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Insegnare l'italiano come seconda lingua (Diadori, Palermo, Troncarelli), Appunti di Didattica generale e speciale

Questo libro tratta dei contesti di apprendimento dell'italiano L2 e profili degli apprendenti; media e didattica delle lingue; progettazione e programmazione didattica; QCER e sillabo di italiano L2; valutazione e certificazione delle competenze linguistiche

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Scarica Insegnare l'italiano come seconda lingua (Diadori, Palermo, Troncarelli) e più Appunti in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! CONTESTI DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO DELL’ITALIANO L2 Il processo di acquisizione di una lingua é determinato dall’esposizione di un individuo a: -un ambiente -in cui siano presenti dati linguistici. Dalle caratteristiche di questi due fattori essenziali dipendono le variabili che entrano in gioco nel processo di insegnamento-apprendimento linguistico. L’ambiente in cui ha luogo l’apprendimento può configurarsi come: -naturale: per l’acquisizione della lingua madre da parte dei bambini o della lingua del paese ospite per gli immigrati, che la imparano senza ricevere alcuna istruzione. (apprendimento spontaneo) -formale: quando l’apprendimento si realizza con la frequenza di un corso, come nel caso di una lingua straniera prevista nel curricolo scolastico. (apprendimento guidato) -combinazione di ambiente naturale e formale: situazione di apprendimento della lingua nel paese dove essa è impiegata, quindi l’apprendente può imparare sia attraverso la frequenza di un corso sia in ambito extrascolastico, interagendo con i parlanti nativi. (apprendimento misto) Dai requisiti dell’ambiente dipendono il tipo di input a cui é esposto l’apprendente e le modalità con cui si attua tale esposizione. INPUT: il materiale linguistico con cui l’apprendente viene in contatto, cioè tutte le produzioni orali a cui é esposto e tutti i testi scritti che incontra. -Nell’apprendimento spontaneo l’input non é selezionato e graduato e l’apprendente può venire a contatto con varietà non standard della lingua e prevalentemente orali. -Nell’apprendimento guidato invece l’input é frutto di ricerca e selezione operate dall’insegnante in relazione agli obiettivi didattici, inoltre rientra in varietà generalmente vicine allo standard. Infine, l’apprendimento linguistico ha luogo perché l’ambiente offre all’apprendente occasioni di output, cioè di uso e pratica nella lingua oggetto di apprendimento. OUTPUT: tutte le produzioni realizzate dall’apprendente, attraverso sia il canale orale che quello scritto. I contesti di insegnamento-apprendimento dell’italiano si suddividono in quattro macrocategorie: 1. Italiano come lingua straniera (italiano LS): italiano appreso all’estero, presso istituzioni e scuole pubbliche e private, da apprendenti di madrelingua diversa. 2. Italiano come seconda lingua (italiano L2): italiano appreso in Italia da studenti stranieri, che soggiornano per un periodo nel nostro paese, spinti da diverse motivazioni. 3. Italiano come lingua d’origine: italiano appreso da oriundi italiani residenti all’estero, che hanno avuto la lingua italiana, come lingua della socializzazione primaria (lingua familiare), pur avendone in alcuni casi una competenza molto limitata, per recuperare le proprie origini familiari o etniche. 4. Italiano come lingua di contatto: italiano appreso in Italia da figli di cittadini stranieri migranti, appartenenti a diverse fasce d’età. Nei vari contesti, l’italiano é appreso da tipologie di apprendenti che presentano caratteristiche diverse: tra queste l’età, la lingua madre, il retroterra istruttivo, la conoscenza di altre lingue straniere, la motivazione e l’attitudine a imparare una nuova lingua. 1 MOTIVAZIONE: lo scopo per il quale un individuo studia la lingua, si impegna, esercita la sua attenzione e compie degli sforzi per conseguire i propri obiettivi di apprendimento. 1. L’italiano come lingua straniera (LS) Fuori d’Italia l’offerta di corsi di italiano LS é garantita da un’ampia gamma di realtà formative locali, che comprendono scuole pubbliche e private, università, associazioni, aziende: -università popolari per la formazione degli adulti (es. Volkshochschulen in Germania) Oltre alle offerte formative locali, ne esistono anche di finanziate dal governo italiano: -Istituti italiani di cultura (IIC): nelle capitali e nelle principali città degli Stati con i quali l’Italia intrattiene relazioni diplomatiche e che hanno come obiettivo la promozione e la diffusione della cultura e della lingua italiana tramite l’organizzazione di corsi di lingua, spettacoli, mostre, concerti. -Scuole italiane all’estero: istituite per garantire una formazione in italiano ai figli delle famiglie emigrate all’estero. -Scuole europee: per offrire un insegnamento multilingue e multiculturale, prioritariamente ai figli dei funzionari delle istituzioni comunitarie, garantendo a tutti gli alunni l’insegnamento della proprio lingua materna. -Lettorati di italiano presso le università all’estero: il Ministero degli Affari esteri seleziona regolarmente fra gli insegnati di ruolo nella scuola italiana il personale da inviare presso alcuni atenei stranieri. -Società Dante Alighieri: opera per la tutela e la difesa della lingua e della cultura italiane e per ravvivare nei connazionali all’estero i legami culturali con l’Italia. Tutti questi poli di disseminazione della lingua e della cultura italiane possono entrare a far parte di una rete di enti formativi convenzionati con istituzioni specialiste nel settore: -con l’Università per stranieri di Siena per gli esami CILS (Certificazione di italiano come lingua straniera) e DITALS (Certificazione in didattica dell’italiano come lingua straniera) -con l’Università per stranieri di Perugia per gli esami CELI (Certificato di conoscenza della lingua italiana) ecc.. -con il Consorzio ICON (Italian Culture on the Net) per l’erogazione di corsi online Accademia della Crusca: fondata a Firenze nel 1582-83, é la più prestigiosa istituzione culturale italiana dedicata allo studio e alla salvaguardia della lingua. Il nome “Crusca” richiama lo scopo originario dell’Accademia, cioè quello di separare il fior di farina (la buona lingua) dalla crusca. Intorno al 1590 l’attività dell’Accademia iniziò a essere concentrata sulla preparazione del Vocabolario, che fu più volte revisionato e ristampato negli anni seguite e divenne un modello per le altre accademie europee nella redazione dei vocabolari delle rispettive lingue nazionali. Nel 1937 è diventata sede di un centro di studi di filologia italiana con lo scopo di promuovere lo studio e l’edizione critica degli antichi testi e degli scrittori classici della letteratura italiana dalle origini al XIX secolo. CARATTERISTICHE DEGLI APPRENDENTI (CENNI STORICI) • In principio si trattava di persone colte, interessate all’italiano in vista del “viaggio in Italia” che avrebbe fatto da completamento alla loro istruzione • Dai manuali di italiano per stranieri dei secoli scorsi, emergono altre figure di apprendenti: religiosi, militari, commercianti spinti dallo studio o da ragioni pratiche ed economiche. • Verso la fine del XIX secolo si sono verificate delle spinte migratorie dall’Italia verso i paesi del Nord Europa e i continenti d’oltreoceano: verso questi nostri migranti si incominciano a indirizzare i primi interventi di politica linguistica dedicati all’italiano, da insegnare ai loro figli per non interrompere il legame con la madrepatria. • Dalla metà del XX secolo si invertono le rotte: gli immigrati stranieri si riversano ora in Italia dall’Albania, dall’Africa, dall’Oriente e dagli anni 90 anche dall’Est europeo e dalla Cina. 2 2. L’italiano lingua seconda in Italia (italiano L2) Con questa espressione si intende la lingua non materna appresa in un contesto in cui tale lingua é il codice impiegato per gli scambi comunicativi ordinari e quotidiani: il parametro diatopico (relativo allo spazio) sarà quindi determinante per individuare le caratteristiche dell’insegnamento- apprendimento di questa lingua. In questo caso l’apprendimento misto sarà il contesto ideale e l’approccio glottodidattico più favorevole é proprio quello indicato dal Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER): l’apprendimento orientato all’azione e la didattica per progetti. Una competenza di azione consiste nella capacità di interagire con altri individui in modo partecipativo. Una didattica orientata all’azione: -accetta sorprese, incomprensioni, rischi; -é una didattica che prende in considerazione l’allievo come individuo completo, proponendogli temi e testi per lui rilevanti; -supera la dicotomia classe/extraclasse; -aiuta il discente a superare la paura e l’insicurezza durante la produzione linguistica; -instaura un equilibrio dinamico tra individualismo e collettivismo; -propone forme di apprendimento euristico, basate sulla scoperta autonoma delle regole di funzionamento linguistico e pragmatico dei testi; CARATTERISTICHE DEGLI APPRENDENTI L’apprendimento dell’italiano da parte di stranieri in Italia nei secoli passati era essenzialmente riferito ai seguenti tipi di apprendenti: • studenti in viaggio di studio in Italia per completare la propria formazione accademica. • artisti, intellettuali e tutti quei viaggiatori per i quali il viaggio in Italia (il grand tour) faceva parte della propria formazione culturale. • i commercianti che in Italia avevano affari di ogni genere. • i prelati cattolici che facevano capo a Roma e tutti quei pellegrini che in Italia visitavano per devozione i luoghi sacri di varie figure di santi. • i soldati che per varie ragioni si sono avvicendati nella penisola al seguito del proprio esercito. L’italiano L2 ha dunque una tradizione che affonda le sue radici nel passato, in una serie di motivazioni storiche, geografiche e culturali, nonostante il fatto che nella penisola italiana non sia esistita fino a tempi recenti una lingua nazionale unitaria utilizzata oralmente da tutti gli strati della popolazione. A Siena nel 1917 nascono, i primi “corsi di Lingua e cultura italiana per stranieri”, a cui si rivolgono inizialmente europei, studenti, artisti, interessati a un soggiorno di studio in una città simbolo della cultura pittorica e architettonica del Medioevo italiano. Poco dopo nacquero anche a Perugia dei “corsi di Alta Cultura per studenti stranieri”. Nel 1992 vengono ufficialmente istituite due nuove università pubbliche: l’Università per stranieri di Siena e l’Università per stranieri di Perugia, entrambe destinate a diventare punti di riferimento per la formazione universitaria e la ricerca in una disciplina (didattica dell’italiano a stranieri), che tende ad acquisire sempre nuovi spazi in Italia e nel mondo. Proprio da questi due atenei partono le proposte di tre certificazioni di lingua italiana per stranieri, CILS, CELI e IT e successivamente anche DITALS e CEDILS. L’Italia si propone al mondo con una propria politica di promozione dell’italiano per stranieri, mettendo in gioco nuove dinamiche che collegano il centro con le periferie: • Italian Study Abroad: programmi dei college e delle università statunitensi che permettono ai loro studenti di frequentare per un periodo di durata variabile uno o più corsi presso centri o università in un altro paese. • programmi Erasmus: studenti universitari che si riversano negli atenei italiani dai vari paesi che via via sono entrati a far parte dell’Europa e anche dei paesi extracomunitari, grazie alla possibilità di vedersi riconosciuti nei vari atenei europei percorsi di studio svolti all’estero in termini di crediti ECTS (European Credit Transfer System). Ormai la mobilità studentesca é un fenomeno costante, che trasforma ogni aula universitaria in un universo di socialità plurilingue e pluriculturale. 5 • programma Marco Polo: nasce da un accordo bilaterale tra la Repubblica Popolare di Cina e la Repubblica italiana, per accogliere un certo numero di studenti cinesi che intendono frequentare corsi di laurea di primo e secondo livello presso le università italiane. • programma Turandot: indirizzato agli studenti cinesi che intendono iscriversi presso le istituzioni accademiche italiane di Alta Formazione artistica, musicale e coreutica. • le università ecclesiastiche: richiamano a Roma varie figure di religiosi cattolici stranieri che devono perfezionare il proprio percorso formativo in teologia prima di accedere ai vari gradini della gerarchia ecclesiastica. • i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti: offrono percorsi di istruzione di primo livello per lavoratori italiani e stranieri che non hanno ancora assolto l’obbligo scolastico del primo ciclo e percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana riservati agli stranieri. • i programmi Intercultura: associazione che si occupa di gestire i progetti individuali di mobilità studentesca, per favorire il soggiorno di adolescenti stranieri presso famiglie italiane che li accolgono a titolo gratuito, allo scopo di realizzare una reciproca esperienza interculturale. • comunità alloglotte (di madrelingua diversa dall’italiano): minoranze linguistiche storicamente presenti in Italia come ad esempio quelle provenzali e franco-provenzali della Valle d’Aosta e del Piemonte, quella slovena nei territori di confine (Trieste, Gorizia, Udine); si parla di minoranze proprio per sottolineare che queste varietà sono delle vere e proprie lingue indipendenti, appartenenti al dominio neolatino. In molti casi queste lingue sono oggi a rischio di estinzione, vista la diffusione dell’italiano fra le ultime generazioni più scolarizzate. Per contrastare questo fenomeno, é stata promulgata in Italiana una legge che sancisce il diritto di dodici minoranze linguistiche storiche presenti in Italia esprimere sé stesse e le proprie culture. • comunità germanofone dell’Alto Adige (Sud Tirol): qui la situazione sociolinguistica é il risultato di un tentativo deliberato di italianizzare un territorio linguisticamente e culturalmente diverso, attuato dal governo italiano nel primo dopoguerra e proseguito durante il periodo fascista. (In quest’area la maggioranza della popolazione parla un dialetto affine ai dialetti tedeschi della Baviera e viene alfabetizzata in tedesco standard nelle proprie scuole, mentre in alcune vallate ladine l’educazione scolastica trilingue garantisce di fatto una competenza in ladino-tedesco- italiano). PROFILI DI APPRENDENTI 1. Bambini e adolescenti stranieri in vacanza studio in Italia. 2. Bambini e adolescenti stranieri inseriti nelle scuole internazionali e bilingui 3. Adolescenti stranieri dei programmi Intercultura. 4. Studenti universitari stranieri nei progetti di mobilità accademica europea ed extraeuropea a seguito di accordi bilaterali tra atenei italiani ed europei. 5. Studenti universitari statunitensi dei programmi Italian Study Abroad che trascorrono un periodo di studio in Italia per completare il proprio percorso, soprattutto inerente l’italianistica o la storia dell’arte, specialmente in certe città come Firenze o Roma che hanno a disposizione materiali didattici specifici, docenti e tutor specializzati. 6. Studenti universitari cinesi dei programmi Marco Polo e Turandot. 7. Studenti e religiosi cattolici stranieri che vengono in Italia per proseguire gli studi di teologia o per prestare temporaneamente la propria opera nelle parrocchie italiane. 8. Giovani adulti che decidono di trascorrere in Italia un periodo di studio per motivi culturali o personali. 9. Adulti e anziani in buen retiro: luoghi della Toscana, Umbria, Liguria in cui molti artisti o anziani facoltosi nord-europei o nord-americani si trasferiscono in cerca di un clima più mite e di uno stile di vita più tranquillo. 10. Professionisti stranieri inseriti in contesti lavorativi in Italia. 11. Carcerati stranieri negli istituti di pena. 12. Cittadini italiani di madrelingua diversa, limitatamente alle minoranze storiche presenti in Italia. Per questi gruppi l’italiano L2 é una lingua appresa a scuola e nei contatti con i turisti, con i concittadini italofoni e con i mass media italiani presenti sul territorio. 6 MOTIVAZIONI E BISOGNI DI APPRENDIMENTO • motivazione di tipo affettivo: in primo luogo la scelta di realizzare un periodo di permanenza in Italia, sia che si tratti del professionista straniero, dell’artista o dell’anziano in buen retiro, sia dello studente erasmus, si sceglie l’Italia perché piace, perché é associata ai propri interessi, oppure perché era l’opzione migliore fra quelle possibili. • motivazione di tipo strumentale: per raggiungere specifici obiettivi come nel caso degli studenti Erasmus che vogliono seguire delle proprie discipline in un contesto diverso, ampliare i propri orizzonti accademici o come nel caso di chi lavora o cerca lavoro in Italia. • motivazione di tipo integrativa: molti di questi apprendenti in cerca di lavoro sono anche spinti ad una rapida e profonda integrazione nella società ospite; questo é il caso degli immigrati con progetto di inserimento stabile in Italia. • motivazioni estrinseche: la scelta di una scuola internazionale o bilingue, in cui alcune discipline sono impartite in italiano, può essere imposto dai genitori al bambino di madrelingua diversa. CARATTERISTICHE DELL’INPUT L’input a cui gli studenti di italiano L2 sono esposti in Italia é potenzialmente ricco a causa dei materiali didattici utilizzati in classe a cui fanno eco i testi (scritti, visivi, sonori e audiovisivi) dell’ambiente circostante. L’apprendimento dell’italiano L2 in Italia, sebbene inserito in un contesto formale, dovrebbe includere dunque una valorizzazione delle possibilità di interazione con il territorio, tenendo conto delle competenze e degli scopi degli apprendenti. E’ questo il caso delle dinamiche di FICCS (Full-Immersion: Culture, Content, Service) adottate dai docenti dei programmi di italiano per i gruppi di studenti delle università americane in Italia: qui oltre al percorso di studi, é prevista una profonda esperienza di pragmatica interculturale, basata sulla partecipazione degli studenti alla vita italiana attraverso l’ospitalità in famiglia, l’avvicinamento delle strutture sociali locali, le esperienze di volontariato, la rielaborazione personale dell’esperienza fatta (tramite la scrittura riflessiva). CARATTERISTICHE DELL’OUTPUT E TIPI DI INTERAZIONE La complessità e la varietà dell’input in cui sono esposti gli studenti di italiano L2 in Italia sono tali da rappresentare il contesto ideale in cui é possibile che si evolvano delle competenze linguistico- comunicative molto avanzate, anche in tempi di soggiorno relativamente brevi. Un contesto privilegiato in cui gli stranieri agiscono e comunicano in Italia é quello legato al tempo libero (turismo, sport, cultura, shopping, gastronomia). Un altro settore in cui gli apprendenti hanno ampie occasioni di output é quello relativo ai contesti formali e agli argomenti settoriali relativi al proprio ambito di interessi e attività (universitari, religiosi, lavoratori). Infine le maggiori occasioni di output sono offerte nei contesti informali e spontanei di interazione. 3. L’italiano lingua d’origine La fortuna internazionale dell’italiano é infatti dovuta non solo all’interesse di natura intellettuale e colta che fin dal 500 ha costituito una motivazione allo studio della nostra lingua, ma anche ai riflessi dell’emigrazione italiana in altri paesi. Tra il pubblico che frequenta corsi di lingua italiana all’estero troviamo oriundi italiani per i quali l’apprendimento si realizza nella prospettiva di quello della lingua d’origine: si tratta di apprendenti di diverse fasce d’età che studiano italiano per migliorare la propria competenza o, nei casi in cui questa sia assente o molto ridotta, per attuare attraverso la lingua il recupero delle proprie origini familiari e culturali. Inoltre, non per tutti questi apprendenti l’italiano é la lingua della socializzazione primaria e la competenza é generalmente circoscritta ad alcuni domini d’uso. DOMINIO: sfera di azione o area di interessa sociale, nell’ambito della quale si realizzano situazioni comunicative che presentano delle regolarità. 7 8. adolescenti e bambini che frequentano scuole italiane all’estero; 9. adolescenti e bambini che frequentano i corsi di Lingua e cultura Italiana, finanziati dal MAECI; 10. adolescenti e bambini che seguono corsi offerti dagli IIC, dai comitati della Società Dante Alighieri o da scuole private. MOTIVAZIONI E BISOGNI DI APPRENDIMENTO • motivazioni identitarie: il recupero delle proprie radici culturali e linguistiche é un’esigenza che emerge a seguito del processo di ridefinizione a cui é sottoposta l’identità individuale e sociale nell’esperienza migratoria; • motivazioni strumentali: legate alla spendibilità delle competenze acquisite, possono muovere l’adulto e il giovane di origine italiana allo studio della lingua dei suoi progenitori; • ulteriori motivazioni: globalizzazione dei mercati, riduzione delle frontiere e della politica linguistica europea che valorizza la competenza multipla dei discendenti di oriundi italiani; NB: non si può contare su una solida motivazione all’apprendimento nell’insegnamento ai profili di utenti compresi nella fascia d’età dei bambini e degli adolescenti. In alcuni casi questi non desiderano affatto frequentare il corso di lingua italiana, perché lo studio della lingua di origine evidenzia la loro appartenenza a un gruppo socialmente minoritario e non ne colgono il valore strumentale ed educativo. Sono i genitori che, spinti dal desiderio di trasmettere ai figli il proprio patrimonio linguistico e culturale, iscrivono i giovanissimi utenti ai corsi di lingua italiana. Obiettivo primario dell’azione didattica rivolta a queste tipologie di utenti sarà quindi la promozione di una motivazione intrinseca, cioè basata sul piacere di frequentare il corso. CARATTERISTICHE DELL’INPUT In relazione ai diversi contesti di emigrazione italiana all’estero, lo sviluppo della competenza nella lingua di origine può essere realizzato in situazione prevalente di: -apprendimento guidato: qui l’input essendo principalmente fornito in ambiente formale, vi é il rischio che questo risulti ristretto e poco variato, che non favorisca la presentazione di più modalità espressive e lo sviluppo di tutte le abilità linguistiche. Questo problema può essere ovviato facendo ricorso a sussidi didattici come il lettore di CD-Rom audio, il lettore DVD, il PC e il laboratorio linguistico. -apprendimento misto: quando il corso ha luogo in un paese dove l’italiano mantiene lo status di lingua familiare e della comunità etnica; in questo caso l’esposizione ad un input selezionato, graduato e relativo a varietà vicine allo standard si alterna con quella a varietà substandard e diatopiche, utilizzate nella comunicazione quotidiana e interferite dal contatto linguistico con la lingua del paese ospite. DIATOPICHE: sono le varietà regionali dell’italiano e i dialetti locali. Nei paesi in cui é possibile mantenere contatti frequenti con la madrepatria e facilmente raggiungibili dai mezzi di comunicazione di massa di lingua italiana, l’esposizione dell’apprendente non si limita alle varietà diatopiche e substandard, ma si estende all’italiano neostandard e all’italiano colloquiale, diffusi soprattutto attraverso la televisione e la radio. ITALIANO NEOSTANDARD: dall’Unità d’Italia agli anni 70 del XX secolo una nuova massa di persone, prevalentemente dialettofona, si é avvicinata alla lingua nazionale; l’acquisizione dell’italofonia ha condotto a un allontanamento negli usi comuni dell’italiano normativo, dando origine a una nuova varietà, definita italiano neostandard. ITALIANO COLLOQUIALE: varietà orale impiegata dai parlanti, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza; si tratta della lingua che usiamo nel parlato dialogico quotidiano, in situazioni informali, non impegnative. Per quanto riguarda i sussidi attraverso i quali viene più spesso realizzata la presentazione dell’input in ambiente formale, cioè i libri di testo, i materiali impiegati sono quelli comunemente usati per l’insegnamento dell’italiano LS o L2. 10 CARATTERISTICHE DELL’OUTPUT E TIPI DI INTERAZIONE • In ambiente formale: maggiori opportunità sono offerte allo sviluppo della produzione scritta, che può essere più facilmente esercitata e monitorata, mentre lo spazio dedicato all’interazione dialogica dipende molto da come l’insegnante organizza le attività; pertanto nell’apprendimento guidato le occasioni di output sono fortemente condizionate dall’approccio scelto dal docente. Un ausilio può essere ottenuto dal ricorso a mezzi tecnici. • In ambiente misto: gli apprendenti possono trarre vantaggio dalle opportunità che si presentano fuori dalla classe per utilizzare la lingua italiana (le occasioni di incontro con i membri della comunità dovute alle ricorrenze italiane, che molti connazionali continuano a festeggiare all’estero) Avere a disposizione più codici per la comunicazione comporta la realizzazione di produzioni mistilingue o code mixing, e una commutazione di codice o code switching, cioè l’uso alternato delle due lingue. NB: La mescolanza di codici nel parlare bilingue é stata spesso oggetto di giudizi negativi e di rifiuto. Si é parlato spesso di semilinguismo o bilinguismo fallito, per cui la lingua di origine non é più pienamente dominata e la lingua del paese ospite non é posseduta a un livello soddisfacente di padronanza. Alla base del concetto di semilinguismo si colloca una concezione purista della lingua, che non considera la variazione degli usi linguistici in funzione dei contesti e dei bisogni degli utenti. Ma la lingua non é un sistema omogeneo; il parlante che possiede una competenza multipla non mescola i codici per l’incapacità di tenerli distinti e di evitarne la sovrapposizione, ma attinge, nella realizzazione dell’output, dall’insieme delle possibilità espressive a propria disposizione, scegliendo se usare una lingua o l’altra o di ricorrere all’uso alternato dei due sistemi, in relazione agli interlocutori e alle circostanze della comunicazione. Le componenti della competenza multipla dell’allievo, che danno origine a diversi tipi di output, possono dunque offrire occasioni per il confronto interlinguistico e per promuovere attività sulla lingua che favoriscano il realizzarsi dell’apprendimento nel quadro dell’educazione linguistica. 4. L’italiano lingua di contatto Con tale denominazione ci si riferisce all’italiano insegnato e appreso dai figli di cittadini immigrati in Italia e si mira a porre in evidenza la natura composita della competenza individuale di questa tipologia di apprendenti, che comprende l’italiano e la lingua d’origine. Per i giovanissimi cittadini italiani di famiglia straniera o mista, l’italiano entra nella coscienza e nell’ identità linguistica a costituire un continuum con altri idiomi: la lingua dell’ambiente familiare, i dialetti. In questo contesto l’italiano contribuisce a creare un ambiente di contatto e di confine che rende possibili intricate sovrapposizioni, scambi, interferenze che costituiscono le risorse espressive e di identità dei soggetti. In tale visione, il contatto, l’interferenza, il miscuglio sono visti come elementi positivi, fonti di ricchezza identitaria ed espressivo-comunicativa. GLI ALUNNI STRANIERI E LA METAMORFOSI DELLA SCUOLA L’inserimento degli alunni stranieri ha avuto un forte impatto sulla scuola italiana, trasformandola in breve tempo in un ambiente multietnico, multiculturale e plurilinguistico. Con l’intensificarsi dei flussi migratori, delle nascite di figli di cittadini stranieri o da matrimoni misti, anche la composizione della popolazione scolastica italiana é profondamente cambiata. Gli alunni stranieri iscritti nelle scuole italiane provengono da circa 200 paesi, tra i quali risultano prevalenti quelli europei. Tra le cittadinanza più rappresentate troviamo quella romena, aumentata significativamente dopo l’ingresso della Romania nell’UE e quella albanese, marocchina e cinese. Si aggiungono poi gli alunni definiti “nomadi”, di etnia rom che si concentrano prevalentemente nella scuola primaria (parlano una lingua orale indoeuropea, il romané, comprende molte varietà e solo da qualche decennio possiede una codificazione scritta, non ancora unificata. 11 I PROFILI DI APPRENDENTI DI ITALIANO COME LINGUA DI CONTATTO 1. Bambini e adolescenti nati all’estero, che giungono in Italia con la loro famiglia o da soli per ricongiungersi ai propri genitori, precedentemente immigrati. Vi sono alcuni fattori che influiscono sull’acquisizione dell’italiano da parte di questi appredenti: -l’epoca dell’arrivo nel nostro paese: chi é arrivato nella prima infanzia ed entra precocemente nel sistema scolastico italiano ha maggiori opportunità di apprendimento perché si può imparare la lingua senza dover conseguire obiettivi complessi come chi arriva invece più tardi, nella fase scolastica dell’obbligo. -fattori facilitanti come frequenti contatti con coetanei italiani nello svolgimento di attività ludiche o sportive extrascolastiche oppure condizioni che favoriscono l’uso della lingua d’origine, come una rete familiare estesa o una comunità consistente che, viceversa, riducono le occasioni di esposizione e di impiego della lingua italiana. -distanza tra lingua e cultura d’origine e l’italiano: i bambini parlanti di lingue tipologicamente lontane, come il cinese, sono più disorientati e incontrano maggiori difficoltà di bambini che hanno come lingua madre un idioma neolatino quale lo spagnolo o il romeno. NB: Le lingue possono essere classificate in base alla loro appartenenza a un tipo strutturale; considerando la composizione della parola in morfemi, si individuano 4 tipi principali: 1. lingue isolanti: morfologia molto ridotta o assente (cinese); 2. lingue agglutinanti: in cui la parola consiste in più morfemi, con confini netti, ognuno dei quali porta una sola informazione grammaticale (turco, swahili); 3. lingue flessive o fusive: in cui la parola é formata da una radice lessicale alla quale si aggiungono uno o più morfemi con confini meno netti e più funzioni grammaticali (italiano, russo); 4. lingue polisintetiche: in cui é possibile combinare un elevato numero di radici lessicali e morfemi grammaticali in una sola parola, che può corrispondere ad una frase italiana (groenlandese); 2. Minori adottati dopo la prima infanzia attraverso procedure internazionali: questa tipologia oltre a sperimentare le difficoltà di apprendimento e adattamento già descritte per gli alunni stranieri, affronta quelle affettive derivate dalle dinamiche di accoglienza in una nuova famiglia. 3. Bambini e adolescenti nati in Italia da genitori stranieri: questi possono avere una competenza molto variabile dell’italiano. Alcuni hanno già frequentato dal nido bambini nativi e parlano con fratelli maggiori non solo la lingua della famiglia ma anche l’italiano, sviluppando precocemente un elevato grado di bilinguismo. Altri invece hanno una competenza plurilingue che comprende, oltre all’italiano, più varietà della lingua d’origine o lingue di colonizzazione. Una minoranza infine ha mantenuto la sola lingua d’origine come lingua della comunicazione familiare e delle relazioni sociali, iniziando ad apprendere l’italiano solo con l’ingresso a scuola. 4. Bambini e adolescenti figli di matrimoni misti, in cui uno dei due genitori é italiano: anche questi come i precedenti apprendenti possono possedere vari livelli di competenza linguistica. 5. Bambini e adolescenti nomadi, di nazionalità sia italiana che straniera. In questo caso si aggiunge la distanza tra una cultura a trasmissione orale come quella dei rom e una cultura scritta come quella occidentale. 6. minori stranieri non accompagnati, cioè privi di un adulto legalmente responsabile di riferimento (prevalentemente adolescenti): provenenti per lo più da Egitto, Eritrea, Albania, Somalia e Gambia, che lasciano i loro paesi per trovare lavoro in Italia, a volta spinti dagli stessi genitori. Dato che la legislazione italiana non prevede l’espulsione di minori, questi possono ottenere il permesso di soggiorno e rimanere in Italia fino al raggiungimento della maggiore età. La maggioranza vive in strutture di accoglienza, dove iniziano percorsi di integrazione che prevedono, a seconda dell’età, corsi di lingua italiana, l’iscrizione a scuola o a corsi di formazione professionali. 12 -dalla frequenza: più un enunciato é pronunciato tanto più é probabile che si consolidi un’abitudine; -dal rinforzo: il feedback che l’apprendente riceve dall’ambiente quando realizza una risposta a seguito di uno stimolo; Es: un bambino impara a parlare perché imita l’uso di una parola, per esempio “pappa” per riferirsi al cibo. Questa associazione é rinforzata dalle reazioni dei genitori e l’acquisizione della parola é favorita dalla frequenza con cui é associata allo stimolo. Dato che apprendere significa sviluppare abitudini sensomotorie, l’insieme di quelle acquisite imparando la lingua madre può costituire una fonte di interferenza. Questa é tanto più probabile, quanto più L1 ed L2 divergono sul piano strutturale nell’espressione dello stesso significato. Es: nel seguente caso uno studente inglese ha molte più probabilità di produrre una frase errata imparando l’italiano rispetto ad uno studente tedesco: -I am hungry -Ich habe Hunger (possibilità strutturalmente isomorfa alla frase italiana) -Io ho fame L’interferenza é dunque una fonte potenziale di errore, che si verifica quando la lingua madre e la lingua straniera presentano differenze strutturali, poiché il discente é indotto a trasferire le proprie abitudini linguistiche alla lingua che sta apprendendo. Quando invece le due lingue presentano analogie strutturali il transfer ha esito positivo. 2. Cognitivismo La teoria comportamentarista, concependo la competenza linguistica come un comportamento appreso con l’imitazione e la pratica, riesce a dare solo una descrizione parziale del complesso processo di apprendimento linguistico che, come afferma Chomsky, non può essere ridotto alla mera formazione di abitudini. Secondo questo autore, l’apprendimento é il risultato di un processo mentale creativo dovuto alla predisposizione, specificamente umana a imparare una lingua. Un meccanismo innato di acquisizione (da lui definito Language Acquisition Device), consente infatti all’individuo di formulare ipotesi sul funzionamento del sistema linguistico e di verificarle, operando un confronto con l’input ottenuto dall’ambiente. Nel modello chomskiano, gli influssi ambientali rivestono importanza solo come insieme di opportunità offerte all’apprendimento, che si verifica perché i dati linguistici vengono messi in relazione agli universali, che costituiscono la grammatica universale (GU). Mettendo a confronto le due teorie, é possibile concludere che nella prima (comportamentarismo), il discente apprende l’insieme di strutture che gli vengono presentate e su cui può fare pratica; il cognitivismo mentale invece prevede un’elaborazione dei dati in input da parte del dispositivo mentale innato (LAD), dando come esito dell’apprendimento la conoscenza implicita di un sistema di regole linguistico. L’input a cui l’apprendente é esposto differisce quindi dall’intake, ovvero da ciò che viene ritenuto dalla memoria a lungo termine come risultato dei processi di elaborazione attivati dal LAD. L’ERRORE LINGUISTICO E LO SVILUPPO DELL’ INTERLINGUA Nella prospettiva cognitivista l’errore muta e assume una nuova valenza. Da forma deviante, esito di un transfer negativo dalla lingua madre, l’errore diventa una manifestazione di apprendimento. Es. -vado: impiegato come forma non analizzata, sebbene corretta; -ando: sebbene costituisca una forma scorretta, segnala che sono in corso di acquisizione le regole di formazione del presente indicativo dei verbi della prima coniugazione. Si sviluppa così un filone di ricerca, l’analisi degli errori, che attraverso lo studio delle forme scorrette presenti nelle produzioni degli apprendenti, tenta di risalire al tipo di ipotesi formulate allo scopo di individuare i processi di apprendimento utilizzati e di descrivere le caratteristiche della competenza parziale della L2. 15 Dato che l’apprendimento di una lingua consiste in un processo di formazione di regole, in ogni stadio di tale processo l’apprendente possiede dunque una propria versione della grammatica della L2, cioè un sistema linguistico a sé stante, definito interlingua, che evolve a seguito dell’introduzione di nuove regole. L’evoluzione del continuum interlinguistico può arrestarsi e ipotesi scorrette continuano a governare l’esecuzione, questo processo di arresto é definito fossilizzazione, può essere considerato come una perdita della permeabilità dell’interlinea, che impedisce di raggiungere la competenza del parlante nativo. Negli anni 80 si sviluppa un’autonoma prospettiva di studio, la linguistica acquisizionale, per la quale diventa oggetto privilegiato di indagine l’apprendimento in contesto spontaneo di una L2. Le ricerche sull’apprendimento di alcune lingue, tra cui l’italiano hanno condotto all’individuazione di sequenze di acquisizione, relative ad alcuni sottoinsiemi del sistema linguistico, che descrivono il percorso naturale, seguito dall’apprendente per muoversi lungo il continuum linguistico di evoluzione. Una delle prime sequenze osservate per l’italiano riguarda l’acquisizione della morfologia verbale, che risulta articolata in 4 stadi: (Es.) 1. presente (3° pers. sing.) / infinito per esprimere presente, passato e futuro; 2. part. passato per esprimere il valore temporale di passato 3. imperfetto: emerge la distinzione tra passato imperfettivo (imperfetto) e perfettivo (reso con il pass. prossimo o senza ausiliare) 4. futuro > condizionale > imperativo > congiuntivo Le sequenza acquisizioni sono state messe in relazione al concetto di marcatezza. Si considerano marcate le forme linguistiche che sono meno frequenti, più complesse morfologicamente e meno versatili. LA PROCESSABILITA’ DELL’ INPUT La teoria della processabilità, proposta da Pienemann, prevede che in ogni stadio di sviluppo l’apprendente possa disporre di procedure di elaborazione cognitiva, che gli consentano di produrre e comprendere solo le forme linguistiche che é in grado di processare in quello stadio. Queste procedure sono acquisite gradualmente, secondo una gerarchia di processabilità in cui l’ordine é implicazionale, cioè ogni procedura costituisce un prerequisito per l’acquisizione di quella di livello successivo. 1. L’apprendente si limita a identificare i lemmi che vengono imparati senza essere analizzati. 2. Inizia l’analisi delle forme linguistiche e le parole vengono assegnate a categorie; la parola inizia a presentare marche morfologiche (plurale). 3. L’apprendente comincia ad assemblare le parole e a trovare accordi tra la testa e gli altri costituenti dei sintagmi (nomi+agg). 4. L’apprendente acquisisce le procedure per produrre proposizioni subordinate, potendole distinguere da quelle principali. Sebbene la gerarchia di processabilità descriva un percorso obbligato che l’apprendente deve seguire, rimane comunque una certa libertà d’azione. Una caratteristica essenziale dell’interlingua é infatti proprio la variabilità, in quanto cambia nel tempo, da individuo a individuo e anche nelle produzioni dello stesso apprendente. 3. Sociointerazionismo Da un certo punto di vista il cognitivismo non si distacca dal comportamentarismo perché entrambe le teorie considerano l’apprendimento linguistico come fenomeno intraorganico, che riguarda cioè il singolo individuo. Ma la comunicazione linguistica é un fatto interorganico e sociale, che consente l’interazione tra gli individui. Il sociointerazionismo considera l’acquisizione della lingua come il risultato degli sforzi collaborativi tra l’apprendente e i suoi interlocutori e della relazione dinamica che si stabilisce tra fattori esterni e meccanismi interni all’individuo. Nell’apprendimento di una lingua straniera, soprattutto in contesto spontaneo, l’apprendente impara la lingua come risultato della partecipazione alla comunicazione. 16 Nella conversazione tra parlante nativo e apprendente straniero l’input linguistico infatti caratterizzato da continui aggiustamenti, attuati in base al feedback fornito dall’apprendente, in modo da evitare intralci nella comunicazione. In altri termini, i due interlocutori si sforzano per superare le difficoltà derivanti dalle limitate risorse linguistiche dell’apprendente. Questa cooperazione che viene definita “negoziazione dei significati” dà origine a un input comprensibile in grado di promuovere l’apprendimento linguistico. 4. Second Language Acquisition Theory (SLAT) Questa teoria é stata formulata da Stephen Krashen e si fonda sull’asserzione che una L2 viene acquisita solo se vengono compresi messaggi e viene fornito un input comprensibile. La lingua che non può essere capita non può essere appresa. -L’input é ritenuto comprensibile quando si colloca al livello immediatamente successivo a quello raggiunto dall’apprendente nello sviluppo dell’interlingua. -L’input da proporre deve contenere elementi nuovi rispetto a quelli già noti e acquisiti dall’apprendente. -La comprensione di tali elementi é resa possibile dal contesto situazionale, dalla conoscenza del mondo e dalle info extralinguisitche che accompagnano il messaggio. -E’ compito quindi dell’insegnante selezionare l’input e attivare i processi necessari per renderlo comprensibile, in modo che si verifichi acquisizione e non solo apprendimento. Krashen considera il primo un processo consapevole e razionale, basato sulla memoria a medio termine, mentre l’acquisizione é un processo subconscio che agisce sulla memoria a lungo termine. Solo ciò che viene acquisito diventa intake, cioè entra a far parte stabilmente della competenza. L’acquisizione si verifica durante la comunicazione quando lo studente viene esposto a un input comprensibile e l’attenzione si concentra sul messaggio, mentre l’apprendimento ha luogo quando l’attenzione é focalizzata sulle forme linguistiche, cioè durante le spiegazioni e gli esercizi che hanno come oggetto la grammatica. La funzione principale che Krashen riconosce all’apprendimento é quella di monitor, ovvero la funzione di controllo della forma; affinché esso venga attivato l’apprendente deve conoscere la regola e focalizzare l’attenzione sulla forma e non sul contenuto, applicando la regola ed elaborando i dati e le conoscenze possedute nel tempo opportuno. Per Krashen la sfera affettiva svolge un ruolo rilevante nell’acquisizione. Egli ipotizza l’esistenza di un filtro affettivo, cioè di stati emozionali che possono intervenire nell’elaborazione dell’input impedendo che diventi intake. Perché si verifichi l’acquisizione non basta quindi che l’input sia comprensibile, ma é necessario che non venga attivato il filtro affettivo. La sua attivazione é legata a fattori definiti “personali” perché legati al singolo apprendente, come ansia demoralizzante, rapporto competitivo con la classe, blocchi mentali.. 5. Il Costruttivismo Esso considera la conoscenza come il risultato di una costruzione attiva del soggetto, socialmente negoziata e condivisa. Questo quadro teorico conferisce centralità al discente nel processo di insegnamento-apprendimento e si fonda sul presupposto che il risultato dell’apprendimento sia la conoscenza costruita attivamente dall’apprendente, che integra nuove conoscenze a quelle già acquisite. Si é giunti quindi alla conoscenza come risultato di una “negoziazione interna”, basata sulla revisione e sul modellamento di strutture mentali, e di una “negoziazione sociale”, attraverso cui si condividono con altri individui l’esplorazione e l’attivazione di processi di negoziazione interna. La conoscenza ha inoltre un carattere situato, cioè è strettamente connessa alla situazione in cui ha luogo l’apprendimento. Infine la costruzione della conoscenza deriva dalla collaborazione e negoziazione sociale fra pari, favorita, in un contesto didattico, dal docente che svolge il ruolo di mentore. Il costruttivismo ha dato vita a una serie di soluzioni basate sull’allestimento di ambienti formativi, i cui presupposti comuni sono costituiti da: -enfasi sulla costruzione della conoscenza piuttosto che sulla riproduzione del sapere; -incremento della motivazione e dell’interattività; -presentazione di compiti autentici, connessi al mondo reale; -partecipazione del discente alla selezione dei contenuti; 17 1. conoscenza non analizzata: a questo livello gli elementi linguistici vengono passivamente memorizzati come blocchi unici, di cui non si colgono il valore e la funzione nel sistema; 2. conoscenza analizzata: gli elementi linguistici sono analizzati nei loro componenti e il soggetto é in grado di coglierne il valore e la funzione nel sistema, ma la conoscenza é ancora implicita; 3. piena consapevolezza: data dalla capacità di riconoscere le regole negli elementi linguistici e di verbalizzarle; ha sviluppato una conoscenza procedurale ma non necessariamente quello studente é in grado di verbalizzare una regola. A un apprendente di italiano L2 possono essere sufficienti la consapevolezza procedurale e una parziale conoscenza dichiarativa delle regole della lingua che sta apprendendo; a un aspirante docente di italiano L2 occorre invece elaborare la piena consapevolezza. LE GRAMMATICHE: TIPOLOGIE, SCOPI E DESTINATARI Il termine “grammatica”, che deriva dal greco grammatiké tékne, ossia “arte, tecnica della scrittura”, sviluppò già in età classica il significato più esteso di “insieme di regole che governano l’uso corretto della lingua” (intesa per lo più come lingua scritta). Attualmente il termine é usato in due accezioni: può indicare un oggetto, il libro di grammatica, che contiene una descrizione delle regole di una lingua, oppure può designare il sistema astratto di regole che é alla base del funzionamento di una lingua, indipendentemente dal fatto che qualcuno abbia pensato di trasferirle in un libro. Classificazione delle grammatiche sincroniche di una lingua, con particolare riferimento all’italiano: 1. grammatiche teoriche: cercano di descrivere e in alcuni casi di spiegare i fatti linguistici alla luce di una teoria di riferimento; si tratta di opere destinate agli specialisti (linguisti), di solito non esaustive e di conseguenza fanno parte degli strumenti di lavoro del docente di lingua. 2. grammatiche descrittive: descrivono compiutamente una lingua per mezzo di una o più teorie (in questo caso la teoria é lo strumento, non il fine, dell’analisi dei fatti linguistici); sono strumenti di consultazione per il linguista, per il lettore non specialista e costituiscono strumenti di consultazione indispensabili per un docente di italiano L1 ed L2. 3. grammatiche didattiche o pedagogiche: hanno lo scopo di facilitare l’apprendimento di una lingua; caratteristiche di questo genere di grammatiche sono la non esaustività, ovvero una selezione preliminare dei fatti linguistici oggetto di analisi in relazione ai bisogni del destinatario e l’ecletticità, ovvero la libertà dell’autore di attingere a più teorie; i principali destinatari sono pertanto apprendenti L1 ed L2. Le grammatiche di italiano per stranieri rispetto alla classificazione da noi operata, condividono alcune caratteristiche delle grammatiche descrittive e altre delle grammatiche didattiche. Quali sono o dovrebbero essere le caratteristiche di una grammatica di italiano per stranieri? (GIS) • Dovrebbe rinunciare il più possibile alle nozioni di grammatica generale; questa scelta consente di sfoltire vigorosamente l’apparato di tecnicismi e di aumentare la leggibilità del testo. Solo alcune di queste nozioni sono effettivamente utili all’apprendente per individuare delle regolarità nella lingua. • Non dovrebbe dare nulla per scontato. Non potendo contare su una piena competenza del lettore, l’autore deve fornire spiegazioni a volte minuziose forse superflue per il lettore madrelingua. • l’approccio di una GIS dovrebbe variare a seconda del tipo di fenomeni trattati. In una lingua infatti, é possibile individuare settori caratterizzati da regole rigide e non negoziabili (fonologia, ortografia, morfologia) e altri in cui l’utente si muove entro una regolarità meno rigida, che consente di scegliere tra un ventaglio di opzioni quelle più adatte al contesto e alle proprie intenzioni comunicative. Di conseguenza, nei capitoli dedicati ai settori più vincolanti sarebbe opportuno che una GIS mirasse al massimo grado di analiticità, nei capitoli dedicati alla sintassi della frase e del periodo, dovrebbe rinunciare all’esaustività e adottare un approccio nozionale e sociopragmatico. 20 NEI PANNI DELL’APPRENDENTE Premessa: pur imparando a memoria la grammatica di una lingua, non se ne acquisisce ipso facto la competenza d’uso. La regola proposta sui libri (grammatica di carta) segue un tragitto radicalmente diverso da quello dell’apprendente nel suo percorso di scoperta della regola (grammatica mentale). Come si é già detto, lo sviluppo dell’interlingua é fondamentalmente il risultato di un processo di elaborazione dell’input e della sua progressiva trasformazione in regole. Per capire come si sviluppi la grammatica mentale occorre calarsi nel panni dell’apprendente e analizzare più da vicino in che modo riesca a trasformare l’input in regole. Immaginiamo che il nostro ipotetico apprendente abbia come L1 una lingua tipologicamente molto distante dall’italiano. In tali condizioni, la L2 con cui l’apprendente si confronta é sostanzialmente un flusso indistinto di suoni. Lo sviluppo dell’interlingua é descrivibile come un graduale percorso di trasformazione di questo flusso indistinto in unità discrete. Egli, superata questa prima fase, compie un lungo lavorio di analisi dell’input per giungere alla trasformazione dei mattoni (chunks) lessicali in unità discrete, attribuendo loro un valore via via più simile a quello della lingua target. Il lavoro dell’apprendente parte dall’input per arrivare a creare dei paradigmi, mentre la regola grammaticale parte dalla descrizione del paradigma per poi verificare la tenuta della regola nell’input. Per l’apprendente la formazione di un paradigma, cioè di uno schema di flessione, é il punto di arrivo di un lungo processo di elaborazione, mentre nella grammatica il paradigma é la prima informazione offerta all’utente. (Esempio): proviamo a simulare il suo percorso di scoperta della classe morfologica dotata di maggiore variabilità, il verbo. Che tra le classi morfologiche il verbo sia quella soggetta a maggiore variabilità colpisce ancora di più gli apprendenti di lingue isolanti, come i cinesi, che non sono abituati al fatto che su un medesimo morfema ricadano più valori (persona, numero, tempo, modo, aspetto..). Con maggiore o minore fatica a seconda della distanza tipologica della L1, il nostro apprendente grazie all’elaborazione dell’input, scopre gradualmente alcune cose, ad esempio che il verbo italiano é una categoria variabile, che alla variabilità sono associabili molteplici funzioni e che l’informazione lessicale é a sinistra e quella grammaticale a destra. A un certo punto si accorge che esistono forme verbali semplici, formate da una sola parola e forme verbali composte, formate da 2 o più parole; in questo caso deve riformulare la regola precedentemente individuata integrandola con un altra: nei verbi composti la maggiore quantità di informazione morfologica non é a destra della forma verbale ma a destra del primo componente. Il percorso di scoperta delle regole fin qui esaminato si accompagna all’elaborazione di strategie di apprendimento utili per ricondurre a regole provvisorie ciò che l’apprendente ha metabolizzato dell’input; le principali strategie sono: -la lessicalizzazione: attraverso la quale si usa il lessico per fornire l’informazione sul tempo verbale che non si é per il momento in grado di gestire morfologicamente (anno passato faccio lavoro ristorante). -la sovraestensione di paradigmi (corruto, venito..). -l’evitamento, cioè la cancellazione provvisoria di elementi strutturalmente difficili (omissione dell’ausiliare nel passato prossimo). -l’elaborazione autonoma ovvero forme ed espressioni prodotte dagli apprendenti che non possono essere state ascoltate in precedenza in quanto assenti dagl’input (sono andatiamo - siamo andati), in cui l’ausiliare é in forma non analizzata e le informazioni personali e temporali sono apposte alla forma lessicale invece che all’ausiliare. Il buon insegnamento ha il compito di accelerare lo sviluppo dell’interlingua e di aiutare a trasformare più efficacemente l’input in intake. Il discorso fatto fin qui ha di fatto evidenziato un problema, e cioè che il paradigma che nella grammatica cartacea é il punto di partenza, per l’apprendente é il punto di arrivo di un percorso di scoperta. 21 METODO DEDUTTIVO E INDUTTIVO L’insegnamento può avvenire tramite un percorso induttivo o deduttivo. L’insegnamento tradizionale avviene secondo un percorso deduttivo, che va dal generale al particolare e prevede grosso modo le seguenti fasi: presentazione della regola da parte dell’insegnante, memorizzazione della regola, verifica della validità della regola e degli eventuali martini di applicabilità della stessa (le eccezioni) attraverso lo svolgimento di opportuni esercizi. A seguito del dibattito sul rinnovamento della pedagogia linguistica avviatosi in Italia alla metà degli anni 70 del 900, anche nella didattica dell’italiano si sono proposte sperimentazioni volte a impostare l’insegnamento tramite un procedimento induttivo, che vada cioè dal particolare (parole, frasi, testi) al generale (le regole). Il procedimento induttivo offre degli indubbi vantaggi: • l’apprendente assume un ruolo attivo nel percorso didattico. • le regole individuate sono più facilmente memorizzabili. • stimola l’attitudine all’osservazione, alla scoperta di regolarità, alla capacità di formulare ipotesi. • attiva quelle strategie autonome di apprendimento utili in generale e nello specifico per l’apprendimento delle lingue straniere. • crea nell’ambiente della classe una condizione più simile a quella dell’apprendimento spontaneo in quanto i dati (l’input) precedono l’elaborazione delle ipotesi e l’individuazione delle regole. Pur con innegabili vantaggi, il percorso induttivo non é tuttavia applicabile a 360 gradi nell’insegnamento. Per esempio può essere difficoltoso lavorare con bambini che per la loro età non siano ancora pronti ad affrontare l’osservazione e la riflessione su alcuni fatti linguistici. Per ragioni diverse, il percorso di scoperta delle regole può dare scarsi risultati con gruppi di apprendenti adulti che per abitudini pregresse, stili di apprendimento e motivazioni allo studio della lingua siano poco disponibili ad affrontare percorsi di riflessione “attiva”. Inoltre il metodo induttivo non é estendibile a tutta l’attività di riflessione metalinguistica. Tutta la morfologia flessiva quanto quella lessicale sono terreni di sperimentazione piuttosto fecondi, perché gli elementi linguistici portatori di significato (un morfema, un suffisso) sono individuabili abbastanza agevolmente e perché spesso esiste una relazione chiara tra forma e significato. GRAMMATICA, METODO D’INSEGNAMENTO, CARATTERISTICHE DELL’APPRENDENTE Un primo colpo alla centralità della grammatica fu inferto sul finire dell’800 dalla diffusione del metodo naturale e dei metodi diretti, che si basavano sul primato della lingua parlata e della comunicazione, escludendo di fatto la riflessione sulle forme linguistiche. Una riaffermazione su basi rinnovate del ruolo della grammatica si ebbe con i tentativi di applicare alla didattica i principi della linguistica contrastiva, secondo cui, si possono enucleare aree di sovrapponibilità, che generano un transfer positivo e facilitano l’apprendimento, e aree di diversità, che generano un transfer negativo e sono di ostacolo all’apprendimento. Le più recenti tendenze della linguistica educativa sottolineano l’importanza di sviluppare nell’utente la capacità di attivare strategie autonome di apprendimento e l’opportunità di stimolare una riflessione metacomunicativa diffusa. Può essere utile riflettere sul diverso peso specifico della riflessione metalinguistica in relazione alle caratteristiche dell’apprendente (stile di apprendimento, età, livello, grado di istruzione, abilità, registro, bisogni) e altre variabili legate al contesto di apprendimento. Lo stile di apprendimento gioca sicuramente un ruolo fondamentale. Un apprendente con prevalente stile analitico può essere facilitato da un insegnamento deduttivo. Concludendo, la riflessione grammaticale risulta più utile nell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera. In tale contesto, a differenza di quanto avviene per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda, il docente é costretto a comprimere la propria attività in poche ore settimanali, senza poter contare sull’ausilio offerte dall’immersione degli apprendenti nel contesto comunicativo appropriato al di fuori dell’ambiente scolastico. 22 -C1: Efficacia -C2: Padronanza Come si può notare, i descrittori sono formulati in termini di competenze e abilità dell’apprendente (sa, é in grado di, riesce a) e derivano dall’interazione tra le abilità primarie (dimensione della ricezione e produzione) e le situazioni comunicative e i relativi domini. Per gli scopi generali dell’apprendimento nel QCER sono individuati 4 domini fondamentali: 1. dominio personale, in cui l’individuo vive come soggetto privato; 2. dominio pubblico, in cui agisce come membro della società; 3. dominio professionale, in cui é impegnato nel lavoro; 4. dominio educativo, in cui é impegnato in attività di apprendimento organizzato. MODELLI DI COMPETENZA LINGUISTICA Nella figura che rappresenta l’evoluzione della nozione di competenza linguistica i tre modelli sono immaginati come sottoinsiemi inclusivi e interdipendenti: • Competenza grammaticale: sapere una lingua equivale a conoscerne la grammatica • Competenza comunicativa: sapere una lingua equivale a padroneggiare le 4 abilità fondamentali e saper fare scelte linguistiche in relazione agli obiettivi e alle circostanze della comunicazione • Competenza culturale (Prospettiva QCER): include le competenze linguistiche e le competenze generali; alla base vi é un nesso inscindibile tra lingua e cultura in quanto non si ha competenza linguistica senza conoscenza del mondo. LA COMPETENZA FONOLOGICO-ORTOGRAFICA I descrittori della competenza fonologica del QCER fanno riferimento ai parametri della comprensibilità da parte dei parlanti nativi e della naturalezza della pronuncia. Le attività per il rinforzo della competenza fonologica e prosodica si basano principalmente sull’ascolto e sul riconoscimento di coppie di parole o brevi frasi scelte per richiamare l’attenzione su specifici suoni, accenti, intonazioni. Ne deriva la necessità di disporre in aula di sussidi tecnologici. La componente prosodica é di solito piuttosto trascurata, anche nell’educazione linguistica in italiano L2. In quest’ambito il docente di italiano L2 dovrà curare la distinzione fra le 3 tonie fondamentali (conclusiva, sospensiva, interrogativa) e la padronanza prima passiva poi attiva delle principali tonie enfatiche (di gioia, rabbia, sorpresa, perplessità). Per quanto riguarda l’accento, curerà la capacità dell’apprendente di utilizzare in modo appropriato la corretta collocazione dell’accento fonetico, le caratteristiche e i contesti d’uso dell’accento enfatico e l’accento ortografico. Della competenza ortografica fanno parte anche le regole relative alla punteggiatura, alle abbreviazioni più diffuse e ai simboli grafici di più largo impiego. LA COMPETENZA GRAMMATICALE Il dominio della grammatica per il QCER viene a coincidere in buona sostanza con la morfologia e la sintassi, ossia con le risorse di cui una lingua dispone per formare le parole, per variarne alcuni tratti, per combinare le parole in sintagmi e frasi. I descrittori della correttezza grammaticale, distinguono tra la capacità dell’apprendente di dominare un repertorio memorizzato di frasi e formule - caratteristico delle competenze iniziali - e il loro graduale trasformarsi in conoscenze sistematiche. Si utilizza inoltre come criterio dirimente la frequenza delle strutture apprese, la capacità di farsi comprendere. A fare la differenza tra efficacia (C1) e padronanza (C2) é la capacità di controllo grammaticale della propria produzione, indipendente dalle situazioni e dal livello di stress comunicativo. SELEZIONE E PROGRESSIONE DEI CONTENUTI GRAMMATICALI Gli autori del QCER ammettono che il problema della progressione delle conoscenze grammaticali non é affrontabile in una prospettiva generale. Il compito del docente é però semplificato dalla recente pubblicazione di sillabi direttamente o indirettamente riconducibili all’esperienza di istituzioni che si occupano di insegnamento e di certificazione dell’italiano L2. Alcune coordinate per la costruzione di un sillabo sono le seguenti: 25 • l’ordine di presentazione delle strutture dev’essere correlato agli obiettivi comunicativi e funzionali. • Occorre costruire un sillabo a spirale, che dia la possibilità di ritornare in momenti diversi su differenti aspetti delle medesime strutture. • E’ necessario armonizzare le tappe dell’apprendimento formale a quelle dell’apprendimento spontaneo. • Eventuali dissimmetrie tra ordine di acquisizione naturale e sequenza nel sillabo possono verificarsi nel caso in cui si debba fornire agli apprendenti strutture complesse che per la loro rilevanza funzionale siano necessarie in una fase precoce del corso. (Es. In quasi tutti i manuali per principianti una delle prime unità ha come obiettivo l’atto comunicativo del presentarsi. La realizzazione linguistica di tale atto richiede la coniugazione dei verbi pronominali (io mi chiamo), che in italiano é piuttosto complessa; in questo caso si presenta la struttura come elemento unico, da memorizzare, come se si trattasse di un’unità lessicale, riservando a una fase successiva l’analisi delle sue componenti. TECNICHE DIDATTICHE PER LO SVILUPPO DELLA COMPETENZA GRAMMATICALE Più utile di una classificazione formale degli esercizi per “fare grammatica” sembra essere una loro suddivisione su base funzionale. Le funzioni degli esercizi per la riflessione grammaticale sono 4 e a ciascuna posso essere abbinate specifiche attività: 1. scoprire le regole: riguarda solo i docenti intenzionati a utilizzare il metodo induttivo. 2. verificare i limiti di applicabilità di una regola: sono utili in questo caso sia esercizi a scelta multipla sia esercizi di sostituzione e di completamento. 3. interiorizzare le regole: si può ricorrere ai pattern drill portati in auge dal metodo comportamentarista perché permettono la fissazione della regola come abitudine automatica e riflessa. 4. riutilizzare le regole in fase produttiva: in questo caso il docente deve lavorare principalmente con esercizi di produzione guidata, orale e scritta. LA COMPETENZA LESSICALE Negli studi linguistici il lessico é spesso stato considerato un livello di analisi un pò esterno rispetto al “cuore” della grammatica, individuato nelle strutture morfosintattiche. Nelle recenti tendenze della linguistica educativa si arriva però a superare questa contrapposizione tra insegnamento della grammatica e insegnamento del lessico. Se si pensa alla competenza lessicale come capacità di padroneggiare le combinazioni di parole, i due piano si integrano vicendevolmente. Il linguaggio pertanto consiste in lessico grammaticalizzato. Inoltre, gli studi acquisizioni hanno mostrato che nello stadio iniziale del processo di apprendimento spontaneo di una lingua si evidenzia la primarietà della componente lessicale, in quanto l’apprendente tende a processare tutto l’input a lui comprensibile come lista di elementi lessicali inanalizzati. Nel Lexical Approach si insiste sull’importanza dei chunks (pezzi) lessicali, veri e propri mattoni attraverso i quali edifichiamo la nostra competenza linguistica. I mattoni lessicali possono avere differenti dimensioni, dalla singola parola a espressioni fisse o idiomatiche. I due parametri fondamentali individuati nel QCER per valutare la competenza lessicale sono l’ampiezza (aspetto quantitativo) e la padronanza (aspetto qualitativo). La competenza di una parola include anche altre proprietà di: -tipo semantico (le varie accezioni, gli usi figurati, gli usi connotativi, le relazioni di significato con altre parole) -di tipo morfologico-derivativo (la capacità di creare le parole derivate da una parola di base) -di tipo sintattico (il verbo regalare richiede 3 argomenti, un soggetto, un oggetto e un oggetto indiretto) Per quanto riguarda le tecniche didattiche per lo sviluppo della competenza lessicale, il problema essenziale é quello della fissazione mnemonica, che é agevolata dalla contestualizzazione delle unità lessicali. LA COMPETENZA SOCIOLINGUISTICA Consiste nella capacità di gestire la comunicazione in relazione alla dimensione sociale, quindi manifesta l’abilità del parlante di adattare il messaggio a diversi fattori contestuali. 26 Più in particolare, si realizza nella capacità di padroneggiare specifiche aree dell’interazione linguistica come le formule di saluto, le espressioni idiomatiche e i proverbi. Un’importante indicazione del QCER consiste nel sottolineare che ai livelli iniziali dell’insegnamento (fino al B1) é opportuno concentrarsi sul registro neutro, quello cioè che i parlanti nativi usano tra loro in condizioni diafasiche non marcate. L’uso dei registri marcati, sia in senso alto (formale) sia in senso basso (familiare, colloquiale) va riservato ai livelli più avanzati. La competenza sociolinguistica comprende anche la capacità di riconoscere i principali marcatori linguistici, cioè quegli usi che consentono di identificare la provenienza regionale, la classe sociale e l’ambiente lavorativo, tra questi si segnalano: elementi prosodici, morfologici, sintattici, lessicali come i geosinonimi (parole diverse usate nelle varie regioni d’Italia per indicare lo stesso referente) e i geo-omonimi (parole che mantengono la stessa forma di un termine italiano, ma assumono un significato diverso in alcune aree geografiche). LA COMPETENZA PRAGMATICA Coincide in buona misura con la dimensione testuale. I descrittori della competenza pragmatica si riferiscono alla capacità dell’utente di concepire, strutturare e adattare al contesto i propri messaggi (competenza discorsiva), i quali sono usati per realizzare funzioni comunicative (competenza funzionale) e sono progettati tenendo conto di copioni interazionali codificati (competenza di pianificazione). • la competenza discorsiva riguarda la capacità di formulare testi che rispettino le regole della coesione e della coerenza, che perseguano in modo efficace la progressione tematica e propongano in modo equilibrato gli elementi nuovi rispetto a quelli noti, che siano adatti agli scopi, che impieghino il registro e lo stile richiesti. • la competenza di pianificazione prevede che l’utente sia in grado di far interagire le microfunzioni con le macrofunzioni all’interno di copioni interazionali di diversa complessità. Nel modello proposto dal QCER la capacità di concepire, strutturare e realizzare testi si fonda sull’integrazione di abilità riferibili a tre livelli: -le microfunzioni: sono gli atti comunicativi così come erano stati definiti nei livelli soglia. -le macrofunzioni: sono categoria che servono per definire l’uso funzionale di discorsi orali o testi scritti consistenti in sequenze (a volte ampi) di frasi. -gli schemi interazionali: costituiscono una sorta di “copioni” che pongono l’utente in grado di gestire efficacemente le interazioni comunicative, da quelle più semplici a quelle più complesse. 3. Quale italiano insegnare? (Cap. 8) Il raccordo tra le varietà di un sistema linguistico e i modelli di lingua su cui centrare il percorso d’insegnamento é fondamentale nella riflessione glottodidattica generale, ma ancor più urgente per l’insegnamento della nostra lingua, vista la complessità sociolinguistica dell’italiano. Per il docente di italiano L2 il problema fondamentale é quello di evitare l’eccessivo scollamento tra la lingua utilizzata in aula e quella effettivamente presente nelle situazioni comunicative quotidiane. SISTEMA, NORMA E USO Nella descrizione di una lingua occorre tenere presente 3 distinti livelli di analisi: il sistema, la norma e l’uso. Tra il piano astratto del sistema e quello concreto degli usi individuali si colloca un livello intermedio, la norma: é intesa come norma degli utenti o norma sociale, in quanto racchiude la media delle realizzazioni accettate in una data comunità e la sua definizione non é necessariamente delegata ad autorità esterne. Mentre il sistema ha una sua validità potenziale, la norma può essere individuata solo concretamente nelle attualizzazioni. La comunità dei parlanti esercita un’azione normativa pur in assenza di un controllo “dall’alto” e, accettando alcune innovazioni e rifiutandone altre, finisce con l’orientare il cambiamento linguistico. Es: a. Io mangia una mela. b. Faceva caldo e ho aprito la finestra. c. Oggi ha piovuto intensamente. 27 PROGETTAZIONE E PROGRAMMAZIONE DIDATTICA (cap 9) La progettazione dell’azione didattica costituisce una componente essenziale e integrante dell’insegnamento. E’ difficile pensare che un docente possa entrare in classe senza aver meditato su che cosa deve fare. L’attività di pianificazione deve però essere attuata secondo criteri metodologicamente fondati e condivisi. Inoltre l’insegnante non può limitarsi all’ideazione di una sola lezione o di qualche unità, ma deve estendersi all’intero percorso di insegnamento, di cui le singole sezioni, indipendentemente dal modello operativo di riferimento fanno originariamente parte. L’esigenza di progettare l’azione didattica ha condotto quindi alla ricerca di metodi idonei per organizzare corsi e sistemi educativi. La progettazione di un percorso richiede di prendere in considerazione una serie di variabili fondamentali (tempo, contesto e articolazione dell’intervento didattico, risorse disponibili, caratteristiche e scopi degli apprendenti). La definizione del sillabo, cioè la specificazione e la sequenziazione dei contenuti di insegnamento, costituisce solo una parte dell’attività di progettazione didattica. In altre parole, progettare un percorso di apprendimento significa non solo stabilire che cosa insegnare, ma anche come farlo e a quale scopo. I termini “progettare” e “programmare” vengono usati nella letteratura glottodidattica sia come sinonimi sia per riferirsi ad aspetti diversi dell’azione progettuale. Nel tentativo di fare chiarezza terminologica possiamo individuare 2 fasi: -macroprogettazione: questa prima fase si centra sull’elaborazione di ipotesi relative all’organizzazione di un intervento didattico, definendo le competenze da sviluppare, i contenuti da presentare, i materiali, i sussidi a cui ricorrere. -microprogettazione: in cui si scende nel dettaglio nella definizione di come deve essere organizzato sul piano operativo l’insegnamento perché si promuova l’apprendimento. Segue quindi la programmazione ovvero l’attività di definizione delle finalità formative e degli obiettivi di apprendimento. In ambito scolastico questi due livelli di articolazione dell’attività progettuale sono realizzati in 3 momenti diversi: 1. elaborazione da parte del collegio docenti del POF, attraverso cui viene definita l’identità dell’istituto scolastico, vengono delineate le scelte culturali, didattiche e organizzative, le finalità formative e gli strumenti per conseguirle, indicati i criteri di monitoraggio e autovalutazione. 2. in un secondo momento progettuale sono stabiliti dal Consiglio di classe, di interclasse e di intersezione, gli obiettivi didattici trasversali, pluridisciplinari e disciplinari e in cui sono definiti i contenuti oggetti di apprendimento. 3. il terzo momento é dedicato alla macroprogettazione della dimensione operativa dell’azione didattica SCOPI E METE DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA L’ elaborazione di un progetto didattico si realizza entro un quadro di riferimento teorico- metodologico, che fornisce criteri e strumenti per la strutturazione di itinerari congruenti con un modello di lingua e di apprendimento, rispondenti alle esigenze degli utenti, ma anche entro un sistema di valori sociali. Nell’insegnamento linguistico le finalità di un progetto didattico assumono una valenza educativa. La parola “educazione” deriva dal latina educere e significa “condurre fuori”, “trarre” ciò che l’apprendente elabora, cioè promuovere l’emergere di potenzialità che conducono allo sviluppo della sfera intellettiva, cognitiva, psicoaffettiva e sociale, incidendo sul modo di essere e di fare dell’individuo. Chi apprende una lingua infatti, trasforma non solo le proprie conoscenze relative a quel particolare sistema linguistico ma anche il proprio potenziale cognitivo, certi aspetti della personalità e atteggiamenti personali nei confronti del mondo. Come esplicita il QCER “le competenze linguistiche e culturali di ciascuna lingua vengono modificate dalla conoscenza dell’altra e contribuiscono alla consapevolezza interculturale”. Secondo il QCER le mete da conseguire consistono nello sviluppo del plurilinguismo e del pluriculturalismo del cittadino europeo, intesi come l’acquisizione di una competenza complessa e composita, favorendo la costruzione di una cittadinanza democratica, la cooperazione e l’integrazione a livello europeo. Ciò implica una revisione degli scopi dell’azione formativa che non può consistere nello sviluppo della padronanza di una o più lingue straniere, avendo come modello il livello di competenza del parlante nativo, ma nello sviluppo a lungo termine di diverse abilità linguistiche. 30 La conoscenza di una lingua é comunque parziale, perfino quando si tratti della lingua madre; in un individuo reale la conoscenza é sempre incompleta, non é mai sviluppata o perfetta come la si immagina nell’utopico “parlante nativo ideale”. In ambito scolastico, alle finalità indicate dal QCER si affiancano quelle previste dai documenti ministeriali. Nelle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del ministero, considerano mete dell’apprendimento linguistico la crescita psicosociale dell’individuo, lo sviluppo di basi per l’esercizio una cittadinanza attiva, l’integrazione delle culture. Le Indicazioni individuano nella valorizzazione della diversità e dell’identità linguistico- culturale una delle finalità da perseguire con l’azione didattica. In questo senso la presenza di alunni con cittadinanza non italiana nella scuola costituisce un’opportunità per tutti. Il rispetto per l’identità di ognuno, la considerazione per l’unicità del singolo e la valorizzazione delle caratteristiche individuali rappresentano infatti scopi da cui la progettazione di percorsi di apprendimento con valenza educativa non può prescindere. MODELLI DI PROGETTAZIONE DIDATTICA Nell’ambito della ricerca sui metodi per l’organizzazione di corsi e di sistemi educativi, é stata definita una pluralità di modelli per la progettazione di percorsi didattici. Sebbene ciascun modello si caratterizzi in base al quadro teorico al quale fa riferimento, é possibile ricondurre le diverse metodologie progettuali a due matrici: • quella con andamento lineare: si fonda su una concezione dell’apprendimento come processo di accumulazione progressiva di conoscenza e abilità, da sviluppare attraverso il conseguimento di obietti tassonomici. E’ una progettazione definita per obiettivi in cui il percorso didattico ha una struttura sequenziale e segmentale. • quella con struttura reticolare considera invece l’apprendimento quale processo di scoperta, costruzione personale della conoscenza e negoziazione di significati che si realizza percorrendo itinerari costellati da nodi interconnessi, raggiungibili da ciascun apprendente seguendo tragitti diversi. Rientra in questa tipologia di modelli la progettazione per sfondi integratori e quella per compiti. PROGETTAZIONE PER OBIETTIVI Costituisce il modello di pianificazione dell’azione didattica maggiormente utilizzato. Introdotta in Italia negli anni 70 del secolo scorso, é diventata sinonimo della progettazione didattica tout court. Consiste nella definizione e nella sequenziazione di obiettivi da raggiungere seguendo un itinerario didattico e da formulare in termini di comportamenti osservabili, in modo che il loro conseguimento possa essere verificato. Caratteristiche principali: -Il progetto didattico non può essere considerato completo se non comprende indicazioni sulle strategie, sulle tecniche, sui materiali e sui sussidi didattici da utilizzare, e di un sistema di verifica che consenta di accertare il conseguimento degli obiettivi. -Tale sistema deve prevedere criteri di misurazione delle prestazione. -Gli obiettivi devono essere disaggregabili in sotto-obiettivi: sulla base di questa concezione gerarchica degli apprendimenti é possibile articolare il percorso in obiettivi generali, intermedi e finali. -Il ruolo della verifica é quello di monitorare la realizzazione del progetto; il feedback fornito non é solo relativo all’apprendimento degli studenti ma riguarda anche l’operato dell’insegnante. Oggi gli obiettivi sono definiti competenze, cioè capacità di usare consapevolmente ed efficacemente conoscenze, abilità, motivazioni e atteggiamenti per effettuare prestazioni orientate al conseguimento di uno scopo. LA PROGETTAZIONE PER SFONDI INTEGRATORI Diffusosi a partire dagli anni 80, questo modello non é stato specificamente ideato per la pianificazione didattica nel campo dell’insegnamento delle lingue straniere ma, costituendo la metodologia di progettazione impiegata nella scuola dell’infanzia, rappresenta una modalità di definizione dei percorsi formativi con cui chi insegna l’italiano come lingua di contatto si trova a confrontarsi. 31 Si fonda sul principio gestaltico, secondo il quale le nostre percezioni non costituiscono un aggregato di elementi bensì un’unità strutturata, in cui il rapporto tra le diverse parti é colto unitariamente in relazione a un contesto. Lo sfondo integratore fornisce un contesto, che permette di vedere la realtà esterna in una determinata prospettiva, di costruire un’immagine complessa e di metterla in relazione con la realtà interna al soggetto apprendente. Lo sfondo quindi ha una valenza motivazionale, dato che stimola il bambino alla scoperta. Si ricorre a tre tipi di sfondi: 1. metaforico: introduce attraverso una metafora una prospettiva diversa di osservazione. 2. narrativo: una storia entro la quale si collocano e acquisiscono significato i diversi compiti di apprendimento 3. di simulazione di contesti: consiste nella riproduzione in scala di un ambiente particolare, attraverso cui stabilire connessioni tra le diverse attività, riconducendole a un quadro di riferimento spaziale. La forma di verifica prevista da questo modello di progettazione didattica é l’osservazione sistematica dei bambini nel corso delle attività didattiche. PROGETTAZIONE PER COMPITI E’ basato sui compiti, cioè su attività che implicano l’uso della lingua. Si fonda sull’assunzione che l’apprendimento sia il risultato del ricorso a meccanismi naturali di acquisizione, attivati dall’apprendente nell’esecuzione di attività linguistiche. Un ruolo centrale nella progettazione é rivestito dalla selezione dei compiti, che devono presentare un grado di complessità adeguato al livello di apprendimento degli studenti. Sono individuabili 3 orientamenti nella selezione di compiti: 1. i compiti devono essere scelti a partire dalle forme linguistiche, il cui impiego risulta indispensabile o naturale per il completamento del compito stesso. 2. importanza della connessione dei compiti con il mondo reale. 3. importanza della naturalezza del compito e del ruolo svolto dal focus on form, cioè l’attenzione rivolta alle forme linguistiche, nello sviluppo dell’interlingua. La progettazione dell’intervento didattico si articola di 3 fasi: 1. pre-task: rende il compito più produttivo, ne chiarisce il contenuto, fa accrescere la consapevolezza delle strutture e sollecita la pianificazione del compito. 2. task cycle: svolgimento del compito che si articola in tre fasi: esecuzione, pianificazione e presentazione del resoconto alla classe. 3. post-task: le attività di questa fase hanno la funzione di guidare lo studente alla riflessione linguistica. FASI DELLA PROGETTAZIONE DIDATTICA La pianificazione di un percorso di studi si articola di fasi che non si seguono rigidamente ma si intersecano focalizzandosi sui seguenti punti: • la situazione in cui si realizza il corso. • i bisogni degli apprendenti. • la definizione del sillabo. • il sistema di verifica da adottare per monitorare il processo di apprendimento. Una volta terminata la pianificazione del percorso, si può volgere l’attenzione all’attività che abbiamo definito di microprogettazione, centrata sulla definizione delle modalità operative tramite cui conseguire gli obiettivi individuati. L’ANALISI DELLA SITUAZIONE DI INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO Sul piano del contesto operativo nel quale si realizza il corso di italiano, devono essere prese in esame variali quali: -specificità dell’istituzione in cui il corso viene tenuto. -durata complessiva dell’intervento didattico e scansione degli incontri. -disponibilità di mezzi tecnologici come laboratori linguistici. -caratteristiche degli spazi in cui si tengono le lezioni. Mentre queste variabili possono essere modificate, quale legate all’utente costituiscono precondizioni da cui la progettazione del percorso didattico deve muovere. 32 Se la percezione umana segue questo percorso, anche il contatto con i contenuti di una disciplina di studio potrà essere proposto in maniera più efficace utilizzando appunto un percorso che dalla globalità passi all’analisi e si concluda poi con la sintesi, ovvero con le fasi fondamentali del modello di “unità didattica” elaborato da Giovanni Freddi negli anni 60. Questa sequenza di fasi che si articola in un periodo di 4-6 ore e comprende più I/L in classe, oltre allo studio individuale comprende anche le attività extrascolastiche. L’UD si articolerà di 3 fasi: 1. la motivazione: attività di brainstorming sulle parole chiavi del tema dell’UD. 2. la globalità: consiste nella comprensione generale di un testo. 3. l’analisi: l’esplorazione del testo nelle sue caratteristiche linguistiche, testuali, pragmatiche.. 4. la sintesi: con attività di impiego delle strutture e dei contenuti, allo scopo di fissare o di riutilizzare i contenuti linguistici analizzati. 5. la riflessione: si sistematizzano i fenomeni incontrati nei testi, in modo da passare in maniera induttiva dal caso particolare alla regola generale con le sue eccezioni. 6. il controllo: in questa fase il docente verifica se gli obiettivi glottodidattici prefissati sono stati raggiunti. In caso affermativo si passa alla UD successiva, altrimenti si propongono attività di rinforzo o di recupero generale. L’italianista canadese Danesi giustifica questo percorso anche in base ai processi mentali legati alla comprensione e alla produzione del linguaggio e riprende i presupposti neurolinguistici di quella che lui definisce “UD bimodale”. Secondo i suoi studi, gli esseri umani elaborano i messaggi utilizzando le diverse modalità che caratterizzano i due emisferi cerebrali: -l’emisfero destro percepisce meglio il contesto del messaggio. -l’emisfero sinistro percepisce meglio i singoli elementi. Pertanto quando il soggetto entra in contatto con uno stimolo nuovo attiva inizialmente le modalità dell’emisfero destro, poi intervengono le modalità dell’emisero sinistro nel momento dell’analisi degli elementi costitutivi dello stimolo. Questa impostazione é funzionale anche alle necessità dei docenti, poiché rispecchia l’esigenza di un ordine logico per le attività da realizzare in classe. Tuttavia l’UD presenta anche dei limiti: -riflette soprattuto la prospettiva del docente. -la realizzazione delle sue varie fasi si rivela spesso di rigida applicazione. -non é applicabile facilmente nel caso di realtà di insegnamento caratterizzate dall’oscillazione delle presenze. Nonostante questi limiti, resta valido nella misura in cui: -mette a fuoco la necessità di tenere conto dei processi mentali implicati nell’acquisizione. -rende conto del fatto che l’acquisizione della L2 non avviene solo nell’incontro con il docente, ma ha bisogno anche di attività di lavoro autonomo o da svolgere in contesto extrascolastico. -contiene in sé l’idea cardine del “carico di lavoro documentabile”, idea formalizzata poi nei cosiddetti “crediti formativi universitari” previsti dalla metà degli anni 90. L’UNITA’ DIDATTICA CENTRATA SUL TESTO (UDT) L’UDT: orale o scritto, presentato dall’insegnante o affrontato creativamente e autonomamente dall’allievo, il testo rappresenta il nodo centrale dell’UDT finalizzata allo sviluppo di competenze linguistiche in L2. Il testo o meglio l’input testuale, offre modelli di lingua, esempi di usi comunicativi, di variabili sociolinguistiche, trasmette informazioni e stimoli per la discussione, fornisce occasione di analisi, esercitazione e riflessione di tipo metalinguistico e metaculturale. Ma l’UDT non si risolve nell’incontro con il testo. Questa interazione didattica é infatti lo sfondo su cui si inseriscono tutte le dinamiche più produttive. Ogni messaggio che si produce in classe entra a far parte di una rete di interazioni orali e scritte che rappresentano per gli allievi terreno di coltura per lo sviluppo della propria interlingua, mentre per il docente costituiscono un continuo motivo di revisione del proprio agente didattico. Si parlerà quindi di una prima fase di contestualizzazione dell’input a cui seguirà la fase di realizzazione dell’output comunicativo. 35 L’UNITA’ DI APPRENDIMENTO L’unità minima non é tanto quella didattica, quantificata nelle 4/5 ore dell’UD, quanto piuttosto quella di apprendimento, che può durare da pochi minuti a un’ora. In questo caso sono rilevanti sia la dimensione neurolinguistica (processi mentali legati all’età..) sia quella psicolinguistica (ansia, filtro affettivo, stili di apprendimento). Attraverso le attività in classe, nelle fasi di analisi-sintesi- riflessione si attivano quelle UDA che costituiscono i fenomeni mentali del processo che ogni studente realizza a modo proprio. Le attività guideranno queste UDA verso la trasformazione dell’input in intake e quindi in nuova competenza. Dal punto di vista del docente invece, considerare le UDA vuol dire accettare il fatto che queste non sempre si attivano secondo la sequenza prevista dal docente o dal libro di testo: il docente può solo sollecitarle. La relativa rigidità e sequenzialità del modello dell’UD può essere superata se il docente tiene conto dei processi che possono realizzarsi nella mente dei propri studenti sotto forma di UDA. I LEARNING OBJECT L’idea e la definizione di Learning Object nasce nel campo della programmazione per il settore informatico, basata su componenti (object), indipendenti l’uno dall’altro. In informatica un LO é un vero e proprio “oggetto riutilizzabile per l’apprendimento”. Si definisce LO ogni “risorsa digitale per l’apprendimento”, composta da un certo numero di pagine web che combinano testi, immagini e altri media audiovisivi al fine di erogare contenuti formativi. Si tratta di una risorsa didattica modulare, cioè autonoma e indipendente, digitale cioè erogabile anche a distanza, condivisibile cioè utilizzabile su più piattaforme e in diversi formati, facilmente reperibile e riutilizzabile cioè con la possibilità, una volta archiviato l’oggetto di apprendimento, di riusarlo all’infinito. Il grande vantaggio é che più LO, collegati fra loro secondo sequenza diverse, permettono di costruire percorsi di apprendimento personalizzati e di rispondere così ai bisogni di ogni utente. Sebbene l’idea di scomporre le abilità linguistiche in elementi discreti si sia prestata a facili critiche, il LO può rappresentare un utile sussidio all’apprendimento spontaneo o guidato della L2. IL MODULO Dalla fine del XX secolo in ambito scolastico emerge un nuovo modello operativo: il modulo. Per modulo si intende un percorso tematicamente organico che può riguardare un periodo o una corrente di pensiero accomunati da determinati eventi o caratteristiche. Può anche riferirsi a un argomento (la donna nel mondo greco). Esso si applica anche all’insegnamento della lingua straniera, come vediamo per esempio nella realizzazione di moduli tematici focalizzati su aree semantiche, sugli interessi degli apprendenti o sui loro bisogni di apprendimento. Il modulo si distingue per alcune sue specificità: -autonomia: si tratta infatti di una sezione autosufficiente di un insieme di contenuti. -flessibilità: può essere composto da più UD. -raccordabilità: la successione tra moduli può essere obbligata o opzionale. -complessità: un modulo deve basarsi su ambiti comunicativi complessi. L’UNITA’ DI LAVORO Roche, esperto di didattica del tedesco come L2, parla di una suddivisione della lezione di lingua in 5 momenti sequenziali: 1. attivazione-organizzazione preventiva-introduzione: si organizzano i compiti e le attività. 2. differenziazione dei temi: si affronta un tema mediante testi scritti o orali. 3. differenziazione delle strutture: i risultati delle analisi vengono approfonditi. 4. ampliamento/espansione: gli argomenti trattati vengono ripresi a partire da un testo più complesso. 5. integrazione/riflessione: l’apprendente integra gli argomenti nuovi nella propria individuale rete di saperi. Tutto quanto detto sopra ci porta a preferire l’idea di unità di lavoro, che permette di indicare una pluralità di casi concreti e corrisponde meglio al concetto di una progettazione logica e finalizzata. • UDL come iperonimo: possiamo utilizzare UDL come iperonimo di unità didattica, unità didattica bimodale, unità di apprendimento e unità didattica centrata sul testo. 36 • UDL come lavoro condiviso: implicita nel concetto di UDL é l’idea di negoziazione degli obietti i e dei modi per raggiungerli. • UDL come percorso unitario e in sé concluso: si tratta di un dispositivo funzionale alla realizzazione di un’esperienza formativa autoconsistente, significativa, documentabile. • UDL come realizzatore progettuale: dovrebbe servire a rendere conto del modo in cui i principi teorici sull’insegnamento-apprendimento della L2 si traducono in termini di progettazione e realizzazione delle attività. • UDL come valorizzazione dell’apprendimento guidato: ha lo scopo di tradurre in pratica la differenza tra apprendimento spontaneo e guidato nell’accelerare i processi di apprendimento della L2. UDL IN PIU’ FORMATI Per rispondere alla varietà di tempi, contesti e modalità di fruizione in cui può realizzarsi l’UDL, é possibile prevedere la sua realizzazione almeno in 3 formati basati sull’interazione: 1. formato dell’incontro/lezione 2. formato dell’unità didattica, formato da 2-3 incontri/lezioni 3. formato del modulo, organizzato in più UD accomunate da un tema. Più I/L possono aggregarsi in una UD; più UD possono aggregarsi in un M; il M rappresenta l’UDL massima, mentre l’I/L rappresenta l’UDL minima. L’UDL si organizza in 3 fasi: 1. introduzione: motivazione, attivazione, organizzazione. 2. svolgimento: incontro con i testi, riflessione e attivazione di una rete di unità di apprendimento. 3. conclusione: attività basate sull’output. Questa organizzazione non esclude la dimensione non sequenziale dell’apprendimento. Prendere atto di questa intrinseca “reticolarità” e variabilità dell’acquisizione dell’L2 porta a riconsiderare la fase intermedia con un’attenzione maggiore. In altre parole, se l’inizio e la fine del percorso vedono in primo piano il docente, il resto dell’UDL é in mano agli apprendenti, che seguono percorsi mentali e di esperienza diversi. COMUNICAZIONE DIDATTICA E GESTIONE DELLA CLASSE (Cap. 11) La classe si caratterizza, rispetto a quella di altre discipline, per la rilevanza dell’interazione sia fra docente e allievi sia fra gli allievi stessi. Sono di fondamentale importanza ai fini dell’apprendimento di una lingua non materna, le reti di interazioni orali su cui si basa la comunicazione didattica nella classe in presenza. LA DENSITÀ’ COMUNICATIVA NELLA CLASSE Anzitutto con il termine classe si può intendere il luogo fisico in cui avviene l’apprendimento guidato o il “gruppo classe”, cioè il gruppo dei soggetti coinvolti nel processo di insegnamento- apprendimento. Una prima questione riguarda l’organizzazione dei flussi di parlato, che può rivelarsi più o meno favorevole all’intensificazione degli scambi comunicativi. A livello qualitativo si possono alternare nella classe momenti in interazione asimmetrica (per esempio quando il docente spiega o interroga gli studenti mostrando la propria superiorità istituzionale legata al ruolo che riveste o alla sua competenza nella lingua in cui avviene l’interazione) e momenti di interazione fra pari o con tipi di asimmetria diversi. A livello quantitativo, invece, si possono verificare tempi diversi di gestione dei turni di parola: il docente può monopolizzare il tempo disponibile oppure diventare un attento “gestore dei flussi della comunicazione”. Il docente può organizzare la lezione in base a tre modelli: 1. a stella: lezione frontale, monologo del docente e intervento degli studenti con presa di parola non libera. 2. a reticolo: interazione collettiva con presa di parola libera da parte del docente e degli studenti. 3. a isolotti: lavori di gruppo, con interazione fra pari e intervento del docente come risorsa solo su richiesta degli studenti. 37 Più sequenza costruiscono una transazione, cioè una delle parti di cui si compone una lezione, intesa come l’unità di tempo in cui si svolge l’incontro tra docente e allievi. atto—>mossa—>scambio—>sequenza—>transazione—>lezione IL PARLATO DEL DOCENTE NELLA CLASSE DI ITALIANO L2 Non sembra esistere un rapporto deterministico fra quantità/qualità dell’input e successo dell’apprendimento: solo l’adozione di un modello di interazione didattica basato sull’esposizione a un input modificato e interattivo sembra offrire dei vantaggi. Per questo motivo il parlato del docente di L2 in classe é particolarmente rilevante. CARATTERISTICHE DEL PARLATO Il parlato é caratterizzato da due tratti fondamentali: conicità e spontaneità. A differenza dello scritto, é volatile, non permanente e almeno in apparenza, meno compatto e coeso. Inoltre risulta determinato da alcune modalità di codificazione del messaggio che si traducono in una serie di fenomeni quali: -lo stretto legame con la situazione e il contesto extralinguistico (uso frequente di deittici, suoni non verbali, modulazioni della voce). -frammentarietà formale o tematica (pause di esitazione, interruzioni, temi sospesi, ripetizione delle stesse parole, code switching, code mixing). -frequente ricorso a segnali discorsivi (demarcativi per segnare l’inizio del discorso, segnali fatici che assicurano il contatto con l’interlocutore o sollecitano il suo assenso o partecipazione, connettivi, interiezioni). CARATTERISTICHE DEL PARLATO DEL DOCENTE DI L2 Nel quadro convenzionale della lezione ricorrono alcune strategie comunicative tipiche del contesto istituzionale scolastico, in cui docente e allievi realizzano varie forme di interazione asimmetrica che si traducono in modi diversi di gestire la comunicazione. In particolare il docente può dimostrare il suo potere interazionale quando: -occupa nel parlato più tempo della controparte più debole. -produce turni più lunghi. -pone un numero maggiore di domande. -apre e chiude l’interazione. -introduce cambiamenti di tema. -utilizza due tipiche interazioni pedagogiche (la domanda di esibizione: una domanda che vuole solo verificare la correttezza della risposta; e la tripletta). STRATEGIA DI TRASPARENZA DEL FOREIGNER TALK Il foreigner talk, cioè l lingua con cui i nativi interagiscono con gli stranieri, piò essere considerata una varietà diafasica e presenta delle strategie che lo accomunano ad altre varietà marginali della lingua, come l’italiano popolare, le interlingue di apprendimento degli stranieri, il baby talk: -omissione di elementi grammaticali. -espansione di elementi grammaticali (uso ridondante dei pronomi nelle lingue in cui possono essere omesse). -sostituzione/riorganizzazione delle forme linguistiche. IL DOCENTE DI L2 COME MODELLO COMUNICATIVO La lingua parlata dal docente o teacher talk si differenzia dal foreigner talk soprattutto nella misura in cui: -evita le forme substandard volontarie. -risulta meno grossolanamente calibrato sulle reali competenze degli ascoltatori. -usa strategie e strumenti pedagogici (immagini, grafici, audiovisivi). 40 I motivi che spingono ad adattare il proprio comportamento comunicativo all’interlocutore possono essere di natura diversa: nel caso del docente di L2 lo scopo é quello di colmare il divario di competenza per risultare comprensibili e favorire lo sviluppo delle competenze comunicative degli apprendenti. Il modo di esprimersi del docente nel momento in cui si rivolge ai propri studenti rappresenta una variabile estremamente rilevante nel processo di apprendimento: spesso il parlato dell’insegnante é l’unico input orale a cui é esposto lo studente o comunque é il più comprensibile, rispetto agli altri possibili input dell’ambiente acustico in lingua straniera. Il parlato del docente rappresenta in molti casi anche il modello di parlato più familiare e affettivamente vicino, un modello a cui questi tenderà a uniformarsi nella sua interlingua (permeabile e instabile per definizione), ma che difficilmente riuscirà a imitare totalmente in tempi rapidi senza adeguati esercizi e attività aggiuntive: non basta infatti la semplice esposizione all’oralità in L2 per sviluppare l’abilità di produzione orale in L2. Oltre al carisma personale, varrà la capacità di trasmettere i contenuti, la chiarezza, la scelta del lessico, l’empatia e la disponibilità, la sicurezza e la competenza. Dall’analisi dei momenti dedicati alla spiegazione e alle istruzioni di attività, risulta che il tipo di input a cui sono esposti gli studenti nelle diverse realtà di insegnamento é caratterizzato da alcune tecniche didattiche e discorsive ricorrenti: -uso di indicatori fatici tipici della lingua parlata che danno una sembianza di interattività al formato fondamentalmente monologico. -uso di mitigato che emerge quando il parlante evita gli atti comunicativi più direttivi o offensivi, lasciando all’interlocutore la possibilità di tirarsi indietro. -uso di codici non verbali con finalità espressive e chiarificatrici: gesti, tono, picchi intonativi. -uso di strategie di trasparenza, a livello lessicale e pragmatico. Il parlato del docente in classi di italiano L2 sembra dunque riflettere l’attenzione alla realizzazione di un input comprensibile. Resta da indagare il modo in cui gli apprendenti percepiscono tale input orale: per aiutare sia gli apprendenti che il docente ad acquisire la consapevolezza di queste problematiche si può sottoporre alla classe un questionario di rilevazione per mettere a fuoco la percezione dell’interazione didattica da parte degli studenti, in modo da rivederne, se é il caso, i tempi, gli atteggiamenti e le forme. VERIFICA, (AUTO)VALUTAZIONE, CERTIFICAZIONE (Cap. 12) La “verifica” indica l’atto di accertare l’esistenza, l’autenticità e la validità di un fatto mediante opportune prove. La “valutazione” si realizza nell’atto di giudicare e attribuire valore a qualcuno per qualcosa. Per “certificazione” si intende invece l’atto del certificare mediante attestato ufficiale l’esistenza di certe condizioni. Vero, valido, certo: questi tre aggettivi, sono anche alla base dei significati specifici e aggiuntivi che le parole chiavi sopra citate assumono nell’ambito della didattica L2. I VANTAGGI DELLA VERIFICA E DELAL VALUTAZIONE LINGUISTICA IN L2 Lo scopo primario delle operazioni legate alla verifica e alla valutazione linguistica in L2, é quello di rendere conto di quali conoscenze o competenze in L2 possiede o ha acquisito un soggetto. Dal punto di vista dell’apprendente, le operazioni di verifica e valutazione permettono di acquisire consapevolezza, in modo da favorire il rinforzo della motivazione e la presa di coscienza dei propri punti di forza e di debolezza. Per l’insegnante il vantaggio consiste nella possibilità di scoprire, nelle varie fasi del processi didattico, ciò che gli alunni hanno imparato mediante il monitoraggio dei risultati dell’apprendimento e dell’efficacia dell’insegnamento. Una volta accertate carenze e lacune, si apportano miglioramenti e correttivi sul piano educativo: il controllo serve cioè a riprogrammare il percorso di apprendimento. I LIMITI DELLA VERIFICA E DELLA VALUTAZIONE LINGUISTICA IN L2 La storia recente degli studi sulla verifica e sulla valutazione linguistica in L2 mette in luce, accanto agli innegabili vantaggi, anche le varie problematiche. La novità del QCER riguarda la sua graduabilità in livelli che mettono in luce ciò che il soggetto sa fare anche sotto forma di competenze parziali: dai test si potranno così ricavare degli indicatori utili per rendere esplicita la capacità del soggetto di gestire differenti situazioni di comunicazione. 41 Verificare, valutare e di conseguenza, giudicare le competenze linguistico-comunicative sono operazioni che comportano di per sé una serie di tensioni e contrapposizioni: da una parte l’indeterminatezza dell’oggetto stesso della valutazione (la lingua in quanto sistema aperto le cui competenze orali e scritte, ricettive e produttive, sono ancora lontane dall’essere chiaramente descritte e codificate), dall’altra la necessità di utilizzare parametri di valutazione abbastanza precisi ed espliciti, se non addirittura riconducibili a una scala di voti e giudizi sintetici e predefiniti. LE DIVERSE MODALITÀ DI VERIFICA E VALUTAZIONE LINGUISTICA IN L2 I test linguistici possono essere classificati in base a: • scopo: come il test di livello che serve a individuare le competenze di un soggetto in vista del suo inserimento in un corso; • funzione: come il test diagnostico, che permette di individuare i punti di forza e di debolezza nelle conoscenze e nelle competenze del soggetto; • momento della somministrazione rispetto a un corso: come il test in itinere, relativo al sillabo e al programma svolto fino a quel momento nel corso; • abilità e conoscenze da verificare: come le prove fattoriali, che partono dall’assunto che la competenza comunicativa sia frazionabile e che si possano valutare separatamente le varie componenti della lingua; • formato: come le prove di riconoscimento, che mettono in gioco le abilità di comprensione orale e scritta nella L2; • interpretazione dei risultati: come le prove basate sull’esecuzione (simulazione di situazioni) in cui la valutazione avviene facendo riferimento a una scala di competenze e a una serie di standard di riferimento; • modalità di correzione e assegnazione del punteggio: come le prove oggettive in cui vi sono domande vero/falso, domande o completamenti a scelta multipla; IL CONCETTO DI QUALITÀ DELLE PROVE DI VERIFICA Le caratteristiche di una prova di qualità rimandano a una serie di requisiti fondamentali: -validità: un test per essere valido, dovrebbe permettere di ricavare dei dati significativi, appropriati e utili allo scopo. -rappresentatività e appropriatezza: un input troppo esiguo non permette di valutare adeguatamente la comprensione, così come una batteria di prove tutte dello stesso tipo non aiuta a verificare le competenze metalinguistica o la capacità di interazione orale. -affidabilità o attendibilità: un test per essere affidabile, deve poter fornire i dati simili anche se somministrato in momenti diversi, per questo l’elaborazione delle prove deve essere particolarmente accurata nel suo aspetto grafico, nella chiarezza delle istruzioni, per evitare che i risultati siano influenzati da fattori esterni (come la necessità di ulteriori spiegazioni). -fattibilità: un test deve essere fattibile cioè ragionevolmente realizzabile. -capacità di discriminazione: un test deve essere capace di discriminare, cioè individuare le capacità differenziate dei candidati a cui é stato somministrato; un test i cui esiti sono molto omogenei e concentrati quasi tutti verso il basso o verso l’alto é stato probabilmente tarato male sui destinatari a cui si rivolge, dal momento che statisticamente é poco probabile un esito di questo tipo. In parte sovrapponibili ai criteri di qualità precedentemente esposti sono i 4 requisiti generali riassunti nell’acronimo PACE: -Pertinenza: se il test riesce a verificare tutti gli elementi che vuole veramente verificare, senza elementi collaterali o estranei. -Accettabilità: se il test è percepito come utile da entrambe le parti in gioco. -Comparabilità: se il test offre dati che permettono di paragonare le prestazioni fornite dallo studente in momenti diversi del suo apprendimento. -Economicità: se il test offre un rapporto ottimale fra tempo di elaborazione, tempo di correzione e i tre parametri di valutazione precedentemente illustrati. 42
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