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Insegnare al Principe di Danimarca, Dispense di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative

riassunto del testo "insegnare al principe di Danimarca" di Carla Melazzini e a cura di Cesare Moreno. si racconta l'apprendistato di un gruppo di insegnati di media cultura ed umanità per conoscere le periferie della città di Napoli e le periferie dell'animo degli adolescenti, cercando di stabilire con loro un dialogo educativo e di vita.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 01/04/2021

Giusy.ma
Giusy.ma 🇮🇹

4.4

(18)

25 documenti

1 / 8

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Anteprima parziale del testo

Scarica Insegnare al Principe di Danimarca e più Dispense in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! INSEGNARE AL PRINCIPE DI DANIMARCA Carla Melazzini/ Cesare Moreno Il progetto Chance, chiamato impropriamente progetto perché è stato una vera e propria scuola impegnata a svolgere il programma previsto per la licenza di terza media per i giovani che la scuola l’hanno abbandonata. Nel 2000 si costituì, grazie a una donazione del Presidente della Repubblica Ciampi, l’associazione onlus Maestri di Strada, che avrebbe spesso affiancato CHANCE con borse di studio o prestiti a ragazzi con difficoltà. Le “mamme sociali” sono donne del quartiere che hanno ricevuto una speciale preparazione e lavorano insieme ai docenti, offrendo la capacità di cura e mediazione. In luogo di questa esperienza è la periferia orientale della città: Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. “se proprio vogliamo considerare una persona come una pianta, allora le sue radici stanno dentro di lei, e trasportano i succhi nutritivi di coloro che l’hanno generate ed educata, cioè “tirata fuori”: se le radici sono sufficientemente buone, la pianta si deve alzare ed espandere nel mondo circostante”. Mimmo, un ragazzo di 15 anni, è sicuro che il suo compito sia quello di uccidere l’uomo per il quale sua madre ha abbandonato da un giorno all’altro i 5 figli. È una ferita che impedisce di vivere (essere o non essere), figuriamoci andare a scuola. Accetta di iscriversi a CHANCE, ma un intervento dei servizi sociale sottrae e Mimmo e Pina, la sorella più grande, i fratelli più piccoli trasferendoli d’autorità in un centro di accoglienza: è il momento in cui Mimmo fugge da scuola dichiarando di voler uccidere la madre, ma torna in breve tempo piangendo. Pina si assenta per parecchi giorni, e non mangia più, forse per punirsi di aver trascurato il suo ruolo di madre per essere, a CHANCE, una ragazza come le altre. Lo spazio insieme accogliente e protettivo della scuola gli ha permesso di sperimentare che la piena delle emozioni può essere trattenuta e dominata quando le si dà una rappresentazione simbolica anziché tradurla in azione. Fortuna cercava un modo per cambiare, ma era praticamente analfabeta. Ha accettato di imparare a leggere e scrivere, ma resta incinta a soli 16 anni. Dopo una settimana di colloqui 30 ragazzi accettano di entrare nel progetto CHANCE, non sono iscritti d’ufficio, ma firmano un contratto come se si arruolassero per una spedizione. Vengono divisi in due gruppi per facilitare la costituzione di legami e scelgono dei nomi di battaglia. Gli allievi firmano un registro di presenze ma a fine giornata scrivono un sì o un no a seconda che la giornata sia stata buona o cattiva e la possibilità di coesistenza nello stesso giorno delle due facce. In un quartiere popolare si lotta per portare quel 20% di alunni che i sociologi chiamerebbero CULTURALMENTE DEPRIVATI. Capita che le antagoniste più feroci di questa lotta siano le madri. È comprensibile che la madre, inconsciamente consapevole di essere la causa principale del mutismo della bambina, si alleggerisca dal proprio senso di colpa, caricandolo sulle maestre. Qual è la colpa delle maestre? Pretendere che i bambini riescano. Perché è una colpa? Perché il successo dei bambini sarebbe la dimostrazione del fallimento dei genitori. Esistono però ostacoli psichici interni e relazioni insane più forti della conoscenza del mondo esterno, e finché non si opera un cambiamento di contesto è difficile il cambiamento individuale. Il DIGITAL DIVIDE è il divario tra chi ha accesso alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso da condizioni economiche, livello d’istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di età e sesso, appartenenza a gruppi etnici. Gli operatori CHANCE sono stati trattati dall’istituzione scolastico come DROP-OUT (spostati). Contrastanti con l’ideologia ufficiale, reazione di rigetto non solo verso i ragazzi ma verso coloro che di essi di prendevano cura. Le istituzioni scolastiche scandiscono il succedersi delle età, definiscono tappe e competenze e organizzano, in analogia con i riti primitivi di passaggio, una sorta di regolazione sociale alle stagioni della vita. Nel progetto CHANCE esso viene curato nei minimi dettagli, e viene preparato da una simulazione che consente ai ragazzi di affrontare le emozioni scatenate in queste occasioni. Una delle paure ricorrenti è quella della PEDOFILIA. La famiglia ha subito numerosi traumi, la paura del pedofilo è sintesi e metafora di tutte le paure. Rossella dice che non verrà più a scuola perché alla fermata dell’autobus ci sono i pedofili: continuerà solo se la tutor andrà a prenderla tutte le mattine. Paure e angosce prendono la forma più comune del turpiloquio, che nei momenti di maggiore eccitazione collettiva assume l’aspetto fisico del vomito. La prima reazione degli insegnanti è di tipo illuministico: si coglie l’aspetto meno inquietante di queste emozioni, che è l’ignoranza. È vero che l’ignoranza amplifica paura e angoscia, e allora combattiamo l’ignoranza. È stato proposto un breve corso di educazione sessuale, ma non si è presentato nessuno. Parlare di sesso è come “fare una visita”, cioè un’intrusione nel corpo, e scatena paure. L’interpretazione dei comportamenti dei ragazzi, di quelli più aggressivi, è spesso viziata da una sorta di pregiudizio sociologico per cui ogni azione deve ogni volta essere riportata alla somma delle disgrazie familiari e sociali, cioè al passato, mentre un occhio più attento avrebbe visto in atto emozioni relative al presente, in particolare alla sfera affettivo-sessuale. Abbiamo capito che Giogiò per dirti che ti vuole bene ti dà uno spintone e dietro al suo vagabondare non c’era tanto la madre carcerata, ma il suo essere esplosivamente innamorato. Il corpo dell’insegnate non è oggetto solo di parole. Accade che esso venga investito di pulsioni trasferite direttamente dal corpo materno a quello di una insegnante che magari è anche la tutor, e magari somiglia fisicamente alla madre. Si sono registrati, dal punto di vista delle abilità di base, situazioni sempre più o meno omogenee tra gli alunni delle prime classi: in una classe di 28 alunni almeno 2 sono semi-analfabeti, 2-3 hanno un livello accettabile, mentre tutti gli altri stazionano in un limbo di parole stentate e pensieri sparsi. La situazione dei ragazzi CHANCE paradossalmente è più rosea: allora, ci si chiede perché si trovano a CHANCE? Perché il traguardo della licenza media è stato tanto irraggiungibile? I ragazzi hanno completato la scuola elementare senza troppi problemi, il disastro è accaduto alla scuola media. Il motivo è che è stata la bocciatura in prima media a tirarsi indietro come inevitabile una seconda bocciatura. Allora i giochi sono fatti: non è possibile, a 13/14 anni, stare nella stessa classe con dei bambini. Nelle società primitive le più importanti tappe della vita erano sottolineate da riti. La trasformazione più sconvolgente, cioè il raggiungimento della maturità sessuale da parte del bambino, viene elaborata attraverso dure prove che simulano la morte dell’IO INFANTILE e la nascita dell’IO ADULTO, simboleggiata dal cambio del nome. Gli unici rituali che accompagnano le tappe dell’evoluzione bio-psichica del cucciolo dell’uomo sono i passaggi dei cicli scolastici. L’ingresso alla scuola media apre nella vita del ragazzo una fase drammatica: trasformazione di un corpo che non si conosce più, lutto per l’infanzia perduta, necessità di staccarsi dai genitori per costruire la propria autonomia, punto d’appoggio nel gruppo dei pari. La bocciatura assume un significato dirompente: non è solo lo scacco sul piano delle prestazioni intellettive ma uno scacco esistenziale, l’essere ricacciati nell’infanzia, essere costretti a un gruppo che non è più di pari. 3) Convincendo il ragazzo che per ciò che sta facendo a scuola non valga la pena assumersi la fatica dell’apprendimento. Il risultato è “non sei disposto ad impegnarti per apprendere le materie scolastiche che danno accesso alla conoscenza della realtà, non scolarizzato né scolarizzabile”. Il ragazzo si trova, allora, di fronte ad un dilemma angoscioso: o la sua intelligenza lo inganna o gli onnipotenti adulti sono dei falsari. Non permettendogli la sua fragilità psicologica di accettare la prima, adeguandosi pian piano all’insensatezza. Questo è il motivo per cui spesso i ragazzi meno scolarizzabili sono i più intelligenti. Il ragazzo che scegli gli istituti tecnici e professionali ha già addosso un buon bagaglio di delusioni e fallimenti, addebitati come si è detto a sua esclusiva colpa. Tutta la naturale PLASTICITA’ dell’individuo giovane lo predispone a tentare l’avventura, e lo fa con un misto di diffidenza e ansia, angoscia, quando la scuola superiore sia vissuta come ultimo banco di prova di una fragile autostima, già scossa nei cicli precedenti. “Qui non è una scuola dell’obbligo, nessuno ti ha costretto a venire, siamo qui per giudicare se ne sei degno”. La prassi della BELLA PULIZIA fa si che il nuovo ragazzo proveniente dalla scuola media si trovi in un gruppo classe segnato dalla presenza di ripetenti. Naturale che il problema venga quasi sempre risolto con la forza. Si osserva che nelle classi solo maschili sono più evidenti le manifestazioni di regressione infantili tipiche dell’adolescente. - LA NUOVA CAMORRA ORGANIZZATA L’aggettivo “organizzata” affiancato a camorra è ciò che legittima la sua novità rispetto alle antiche società criminaloidi. Le persone che impongono la loro legge nel quartiere si dice che sono “rispettate”. Che cos’è questo rispetto? Il riconoscimento di una superiorità reale, o la maschera della paura? “non c’è bisogno di spiegazioni, perché appoggiamo le organizzazioni criminali solo per avere protezione, perché abbiamo paura e la scuola non può fare niente, perché pure se ci insegna l’educazione, fuori ci dobbiamo comportare in un altro modo”. Che cosa spinge un ragazzo a sentirsi attratto da queste organizzazioni? Come prima cosa è il sentirsi debole e non rispettato. Poi la possibilità di arricchirsi senza fare sacrifici. Trattando dell’argomento “scuola e strada”, la prima parola-chiave è SPAZIO. La scuola e la strada sono due spazi che vengono associati alla coppia di opposti chiuso/aperto: luogo protetto, contenitore di attività strutturate, e spazio libero. Perché fossero accoglienti, abbiamo osservato movimenti di fuga tanto più intensi quanto più intensa era l’affezione che i ragazzi sviluppano per lo spazio scolastico. Questa oscillazione tra modi di sentire lo spazio come protettivo e rassicurante oppure come prigione claustrofobica fra parte del percorso di crescita dell’adolescente. Ci siamo resi conto di quanto possa essere claustrofobico lo spazio della strada, palcoscenico di copioni di vita predeterminati ed escludenti. Da tutto ciò ha preso le mosse una didattica itinerante nella quale la funzione rassicurante è svolta dalle persone adulte, docenti ed educatori. Non dobbiamo presentarci “pieni” di idee, aspettative, progetto, altrimenti non abbiamo lo spazio dentro di noi per accogliere quello che ci propongono. Tre sono le gambe sulle quali il percorso cammina: costruzione di competenze di cittadinanza, competenza professionale e competenze cognitive. La loro acquisizione avviene non sui libri ma tramite esperienze ed incontri, itineranti e stanziali. Immaginiamo quanto possa essere importante per un ragazzo che si porta dentro dalla nascita, il marchio di svalutazione del nome di un quartiere o della famiglia, essere conosciuto e giudicato semplicemente per la persona che sa essere. Dentro le mura il fulcro del percorso di cittadinanza è il CIRCLE TIME settimanale, luogo di costruzione del gruppo, di elaborazione dei conflitti, di gestione dei problemi. GRUPPO è parola-chiave sia sul versante dei ragazzi che su quello degli adulti. Condizione indispensabile per la costruzione di un gruppo di alunni sufficientemente buono è che esso si possa rispecchiare in un gruppo docenti altrettanto buono. Il che è un fenomeno abbastanza raro, non tanto per indisponibilità dei docenti quanto perché i meccanismi istituzionali stessi non lo permettono. L’organismo-gruppo, opportunamente guidato, diventa il contenitore che è in grado di accettare, riconoscere ed elaborare le dinamiche nascoste e le emozioni connesse trasformandole in forze di coesione favorevoli al compito. Il movimento del singolo adolescente nel suo percorso evolutivo è ondulatorio, un continuo avanti/indietro, non solo nei confronti delle figure adulte ma anche del gruppo dei pari: allontanamento, critica, protesta, riavvicinamento e protezione. Altra parola-chiave è TEMPO. Il tempo della scuola è predeterminato, l’unica flessibilità consentita è la ripetizione degli stessi anni scolastici. Tutt’altra prospettiva si apre se la domanda è: quanto tempo occorre perché un ragazzo riacquisti il desiderio di apprendere? La risposta non può essere data a priori, in primo luogo perché è diversa per ogni ragazzo; poi perché mette in gioco un processo educativo che va oltre l’ambito scolastico, assumendo una dimensione antropologica. La parte più significativa di CHANCE per i docenti è l’opportunità di ripartire dal grado zero della parola. La parola non è un diritto acquisito, ma si deve conquistare insieme, alunno e docente. Per l’alunno è un processo quasi primario, nel quale la parola viene fatta emergere dal silenzio al chiasso. Per il docente è una riconquista del senso delle parole, perché il ragazzo non è disposto ad accettare parole che siano prive di significato per lui. Non è facile per un docente accettare di essere zittito, ma se riesce a sostenerlo, si apre un percorso educativo molto ricco per entrambi. Nel primo anno di CHANCE il laboratorio artistico e quello linguistico costituiscono i cardini della porta che apre la via ad un percorso di costruzione dell’identità. Nel libro di BRUNER si afferma che “creiamo e ricreiamo l’identità mediante la narrativa” e che “la creazione del sé è un prodotto del nostro raccontare” e che “avviene dall’esterno verso l’interno tanto quanto in senso contrario”. Un laboratorio dei linguaggi, verbali e non, deve essere uno spazio predisposto con cura e amore perché vi possa avvenire il passaggio dal silenzio e dal chiasso alla parola e alla narrazione che costruisce l’identità. Il nucleo centrale della DIDATTICA DELLA PAROLA è la pratica della RESTITUZIONE: non solo noi restituiamo ai ragazzi le loro voci, immagini, emozioni, traducendole in parole strutturate, ma loro ci restituiscono continuamente, arricchendoli, i significati delle esperienze che facciamo. Il percorso verso il mondo esterno è quello che apre più ampi spazi al pensiero: la difficoltà è che la conquista della parola è ancora troppo precaria. La scuola è sede di una didattica verbale in cui la parola è veicolo non di un pensiero che si forma ma di un trasloco di nozioni da un contenitore all’altro. A CHANCE non è consentito; il rifiuto o la difficoltà della parola ci costringono ad applicare il principio pedagogico antico che si apprende facendo. Il testo che maggiormente offre strade ai processi di identificazione ed elaborazione è quello narrativo; più è metaforico, meglio è: protegge l’adolescente dai rischi di un’intrusione che lo spaventa, e gli dà maggior libertà di scelta su ciò che può prendere o rifiutare. Il messaggio implicito dovrebbe essere positivo, ma non banale. Interessante è l’uso di fiabe, storie di animali. La grande letteratura è sempre la cosa migliore. Un tipo di testi che facilita molto la lettura è quello teatrale, perché il piacere, la curiosità, o la paura di impersonare, identificarsi e la naturale teatralità dei ragazzi è tanto forte che li spinge a questa tecnica. - IL PANE E LE BRIOCHES È una critica a vari gradi di astiosità e invidia, al fatto che i nostri ragazzi vengono “viziati” e “coccolati”. Come simbolo di questo vizio sono le brioches che diamo a colazione. Perché provocano tanto fastidio? Una prima ragione è una gelosia primitiva in persone che sentono di non aver ricevuto sufficiente nutrimento nella propria vita. Mi pare che lo sdegno a proposito di coccole e brioches e l’aggressività nascosta sotto la virtuosa esigenza di punizione facciano tutt’uno, e rimandino ad una costellazione psichica complicata. Un primo sentimento è di colpa: prendere la colpa e scaricarla sull’altro, “è povero perché difettoso, e ben gli sta”. Come è noto, il razzismo è il sentimento dei contigui, ed è dettato dalla paura: chi è riuscito a passare dalle mangiatorie ai condomini ha il terrore di essere ributtato indietro e odia e teme coloro nei quali si rispecchia. Prendere atto delle affinità sostanziali, che affondando nel comune substrato emotivo e corporeo: è questa la cosa più difficile, che parecchi rifiutano per autodifesa. Il razzismo elimina i diversi, l’egualitarismo la diversità; noi rivendichiamo la diversità e i diversi, e le coccole e le brioches. Il pane è il nutrimento essenziale per la sopravvivenza fisica, le brioches il nutrimento spirituale per una vita umana. Una delle principali caratteristiche dei DROP-OUT che lungo 8 anni hanno trovato rifugio e ospitalità nelle sedi del progetto CHANCE è di vivere dentro famiglie che sono contenitori precari, imprevedibili, oppressivi: abuso di droghe e alcool, stati mentali patologici, depressione, percosse, carcere. dentro uno spazio domestico sovraffollato e turbolento, manca uno spazio per sé e per le proprie cose. Con un fardello di storie di vita terribili e di accumulati insuccessi scolastici, ha quasi del miracoloso che questi ragazzi, diffidenti di tutto e di tutti, si siano fidati e affidati così rapidamente a un gruppo di sconosciuti. Al quarto giorno di scuola Mimmo porta in dono alla tutor la sua storia e mette in scena il dramma della sua vita. Non solo nelle assemblee e nei gruppi tutoriali (spazi dedicati alla parola) ma in tutti i momenti della vita scolastica quotidiana, si percepisce la presenza della morte. Non siamo al primo omicidio, nella vita del modulo di San Giovanni-Barra, ma questa volta il trauma ha investito l’intero gruppo dei ragazzi, parecchi dei quali hanno riconosciuto nel dolore del compagno la propria angoscia per la sorte dei rispettivi genitori. Una quotidiana e dolorosa elaborazione collettiva. La paura del contagio: la solidarietà e compassione verso il compagno sono frenate da qualcosa di profondo che spinge a isolarlo, al suo rientro a scuola, come se il contatto fisico con lui fosse pericoloso. La prima reazione è dichiarare la colpevolezza della vittima, perché “la camorra dà sempre una chance”. L’adolescenza per tutti è guardare un fiume turbolento, per questi ragazzi è guardare un fiume turbolento, in zona di guerra, sotto il fuoco nemico. Sarebbe interessante fare un repertorio delle caratteristiche che fanno della relazione una buona relazione: 1) Tempo; 2) Indipendenza; 3) Reciprocità Tutto ciò significa crescere insieme e si cresce in termini di arricchimento emotivo. Nel mio catalogo personale del male, rimane tra i primi posti la pratica, descritta da SALAMOV, con la quale il criminale strappa alle prigioniere affamate prestazioni sessuali in cambio di tanto pane quanto ne riescono a mangiare nella durata della prestazione medesima; salvo preparare le pagnotte immergendole nella neve artica, in maniera che alle infelici non sia possibile strappare neanche una briciola. Una crudeltà così ingegnosa è solo il culmine del disprezzo per la donna che caratterizza la società criminale. Una temporanea assunzione di potere da parte della donna quando i maschi vengono arrestati in massa non modifica la modalità del trattamento loro riservato: essere comprate, vendute e picchiate. Il secondo elemento comune è la venerazione sentimentale per l’unica donna non disprezzata: la mamma; forse dato il bisogno di credere che da qualche parte qualcuno debba custodire un’immagine bella di se stesso. Ogni periferia infelice è diversa dalle altre. Ponticelli deve il suo nome all’essere stata una zona acquosa, ricca di ponti e mulini. Mentre le fabbriche chiudevano una dopo l’altra, gli spazi vuoi venivano riempiti da una dissennata politica urbanistica, che andava incuneando a casaccio, nel tessuto di 3 antichi quartieri, orrendi agglomerati di prefabbricati pesanti, cui era prescritto alla nascita il destino del ghetto (Barra, San Giovanni e Ponticelli). Sono le enclaves dalle quali proviene la quasi totalità dei nostri allievi, fuggiti dalla scuola. “Infiltrazione della camorra” significa che non si può verificare qui una scazzottata tra ragazzi, perché viene trasformata in un meccanismo giudiziario di punizione-vendetta con intervento di terzi. Abbiamo accumulato tanti anni di esperienza nel trattamento dei rifiuti umani, cioè degli umani che questa città ha considerato e considera rifiuti. Non avevamo tardato ad accorgerci che gli atteggiamenti dei ragazzi derivavano in buona parte dalle loro esperienze di deprivazione nelle relazioni primarie, e che questo dava luogo, una volta assicuratisi di trovarsi in un ambiente per la prima volta accogliente, a manifestazioni di una insaziabile avidità. L’avidità da deprivazione psicologica ha il suo corrispettivo negli atteggiamenti sociali (sempre incentivati, anziché educati e modificati, da una gestione irresponsabile e clientelare del welfare) di quello che una volta si chiamava proletariato: attaccamento parassitario al bisogno e messa a frutto delle disgrazie familiari. C’è il bisogno primario frutto di una atavitica indigenza: il bisogno usato per produrre vantaggi secondari; ed è facile verificare come questo rapporto col bisogno renda queste persone particolarmente vulnerabili all’induzione dei nuovi bisogni da parte dei meccanismi del consumismo coatto. Tutto un capitolo a parte poi è l’inserimento in queste realtà dell’economia criminale e delle sue peculiari forme di welfare.
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