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Inferno - Dante Alighieri, Appunti di Italiano

Canto da I a XXXIV, Analisi, riassunti e parafrasi

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 11/04/2023

sofisartori
sofisartori 🇮🇹

4.5

(2)

128 documenti

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Scarica Inferno - Dante Alighieri e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Canto da I a XXXIV  Analisi e parafrasi  INFERNO Dante Alighieri - 1314 Sofia Sartori Liceo scientifico scienze applicate || 2022/2023 INFERNO Canto I Dante si smarrisce nell' oscura selva dei suoi errori e peccati. Quando spera di poter salire sulla cima di un colle e rivedere la luce del sole, il cammino gli è sbarrato da tre fiere, simboleggianti lussuria, superbia ed avarizia, ed è costretto a retrocedere. Gli appare Virgilio, il suo modello di poeta, che lo invita a seguire un'altra strada: occorre attraversare il regno degli inferi, e poi il Purgatorio. Poi Dante potrà ascendere al Paradiso, dove Virgilio, non essendo stato battezzato, dovrà lasciarlo ad un’altra guida. Canto II È il tramonto. L'animo di Dante, che si era riaperto alla speranza, è nuovamente vinto dal dubbio. La visione dell'aldilà era stata concessa, prima della morte solo ad Enea e a San Paolo; ma il primo era stato eletto da Dio a fondatore di Roma, fulcro dell'impero e futura sede del pontificato; l'altro a stabilire con la sua predi- cazione la fede in Cristo, senza la quale non è dato salvarsi. Perché mai un tale dono di grazia dovrebbe ripetersi a beneficio di un uomo qualsiasi, senza particolari meriti e senza un visibile fine provvidenziale? Per vincere la viltà che offusca lo spirito di Dante e minaccia di distoglierlo dall'onorata impresa, Virgilio gli risponde che la sua salvezza sta a cuore a tre donne beate: la Vergine, Santa Lucia e Beatrice. Quest' ultima non ha esitato a scendere nel limbo per esortare Virgilio ad accorrere in aiuto del suo amico disperato ed impotente. A queste parole la virtù di Dante si rianima, come un fiore che il sole illumina all'alba; e con spirito ardito e franco si avvia, dietro la sua guida, per il cammino alto e silvestro. Canto III Virgilio e Dante si trovano di fronte alla porta dell'inferno, che nella parte superiore porta incisa la famosa scritta conclusa con la sentenza "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate”. Entrambi attraversano l'uscio pene- trando così nel mondo infernale. L'ambiente buio, e si sentono subito pianti, lamenti e grida dei dannati. Quell'anticamera dell'inferno accoglie gli ignavi, coloro che vissero senza prendere mai una posizione, né buona né cattiva, inutili a sé stessi ed alla società. Tra le anime dannate si trovano anche gli angeli che nella guerra tra Dio e Lucifero non si schierarono né dall'una né dall'altra parte. Gli ignavi si lamentano della loro sorte perché trascurati da tutti con disprezzo per non aver lasciato in vita nessun ricordo di sé. Sono conti- nuamente punzecchiati da mosconi e vespe, così da versare ora inutilmente (sono solo cibo per vermi) quelle lacrime e quel sangue che in vita non furono in grado di versare. Sono anche costrette ad inseguire una insegna che cambia rapidamente posizione in ogni momento. Tra le anime Dante riesce a vedere quella di Celestino V, colui che per vigliaccheria aveva ceduto alla carica papale lasciando il posto a Bonifacio VIII, che il poeta ritiene responsabile del male di Firenze e del suo esilio. Questo papa voleva che la chiesa avesse anche il potere temporale. Dante guarda poi sul fiume Acheronte l’immensa schiera di anime pronte ad es- sere traghettate sull'altra sponda da Caronte. Il traghettatore infernale si fa rispettare, subito urla contro i dannati, minacciandoli e spaventandoli con percosse, poi si rivolge a Dante per impedirgli il viaggio. Virgilio salva tutto celebre frase "vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare", "così è stato deciso in Paradiso, là dove si può fare ciò che si vuole, e non chiedere altro", zittendo il demone. Canto IV Dante si risveglia nel Limbo, dove stanno i non battezzati privi di colpe. Virgilio lo conduce ad un castello luminoso, al cui interno lo salutano Orazio, Ovidio e Lucano. In un prato verde all'interno delle mura sono radunati gli "spiriti magni", tra cui Enea, Ettore, Cesare, Aristotele, Platone e Cicerone. I poeti si allontanano dal Limbo nell'oscurità. (’ntrona) le anime tanto che vorrebbero esser sorde. Noi passavamo sopra le anime che la pioggia tanto gra- vosa prostra (adona), e posavamo i piedi sopra le loro figure evanescenti (vanità), che sembrano persone. Esse giacevano tutte distese a terra, eccetto una che si levò a sedere, non appena (ratto ch'ella) ci vide passare davanti a sé (passarsi). 'O tu che sei condotto (tratto) per questo inferno, mi disse, se sei capace, vedi di riconoscermi: tu nascesti prima che io morissi. E io a lui: La sofferenza (angoscia) che patisci (hai) forse ti toglie dalla mia memoria (mente), tanto che non mi pare di averti mai visto. Ma dimmi chi sei tu che sei stato collocato in un luogo così doloroso e sconti una tal pena, che se qualche altra è maggiore (maggio), nessuna tuttavia è più sgradevole. Ed egli a me: la tua città (Firenze), che è a tal punto piena di odio (invidia) che già ne è colma la misura (già trabocca il sacco), mi ebbe dentro le sue mura (seco mi tenne) durante la vita terrena (serena). Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la colpa della gola, dannosa sia materialmente che spiritual- mente, come tu vedi, sono abbattuto dalla pioggia. E io anima dannata (trista) non sono qui da sola, perché tutte queste (anime) sono collocate qui (stanno), condannate a una pena simile (alla mia) a causa di una colpa simile. E non pronunciò più altro. Io gli risposi: Ciacco, il tuo tormento (affanno) mi fa soffrire a tal punto che mi spinge a piangere ma dimmi, se lo sai, a che punto giungeranno i cittadini della città divisa in fazioni (partita); se c'è qualche persona retta; e dimmi il motivo per cui (Firenze) è stata investita da un'ondata così grave di discordia cittadina. E quegli a me: Dopo una lunga lotta, faranno scorrere il sangue, e la fazione selvaggia (i Bianchi) caccerà in esilio l'altra (gli esponenti dei Neri) imponendo molte pene (offensione). Poi, poco dopo (appresso), deve necessariamente capitare (convien) che la fazione dei Bianchi (questa) cada (cag- gia) entro tre anni e che la fazione dei Neri (l'altra) prenda il sopravvento (sormonti) con l'appoggio politico e militare (forza) di Bonifacio VIII (tal) il quale ora si destreggia (fra le due parti). La fazione dei Neri reggerà alte le sue sorti politiche (fronti), tenendo l'altra sotto una pesante oppressione (gravi pesi), benché (come che) quest'ultima di ciò soffra o s'offenda fortemente (n'aonti). Vi sono solo due giusti, ma non vengono ascoltati; la superbia, l'invidia e l'avarizia sono le tre passioni che hanno acceso i cuori dei fiorentini. Canto VII - Cerchio IV e V Dante e Virgilio giungono nel IV cerchio occupato da coloro che non seppero amministrare con senso della misura il denaro: i Prodighi e gli Avari. Il canto inizia con le urla rabbiose di Pluto “maledetto lupo”, indi- rizzate ai due poeti, ma Virgilio intima al demone di tacere e di non opporsi al decreto divino che ha voluto il viaggio di Dante attraverso l'Inferno. I dannati, divisi in due schiere opposte, spingono col petto grossi massi, percorrendo il cerchio così come nella vita si affaticarono ad accumulare o disperdere ricchezze. Il giorno del Giudizio universale gli avari risorgeranno con il capo rasato, mentre i prodighi avranno i pugni chiusi. Proseguendo il loro cammino i due giungono nel V cerchio dove si trova la Palude Stigia, dove si trovano al cospetto degli iracondi e degli accidiosi. I primi stanno in superficie, ignudi, insozzati dal fango, si percuotono e addentano crudelmente l’un l’altro (come in vita sfogarono sul prossimo la loro ira, ora sono destinati a sfogarla per sempre su se stessi e sui compagni di condanna). I secondi sono interamente ricoperti dal fango, solo il gorgogliare della palude evidenzia la loro presenza. Sono coloro che in vita non sfogarono la loro ira ma la serbarono nel loro animo (condannati a giacere per l’eternità sommersi nella melma, allo stesso modo in cui tennero la propria violenza e ira racchiusa nel proprio animo). I due poeti giungono infine ai piedi di una torre. Canto VIII - Cerchio V I due vengono condotti attraverso la palude dal demonio Flegiàs e, giunti dalla parte opposta vedono le mura rosseggianti della città di Dite, il basso Inferno, che racchiude i peccatori più gravi. Davanti alla porta vi sono numerosi diavoli che si oppongono all’entrata di Dante e Virgilio. Il poeta consiglia al proprio maestro, se non vi è altra soluzione, di tornare indietro, ma questi incoraggia Dante dicendogli che qualcuno è già stato mandato in loro aiuto. Canto IX Porta di Dite e Cerchio VI Arriva in loro soccorso un messo celeste (un angelo) che avanza sulla palude e apre la porta con una verghetta, rimprovera i diavoli e riparte; entrano così nel VI cerchio, un enorme necropoli disseminata di sepolcri sco- perchiati e resi arroventati da delle fiamme. Virgilio spiega a Dante che quelle anime lamentose sono quelle dei Propugnatori di eresie (i capi) e dei loro seguaci: gli Eretici. I loro sepolcri sono arroventati dalle stesse fiamme che li uccisero dopo la condanna che ricevettero dalla chiesa per il loro credo eretico. I due prose- guono su un sentiero che avanza tra le mura e l’area destinata ai sepolcri. Canto X Cerchio VI Mentre i due procedono improvvisamente una voce proveniente da una tomba invita Dante a fermarsi, aven- dolo riconosciuto come fiorentino; Dante sbigottito si avvicina a Virgilio che però lo spinge tra le tombe, verso quella in cui si erge maestoso Farinata degli Uberti, un famoso capo Ghibellino, che non riconoscendo Dante gli chiede chi fossero i suoi antenati. Saputolo dichiara che essi furono suoi avversari che lui scacciò da Firenze per ben due volte; punto nell’onore familiare Dante risponde che se furono cacciati, essi seppero entrambe le volte ritornare, cosa di cui non furono capaci gli Uberti. Nel frattempo sorge da un’arca vicina un’altra ombra che vedendo Dante gli chiede come mai essendo egli qui per altezza d’ingegno non ci sia con lui suo figlio; il poeta che ha riconosciuto il padre del suo amico Guido Cavalcanti, risponde che suo figlio disdegnò la teologia. Il verbo al passato fa credere al povero padre che il figlio sia morto e, poiché Dante esita a smentire, interpreta ciò come una conferma e precipita nel sepolcro per non uscirne più. Parafrasi vv 22-36 «O Toscano che te ne vai ancora vivo attraverso la città del fuoco parlando in maniera così dignitosa, voglia tu restare in questo luogo. Il tuo linguaggio evidenzia con chiarezza che tu sei nativo di quella nobile patria alla quale forse io fui causa di fastidi e sofferenze». Improvvisamente uscirono queste parole da una delle tombe (arche); perciò (però), intimorito (temendo), mi avvicinai un po' alla mia guida (al duca mio). Ed egli mi disse: «Voltati! che fai? Vedi là Farinata che s'è drizzato in piedi lo vedrai tutto dalla cintola in su». Io avevo già conficcato (fitto) il mio sguardo (il mio viso) nel suo sguardo egli si ergeva dritto con il petto e con la fronte come se disprezzasse profondamente l'Inferno. Canto XI cerchio VI: eretici. È il canto più breve di tutta la Commedia. Entrati nella città di Dite, Virgilio e Dante si trovano in una vasta pianura, disseminata di tombe tra le quali sono accesi fuochi che le fanno arroventare. Per abituare l'olfatto al puzzo che si leva dal baratro infernale, Dante e Virgilio si fermano dietro la tomba di papa Anastasio e, nell'attesa, Virgilio illustra al discepolo la struttura dei tre cerchi infernali inferiori: VII cerchio: – Violenti contro il prossimo; – Violenti contro se stessi; – Violenti contro Dio, la natura e l’arte; VIII cerchio: – Coloro che frodarono chi non si fidava di loro: 10 bolge; IX cerchio: – Coloro che tradirono chi si fidava di loro: 4 bolge. (Tutto ciò perché la disposizione dei peccatori segue il criterio della gravità che ha il peccato commesso per Dante: Fuori dalla città di Dite _ Peccati meno gravi; Dentro alla città di Dite _ Peccati più gravi) Partendo dalla considerazione che ogni azione malvagia viola il diritto, Virgilio afferma che tutti i peccati si possono ricondurre alla violenza o alla frode, cioè all'uso maligno dell'intelletto. Canto XII cerchio VII girone 1°, quello dei violenti contro il prossimo (omicidi, tiranni, predoni e ladroni). Scendendo al livello sottostante tramite una di quelle frane che sconvolsero l’inferno in seguito alla morte di Cristo, incontrano il Minotauro (altra figura della mitologia classica), colui che custodisce quel cerchio, il quale tenta di ostacolare il loro camino: Virgilio comincia a deriderlo e a farsi beffe di lui, che per questo si infuria e comincia a saltellare; accecato dalla rabbia non si accorge che i due uomini ne approfittano per scappare oltre. Dante e Virgilio giungono nei pressi del Flegetonte, il fiume di sangue bollente custodito dai Centauri, nel quale scontano le loro pene i violenti contro il prossimo, i tiranni, gli omicidi e i rapinatori. Vedendo i due poeti, Nesso, il centauro ucciso da Ercole, li minaccia con l'arco e intima loro di dire a quale pena siano destinati. Virgilio risponde che desidera parlare con Chirone, maestro di Achille, al quale rende noto che Dante compie il viaggio per volontà divina. I due poeti ottengono così, per ordine di Chirone, di essere portati in groppa da Nesso, attraverso un guado, al di là del Flegetonte. Nesso spiega loro chi sono le anime sommerse: _ Tiranni – fino agli occhi – Perché in vita infierirono sulle persone e sui beni; _ Omicidi – fino alla gola – Perché in vita infierirono sulle persone; _ Briganti – a diverse altezze – Perché in vita infierirono sui beni. Canto XIII cerchio VII - girone 2°: violenti contro sé stessi (suicidi e scialacquatori) Passato il Flegetonte, Dante e Virgilio giungono nel secondo girone del settimo cerchio e si addentrano in un fitto e tetro bosco, privo di sentieri. Gli alberi sono nodosi, contorti e sprovvisti di foglie. Sui loro rami nidi- ficano le Arpie, i mitici mostri dell'antichità greca. Dante ha l'impressione di udire voci di persone nascoste dietro gli alberi, ma ben presto spezzando un ramoscello vede che da esso sgorga sangue misto a lamenti e conosce la verità: si tratta di anime di dannati, imprigionate eternamente nelle piante. Virgilio invita a parlare la pianta ancora sofferente ed essa racconta la sua vicenda terrena, con la speranza che Dante, ritornando nel mondo dei vivi, renda giustizia alla sua memoria. L'anima è quella di Pier della Vigna, il più ascoltato con- sigliere di Federico II di Svevia. Vittima dell'invidia, l'illustre cortigiano cadde in disgrazia presso l'impera- tore al punto che, sapendosi innocente, incapace di sottrarsi alla vergogna delle accuse che gli venivano ri- volte, si uccise. Le parole del dannato turbano profondamente Dante che apprende come l'anima dei suicidi divenga pianta nodosa e che perfino dopo il Giudizio Universale essi saranno i soli a non rientrare nel proprio corpo: il corpo di ciascuna anima penzolerà dall'albero che la racchiude (per analogia non sono degni di avere il loro corpo). Gli scialacquatori, che in vita fecero strazio del proprio patrimonio, invece corrono inseguite da un branco di cagne fameliche che le dilaniano. Dal canto XIV al XVII – cerchio VII Canto XIV cerchio VII - girone 3°- violenti contro Dio, la Natura e l’Arte Dante insieme a Virgilio giunge al terzo girone del settimo cerchio. Alla vista dei due poeti appare una distesa di sabbia arida, spessa e infuocata sulla quale numerosi gruppi di anime nude piangono miseramente sotto una pioggia di fuoco. Divise in tre schiere sono le anime dei: Violenti contro Dio (bestemmiatori) che sono in posizione distesa; Violenti contro la Natura (sodomiti) condannati a camminare in eterno; Violenti contro l’Arte (usurai) che stanno seduti lungo i bordi del girone e fissano la borsa che pende al loro collo con lo stemma della famiglia di appartenenza. Questi tre tipi di dannati sono raccolti nello stesso girone perché la Natura è vista come Figlia di Dio e l’Arte, cioè il lavoro onesto, avviene sfruttando la Natura (e non la ric- chezza), quindi seguendo questa logica diventa quasi il “nipote di Dio”. Virgilio racconta a Dante dell'origine dei fiumi infernali: nell'isola di Creta si trova una grotta, in cui vive il Veglio, un vecchio gigante con la testa d'oro, le braccia e il petto d'argento, il ventre di rame e le gambe di ferro, salvo il piede destro, che è di terracotta. Dalle sue membra scendono lacrime che, raccogliendosi nella cavità dell'Inferno, danno origine ai suoi corsi d'acqua, l'Acheronte, lo Stige, il Flegetonte che confluiscono nello stagno Cocito. di conoscere il mondo e gli uomini. Salpò allora con un piccolo ma fedele equipaggio. Viaggiò per il Medi- terraneo e giunse fino alle Colonne d'Ercole, il confine oltre il quale l'uomo non doveva spingersi. Ulisse però volle proseguire: esortati i compagni, rivolse la prua verso occidente, oltre le Colonne d'Ercole. Dopo cinque mesi di navigazione, avvistò la montagna del Purgatorio. L'equipaggio si rallegrò, ma presto l'allegria si convertì in pianto perché dalla montagna ebbe origine un vortice che, dopo aver fatto girare la nave su se stessa per tre volte, la fece inabissare e il mare vi si richiuse sopra. Parafrasi vv 85-142 il racconto di Ulisse Il lembo (corno) più alto di quella fiamma da tanto tempo accesa, cominciò a muoversi mormorando, proprio (pur) come quella che il vento scuote (affatica); poi, muovendo qua e là la punta (la cima ... menando), quasi fosse la lingua che parlava, fece uscire una voce e disse: «Quando mi allontanai da Circe, che per più di un anno mi lusingò (sottrasse) presso Gaeta, prima ancora che Enea così la chiamasse, né l'affetto (dolcezza) verso il figlio (Telemaco), né la pietà verso il vecchio padre (Anchise), né il legittimo (debito) amore che doveva allietare Penelope, riuscirono a vincere dentro di me l'ardente desiderio che io ebbi di diventare esperto del mondo, dei vizi umani e della virtù; ma mi posi sul mare profondo (alto) e sconfinato con una nave sola e con quei pochi compagni (compagna) da cui non fui abbandonato (diserto). Vidi una costa e l'altra (L'un lito e l’altro) fino alla Spagna, fino al Marocco e l’isola dei Sardi, e le altre che quel mare circonda (intorno bagna). Io e i miei compagni eravamo vecchi e stanchi (tardi) quando giungemmo a quello stretto varco (foce) dove Ercole pose i suoi confini (riguar di) perché l’uomo non si spinga oltre; dalla mano destra mi lasciai Siviglia, mentre dall’altra avevo già lasciato Ceuta (Setta). ‘O fratelli’, dissi, ‘che siete giunti in mezzo a centomila pericoli all'estremità del mondo (occidente), non vogliate rifiutare a questo poco tempo (vigilia) della nostra vita sensibile (d’ nostri sensi) che ci resta (ch'è del rimanente) di conoscere (l’esperienza), seguendo il corso del sole, l'emisfero (inesplorato), senza gente. Considerate la vostra origine (semenza): non foste creati per vivere come animali (bruti), ma per seguire la virtù e la conoscenza (canoscenza)’. Io resi i miei compagni così desiderosi (aguti) del cammino, con questa piccola orazione, che a stento li avrei poi trattenuti (ritenuti); e volta la poppa della nostra nave verso il levante (mattino), dei remi facemmo ali al folle volo, sempre procedendo (acquistando) verso il lato sinistro. La notte mostrava (vedea) già le stelle dell'altro polo (l'emisfero australe), mentre quelle del nostro erano così basse, che non emergevano dalla superficie del mare (marin suolo). Cinque volte si era acceso e altrettante spento (casso) l'emisfero più basso della luna, da quando (poi che) avevamo intrapreso l’arduo viaggio (alto passo), quando ci (n') apparve una montagna, indistinta (bruna) per la distanza, e mi parve così alta quanto mai altra avevo veduta. Noi ci rallegrammo, ma subito (la gioia) si convertì (tornò) in pianto; poiché dalla terra sconosciuta si levò un turbine e colpì la parte anteriore della nave. Questo la fece girare tre volte in un unico vortice (con tutte l'acque); alla quarta sollevò la poppa in alto e la prora si inabissò (ire in giù), come altri stabilì (Dio), fin quando il mare fu sopra noi rinchiuso». Canto XXVII - cerchio VIII- bolgia 8°: consiglieri fraudolenti nell’ottava bolgia Dante trova anche Guido da Montefeltro astuto consigliere di Bonifacio VIII che gli promise anticipatamente l'assoluzione per il suo ingannevole consiglio. Tuttavia quando morì, a San Francesco, che voleva portare con sé la sua anima in Paradiso, si oppose il diavolo, evidenziando che un peccatore non può pentirsi e non può essere perdonato prima di aver commesso la colpa, e prese l'anima e se la portò all'Inferno. Canto XXVIII - cerchio VIII - bolgia 9°: seminatori di discordie e scismi. Le immagini che si presentano alla vista di Dante nella nona bolgia sono raccapriccianti. I dannati sanguinano, orribilmente mutilati dal diavolo custode e, camminando attorno alla bolgia, si ripresentano davanti a lui con le ferite perfettamente rimarginate, pronti a subire nuove strazianti mutilazioni. Tra di loro Maometto che, insieme al genero Alì e a tanti altri, sta pagando la colpa di aver seminato tra gli uomini discordie poli- tiche e scismi religiosi. Canto XXIX - cerchio VIII - bolgia 9- 10°: seminatori di discordie e scismi. Dante scorge, tra le anime di quel luogo, un suo parente Geri del Bello. I due poeti giungono sul ponte che attraversa la decima e ultima delle Malebolge. Dal fondo provengono lamenti pietosi e Dante si tappa le orecchie per non udirli; un fetore di corpi putridi si diffonde nell'aria. I dannati giacciono a terra sotto forma di malati, distribuiti per gruppi, nelle posizioni più varie, incapaci di tenere sollevati i loro corpi. Canto XXX - cerchio VIII - bolgia 10°: falsari di persona, moneta e parola. Coloro che hanno falsificato la persona debbono correre, in preda a smania furiosa, e addentano gli altri compagni di sventura; quelli che hanno falsificato la moneta restano sempre immobili, colpiti dall'idropisia che li deforma, con il ventre ingigantito, di enormi proporzioni rispetto al resto del corpo; quelli, infine, che hanno falsificato la parola sono arsi da febbre così alta, che il loro corpo emana vapore e ripugnante puzzo di unto bruciato. Canto XXXI Nel passare tra l'ottavo cerchio e il nono Dante vede i Giganti che, posti nel pozzo infernale, fuoriescono dall'ombelico in su. Dante vede Nembrot, l'ideatore della torre di Babele, Fialte che tentò di scalare il cielo; Anteo che li fa scendere nel fondo del pozzo infernale. Canto XXXII - cerchio IX - zona 1a e 2a: Caina e Antenora: traditori dei congiunti e traditori della patria. Dopo aver invocato l'aiuto delle Muse perché lo assistano nel difficile compito di descrivere compiutamente in poesia l'ultima e più terribile parte dell'Inferno, Dante racconta dei dannati della Caina, la prima zona del cerchio nono, in cui scontano la loro pena i traditori dei parenti. Dante scopre di trovarsi su un lago ghiacciato, il Cocito, nel quale le anime sono immerse fino al collo e tengono la testa, che fuoriesce dal ghiaccio, rivolta all'ingiù. Il freddo fa battere loro i denti e gli occhi sono gonfi di lacrime che colano irrigidendosi a contatto con il ghiaccio. Nella seconda zona detta Antenora i dannati hanno la testa rivolta verso l’alto e le lacrime, subito condensate dal vento, impediscono agli occhi di mantenersi aperti. Sono i traditori della patria. Canto XXXIII - cerchio IX - zona 2a e 3a: Antenora e Tolomea: traditori della patria e traditori degli ospiti. Tra i traditori della patria c’è Ugolino della Gherardesca che racconta la sua fine. Sa che la narrazione gli procurerà molto dolore, ma è certo che la sua sofferenza sarà compensata dall'infamia procurata al traditore di cui sta rodendo il cranio, l'arcivescovo Ruggieri. Per gli intrighi dell'arcivescovo fu rinchiuso nella torre dei Gualandi, in Pisa, con due figli e due giovani nipoti. Vi rimase prigioniero alcuni mesi e poi fu condannato a morirvi per fame. La disperazione di dover assistere alla tragica fine dei suoi ragazzi lo impietrì dal dolore. Il triste evento si consumò tra il quarto e il sesto giorno; all'ottavo anch'egli morì. Dante allora prorompe in un'invettiva contro Pisa, che si macchiò di un delitto così feroce. Nella Tolomea, i traditori degli ospiti e degli amici fiduciosi sono confitti in posizione supina; in tal modo, le lacrime ristagnano e formano un indurimento immediato, che impedisce l'uscita delle altre lacrime, le quali, non trovando sbocco, si riversano all'interno e aggravano il dolore. Parafrasi vv 1-75 Quel peccatore sollevò la bocca dal pasto bestiale (fiero), pulendola (forbendola) sui capelli del capo, che aveva morso (guasto) nella parte posteriore. Poi cominciò: «Tu vuoi che io rinnovi un dolore implacabile (disperato) che mi opprime il cuore già al solo pensiero (pur pensando), prima ancora di parlarne. Ma se le mie parole devono essere seme che dia frutti d’infamia al traditore che sto stritolando con i denti, mi sentirai parlare e insieme piangere. Io non so chi tu sia né in che modo sei arrivato quaggiù; ma mi sembri un Fio- rentino schietto (veramente) quanto al tuo modo di parlare (quand’io t’odo). Devi sapere che io fui il conte Ugolino, e costui è l’arcivescovo Ruggieri: ora ti dirò perché gli (i) sono vicino così feroce (tal vicino). Non è necessario dire come in conseguenza dei suoi piani malvagi io, avendo fiducia in lui, fossi catturato e poi ucciso; però sentirai da me ciò che non puoi aver sentito dire, ossia come la mia morte sia stata crudele, e potrai giudicare fino a che punto egli (e’) mi abbia recato offesa. Una stretta feritoia dentro la (torre) Muda, che per esservi morto io (per me) ha preso il nome di torre della Fame, e che per altri ancora dovrà accadere di venire chiusa, mi aveva mostrato attraverso la sua apertura (forame) più lunazioni (lune), quando feci il sogno funesto che mi svelò il futuro. Mi pareva che costui fosse guida e signore nel cacciare il lupo e i suoi cuccioli verso il monte (di San Giuliano) a causa del quale i Pisani non possono scorgere Lucca. Egli aveva schierato davanti a sé Gualandi, Sismondi, Lanfranchi e insieme con loro le cagne fameliche (magre), ardenti di cacciare (studïose) ed esperte (conte). Dopo breve corsa, il padre e il figlio mi parevano affaticati e mi sembrava di veder lacerare i loro fianchi dalle aguzze zanne (scane) delle cagne. Quando mi destai prima che fosse mattino, sentii piangere nel sonno i miei figli che erano con me, e chiedere del pane. Sei davvero crudele, se fin d’ora non provi dolore pensando a ciò che il mio cuore presagiva a se stesso; e se non piangi per questo, per che cosa sei solito piangere? Erano ormai svegli, e si avvicinava l’ora in cui il cibo ci (ne) veniva come al solito portato (addotto), e a causa del sogno premonitore ognuno aveva timore; e io udii inchiodare (chiavar) la porta esterna dell’orribile torre; per cui guardai i miei figliuoli negli occhi (nel viso) senza dire una sola parola. Io non piangevo, a tal punto dentro di me diventai di pietra: essi piangevano invece; e il mio Ansel- muccio disse. ‘Tu guardi in modo così strano (sì), o padre! che hai?’ Perciò non piansi né risposi tutto quel giorno e la notte successiva, finché non apparve (uscìo) nel mondo il sole della giornata successiva (l’altro sol). Non appena entrò un po’ di luce (raggio) nel carcere doloroso, e io intravidi riflesso nei quattro volti il mio stesso volto, mi morsi in un gesto di dolore ambedue le mani; ed essi pensando che lo facessi per fame (voglia di manicar), prontamente (di sùbito) si alzarono in piedi e dissero: ‘Padre, sarà per noi minor dolore se tu ti cibi di noi: tu ci hai dato queste carni consunte, e dunque mangiale (le spoglia)’. Allora mi calmai per non renderli ancora più tristi; per tutto quel giorno e per quello successivo (l’altro) rimanemmo tutti in silen- zio; ahi, terra crudele (dura), perché non ti squarciasti? Quando fummo arrivati al quarto giorno, Gaddo mi si gettò ai piedi dicendo: ‘Padre mio, perché non mi aiuti?’ Ai miei piedi morì; e come tu vedi me, io vidi con i miei occhi gli altri tre soccombere ad uno ad uno tra il quinto e il sesto giorno; per cui cominciai (mi diedi), cieco, a brancolare su ciascuno e per due giorni ancora dopo la loro morte li chiamai. Poi, più che il dolore, mi uccise la fame». Canto XXXIV - cerchio IX - zona 4a: traditori dei benefattori, dell'autorità divina e umana. Nella Giudecca, i traditori sono confitti interamente nel ghiaccio, da cui traspaiono come una pagliuzza im- prigionata nel vetro. Stanno in posizione diverse: o distesi o eretti o a capofitto o rovesciati all'indietro. Poiché ogni pur minima parvenza di umanità è esclusa, essi non possono comunicare in nessun modo. La loro con- dizione è il silenzio assoluto. A un certo punto vedono Lucifero e, per l'impressione ricevuta, Dante rimane come sospeso tra la vita e la morte. Lucifero è enorme, al punto che l'altezza di un gigante non raggiunge- rebbe la lunghezza del suo braccio; nella sua testa si possono distinguere tre facce: rossa quella centrale, bianca quella a destra, nera quella a sinistra. Per ciascuna faccia, dal di sotto fuoriescono due ali da pipistrello e il loro movimento produce un vento che fa gelare Cocito. Ogni bocca frantuma fra i denti un peccatore: Giuda Iscariota la rossa, Bruto la nera, Cassio la bianca. E giunta ormai l'ora di lasciare l'Inferno i due poeti si aggrappano al vello di Lucifero e scendono fino al centro della terra; quindi Virgilio si capovolge e si muove come salendo. Usciti dall'Inferno si trovano nell’emisfero australe, dove è giorno quando dall'altra parte è notte. Lucifero è caduto qui dal cielo e la terra, per paura di lui, si è ritirata dando origine alla voragine dell'Inferno che corrisponde alla montagna del Purgatorio nell'emisfero australe. Virgilio e Dante infine, an- che se stanchi, riprendono a salire attraverso un passaggio nascosto e finalmente escono a rivedere le stelle.
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