pulsazioni molto deboli o come una pausa più o meno lunga. In tutti questi casi in genere si verificano normali battiti iniziali nel nodo senoatriale seguiti da battiti iniziati in una diversa parte del cuore, che essendo precoci sono più deboli dei prima, determinando un’aritmia. Un’assoluta irregolarità del ritmo è generalmente espressione di FIBRILLAZIONE ATRIALE. Quando si rileva polso aritmico è buona pratica utilizzare il metodo auscultatorio per valutare la frequenza del POLSO APICALE. LA QUALITA’: La qualità di solito si riferisce alla forza della pulsazione: - La qualità normale del polso è descritta come POLSO PIENO e FALCIMENTE PALPABILE e riflette la forza di contrazione del cuore, il volume di eiezione, l’elasticità delle arterie e la massa di sangue circolante; - In rapporto alla quantità di sangue che il cuore manda nelle arterie ad ogni sistole, si parla di POLSO AMPIO (attività fisica, emozioni oppure in caso di febbre, ipertrofia ventricolare) o di POLSO PICCOLO (emorragie, anemie), fino a FILIFORME (collasso cardiocircolatorio, shock). - In rapporto alle pressioni esistenti nell’arteria e all’elasticità della stessa , si parla di POLSO DURO in caso di pressioni elevate o rigidità delle pareti delle arterie (ipertensione, arteriosclerosi) in quanto il verso palpato è più difficile a comprimerlo. - Nei bambini e nei soggetti a bassa pressione arteriosa si parla di POLSO MOLLE, cioè facilmente comprimibile; - In alcune situazioni il volume di eiezione può variare da battito a battito durante la sistole determinando un’onda così debole che non può essere percepita a livello periferico con la popolazione. Si deve allora rilevare il polso apicale col metodo auscultatorio. La differenza fra il polso apicale e polsi periferici viene definita DEFICIT DI POLSO. FATTORI CHE INFLUENZANO IL POLSO: La comprensione dei fattori che influenzano il polso aiuta l’infermiere ad accettare e interpretare accuratamente il significato delle variazioni: - ETA’: nei neonati la frequenza media è di 130 battiti al minuto (100-160) e può variare marcatamente con il respiro, aumentando con l’ispirazione e diminuendo con l’espirazione, così pure nei bambini. Negli adulti normalmente la frequenza cardiaca corrisponde tra 60 e 80 battiti al minuto; - ESERCIZIO FISICO: a breve termine comporta un aumento della frequenza, un atleta allenato presenta valori normali più bassi della popolazione; - EMORRAGIA: la riduzione del volume ematico comporta un aumento della frequenza in quanto si verifica una stimolazione del sistema nervoso simpatico per compensare e rispristinare una corretta ossigenazione dei tessuti; - FEBBRE: nei rialzi febbrili si ha un aumento di 8 – 10 battiti cardiaci ogni grado di temperatura febbrile. In caso di tifo, meningiti o ipertensione endocranica si può avere una bradicardia relativa, nel senso che l’aumento di frequenza è minore di quanto dovrebbe essere in rapporto al rialzo febbrile. Nelle ipotermie si ha una riduzione della frequenza; - FARMACI: digitale, betabloccanti, calcioantagonisti o altri farmaci ad azione cardiaca possono ridurre la frequenza, altri come i diuretici che riducono il volume intravascolare possono aumentarla. Altri farmaci mimano o inibiscono gli effetti del sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico): i cosiddetti simpaticomimetici possono aumentarlo, come pure l’atropina che inibisce però il parasimpatico; - PATOLOGIE: alcune causano aumento della frequenza (scompenso cardiaco, anemia, ipertiroidismo, collasso cardiocircolatorio, asma, patologia polmonare ostruttiva cronica) altre causano riduzione della frequenza (blocco trio-ventricolare). In alcuni casi la bradicardia può essere falsa come nelle fibrillazioni atriali o in presenza di extrasistoli (rilevazione del polso apicale); MISURAZIONE DELLA FREQUENZA CARDIACA: La rilevazione del parametro del polso stabilisca un valore basato di riferimento per: - Ottenere dei dati di base per confrontare la frequenza e il ritmo delle misurazioni successive; - Ricercare le alterazioni del polso; - Valutare la risposta cardiaca a diversi trattamenti o farmaci; - Accertare il flusso ematico all’estremità - Informare la persona su ciò che viene fatto (un’informazione adeguata facilita la collaborazione della persona e conseguentemente una corretta rilevazione del parametro considerata); Invitare a aiutare la persona ad assumere la posizione supina o a posizionare l’avambraccio di lato con il polso esteso e il palmo verso il basso (una posizione poco confortevole può influenzare la frequenza cardiaca). Una posizione adeguata facilita la rilevazione del polso da parte dell’operatore. Prima di procedere alla misurazione del polso radiale verificare e considerare quale attività stava compiendo la persona e, eventualmente, attendere qualche minuto (i valori di normalità sono considerati a riposo). (camminare, lavarsi, andare in bagno possono determinare modeste variazioni della frequenza). - È fondamentale esercitare una moderata pressione per riuscire a percepire correttamente il polso; - Se la pressione è eccessiva si determina l’occlusione dell’arteria e si percepiva male il battito, contrariamente, se la pressione è irrilevante, il polso non si percepisce; - Se si usa il pollice è possibile confondere il polso della persona con quella dell’operatore (presenza di un proprio battito); - Mantenere le dita correttamente posizionale sul polso e guardando l’orologio contare i battiti (frequenza) per un minuto intero, accertandone anche la regolarità (ritmo) e la forza (qualità); - Annotare le caratteristiche rilevate e riposizionare la persona se necessario; - Lavare le mani. LA PRESSIONE ARTERIOSA CONCETTI FISIOLOGICI: - Viene detta PRESSIONE ARTERIOSA SISTEMATICA la forza che il sangue esercita sulla parete delle grandi arterie prodotta dall’attività meccanica del ventricolo sinistra; - La pressione arteriosa (PA) varia istante per istante, a seconda della fase del ciclo cardiaco: sale progressivamente durante la sistole fino ad un valore massimo detto appunto PRESSIONE ARTERIOSA SISTOLICA, e decresce poi progressivamente durante la diastole, fino a che avviene la sistole successiva che provoca la risalita della pressione. Il valore minimo è detto PRESSIONE ARTERIOSA DIASTOLICA; - La differenza tra la pressione sistolica e diastolica è definita PRESSIONE DIFERENZIALE; - La pressione arteriosa (P.A) è determinato da più ordini di fattori: 1. La gittata cardiaca cioè il volume di sangue pompato in un minuto (circa 5 litri); 2. La volemia, cioè la massa di sangue circolante (circa 5 litri); 3. La viscosità del sangue; 4. L’elasticità della parete arteriosa; 5. Le resistenze periferiche o tono arteriolare, cioè lo stato di contrazione delle arterie. LA GITTATA CARDIACA: - È il volume di sangue pompato in un minuto (volume di eiezione: 70 – 90 ml per la frequenza cardiaca: 60-80 battiti = circa 5l); - La gittata cardiaca può aumentare, per maggiore contrattilità del miocardio o per aumento della volemia. LA VOLEMIA: - È il sangue circolante nel sistema vascolare (circa 5000 ml) e normalmente rimane costante; - Se aumenta come nel caso di un’infusione endovena veloce di liquidi, viene esercitato più pressione contro le pareti vasali e quindi la pressione aumenta; - Se si riduce come nel caso di emorragia o di disidratazione, la pressione diminuisce . LA VISCOSITA’: - È la consistenza del sangue, è determinata dalla quantità di globuli rossi presenti (l’ematocrito o percentuale di globuli rossi nel sangue indica la viscosità ematica); - La viscosità del sangue influenza la facilità con cui il sangue scorre nei piccoli vasi, se maggiore (emoconcentrazione) vi è maggior attrito sulla parete dei vasi e viceversa; - Quando l’ematocrito aumenta ed il flusso ematico rallenta, la pressione arteriosa aumenta, in quanto il cuore deve contrarsi con più forza per spostare la massa di sangue più viscoso nel sistema circolatorio. FATTORI CHE INFLUENZANO LA PRESSIONE ARTERIOSA: La pressione arteriosa è costante ma viene influenzato continuamente da vari fattori: - ETA’: la pressione arteriosa aumenta gradualmente a partire dall’infanzia (1 mese 85/54 – 1 anno 95/65 – 6 anni 105/65) ed è correlato con il peso, altezza e età per rigidità delle arterie; - SESSO: dopo la pubertà le donne tendono ad avere valori più bassi dei maschi. Dopo la menopausa annulla il fenomeno; - ETNIA: nei giovani di colore si hanno speso valori più elevati degli europei- americani; - ORA DEL GIORNO: la pressione è in genere più bassa al mattino presto, aumenta poi gradualmente e raggiunge i valori massimi nel tardo pomeriggio o la sera; - ESERCIZIO FISICO: la pressione arteriosa può essere incrementata dopo un periodo di attività fisica, mentre diminuisce nel corso di riposo; - POSTURA: in posizione ortostatica o seduta la pressione è più bassa che in posizione clinostatica; - DOLORE, EMOZIONI, FUMO: determinano un’aumentata attività nervoso simpatico per librazione di adrenalina, con conseguente incremento della frequenza cardiaca, maggiore contrazione del muscolo cardiaco, un cambiamento del tono della muscolatura liscia vascolare e un volume maggiore dovuto a ritenzione d’acqua e sodio. Gli effetti della stimolazione simpatica provocano un innalzamento della pressione arteriosa; - VOLUME EMATICO: una diminuzione del volume circolante, legata a perdita sia di sangue sia di liquidi determina un abbassamento della pressione arteriosa. Il deficit di volume può verificarsi in caso di emorragie o di perdite non rimpiazzate (diarrea o diaforesi) oppure non sufficiente introduzione di liquidi - PASTI: la pressione massima aumenta radicalmente dopo i pasti e dopo aver assunto caffè o tè; - FARMACI: molti farmaci possono alterare i valori pressori: i diuretici riducono il volume circolante, i cardiocinetici aumentano la forza di contrazione del cuore, i cardiotonici aumentano la frequenza cardiaca, gli antipertensivi (o ipotensivi) agiscono o sulla resistenza periferiche oppure sul sistema renina-vasodilatazione, gli analgesici riducono il dolore inibendo il sistema nervoso simpatico, ecc. MUTAMENTI PATOLOGICI DELLA PRESSIONE ARTERIOSA: IPERTENSIONE: è la più frequente alterazione della pressione arteriosa. - È una patologia di solito asintomatica caratterizzato da valori pressori persistentemente elevati. Ne consegue un ispessimento e perdita dell’elasticità delle pareti arteriose. Il cuore deve quindi pompare continuamente il sangue contro una resistenza elevata. Ne risulta che si riduce il flusso ematico agli organi vitali, quali il cuore, il cervello e i reni, causando un accorciamento della vita per l’instaurarsi di patologie cardiovascolari, episodi cerebrovascolari, insufficienza renale IPOTENSIONE: s’intende il permanere dei valori pressori al di sotto di 90/60 mmHg: 3. FASE III: toni sordi (un crepito); 4. FASE IV: toni affievoliti (un soffio che sfuma); 5. FASE V: scomparsa dei toni (silenzio). STRUMENTI: - SFIGMOMATRO ANEROIDE : (che non contiene liquidi); la colonnina di vetro e il mercurio sono sostituiti da un semplice manometro con tecnica oscillometrica; - SFIGMOMATRI ELETTRONICI : per lo più prevedono un microfono o un sensore per la pressione inserito in un bracciale gonfiabile da una pompa elettrica, spingendo un tasto, collegato ad un sistema di registrazione digitalica su carta. Il microfono rileva i toni di Korotkoff e registra i valori sistolica e diastolici, il sensore invece risponde alle onde pressione generate dal movimento del sangue nell’arteria traducendo il movimento iniziale in pressione sistolica e quella finale in diastolica. Non richiedono l’uso dello stetoscopio; - Ci sono inoltre dei dispositivi portatili che gonfiano e sgonfiano il bracciale a tempi programmati nell’arco delle 24 ore (es. ogni 15 minuti); - Un altro consiste nell’incanulare un’arteria con un sottile catetere connesso ad un manometro elettronico. Questo consente la misurazione continua (monitoraggio), ad ogni battito cardiaco, alla pressione. È un metodo invasivo e quindi utilizzato per lo più in paziente critici. FATTORI CHE INFLUENZANO IL RESPIRO: - SESSO: normalmente gli uomini hanno una capacità polmonare maggiore delle donne, quindi una frequenza respiratoria minore; - ALTITUDINE: l’ossigeno contenuto nell’aria a livello del mare (21%) diminuisce con l’aumento dell’altitudine riducendo la quantità di emoglobina satura. Per compensare la rarefazione dell’ossigeno aumentano la frequenza e la profondità del respiro; - POSTURA: una postura eretta favorisce la piena espansione del torace. Una posizione curva o sdraiata impedisce la completa espansione del torace, ne consegue un aumento della frequenza e della profondità del respiro. METODOLOGIA DI RILEVAZIONE: - Aprire la valvola e far defluire lentamente l’aria; - Leggere il dato sulla scala a mercurio o sul manometro appena il flusso ricompare e di ode il primo battito (= pressione massima o sistolica); - Decomprimere ancora fino a quando le pulsazioni scompaiono: l’ultimo battito corrisponde alla pressione minima o diastolica; - Trascrivere il dato; - Riordinare; CONCETTI FISIOLOGICI: - Nell’uomo, l’aria assunta dall’ambiente viene immessa nelle vie respiratorie attraverso le cavità nasali e durante lo sforzo muscolare anche attraverso la bocca. Ambedue le cavità sfociano nella faringe, quindi il gas prosegue nella laringe, trachea, bronchi e bronchioli. Queste strutture hanno il compito di umidificare, riscaldare e purificare l’aria inspirata e di condurla ai polmoni (respirazione esterna). Dai bronchioli l’aria penetra, attraverso un brevissimo condotto, il condotto alveolare, nell’alveolo polmonare. La parate dell’alveolo è sottile e permette la diffusione del gas dell’alveolo al sangue e viceversa. Il sangue, attraverso l’emoglobina (Hb) contenuta nel globulo rosso, trasporta i gas dal polmone alle cellule e viceversa (respirazione interna). Il termine respirazione è usato per sintetizzare due processi diversa ma correlati: - L’attività respiratoria esterna; - L’attività respiratoria interna. Scambi dei gas e trasporto dell’O2: Gli scambi gassosi, sia a livello polmonare, tra: - Alveolo e sangue, che a livello capillare, tra sangue e cellula, dipendono dalla differenza della pressione parziale dei gas in cui avviene lo scambio; (dal gas ove la pressione parziale è maggiore a quello, in cui è minore fino a quando la differenza è annullata). Normalmente la pressione parziale di ossigeno (pO2) nel sangue arterioso è di 100 mmHg, e la pressione parziale di anidride carbonica (pCO2) è di 40 mmHg. - Si definisce IPOSSIA la riduzione della pO2 al disotto dei 60 mmHg e IPERCAPNIA l’aumento della pCO2 oltre i 49 mmHg; - Normalmente la pressione parziale di ossigeno (pO2) nel sangue venoso è di 40 mmHg, e la pressione parziale di anidride carbonica (pCO2) è di 45 mmHg. Movimenti respiratori: L’aria viene introdotta ed emessa alternativamente dai polmoni con movimenti detti rispettivamente INSIPIRZIONE ed ESPIRAZIONE, che costituiscono le due fasi dell’atto respiratorio. - INSIPIRAZIONE: è la prima fase ed è un processo attivo e consiste nel fatto che il muscolo diaframma si contrae e si abbassa che i muscoli intercostali si contraggono, aumentando il diametro antero-posteriore della gabbia toracica. Questo determina un aumento della gabbia toracica che provoca una espansione anche del polmone, che la segue passivamente, grazie alla grande espansibilità di cui è dotato. L’aumento del volume polmonare determinare una diminuzione della pressione negli alveoli polmonari (pressione negativa), e quindi si stabilisce un flusso tra l’ambiente esterno e lo spazio alveolare, ove la pressione è inferiore all’esterno. Quando la pressione intralveorare eguaglia quella esterna non vi è più flusso di gas e termina l’ispirazione. Regolazione nervosa e volumi polmonari: L’attività ritmica respiratoria è involontaria ed è regolata dal centro respiratorio, sito nel midollo allungato, suddiviso in centro inspiratorio ed espiratorio. I due centri si inibiscono reciprocamente quando lavorano. Il centro del respiro regola automaticamente la frequenza respiratoria e il volume corrente in modo da ottenere nel sangue arterioso una concentrazione ottimale di ossigeno e di anidride carbonica. - Nell’individuo sano e adulto, a riposo, gli atti respiratori di norma si susseguono con un ritmo costante e regolare 12-16 volte al minuto. A ogni atto respiratorio si introduce circa 500 ml di aria (VOLUME CORRENTE). Il prodotto del volume corrente per la frequenza respiratoria determina la VENTILAZIONE POLMONARE che aumenta a circa 6-8 litri al minuto. LE CARATTERISTICHE DEL RESPIRO comprendono: LA FREQUENZA RESPIRATORIA: ogni atto respiratorio consta di una fase inspiratoria e una fase espiratoria. Varia con l’età. Nei neonati a riposo è di 30-60 atti respiratori al minuto, diminuisce con l’avanzare degli anni fino a 12-20 al minuto atti nel soggetto adulto. - Al di sopra di 20 atti respiratori al minuto nell’adulto si parla di TACHIPNEA; - Al di sotto dei 12 atti respiratori al minuto si parla di BRACHIAPNEA. - L’assenza di atti respiratori viene detta APNEA, che può essere solo temporanea in quanto se prolungata è sinonimo di ARRESTO RESPIRATORIO e non è compatibile con la vita. IL RITMO RESPIRATORIO: nel corso di atti respiratori normale dopo ogni ciclo respiratorio si verifica un intervallo regolare. I neonati hanno un ritmo meno regolare degli adulti e anche i bambini piccolo tendono a respirare lentamente per qualche secondo e poi all’improvviso respirare velocemente. Il ritmo respiratorio può dunque essere regolare o irregolare. L’alterazione del ritmo determina dei respiri cosiddetti periodici, come quello di CHEYNE – STOKES (tipico del coma epatico, renale o celebrale), di KUSMAUL (tipico del coma diabetico) di BIOT (tipico delle meningiti traumi celebrali. recettori della tosse a livello delle muscose delle vie aeree inferiori. Il centro della tosse si trova nel bulbo. Ha la finalità di assicurare la pervietà delle vie tracheobronchiali; - Consiste in una inspirazione profonda, seguita dalla contrazione dei muscoli espiratori e addominali a glottide chiusa, fino ad una violenta apertura della glottide ed espulsione dell’aria che trascina con sé i corpi estranei presenti. L’apertura violente delle corde vocali determina il rumore caratteristico. La tosse può essere SECCA o PRODUTTIVA . La tosse secca è dovuta a fattori irritativi localizzati a livello delle vie aeree o della pleura. La tosse produttiva è dovuta alla presenza nei bronchi di secrezioni che il paziente cerca di espettorare. ESPETTORAZIONE: la quantità di espettorato o escreato nelle 24 ore può essere da pochi ml a parecchie centinaia. Può presentare caratteristiche diverse: - Sieroso (filante); - Mucoso (biancastro); - Mucopurulento (denso e giallastro); - Purulento (denso e verdastro). EMOTTISI o EMOFTOE: l’emottisi è l’emissione di sangue dalla bocca proveniente dalle vie respiratorie inferiori (laringe, trachea, bronchi e polmoni). Il sangue rosso vivo, schiumoso, persino cerulo Può essere di varia entità: un filo di sangue commisto all’escreato, uno sput mucopurulento emorragico, sangue puro non commisto ad escreato da pochi ml a oltre 500 ml; DISPNEA: indica una respirazione difficile, faticosa. Può essere inspiratoria se ci è un ostacolo all’introduzione dell’aria oppure misto nella maggior parte delle malattie polmonari acute (polmoniti) e croniche (tubercolosi, neoplasie). Inoltre può essere da sforzo o a riposo. DOLORE TORACICA: Può essere causato da malattie del cuore, aorta, pericardio; da malattie dello scheletro del torace; da malattie dell’esofago, del mediastino, della pleura. Nelle malattie dell’apparato respiratorio il dolore è dovuto ad un’irritazione della pleura. CIANOSI: è una colorazione bluastra della cute e delle mucose visibili (naso, lobi delle orecchie, guance), dovuta ad un aumento dell’emoglobina ridotta nel sangue da i 5 ai 100 ml, causata da una cattiva ossigenazione del sangue. Essa è dovuta al trasparire, attraverso i tessuti superficiali, del colore del sangue che circola nei capillari sottostanti: rosso cupo se la CO2 presente è aumentata. MISURAZIONE DEL RESPIRO: SCOPO: La rilevazione del parametro del respiro stabilisce un valore base di riferimento per: - Ottenere dei dati i base per confrontarlo con le successive misurazioni; - Ricevere le alterazioni del respiro; - Monitorare l’influenza dei farmaci e delle terapie sul respiro. ACCERTAMENTO: Si devono considerare alcuni elementi pima di rilevare il respiro: - La presenza di segni clinici e di sintomi di alterazioni respiratorie (dispnea, dolore toracico, tosse, cianosi, ridotto livello di coscienza); - La presenza di fattori che influenzano il respiro (età, esercizio fisico, altitudine, postura, dolore, ansia, farmaci, patologie, ecc.); - Determinare la modalità più appropriata per la misurazione. METODI: - Il paziente non deve accorgersi che si sta ascoltando il respiro, in quanto la consapevolezza della rilevazione può alterare la profondità o la frequenza; - Spesso si accerta il respiro dopo aver rilevato il polso radiale, continuando a mantenere il polso dell’assistito guardando i MOVIMEBTI INSPIRATORI DEL TORACE contandolo per un minuto; - Se il paziente dorme ASCOLTARE IL RESPIRO e contare gli atti respiratori, per un minuto, se è superficiale osservare lo sterno dove i movimenti respiratori sono più evidenti; - Nel bambino osservare il sollevarsi e l’abbassarsi dell’addome per contare gli atti respiratori, nei lattanti invece il movimento delle pinne nasali (ali del naso). MODALITA’ DI RILEVAZIONE DEL RESPIRO: Lavare le mani: - Verificare quale attività stava compiendo la persona ed è eventualmente attendere qualche minuto prima di procedere alla rilevazione del respiro; - La posizione della persona è quella adottata per la rilevazione del polso; - Appoggiare una mano sul torace e osservare e/o sentire il compimento di un atto respiratorio. Contare, guardando l’orologio, il numero di atti respiratori in un minuto (frequenza) osservando anche lo sforzo necessario a compierli (qualità), la regolarità (ritmo), e le caratteristiche dei movimenti della gabbia toracica. (profondità) - Annotare le caratteristiche rilevate: - Lavare le mani. LA TEMPERATURA È l’espressione della capacità dell’organismo di mantenere un equilibrio tra la perdita e la produzione di calore. L’uomo produce e perde calore in maniera sistematica costante. Il calore prodotto viene continuamente scambiato non solo con l’ambiente esterno, ma anche con l’interno dell’organismo stesso. La temperatura interna del corpo umano rimane relativamente costante, intorno ai 37° senza essere influenzata dall’ambiente esterno. La temperatura della superficie cutanea può variare notevolmente in base alle condizioni ambientali e all’attività fisica. Le cellule e i tessuti sono in grado di funzionare solo in un intervallo relativamente ristretto di valori di temperatura (variazioni di qualche decimo di grado nelle 24 ore). Per un funzionamento ottimale, quindi, gli organi del corpo richiedono una temperatura interna costante La rilevazione della temperatura corporea avviene tramite il termometro, quello italiano è graduato secondo la SCALA CELSIUS (0° corrispondono alla temperatura di fusione del ghiaccio, i 100° alla temperatura di ebollizione dell’acqua). Il termometro clinico è graduato da 35° a 42° ed ogni grado è diviso in 10 parti, o decimi di grado. PRINCIPI DI TERMOREGOLAZIONE La regolazione della temperatura corporea richiede la coordinazione di molti sistemi corporei: affinché la temperatura interna rimanga nella norma, la produzione (TERMOGENESI) e la perdita (TERMOLDISPERSIONE) di colore devono corrispondere per mantenere l’OMEOSTASI. L’IPOTALAMO, collocato nella ghiandola pituitaria nel cervello, funge da termostato (centro termoregolatore) percepisce le variazioni anche minime della T.C. e stimola i necessari cambiamenti: - Nel sistema nervoso ormonale (segnali termci) - Nel sistema circolatorio (vasocostrizione o vasodilatazione) - Nella cute (perspiratio insensibillis) - Nelle ghiandole sudoripare (perspiratio sensibbililis) - Nel sistema muscolare (contrazione muscolare volontaria o involontari) CONCETTI FISIOLOGICI produzione di calore e termogenesi Quando di parla di metabolismo si intende4 in generale l’insieme delle modificazioni chimiche che hanno luogo nell’organismo umano. I processi che si verificano possono essere di tipo anabolico con processi di sintesi per la conservazione e della sostanza vivente (accumulo di energia e formazione di nuovi tessuti) e il tipo catabolico, con processi di scissione per la trasformazion e della stessa (liberazione di energia e distruzione di materiale cellulare invecchiato). L’equilibrio dei due processi è importante per la vita dell’organismo. CONCETTI FISIOLOGICI: TERMOREGOLAZIONE DEL CORPO Per mantenere la temperatura interna del corpo umano a 37°, il corpo impiega diversi meccanismi al fine di uguagliare l’aumentata velocità metabolica. Durante un esercizio fisico, per esempio, la velocità di cessione di calore deve aumentare per uguagliare la quantità di calore ceduta con quella prodotta dal metabolismo. Il centro termoregolatore è in grado di valutare la temperatura corporea interna (tramite misurazione interna (tramite misurazione diretta della temperatura del sangue che lo perfonde) e la temperatura cutanea (misurata dai recettori situati sulla cute, i cui impulsi sono trasmessi per via nervosa) Quando la temperatura dell’ipotalamo è superiore ai 37° vengono immediatamente attivati i meccanismi che favoriscono la cessione di calore come la VASODILATAZIONE (per aumentare il flusso di sangue alla cute) e attiva la SUDORAZIONE. Quando la temperatura dell’ippotalamo scende al di sotto dei 37° vengono attivati meccanismi di conservazione e di produzione del calore quali VASOCOSTRIZIONE per diminuire il flusso ematico alla cute e se non basta il BRIVIDO (per aumentare la produzione di calore) viene stimolato l’aumento del tono muscolare involontario, cioè l’aumento delle condizioni muscolari, anche con vere e proprie scosse muscolari. Tutto ciò ha un limite, l’organismo non è in grado di resistere a lungo in un’ambiente che sia straordinariamente freddo o eccessivamente caldo. I FATTORI CHE INFLUENZANO LA TEMPERATURA La T.C. presenta delle piccole oscillazioni giornaliere essendo correlata all’attività fisica ed al sonno. Si dice che esiste una CURVA TERMICA CIRCADIANA, cioè che avviene si riscontra nell’arco delle 24 ore. La T.C. è più bassa verso le 4/5 del mattino e più alta verso le 17/18 del pomeriggio. Può variare anche di 2° (soprattutto nei neonati). Probabilmente si giustifica per il valore dell’attività muscolare e digestiva. Tale curva si riscontra effettuando la misurazione più volte al giorno, metodo detto RILEVAZIONE TERMICA NICTERALE (cioè del giorno e della notte) In caso di malattia sulla temperatura si sommano gli effetti della malattia stessa. La T.C nei soggetti sani varia nell’arco della giornata per vari fattori: L’intensa attività fisica. Nelle donne in età fertile si sovrappone alla curva circadiana un leggero aumento in corrispondenza del periodo ovulatorio fino alla mestruazione (curva circamensile) per effetto del progestosterone secreto dal corpo luteo dopo l’ovulazione. La T.C. è leggermente più elevata se si assumono contraccettivi (pillola anticoncezionale). Anche lo stress o l’ansia può elevare la temperatura. La comprensione dei fattori che influenzano la temperatura corporea aiuta l’infermiere ad accettare e interpretare accuratamente il significato delle variazioni: ETÁ: bambini e gli anziani hanno una istabilità a sostenere le temperature ambientali con verosimili modifiche giornaliere. I NEONATI: hanno una T.C. instabile, perché i loro meccanismi di termoregolazione sono immaturi. Non è insolito che gli anziani abbiano una T.C. ascellare inferiore ai 36°. L’esercizio fisico fa aumentare la T.C. attraverso il metabolismo dei grassi e carboidrati che vengono utilizzati per produrre energia. Anche lo stress stimola il sistema nervoso simpatico (o sistema nervoso vegetativo o autonomo) con aumento dei livelli di adrenalina e noradrenalina (ormoni della midollare dei surreni) i quali stimolano un aumento del metabolismo, incrementando così la produzione di calore. Un altro fattore che influenza la temperatura sono gli ormoni. Il progesterone secreto durante l’ovulazione aumenta la temperatura di circa 0,5° sopra i valori di base. Misurando la T.C. quotidianamente le donne possono determinare l’avvenuta ovulazione e quindi il periodo fertile. Dopo la menopausa la T.C. è la stessa per uomini e donne. Gli ormoni tiroidei (tiroxina) e surrenalici (adrenalina e noradrenalina) aumentano la produzione di calore. In genere i cambiamenti della temperatura ambientale non influenzano la T.C interna, ma l’esposizione prolungata a temperature estremamente calde o fredde può causare delle alterazioni (IPOTERMIA O IPERTERMIA). Queste ultime rappresentano delle grosse variazioni della temperatura ambientale (definite da causa estrinseca) alle quali l’organismo non è in grado ad adattarsi nonostante i meccanismi fisiologici di correzione messi in atto. Se la temperatura interna scende sotto i 25° si può verificare la morte (assideramento), oltre i 43/44° si può verificare il cosiddetto “colpo di calore o colpo di sole” che nelle forme più gravi si può manifestare con stato di coma e morte. IPOTERMIA INTRINSECA Si definisce ipotermia da CAUSA INTRINSECA un abbassamento della T.C. al di sotto dei 35° che si verifica indipendentemente dalla temperatura ambientale. Fra le cause ricordiamo: gravi carenze alimentari, alcuni stati tossici o infettivi (colera), gli stati di paralisi muscolare, alcuni disordini endocrini (ipotiroidismo, iposurrenalismo). IPERTERMIA FEBBRILE La febbre è un aumento di T.C dovuto al di sregolamento del termometro ipolatamico: in altri termini è proprio quest’ultimo a provocare un aumento della temperatura; come difesa dell’organismo nei confronti di alcune malattie (infettive, immunitarie, neoplastiche ecc..) se la T.C supera i 37° si parla di febbre, se supera i 39,5° si parla di iperpilessia. La disregolazione è causata dalla presenza nel sangue di sostanze prodotte dai leucociti dette PIROGENI ENDOGENI o LEUCOCITARI (citochine: interieuchine o interfevori e prostaglandine in qualità di mediatori della flogosi) in risposta a una serie di eventi: infezioni, presenza di varie tossine, neoplasie, traumi cranici, stati infiammatori cronici, necrosi tissutali). Quindi non vero che la febbre indichi sempre la presenza di un’infezione e non è vero che in tutte le infezioni ci sia sempre febbre, come nelle infezioni localizzate lievi (foruncolo, raffreddore) e negli organismi defedati che non sono in gradi di difendersi adeguatamente (infezioni apirettiche). Dal punto di vista patololgico umano, le sostanze comunque che rivestono maggior interesse sono i PIROGENI ESOGENI O BATTERICI. Il mantenimento della T.C su valori più elevati del normale, poiché i processi di termodispersione sono operanti, viene ottenuto con un aumento della termogenesi. In pratica una grossa parte dell’energia prodotta viene dispersa come calolre e non immagazzinata come ATP. Ciò è una delle cause dell’astenia che si ha nei processi febbrili. Prevalgono, inoltre, i processi di tipo catabolico su quelli di tipo anabolico. Catabolismo proteico e diminuzione dell’introduzione di cibo, per disturbi gastrici che accompagnano gli episodi febbrili, portano a disappetenza e quindi un dimagrimento e diminuita funzionalità di vari parenchimi (fegato,rene) e organi. Oltre alle modificazioni di tipo chimico, e probabilmente a causa proprio di queste, si hanno delle alterazioni di vari organi: A carico del cuore si ha tachicardia (circa 8-10 pulsazioni per ogni grado oltre i 37°). A carico dei polmoni si ha polipnea (per eliminare CO2 per compensare lo stato di acidosi) A carico dell’apparato digerente si ha un interessamento della mucosa e del fegato (con inappetenza, nausa e vomito) A carico del sistema nervoso centrale (S.N.C.) si ha una sofferenza dovuta alla carenza energetica e all’azione diretta del calore (cefalea, convulsioni, delirio) IL DECORSO DELL’EPISODIO FEBBRILE Un episodio febbrile è normalmente caratterizzato da 3 frasi cronologiche: FASE DI ASCESA O PRODOMICA: corrisponde al momento in cui i mediatori innescati dalle citochine agiscono su i neuroni del centro termoregolatore che innesca risposta termoconservativa È caratterizzato dalla sensazione soggettiva di freddo, dall’eventuale comparsa di brivido (aumento della termogenesi) e del pallore cutaneo, che consegue alla vasocostrizione (riduzione della termodispersione) la T.C. aumenta progressivamente talvolta con rapidità (il paziente sente freddo e tenta di coprirsi) FASE DI ACME O PLATEAU: corrisponde al periodo in cui il termoregolatore si regola su un livello più elevato di quello fisiologico (modifica del set point) con conseguente aumento della temperatura, raggiungendo valori che sono proporzionali alla riduzione della sensibilità dei neuroni del centro. Scompare la sensazione di - Determinare il sito più appropriato per la misurazione - Ogni sede può essere soddisfacente se si utilizza una tecnica appropriata e se si tengono in considerazione le normali variazioni delle diverse sedi. Normalmente la temperatura ascellare corrisponde ad un valore medio di 36,5°, quella orale di 37° quella rettale di 37,5° Quando è possibile la misurazione della temperatura dovrebbe essere effettuata nelle stesse ore e nella stessa sede, utilizzando lo stesso termometri, in modo che l’interpretazione delle variazioni sia più attendibile. SEDI le più comuni sono: CAVO ASCELLARE- PIEGA INGUINALE: In Italia è la sede più utilizzata anche se rileva la temperatura esterna e necessita accuratezza nella rilevazione (asciugatura dell’ascella, corretta posizione del termometro, tempi lunghi di rilevazione) Come strumento perlopiù si utilizza il termometro a massima di vetro ovale e si lasci in situ 7-10 minuti. Si possono utilizzare anche strisce/cerotti termometrici monouso (60 secondi). Soprattutto nei reparti di isolamento protettivo oppure termometri elettronici con unità display e sonda ricoperta da una guaina monouso (20-50 secondi) CANALE UDITIVO ESTERNO: Questa sede si sta diffondendo sempre più perché riflette la temperatura interna e la rilevazione è veloce e facile sia nei bambini che negli anziani che nei pazienti critici. È controindicata in caso di lesione timpanica o di secrezioni intense auricolari. La misurazione può essere influenzata da tappi di cerume significativi. Si utilizza un termometro apposito con un sensore ad infrarossi sulla punta e guaina monouso e si lascia in situ 2-5 secondi. CAVO ORALE: È la sede più comune nel mondo anglosassone, rileva la temperatura interna. Può essere alterata dall’ingestione di cibi o bevande fredde o calde, dall’aver fumato e dall’ossigenoterapia. Da evitare la rilevazione con termometri di vetro nei bambini piccoli, nei pazienti incoscienti, agitati o con tremori. Si utilizzano per lo più termometri a massimo di vetro con punta corta e larga lasciandoli in situ 3-5 minuti, ma negli ultimi anni sta implementandosi l’uso del termometro elettronico (20-50 secondi) e l’uso di strisce/cerotti termometrici monouso (60 secondi). AMPOLLA RETTALE: è considerata una delle sedi più affidabile per ottenere la temperatura interna, anche se è da evitare di porre il termometro del materiale fecale è poco tollerata per il fastidio e il disagio, è controindicata in caso di diarrea o dopo interventi chirurgici a livello rettale o con patologie rettali. Si utilizza il termometro a massima di vetro con punta corta, larga e smussata e si lascia in situ 3 minuti o termometri elettronici con guaina monouso (20-50 secondi) Le condizioni favorenti o di rischio (CAUSE O FATTORI CORRELATI) che possono essere: L’esposizione al calore, sole o al freddo, pioggia, neve vento abbigliamento inadeguato al clima assenza di condizionamento o di riscaldamento ambientale, sottopeso o sovrappeso, disidratazione, consumo di alcool, attività fisica vigorosa o inattività, inefficacia della termoregolazione (neonato, anziano..) I casi di ipertermia o ipotermia lieve, sono trattabili con interventi di carattere infermieristico ed educativo sanitario, quali ad esempio la correzione delle cause esterne (vestiario inadeguato, esposizione al caldo o freddo, assunzione di liquidi, evitando attività fisica inadeguata), se gravi diventano problemi clinico-collaborativi che richiedono interventi anche medici (prescrizione di farmaci antipiretici, antibiotici, soluzioni idrosaline, ecc..) IL DOLORE  5 PARAMETRO VITALE Il dolore rappresenta il mezzo con cui l’organismo ci segnala un danno tissutale (sintomo) è un’esperienza emozionale e sensoriale spiacevole. Le conseguenze psico- fisiche del dolore non trattato sono note e rilevanti nel breve e lungo periodo (malattia). Per la valutazione del dolore viene considerato un parametro di qualità dalla Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organisations (JACHO). La corretta valutazione del dolore permette un appropriato trattamento antalgico. La normativa n. 149 del 29-06-2000 emana le linee guida per la realizzazione dell’Ospedale senza Dolore. Le linee guida del progetto si basano sulla creazione, in ogni struttura ospedaliera, di un Comitato permanente per il dolore composta da 3 a 15 persone fra medici ed infermieri, a seconda delle dimensioni della struttura ospedaliera. LINEE GUIDA COMITATO PERMANENTE PER IL DOLORE È responsabilità degli infermieri controllare almeno due volte al giorno il livello del dolore di ogni utente, a partire dal momento del ricovero fino a quello della dimissione. La misurazione del livello di dolore avviene attraverso una scala validata. Una delle attività del comitato è, inoltre, quella di assicurare le disponibilità e la somministrazione di farmaci antidolorifici (oppioidi). Il progetto “Ospedale senza dolore” e la legge sugli oppioidi costituiscono un radicale cambiamento culturale e comportamentale nei confronti del problema dolore. CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE Il dolore può essere acuto o cronico: DOLORE ACUTO: - Ha durata limitata e cessa con la guarigione della causa. - Causato da lesioni o alterazioni interne o esterne - Correlato all’intensità dello stimolo - Localizzazione precisa - Da un distinto segnale di protezione o avvertimento CONSEGUENZE DEL DOLORE ACUTO E CRONICO NON TRATTATO - Attivazione della risposta da stress - Ipertensione, tachicardia, iperventilazione - Agitazione, ansia - Rischio di complicanze cardiache - Cronicizzazione - Disturbi del sonno riduzione dei livelli di attività e perdita di autonomia - Alterazione dei rapporti sociali e familiari - Frequenti ospedalizzazioni - Depressione DOLORE CRONICO: - Perdura a lungo e risponde poco alle terapie mediche - È sganciato dall’evento scatenante - La sua intensità non è più correlata con lo stimolo causale - Diventa una vera e propria malattia - Ha perso la sua funzione di protezione e avvertimento - È una particolare sfida terapeutica DOLORE ACUTO IN URGENZA La caratterizzazione del dolore acuto in termini di localizzazione, intensità, modalità e tempo d’insorgenza, variazione, servono per poter fare una diagnosi differenziale. La rilevazione, misurazione e registrazione del dolore vengono effettuate all’arrivo in pronto soccorso da parte dell’infermiere di triage. Le linee guida sviluppate e condivise dal personale medico e infermieristico del Pronto Soccorso identificano a chi rilevare il dolore, la scala di misurazione da utilizzare e la modalità di registrazione. Il trattamento del dolore è invece una responsabilità del medico di Pronto Soccorso, che sceglie il farmaco più adeguato, seguendo linee guida di trattamento predefinite. La rivalutazione del dolore dopo terapia antalgica spetta sempre all’infermiere. Essa permette di inserire, nel percorso di gestione del dolore, il principio della continuità terapeutica. DOLORE POST-OPERATORIO È un dolore acuto presente nel paziente chirurgico per malattia preesistente, per l’intervento chirurgico o per combinazione tra malattia preesistente e procedura chirurgica utilizzata. Si tratta della principale causa di apprensione per i pazienti che devono sottoporsi ad intervento chirurgico. FATTORI CHE INFLUENZANO IL DOLORE POST-OPERATORIO Sede intervento, l’entità dell’intervento, fattori psicologici dei pazienti, patologie concomitanti, sesso ed età Non è superfluo ricordare l’importanza del ruolo dell’infermiere nel trattamento del dolore. La professione di infermiere riveste, in ambito legislativo, due ruoli: il ruolo prescritto e quello proprio. Nel paziente con dolore è importante rispondere ai suoi bisogni fondamentali tenendo conto del suo dolore. L’infermiere riveste il ruolo di terapeuta grazie al rapporto con il malato, questo rapporto privilegiato, chiamato relazione di aiuto, che assume una rilevanza particolarmente importante nel paziente con dolore cronico. Una corretta valutazione e un adeguato monitoraggio del dolore permettono di somministrare una terapia antologica efficace e di conseguenza permettono di migliorare la qualità di vita del paziente. _______________________________________________________________ RUOLO DEI MICRORGANISMI NELLE INFEZIONI I microrganismi sono piccole strutture invisibili ad occhio nudo, dotate di patrimonio genetico e con particolari caratteristiche cellulari quali un citoplasma, una parete cellulare, una membrana, che popolano il nostro organismo e tutto ciò che ci circonda. Sebbene invisibili ad occhio nudo, infatti, numerosi microrganismi sono presenti sulla nostra cute, nella nostra bocca, nel nostro intestino e sono innocui, anzi, spesso proteggono il nostro organismo proteggendoci dalle nostre malattie o dalle infezioni. Tuttavia altrettanto spesso i microrganismi possono diventare patogeni, causando complicanze infettive o patologie anche gravi. FAMIGLIE DI MICRORGANISMI PATOGENI I microrganismi sono classificati in varie famiglie, a loro volta suddivise in classi, le famiglie principali sono: batteri, funghi e lieviti, virus, protozoi. Per poterli studiare è necessario creare delle culture, ovvero degli ambienti artificiali, detti terreni di coltura, in cui possano crescere e moltiplicarsi. I BATTERI I batteri sono microrganismi unicellulari che, a seconda della forma che assumono, prendono nomi diversi: cocchi, bacilli, cocco bacilli, bacillo fusiforme ec.. I batteri vengono comunemente suddivisi in due classi, a seconda della loro colorazione. La loro differenza sta appunto nella colorazione che assumono al momento del loro trattamento nel terreno di coltura. Sono inoltre suddivisi in: 1. Commensali: sono fisiologicamente presenti nel nostro organismo e non creano alcun danno. Sono soprattutto presenti sulla cute, nell’intestino e nella bocca 2. Patogeni: sono quelli in grado di causare una malattia. Possono essere anche batteri che di norma sono commensali, ma che si trovano in un sito diverso da quello abituale, oppure diventano virulenti a causa delle ridotte difese immunitarie del soggetto. GRAM NEGATIVI = Assumono una colorazione rosa o rossa, poiché si decolorano dopo essere stati sottoposti alla colorazione di gram e non riescono a trattenere la colorazione. Questo avviene perché la loro parete cellulare è molto sottile. GRAM POSITIVI = Assumono una colorazione blu viola dopo essere stati sottoposti alla colorazione di gram (cristalvioletto). Assumono questa colorazione grazie alle caratteristiche della parete cellulare di determinati batteri. I FUNGHI: LIEVITI E MUFFE I funghi sono microrganismi potenzialmente patogeni, suddivisi in lieviti (unicellulari) e muffe (pluricellulari). Le infezioni date dai funghi sono dette micosi. Tra i più diffusi ci sono la candida albicans e l’espergillus. I VIRUS I virus sono i microrganismi estremamente piccoli, la cui informazione genetica è scritta sotto forma di DNA o RNA, racchiusa in un involucro, detto capside. Per duplicarsi i virus devono penetrare all’interno di una cellula utilizzando le funzioni della cellula ospite e lo fanno riconoscendo una cellula target, legandosi saldamente ad essa e penetrandola. Dopodiché il virus introduce la sua informazione genetica e si replica. INFEZIONE DA MICRORGANISMI Qualunque sia il microrganismo, affinché ci possa essere un’infezione nel soggetto è necessario che i microrganismi si moltiplicano e resistano alla difesa immunologica dell’ospite. LA CATENA DELL’INFEZIONE Le infezioni derivano dall’interazione tra un agente infettivo ed un ospite suscettibile. L’interazione si verifica mediante il contatto tra l’agente e l’ospite ed è influenzata dall’ambiente. AMBIENTE dove l’agente e l’ospite interagiscono L’ambiente è quella variabile che permette all’ospite e all’agente di incontrarsi e permette la trasmissione della malattia. La catena dell’infezione è costituita dai seguenti componenti: agente infettivo, reservair, porto d’uscita, modo di trasmissione, porta d’entrata e ospite suscettibile. L’agente infettivo è un patogeno che causa un’infezione. L’abilità di un patogeno di creare un’infezione dipende dalla sua virulenza, patogenicità, dose infettante e infettività. AGENTEil microrganismo cioè la vera causa di malattia La maggior parte delle malattie trasmissibili all’uomo sono provocate da batteri e virus e molti di questi hanno l’uomo come unico ospite. Altri microrganismi sono invece patogeni anche per gli animali ed hanno come serbatoio animali domestici o selvatici. Il reservoir è il luogo in cui un agente infettivo può sopravvivere e dove può o non può moltiplicarsi. Reservoir abituali nelle strutture sanitarie sono le persone affette da malattie infettive ed i dispositivi medici contaminati o le attrezzature (solitamente definite veicoli) Vi sono tre tipologie di reservoir umani: 1. Le persone malate (hanno segni e sintomi della malattia) 2. Le persone colonizzate (è presente un agente infettivo ma non vi è infezione) 3. I portatori (sono infetti ma non mostrano alcun segno e sintomo, possono trasmettere l’infezione agli altri) La porta d’uscita è il percorso con cui un agente infettivo lascia il reservoir. Le porte di uscita possono essere: il tratto respiratorio, il tratto genitourinario, il gastrointestinale, cute e membrane mucose, sangue, oppure la trasmissione della malattia dalla madre al figlio, durante la gravidanza (via transplacentare) . Il modo di trasmissione è il movimento dei patogeni del reservoir all’ospite La porta di entrata è il percorso con cui un agente infettivo entra nell’ospite: può essere la via respiratoria, il tratto gastrointestinale, la cute e le mucose, la via parentale o transplacentare. L’ospite per in grado di ricevere, quindi di far penetrare, attecchire e moltiplicare l’agente deve essere suscettibile. Per essere ospite suscettibile occorre che la persona o l’animale agevoli tutte le fasi di sviluppo del microrganismo. L’ospite suscettibile è la persona che ha insufficiente resistenza ad un particolare patogeno. Nelle strutture sanitarie, molti pazienti sono suscettibili alle infezioni poiché sono gravemente malati. LA CATENA EPIDEMIOLOGICA La catena epidemiologica rappresenta quella serie di eventi concatenanti che permettono la trasmissione del germe tra: un ospite suscettibile che si è ammalato di una malattia infettiva e contagiosa e un altro ospite suscettibile. La trasmissione può avvenire in modo: diretto, cioè senza intermediari (es. baci, rapporti sessuali..) Indiretto: mediante veicoli (componenti inanimate) o mediante vettori (componenti animate). LE INFEZIONI NELLE ORGANIZZAZIONI SANITARIE Le infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie IOS (in precedenza chiamate infezioni nosocomiali) si riferiscono alle infezioni associate alla erogazione di assistenza in ogni setting di cura (es.ospedali, strutture di lungodegenza, assistenza ambulatoriale, assistenza domiciliare). Una IOS viene definita come una infezione localizzata o sistematica, conseguente ad una reazione avversa dovuta alla presenza di un agente/i infettivo o alla sua tossina/e per la quale non vi sono evidenze all’ammissione nella struttura sanitaria. Si definisce IOS una infezione che si manifesta dopo 48 ore dall’ammissione. PRINCIPALI TIPI DI INFEZIONI OSPEDALIERE Vi sono quattro principali tipi di IOS tutti correlati a procedure invasive o chirurgiche. Essi includono: 1. Infezioni del tratto urinario catetere-associate 2. Polmoniti ventilatore associato 3. Infezioni del sito chirurgico 4. Batteriemie catetere-correlate FATTORI EPIDEMIOLOGICI CORRELATI ALLE IOS Vi sono tre principali gruppi di fattori di rischio per le IOS: - Fattori a carico dell’ospite - Fattori legati all’agente infettivo - Fattori ambientali FATTORI A CARICO DELL’OSPITE I fattori a carico dell’ospite riguardano il rischio di esposizione e la capacità di resistenza all’esposizione stessa. I pazienti ricoverati nelle strutture sanitarie hanno solitamente scarse condizioni di salute con ridotte difese contro i batteri e gli altri agenti infettivi. L’età avanzata o la prematurità e l’immunodeficienza (legata a farmaci, malattie o radiazioni) rappresentano un rischio generale, mentre alcune malattie implicano rischi specifici. Per esempio, le malattie polmonari croniche ostruttive aumentano la possibilità delle infezioni del tratto respiratorio. Altri fattori a carico dell’ospite, associati ad un aumento rischio di IOS, sono: tumori maligni, infezioni da virus dell’immunodeficienza umana, le gravi ustioni e le malattie cutanee, la severa malnutrizione, gli stati di coma, il diabete mellito, le malattie broncopolmonari, l’insufficienza cardio-circolatoria, le ferite aperte ed i traumi. FATTORI A CARICO DEGLI AGENTI INFETTIVI Gli agenti infettivi sono rappresentati da batteri, virus, funghi, o parassiti. La maggior parte delle IOS sono causate da batteri e virus. Occasionalmente i funghi e raramente i parassiti, causano IOS. I due principali tipi di batteri che causano IOS sono i cocchi Gram positivi (es. stafilococchi e streptococchi) ed i bacilli Gram negativi (es. Acinetobacter spp. Pseudomonas spp., Enderobacter spp. Klebsiella spp.) FATTORI A CARICO DELL’AMBIENTE I fattori a carico dell’ambiente sono fattori estrinseci che colpiscono l’agente infettivo o la persona a rischio di esposizione a quell’agente. I fattori ambientali correlati alle IOS includono l’ambiente inanimato ed animato del paziente. L’ambiente animato: si riferisce al personale sanitario, agli altri pazienti presenti nello stesso reparto, ai famigliari e ai visitatori. L’ambiente inanimato fa riferimento agli strumenti medici, alle attrezzature e alle superfici ambientali. Altri fattori di rischio associati all’ambiente sanitario includono la pulizia e l’igiene ambientale del reparto, la temperatura e l’umidità, le manovre diagnostiche e terapeutiche. Le procedure diagnostiche e terapeutiche possono aumentare il rischio di acquisizione delle IOS in particolare quelle che riguardano: - Incisioni di tessuti contaminati/infetti o che implicano l’inserzione di corpi estranei - Cateteri a permanenza, in particolare cateteri intravascolari e urinari - Tracheotomie o intubazione tracheale, ventilazione respiratoria assistita, anestesia - Dialisi - Trasfusioni - Farmaci immunosoppressori, antibiotici, iperalimentazione - Radioterapia, dispositivi invasivi per esempio drenaggi chirurgiche, tutti i bypass dei meccanismi di difesa naturale del paziente che offrono una facile via di ingresso per le infezioni. PIÚ A LUNGO UN DISPOSITIVO È LASCIATO IN SEDE, MAGGIORE È IL RISCHIO DI INFEZIONE. CONTROLLO DELLE INFEZIONI NELLE ORGANIZZAZIONI SANITARIE Nel 1800 F. Nightingale pioniera della professione infermieristica diceva che “la più grande umiliazione per un ospedale è essere all’origine di una malattia infettiva o vedere l’infezione propagarsi.” Nello stesso periodo un chirurgo di nome Semmelweis notò che se i colleghi si fossero lavati le mani, passando dal tavolo autoptico alla sala parto, sarebbero morte meno partorienti. PREVENZIONE DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE Nel 2050 le infezioni batteriche causeranno circa 10 milioni di morti all’anno, superando quelle per tumore. Sono molto sottovalutate ma le infezioni ospedaliere rappresentano la prima causa di decessi nel mondo. Prevenirle è tra le campagne principali messe in piedi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La possibilità di prevenire le IO è correlata in buona parte a procedure assistenziali di ampia diffusione quali il: - Lavaggio delle mani - Il rispetto dell’asepsi nelle procedure invasive - La disinfezione - La sterilizzazione dei presidi sanitari Studi epidemiologici controllati mettono sostanzialmente in evidenza che, l’insorgenza dell’infezione, non è direttamente correlata alla presenza dei microrganismo nell’ambiente, la modalità con cui il microrganismo viene a contatto con un ospite suscettibile, e che quindi risultano vincenti tutti i provvedimenti che vengono intrapresi per evitare la trasmissione di questi microrganismi. LAVAGGIO DELLE MANI Il lavaggio delle mani: rappresenta una delle migliori tecniche per ridurre la diffusione delle infezioni ospedaliere. Il Centers for Desease Control (Atlanta, Usa) classificano questa misura in prima categoria, quindi in grado da sola di ridurre il tasso di infezione (riduzione del 40% di tutte le infezioni ospedaliere) La trasmissione si verifica attraverso: - Microrganismi capaci di sopravvivere per almeno alcuni minuti sulle mani del personale - Procedure di lavaggio o antisepsi delle mani o inadeguate o non praticate, o effettuano con prodotti inappropriati - Mani contaminate venute a contatto diretto con un altro paziente o oggetto inanimato che a sua volta contamina il paziente - I microrganismi patogeni nosocomiali possono provenire non solo da ferite infette ma anche da aree di cute normale e intatta dei pazienti, le zone perineale e inguinale, le ascelle sono altamente colonizzate. lungo termine come per esempio l’esposizione all’amianto. (es. mascherine FFPP 1,2 o 3) I GUANTI Devono rispondere alle caratteristiche contenute nelle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (D.Lgs.626/94) e rientrano tra i dispositivi di protezione individuale. I DPI e/o “mezzi di protezione dell’operatore” maggiormente in ambito sanitario sono: guanti, camici, mascherine chirurgiche e filtranti facciali, occhiali, visiere, schermi protettivi. FUNZIONE DEI GUANTI: Secondo le Linee Guida americane (Healthcare Infection Control Practies Advisory Committee) in ospedale i guanti per uso sanitario vengono utilizzati per: Protezione del paziente: ridurre la probabilità che microrganismi presenti sulle mani del personale vengano trasmessi ai pazienti nel corso di procedure invasive o altre procedure assistenziali che comportino il contatto con mucose e cute non integra del paziente. Prevenzione della trasmissione delle infezioni per contatto diretto e indiretto: Ridurre la probabilità che le mani del personale, contaminate con microrganismi da un paziente o da un fomite, possano trasmettere questi germi ad un altro paziente, in questa situazione, i guanti devono essere sostituiti durante i contatti tra un paziente e l’altro e le mani devono essere lavate dopo la rimozione dei guanti. Protezione dell’operatore: fornire una barriera protettiva per prevenire la contaminazione grossolana delle mani in caso di contatto con sangue, fluidi corporei, secrezioni, escrezioni, strumenti o materiali contaminati da essi, mucose e cute non integra del paziente. Guanti monouso non sterili: i guanti medicali monouso non sterili sono dispositivi utilizzati in ambiente sanitario per proteggere il lavoratore (e paziente) da possibili infezioni e contaminazioni provenienti da materiale biologico o agenti chimici. Attività: manipolazione contenitori materiale biologico, assistenza a pazienti incontinenti, cambio della biancheria di un letto contaminato, chiusura contenitori rifiuti speciali o biancheria sporca, cure igieniche, gestione stomie intestinali e vescico ureteretali, prelievi ematoici, manipolazione drenaggi. Tipi di guanti utilizzati: GUANTI IN NITRILE NON STERILI garantiscono una buona manualità (destrezza, precisione, presa) ed una buona resistenza (alle sollecitazioni meccaniche, alla durata d’uso). Hanno un elevato carico di rottura ed inoltre impermeabilità alle sostanze chimiche migliore del lattice e pertanto sono completamente più protettivi per l’operatore. UTILIZZO DEI GUANTI PER ATTIVITÁ COLLATERALI ALL’ATTIVITÁ ASSISTENZIALE: Scarico materiale da autoclave guanti in cotone Decontaminazione e lavaggio strumenti chirurgici guanti in nitrile non sterili indossati sotto i guanti in gomma di tipo domestico Cambio di biancheria di letto non contaminato e dispensa alimentare guanti in polietere non sterili. I guanti medicali monouso sterili chirurgici e non chirurgici sono dispositivi utilizzati in ambiente sanitario per proteggere il lavoratore e il paziente da possibili infezioni e contaminazioni. GUANTI STERILI (lattice e Neoprene): servono per interventi chirurgici, gli inserimenti del catetere venoso centrale e arterioso, punture esplorative, ago aspirato e biopsie. Garantiscono oltre alla sterilità una manualità ed una resistenza elevata. ATTIVITÁ Medicazione ferite, inserimento catetere vescicale, trachea-bronco aspirazione. TIPI DI GUANTI INDICATI Guanto sterile in polietilene: in tutte le manovre ove è richiesta la sterilità di una sola mano e di breve durata. CORRETTO UTILIZZO DEI GUANTI: Nelle situazioni in cui non c’è necessità di proteggersi indossando i guanti, questi non solo sono inutili, ma possono risultare anche dannosi. I guanti non devono essere: di taglia adeguata, integri, adoperati esclusivamente nelle operazioni in cui si ravvisi il rischio chimico o biologico, sostituiti in caso di rottura o lesione, di resistenza idonea alla prestazione che si deve eseguire. È IMPORTANTE RICORDARE CHE: la convinzione erronea che l’uso dei guanti possa sostituire il lavaggio, o addirittura fornire una maggiore garanzia di igiene, produce comportamenti che, invece di ridurre il rischio di trasmissione di microrganismi, lo aumentano. CAMICI PROTETTIVI Monouso in tessuto non tessuto, sono poco resistenti indicati per l’igiene del paziente e i visitatori. In tessuto di solito cotone autoclavabili, resistenti ma offrono poca protezione ai liquidi perché sono permeabili. In fibre sintetiche resistenti e impermeabili, possono avere la doppia protezione davanti, il collo può essere alto, polsi stretti e chiusura nella parte posteriore. VA INDOSSATO: esecuzione di procedure assistenziali che possono produrre l’emissione di sangue o di altri liquidi biologici, esecuzione di interventi chirurgici, esecuzione di pratiche assistenziali in stanze d’isolamento. OCCHIALI VISIERE SCHERMI PROTETTIVI Tali DPI devono essere utilizzati dagli operatori sanitari per proteggere congiuntive e altre mucose del viso da eventuali contaminazioni da schizzi di sangue o di altro materiale biologico. DISPOSITIVI DI PROTEZIONE RESPIRATORIA Mascherine chirurgiche: appartengono alla categoria 1 Possono essere con visiera o senza, munite di elastici e stringinaso regolabile, buona efficienza filtrante dall’interno verso l’esterno, usate principalmente per proteggere il paziente, costituiscono un’efficacia sistema barriera anche per l’operatore sanitario, possono essere utilizzate per massimo 2 ore consecutive. Viene utilizzata in sala operatoria, sala medicazioni, camera d’isolamento, sul paziente in isolamento respiratorio. MASCHERE FACCIALI FILTRANTI Sono dispositivi che si adottano per proteggere le vie aeree dell’operatore sanitario dalle goccioline presenti in sospensione o dai microrganismi presenti nell’aria e che per le dimensioni talmente piccole potrebbero raggiungere gli alveoli. FILTRI FACCIALI = Appartengono alla categoria 3 Possono essere a semi maschera o anche a facciale pieno con relativi filtri, proteggono da polveri sottili e agenti infettanti, si adattano perfettamente a viso, resistono agli schizzi di liquidi biologici, possono essere munite di valvola unidirezionale, possono essere indossati fino a 8 ore consecutive. CLASSIFICAZIONE DEI FACCIALI FILTRANTI Classe FFP1 adatta per manovre a medio basso rischio (filtrazione 80%) Classe FFP2 adatto per manovre di assistenza al paziente con TBC o altra patologia a trasmissione aerea (filtrazione 94%) Classe FFP3 adatte a manovre atte a far espettorare, tossire e nelle manovre di broncoscopia su pazienti con certe o sospette patologie aereotrasmesse. CONTROLLO INFEZIONI OSPEDALIERE Il controllo delle infezioni ospedaliere si può effettuare attraverso: - Corrette procedure assistenziali (lavaggio mani, utilizzo dpi) - Buon uso degli antibiotici - Sistemi di isolamento - Disinfezione/sterilizzazione - Educazione sanitaria ISOLAMENTO - Mascherine, e se vi è un’infezione particolarmente virulenta sono necessarie anche mascherine avanzate FFP2 e FPP3 (es. in caso di TBC) - Es. TBC polmonare o laringea, varicella zoster diffusa Precauzioni aggiuntive per le infezioni trasmissibili per via ematica o liquidi biologici - Guanti - Tutte le precauzioni standard se l’operatore è a rischio di contaminazione da schizzi e fuoriuscita di materiale biologico (mascherine, occhiali, camice) - Lavaggio delle mani Per le infezioni trasmissibili per via aerea, per droplets e per contatto è necessario: - Isolare il paziente in una camera singola - Limitare i trasporti del paziente - Limitare le visite - Indossare i DPI quando si entra nella stanza - Utilizzare materiale presidiato dedicato - In caso di infezione per via aerea, isolare il paziente in una camera singola possibilmente a pressione negativa Le misure di isolamento mirano ad interrompere la catena di trasmissione della malattia attraverso la trasmissione di microrganismi patogeni da un soggetto infetto a uno sano. Da sempre rappresentano uno dei cardini dei programmi di controllo delle infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie DISINFEZIONE E STERILIZZAZIONE LE FASI DEL PROCESSO D’IGIENE: - Decontaminazione - Detersione - Disinfezione - Sanificazione DECONTAMINAZIONE Metodica prevista dal decreto ministeriale 28/09/90 “norma di protezione dal contagio professione da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private”. Questo intervento va effettuato su tutto il materiale riutilizzabile, venuto a contatto con liquidi potenzialmente infetti, prima di sottoporlo alla procedura di detersione. Può essere realizzato immergendo gli oggetti in una soluzione disinfettante di riconosciuta efficacia verso il virus dell’HIV. DETERSIONE Procedura meccanica atta ad allontanare un’elevata percentuale di microrganismi e di materiale organico ed inorganico. DETERGENTE: sostanza che diminuisce la tensione superficiale tra sporco e superficie da pulire favorendone l’asportazione. DISINFEZIONE Procedimento che determina la distruzione o l’inattivazione dei microrganismi ai livelli “di sicurezza” responsabili dell’insorgenza di malattie infettive (generalmente non si riescono ad uccidere le spore). Si ottiene per mezzo di prodotti chimici in soluzione. I DETERGENTI Si possono più comunemente distinguere tra tensioattivi sintetici e i saponi. I tensioattivi sintetici: I tensioattivi anionici sono quelli a carica negativa (saponi, Sali sodici e potassici). I cationici sono a carica positiva (Sali d’ammonio), sono più attivi, sono usati anche come disinfettanti. I non ionici sono composti nei quali non è presente la carica positiva o negativa. Tra essi vi sono gli alcoli. DISINFEZIONE Si parla di disinfezione se queste misure vengono attuate su una superficie o su uno strumento9. Si parla di antisepsi se le stesse vengono effettuate su un tessuto vivente. (es. la cute). Il risultato del processo di disinfezione si ottiene attraverso sostanze chimiche: DISINFETTANTI, ATISETTICI. I DISINFETTANTI DISINFETTANTE sostanza ad azione germicida destinata ad essere utilizzata su materiali o oggetti ANTISETTICO sostanza ad azione germicida caratterizzata da bassa tossicità e da assenza di effetti irritanti indicata per l’applicazione su tessuti viventi. Nessun disinfettante può essere efficace se impiegato su materiali oppure oggetti non puliti. La sporcizia protegge i microrganismi impedendo al disinfettante di raggiungerli e di svolgere la sua azione. Le soluzioni acquose di disinfettante ed in misura minore anche quelle alcoliche possono essere contaminate da microrganismi. I contenitori dei disinfettanti devono essere etichettati. L’etichetta deve riportare: il nome del disinfettante, la concertazione, l’uso cui è destinato, la data di preparazione, la data di scadenza del flacone chiuso ed uno spazio dove segnare la data di scadenza una volta aperta la confezione. Si devono evitare travasi dei disinfettanti in altri contenitori, inoltre evitare il rabbocco. Tutti i disinfettanti, se usati in modo improprio rispetto alle indicazioni d’uso, possono determinare effetti indesiderati, di tossicità sul paziente e/o sull’operatore e danni più o meno rilevanti sui materiali. Usare flaconi di piccole dimensioni, di capacità inferiore a 500 ml e forniti di dosatore (dispenser, nebulizzatore, ecc..). Richiudere immediatamente il flacone dopo l’uso e conservarlo tappato (non usare tappi di sughero o di cotone) i disinfettanti, in particolare se in soluzione acquosa, devono esser utilizzati entro 7-10 giorni dall’apertura del flacone. L’operatore durante l’uso dei disinfettanti, deve evitare che l’apertura del flacone venga a contatto diretto con le mani o con qualsiasi materiale (cotone, garze, cute o mucose del paziente). Se vi fosse una fuoriuscita di una certa quantità di soluzione che cola lungo il flacone è necessario asciugarlo immediatamente. La conservazione dei disinfettanti deve avvenire lontano da fonti di calore e dalla luce. FATTORI CHE CONDIZIONANO L’ATTIVITÁ DEL DISINFETTANTE/ANTISETTICO La concentrazione d’uso: Il prodotto deve essere usato con le concentrazioni che il produttore indica poiché soluzioni diverse possono essere inefficaci o addirittura dannose. Tempo di contatto: occorre che il disinfettante abbia il tempo di agire. A seconda del prodotto i tempi possono variare da 30 secondi ad alcune ore. La carica microbica: l’inefficacia dell’azione del disinfettante è inversamente proporzionale alla quantità di germi presenti. La specie microbica: alcune specie batteriche sono più resistenti delle altre all’azione del disinfettante es. TBC spore di clostridium difficile ecc... La temperatura d’uso: seguire le istruzioni sull’etichetta, normalmente la temperatura di utilizzo è quella ambientale. In alcuni casi vi sono specifiche indicazioni su quando e come utilizzare con altre temperature. La natura del materiale da trattare: certamente una superficie liscia è più facilmente disinfettante rispetto alla presenza dio anfratti, rientranze o nicchie. La presenza di sostanze inattivanti: oltre ai germi, la soluzione disinfettante può venire alterata e quindi resa meno efficace dalla presenza di saponi o dalla durezza dell’acqua. LA STERILIZZAZIONE Il processo di sterilizzazione è fondamentale per il riutilizzo degli strumenti chirurgici. Obiettivo della sterilizzazione è la distruzione di ogni microrganismo in forma vegetativa o di spora e si ottiene mediante procedimenti fisici e/o chimici standardizzati, ripetibili e documentabili. Un processo di sterilizzazione può ritenersi valido quando su un milione di strumenti autoclavati al massimo uno risulti non sterile. Le linee guida stabiliscono i passaggi fondamentali per la preparazione alla sterilizzazione: RACCOLTA, DECONTAMINAZIONE, PULIZIA, ASCIUGATURA, CONFEZIONAMENTO, STERILIZZAZIONE. ASEPSI = CONTROLLO DELLE INFENZIONI - Dopo l’asciugatura è buona norma verificare la funzionalità del presidio medicochirurgico. SELEZIONE DELLO STRUMENTARIO Prima di mettere lo strumentario chirurgico a sterilizzare bisogna: - Selezionare il materiale a seconda del metodo di sterilizzazione da impiegare; - Suddividere il materiale secondo la tipologia si confezionamento buste, container, carta, ecc. La selezione corretta del materiale riduce i tempi di confezionamento. CONFEZIONAMENTO La corretta conservazione sterile strumenti prevede il loro confezionamento con materiali adeguati. Vengono utilizzate buste in carta e polipropilene per il confezionamento di dispositivi da sterilizzare in autoclave. Le buste vengono saldate attraverso opportune termosaldatrici che garantiscono spessore e tenuta della sigillatura. CONFEZIONARE PER GANTIRE LA CONSERVAZIONE STERILE Requisiti del corretto confezionamento. - Permettere la penetrazione dell’agente sterilizzante; - Essere da barriera per microrganismi e particelle esterne; - Essere resistenti a strappi e perforazioni; - Permettere una facile apertura e un’estrazione asettica del contenuto; - Essere di uso pratico ed economico. Confezionamento singolo o doppio. Per ogni tipo di confezionamento l’operatore h due possibilità di confezionamento, in formula singola o doppia. Tale scelta si deve basare su una serie di considerazioni: - REPARTA DI DESTINAZIONE; - SISTEMA DI TRASPORTO; - MODALITA’ DI CONSERVAZIONE. LA STERILIZZAZIONE - Prevede un trattamento che provoca la completa distruzione di tutti gli organismi; - Poiché le endospore sono le forme maggiormente resistenti e sono praticamente ubiquitarie, le procedure di sterilizzazione vengono programmate per la loro eliminazione. Come si ottiene la sterilizzazione? - Calore; - Radiazioni; - Agenti chimici; La scelta dipende dal materiale da sterilizzare. IL CALORE - È l’agente sterilizzante più efficacie e più utilizzato; - Quando la temperatura supera la temperatura massima che consente la crescita cellulare iniziando a manifestarsi fenomeni di letalità. CALORE SECCO: STUFA Calore secco (stufa): sono sterilizzatrici ad aria calda. - Tempi 160°C\2 ore, 170°C\1 ora, 180°C\30 min; - MATERIALE: vetreria, metallo, e oggetti che non fondono (aghi, anse, ecc.). CALORE UMIDO: AUTOCLAVE Autoclave (vapore sotto pressione): - 121°C per 15 minuti; - Si utilizza per sterilizzare quasi ogni cosa, tranne le sostanze termolabili che verranno denaturate o distrutte. Il processo di sterilizzazione nelle autoclavi avviene per mezzo del vapore. RADIAZIONI UV (lampade germicide). - Efficacie = ottima ma limitata alle superfici esposte (radiazioni non penetranti); - Impieghi = superfici (laboratori, sale operatorie). Radiazioni ionizzanti (raggi gamma). - Efficacia = ottima (radiazioni penetranti) ma costo elevato; - Impieghi = strumento in plastica (siringhe, cateteri, piastre, pipette). AGENTI CHIMICI. OSSIDO DI ETILENE molto attivo microrganismi e spore: - Efficacia = ottima (notevole capacità di penetrazione); - Impieghi = strumenti medici o chirurgici che non sopportano esposizione ad elevate temperature; - FORMALDEIDE; - GLUTARALDEIDE. Gli agenti chimici uccidono ogni forma di vita ma sono altamente tossici. Il responsabile del processo di sterilizzazione è l’INFERMIERE. - Laddove l’infermiere non possa essere sempre disponibile è possibile individuare altre figure professionale con formazione specifica responsabili del processo di sterilizzazione (DPR 14 gennaio 1997 n°37) GESTIONE E SMALTIMENYO DEI RIFIUTI SANITARI Il DPR 254\03, regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’art. 24 della legge 31 luglio 2002, n°179, disciplina la gestione dei rifiuti sanitari e degli altri rifiuti allo scopo di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e della salute pubblica e controlli efficaci. I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuire la pericolosità, da favorirne il reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzare la raccolta, il trasporto e lo smaltimento. Che cosa è un rifiuto? Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi (legge 8 agosto 2002 n° 178, art. 14). L’ospedale così, come ogni realtà aziendale produttiva, dà origine ad una notevole quantità di rifiuti. Nel settore sanitario il problema dello smaltimento dei rifiuti è molto importante sia per la quantità di ciò che viene prodotto, sia per la particolarità e pericolosità di gran parte di questi rifiuti che infatti richiedono modalità di smaltimento particolari e molto costose. La voce più importante è certamente costituita dal cosiddetto rifiuto sanitario pericoloso a rischio infettivo che rappresenta circa il 70% di tutto il rifiuto prodotto. Normativa di riferimento. D.lgs 5 febbraio 1997, n°22 e successive modifiche ed integrazioni prevede che vengono adottate iniziative direte a favorire, in via prioritaria, la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti; Decreto interministeriale 26 giugno 2000. n°219 regolamento recente la disciplina per la gestione dei rifiuti sanitari, ai sensi dell’articolo 45 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n° 22; DPR 15 luglio 2003, n. 254: regolamento recente disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’art. 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179, prende specificatamente in esame i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo prevedendo che gli stessi debbano essere smaltiti in modo da non causare rischi per la salute tramite termodistruzione presso impianti autorizzati. - La gestione dei rifiuti deve essere effettuata secondo i principi di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, perché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali. Classificazione dei rifiuti sanitari. Ulteriori indicazioni in merito alla classificazione dei rifiuti sanitari sono contenute nel D.P.R n. 254-2003 (art. 2, comma 1 lett. A), che definisce così i “RIFIUTI Comprendere i contenitori in vetro di farmaci, alimenti, bevande, soluzioni per infusione senza cannule o aghi ed accessori per la somministrazione, esclusi i contenitori di soluzioni di farmaci antiblastici o visibilmente contaminati da materiale biologico, che non siano radioattivi ai sensi del D.Lgs. 230\95 (e successive modifiche ed integrazioni), e non provengano da pazienti in isolamento infettivo. CONFENZIONAMENTO Apposito contenitore per il vetro in plastico rigido privo di sacco. Il D.M n°219\2000 ha come obiettivo la riduzione di alcune categorie di rifiuti attraverso la raccolta differenziata. Questa permette di ridurre la quantità dei rifiuti smaltiti della struttura sanitaria, rendere possibile il recupero di alcune categorie di rifiuti con un minore impatto ambientale. CARTA E CARTONE DA IMBALLAGGIO: Comprende tutta la carta (non plastificata) da imballaggio, ad esempio scatole di farmaci, fogli sparsi di carta prodotto da attività d’ufficio, giornali e riviste (anche utilizzati dai pazienti), scatoloni in cartone (devono essere appiattiti e schiacciati). ESCLUSA: Carta tipo medical grade (crespata verde); Pellicole in plastica; Carta carbone; Carta cerata; Carta per E.C.G, E.F.G; Fax su carta chimica. CONFENZIONAMENTO: In apposito contenitore per la raccolta della carta privo di sacco, localizzato presso gli appositi locali di maggior produzione (uffici). BATTERIE E PILE ESAURITE: Comprende le pile e gli accumulatori utilizzati per il funzionamento delle diverse apparecchiature sanitarie e non sanitarie, pile e accumulatori utilizzati dai pazienti. ATTENZIONE: Le pile non vanno abbandonate nell’ambiente ospedaliero né collocate in contenitore per altri tipi di rifiuti. CONFENZIONAMENTO: Utilizzare un qualsiasi contenitore nel quale inserire pile e\o accumulatori (sacchetto in plastica, scatola di cartone ecc.). TONER, NASTRI E CARTUCCIE PER STAMPANTI: Inchiostro in polvere pigmentato per stampanti, fotocopiatrici, fax. ATTENZIONE: Tali rifiuti non vanno abbandonati nell’ambiente ospedaliero né collocati in contenitori per altri tipi di rifiuti. CONFEZIONAMENTI: Inserire all’interno del loro involucro originale o all’interno di sacchetti\buste di carta. MERCURIO: Comprende il mercurio derivante dalla rottura di sfigmomanometro, termometri e da altre apparecchiature che eventualmente lo contengono: MODALITA’ DI RACCOLTA E CONFENZIONAMENTO: - Indossare guanti monouso; - Raccogliete il mercurio; - Inserirlo all’interno del contenitore in vetro (es. provette); - Chiudere ermeticamente la provetta; - Non depositarlo vicino a fonti di calore. ATTENZIONE: Il mercurio non deve essere abbondonato nell’ambiente ospedaliero né collocato in contenitori per altri tipi di rifiuto. DOCUMENTAZIONE ICONOGRAFICA – LASTRE RADIOLOGICHE. Comprende qualsiasi radiogramma prodotto dalla S.C.\Radiologia in riferimento al D.M. 14.02.1997 art. 4 comma 3. La disponibilità dei radiogrammi deve essere mantenuta per un periodo non inferiore a 10 anni. I referti vanno conservati a tempo indeterminato. CONFENZIONAMENTO: Buste di carte e contenitori in cartone (cartoni da riciclare che abbiano contenuto materiale es. farmaci, cancelleria ecc.). DEPOSITO LOCALE E MOVIMENTAZIONE INTERNA: Nel caso in cui le S.S. abbiano necessità di smaltire radiogrammi, gli stessi devono essere inviati al servizio raccolta rifiuti. MATERIALE FUORI USO: - Comprende il materiale da rottamare (arredi, apparecchiature elettromedicali); - Materiale informatico (computer, stampati, scanner). Le modalità sono molto diverse a seconda dell’Azienda per cui attenersi alle disposizioni interne. RIFIUTI SANITARI PERICOLOSO NON A RISCHIO INFETTIVO (RSP non-I): Sono considerati rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo i rifiuti in cui il rischio prevalente è quello chimico e sono costituiti da: - Bagni esausti di fissaggio della Radiologia; - Bagni esausti di sviluppo della Radiologia; - Liquidi di scarto del Laboratorio Analisi; - Liquidi di scarto del Centro Immunotrasfusionale; - Liquidi di scarto dell’Anatomia Patologica; - Liquidi di scarto delle UU.OO. (quali la glutaraldeide, ecc.) CONTENITORI DA UTILIZZARE: Taniche e bidoni in materiale rigido forniti dalla ditta autorizzata contrassegnati dalla lettera “R” (di colore nero su fondo giallo). Confezionamento: Nel caso in cui no sia presente un collegamento idraulico diretto con le vasche di raccolta i rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo devono essere immessi esclusivamente nei contenitori forniti dalla ditta appaltatrice e nell’effettuare il travaso è obbligatorio l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI). I contenitori devono essere: - Ermeticamente chiusi per impedire fuoriuscita del contenuto; - Conservati chiusi e lontano da fonti di calore; - Raccolti separatamente per tipologia di rifiuto prodotto dalle diverse apparecchiature. DEPOSITO LOCALE E MOVIMENTAZIONE INTERNA I bidoni vengono movimentati dal personale della ditta appaltata in un apposito locale di deposito temporaneo individuato all’interno del P.O. Periodicamente la ditta appaltatrice provvede al loro ritiro. I bidoni non devono essere assolutamente abbandonati presso corridoi o sotterranei. RIFIUTI SANITARI PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO (RSP-I). Comprendono: - Rifiuti contaminati, o che si suppone siano contaminati, da materiale o da liquidi biologici; - Sangue; - Secrezioni vaginali; - Secrezioni seminale; - Liquido celebro-spinale; - Liquido sinoviale; - Liquido pleurico; - Liquido peritoneale; - Liquido pleurico; - Liquido pericardico; - Liquido amniotico, ecc.; - Rifiuti contaminati da feci o urine di pazienti affetti da patologie trasmissibili attraverso tali escreti; solo se dichiarato sulla cartella clinica come 1. Pannolini; 2. Pannoloni; 3. Assorbenti. Sono da considerare rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo; - Rifiuti taglienti Si considera materiale pungente o tagliente i rifiuti di seguito specificati: - Tutti i tipi di aghi; - Lame da bisturi; - Bisturi e rasoi monouso; - Lamette; - Lancette pungi dito; - Tine-test; - Mandrini; - Vetrini; - Provette rotte; siringhe; - Vacutainer; - Deflussori; - Aghi e fialette di vetro. Smaltimento taglienti. Questi rifiuti devono essere smaltiti nell’apposito contenitore rigido monouso per aghi e taglienti (Multibox da 5 lt. e da 2 lt.) che, riempito per non oltre i 2\3 della sua capacità, verrà chiuso definitivamente e conferito all’interno del contenitore per rifiuti pericolosi a rischio infettivo. I contenitori per aghi e taglienti devono essere collocati nelle seguenti aree: - In sala medicazione; - Sui carelli della terapia; - Negli ambulatori medici; - Nelle sale prelievi dei laboratori analisi; - Nel locale adibito a preparazione pazienti per intervento chirurgico; - Nel locale adibito ad indagini diagnostiche e\o strumentali; - Dove si renda necessario, a seguito di valutazione ponderata del responsabile del presidio sanitario di riferimento; Il contenitore non deve essere collocato nei luoghi di libero accesso al pubblico. Occorre inoltre nella manipolazione di questi rifiuti l’utilizzo di idonei DPI. RIFIUTI SANITARI CHE RICHIEDONO PARTICOLARI SISTEMI DI SMALTIMENTO (RS-particolari). FARMACI SCADUTI: sono classificati come speciali non pericolosi; FARMCI NON SCADUTI: i farmaci non scaduti, dei quali non si prevede l’utilizzo. Questo materiale deve essere restituito alla Farmacia corredato con l’apposita modulistica. MATERIALE ANTIBLASTICO. (rifiuti derivanti dall’utilizzo dei chemioterapici\antiblastici) Sono rappresentati da: 1. Flaconi che hanno contenuto i farmaci antiblastici; 2. Taglienti, siringhe, aghi, deflussori, ecc.; 3. Garza e cotone contaminati; 4. Residui di farmaci utilizzati nella preparazione e somministrazione della terapia; 5. Mezzi di protezione individuate (camici, guanti, mascherine, ecc.). CONFEZIONAMENTO: Questi rifiuti vanno conferiti come segue: contenitore rigido con doppia chiusura e doppia etichettatura recante la dicitura: rischio biologico e chimico. PARTI ANATOMICHE 1. Introdurre le parti anatomiche nel sacco di polietilene; 2. Introdurre questo in un secondo sacco di plastica nero sul quale deve essere apposta l’etichetta adesiva con l’indicazione di: - Nome e cognome del paziente; - Identificazione della parte anatomica; - Data dell’intervento; - Reparto di provenienza. 3. Depositare la parte anatomica così confezionata nelle apposite celle frigorifere situate in camera mortuaria; 4. Compilare in tutte le sue parti il modulo per la richiesta di inumazione ed inviarlo all’ufficio stato civile dell’ospedale congiuntamente ad eventuale consenso alla cremazione e scheda di morte debitamente modificata. RISCHI CONNESSI CON LA GESTIONE RIFIUTI. - Rischio infettivo. Legato sono ad alcuni tipi di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e a rifiuti che richiedono particolati modalità di trattamento. Questi prodotti vengono in gran parte sterilizzati prima dello smaltimento. I rischi di natura infettiva sono essenzialmente conseguenti a infortuni con conseguenti ferite da taglio o da punta. - Cause di infortuni da rischio biologico. Manipolazione poco attenta del rifiuto, effettuata senza l’ausilio di dispositivi di protezione individuali. Utilizzo di contenitori non adeguati a dimensioni, resistenza, impermeabilizzazione, chiusura, oppure applicazione di tecniche scorrette di condizionamento. MISURE GENERALI DI PREVENZIONE: - Utilizzo dei dispositivi di prevenzione individuali (guanti, ecc.); - Adeguata chiusura e corretta manipolazione dei contenitori per i rifiuti, prestando particolare attenzione ai taglienti; - Rispetto delle modalità di raccolta diverse per i vari tipi di rifiuti; - Quando è possibile, copertura vaccinale degli operatori. IL BISOGNO DI IGENE E DI CURA : - La capacità di provvedere a lavare il proprio corpo, di indossare e togliersi gli abiti, di raggiungere la stanza da bagno, di provvedere all’igiene dopo aver risposto al bisogno di eliminazione urinaria e intestinale, di cucinare il cibo e di assumerlo in maniera autonoma, sono attività (ADL) che possiamo definire come “cura della persona”; - Quando rispondiamo a questi bisogni in maniera autonoma si verifica in noi un miglioramento del benessere fisico-psichico e una percezione del concetto di sé stessi; - Il mantenimento dell’igiene e della cura nel vestirsi favorisce l’autostima, determina benessere e di conseguenza facilita le relazioni interpersonale e l’integrazione sociale. OBIETTIVO DELL’INFERMIERE - È quello di aiutare la persona a raggiungere il massimo grado di autonomia possibile; - Quindi dove è possibili incitare ad eseguire tutte quelle attività, anche se minime, che la persona è in grado di compiere da sola, per non ostacolare il processo di raggiungimento dell’autonomia; - Alcune patologie come l’ictus celebrale, le lesioni alla colonna vertebrale, il morbo di Parkinson, e altre ancora possono rappresentare un problema per l’autostima della persona; - Alcune volte è sufficiente solamente un abbassamento delle energie conseguenti ad esempio ad alterazioni respiratorie cardiache, infezioni, per provocare una perdita di autonomia (anche temporanea) nel provvedere alle proprie cure igieniche. FATTORI CHE INFLUENZANO LE PRATICHE IGIENICHE. Essi sono rappresentati da: - ETA’ E GENERE, da considerare sempre; - AMBIENTE DI VITA, dove siamo cresciuti e chi ci ha educati e come; - LA CULTURA, esperienze di vita, tradizioni, (ricordarsi l’infermieristica transculturale); - LA RELIGIONE, ad esempio “donna lava donna”; - LE CONSIDERAZIONI CLINICHE, quindi consideriamo la disponibilità di energia, affaticamento, iperpiressia, ecc.; Per risolvere i problemi di assistenza del paziente sono necessari un atteggiamento e un’applicazione di tecniche scientifiche. Quindi per essere pienamente efficiente sul piano pratico l’infermiere di oggi deve: - Assumersi la responsabilità di assistere il paziente; - Deve essere preparato a trattare tanto gli stress psicologici che i suoi bisogni felici. Quando un soggetto entra in ospedale impatta subito nella condizione di adattarsi al suo nuovo ruolo di paziente che può significare la rinuncia a una parte o a tutta la sua indipendenza. Per il paziente che sente di essere costantemente sotto controllo, la dipendenza dagli altri significa la perdita del controllo e questa consapevolezza tende ad aumentare il suo disagio determinato a sua volta dallo squilibrio psicologico. RUOLO DELL’INFERMIERE NELLE CURE IGIENICHE Le funzioni infermieristiche indipendenti consistono, da un punto di vista generale, nel controllare il paziente e nel dispensargli assistenza, interventi che si fondono entrambi sulla formulazione di un giudizio. L’infermiere fonda i propri giudizi e i propri interventi a favore del paziente, sulla valutazione intelligente dei suoi bisogni e sulla conoscenza dei principi del nursing. L’INFERMIERE QUINDI DEVE: - Stabilire i bisogni e identificare i relativi problemi infermieristici; - Raccogliere ulteriori dati relativi ai problemi individuati; - Sviluppare un adeguato piano di assistenza infermieristica in base ai dati raccolti e ai principi fondamentali del nursing; - Attuare il piano di assistenza infermieristica in modo da fornire un’assistenza del nursing; - Valutare l’esito del piano assistenziali e adattarlo in modo tale da soddisfare le mutevoli esigenze. Quelle funzioni infermieristiche che sono subordinate alle disposizioni del medico sono definite “dipendenti” in opposizione alle funzioni indipendenti. Spesso le funzioni dipendenti e indipendenti sono collegate fra loro come ad esempio quando si deve fornire un’alimentazione adeguata e facilitare un’adeguata escrezione. Le funzioni indipendenti in genere vengono svolte dall’infermiere nel suo ruolo di membro dello staff sanitario e infermieristico. Le pratiche igieniche quotidiani che vengono effettuate la malattia e che rientrano nelle responsabilità dell’infermiere sia per quanto riguarda il dispensarle sia per quanto riguarda il sorvegliabile e sono: - Pratiche relative alla pulizia e all’aspetto personale: A. Bagno e cura della cute; B. Cura della bocca e dei denti; C. Pulizia degli occhi; D. Cura dei capelli; E. Cura delle unghie; F. Cura della zona perineale; - Pratiche che riguardano più propriamente l’ambiente: A. Rifacimento del letto; B. Fattori di sicurezza atmosferici. - Il bagno del paziente: può effettuarsi in vari modi a seconda delle necessità, condizioni e abitudini personali; - Esistono diversi modi di fare il bagno al paziente: A. Bagno completo: lavato dall’infermiera (oss) a causa della sua incapacità fisica e\o mentale può essere incoraggiato a lavarsi da solo il più possibile; B. Bagno parziale: viso, ascelle, mani, spalle e zona genitale vengono lavati, questo tipo di bagno può essere effettuato dall’infermiere (oss) o da paziente; C. Bagno terapeutico: bagno per il trattamento di cura in pazienti con condizioni particolati (ad es. con problemi della cute, febbre elevata); D. Doccia: preferito se è in grado di camminare o può essere trasportato e usare una sedia per doccia; E. Bagno in vasca: utilizzata pazienti che possono muoversi come pure da quelli che devono essere aiutati con strumenti ausiliari come il sollevatore. LA DOCCIA: La doccia può offrire ad alcuni pazienti un’ottima possibilità di fare del moto. In genere viene indicata per ragioni di pulizia o prescritto a scopo terapeutico (es. doccia preoperatoria). La doccia deve essere preparata fornendo al paziente istruzioni e sorveglianza per garantire la sua sicurezza e l’efficacia igienica e terapeutica. L’infermiere dovrebbe essere sempre accanto per intervenire tempestivamente in caso di malessere. BAGNO A LETTO: VANTAGGI: Pulizia della pelle per asportare il sudore, le secrezioni, i microrganismi e le cellule morte dello strato cutaneo superficiale. La rimozione di tutte le scorie, che possono costituire dei mezzi culturali per microrganismi, consente di prevenire infezioni e di conservare la salute e l’integrità della cute. Rinfresca, da sollievo e rilassa il paziente affaticato e irrequieto. L’esercizio che si accompagna al bagno, provoca la contrazione dei muscoli, contribuendo a mantenere il tono muscolare il movimento delle articolazioni. Aiutare il paziente ad apparire nel suo aspetto migliore contribuisce a migliorare la stima che ha di sé. Identificare zone arrossate e conseguentemente applicazione di misure preventive. (Non deve essere considerato come una delle tante tecniche igieniche che può essere effettuata da chiunque). SUGGERIMENTI UTILI: La camera deve essere calda e priva di correnti d’aria. Tutto il materiale deve essere sistemato a portata di mano e disposto in modo adeguato prima di procedere alle operazioni. Dare istruzioni al paziente mentre si fa il bagno, lo aiuterà a conservare l’energia evitandogli inutili sforzi e il suo senso di sicurezza. La temperatura dell’acqua deve essere regolata al gradimento e va cambiata frequentemente per mantenere la temperatura adeguata. Le operazioni vanno eseguite nella più completa privacy, impiegando paraventi intorni al letto per evitargli imbarazzi. Bisogna scoprire soltanto una piccola parte per volta e lavarla velocemente e l’utilizzo di teli e di asciugamani per coprire consentirà di mantenere le lenzuola asciutte. Nel lavare e asciugare le varie parti del corpo, è importante effettuare movimenti lunghi e delicati premendo in direzione del flusso venoso (dalla mano verso la spalla) piuttosto che movimenti brevi e bruschi. Nel sollevare gambe e braccia per lavarle ed asciugarle, è opportuno sostenere le articolazioni e mentre vengono lavate le varie parti del corpo si può far eseguire al paziente una serie di movimenti attivi e passivi delle articolazioni e dei muscoli (se non è controindicato). È buona norma immergere mani e piedi in un catino, in quanto è una pratica che ha lo scopo di rinfrescare le estremità e di permettere una pulizia più profonda delle unghie delle mani e piedi, riduce il pericolo di infezioni. (I germi si annidano negli interstizi e sotto le unghie). Tenere pulite e ben trattate le unghie, esse vanno tagliate in modo che il margine laterale sia oltre la parte periferica della plica ungueale per evitare il pericolo di unghie incarnite o di infezioni. La schiena deve essere lavata a fondo e asciugata accuratamente e la cute esaminata in corrispondenza delle prominenze ossee. Tutte le superfici cutanee devono essere lavate prestando particolare attenzione alla pulizia degli interstizi, delle pieghe e delle prominenze ossee, poiché dette zone sono maggiormente soggette alle escoriazioni provocate dall’umidità, dalla pressione, dall’attrito e dalla presenza di agenti irritanti. La decisione circa l’ordine in cui le varie parti del corpo devono essere lavate, si fonda tanto su concetti puramente estetici quanto sul concetto di pulizia procedendo dalla zona che normalmente è più pulita (le parti superiori del corpo). La frequenza e gli orari devono essere stabiliti in base alla comodità del paziente e l’organizzazione dei setting. - Rimettere letto e persona nella posizione giusta; - Lavarsi le mani; - Riordinare e ripristinare il materiale utilizzato, smaltire correttamente; - Registrazione della tecnica eseguita sulla documentazione, con annotazione degli elementi ritenuti importanti; - Informarsi sullo stato fisico della persona; - Rimettere letto e persona nella posizione giusta; - Lavarsi le mani; - Riordinare e ripristinare il materiale utilizzato, smaltire correttamente; - Registrare della tecnica eseguita sulla documentazione, con annotazione degli elementi ritenuti importanti. IMPORTANTE: - Durante l’igiene parlare con il paziente ove possibile, confortarlo e stimolarlo. Noiare gli atteggiamenti di aggressività, di tristezza, di serenità. Se non parla, notare l’espressione del viso, degli occhi, della bocca; - Per il rispetto della privacy e del pudore, scoprire il paziente solo quando serve e con il suo consenso. CURA E IGIENE DEL NEONATO Le cure igieniche del neonato costituiscono un momento molto importante nel rapporto quotidiano tra madre e figlio. Si basano principalmente sull’esecuzione del bagnetto e sul trattamento del cordone ombelicale. Due “ostacoli” che creano ansia nella neo mamma ma che sono molto semplici da superare. Il bagnetto dovrebbe essere fatto tutti i giorni, sia per ragioni igieniche ma anche per il benessere che procura al bambino. Durante il bagnetto, come per l’allattamento, il rapporto tra neonato e genitore si rafforza e il bimbo ne trae molto beneficio (rilassamento psico-motorio). È importante fare il bagnetto con calma e con cura, senza che campanelli, telefoni e altro distraggano (mamma, papà e operatore) in quanto lasciare il bimbo solo sul fasciatoio, anche per brevissimo tempo, può causare pericolosi incidenti. Il bagnetto deve essere sempre fatto prima dei pasti possibilmente alla stessa ora, preferibili le ore serali in quanto favorisce il riposo notturno. Si effettua dopo la caduta del moncone ombelicale e la cicatrizzazione della ferita. Prima di ciò l’igiene del neonato si esegue con manopole di tessuto spugnoso (tipo asciugamano) imbevute con acqua tiepida. IMPORTANTE : Non utilizzare spugne in quanto sono ricettacolo di batteri e sarebbe dunque necessaria la loro bollitura continua per sterilizzare. BAGNO DEL NEONATO NATO A TERMINE E DEL LATTANTE. OBIETTIVO = Fare il bagno ad un neonato a termine o ad un lattante prevenendo la termodispersione, le cadute accidentali e le lesioni cutanee. MATERIALE OCCORRENTE: - Vaschetta, acqua potabile, detergente a ph neutro, asciugamano, termometro per controllare la temperatura dell’acqua, pannolino, prodotto all’ossido di zinco, body e tutina, garze, cotone, fasciatoio, contenitore per rifiuti speciali. PREPARAZIONE: 1. Togliere i monili e l’orologio; 2. Lavarsi le mani; 3. Preparare tutto il materiale occorrente; 4. Presentarsi, salutare la persona di riferimento (e il bambino); 5. Identificare il bambino; 6. Garantire il rispetto dell’intimità e della riservatezza del bambino; 7. Fornire alla persona di riferimento le informazioni necessarie e raccogliere il consenso; 8. Controllare e se occorre intervenire sul microclima della stanza (temperatura 23°-24° C). ESECUZIONE: Preparare l’acqua controllandone con il termometro la temperatura (36°-37°C). Svestire il bambino prestando attenzione al capo. Rimuovere la tutina e il body cominciando dalle maniche: rimboccarle con una mano ed estrarre il braccio con l’altra, proseguire arrotolando la maglietta intorno al collo e con entrambe le mani allargare al massimo lo scollo per far uscire la testa con facilità. Rimuovere il pannolino. Immergere il bambino nell’acqua, sostenendogli la testa con l’avambraccio e ponendo la mano nel cavo ascellare del bambino. Eseguire l’igiene di viso, occhi e orecchi con garze o cotone imbevuti di acqua. Parlare al bambino e procedere alla detersione in successione di: testa, tronco, ascelle, arti superiori, arti inferiori, zono perineale, utilizzando, se occorre, una quantità minima di detergente neutro. Tenerlo immerso per non oltre 4-5 minuti. Risciacquare il bambino, sollevarlo dall’acqua, coprirlo con un asciugamano e porlo sul fasciatoio. Asciugare il bambino tamponando la cute. Ispezionare la cute e se occorre applicare il prodotto a base di ossido di zinco. Successivamente si può massaggiare il neonato con un prodotto idratante della cute (crema o olio), questo favorisce il rilassamento del bambino. Posizionare il pannolino. Rivestire il bambino: allargare con entrambe le mani lo scolo del body e infilarlo dalla testa, prendere una manica, arrotolarla e infilare una mano, ripetere l’operazione per l’altro braccio, allacciare il body. Prendere la tutina, arrotolarne una gamba e infilarvi il piede del bambino. Fare scorrere la tutina lungo la gamba e ripetere l’operazione con l’altra. Fare passare la tutina sotto il corpo e infilarne le maniche. Girare con delicatezza il bambino in posizione laterale, sistemare la tutina sulle spalle e abbottonare gli automatici. Posizionare il bambino nella culla\lettino. IGIENE DELLE ORECCHIE NEL NEONATO: Per l’igiene delle orecchie si utilizza l’estremità angolare di una garza o dell’asciugamano e deve riguardare solo la parte esterna dell’orecchio. Non introdurre né cotton- fioc né altro nel condotto uditivo in quanto potrebbero causare danni. NEONATO: L’igiene degli occhi si esegue con acqua sterile e garze sterili e sono in presenza di secrezioni. Si procede delicatamente con la garza imbevuta di acqua sterile, partendo dalla parte vicina al naso verso l’esterno si effettua un solo passaggio e si sostituisce la garza; per evitare di riportare lo sporco sull’occhio o di contaminare l’altro occhio. IGIENE DEL NASO DEL NEONATO: Il neonato non è in grado di eliminare autonomamente le secrezioni nasali di conseguenza si rende necessaria l’igiene del naso. Si effettua in presenza di secrezioni che rendono difficoltosa la respirazione e sempre prima dei pasti, per evitare episodi di vomito, si utilizza acqua fisiologica disponibile in fialette dosate. PROCEDIMENTO: Si posiziona il neonato disteso su un fianco con il capo girato. Con un dito si chiude la narice superiore e si instilla l’acqua fisiologica in quella inferiore in modo da permettere l’uscita delle secrezioni. Si ripete l’operazione sull’altro lato. Se durante le manovre il neonato presenta momentanea apnea, porlo seduto, picchiettarlo sulla schiena ed eventualmente stimolare il pianto. IGIENE DEL GENITALI: Un’accurata igiene dei genitali è importante per entrambi i sessi. È sufficiente lavare il padiglione esterno con acqua e sapone e rimuovere il cerume presente nel condotto uditivo esterno, usando il lembo, arrotolato di una garza inumidita. IGIENE DEL CAVO ORALE. PER QUALI PAZIENTI: - Pazienti con febbre alta; - Carenze nutritive; - Pazienti in coma; - Pazienti operati; - Pazienti che necessitano di una completa igiene orale. SCOPO: - Pulire la superficie dei denti per prevenire l’alitosi e le carie; - Mantenere la mucosa orale integra e idratata; - Favorire l’autostima e il benessere del paziente. ACCERTAMENTO: - Ispezionare le labbra, la mucosa orale, le gengive, il palato e la lingua alla ricerca di eventuali lesioni o infiammazioni. - Di accertarsi l’eventuale presenza di carie o alitosi; - La disidratazione sistemica, il digiuno assoluto, la presenza di un sondino nasogastrico disidratano la mucosa orale; - Le vie aeree superiori accumulano secrezioni che irritano la mucosa; - La terapia anticoagulante e le coagulopatie predispongono il paziente al sanguinamento delle gengive; - Un intervento chirurgico o un trauma a livello del cavo orale possono controindicare l’uso dello spazzolino; in questi casi è possibile prescrivere l’uso di particolari collutori; - Identificare l’assistito a rischio di aspirazione nelle vie aeree; - I suddetti pazienti con alta criticità hanno una ridotta secrezione salivare, la saliva presente è molto densa, respirano con la bocca, creando uno stato di secchezza della mucosa orale; - IMPORTANTE ALLORA ASSICURARE LA MUCOSA PULITA, UMUDA, PRIVA DI SECRETI E INCROSTAZIONI. MATERIALE OCCORRENTE: - Pinze (almeno due); - Tamponi in un contenitore sterile; - Soluzioni e collutori; - Abbassalingua monouso; - Eventualmente una piccola torcia; - Vaschetta per i risciacqui; - Telino; - Dentifricio e spazzolino. PAZIENTE COSCIENTE: - Lavarsi le mani (lavaggio sociale); - Mettere un paravento o chiudere la porta della camera; - Identificare il paziente e spiegargli la procedura (se cosciente); - Garantire l’intimità; - Aiutare ad assumere una posizione seduta (decubito o ortopnoico); - Se il paziente non è in grado di sedersi, aiutarlo ad assumere un decubito laterale (principio scientifico: la posizione fowler alta o laterale previene il soffocamento e l’aspirazione); - Sistemare il telino sotto il mento del paziente; - Bagnare lo spazzolino da denti con acqua e applicarvi una piccola quantità di dentifricio; - Dare lo spazzolino al paziente; - Chiedere all’assistito di sciacquarsi accuratamente la bocca e di eliminare nell’arcella o nella bacinella; - Togliere la bacinella o l’arcella e asciugare la bocca del paziente con una salvietta PAZIENTE NON COSCIENTE: Preparare il materiale occorrente con l’aggiunta di: - Un sondino da aspirazione; - Aspiratore; - Abbassalingua; - Una siringa senza ago o uno; - Schizzettone; - Girare il pazienta su un fianco (decubito laterale) (principio scientifico: la posizione laterale previene rischio di aspirazione); - Posizionare un telino impermeabile sotto il mento del paziente; - Avvicinare la bacinella o l’arcella alla bocca del paziente o preparate un sondino di aspirazione per rimuovere le secrezioni dalla bocca; - Usare un abbassalingua rivestito di spugna per aprire delicatamente la bocca. Non mettere mai le proprie dita in bocca al paziente incosciente. (principio scientifico: il paziente incosciente spesso risponde alla stimolazione orale serrando le mascelle); - Spazzolare i denti e le gengive usando uno spazzolino o un bastoncino con l’estremità rivestita di spugna. - Asciugare o aspirare le secrezioni accumulate nella bocca; - Per sciacquare il cavo orale si può usare una piccola siringa senza ago; - Applicare uno strato sottile di vaselina o di miele rosato sulle labbra per prevenire la disidratazione e le screpolature; - Se ci troviamo in presenza di coaguli di sangue all’interno della cavità orale, usare una soluzione di bicarbonato di sodio e\o acqua ossigenata a bassa concentrazione (1\1 %), soprattutto se vi è presenza di coaguli di sangue; - Successivamente si può risciacquare la cavità orale con collutori che mantengono a lungo l’alito fresco e gradevole. PULIZIA DEL CAVO ORALE: - È responsabilità dell’infermiere provvedere all’igiene orale in quei pazienti ricoverati e affidati alle sue cure; - Una bocca pulita e sana contribuisce a far sentire meglio; - Le affezioni delle gengive e della bocca ed anche un deterioramento dei denti possono complicare altre malattie provocando: dolore, infezioni, perdita dei denti, incapacità di masticare. Possono derivare da una scarsa igiene orale, ma sono facilmente prevenibili mediante un’adeguata assistenza infermieristica; - La bocca può essere colpita da problemi determinati da altre malattie, certi procedimenti medici, ed anche da certi farmaci. Certi processi morbosi fanno dell’igiene orale una pratica assolutamente indispensabile quali: vomito, squilibrio elettrolittico e sanguinamento. Tra le varie manovre mediche annoveriamo: intubazione, le inalazioni e l’anestesia; I farmaci che possono nuocere al cavo orale sono gli antiacidi che formano una patina su denti e sulla mucosa, l’antropina che tende ad inaridire la bocca (riducono la secrezione salivare). In una bocca curata i batteri si moltiplicano rapidamente determinando l’insorgere di una infezione dolorosa. SUGGERIMENTI UTILI: Il paziente dovrebbe sciacquarsi la bocca dopo ogni pasto e prima di coricarsi. I dentifrici puliscono la bocca rimuovendo le particelle di cibo, i collutori hanno proprietà estetiche e medicali e possono servire ad asportare i residui che vengono annidati dall’azione meccanica dello spazzolino. Durante gli stati febbrili le labbra tendono ad inaridirsi e a screpolarsi o a coprirsi di crosticine per cui è necessario pulire e ammorbidirle. In molte occasioni, mentre si pratica l’igiene orale, si offrono molte opportunità di dare insegnamenti, riguardo all’alimentazione, alla masticazione del cibo e all’uso di strumenti. IGIENE DEI CAPELLI. OBIETTIVI:
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