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Innovatori sociali. La sindrome di Prometeo nell'Italia che cambia, Dispense di Sociologia

Riassunto del libro di Filippo Barbera e Tania Parisi (2019) per l'esame di A. Podda "Reti sociali, governance e innovazione territoriale" e per l'esame di E. Spanò "Analisi culturale dell'innovazione"

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 03/02/2023

S2303
S2303 🇮🇹

4

(1)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Innovatori sociali. La sindrome di Prometeo nell'Italia che cambia e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! Capitolo Uno Il concetto di innovazione sociale è confuso, vago, opaco e pigliatutto; la situazione è la stessa anche se si guarda agli attori e alle pratiche concrete che richiamano il concetto. Il concetto di innovazione sociale è di lunga durata e la prima definizione è data a metà ‘800. Dalla seconda metà del ‘800 fino ai primi decenni del ‘900 il concetto vede una nuova diffusione in parallelo al corporate capitalism negli Usa e al welfare capitalism nei paesi europei. Qui il concetto si identifica con quello di social invention: il progresso tecnologico è molto più rapido del mutamento sociale che, per tenere il passo, deve adeguarsi attraverso invenzioni sociali. Il concetto si diffonde negli anni ’60 con i movimenti sociali, raggiungendo nel decennio successivo il massimo globale: in questa fase assume un’inclinazione marcatamente normativa, con riferimento all’economia sociale e ai processi di sviluppo locale che prevedono l’empowerment delle comunità urbane e rurali marginali. Dalla metà degli anni ’70 si assiste a una diminuzione repentina fino alla recente rinascita che, dagli anni ’90, vede il ruolo dei think tank e delle istituzioni diretti alla partecipazione civico-associativa, delle nuove tecnologie e dell’imprenditorialità sociale. Il tratto comune del concetto è che è spesso usato come metafora nell’ambito dei mutamenti sociali e tecnologici, trattato in modo semplicistico generando appunto l’effetto tofu o polpettone; soprattutto viene dipinta come effetto dell’azione di singoli individui unici ed eccezionali, dai tratti eroici, portatori di visioni necessariamente positive del mutamento sociale e animati da motivazioni altruistiche e utopistiche. Le narrazioni pubbliche e mediatiche eleggono gli innovatori sociali a moderni eroi civili: in questa visione, gli agenti individuali del cambiamento diventano il veicolo delle esigenze del sistema. L’innovazione sociale disegnerebbe così le basi per un capitalismo dal volto umano, dove mercato e bisogni sociali trovano un nuovo equilibrio, la ricerca del successo personale si sposa con i bisogni dei più deboli e la società si riappropria del suo spazio; viene definito dalla c.d. letteratura grigia e di policy come capitalismo aggettivato. I think tanks e le istituzioni dove si sviluppa questa letteratura convergono su una versione amica del mercato dell’innovazione sociale, che i critici etichettano come liberalismo compassionevole, che privilegia l’impresa sociale come l’agente chiave per il cambiamento sociale. Tale accezione è al centro dei vari think tanks come la Young Foundation e Nesta. Negli Usa, con la Presidenza Obama, è stato istituito il Social Innovation and Civic Participation Office, la cui missione è stimolare le iniziative dal basso di gruppi, comunità e associazioni senza sostituirsi ad esse. Nel contesto europeo la stessa visione era stata al centro del New Labour di Tony Blair, come tentativo di sintesi tra le politiche economiche liberiste e quelle socialdemocratiche, di cui La Terza Via di Anthony Giddens ne è stata il manifesto programmatico. La sintesi non ha avuto però gli effetti voluti. Una definizione di policy nota è quella contenuta nei documenti della Commissione Europea, dove il fenomeno è inteso come “nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che rispondono contemporaneamente a dei bisogni sociali e creano relazioni sociali nuove o collaborazioni. Queste innovazioni rappresentano un bene per la società e ne migliorano la capacità di azione”. Una definizione analoga viene utilizzata dalle Fondazioni private: “una soluzione innovativa a un problema sociale che sia più efficace, efficiente e sostenibile a una già esistente e che rappresenti un valore aggiunto per la società nel suo insieme”. Mentre the Young Foundation e Nesta marcano una differenza tra innovazione sociale e ricerca del profitto, i documenti e programmi europei e dell’Ocse la descrivono come un’arena di potenziale sviluppo per il mercato e le attività profit. Questa prospettiva rappresenta la dark side dell’innovazione sociale. L’assunto guida del liberalismo compassionevole è che, dove possibile, il mercato è il miglior regolatore delle attività umane (mercato simulacro). In presenza di fallimenti del mercato, il ruolo dell’attore pubblico si deve limitare al ruolo di market-fixer o a creare le condizioni per la competizione tra gli attori anche in assenza di mercato (mercato simulato). Come conseguenza il liberalismo compassionevole insiste sugli inevitabili sacrifici in termini di mercato del lavoro e spesa pubblica. Le politiche del lavoro e sociali si concentrano così sull’obiettivo dell’attivazione individuale, declinato spesso al concetto del work first come antidoto all’assistenzialismo all’insegna del welfare produttivista e come unico orizzonte delle possibilità di benessere delle persone. Opposta a questa, vi è la visione ideazionale che distingue il potere attraverso le idee, cioè la capacità degli attori di convincere altri attori ad accettare e adottare le proprie opinioni su cosa pensare e fare; il potere sulle idee, legato all’imposizione delle idee e al potere degli attori di opporre resistenza all’inserimento di idee alternative nell’area decisionale; il potere nelle idee, che coinvolge processi di potere istituzionale. In ambito accademico il concetto di innovazione sociale nasce per dare voce e spazio a istanze di attori marginali e programmi che valorizzano le risorse relazionali e le pratiche sociali dal basso e antagoniste; nasce radicata nella pratica del conflitto sociale e come reazione ai processi di alienazione che hanno colpito parti crescenti delle popolazioni urbane. Simili accezioni la concepiscono come un cambiamento strutturale che potenzialmente investe l’organizzazione complessiva e che ha come obiettivo la piena soddisfazione dei bisogni, a sostegno dell’emancipazione dei soggetti e gruppi marginalizzati; rappresenta la strada per potenziare l’accesso paritario alle risorse, ai diritti e alla partecipazione democratica. Queste accezioni radicali sono proprie del c.d. filone euro-canadese che, in contrapposizione a quello anglo-americano, tende a portare un messaggio più esplicitamente politico mettendo in primo piano l’empowerment, la solidarietà e la generazione di alternative critiche al neoliberismo. Centrale è il rapporto con i movimenti sociali e lo sviluppo locale dei territori deboli. Riassumendo, nella concezione di policy gli innovatori sono i mezzi attraverso cui i problemi sistemici trovano una soluzione adeguata e poggiano sull’azione degli attori centrali dei processi decisionali, ad elevato capitale umano e sociale; nella concezione radicale l’enfasi è invece sui movimenti sociali, sugli attori marginali e sui luoghi deprivati, a basso capitale umano e sociale. Nell’ambito degli innovation studies l’innovazione sociale è concepita come ambito privilegiato per la produzione e distribuzione collaborativa di beni e servizi, un sistema complesso a cognizione distribuita, che richiede il coinvolgimento attivo dei fruitori del bene/servizio, definita con il termine di economia collaborativa, che ha tre declinazioni principali: - On-demand economy, dove forte connessione con le tecnologie e applicazione del web 2.0 riducono i costi di coordinamento tra agenti dispersi attraverso piattaforme tecnologiche che collegano interessi dispersi ma convergenti. - Sharing-economy, basata sulla sovracapacità, cioè su quelle funzionalità dei beni non utilizzate che possono essere condivise con altri utenti. - Economia della condivisione, che mette a tema il ruolo dei diritti di proprietà e dei beni comuni. Quest’ultima fattispecie costituisce il commons-based peer production, un nuovo modello di produzione potenzialmente capace di mettere a frutto l’intelligenza collettiva decentrata nelle reti di collaborazione aperta. La peer production è una modalità organizzativa - Creare per rigenerare. - Essere agnostici sulla crescita, che non può essere infinita, mentre infinita dovrebbe essere la prosperità umana. Il quadro nazionale Il secondo rapporto sull’Innovazione sociale in Italia ha identificato 462 esperienze riguardanti progetti rivolti a rispondere a problemi collettivi attraverso mezzi, relazionali o tecnologici, innovativi. Un’altra fonte di interesse è la ricerca Ashoka, che ha mappato gli innovatori sociali attivi sul territorio italiano. I primi ambiti di applicazione dell’innovazione sociale in Italia si polarizzano intorno a due modalità diverse: l’economia collaborativa rappresenta un fenomeno emergente, dai confini ancora sfumati; l’assistenza/integrazione riguardano invece gli interventi rivolti a specifiche categorie di persone che esprimono un bisogno qualificato, nell’ambito dei cosiddetti welfare mix. Gli attori dell’innovazione sociale possono rientrare in due livelli: organizzativo e individuale. Il primo riguarda gli attori come le associazioni, cooperative, imprese, start-up innovative, enti locali ed enti non commerciali (Fondazioni, Università). Il secondo riguarda soggetti analizzati dalla ricerca Ashoka: la distribuzione territoriale è equilibrata, ma sono presenti soprattutto in Lombardia e Lazio. Le donne intervistate rappresentano il 31% e sono più consistenti in Sardegna, Friuli, Basilicata e Veneto. Il risultato più rilevante riguarda la diversa densità strutturale dei due network: l’analisi di rete evidenzia come le connessioni tra gli innovatori sociali siano maggiormente consolidate a livello regionale piuttosto che settoriale, in particolare nelle zone periferiche del reticolo. La contiguità spaziale emerge dunque come elemento centrale nella costruzione dei reticoli degli innovatori sociali. L’economia collaborativa riguarda una modalità di organizzazione economica basata su pratiche e forme di relazionalità, che promuove processi di inclusione e ibridazione tra produzione e consumo di beni e servizi. Si propone come un’innovazione sociale per la quale un soggetto condivide un bene che gli appartiene con un altro che ha solo un interesse a usarlo temporaneamente e non ad acquistarne la proprietà. Il fenomeno in Italia è nato nel 2000 ma è esploso solo nel 2013-14 e riguarda una realtà in consolidamento: si tratta di 111 aziende italiane e 27 multinazionali; il mercato di riferimento è prevalentemente nazionale. I settori di attività sono concentrati nello scambio/condivisione di beni, trasporti e turismo; in misura minore il settore alimentare e le piattaforme che offrono servizi alle imprese. Dai dati è emersa una equilibrata distribuzione per genere, con alcune differenze sul tipo di piattaforma usata: gli uomini si rivolgono a piattaforme di servizi di trasporto e sport, mentre le donne a quelle sulla sfera domestica e servizi socioculturali. Le fasce d’età principali sono 25-34 anni e i 35-44 anni. Dal punto di vista geografico, le piattaforme sono concentrate nel Nord Italia, con Milano come sede principale. La maggior parte delle piattaforme conta due o tre soci fondatori, per la maggioranza con titoli di studio elevati. La genesi della piattaforma si avvale di relazioni sociali pregresse, spesso di legami forti (amici o parenti), in misura minore di legami professionali. Il crowdfunding (lett. finanziamento della folla) è una declinazione specifica, formalizzata, innovativa e digitale del fundraising e identifica una pratica di finanziamento via web, secondo modalità standard, integrate, interattive e veloci per facilitare l’incontro tra idee, relazioni e capitali. Esistono quattro modelli puri di crowdfunding: il donation based, il reward based, il lending based e l’equity based. I primi due si basano sulle donazioni libere, per il reward corrisponde un ritorno dal valore simbolico; il lending based veicola i prestiti attraverso un debito microfinanziato e l’equity based è basato sulla gestione dei capitali di rischio (società con requisiti di start up innovative). Il crowdfunding si caratterizza per questi elementi: - Gli utenti connessi dal web - Il meccanismo di fundraising - L’idea progettuale per la quale si intende lanciare la raccolta - Il web che rende possibile la disintermediazione tra progettisti e donatori. In Italia esistono 70 piattaforme di crowdfunding, per la maggioranza rientranti nel modello reward ed equity, preponderanti nelle regioni settentrionali, con Milano come Hub importante con 24 piattaforme. Le start-up innovative a vocazione sociale sono state introdotte dall’art. 25 comma 4 del d. lgs n. 179/2012. I dati segnalano l’esistenza di 160 realtà, di queste la massima parte sono Srl di piccole dimensioni e poco strutturate. Per quanto riguarda il settore di attività, il 23% opera nell’ambito della cultura, sport e ricreazione, mentre il 17% nella ricerca e sviluppo. Gli incubatori/acceleratori sono organizzazioni che supportano attivamente il processo di creazione e sviluppo di nuove imprese innovative, attraverso una serie di servizi e risorse offerti sia direttamente sia attraverso una rete di partner. Il primo report sul loro impatto è stato realizzato dal Social Innovation Monitor, un team di ricercatori del Politecnico di Torino. La maggior parte dei casi si trova nelle regioni settentrionali, con la Lombardia in testa; più del 60% ha natura privata. Il valore stimato dell’attività economica generata dagli incubatori è pari a circa 200 milioni di euro, per circa 800 dipendenti. I servizi considerati più rilevanti nella strategia di offerta sono l’accompagnamento manageriale, gli spazi fisici e servizi condivisi, il supporto alla ricerca di finanziamenti, il supporto nello sviluppo di relazioni e la formazione imprenditoriale e manageriale. I Fab Lab sono spazi attrezzati con macchinari a controllo numerico che permettono all’operatore di realizzare oggetti di vario tipo e dimensioni. La realizzazione degli oggetti è affidata a stampanti 3D, che traducono in forma materiale le informazioni contenute nel file digitale. L’Italia è la seconda nazione al mondo per numero di Fab Lab. Sono un fenomeno recente, con la maggioranza dei laboratori aperti nel 2013. La maggior parte è localizzata al Nord e al Centro, nelle grandi aree urbane (Milano, Torino e Roma) e nelle aree della Terza Italia. I Fab Lab si trovano spesso all’interno di capannoni industriali dismessi, i laboratori più piccoli sono situati in negozi o botteghe, anche nei centri urbani. Questi spazi sono sovente concessi a titolo gratuito o tramite affitto agevolato, possono servirsi di servizi condivisi con altri soggetti e si avvalgono perlopiù di volontariato o lavoro a prestazione d’opera (partita iva). Si tratta di realtà non ancora in grado di generare flussi economici stabili ma più legate a un mix di passioni individuali, motivazioni, competenze ecc. Si tratta principalmente di comunità spontanee e gruppi di individui affiancati e supportati da attori istituzionali ed Enti locali che forniscono il sostegno logistico e organizzativo. L’entità complessiva del capitale di rischio è perlopiù a carico di un singolo individuo privato. La maggioranza dei Fab Lab sottolinea il ruolo della motivazione intrinseca e non finalizzata al profitto economico; si ergono come vere e proprie comunità identificanti di neo-artigiani che si riconoscono nel saper fare e nei valori della filosofia Fab Lab. Le imprese recuperate sono quelle unità di produzione di beni e servizi caratterizzate dalla trasformazione da una conduzione privata a una conduzione collettiva, autogestita dai vecchi dipendenti. Nelle imprese recuperate i lavoratori acquisiscono la produzione e l’amministrazione dell’impresa come risposta alla chiusura, fallimento o abbandono dell’attività. Si passa così a una nuova forma di organizzazione collettiva caratterizzata da marcata dimensione territoriale del processo di produzione. In Italia nel 1985 viene istituita la legge n. 49 (legge Marcora) con l’obiettivo di promuovere la costituzione di cooperative da parte di lavoratori licenziati, cassaintegrati o dipendenti di aziende in crisi. La legge viene riformata nel 2001 (legge n. 57) e costituisce oggi il quadro di riferimento normativo per l’avvio della procedura di recupero. Si distinguono tre diversi modelli di recupero o workers buyout (WBO): - Il labour conflict, si caratterizza per l’occupazione dell’impresa da parte dei lavoratori: l’occupazione illegale del sito produttivo è il carattere distintivo. - L’employee share ownership plan (ESOP), si contraddistingue per l’acquisizione di azioni dell’azienda da parte dei lavoratori, che ne diventano azionisti. - Il negotiated WBO, è intermedio tra i primi due e prevede una negoziazione tra i lavoratori e gli imprenditori, con la mediazione delle rappresentanze del settore cooperativo e delle istituzioni pubbliche. Questo terzo modello caratterizza quei paesi europei dove il fenomeno è più diffuso (Italia, Francia e Spagna) e si basa su un’architettura multiattore dove oltre ai lavoratori è coinvolto lo Stato e il settore cooperativo. Le monete complementari sono una forma di innovazione sociale adottata su base volontaria parallelamente al sistema monetario vigente da diversi tipi di soggetti per perseguire una pluralità di scopi. Rientrano nelle monete complementari tutte quelle modalità peculiari di sostituzione del denaro con altri mezzi: dai programmi frequent flyer delle compagnie aeree ai buoni pasto aziendali agli strumenti elettronici impiegati nelle transazioni virtuali di second life. L’obbiettivo è inibire la funzione di accumulazione della moneta, riducendo progressivamente il valore del denaro non speso, sono quindi strumenti di contrasto all’accumulazione finanziaria e all’uso speculativo del denaro. Si distinguono quattro tipi di monete: - Commercial complementary currency, caratterizza le grandi corporations ed è distribuita ai consumatori in funzione del loro livello di consumo con lo scopo di aumentarne la fedeltà (schema B2C). Esempio sono le carte punti delle compagnie aeree o ferroviarie. - Local currency, riguarda gli scambi tra agenti economici (imprese, individui) all’interno di comunità territoriali definite da confini spaziali e si pone l’obiettivo di sostenerne lo sviluppo locale. Esempi si trovano nei paesi del Sud del mondo, come i LETS (local exchange trading systems), cioè circuiti di scambio locali ideati all’inizio degli anni ‘80 per il sostegno di comunità economicamente depresse e oggi diffusi in tutto il mondo, soprattutto in area anglosassone. - Community currency, si applica a quei sistemi di credito attivati da un network/comunità di attori su basi fiduciarie e reputazionali, non necessariamente definito da confini spaziali. L’esempio più noto è il WIR (circuito economico basato sulla cooperazione), una moneta puramente contabile, generata e distrutta con gli scambi, che non può essere accumulata indefinitamente e che costituisce un esempio di moneta a-ciclica, cioè indipendente dal mercato finanziario e dalle fluttuazioni del ciclo economico internazionale. Per impostare una ricerca di tipo quantitativo sugli innovatori sociali si devono affrontare due problemi: chi considerare innovatore sociale e come raggiungerlo per intervistarlo. Poiché in Italia non esiste alcun registro sulla popolazione degli innovatori sociali, si è provato nel 2013 a costruire campioni di innovatori sociali in sei paesi europei. La numerosità campionaria è però risultata di poche decine di casi, insufficiente per garantire la rappresentatività dei dati raccolti. Il fallimento dell’indagine è probabilmente legato al fatto che la popolazione degli innovatori sociali non è molto estesa. In Italia si calcola circa un migliaio di persone: per questo viene chiamata popolazione nascosta, difficilmente raggiungibile o rara. Per studiare popolazioni di questo tipo solitamente si ricorre a tecniche di campionamento non probabilistico. Una di queste è il Respondent Driven Sampling (RDS). La ricerca si è svolta in tre fasi: - Si è costruito con RDS un campione di innovatori sociali al quale è stato somministrato un questionario per rilevarne le caratteristiche sociodemografiche, il settore di attività e avere una definizione di innovazione sociale attraverso tre parole chiave degli intervistati - È stato somministrato al campione un questionario più articolato composto da domande su origine sociale, percorsi di carriere e valori ecc. - Sono state condotte alcune interviste in profondità ad un gruppo di innovatori sociali reclutati nelle prime fasi L’RDS è una strategia di campionamento sviluppata per lo studio di popolazioni rare o nascoste che promette di risolvere il problema dell’assenza di una lista della popolazione di riferimento e il calcolo delle probabilità di inclusione individuali. Corregge le distorsioni comuni alle strategie di campionamento in grafo attraverso un riproporzionamento ex post del campione (post stratification) basando il processo di reclutamento su un modello matematico che identifica una sequenza di eventi finiti in cui la transizione da uno stato all’altro è probabilistica e dipende solo dallo stato immediatamente precedente, mentre è indipendente dai successivi. Il processo di post stratification è reso possibile utilizzando tre informazioni rilevate durante la fase di reclutamento: - Chi è stato reclutato da chi? (si controlla la tendenza all’omofilia del reclutamento) - Quanto ciascun intervistato è connesso alla popolazione di riferimento? (si controlla il rischio di sovra-rappresentare le persone con un maggior numero di legami) - Tra reclutato e reclutatore esiste una conoscenza diretta? (l’algoritmo calcola i pesi di raccordo alla popolazione di riferimento) Il numero di iterazioni del processo per raggiungere una situazione di equilibrio richiede dalle quattro alle otto ondate, è però necessario che si rispettino tre proprietà: - Che il grafo che rappresenta il reticolo di relazioni tra i nodi del campione sia connesso - Che gli archi siano simmetrici - Che l’estrazione dei soggetti avvenga con reinserimento Affinché un disegno di campionamento con RDS abbia successo è necessario rispettare alcuni prerequisiti: la popolazione oggetto di indagine deve essere caratterizzata da un numero di relazioni sufficientemente ampio, deve esserci coesione tra i membri della comunità, le relazioni tra reclutatore e reclutati devono essere personali. Il reclutamento procede come per un classico snowball: si parte da un gruppo iniziale di soggetti (semi) che appartengono alla comunità da studiare e selezionati per garantire l’eterogeneità, non segue quindi un processo casuale ma deriva da una scelta ragionata. I semi devono avere alcune caratteristiche salienti della popolazione oggetto di studio e devono essere dotati di un’ampia rete di relazioni; ciascun seme è invitato a reclutare un numero fisso di membri della comunità, con i quali intrattiene una relazione personale e diretta. Dalla ricerca sono emersi dati molto interessanti che smentiscono gli stereotipi sull’innovazione sociale: non c’è una prevalenza nelle regioni centro settentrionali ma sono distribuiti in modo omogeneo in tutte le tre aree del Paese; si delinea quindi un potenziale di innovazione nascosta di agenti del cambiamento nelle regioni del mezzogiorno. La prossimità geografica conta ancora molto, come segnalato dalla marcata omofilia nel processo di reclutamento, in particolare al Sud e nel Nord Italia. Dove le pratiche di innovazione sono più numerose le catene di reclutamento sono molto ancorate al territorio, mentre i territori meno attivi mostrano catene di reclutamento più lunghe, proiettate in regioni anche molto distanti dalla propria. I dati confermano che gli innovatori sociali sono una popolazione tipicamente urbana, con le città rilevanti come luogo di innovazione. Proprio per questo sono particolarmente importati i casi di innovazione sociale ai margini, come PaceFuturo ONLUS, a Pettinengo nel biellese, che si occupa di progetti di inclusione sociale e servizi turistico- ricettivi e culturali. Nel Nord est c’è la cooperativa Cadore, che ha aperto due piccoli CAS (Centri Accoglienza Straordinaria), un appartamento e un’abitazione unifamiliare destinati a giovani uomini provenienti dall’Africa Subsahariana. Il contesto urbano sembra consentire alle esperienze di innovazione sociale di prosperare perché facilita e velocizza le comunicazioni all’interno della rete e abilita spazi di interazione informale e di organizzazione relazionale, dando luogo al fenomeno del buzzing, ossia lo scambio di informazioni attraverso canali imprevisti e casuali. La necessità di prossimità di relazioni tra attori diversi spinge alla creazione di spazi terzi, dei luoghi utilizzati per socializzare in maniera informale o attraverso canali non convenzionali. Gli innovatori sociali costituiscono anche una nuova popolazione di giovani adulti, la cui età media è di 37 anni; per quanto riguarda il genere, più di quattro innovatori su dieci sono donne. Per quanto riguarda i pattern di reclutamento per genere, si osserva invece una marcata segregazione soprattutto ad opera degli uomini, mentre le donne viceversa sembrano più orientate a reclutare innovatori sociali uomini. Gli innovatori inoltre emergono come in possesso di titoli di studio molto elevati, come Laurea o Master. Capitolo Quattro Tra il 2015/2016 è stato realizzato un questionario via web agli intervistati che avevano compilato almeno parzialmente il primo questionario, composto da tre sezioni: - Famiglia di origine - Carriera professionale e work value - Civicness, valori e politica Famiglia di origine Per capire come nasce un innovatore sociale può essere utile chiedersi da dove proviene, quindi sull’influenza della famiglia di origine nell’orientare i destini individuali. Secondo i dati si conferma questa teoria, in quanto molti degli innovatori sociali intervistati sono nati in famiglie ad elevato capitale culturale e hanno conseguito, a loro volta, titoli di studio molto elevati. Si tratta comunque di una “dotazione di partenza” di cui ciascun individuo può disporre e a cui si aggiungono anche le disposizioni individuali e facoltà cognitive di ciascuno. In psicologia sociale si studia l’effetto degli stili di attribuzione, cioè del modo in cui le persone interpretano gli eventi che li riguardano, stabilendo dei nessi causali con i propri comportamenti: in alcune persone è più marcata la tendenza ad assumersi in ogni caso le proprie responsabilità (auto attribuzione), mentre in altre lo è meno (etero attribuzione). La famiglia di origine è almeno parzialmente responsabile della formazione degli stili attributivi, dato che questi vengono appresi in età molto precoce; in alcuni studi è emersa anche una relazione con la classe sociale dei genitori: le classi agiate sembrano insegnare più spesso ai propri figli stili orientati all’auto attribuzione, sia nel bene sia nel male. Professione e work values Una grande importanza è anche attribuita al lavoro e al tempo libero. Un po’ meno della metà degli intervistati rientra nei lavoratori dipendenti, mentre il resto nei nuovi lavoratori indipendenti, che comprende imprenditori, lavoratori in proprio, professionisti ma anche soci di cooperativa, coadiuvanti familiari e collaboratori coordinati o occasionali. In Italia proprio grazie all’aumento di queste nuove professioni, si è assistito negli anni ’90 ad una crescita esponenziale del numero di professionisti ad alta qualificazione e ad elevato capitale culturale. Ma oltre a queste dimensioni macro nella decisione di mettersi in proprio contano anche le motivazioni individuali intese come obiettivi da raggiungere attraverso il proprio lavoro. Si parla di sindrome di Archimede per indicare la diaspora dei tecnici informatici delle grandi e medie aziende che hanno rinunciato a tutele e stipendi elevati per affrontare i rischi del lavoro autonomo; prevale così l’orientamento alla qualità del lavoro, il gusto di inventare mettendo alla prova le proprie competenze e creatività, l’aspirazione all’autonomia e all’autodeterminazione. Sarebbero questi incentivi immateriali ed espressivi ad essere molto più rilevanti per i lavoratori indipendenti rispetto ai dipendenti. A riguardo, le caratteristiche desiderabili di un impiego sono state distinte da Rosenberg in intrinseche ed estrinseche: i requisiti intrinseci riguardano la capacità del lavoro di soddisfare bisogni esterni alla sfera lavorativa, come ad esempio l’autorealizzazione; sono invece dette estrinseche le caratteristiche endogene del lavoro, come le ricompense monetarie cui dà accesso. Si segnala il minor interesse degli innovatori sociali per molte delle ricompense materiali derivate dal lavoro sia rispetto ai lavoratori dipendenti sia agli indipendenti. Emergono differenze anche rispetto alle ricompense simboliche: il desiderio di realizzarsi attraverso il lavoro è meno intenso del desiderio di fare qualcosa di utile per la società. Dalla maggioranza degli intervistati emergono tre valori intrinseci: l’iniziativa personale, l’achievement e l’impatto sulla società. Vicino a questi troviamo però anche una dimensione estrinseca, il buon guadagno. Questo perché, in ottica imprenditoriale, la valutazione del proprio successo passa anche attraverso il riconoscimento monetario dei propri sforzi ed ecco perché per gli intervistati rappresenta una caratteristica in senso intrinseco al pari della possibilità di svolgere un lavoro interessante e stimolante. Più che la realizzazione professionale emerge l’importanza di riuscire ad essere utili alla società. Il “fare qualcosa di utile” richiede la messa a terra dell’idea, la sua - Una fitta e attiva rete di Case del quartiere, il cui riconoscimento come soggetti titolari di progetti di interesse collettivo è ispirato al Regolamento sui beni comuni urbani. Dopo il 2015, la traiettoria periferica dell’innovazione ha catalizzato l’attenzione delle Fondazioni e della finanza sociale, nonché il supporto delle istituzioni della città. Esempio di ciò è l’insediamento di una think tank sociale, la fondazione filantropica inglese Nesta. Nella stessa direzione va la firma di un Memorandum (Torino Social Impact, nel 201-18) tra istituzioni pubbliche, università, organizzazioni del terzo settore, fondazioni bancarie e soggetti dell’innovazione sociale. Per quanto riguarda Milano, è sotto-istituzionalizzata e sotto-governata. I campioni dell’innovazione, le attività culturali e creative, i maggiori interventi urbani ecc. sono nati su iniziativa privata. Da tempo il capoluogo lombardo costituisce la maggior concentrazione italiana di servizi professionali, consulenza, pubblicità, design, business service, industria dei contenuti e ICT. Per quanto attiene al mondo dell’innovazione, è stato al centro dell’azione dell’Assessorato al Lavoro e all’Innovazione presieduto da Cristina Tajani, capace di attivare interventi e uno stile di policy caratterizzato da alcune issues specifiche, quali: - Ascolto e rapporto diretto con i beneficiari degli interventi - Preferenza per interventi di fluidificazione volti a eliminare barriere all’ingresso e ampliare la sfera partecipativa - Ricerca di logiche di accreditamento e moltiplicazione delle opportunità - Promozione dell’ecosistema in grado di accompagnare l’innovazione sociale attraverso una variegata rete di incubatori e acceleratori - Riconoscimento in qualità di attori di policy dei soggetti privati e associativi che operano nella produzione di beni e servizi a positivo impatto ambientale e sociale. - Accompagnamento, raccordo, promozione della leva finanziaria per i progetti d’innovazione Nel generale clima di rinascimento, che ha trovato in Expo 2015 il catalizzatore di risorse e moltiplicatore di energie, le iniziative volte a promuovere una Milano collaborativa hanno calibrato una nuova immagine della città. Anche il progetto di Manifattura Milano è perseguito attraverso questo metodo. Complessivamente sono state realizzate 36 interviste in profondità, 14 a Torino e 22 nell’area metropolitana milanese. Un primo spunto è fornito dalla composizione sociale degli intervistati: evidente la presenza di persone con titoli di studio elevati e ceto medio-alto. Dal punto di vista del capitale culturale, molti innovatori provengono da ambienti cosmopoliti e ricchi di risorse che hanno potuto valorizzare nel percorso professionale successivo. In secondo luogo, hanno avuto la possibilità di usufruire del sostegno familiare nelle fasi iniziali della carriera o nei periodi di disoccupazione, evitando così di ripiegare su occupazioni più “sicure” ma meno gratificanti. Va sottolineato che le strategie di carriera degli innovatori non sembrano discendere dalla scarsità di alternative occupazionali o dal traguardo del contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, ma da scelte proattive e “scalate” guidate dalla crescita delle competenze, dalle dimensioni civiche e sociali dell’impegno. Tra i più giovani la precarietà è percepita come un fattore ambientale con cui si deve convivere, laddove il concetto è piegato nell’accezione di flessibilità, dinamismo, possibilità di accrescere competenze e relazioni. Questa “flessibilità felice” non può essere considerata disgiuntamente dall’elevato commitment che talvolta si ripercuote nella disponibilità ad accettare remunerazioni incongrue a favore di ricompense simboliche (gratificazione, possibilità espressive, partecipazione a reti sociali). Condizione tipica del creative labour ma anche requisito riscontrato nel settore no profit. La componente immateriale del lavoro e la passione possono però anche divenire delle trappole e alimentare forme di autosfruttamento. Nell’innovazione sociale si intrecciano dunque una dimensione di vincoli e opportunità (le strategie di ceto medio per l’accesso a posizioni congruenti con gli investimenti pregressi in istruzione) e una dimensione simbolica e di significato che privilegia narrazioni basate su competenze, dinamicità, approccio attivo al lavoro, motivazione intrinseca. I territori di provenienza degli innovatori costituiscono i bacini da cui questi attingono le risorse originarie (conoscenza, relazioni, attitudini e motivazioni, risorse finanziarie) che alimentano i loro progetti di vita e lavoro. Il più rilevante è senza dubbio l’Università e i luoghi deputati all’istruzione terziaria in generale; gli atenei si configurano anche come incubatori formali di start-up nonché giacimento di relazioni e di capitale sociale. Un secondo importante bacino è rappresentato dalle esperienze di partecipazione civica e di attivismo sociale. Altri due importanti bacini sono i network professionali, spesso si tratta di legami deboli che connettono gli innovatori a mondi tra loro distanti ed eterogenei per risorse materiali, cognitive e simboliche; il secondo bacino dai confini più sfumati è costituito dagli spazi ibridi della produzione e del consumo. I riferimenti e le esperienze riconducibili a questo territorio sono eterogenei: dal mondo hacker agli happening musicali e tecnologici, al prosumerismo dei circuiti della produzione culturale urbana. Un tratto che le accomuna è il coinvolgimento attivo degli innovatori, che non si descrivono mai come meri fruitori ma hanno ricoperto in questi spazi ruoli riconosciuti, di leadership o di coordinamento dell’azione collettiva. Con riferimento alla biografia professionale, emergono due dimensioni: - Linearità vs dinamismo - Auto riferimento vs etero riferimento Le traiettorie lineari sono formate da percorsi in cui le transizioni descrivono carriere ascendenti, proattive e lungo una sequenza di fasi ordinate. I percorsi dinamici invece si muovono lungo il confine tra l’esplorazione delle opportunità e la scelta obbligata dei vincoli. Si rileva qui una differenza tra gli innovatori “maturi” che hanno infatti esperienze professionali di alto livello nel settore no profit ma anche in società e agenzie del terziario di consulenza, nella comunicazione, nel web; i soggetti più giovani invece seguono una carriera intermittente di impieghi a termine, gratificante nei contenuti ma di scarso rilievo. Il workplace inteso nell’accezione tradizionale perde significato poiché gli spazi lavorativi si sovrappongono agli ambienti quotidiani. Alcuni intervistati sottolineano come questa sovrapposizione costituisca un elemento per umanizzare una sfera (il lavoro), mentre altri la giudicano una dimensione invasiva. In ogni caso una conseguenza implicita è la tendenza degli innovatori ad inserirsi in cerchie sociali ampie, magari caratterizzate da legami geograficamente lunghi, ma anche relativamente omofile. Dal punto di vista dell’oggetto o focus, il mondo degli innovatori appare profondamente radicato nel contesto di riferimento. Nel caso del contesto urbano tale rapporto è di tipo funzionale, basato cioè sui vantaggi localizzativi e sugli spazi terzi che la città genera, ma anche di tipo simbolico, come ad esempio il clima sociale, gli stimoli culturali, la percezione di vivere in un ambiente aperto ai cambiamenti e alla diversità. Qui le narrazioni degli innovatori tendono a differenziarsi in relazione alle due scene urbane: Milano e Torino. Milano è una importante destinazione di migranti con elevato capitale culturale: il principale valore funzionale risiede nella densità di iniziative che alimentano idee e conoscenze, e dalla concentrazione di enti, associazioni, network, eventi ecc. Torino invece ha una minore apertura internazionale e ciò comporta un affievolirsi delle opportunità. La città viene vista non più solo come bacino estrattivo da cui attingere risorse ma come spazio generativo di riproduzione sociale e culturale. È qui che prendono forma pratiche che modellano l’ambiente urbano attraverso la rivitalizzazione degli spazi e l’insediamento di attività nuove. Questa produzione di spazio dal basso porta con sé effetti meno desiderabili di cui Milano pare risentire in misura maggiore, come il rialzo dei valori immobiliari e la pressione al trasferimento dei ceti meno abbienti. A qualificare una discontinuità è anzitutto un fattore generazionale, la crisi nel nostro paese ha colpito selettivamente i giovani. I millennials con elevati livelli di istruzione e risorse culturali sono stati i protagonisti di una riappropriazione creativa delle culture dell’innovazione, a cui sono stati agganciati nuovi significati in senso civico e sociale. Il secondo fattore è l’irruzione di una nuova ondata di tecnologie digitali in grado di abilitare e massimizzare la convergenza tra dispositivi e la connessione tra persone, oggetti, mezzi per produrre. L’uso del digitale per contro è volto ad esplorare usi sociali delle tecnologie che massimizzino le potenzialità dei pubblici produttivi e le possibilità di sviluppo delle capacità sociali e relazionali della collaborative economy.
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