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Intera sbobinatura e approfondimento del corso di storia greca, Sbobinature di Storia dell'Antica Grecia

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Scarica Intera sbobinatura e approfondimento del corso di storia greca e più Sbobinature in PDF di Storia dell'Antica Grecia solo su Docsity! STORIA GRECA Sommario 1. 03/03 – GEOGRAFIA, ORIGINI E PERIODIZZAZIONI ..........................................................................2 2. 05/03 – SOCIETA’ E POLITICA NELLE DARK AGES, PRIMA COLONIZZAZIONE ...................................5 3. 08/03 – ETA’ ARCAICA E SECONDA COLONIZZAZIONE .....................................................................7 4. 10/03 – SOCIETA’ E INNOVAZIONI NELL’ETA’ ARCAICA, ATENE NEL VII SECOLO ...........................12 5. 12/03 – ATENE IN ETA’ ARCAICA ...................................................................................................16 6. 15/03 – LA RIFORMA DI CLISTENE AD ATENE ................................................................................20 7. 17/03 – LA SOCIETA’ SPARTANA ....................................................................................................25 8. 19/03 – LA COSTITUZIONE SPARTANA ...........................................................................................30 9. 22/03 – GLI ISTITUTI DI GOVERNO SPARTANI ................................................................................34 10. 24/03 – IL SISTEMA MILITARE SPARTANO ...................................................................................40 11. 26/03 – LEGA PELOPONNESIACA E RELAZIONI NEL MONDO GRECO ...........................................45 12. 29/03 – L’IMPERO PERSIANO ......................................................................................................49 13. 31/03 – LA RIVOLTA IONICA E LA PRIMA GUERRA PERSIANA ......................................................56 14. 12/04 – LA SECONDA GUERRA PERSIANA ....................................................................................63 15. 14/04 – LA PENTECONTETIA E LA LEGA DELIO-ATTICA ................................................................68 16. 21/04 – LE CAUSE DELLA GUERRA DEL PELOPONNESO ...............................................................75 17. 23/04 – LA GUERRA DEL PELOPONNESO .....................................................................................80 18. 26/04 – LA FASE DECELEICA E LA FINE DELLA GUERRA DEL PELOPONNESO ................................88 19. 28/04 – EGEMONIA TEBANA .......................................................................................................95 2. 03 /03 – GEOGRAFI A, ORIGINI E PERIODIZZ AZIONI Per essere utilizzata un’informazione, deve essere valida anche la critica delle fonti. La distinzione tra fonti primarie e fonti secondarie: le prime sono materiali (iscrizioni, monete, testi letterari, reperti) prodotti nella stessa epoca dell’evento analizzato; le seconde sono prodotte ad una maggiore distanza dall’evento. Molte notizie, anche importanti, ci giungono da fonti secondarie. Per esempio, la figura di Lisandro è tratteggiata da Plutarco, che viene diverso tempo dopo. La Grecia è una penisola. La sua conformazione la rende ricca dal punto di vista geografico. Gli abitanti la chiamavano Ellade (i Romani la chiamavano Grecia). Ha una costa molto frastagliata e diverse isole. Questo paesaggio fa presagire la tipicità della civiltà che in queste terre si svilupperà. Anche la superficie interna è particolare: catene montuose che dividono la regione in una miriade di piccoli territori. L'aspetto fisico influenzerà la civiltà di questa regione. Ogni popolazione sarà indipendente, divisa in tanti piccoli stati, autonomi e indipendenti. Le poleis rimangono sempre divise tra di loro, ad eccezione dell’evento delle guerre Persiane. Solo con Filippo si uniranno in un unico regno contro il fronte comune persiano. La Grecia Antica era molto ricca di selve, quindi i Greci avevano a disposizione legname per la costruzione delle navi. Sugli altopiani c’erano pascoli per animali, cave d’argento e di marmo. Le ricchezze della Grecia erano queste, ma anche il terreno, fondamentale per la coltivazione. Era poco adatto a fornire i viveri per tutta la popolazione e l’acqua per l’irrigazione era esigua. Un problema per i greci era reperire prodotti agricoli. I IPOTESI -> Verso il 2000 a.C. qui pare siano giunti dei popoli invasori: sono popolazioni indoeuropee. Le popolazioni indoeuropee erano antiche popolazioni preistoriche, stanziati nell’Europa centroorientale, che parlavano dialetti diversi, riconducibili al ceppo indoeuropeo. Sono protagonisti di massicce migrazioni che interessarono varie regioni del sud in tempi diversi. Per esempio, gli Ittiti, gli Arii. Tra queste popolazioni giungono nell’Ellade gli Ioni intorno al 2000 a.C., una popolazione di guerrieri che sottomettono gli abitanti del luogo (pregreci), imponendo il loro modo di vivere, i loro costumi, i loro culti. Questa è la prima ondata. Successivamente, verso il 1600, c’è una nuova ondata: gli Eoli e gli Achei. Gli Ioni vengono respinti verso l’Attica (chiamata infatti regione ionica); gli Eoli si stanziano in Tessaglia e Beozia, e gli Achei nel Peloponneso. Anche la lingua risente di sfumature diverse, dovute alla derivazione ionica-eolica-achea. I tre gruppi etnici sono affini per lingua e cultura, ma non hanno lo stesso tipo di sviluppo. Fin dall’inizio emergono gli Achei, definiti anche Micenei dalla città di Micene, in Argolide (Peloponneso). Loro danno origine alla civiltà micenea nell’età del bronzo. Secondo questa ipotesi, anche la caduta improvvisa della civiltà dei Micenei sarebbe dovuta all’immigrazione dei Dori, che nel XII sec giungono in Grecia e si parla di dark-ages, secoli oscuri, perché dal XII al IX sec (che seguono la sparizione della civiltà micenea) sono secoli considerati non ben conosciuti, oscuri: sparisce la scrittura, declinano i centri più sviluppati e potenti, si combattono diverse guerre, si registrano continui spostamenti della popolazione greca. I Dori, attraverso la Tessaglia, raggiungono la Grecia centrale, in particolare la Doride. Da qui il gruppo più consistente procede per la Beozia e, superato il canale di Corinto, scende nel Peloponneso, dove occupa l’Arcadia, la Messenia e la Laconia; un altro gruppo si sposta verso l’Argolide, dove si stabilisce e fonda le città di Argo e Micene. Rimangono indenni dalle invasioni doriche l’Attica e l’Eubea. In Grecia l’età del bronzo prende il nome di Periodo Elladico, da Ellàs (Grecia), diviso in antico- mediotardo (antico-medio e tardo sono suddivisi a loro volta in altri tre sotto periodi). Il tardo elladico è definito anche miceneo, perché si sviluppa la civiltà micenea. L'Antico Elladico è compreso tra il 3100 e il 2000 a.C.. Il Medio 2000-1600. Il Tardo 1600-1100, detto Miceneo. A Creta si sviluppa la civiltà minoica (o cretese). Il periodo è diviso in antico (3100-1900) - medio (19001600) - tardo minoico (1650-1100), dall’antico re Minosse. Ognuna di queste parti anche qui è tripartita. Già nel medio minoico abbiamo le grandi città di Festo, Cnosso; nel tardo assistiamo al dominio acheo su Creta (i Micenei dominano sui Cretesi). Tuttavia, diversi storici si sono espressi in termini diversi a questo proposito. Alcuni sostengono queste popolazioni provenissero dall’Europa centro-orientale, altri da territori all’interno della Grecia stessa (seconda ipotesi). La varietà delle ipotesi è dovuta all’assenza di fonti certe. Nelle fonti letterarie si legge che i Greci erano coloro che avevano il diritto di partecipare ai giochi olimpici, i quali prevedevano anche le interruzioni delle guerre, affinché tutti vi partecipassero. 2 Ad un certo punto della storia greca, nel XII sec la civiltà micenea e minoica spariscono. C'è uno sconvolgimento totale nel mondo greco. Ci sono contributi positivi che, probabilmente i Dori, portano alla nascita della Grecia antica: l’invenzione del ferro, la costruzione dei templi sull’esempio del Megaron miceneo, l’introduzione dell’alfabeto fonetico. L'alfabeto fonetico è di origine fenicia ed è più pratico della scrittura lineare B o A. esso era fondato su un sistema di suoni e si tratta di una scrittura superiore a tutte le altre del mondo antico. i Greci definivano barbaro chiunque non parlasse greco, uomo dal linguaggio incomprensibile e inferiore per natura. La parlata era quella di un balbuziente -> bar-bar. Il contributo più notevole di questo sconvolgimento è costituito dall’elaborazione della tradizione epica dei canti orali che gli aedi, cantori della Ionia, diffondono per tutto il mondo greco. La materia dei poemi omerici che nell’8sec vengono poi scritti. ORGANIZZAZIONE POLITICA DELLA SOCIETA’ Venuta meno la civiltà micenea, scompaiono anche i potenti signori dei palazzi micenei e si affermano sistemi di potere più semplici. Si afferma un’aristocrazia terriera con capi locali che si definiscono e autodefinisco re, basileus, ma governano piccoli territori. Spesso questi re si vantano di discendere da Zeus. Per esempio, nell’Iliade troviamo uno spaccato della società che viene a crearsi in questo periodo delle dark ages. In realtà, questi i re sono poco più che capi-guerrieri, molto abili nei combattimenti e che nel periodo di pace amano i banchetti, il vino, i canti degli aedi che raccontano le imprese degli eroi (presto dall’eroe omerico si passerà all’oplita, che avrà potere nell’ambito della polis e nell’ambito militare). I re, quando non sono impegnati nell’attività bellica, si dedicano all’agricoltura e praticano la pastorizia insieme ai sudditi. Per questo spesso si parla di re- pastori. Dalle fonti emerge che lo stato, come ente pubblico collettivo, è quasi del tutto inesistente in questo periodo storico. La politica è dominata dai cosiddetti ghène, grandi famiglie nobiliari che si tramandavano di padre in figlio i principi dell’amministrazione della giustizia, che erano però piuttosto arbitrari. I ghène spadroneggiavano sul popolo senza alcun controllo da parte della legge, le leggi non erano scritte. Sembra che la legge non valesse per tutti, perché veniva manipolata dalle famiglie nobiliari a loro favore. I ghène sono famiglie aristocratiche che, via via che la loro ricchezza aumentava attraverso l’acquisizione di nuovi terreni, diventano sempre più indispensabili per i sovrani, che avevano bisogno dell’aiuto degli aristocratici soprattutto durante le guerre. I ghène si sentivano pertanto molto forti e cominciano ad accrescere le loro pretese -> cercano di partecipare in misura maggiore al governo dello stato, riuscendo a sopraffare le forze del sovrano in seguito all’unione tra gli aristocratici. Il sovrano rimane isolato e infine a poco a poco, privato del comando in guerra (dal comando in guerra dipendeva il maggior prestigio di un sovrano), della facoltà di amministrare la giustizia e le finanze statali. L'autorità del re rimane limitata a piccole incombenze, di secondo ordine, soprattutto religiose. Il potere che avevano prima viene meno. La monarchia, che fine al periodo miceneo era fondamentale, sparisce in quest’epoca e non per una sostituzione violenta, ma perché a poco a poco i nobili le tolgono tutti i poteri. I nobili diventano i padroni dello stato, depositari del potere, detentori della ricchezza. I nobili erano i soli che in guerra potevano permettersi l’acquisto e il possesso dei cavalli -> la cavalleria era lo strumento più importante nelle guerre in questo periodo. La fanteria non era ancora ben organizzata e serviva come arma secondaria, erano i cavalieri e quindi i nobili a detenere la forza militare. A loro pian piano tocca esercitare anche la giustizia nei tribunali, e la esercitavano sempre in modo da favorire i loro interessi. Le classi inferiori vengono molto danneggiate da questo tipo di politica, perché la maggior parte della popolazione era costituita da contadini e da artigiani, soprattutto fabbri, falegnami, vasai, muratori, ecc. Nella società che si viene a formare abbiamo due classi sociali: i nobili e le classi inferiori. Tra i nobili facevano parte anche i sacerdoti, i nobili si dedicavano alla guerra, all’amministrazione della giustizia e partecipavano ai banchetti. Le classi inferiori, artigiani, poveri, commercianti, contadini, anche schiavi e concubine, erano esclusi da qualsiasi potere pubblico. Uno spaccato di questa società era rappresentata nei poemi omerici. Tra le classi inferiori, sottoposti all’arbitrio dei nobili: i contadini lavoravano il campo dei nobili. Nel migliore dei casi possedevano un piccolo appezzamento di terreno proprio da coltivare. In un anno 5 di carestia poteva accadere che i prodotti del suolo non fossero sufficienti e quindi fossero costretti a chiedere un prestito ai nobili. Ciò significava mettere la propria persona come garanzia, nel caso in cui il debito non fosse stato sanato. Talvolta perdevano la loro libertà ed erano ridotti in schiavitù per debiti. Gli artigiani e i braccianti agricoli, non avendo terre da coltivare regolarmente, dovevano sfamarsi con il lavoro occasionale che facevano. Per esempio, Ulisse era un re e abile nella falegnameria, aveva costruito la sua casa e i suoi mobili -> anche personaggi di spicco erano in grado di compiere quei lavori manuali principali che la vita domestica richiedeva. Un artigiano veniva richiesto raramente per il suo lavoro. Di rado veniva chiamato uno del mestiere. La vita degli artigiani e degli operai era infatti molto stentata, in condizioni molto peggiori di quelle dei contadini. Gli schiavi nel mondo greco erano solitamente prigionieri di guerra. La vittoria dava ogni diritto sul nemico, persino di ucciderlo e renderlo schiavo. I cittadini che sopravvivevano meglio erano i commercianti, perché il commercio era capace di dare ai ceti inferiori quella ricchezza che poteva avere un aristocratico. È il periodo in cui i Greci cominciano a fare concorrenza ai Fenici nel commercio. Nei poemi omerici vengono spesso citati i commercianti fenici, gli autori più tardi successivi ad Omero parlano invece di commercianti greci. La società greca comincia, pertanto, a cambiare secondo una trasformazione alla quale contribuirono anche le colonie greche stanziate in Asia Minore fin dal periodo miceneo. Gli operai e i contadini, in questo periodo, non riuscendo a sopravvivere e per evitare la schiavitù per debiti, si avventurarono verso le coste dell’Asia Minore, dando origine alla cosiddetta Prima colonizzazione tra il XI e X sec a.C. (le coste dell’Asia Minore erano già state raggiunte, in misura minore, durante il periodo miceneo). Anche elementi dorici si spostano in Asia Minore. I nuclei di popolazione di lingua greca che raggiungono l’Asia Minore rimangono in contatto con quelli del continente greco, e con lo sviluppo della civiltà della madrepatria (tra XI e IX sec) si civilizzano anche queste popolazioni che raggiungono l’Asia Minore. Le popolazioni stanziate in Grecia e in Asia Minore, attraverso l’imitazione delle popolazioni con cui vengono in contatto, attraverso matrimoni misti, attraverso la conquista di popoli più civilizzati, portano all’elaborazione progressiva di un’altra nuova civiltà, uniforme già alla fine del IX sec – inizi dell’VIII. La creazione di questa nuova civiltà porta alla scomparsa di piccole civiltà locali che esistevano già dal II millennio a.C.. Questo fenomeno dimostra la grande capacità di attrazione che sin dagli inizi ha la nascente civiltà greca e la rapidità di espansione, di colonizzazione dei Greci. Un elemento che conferma l’espansione della cultura greca è anche costituito dalla lingua greca, comune ed unitaria, anche se differenziata in dialetti locali determinati da differenze di pronuncia e lessico, ma simili per l’impostazione grammaticale e ceppo comune. I greci si comprendevano tra di loro. I dialetti sono eolico, ionico, dorico, attico, tessalico, beotico ed arcadico. Tra questi si afferma il dialetto attico. Durante la prima colonizzazione greca, gli Eoli dirigono la loro colonizzazione verso le coste settentrionali dell’Asia Minore. Le principali città degli Eoli sono Cuma, Smirne (che viene poi occupata dagli Ioni) e nell’isola di Lesbo anche Metimna e Mitilene. Più a sud degli Eoli troviamo gli Ioni, che tra i colonizzatori raggiungono la maggiore potenza politica ed economica rispetto agli altri. Formano una dodecapoli, una federazione di 12 città -> Colofone, Efeso, Mileto, Elitre, Samo e Chio (queste due ultime avevano forti flotte). Esse si radunavano in assemblee periodiche, organizzavano cerimonie nel santuario al dio Poseidone chiamato Panionio (di tutti gli Ioni), a nord di capo Micale. Più tardi questa federazione perse importanza, nonostante continuò ad esistere fino al III sec d.C., in questo periodo più antico la lega organizzava guerre in comune a cui partecipavano tutte le poleis ioniche aderenti, e a capo di questa lega era riconosciuto un personaggio, un magistrato chiamato Basileus, cioè re. Aveva lo stesso nome dei sovrani delle singole città. La fama e la potenza degli Ioni, che con i loro prodotti artigianali arrivano fino all’India, è testimoniata dal fatto che i popoli orientali per molto tempo chiamarono i Greci Ioni. A questa potenza politica ed economica si aggiungeva anche in questa regione l’amore per la poesia, per l’arte, per il pensiero. L’Iliade e l’Odissea sono state scritte proprio nel dialetto ionico, dagli Ioni. Agli 6 Ioni si deve l’inizio della scrittura, della filosofia, della matematica. Alcuni studiosi sostengono che la civiltà greca sia nata proprio nella Ionia d’Asia. Anche i Dori partecipano alla colonizzazione dell’Asia Minore. La terra occupata dai Dori è la Doride. Ci sono anche delle isole nelle quali i Dori si stanziano -> Tera e Cos. Per un breve periodo anche Alicarnasso fu una città dorica importante, era la patria di Erodoto. Ma già al tempo di Erodoto era stata ionizzata, infatti lo storico scrive in dialetto ionico. Anche i Dori d’Asia realizzarono una lega religiosa, ma non fu importante come quella ionica. Le dimensioni dei gruppi in movimento dovrebbero essere state ridotte. I Greci non furono i soli a muoversi nel Mediterraneo. Una fitta rete di scambi coinvolse le genti d’Egitto, dell’Anatolia, dell’Assiria e della Fenicia. La civiltà greca si sviluppa sulle coste e non nell’entroterra, i grandi centri sono a circa 20-25 miglia dalla costa (circa 30 km). C'è un grande timore ad addentrarsi nell’entroterra. I greci cominciano a diffondersi in queste terre, sono distanti a volte tra loro, ma tutti i Greci sono coscienti di appartenere ad un’unica cultura, e si sentono superiori agli altri popoli. Altrove vivono comunità greche che coesistono con altri popoli, più o meno pacificamente. Quando i Greci entrano in contatto con popolazioni più primitive o arretrate, tendono sempre ad imporre la loro supremazia culturale, politica ed economica. Ma quando si trovano accanto a popoli progrediti, per esempio l’impero persiano, i greci devono accettare la dominazione di questo popolo, pur conservando una notevole autonomia civile e politica, e continuando a sentirsi superiori come civiltà. Civiltà comune non significa mai identità: ci sono differenze politiche, linguistiche, culturali e religiose tra le varie poleis greche. Per esempio, Sparta, Atene e Tebe sono molto diverse tra loro eppure hanno una civiltà comune, ma non si può però parlare di identità totale. I Greci erano così definiti dai Romani, erano conosciuti come Achei in epoca micenea -> nome che troviamo nei documenti ittiti e anche nei poemi omerici. Nel corso delle dark ages il termine utilizzato è quello di Elleni, sostituisce tutti gli altri e nel periodo del suo massimo sviluppo si conosce l’Ellade come nome, che si estende su un’area enorme. Gli Elleni si stanziano in un’area enorme che va dal litorale del Mar Nero, alle coste dell’Asia Minore, alle isole dell’Egeo, la Grecia, l’Italia Meridionale, la maggior parte della Sicilia, fino a Cirene, nord dell’Africa, e Marsiglia, in Francia. L'Ellade è vasta, ma non si tratta di un’unità politica, ma di un mondo culturale unito. 4. 08 /03 – ETA’ ARCAICA E SECONDA COLONIZZ AZIONE Periodo arcaico. Come si evolvono la società e la civiltà greca nel periodo compreso tra l’VIII e il VI sec a.C.? In questo periodo riprendono i commerci, che con gli sconvolgimenti che si verificano all’inizio delle dark ages vengono meno, e si attua la II colonizzazione, fondamentale e importantissima per il mondo greco. Come prima conseguenza della ripresa economica (grazie a commercio e colonizzazione), in questo periodo si sviluppa una borghesia mercantile avanzata, che contrasta fortemente il predominio aristocratico. Questa classe sociale diventa sempre più forte e cerca di far diminuire il potere degli aristocratici. I vecchi regimi nobiliari entrano piano piano in crisi durante la fase arcaica, e vengono sostituiti da nuovi ordinamenti socio-politici. Anche le leggi, che venivano interpretate arbitrariamente dagli aristocratici al potere, vengono riformate e scritte, fissate in codici scritti. Il potere statale si rafforza, mentre la classe aristocratica perde gran parte dei propri privilegi. Nasce la polis, la città-stato, quella forma di governo che esprime una serie di valori politici attuali anche oggi, per esempio il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, il diritto-dovere dei cittadini 7 riconoscere diversi privilegi, per esempio conservano le loro credenze, le leggi. Anche i commercianti ionici vengono attratti dal mondo egiziano. In Egitto non si può parlare di vera e propria colonizzazione da parte dei greci, perché questa è possibile solo in paesi più barbari, meno popolati. Ma i greci in Egitto si fecero apprezzare comunque e si fecero riconoscere diversi privilegi. Vengono accolti e possono vivere e portare in Egitto le loro tradizioni e leggi, ma non poterono mai colonizzare realmente la terra. In modo esclusivo fu a loro permesso di occupare la città di Naucrati: base della permanenza greca in Egitto. Tutti i Greci che provenivano da una medesima città costituivano un’associazione con i propri templi, leggi, etc. Nella città di Naucrati era concentrato tutto il commercio dei Greci con gli Egiziani. Come avveniva la migrazione? La colonizzazione avveniva senza le donne al seguito, ed era necessario che avvenisse in termini numerici per non creare squilibri nella madrepatria. Questi elementi suggeriscono che nei movimenti di colonizzazione di VIII e VII sec si sia trattato di iniziative ben organizzate e precedute da raccolte di notizie basate anche su missioni esplorative, così da garantire il successo dell’impresa. La località doveva garantire l’approvvigionamento del nuovo insediamento. Quindi lo spostamento era preceduto dall’indagine su notizie geografiche. Strabone, il geografo, scrive che in genere i coloni greci sceglievano zone provviste di risorse economiche, dove poter coltivare ulivo e vite, provviste di difese naturali, vicine al mare. Un elemento da non sottovalutare è l’aspetto sacro e religioso nella colonizzazione: secondo la tradizione antica, la parola divina degli oracoli, in particolare l’oracolo di Apollo a Delfi, esercitava una forte influenza sull’impresa (la destinazione, la rotta da seguire, la selezione del gruppo dei coloni, l’investitura del fondatore della colonia: il cosiddetto ecista). In alcuni casi queste informazioni erano esplicitamente richieste all’oracolo, altre volte date spontaneamente dalla divinità. Le regole della consultazione dovevano essere sempre rispettate, la mancata sanzione da parte di un oracolo poteva compromettere il successo della missione. Oggi si pensa che la consultazione degli orali poteva essere successiva all’avvio dell’impresa e alla partenza dei coloni. Alcuni “oracoli di fondazione” sono stati tramandati dalle fonti, probabilmente successivi alle fondazioni delle colonie. Il sacro svolgeva un ruolo molto importante. Nel campo della colonizzazione il sacro svolgeva un ruolo importante anche nella scelta dei luoghi sacri. Sul suolo colonizzato creavano anche nuovi riti e culti, per esempio quello del fondatore, culto eroico dell’ecista che si svolgeva presso la sua sepoltura, in genere nell’agorà, la piazza pubblica, a rimarcare la nuova identità del gruppo colonizzatore. Alcuni luoghi sacri erano creati extra-urbani, mirati a indicare la presenza greca sul territorio. Quando i Greci si dirigevano in luoghi sconosciuti, essi erano già abitati. Occorreva stabilire dei rapporti con i nativi del luogo. L'impianto delle colonie non avveniva su territori vuoti, ma già abitati. Le relazioni andavano dall’accordo, allo scambio reciproco in diversi ambiti, sia economico, che matrimoniale (evidenziato molto dalle fonti nel caso di Cirene), ma ci furono anche esiti violenti a volte: ci furono coloni che scacciarono i nativi, o nativi che scacciarono i colonizzatori, a volte i nativi venivano assoggettati e cadevano in schiavitù. Altri casi in cui la conflittualità con le popolazioni locali durò a lungo, come in Campania o in Puglia. In genere, l’insediamento di Greci si limitava alla fascia costiera e non implicava l’ingresso nell’entroterra. Tuttavia, l’area non greca subiva comunque delle trasformazioni culturali dovute alla presenza dei coloni greci. In alcune aree gli stanziamenti greci dovevano confrontarsi con culture, lingue, popolazioni locali e altre realtà politiche forti. Per esempio in Asia Minore dovettero confrontarsi prima con i Lidi e anche con i Persiani. In Sicilia si confrontarono con i Punici. Le nuove colonie di norma si basavano sulle leggi e sulle istituzioni della madrepatria; importanti erano i rapporti di parentela che si creavano tra varie poleis (per appartenenza a medesima stirpe o discendenza da un medesimo fondatore). In caso di guerra o problemi interni, si poteva ricorrere all’aiuto della città sorella. Le leggi non erano state scritte fino a questo momento, nelle colonie comincia a sentirsi l’esigenza di trascriverle, di realizzare un corpus legislativo che fosse rispettato da tutti e senza travisamenti. Zeleuco di Locri, Caronda a Catania secondo la tradizione trascrissero per primi le leggi. Successivamente, i loro ordinamenti (di Zeleucro e Caronda) vennero adottati anche nelle altre città. Importante nella colonia - definita apoikia - era la proprietà della terra. La colonia doveva consentire di reperire dei lotti di terreno che potessero essere distribuiti tra i cittadini coloni, 10 secondo un patto che garantisse la concordia e la prosperità: il terreno era diviso in lotti, che dovevano essere tutti uguali. Altro spazio pubblico importante era l’agorà, dove i cittadini dovevano riunirsi. Nella prima fase fu molto ordinata l’organizzazione della città, ma successivamente la polis si evolse, anche con l’arrivo di eventuali nuovi coloni. Questi arrivi comportavano dei mutamenti anche nel regime della terra, che andavano regolamentati con nuove distribuzioni di terre. Nelle colonie si verificavano contrasti per questi motivi, sebbene leggi cercassero di pacificare la situazione. Non tutte le iniziative furono coronate da successo: dalle fonti si estrapolano anche esempi di decolonizzazione. Avveniva a volte, quando sul breve termine risultava impossibile consolidare l’insediamento in modo da renderlo definitivo, il ritorno in madrepatria. Altre volte nel tempo la colonia, per problemi interni o legati al contesto, veniva meno autonomamente. Ci sono casi anche di estirpazione violenta delle colonie, sia per tensioni interne che per eventi esterni. Himera, per esempio, viene distrutta dai Punici nel 409 e non venne più ricostituita. Altre tensioni interne al mondo greco portano all’estirpazione delle colonie: è il caso di Sibari che viene distrutta dalla rivale Crotone nel 510 a.C., per contrasti e tensioni interne. Altri casi tramandano il lento declino di alcune colonie, a seguito della prevalenza delle popolazioni circostanti, per assimilazione culturale o per crisi demografica. Alcune colonie si barbarizzano: per esempio Posidonia, Paestum, si barbarizza, assumendo i caratteri della cultura locale. Le apoikìe (colonie greche), a differenze delle colonie romane e delle clerukìe ateniesi (che sono colonie attiche che potrebbero essere definite estensioni del territorio nella zona stessa dell’Attica), mantennero una certa indipendenza e autonomia, dal punto di vista politico, ma conservano con la madrepatria vincoli religiosi, morali ed economici. I vincoli di affetto rimangono sempre, ad eccezione di Corcira che non accetta la sua madrepatria. In Grecia la colonizzazione portò una serie di vantaggi: in madrepatria portò un impulso alla produzione artigiana (nel VII sec la ceramica corinzia si diffuse in tutto il Mediterraneo), al commercio, alla navigazione (le prime triremi di cui abbiamo notizia vennero costruite a Corinto durante la colonizzazione alla fine dell’VIII sec a.C.). L'impulso dato ai vari settori contribuì a far uscire il mondo greco da un’economia prettamente agricola e caratterizzata da scambi in natura tra popoli vicini, a vantaggio del progredire della civiltà greca. Per realizzare la colonizzazione, i Greci si erano sparsi per tutto il bacino del Mediterraneo, e anche fuori, fino alle rive del Mar Nero. Platone scrisse nel Fedone che quando i Greci si stanziano in vari luoghi, fondano tante poleis e si trovano come rane intorno ad uno stagno, ossia il mare Mediterraneo. Le città che più fiorirono, in base allo studio delle fonti, sono quelle della Sicilia e dell’Italia Meridionale, tanto che queste ultime si guadagnarono il nome di Magna Grecia, quasi costituissero una Grecia ancor più grande di quella vera e propria. Sibari, per esempio, prima di entrare in conflitto con Crotone, aveva la fama di città più ricca e raffinata di tutto il mondo greco, non solo di quello coloniale. Siracusa diventò la maggiore potenza greca, già nel VI secolo poteva vantare di avere una popolazione numerosissima, di ben 100mila abitanti. Cirene in Africa conservò a lungo la monarchia ereditaria dei Battiadi, divenne uno dei centri più splendidi della civiltà greca. Anche in queste colonie prevalsero prima le aristocrazie dei grandi proprietari terrieri; come a Siracusa, dove i proprietari terrieri avevano sotto il loro dominio gli indigeni sottomessi, diventati schiavi dei greci. Uno dei motivi della colonizzazione fu quello di allontanarsi dalla patria e dalle tensioni sociali, perché in madrepatria le oligarchie avevano oppresso molto le popolazioni che vanno via; nelle colonie dunque si prediligono forme di governo più democratiche. Proprio uno dei segni di questo mutamento si ebbe quando fu deciso di pubblicare i codici scritti delle leggi, così che non ci fossero interpretazioni arbitrarie e parziali da parte degli aristocratici. Le prime pubblicazioni di leggi le abbiamo proprio in Italia meridionale e in Sicilia. 11 5. 10 /03 – SOCIETA’ E INNOVAZI ONI NELL’ETA’ ARCAICA, ATENE NEL VII SECOLO Nonostante le distanze enormi per gli antichi che separavano le varie regioni in cui i greci si erano stabiliti, non venne mai meno l’unità del mondo greco. I greci si sentivano sempre greci, ovunque si trovassero. Ciò che avveniva in un luogo era sempre conosciuto, appreso, a volte imitato in altri luoghi dove abitavano greci. Le relazioni tra città e città erano continue: relazioni tra colonie e madrepatria e relazioni commerciali. Le relazioni commerciali si fanno più frequenti con l’invenzione della moneta: la moneta, stando alle fonti sia letterarie che archeologiche, è avvenuta in Lidia nel VII sec. La Lidia si trova sull’Asia Minore (Regno di Lidia), dove c’è la città di Sardi, capitale della Lidia. Quando i Greci giungono lì, trovano l’Impero. La moneta nasce dalla fabbricazione di piccoli dischi di oro o di argento, soprattutto di argento in Grecia, i quali avevano un peso, quindi un valore ben preciso. Grazie all’invenzione della moneta si era inventato uno strumento che aboliva la necessità di cambiare direttamente gli oggetti, perché ognuno sapeva che possedendo un certo numero di monete, avrebbe potuto comprare determinate cose. L'invenzione della moneta facilita i commerci, perché viene meno il peso degli oggetti che andavano scambiati, anche tra regioni molto lontane. Così ci si spiega come Mileto nella Ionia e Sibari nell’Italia Meridionale erano legate da traffici continui ed intensi nonostante le distanze. C’erano altri modi in cui i Greci si incontravano nonostante le distanze e differenze: per esempio, oltre ai commerci, un’occasione è offerta dalle feste religiose. L'unità del mondo greco si rivela in maniera diversa. Le feste religiose riunivano periodicamente i rappresentanti o di tutti i Greci o di particolari stirpi greche: per esempio, in occasione delle Olimpiadi si tenevano ogni quattro anni ad Olimpia (in Elide, Peloponneso) in onore di Zeus. Si celebravano, oltre che cerimonie religiose, anche gare sportive: la lotta, il pugilato, la corsa a piedi e con il carro. Era ritenuto un grandissimo onore parteciparvi e vincervi. Le leggi stabilivano che in occasione delle Olimpiadi le guerre dovevano essere sospese, perché tutti i greci potessero parteciparvi. Le Olimpiadi sono importanti perché i Greci computavano il tempo proprio grazie alle Olimpiadi: l’Olimpiade era anche l’intervallo di tempo pari a quattro anni che intercorreva tra una festa olimpica e la successiva. Erano state introdotte nel 776 a.C. (prima Olimpiade cronologica: 780-776), i Greci potevano far riferimento agli anni delle Olimpiadi per fissare cronologicamente un evento. Le feste olimpiche hanno più finalità per gli studiosi. Un modo per incontrarsi era la partecipazione anche ad altre feste analoghe, come le feste a Delfi ogni quattro anni in onore del dio Apollo, dette Pitiche (in onore di Apollo Pitico); in Argolide nella valle Nemea ogni tre anni si tenevano delle feste in onore di Zeus, le Nemee; poi si tenevano ogni due anni le feste sull’istmo di Corinto, le Istmiche, in onore di Poseidone. L'importanza è dimostrata dal fatto che i poeti le celebravano e celebravano i vincitori delle gare come eroi (Pindaro). Le feste a Delo riunivano gli Ioni, i greci di stirpe ionica, erano organizzate dalle anfizionie, ovvero delle associazioni che raccoglievano un certo numero di popoli greci intorno ad un santuario, i quali si radunavano periodicamente per deliberare su questioni religiose, ma a volte anche politiche o di interesse comune alle varie città che ne facevano parte. L'anfizionia di Delo è meno importante di quella di Delfi, di maggiore importanza, che si riuniva in un santuario vicino alle Termopili. All’inizio del VI secolo la sede venne trasferita a Delfi, anche se – dato che l’anfizionia delfica prevedeva due assemblee all’anno – una riunione si teneva presso Delfi e l’altra presso il santuario vicino alle Termopili. 12 l’antica Attica possiede risorse naturali come argilla, il marmo del Pentelico, le miniere d’argento del Laurio. Il territorio di Atene era abitato nei tempi più antichi, già nell’età neolitica. Un palazzo miceneo sorgeva sicuramente sull’acropoli di Atene. Secondo la tradizione Atene venne risparmiata dall’invasione dorica, anzi Atene accoglie profughi da altre regioni. Da qui molti si imbarcano per fondare colonie durante la prima colonizzazione, portando con loro abitudini e lingua simili a quelli degli Ioni, degli ateniesi. È una tradizione dubbia. Con certezza esisteva una rete di rapporti culturali tra l’Attica e l’Egeo, anche confermati dalla presenza di vasai ateniesi in queste zone. In Attica sin dalle dark ages si costituisce uno stato piuttosto vasto, con grande capacità di attrazione delle comunità circostanti. Nelle dark ages il potere passa pian piano dai re agli aristocratici. Anche in Attica verso la fine dell’VIII secolo i re vengono sostituiti da arconti, che sono dei magistrati elettivi. Lo stesso Tucidide ci racconta dell’evoluzione e della storia di Atene. Come scrive Tucidide gli Ateniesi erano governati da re all’inizio, e per Atene il primo re leggendario è Cecrope secondo la tradizione storiografica antica, il quale fondò una dodecapoli, dodici città nell’Attica destinate a confluire nel sinecismo del famoso Teseo. Lo fece per dare riparo alle popolazioni dell’Attica contro le incursioni dei Carii, abitanti della Caria, e Beoti. Cecrope venne poi divinizzato, onorato insieme al figlio Eretteo, che pure aveva regnato in Attica, nel tempio costruito sull’acropoli di Atene (il cosiddetto Eretteo), iniziato da Pericle, ma ultimato verso il 410. Sia Cecrope che Eretteo furono gli eponimi di due delle dieci tribù in cui venne diviso il territorio dell’Attica in seguito. L’attica venne divisa in delle tribù, le tribù avevano dei nomi, due di queste vennero chiamate con i nomi di Cecrope ed Eretteo. Secondo la tradizione Teseo vive nella metà del XIII sec a.C., mitico re di Atene a cui si attribuisce il sinecismo, cioè l’unificazione politica dell’Attica che diventa un unico stato. Il sinecismo dovrebbe essere avvenuto gradualmente, avvenuto con l’opposizione di alcune città. Si dovrebbero spiegare in questo modo le guerre combattute tra Atene ed Elèusi, conclusesi nell’VIII sec. Sono notizie un po’ incerte. Dopo Teseo, che muore verso la fine del XIII sec, si succedono almeno altri sette re ad Atene, fino a Medonte o Acasto, a cui segue la dinastia dei Medontidi, che la tradizione ricorda o come una serie di re o come arconti a vita tra il 1069 e il 753 a.C. Dal 753 al 683 assistiamo ad un periodo in cui gli arconti hanno il potere ad Atene ma sono arconti decennali, rimangono in carica per dieci anni. Nel 683 comincia il periodo degli arconti annuali. Il primo arconte annuale (dal 683 al 682) è Creonte. A partire dagli arconti gli anni venivano indicati in base all’arcontato di un dato arconte, in particolare l’arconte eponimo. Gli arconti erano nove: l’arconte eponimo era il più importante (che dà il nome all’anno ed è il capo civile e garante della proprietà; a Sparta invece l’eforo dava il nome all’anno, a Roma i consoli); arconte basileus (re, che sovrintendeva solo ai riti sacri); arconte polemarco (è il comandante militare), sei tesmoteti (arconti custodi delle leggi e consiglieri degli altri magistrati). Gli arconti detenevano grande potere. Le funzioni legislative e giudiziarie erano affidate all’Areopàgo, ossia il consiglio dei nobili, formato da ex arconti. Esisteva anche un’assemblea, prima delle riforme di Solone e Clistene, detta ecclesìa, che non aveva grandi poteri nel VII secolo, perché il potere era sempre concentrato nelle mani dei nobili. Nel VII sec Atene venne sconvolta da disordini sempre più gravi, i vasai ateniesi perdono la loro egemonia nel settore artigianale a causa della concorrenza dei corinzi; i nobili sono sempre più dispotici nei confronti delle classi subalterne; i piccoli contadini si indebitano di più, le calamità naturali avvengono all’ordine del giorno in un terreno già povero, i contadini perdono la terra e diventano schiavi dei ricchi per debiti, anche per la povertà insita alla terra stessa dell’Attica. A volte venivano anche venduti agli stranieri. Lo stato di Atene in questo periodo era troppo debole per controllare i gruppi degli aristocratici, che tra loro combattono per detenere il potere. Nel 632 Cilone, uno dei capi aristocratici, tenta - senza successo - di instaurare la tirannide ad Atene. Il tentativo fallisce soprattutto ad opera di un’altra famiglia aristocratica, quella degli Alcmeònidi (Clistene, Pericle, Alcibiade). Cilone era genero del tiranno Teàgene di Mègara. La famiglia dunque aveva già esempi di tirannide. Ci sono delle contraddizioni, tuttavia, in merito alla cronologia delle fonti relative ai due personaggi. Parlando di Cilone, lo nomineremo ancora quando vedremo scontrarsi Ateniesi e Spartani con alle spalle i loro alleati durante la guerra del Peloponneso. In questo periodo, infatti, fu commessa un’empietà molto grande: i ciloniani si erano rifugiati nell’acropoli vicino al tempio, e stavano 15 cedendo per fame agli ateniesi che li assediavano guidati dagli Alcmeonidi. Gli Alcmeonidi promettono ai ciloniani di salvare loro la vita se si fossero arresi. Loro lo fanno, ma vennero ugualmente uccisi, per giunta vicino a un luogo sacro. Gli Alcmeonidi si tacciano di una grande empietà: in un luogo sacro, infatti, non poteva essere ucciso chi supplice si recava a chiedere protezione. 6. 12 /03 – ATENE IN ETA’ ARCAICA Dracone verso il 621/20 fissa un codice di leggi scritte. La sua figura è sicuramente storica, le fonti ce ne parlano con sicurezza, dà vita alla prima legislazione scritta di Atene. Aristotele ci presenta la legislazione di Dracone come una costituzione timocratica, differente dalle precedenti perché si basava sul censo e non sulla nobiltà di sangue come le precedenti. Questo codice di leggi non riuscì ad evitare i disordini e le lotte sociali di Atene, ma tenta di migliorare la situazione delle classi inferiori. È il primo passo per lo smantellamento dei privilegi degli aristocratici, ci sono delle leggi scritte che finalmente regolano la vita degli Ateniesi, di qualunque classe sociale. Il codice purtroppo non ci è pervenuto, non abbiamo molti riferimenti per ricostruirlo. Viene accennato dalle fonti antiche che a Dracone potrebbe risalire l’istituzione del Consiglio del Quattrocento, ma si tratta probabilmente di una testimonianza falsata dagli oligarchici Ateniesi della fine del V secolo, affinché il consiglio avesse poi maggior credito. All'inizio del VI sec abbiamo testimonianza del grande legislatore Solone, che prova a riappacificare gli animi ad Atene. Egli viene eletto arconte, secondo fonti come Diogene Laerzio nell’anno 594-593, secondo Aristotele invece nel 592-591. Solone era un aristocratico che viene eletto come arconte unico, detto riconciliatore, o diallaktès che significa arbitro tra le parti sociali, per sanare quelle discordie che tormentavano Atene. Solone era un aristocratico, ma pur appartenendo ad una classe privilegiata, è un uomo di larghe vedute: ha viaggiato molto, è stato comandante militare nella battaglia di Salamina del VI secolo tra Atene e Mègara. Possiamo conoscere meglio la sua personalità e le sue azioni grazie ad Aristotele ma anche a Plutarco, che ne scrive una vita di Solone, ma anche grazie alle poesie stesse di Solone, che scrisse delle poesie elegiache. Ci lascia delle indicazioni sulla sua riforma e operato, quando ricopriva l’incarico di arconte. La prima riforma di Solone è la seisàchteia, cioè scuotimento di pesi, i pesi in questo caso sono i debiti contratti per via della povertà dei contadini. Solone abolisce i debiti contratti per povertà e la schiavitù per debiti, i cittadini Ateniesi dovevano tutti essere liberi. Riscatta anche molti cittadini venduti come schiavi all’estero. Gli aristocratici, tra l’altro, estendevano i loro possedimenti appropriandosi anche indebitamente di demanio pubblico: Solone riprese i territori, fissando i confini che appartenevano allo stato e quelle che appartenevano ai latifondisti. Non ridistribuì le terre ai contadini, la riforma non è ancora così democratica, ma è comunque un primo passo importante verso la democrazia che sarà instaurata da Clistene. Le terre ad Atene erano nelle mani di un gruppo ristretto di cittadini, gli aristocratici detti Eupatridi. Una parte di coloro che coltivavano in condizione di affittuari a un certo punto viene ridotta addirittura in schiavitù per i debiti contratti. Questi affittuari erano definiti hektèmoroi, cioè quelli della sesta parte, i quali non si sa ancora se avevano l’obbligo di versare un sesto del loro prodotto ai proprietari terrieri, oppure se potevano conservare per loro un sesto del raccolto (non è ancora chiaro, la seconda ipotesi è quella più seguita). Solone si occupa anche di altri aspetti: in ambito economico favorisce la produzione dell’olio di oliva e proibisce l’esportazione dei cereali, perché l’Attica ne produceva già pochissimi. Incoraggia il commercio e l’artigianato, colpisce il lusso degli aristocratici e ne limita lo strapotere. Riforma anche il sistema monetario. Non ridistribuisce però le terre ai contadini, e forse delude chi lo aveva eletto per questo. 16 Per quanto riguarda la riforma dei pesi e delle misure (seisàchteia), viene sostituito il sistema ponderale eginetico (utilizzato ad Atene fino a questo momento) con il sistema ponderale euboico. Nell’Eubea (isole ad est dell’Attica) ci sono le città di Calcide ed Eretra, che con l’attività coloniale avevano diffuso il loro sistema di pesi e misure anche in Occidente. Con questa riforma Solone mirava a fare di Atene una città commerciale, avviandola sulle grandi rotte del Mediterraneo che la renderanno poi più potente. Solone poi realizza un’altra riforma molto importante a livello socio politico: superando la tradizionale divisione della società tra nobili e ceti inferiori, Solone fonda un regime timocratico (da timè, censo) che era basato sulla ricchezza, sul reddito misurato in prodotti e introiti agricoli. La riforma sociale non tiene conto delle altre attività che si stanno sviluppando, come il commercio o l’artigianato. In base al reddito agricolo i cittadini vengono divisi in quattro classi, che comprendono: la prima classe, i pentacosiomedimni, che ricavano dalle proprie terre un reddito di almeno 500 medimni annui (il medimno è una misura di peso, usata per il grano; metreti è invece l’unità di misura per liquidi come vino o olio); alla seconda classe appartenevano invece gli hippeis, i cavalieri, dal reddito di 300-500 medimni annui; gli zeugiti dal reddito 200-300 medimni annui (da zeug, aggiogare, cioè chi possedeva un giogo dei buoi); e poi c’erano i teti, i nullatenenti, i lavoratori dal reddito inferiore ai 200 medimni annui. In base all’appartenenza alla classe, il cittadino ateniese poteva accedere alla vita pubblica e ricoprire determinate cariche politiche e militari. La prima classe aveva più potere, ma ben presto anche i cavalieri potevano rivestire le cariche più alte come l’arcontato e potevano far parte del collegio dei tamìai, i tesorieri della dea Atena e della città di Atene. Gli zeugiti potevano rivestire la magistratura degli undici, che si occupava di incarichi di polizia e di esecuzioni capitali. Gli zeugiti sono la classe media, rappresentata anche dagli opliti. I teti, nullatenenti, non avevano diritto a ricoprire delle cariche pubbliche, ma avevano diritti elettorali attivi, esercitati nell’ambito dell’assemblea, che ad Atene è quella dell’ecclesia. Tutti i cittadini, anche i Teti, avevano diritto di parola nell’assemblea e anche nel tribunale popolare, l’Eliea, che pare sia stato istituito da Solone. Questo tribunale popolare era incaricato di giudicare i delitti che interessavano la comunità. L'assemblea (l’ecclesia) non aveva grandi competenze fino ad allora, mentre ora acquista un potere più reale grazie alla riforma. Diventerà molto importante con la riforma di Clistene. Gli appartenenti alle prime tre classi dovevano provvedere da soli al proprio armamento personale. Versavano anche dei contributi allo stato in proporzione ai loro redditi. A maggiori obblighi corrispondevano maggiori poteri, sia in pace che in guerra. I teti invece erano esclusi da ogni funzione direttiva. Con questa riforma Solone elimina la vecchia polis oligarchica e aristocratica, la polis ateniese cambia totalmente aspetto. Lascia però intatto in tutte le sue prerogative l’Areopago, il consiglio dei nobili. Questa riforma fu molto importante, perché grazie ad essa il popolo pian piano riuscì a partecipare attivamente alla vita politica. Bisogna però sottolineare che la riforma non rispecchia appieno la nuova società ateniese, perché esclude le classi sociali degli artigiani e dei commercianti, che pure hanno delle ricchezze ma che non provengono dall’agricoltura, e non provenendo dall’agricoltura non possono accedere alle magistrature. Lo stesso Solone scrive nei suoi versi di odiare gli estremismi, è un moderato, il suo scopo è alleggerire i contrasti e la pressione sociale. Dopo che realizza la sua riforma, avrebbe potuto diventare un dittatore, perché molto appoggiato da chi favoriva il ridimensionamento dei poteri degli aristocratici, ma Solone non volle ciò. Egli voleva sanare la situazione della sua città e poi allontanarsi dalla politica. Infatti fa questo, dopo l’anno di arcontato parte, va in Egitto, si allontana anche da Atene sperando però che la sua riforma si conservi e dia i suoi frutti. Ma nonostante la riforma rimanga ufficialmente in vigore, non risolve le tensioni sociali che la città di Atene, sempre più dinamica e in rapida crescita aveva. Le rivalità tra gli aristocratici diventano sempre più forti. L'Attica è geograficamente divisa in tre parti: la parte vicino alla costa, la pianura e la montagna. La divisione naturale del territorio porta una divisione politica, che ai tempi di Solone vede rappresentanti delle tre parti nei: pediei, rappresentanti della pianura, i grandi proprietari della ragione ricca; diacri, la diacrìa è la zona della collina e soprattutto della montagna, la zona montuosa del Parnete e del Pentelico; pàrali, i rappresentanti della paralìa (della costa), sono commercianti, marinai, artigiani, classi che si stanno arricchendo pian piano grazie alle loro attività. I contrasti tra 17 Cleomene in sostegno di Isagora; e l’attacco contemporaneo della coalizione beotico- calcideseeginetica, tre regioni che non vedono di buon occhio la costituzione che si sta stabilendo ad Atene. Gli attacchi sono quasi contemporanei. Egina, isoletta vicino l’Attica, era sempre ostile e rivale ad Atene. In questo momento Egina si lega ai Beoti e ai Calcidesi in una coalizione per sovvertire l’ordine che Clistene stava stabilendo. Gli Ateniesi riescono a respingere entrambi gli attacchi. Respingono anche un altro attacco nel 500 a.C., un nuovo tentativo compiuto da Cleomene, questa volta a favore dei Pisistratidi. Cleomene è disposto a far ritornare Ippia pur di far cadere la costituzione che Clistene aveva ideato. Cleomene era d’accordo anche con i Tèssali. Anche questo tentativo cade, perché il popolo ateniese riuscì a sventarlo. Negli anni immediatamente successivi, alla vigilia delle guerre persiane che iniziano intorno al 490, Atene è rappacificata con Sparta (nonostante i tentativi di Cleomene) ma in piena lotta con Egina. La riforma di Clistene rimane in piedi per almeno due secoli e mezzo: propone di accentrare tutto il potere nelle strutture statali (sottraendolo agli aristocratici) per affidarlo concretamente al demos. Clistene divide l’Attica in demi, che sono piccole unità territoriali dove i cittadini sono iscritti, e forse sono iscritti anche i forestieri residenti, i cosiddetti metèci. Il termine demos in greco è usato in diverse accezioni, può indicare il popolo nel suo insieme oppure il popolo riunito in assemblea, quindi il popolo come assemblea politica. Pertanto, in questa accezione può essere sinonimo di ecclesia. Un altro significato che può avere il termine demos è quello di “insediamento di dimensioni molto limitate”, quindi sinonimo in questo caso di kòme, che significa “villaggio”. Dopo le riforme di Clistene, ad Atene il termine demos acquista anche un altro valore, un significato tecnico, indicando un’unità territoriale, politica e amministrativa. I demi che vengono creati sono tanti, a ciascuno è attribuito un nome, secondo Aristotele il nome di ogni demo derivava dalla toponomastica dei villaggi precedenti o dal nome del fondatore. Il demo era importante perché il cittadino ateniese doveva essere chiamato in questo modo: con il patronimico, il nome del demo e la tribù a cui poteva appartenere. Strabone parla di un totale di 174 o 170 demi, Erodoto invece scrive che in Attica c’erano 100 demi, la critica odierna sostiene l’ipotesi di 139 demi in tutto il suolo attico. L'idea di Clistene era quella di sostituire il patronimico con il demotico, cioè il cittadino doveva essere denominato non con la famiglia di appartenenza, ma con il nome del demo, dell’unità territoriale a cui apparteneva. Per quanto riguarda la dimensione dei demi, secondo quanto si evince dalle fonti: i demi più densamente popolati erano anche quelli meno estesi. Laddove la densità della popolazione era minore, i demi erano più grandi in modo che in ogni demo ci fossero circa lo stesso numero di abitanti. La maggior parte dei demi si trova nelle zone extraurbane della paralìa e della pedìa (della costa e della pianura, le zone più ricche). Lì il territorio risulta più fittamente popolato. 7. 15 /03 – LA RIFORMA DI CLISTENE AD ATENE La riforma di Clistene viene minata da assalti esterni ed interni: da una parte Isagora, aristocratico tornato dall’esilio con Clistene dopo la cacciata dei Pisistratidi; dall’altra Cleomene re di Sparta, che aveva appoggiato il ritorno di Clistene pensando che sarebbe stato poi instaurato un governo oligarchico e aristocratico, e non un governo completamente nuovo e prettamente democratico. Cleomene ritorna poi appoggiando i Pisistratidi. La costituzione però resiste, anche perché il popolo ateniese è cosciente di quanto sia importante la riforma clistenica. Clistene a un certo punto scompare dalle fonti, probabilmente viene mandato in esilio, ma la sua riforma invece rimane. L'Attica, già dal punto di vista fisico, era divisa in tre parti, che vengono ulteriormente divise in demi, piccoli distretti e unità territoriali. All’epoca di Solone l’attica era divisa in diacrìa (la montagna, la più povera), pedìa (pianura, zona prospera e agricola), paralìa (la costa, zona commerciale, marinara e artigiana). Queste divisioni 20 vengono riprese. Dei tre gruppi politici (pedièi, pàarali e diàcri) nella riforma clistenica resta traccia. Con Clistene la parte che veniva compresa nella pianura è definita astu, cioè la città. La parte montagnosa, corrispondente alla diacria, ora viene definita mesògaia, è l’interno. La paralia è la parte costiera e corrisponde a quella precedente. Ognuna di queste parti viene divisa da Clistene in dieci distretti, definiti trittìe, in tutto trenta, che risultano poi raggruppati a tre a tre per formare le tribù, in tutto dieci. Ogni tribù è formata da tre trittie, una della paralia, una della mesogaia, e una dell’astu. In questo modo si formano dieci tribù che rappresentano tutte e tre le caratteristiche socioeconomiche dell’Attica. Da questo punto di vista, la tribù può diventare la base dell’ordinamento politico e militare ateniese. In questo modo, i nobili che abitano la città (l’astu), che sono nella fertile pianura, perdono molta importanza perché sono dispersi nei distretti e nelle tribù e non costituiscono più un pericolo per la democrazia, non potendo appoggiarsi più su una base forte che possa permettere a qualcuno di loro a diventare tiranno. La riforma di Clistene mira ad evitare che un cittadino possa, impossessandosi del potere, instaurare la tirannia. I demi diventano fondamentali per il cittadino ateniese, Clistene mirava ad eliminare il patronimico per sostituirlo con il demotico (nome del demo di appartenenza). Clistene non riesce in ciò, perché gli ateniesi non si staccano dal patronimico, ma al patronimico viene aggiunto il demotico e il nome della tribù d’appartenenza. Le tribù non sono più quelle gentilizie dell’epoca di Solone, in cui c’erano quattro tribù: gli Argadei, Egicorei, Geleonti e Opleti. Queste quattro tribù gentilizie vengono sostituite con le dieci tribù a base territoriale. L'accorpamento delle trittie avveniva tramite sorteggio. I cittadini ateniesi erano mescolati, e così non potevano appoggiarsi su una parte forte. Per Clistene, scrive Aristotele, la parola d’ordine è mescolare, cioè rendere impossibile o inutile la ricerca delle origini familiari di ciascun cittadino. Bisognava classificare ciascuno secondo il demo in primis, la cellula vivente dello stato, e attraverso anche lo strumento della tribù costituisce il quadro organizzativo fondamentale di questa nuova polis che si sta sviluppando. Le tribù avevano dei nomi di formazione aggettivale, derivanti da nomi di antichi re o eroi dell’Attica. I dieci nomi vengono scelti da una rosa di cento nomi dalla Pizia, la sacerdotessa di Apollo Pitico (oracolo di Delfi) e in loro onore è eretto un monumento al centro dell’agorà. I nomi dei leggendari Cecrope ed Eretteo diventano due nomi di tribù dell’Attica: tribù Cecropide, Eretteide; poi Acamantide, Pandionide, Leontide, Egeide, Eneide, Ippotontide, Aiantide, Antiochide. Ogni tribù deve fornire alla polis ateniese dei suoi cittadini. Ogni tribù ad esempio deve organizzare un reggimento di opliti, definito taxis, quindi dieci taxis in tutto, e anche un tassiarca, cioè il comandante della taxis. Ogni tribù doveva fornire un arconte, però sappiamo che gli arconti dovevano essere nove, invece le tribù erano dieci: a turno ogni anno una tribù forniva un grammatèus, un segretario. Doveva fornire anche uno stratego, in totale erano dieci, uno per tribù. Più tardi gli strateghi (che forse esistevano già come carica dal tempo di Pisistrato) diventano la suprema carica politica e militare dello stato ateniese. In un secondo momento vennero eletti non soltanto per tribù, ma in generale tra tutta la popolazione, perché dovevano essere i migliori tra i cittadini. Dovevano essere sorteggiati (sorteggiati e non eletti) tra i cittadini della tribù 50 cittadini che avessero già compiuto 30 anni da inviare ad Atene come membri del Consiglio dei Cinquecento, definito Boulè (composto dunque da 50 cittadini per tribù). Il sorteggio è casuale, la casualità veniva temperata da un esame preliminare fatto ai cittadini eletti e definito dochimasìa: escludeva gli inetti e gli indegni (macchiati di empietà). Il rapporto con gli organismi elettivi degli arconti e degli strateghi poteva un po’ parare i colpi di un’elezione così casuale: i cittadini della boulè dovevano gestire e governare lo stato, non potevano essere degli inetti. C’erano dei modi escogitati dagli ateniesi per controllare le competenze dei Bouleuti, che restavano in carica un anno, in modo tale che nessuno potesse in qualche modo corrompersi restando per più anni. I requisiti per l’eleggibilità erano principalmente due: il possesso della cittadinanza ateniese, che fino all’epoca di Pericle era posseduta anche da figli di almeno un genitore ateniese (per questo il numero era molto elevato); il compimento del trentesimo anno di età. Per favorire il ricambio, la carica di Bouleuta poteva essere ricoperta da un cittadino soltanto due volte e mai in anni consecutivi. A partire dal 501-500 a.C., stando ad Aristotele, al momento di prendere possesso del loro mandato i Bouleuti dovevano impegnarsi con un giuramento, probabilmente sempre lo stesso che era stato 21 stabilito già dalla fine del VI secolo. Il testo non ci è pervenuto, ma il contenuto è individuabile per testimonianza indiretta, che tuttavia non dà la certezza del fatto che il giuramento fosse rimasto invariato dal 500 al IV secolo. Il giuramento prevedeva affermazioni di lealtà civica, non commettere azioni di tradimento o sovvertimento della democrazia, prevedeva un impegno a rispettare le responsabilità e i doveri richiesti dal loro mandato nell’esercizio della carica, ogni Bouleuta doveva sottoporsi alla dochimasìa che veniva tenuta dalla Boulè uscente nei confronti dei nuovi Bouleuti. La funzione di Bouleuta era importante ed esigeva una disponibilità totale da parte del cittadino. Non tutti potevano dedicarsi alla vita politica, perché se non avevano abbastanza fondi e denaro, non potevano non lavorare. Con Pericle (metà V secolo), infatti, si assiste alla riforma che porta all’istituzione di una paga, detto misthòs bouleutikòs, una paga per la partecipazione alla Boulè, che nel IV sec ammontava a cinque oboli al giorno per i Bouleuti; per i Pritani corrispondeva a sei oboli. (6 oboli = 1 dracma; 100 dracme = 1 mina; 60 mine = 1 talento) Chi erano i Pritani? La Boulè non operava collegialmente: non potevano riunirsi ogni giorno 500 Bouleuti per discutere di ogni singolo problema che si presentava. I Bouleuti di ognuna delle dieci tribù (ossia 50 Bouleuti) a turno costituivano una specie di commissione direttiva, che si occupava degli affari correnti e imminenti. La sezione della Boulè nella sua decima parte si definiva Pritanìa che in quel momento si occupava degli affari correnti. Anche l’anno solare veniva diviso in dieci parti, ognuna delle quali pure si definiva Pritania. Dunque: la sezione della Boulè che operava in una delle dieci parti in cui era diviso l’anno, come pure la decima parte dell’anno in cui questa sezione svolgeva le sue funzioni, veniva chiamata Pritanìa. I Bouleuti in carica erano chiamati Pritàni, nel momento dell’anno in cui facevano parte della commissione della Pritania. I Pritani dovevano presentare poi a tutta la Boulè ciò che avevano discusso e stabilito. I Pritani, dunque, lavoravano un po’ di più e per questo avevano una paga maggiore. Inizialmente la divisione in dieci Pritanie coincideva con il calendario civile di 360 giorni, che diventavano 390 negli anni intercalari, quando vi era un mese in più. Ogni pritania quindi si svolgeva ogni 36 o 39 giorni negli anni intercalari. Alla fine del V sec, l’anno civile cambiò il numero dei giorni, ridotti a 354 o 384 per gli anni intercalari. Quindi, la coincidenza tra anno bouleutico e anno civile venne a mancare. All’interno della Pritanìa ogni giorno veniva sorteggiato l’epistàtes, cioè il presidente dei Pritani, il quale in quella giornata era una sorta di capo dello stato. Egli conservava le chiavi dei templi polìadi, nei quali erano depositati i tesori della città. In queste 24 ore presiedeva la Boulè e se c’era una riunione dell’Ecclesia, presiedeva anche questa riunione. Mentre la carica di Bouleuta era iterabile, la carica di epistates poteva essere ricoperta soltanto una volta nella propria vita. La durata giornaliera della massima autorità polìade riflette lo spirito egualitario della democrazia ateniese. Si concentrava molto potere nelle mani di quel cittadino in quelle 24 ore, ma l’alta concentrazione di potere era contemperata dalla rotazione giornaliera. La rotazione era affidata anche al sorteggio, che assicurava ancora di più la democrazia, e assicurava al numero più grande possibile di bouleuti l’opportunità di accedervi, così da mitigare il timore sempre presente ad Atene di tentativi di usurpazione e occupazione del potere. Nel IV secolo alla Pritania viene affiancato un collegio di nove Pròedroi, i funzionari soprintendenti della Boulè, sorteggiati in ragione di uno per ognuna delle nove tribù che non erano in carica nella Pritania (Pritania = una tribù su dieci). Il gruppo dei nove Proedroi prevedeva anche all’interno la scelta di un presidente dei Proedroi, epistate dei Proedroi, il quale dal 378-377 presiede le riunioni dell’ecclesia (al posto del presidente dei Pritani, che le presedieva prima del IV secolo). Per quanto riguarda l’attività della Boule, è attestato il lavoro dei segretari, i grammatèis. C’erano grammateis in carica ad ogni Pritania, scelti tra i bouleuti delle nove tribù che in quel momento non ricoprivano la Pritania; e c’erano anche i grammateis annuali. I grammateis dovevano partecipare alle riunioni della Boule e tra i grammateis annuali c’erano i “segretari delle leggi”, che presenziavano alle sedute del consiglio, trascrivevano tutte le leggi che venivano discusse e stilate (per essere poi sottoposte all’approvazione dell’Ecclesia); un altro segretario era incaricato di dare la pubblica lettura degli atti all’assemblea e al consiglio. Le distinzioni tra le mansioni dei vari grammateis sono varie. La sua figura è fondamentale, partecipa alle riunioni della Boule, è una figura tecnica e politica molto importante per l’attività pubblica che svolge. Il suo compito si collega alla 22 Il nuovo sistema di Clistene si dimostra adeguato al grado di sviluppo che Atene ha raggiunto, ed è capace anche di respingere gli attacchi esterni (di Isagora, dalla coalizione beotico-eginetico- calcidese, di Cleomene re di Sparta che vuole far rientrare i Pisistratidi ad Atene). Saranno pronti dopo pochi anni ad affrontare anche il nemico Persiano. L'elezione dei nove Arconti avviene nel tempo in maniera diversa: all’inizio l’Arcontato era elettivo, sotto Solone gli Arconti vengono eletti per sorteggio tra 40, 10 per ognuna delle 4 tribù del tempo di Solone. Da Pisistrato al 487 circa si ritorna all’elezione degli Arconti. Dal 487 al 457 e oltre, l’elezione degli arconti viene di nuovo realizzata tramite sorteggio tra 500 candidati dei vari demi. Aristotele scrive che a partire dal IV sec le elezioni degli Arconti avviene di nuovo per sorteggio ma tra 100 candidati, dieci per ognuna tribù. 8. 17 /03 – LA SOCIETA’ SPARTAN A Sparta è una città completamente diversa rispetto ad Atene, ha un’organizzazione diversa. La storia di Sparta è meno travagliata rispetto a quella di Atene. Nel panorama greco Sparta ha un sistema costituzionale molto differente: nel panorama degli ordinamenti statuali e delle forme di governo della Grecia classica, Sparta è un’esperienza unica. Questo sistema unico è indirettamente testimoniato dall’interesse che suscitò già nel V/IV sec, ci fu un dibattito teorico di cui abbiamo testimonianza. La specificità del sistema spartano è testimoniata dal ricordo di un numero elevato di scritti sulla sua costituzione, purtroppo andati perduti. Già ai tempi di Strabone (tra il I secolo a.C. e il I d.C.) la produzione letteraria relativa alla costituzione spartana era tale, così abbondante, da far ritenere superfluo a Strabone stesso dilungarsi sulla descrizione di questa costituzione spartana. Molte citazioni ci sono giunte anche nelle biografie scritte da Plutarco: nelle biografie di Plutarco di personaggi spartani ci sono molte citazioni sulla costituzione spartana. Plutarco è un autore più tardo, per cui desume le informazioni da autori precedenti che si sono occupati della storia delle istituzioni spartane. Anche queste citazioni danno ragione al giudizio di Strabone. Le fonti antiche avevano molto materiale per descrivere la costituzione spartana, purtroppo la maggior parte di quelle opere sono andate perdute. Tucidide, per esempio, è lo storico che scrive l’opera “La guerra del Peloponneso”, e grazie a lui abbiamo una descrizione puntuale – fino alla guerra della Ionia – della guerra del Peloponneso. Tucidide nel V libro scrive che non può dare un’esposizione precisa dell’organizzazione militare di Sparta, perché la politèia spartana è segreta, nascosta, per una deliberata scelta del governo spartano. Gli Spartani, infatti, costituivano una società chiusa. Dalla metà del V sec circa, in base alle poche fonti sappiamo che era già consolidata l’immagine dell’eunomìa, cioè il buon governo. Essa è caratterizzata da alcune qualità, dagli attributi di durata, stabilità, equilibrio, in conseguenza all’applicazione di leggi giuste ed efficienti, ci dicono le fonti. Tucidide stesso apprezzava la continuità della costituzione spartana, in vigore senza cambiamenti da 400 anni. Erodoto ascriveva i meriti della legislazione di Sparta a Licurgo. Già Aristotele nel IV sec esprimeva delle riserve nei confronti degli autori che esaltavano indiscriminatamente la costituzione spartana e il legislatore Licurgo. Polibio (II sec a.C.) criticava gli autori antichi per lo stesso motivo e li citava, ad esempio Eforo (IV sec), Senofonte (V-IV sec), Callistene (IV sec) e Platone, perché ammiravano ed esaltavano la costituzione spartana senza entrare nello specifico, senza esprimere giudizi critici o negativi. Un'opera che aiuta molto a ricostruire la legislazione e la costituzione di Sparta è un’opera di Senofonte, la “Costituzione degli Spartani”, una delle ultime opere scritte dall’autore alla fine della sua vita, collocata cronologicamente nella prima metà del IV secolo. La “Costituzione degli Spartani” di Senofonte rappresenta per noi la più antica trattazione organica della costituzione conservata integralmente. Senofonte è molto attendibile nella sue descrizioni, perché è molto vicino al mondo 25 spartano: partecipò direttamente a delle spedizioni militari spartane e soggiornò a lungo a Sparta: dagli Spartani ottenne anche una proprietà dove poté vivere per un certo numero anni. Fu amico personale del re spartano Agesilao. Ebbe dunque conoscenza diretta del sistema sociale e politico di Sparta. Esisteva una Costituzione degli Spartani, dei Lacedemoni, anche tra i 158 titoli delle costituzioni scritte da Aristotele. Ma essa non ci è giunta. Nella Politica Aristotele fa spesso citazioni al governo spartano e a scrittori contemporanei che si erano occupati di Sparta. In età ellenistica vennero scritte costituzioni su Sparta e cronache locali, definite Laconicà, relative alla citta di Sparta. Nel III secolo queste produzioni si diffusero, a tal proposito ricordiamo autori Dioscoride (allievo di Isocrate), Dicearco di Messene, Sosibio e Filarco, alla cui opera appartiene un’ampia citazione che viene riportata da autori successivi. Le nostre ricostruzioni di Sparta sono possibili anche grazie ai frammenti di questi autori che ci sono pervenuti. Sparta era molto ammirata per la sua costituzione e legislazione. Delle trattazioni monografiche rispecchiano questa ammirazione generale: ricordiamo l’Archìdamo, scritto da Isocrate nel V-IV sec; l’Agesilao di Senofonte. Molto utili sono le biografie plutarchee, inoltre Plutarco nell’opera Moralia ha conservato una testimonianza particolare, perché ha raccolto 416 detti celebri di spartani, chiamati Apophtègmata Lacònica, molti attribuiti ad Agesilao e quattro a figure femminili. Oltre a questi, Plutarco ci lascia gli Instituta Laconica, cioè 42 paragrafi che descrivono leggi e costumi della città di Sparta. Non è certo che le sentenze e i detti siano stati effettivamente pronunciati da personaggi spartani, però rispecchiano sicuramente il costume e la mentalità spartana. Alcune di queste frasi risalgono almeno al IV sec a.C., perché erano già note a Senofonte e a Platone che vivono in quel secolo. Queste frasi si inseriscono nella tradizione propria di Sparta in relazione alla Laconicità spartana, cioè la tendenza e l’abitudine a parlare in maniera pungente ma anche piacevole, racchiudendo in poche parole una ricchezza di pensiero, in modo che il discorso laconico, anche se breve, riesca a raggiungere la sostanza delle cose, colpendo la mente degli ascoltatori. C'è una mancanza di testimonianze epigrafiche relative agli istituti spartani. La trascrizione su epigrafe di deliberazioni, rendiconti, documenti ufficiali della città manca nelle attestazioni che provengono da Sparta almeno per il V e IV secolo. Da Sparta non giungono testimonianze. Ciò sembra confermare il carattere di segretezza di cui parlava Tucidide e che conferisce al sistema politico spartano la sua particolare fisionomia. Il quadro geografico di Sparta in età classica presenta uno stato territoriale molto ampio, comprendendo Laconia e Messenia, con un’estensione di più di 8mila km2, superiore a qualsiasi altra polis della Grecia. Gli abitanti, nonostante l’incertezza della cronologia più antica, stando ai ritrovamenti ceramici posteriori al 950 a.C., alla metà del X sec, fanno pensare a gruppi di popolazioni di stirpe dorica che raggiunsero la valle della Laconia, la zona bagnata dal fiume Eurota. Lì si stanziano i Dori, ma c’erano già degli insediamenti originari. Già Omero nelle sue opere parla di Sparta, il nome della città è presente ed è definita con due termini, sia con Sparta che con Lacedemone. Con Sparta forse si voleva indicare la città propriamente detta, con Lacedemone il territorio. In epoca classica era definita “la polis dei Lacedemoni”, e nel V sec, in base a ciò che ci dice Tucidide, non era ancora fortificata ma formata da villaggi sparsi, e sembra che non esistesse ancora nell’età micenea (a differenza di Atene). Solo sulle colline di Terapne e Amìcle risultano dei resti di abitazioni. Sparta come polis è sicuramente posteriore al X secolo. La Sparta storica venne fondata tra il X e l’VIII sec, perché con certezza sappiamo che nel 706 gli Spartani fondarono la colonia di Taranto. Le origini sono però un po’ dubbie. Oggi l’opinione più accreditata è che i gruppi di stirpe dorica che arrivarono nella zona Laconica fossero dei popoli che si dedicavano alla pastorizia, transumanti, provenienti dal nord o da aree peloponnesiache. Giunti nella Laconia, passarono da una civiltà transumante ad una sedentaria, svilupparono delle forme di occupazione e sfruttamento del suolo basate in larga parte sull’agricoltura, che prevedeva lo stanziamento stabile. La città di Sparta era sorta dall’unione sinecistica di quattro kòmai: Limna, Pitane, Mesoa e Cinosura. In un secondo momento viene incorporata anche Amìcle (villaggio situato alcuni km più a sud), la cui annessione fu molto importante per due motivi: perché dal punto di vista strategico dava la possibilità di controllare 26 l’accesso alla valle del fiume Eurota; e perché, dal punto di vista socio-politico, con l’annessione di Amicle scompare l’ultima presenza indipendente sul territorio. Pausania nella sua opera parla di un’annessione violenta, con un atto di tradimento nel corso dell’VIII sec. La critica moderna riconosce nella storia di Amicle l’ultima resistenza all’annessione spartana di una popolazione addirittura predorica, se non achea. Le testimonianze archeologiche che negli ultimi tempi sono state rinvenute hanno permesso di affermare che le cerimonie religiose celebrate presso il santuario di Amicle fanno ipotizzare un’omogeneità cultuale tra Amicle e Sparta già nel IX sec, facendo pensare ad un’assimilazione graduale tra le due città, e non ad un’annessione violenta da parte di Sparta della vicina Amicle. L'integrazione graduale potrebbe anche evincersi dall’importanza che avevano per Sparta i culti celebrati ad Amicle. Durante le feste spartane alcuni culti venivano celebrati nel santuario di Amicle, dunque doveva esserci un’unione forte perché Sparta permettesse ciò. Inoltre, nel santuario di Amicle venivano esposti i trattati inter-statali stipulati da Sparta con altre città. Questo dimostra la grande importanza per Sparta di Amicle, dalle fonti si evince un rapporto pacifico e stretto. Sparta si mostra una città diversa dalle altre, specialmente da Atene. Tucidide fa un confronto con Atene dal punto di vista urbanistico. Sparta ancora nel V secolo era formata da villaggi sparsi, era assente un centro urbano più importante come lo troviamo ad Atene. In rapporto ad Atene, Sparta sembra sia più vicina alle tipologie abitative delle società pre-poleiche, precedenti alla costituzione delle poleis. La potenza di Sparta, però, non era diversa da quella di Atene: dunque non è l’impianto urbanistico a dimostrarci la potenza di una città, ci scrive Tucidide. Sparta viene conosciuta come città molto forte, sulla terraferma soprattutto. Nelle fonti viene indicata sia come Sparta che come Lacedemone. Dalle fonti sappiamo che i Lacedemoni erano in generale gli abitanti di Sparta oppure potevano identificare i cittadini di pieno diritto, ossia gli Spartiati. In età classica Sparta si estende su un territorio vastissimo, che comprende anche Laconia e Messenia. Nell’VIII e VII secolo avviene l’allargamento territoriale di Sparta, perché progressivamente vengono annesse delle aree della Laconia e della Messenia. Tra VIII e VII secolo Sparte raggiunge la sua massima estensione, che rimane conservata fino al 369 a.C., periodo successivo alla battaglia di Leùttra combattuta con i Tebani, dopo la quale viene ricostituito lo stato indipendente della Messenia. Tra VIII e VII secolo vengono anche potenziate e consolidate le frontiere, anche con scontri armati con le vicine città di Argo, acerrima nemica di Sparta, e Tegea. L’occupazione definitiva della Messenia coincide per Sparta con la fine di un lungo periodo di conflittualità, che a volte prevede anche l’appoggio di alcune popolazioni del Peloponneso all’una e all’altra parte. La tradizione ci tramanda due guerre messeniche. La prima guerra messenica durò 19 anni, combattuta nell’VIII secolo tra il 743 a.C. e 724 a.C., mentre secondo Apollodoro 757-738; la seconda guerra messenica è datata dal 684 al 668 (16 anni). In concomitanza con le guerre messeniche, le fonti letterarie parlano di tensioni sociali molto forti interne allo stato spartano, che riflettono una situazione di crisi economica e di eccedenza demografica. Pausania scrive alcune delle aree di confine non potevano essere coltivate dagli Spartani a causa delle incursioni frequenti dei Messeni. Espressione di questa situazione tesa possono essere anche la fondazione della colonia di Taranto nel 706, espressione dei disagi e delle tensioni sociali interne testimoniate da alcune fonti. Come pure la richiesta di distribuzione della Terra, ricordata da Tirteo nell’elegia intitolata “Eunomìa”, riportata anche da Aristotele nella Politica. Aristotele parla infatti di cittadini spartani rovinati dalla guerra. Un’altra espressione di questi disagi può essere la notizia dell’assassinio del re spartano Polidoro verso la metà del VII sec a.C. La situazione dunque era veramente critica (nel VII secolo lo era anche ad Atene). La conquista della Messenia, una delle pianure più fertili del Peloponneso, consente a Sparta di ristabilire un equilibrio, mettendo a disposizione dello stato spartano la terra per garantire l’equilibrio e lo statuto giuridico degli Spartiati. Garantendolo, si garantiva tutto il resto della costituzione. L'annessione della Messenia porta all’innalzamento del tenore di vita degli spartani, che è seguito ad un aumento dell’afflusso delle ricchezze nella città, riconosciuto ad esempio nella costruzione di un tempio a Sparta (intorno al 700 a.C.) dedicato ad Artemide Orthia. Dopo il 700 a.C. abbiamo la presenza nel santuario di ex voto realizzati in materiali 27 Anche la collocazione temporale di Licurgo è stabilita in un arco di tempo troppo ampio: magari un personaggio è esistito, ma non gli si può attribuire completamente la riforma, che è l’evoluzione del tempo della costituzione che viene costituita. La riforma di Licurgo storicamente viene inserita da un lato generale delle trasformazioni militari, sociali, politiche che avvengono in molte poleis della Grecia, quando il demos, il popolo aspira ad avere dei riconoscimenti, e a convertire i riconoscimenti militari che il popolo consegue dopo la riforma oplitica in maggiori riconoscimenti e diritti politici. Le classi medie cominciano ad avere più potere, perché a livello militare costituiscono la classe oplitica, e avendo la possibilità di difendere la propria patria in maniera sempre maggiore grazie all’ordinamento oplitico, hanno la possibilità anche di ottenere riconoscimenti e diritti anche a livello politico. In questo contesto si inserisce l’opera riformatrice di Licurgo o in generale dello stato spartano in questo momento. L’evoluzione che porta alla costituzione spartana avviene dal IX al VI secolo. Questo è il contesto più generale nel mondo greco in cui si può inserire la riforma di Licurgo. In una sfera più circoscritta alla storia spartana, invece, inseriamo questa riforma che porta alla costituzione spartana licurghea in un momento di tensioni sociali e di difficoltà economiche derivanti dal conflitto messenico. Si trattò di un processo che conobbe varie fasi successive, che comportò degli emendamenti alla Rhetra di Licurgo. Portò ad esempio all’istituzione di una magistratura in un momento successivo alla Rhetra licurghea, l’Eforato. 9. 19 /03 – LA COSTITUZI ONE SPARTAN A Storicamente l’opera riformatrice di Licurgo si può inserire in due contesti: nel contesto greco generale, in cui c’è un periodo in cui nelle varie poleis si assiste a una serie di trasformazioni militari, sociali, politiche che esprimono le aspirazioni del demos e della classe media che vuole siano riconosciuti loro più diritti, e con la riforma oplitica la classe media ottiene diversi riconoscimenti non solo militari ma anche politici; nella storia circoscritta della città di Sparta la riforma si inserisce in un periodo di grandi tensioni sociali ed economiche, che derivano dal periodo messenico. Il processo che porta alla nuova costituzione spartana è lungo, dura qualche secolo. Ci sono fasi successive nella costituzione spartana: Plutarco nella Vita di Licurgo parla di emendamenti alla Rhetra stabilita da Licurgo (Rhetra è la costituzione, sono le leggi del nuovo ordinamento che vengono definiti così); abbiamo inoltre l’istituzione dell’Eforato, un istituto politico che farà parte della costituzione spartana e che è successivo alla costituzione promulgata da Licurgo. Gli emendamenti e l’istituzione dell’Eforato dunque completano quegli ordinamenti spartani che nelle linee fondamentali rimangono invariati per secoli. La nuova costituzione viene attribuita a Licurgo, e questa attribuzione è dovuta all’esigenza degli Spartani di dare una paternità a questa costituzione, attribuendola a una figura, che può essere un uomo, un eroe o un dio, capace di sanare i contrasti interni. Questo personaggio riesce con la costituzione a comporre quei contrasti interni. Già nell’antichità, però, c’erano varie versioni alternative: ad esempio lo storico Ellanico di Lesbo, che vive nel V secolo a.C., attribuisce la costituzione spartana a due re: Euristène e Pròcle, i mitici capostipiti delle dinastie reali spartane. Il poeta Pindaro invece, che vive nel VI-V secolo a.C., attribuisce l’ordinamento spartano a un antichissimo re dei Dori, di nome Egimio. Anche Tucidide parla della costituzione spartana, però non fa riferimento a Licurgo. Erodoto (V secolo) parla di Licurgo, definendolo autore di tutte le riforme di Sparta. Plutarco definisce la costituzione spartana “Rhetra” ne La vita di Liccurgo. Gli antichi erano concordi nel ritenere che le leggi che Lucurgo istituisce gli erano state dettate dall’oracolo pitico di Delfi, e l’oracolo gli aveva anche dato la sanzione per renderle operative. Secondo Plutarco Licurgo non diede delle leggi scritte, una delle cosiddette Rhetre (leggi) che Licurgo diede a Sparta era 30 proprio quella di proibire di dare leggi scritte. Le leggi dovevano essere tramandate oralmente. Anche Platone parla della legislazione licurghea, e la annovera tra le disposizioni non scritte, ma che acquistano validità grazie alla consuetudine. Per quanto riguarda l’etimologia, gli antichi sapevano che le leggi erano chiamate in questo modo perché provenivano dal dio, erano responsi dell’oracolo (Rhetra è un termine che definisce sia la costituzione che l’oracolo). Da quanto possiamo attingere dalle fonti che abbiamo a disposizione, la costituzione licurghea prevedeva una Grande Rhetra che si occupava soprattutto delle istituzioni politiche importanti: della Diarchia, la doppia regalità (a Sparta governavano due re, all’inizio contemporaneamentee collegialmente; in seguito un re si occupava delle campagne belliche e l’altro rimaneva a Sparta e si occupava di questioni religiose); della Gherousia, che era il consiglio degli anziani; e dell’Apella, l’assemblea degli Spartiati. La legislazione licurghea prevedeva poi Piccole Rhetre (leggi), che invece si occupavano di disposizioni di carattere suntuario, di misure educative, delle norme di comportamento pubblico e privato, delle norme relative all’ambito militare. Nel mondo greco, soprattutto dal V secolo le poleis di Atene e di Sparta influenzeranno tutte le altre poleis, chi seguirà Sparta istituirà un regime oligarchico, chi seguirà Atene un regime più democratico. Atene imporrà la democrazia alle poleis sotto la sua egemonia. Importanti tra le misure licurghee più rilevanti, anche per le relazioni con l’esterno: l’abolizione della moneta d’oro e d’argento, con le riforme di Licurgo vengono sostituite con obeli, spiedi di ferro; il divieto del possesso di beni e ricchezze in questi metalli preziosi, cioè oro e argento (non si trovano monete spartane o tesori in circolazione prima della fine del IV sec); altra norma è la xenelasìa (letteralmente: bando degli stranieri), che permetteva espulsione di massa di stranieri (si volevano tenere lontani gli stranieri per preservare l’integrità del kòsmos spartano, tenendolo al riparo e lontano da quello che potesse contaminarlo). La grande rhetra stabiliva l’istituzione di un altare dedicato a Zeus Sillanio e ad Atena Sillania. Viene suddivisa la popolazione spartana in tribù e in obài: le tribù dovevano corrispondere alla tripartizione antica tribale dorica, che divideva tutta la popolazione spartana nelle tre tribù degli Ilèi, Dimàni e Pànfili; gli obai, cioè i villaggi, delle circoscrizioni territoriali più piccole, derivavano dalla trasformazione dei cinque villaggi pre-sinecistici (Limna, Pitane, Mesoa, Cinosura, Amicle). La grande rhetra istituisce il consiglio degli anziani, la Gherusia, che comprendeva 28 gheronti (anziani) e i due re, per un totale di 30 membri. I due re in questa retra vengono definiti arcaghètai, cioè principi e capostipiti di una famiglia. La rhetra stabilisce anche le procedure relative ai tempi e ai modi di convocazione dell’Apella, e ne stabilisce anche le funzioni. L’Apella è l’assemblea di tutti i cittadini di pieno diritto, cioè gli Spartiati. La grande rhetra doveva stabilire anche il luogo di riunione dell’Apella, il luogo è ben segnato tra Bàbica, un fiume, e Cnàcione, un ponte, metaforicamente indicando che gli spartiati dovevano vedersi sempre all’aperto, perché gli edifici chiusi, magari ornati con dipinti e sontuosi, potevano distogliere l’attenzione di chi si stava riunendo per decisioni importanti. Anche i tempi di convocazione erano citati, anche se in maniera un po’ oscura. Probabilmente l’assemblea si riuniva mensilmente. La convocazione e lo scioglimento dell’Apella erano competenza della Gherusia. La Gherousia era anche l’organo che realizzava i probouleuma, le proposte di legge, che poi l’Apella avrebbe dovuto discutere. Dalla rhetra viene stabilita anche la facoltà del demos (gli Spartiati) che poteva discutere le proposte avanzate dalla Gherusia, e in caso di contrasti con la Gherusia l’Apella aveva l’autorità di intervenire. Con queste norme Sparta arcaica riceve benefici, perché la costituzione di Licurgo pone fine ai conflitti interni, e la società spartana diventa l’ordine per eccellenza, e questa costituzione rimase invariata per almeno 500 anni. La tradizione che la costituzione fosse stata dettata dall’oracolo di Delfi e che Licurgo fosse stato divinizzato, conferisce stabilità alla costituzione. Licurgo si allontana poi da Sparta, in modo tale da convincere i cittadini a non variare la costituzione: si allontana dicendo che gli Spartani avrebbero dovuto rispettare quelle leggi fino al suo ritorno, ma non ritorna più. La società spartana era divisa in tre gruppi: gli Spartiati, i discendenti degli antichi invasori Dori, che possedevano le terre migliori e avevano diritti civili e politici; i Perieci, colori che abitano i dintorni, rappresentanti di popoli vinti dagli Spartiati, che avevano terre meno fertili. Erano anche loro 31 contadini, ma anche commercianti e artigiani (cosa che non potevano fare gli Spartiati), avevano diritti civili ma non politici; gli Iloti invece erano schiavi, i poveri contadini della Messenia privi di ogni diritto politico e civile. Le terre migliori erano divise in klèroi assegnati agli Spartiati, di cui era impossibile la vendita e la divisione tra gli eredi. Il klèros poteva essere trasmesso in eredità solo al primogenito maschio, non era una proprietà, ma una concessione dello Stato subordinata all’espletamento di certi doveri. Se gli Spartiati non pagavano il contributo per le spese pubbliche, venivano privati del kleros e perdevano i privilegi, non potevano più restare nella propria classe. Chi era inadempiente veniva declassato e diventava inferiore. Questo sistema politico-sociale tende a mantenere stabile lo stato e la società spartana, evita però la mobilità sociale. Nessuno da una classe inferiore poteva sperare di accedere a una classe superiore (mentre ad Atene era possibile, chi si arricchiva poteva accedere alle cariche politiche). Gli Spartiati avevano diritti civili e politici, venivano considerati discendenti degli antichi Dori e si occupavano della funzione militare. Combattevano in qualità di opliti nell’esercito cittadino, e per far questo dovevano gestire in modo mirato il klèros, assegnato agli Spartiati ma lavorato dagli Iloti. Il possesso del klèros, gestito dallo Spartiata e coltivato dagli Iloti, aveva una duplice funzione: garantiva lo statuto civico dello spartiata, e permetteva allo spartiata di partecipare ai sissizia. I sissizi sono i pasti in comune, i banchetti, i pasti consumati quotidianamente in comune tra tutti gli spartiati. Per poter conservare la cittadinanza, gli spartiati dovevano frequentare i sissizi. Il possesso del kleros garantiva lo statuto civico degli spartiati, assicurando la frequentazione dei sissizi; e garantiva lo statuto militare, perché in questo modo lo spartiata veniva esentato dalle altre attività di natura economica. I kleroi erano degli appezzamenti di terra, delle aree agricole. Nella Messenia, i kleroi in concessione agli spartiati erano anche gli insediamenti stabili dei lavoratori messeni, gli iloti, dove vivevano con le loro famiglie. Da queste terre gli iloti ricavavano il sostentamento per la propria famiglia, ma la maggior parte del raccolto doveva essere consegnata agli Spartiati. Secondo le leggi di Licurgo, tra gli Spartiati non dovevano esserci differenze di rango e di censo. Spesso infatti gli Spartiati vengono definiti òmoioi, ossia uguali tra di loro. A questo scopo, perché fossero tutti uguali tra loro, era lo Stato a seguire la vita dei cittadini, in tutte le fasi dell’esistenza: alla nascita il bambino spartiata veniva esaminato dagli anziani, che decidevano se poteva continuare a vivere o meno, perché stabilivano la sopravvivenza solo per i piccoli fisicamente idonei; altrimenti erano abbandonati sul monte Taigèto e destinati alla morte, perché considerati non idonei a diventare Spartiati, guerrieri opliti perfetti. (Infatti nel tempo parliamo di oligantropìa: gli spartiati diminuiscono sempre di più, diventano un numero così esiguo che alla fine del IV secolo sono costretti ad aprire le porte ad altre classi sociali, anche gli Iloti avranno accesso all’esercito). Della fanciullezza fino all’età adulta lo stato seguiva il cittadino attraverso l’agoghè, il sistema educativo spartano, che consisteva nel far vivere in caserma il fanciullo a partire dall’età di 7 anni. Il bambino veniva tolto alla madre e veniva affidato all’educazione pubblica. Un'educazione molto rigida fino ai 20 anni, l’età entro la quale doveva essersi formato il perfetto oplita, spartiata pronto a difendere la patria da nemici esterni o interni (gli Iloti erano considerati nemici). Fino a 30 anni lo spartiata non poteva neanche sposarsi per la preminenza dei suoi obblighi militari. Questi obblighi militari duravano fino a 60 anni, quando poi poteva accedere ad altre cariche politiche come la Gherusia. Fino a 60 anni era costretto a vivere in caserma con i commilitoni, tornava a casa solo la sera. Anche il pranzo doveva essere consumato con gli altri Spartiati, erano costretti. La Gherusia era formata solo da uomini che avessero superato i 60 anni e avessero completato gli obblighi militari. Durante l’età adulta, il momento centrale della vita degli Spartiati era il sissizio, la mensa comune. La commensalità costituiva un momento di aggregazione tra gli spartiati, cementava il cameratismo con i compagni e serviva come controllo sociale. I kleroi assegnati agli spartiati erano uguali e indivisibili come aveva stabilito Licurgo: però sappiamo dalle fonti che ci furono delle redistribuzioni successive, delle revisioni dei criteri di assegnazione e trasmissione del kleros. Tutto ciò mostra la difficoltà a mantenere sempre stabile e uguale la distribuzione iniziale. Nonostante queste leggi, si assiste a volte all’accumulo ereditario di beni materiali; si assiste anche a fenomeni di calo demografico, anche di contrazione della natalità messa in collegamento anche con la disponibilità dei lotti, per cui non facevano nascere figli. Ci sono attestazioni varie nelle fonti, che a volte non riusciamo a spiegare per carenza di elementi. Le 32 Continuiamo ad esaminare le classi sociali spartane. I Perieci: è il termine generico per indicare “coloro che abitano intorno”, cioè gli abitanti delle terre frontaliere del territorio poliade, della città di Sparta. È una classe nettamente distinta dagli Spartiati e dagli Iloti, è nel mezzo. I Perieci avevano la residenza in centri che le fonti antiche definiscono poleis, quindi possiamo pensare a una comunità organizzata, separata dagli Spartiati, a delle forme di parziale autonomia amministrativa. La kora pubblica era stata da Licurgo divisa in lotti assegnati agli Spartiati. C’era anche una kora periecica, dove i lotti vengono divisi e assegnati ai Perieci. Sono importanti, sebbene sia un contesto diverso e i Perieci abbiano diritti civili ma non politici. La kora periecica fu divisa in 30 mila korai. Dal punto di vista giuridico i Perieci costituivano una popolazione libera ma soggetti alla sovranità di Sparta, non avevano cioè diritto alla cittadinanza. I Perieci erano sottoposti agli stessi obblighi degli alleati della lega del Peloponneso in merito alla politica estera e alla guerra. Le interpretazioni ne fanno, infatti, una categoria intermedia tra i cittadini di pieno diritto e gli alleati peloponnesiaci. I Perieci militavano nell’esercito spartano regolarmente. Mentre in un primo periodo essi facevano parte di contingenti separati rispetto agli Spartiati, da un certo momento in poi cominciano a far parte della falange oplitica degli Spartiati, sicuramente quando il calo numerico degli Spartiati diventa sempre più evidente. Si esclude, dalle fonti (Pindaro) che la dipendenza da Sparta implicasse l’imposizione di ufficiali Spartiati che presiedessero le città perieciche con la qualifica di armosti, a capo delle guarnigioni. Alcune fonti parlano di ufficiali spartiati che presiedevano poleis perieciche con la qualità di armosti, ma la storiografia moderna non è tuttavia concorde. Una notizia di Isocrate scrive che gli Efori avessero la facoltà di condannare a morte i Perieci senza appello, senza processo, anche questa affermazione è respinta dalla storiografia moderna. Mancano però esplicite testimonianze sui diritti legali dei Perieci. La comune condizione di emarginazione non comportò delle forme di solidarietà e unione con gli Iloti. Già nell’antichità questa mancanza di cooperazione tra Iloti e Perieci era avvertita: Aristotele nella Politica scrive che i Perieci, che erano molto numerosi, rimanevano sempre solidali con gli Spartiati, ma gli Iloti no, si ribellavano spesso, creando problemi agli Spartiati. A questo poteva contribuire l’origine etnica differente e le differenze in campo sociale ed economico. I Perieci erano cittadini liberi, e nel campo lavorativo non avevano i limiti imposti agli Spartiati (che potevano dedicarsi solo all’attività militare). I Perieci potevano dedicarsi a delle attività che consentivano forme di arricchimento: Plutarco, ne La vita di Cleomene, ci fa capire che esistevano delle differenze sociali tra i Perieci, perché c’erano degli individui di censo superiore. A fasce di popolazione più agiata potevano appartenere i Perieci arruolati come opliti nella falange oplitica spartiata. Durante l’età ellenistica, abbiamo delle indicazioni per ritenere che i Perieci potevano contare nelle loro attività anche sulla collaborazione di personale servile, di schiavi. Proprio Plutarco, ma anche Polibio, ci dicono che un’incursione degli Etoli sul territorio periecico intorno al 240 a.C., fruttò agli Etoli la cattura di ben 50 mila schiavi. Si è anche pensato che tra i lavoratori dipendenti dei Perieci potessero esserci anche degli Iloti (teoria ancora non ben accertata). Oltre all’attività agricola, si occupavano di attività anche commerciali e artigianali, che permettevano arricchimento. Quanto all’origine etnica, in età classica i Perieci erano culturalmente e linguisticamente assimilati agli Spartiati. Ci sono molte ipotesi sull’origine etnica: gli storici moderni affermano che si dovrebbe trattare di comunità pre-doriche, probabilmente di stirpe achea, che nel tempo sono state sottomesse con la forza o tramite un processo di assimilazione politica agli Spartiati. Secondo un’altra teoria, la distinzione tra spartiati e perieci sarebbe il risultato di una differenziazione sviluppatasi all’interno di una popolazione etnicamente affine di stirpe dorica, successiva a quella achea, tra un gruppo divenuto più potente e ricco grazie alla disponibilità di kleroi più fertili (gli Spartiati) e una maggioranza decaduta progressivamente in una condizione di subordinazione. Ultima ipotesi sull’origine etnica dei perieci prevede che essi occupassero una posizione intermedia: si pensa a componenti predoriche, come pure ad elementi dorici, che avevano contribuito a formare la popolazione dei centri situati lungo il confine terrestre montuoso e anche lungo la costa della Laconia. Si differenziano dal gruppo tribale dorico stanziato invece nella valle dell’Eurota. Esistono anche altre classi: anche se le poleis più antiche avevano di Sparta la visione di una caserma rigida e ferrea, molte tensioni c’erano in realtà all’interno del mondo spartano. Ci sono anche altre 35 classi inferiori, come gli hypomeiones, o inferiori, cioè categorie di popolazione eterogenea, sia per provenienza che per formazione. Secondo la Costituzione degli Spartani di Senofonte, coloro che non rispettavano i ta nomima, le leggi, non potevano essere annoverati tra gli omoioi, gli uguali. Questo termine (ta nomima) comprendeva anche quel sistema di obblighi morali che il codice di condotta spartano e la consuetudine imponevano come vincolanti. L’inosservanza di queste norme di comportamento comportava delle conseguenze legali nella dimensione civica dell’individuo. Lo status di Spartiata veniva a decadere se non si seguivano quei determinati obblighi morali. Chi non era più all’altezza veniva degradato, entrava nelle classi degli inferiori, con una diminuzione della capacità politica. Tra gli hypomeiones (gli inferiori) sono da annoverare i cittadini decaduti per l’impossibilità ad adempiere ai loro doveri, come la contribuzione per il sissizio, il pasto delle mense comuni; tra essi c’erano anche i trèsantes, cioè i vili, che durante le guerre potevano fuggire o disertare. Essi erano additati e denigrati perché rappresentavano il contrario di quello che doveva essere lo Spartiata, che doveva essere un combattente coraggioso. Per molto tempo, questa condizione rimaneva per tutta la vita. Alcune notizie del V secolo ci raccontano di trèsantes che vengono riportati alla loro condizione di Spartiati e reintegrati nel proprio rango. Alcune amnistie generali prevedono questa reintegrazione: accade al tempo della battaglia di Sfacteria (425, durante la guerra del Peloponneso), periodo in cui gli Spartiati sono davvero esigui nel numero. Appartenevano agli inferiori anche i figli illegittimi, nati da padre spartiata e madre ilota; e i discendenti delle famiglie decadute. Queste ultime categorie assolvevano però ai doveri militari: erano reclutati nell’esercito poliade. Con l’oligantropia (diminuzione spartiati) serviva rimpinguare i contingenti militari. Queste classi subivano però limitazioni nella partecipazione alla vita politica. Altra classe importante tra gli inferiori è quella dei neodamodèis, gli Iloti affrancati. Per la prima volta viene menzionato questo termine in Tucidide parlando a proposito della guerra del peloponneso dei brasidièi, cioè gli Iloti che Brasìda (intorno al 425-424) porta con sé nella campagna in Tracia e che vengono in seguito liberati e insediati a Lèprion, al confine con l’Elide. Nelle fonti più tarde, abbiamo testimonianze che attestano la partecipazione e l’impiego di neodamodeis nell’apparato militare in qualità di opliti, sia insieme agli spartiati sia in formazioni separate. Tra la fine del V secolo e gli inizi del IV, alcune fonti testimoniano neodamodeis che ricoprono la carica di armosti, a capo delle guarnigioni pur essendo Iloti affrancati. Questa situazione va spiegata con esigenze che gli Spartiati maturano nel tempo di fronte al calo eccessivo degli Spartiati che impoveriva le fila dell’esercito. Nel periodo di maggiore splendore della civiltà spartana, invece, gli Iloti rimangono schiavi. È in un periodo successivo che abbiamo queste novità. Gli istituti di governo spartano La politica a Sparta. L’assemblea a Sparta si definisce Apella (ad Atene è l’Ecclesìa), a cui partecipano i cittadini di pieno diritto, gli Spartiati con più di 30 anni. L’Apella è di istituzione licurghea. L'assemblea si riuniva periodicamente (con una cadenza troppo dubbia, forse mensilmente) in una sede propria all’aperto, tra un fiume e un monte. Non sappiamo se fosse richiesto un numero minimo legale di presenze per la validità dell’assemblea (come ad Atene). L’Apella costituiva il momento decisionale del governo di Sparta, e in essa i re e i gheronti presentavano le loro proposte che dovevano essere poi vagliate dall’Apella (proposte già discusse e approvate in via preliminare dalla Gherusia, che comprendeva 28 gheronti più i due re, 30 membri). Il popolo spartiata che aveva diritti, all’assemblea esprimeva la sua approvazione o meno della proposta che veniva loro sottoposta in una maniera infantile (scrive Aristotele): si esprimevano attraverso il boato, l’acclamazione. Durante l’assemblea erano ratificati i provvedimenti legislativi, decisioni in merito a pace/guerra. L'Apella poteva approvare o respingere le proposte della Gherusia, ma non poteva proporre degli emendamenti, delle modifiche, come facevano invece i cittadini ateniesi riuniti durante l’Ecclesia. 35 Non potendo proporre dei cambiamenti o dei loro pareri, si pensa che il diritto di parola durante l’assemblea degli Spartiati fosse esercitato in maniera estremamente limitata. Ad Atene, invece, tutti i cittadini che presenziavano all’Ecclesia avevano il diritto di parlare. Secondo la testimonianza di Senofonte, che parlando della Congiura di Cinadòne (299), cittadino che tenta di sovvertire il kosmos 36 spartano appoggiato dai suoi seguaci. In quell’occasione Senofonte parla di una mikrà ecclesìa, come se fosse una piccola Apella, un organismo ristretto. Non abbiamo però altre notizie se non in questo passo. Non conosciamo la composizione, le funzioni, la natura, i rapporti con l’Apella più grande o con gli altri organi di governo. Probabilmente essa poteva essere costituita dai re, gheronti, Efori, e poi alcuni influenti spartiati tra gli omoioi. La Gherusia era il consiglio degli anziani, dei gheronti, e secondo le parole di Plutarco ne La vita di Licurgo, si può definire come la più bella e più grande delle sue misure adottate da Licurgo. Nella costituzione spartana essa rappresentava “il potere collocato nel mezzo”, la forza equilibratrice. Essa impediva alla monarchia di degenerare verso la tirannide, e doveva frenare il popolo che poteva desiderare forme di democrazia. La Gherusia era formata da 28 gheronti e 2 re, per un totale di 30 membri. I gheronti erano eletti durante l’assemblea per acclamazione tra gli Spartiati che avessero già compiuto 60 anni, esonerati per l’età dagli obblighi militari. La loro carica era vitalizia. Il sistema elettivo tramite acclamazione e boato era molto criticato da Aristotele. Egli disapprova anche la durata vitalizia dell’incarico, definendolo un criterio dinastico. Per uno spartiata era prestigioso diventare gheronte. Tale prestigio emerge anche dagli onori pubblici e solenni, tributati ai cittadini spartiati all’atto di entrare in carica. Veniva offerta allo spartiata divenuto gheronte una corona dai suoi familiari, al momento dell’entrata in carica veniva tribuito al gheronte il privilegio del pasto al sissizio alla presenza delle donne della famiglia (che assistevano sulla soglia della porta), avevano diritto ad una seconda porzione di cibo, che il gheronte poteva offrire alla donna della sua famiglia che riteneva di più grande considerazione. L'aspetto gratificante non risiedeva nel valore intrinseco dei doni, quanto nel carattere della cerimonia, che riuniva il momento pubblico con quello privato, che viene dimostrato con il coinvolgimento delle donne della famiglia. Quanto ai requisiti necessari perché uno spartiata potesse essere eletto gheronte, dalle fonti antiche si evince che erano importanti le doti morali. Demostene dice che la carica di gheronte era un premio alla virtù dello spartiata che veniva insignito dell’incarico. Quando un gheronte moriva, al momento del decesso questo veniva sostituito sempre tramite l’elezione e la selezione era sempre mirata ad eleggere chi si mostrava superiore per virtù. I gheronti formulavano i probouleuma, le proposte di legge. I gheronti erano aneuthynoi, cioè non responsabili, non devono rendere conto del loro operato. Non venivano puniti se commettevano errori. Vengono poi, successivamente a Licurgo, realizzati degli emendamenti alla Rhetra, i quali aumentarono i grandi poteri già concessi da Licurgo alla gherusia, togliendo il potere al popolo. I gheronti avevano anche l’autorità di convocare e sciogliere l’Apella. Insieme all’Eforato (istituzione successiva alla Rhetra) la gherusia esercitava anche la nomophylakia, cioè la custodia delle leggi, sorvegliavano dunque le leggi e la loro acquisizione. Si occupavano anche delle condanne di omicidio, di imposizioni di ammende, ma importante è il fatto che la gherusia costituiva la corte suprema di Giustizia nei reati che comportavano la condanna a morte o l’esilio. Plutarco scrive per questo che i gheronti erano arbitri di vita o di morte a Sparta. I gheronti, riuniti con gli Efori e uno dei due re, formavano inoltre anche la corte autorizzata a giudicare l’altro re che poteva aver commesso un reato. L'Eforato è un’istituzione che non è stata ideata da Licurgo. In merito all’istituzione dell’eforato ci sono diverse versioni differenti che lo attribuiscono a Licurgo stesso ma in un secondo momento, dopo aver istituito la grande rhetra e le piccole rhetre; viene anche attribuita al re Teopompo che regna alla fine dell’VIII secolo; o all’eforo Chilone, identificato come primo eforo e che vive nel VI sec. Le versioni, anche se differenti, sono concordanti nel definire l’istituzione dell’eforato separata e posteriore all’ordinamento della Rhetra. Grazie alle fonti, sappiamo che l’istituto operava già nel VII sec. I poteri e le competenze che gli Efori avevano nel V-IV secolo furono un’acquisizione progressiva, venuta nel tempo. Le riforme introdotte da Chilone (sebbene non tutti pensano sia stato il primo Eforo a sparta) ebbero un ruolo determinante nella storia dell’eforato. In merito alle finalità dell’istituto ci sono anche diverse testimonianze divergenti. Secondo alcuni, esso sarebbe stato istituito per mettere un freno al potere degli oligarchi, secondo Plutarco ne La vita di Licurgo. Secondo Aristotele, invece, l’eforato venne introdotto come contrappeso all’autorità del re. Un'altra fonte, alla quale attinge Plutarco per La vita di Cleomene, dice che l’eforato viene introdotto per 37 11. 24 /03 – IL SISTEMA MILITARE SPARTAN O La diarchia è una doppia regalità. Le competenze dei re nel corso del tempo vengono limitate a favore della gherusia e dell’eforato, ma restano delle competenze specifiche che i re ricoprono, figure carismatiche che affascinano non solo il mondo spartano. Il potere dei re è molto più esteso quando si recano all’estero, quando lasciano la patria per guidare una campagna di guerra. Nonostante le varie restrizioni che vengono imposte ai re nel tempo, il carattere carismatico della figura è sempre forte e si riconosce nelle prerogative che a loro spettano sia in pace che in guerra. Per esempio ci sono delle leggi divine ma anche prescrizioni umane che vietavano ai cittadini di toccare i re. Le leggi imponevano anche segni di deferenza nei confronti dei re. Nel corso delle spedizioni militari, i re disponevano di una guardia scelta di 300 uomini, designati dal corpo degli hippeis, che costituivano la loro guardia del corpo del re. La differenza di grado accresceva in guerra anche le distanza con gli Efori, i quali godevano di una prerogativa particolare che permetteva di restare seduti di fronti al re, invece nel campo di battaglia gli efori erano esclusi dalla tenda regale, privilegio invece concesso ai polemarchi (i comandanti dei contingenti) e a tre spartiati prescelti dal re stesso. Inoltre, quando il re era in marcia e guidava l’esercito, nessuno poteva precederlo tranne gli esploratori a cavallo e il corpo degli Sciriti. Gli Sciriti erano un corpo di fanteria scelto proveniente dalla Sciritide, una regione montuosa al confine della Laconia. Sono un corpo scelto e molto famoso. In tempo di pace, durante la vita civile, i re avevano privilegi come posti di riguardo durante le cerimonie pubbliche e una doppia razione nei sissizia, i banchetti, e le primizie nelle libagioni. In più era mantenuto a spese pubbliche il sissizio del re, al quale erano ammessi solo pochi privilegiati. I re avevano una ricchezza personale, nonostante tutte le fonti parlassero di uguaglianza tra gli spartiati. I re erano i più ricchi cittadini di Sparta, potevano disporre di ricchezza mobile e potevano fruire delle rendite di possedimenti di terre nella zona periecica. In guerra inoltre era loro riservata una parte del bottino. Sia Erodoto sia Senofonte ci conservano un elenco ampio di beni che i re potevano possedere. Quando Erodoto racconta le guerre persiane, dopo la battaglia di Platea, Pausania può portare per sé un bottino del valore di 10 talenti aurei. Questo bottino era formato da prigionieri, cavalli e oggetti preziosi. Sul piano politico potevano anche avere dei diritti in più rispetto agli altri magistrati, per esempio nominare i prosseni di Sparta. Proxenos significa ospite pubblico, lo straniero accolto dalla città ospitante, e doveva essere nominato dai re. Nel contesto della società spartana, la nomina dei prosseni è particolare. Sparta tradizionalmente è xenofoba, come si dimostra dalle espulsioni in massa di stranieri dalla città. La politica spartana conferisce a questa facoltà che hanno i re un contenuto importante di rilevanza politica. Si può interpretare in questa direzione il diritto dei re di nominare i Pythii, i rappresentanti che intrattenevano rapporti con l’oracolo di Delfi. In merito alle onoranze funebri, la loro figura prestigiosa e carismatica si evidenzia in queste occasioni solenni, nonostante la presunta uguaglianza. Senofonte scrive che queste solenni onoranze possono essere giustificate dalle loro condizioni di eroi, che li pone al di sopra degli altri mortali. È un’eccezione alla norma di Licurgo che prevedeva che tutti gli spartani avessero funerali e sepolture semplici, e soprattutto uguali. Quando invece moriva un re, la comunicazione ufficiale della morte veniva affidata agli hippeis, alla sua guardia del corpo, i quali la annunciavano per tutto il paese. Cominciava un periodo di lutto obbligatorio: prevedeva espressioni di cordoglio pubblico e privato. Privato perché in casa gli spartiati dovevano indossare l’abito di circostanza appropriato, il capo doveva essere cosparso di cenere e dovevano presentarsi angustiati e sofferenti. Chi non seguiva il rituale era punito con gravi pene. Tutta la popolazione doveva concentrarsi in una grande assemblea per manifestazione di dolore collettivo. Ogni attività politica veniva anche sospesa per dieci giorni. 40 L'Agoghé è il sistema educativo di Sparta, di tipo pubblico, organizzato per cicli di classi di età. Licurgo tra le sue disposizioni aveva definito le forme e i contenuti dell’educazione del futuro cittadino. Secondo Senofonte, Licurgo aveva così dimostrato grande sollecitudine nei confronti dei giovani. Lo Stato sorveglia il cittadino in tutta la fase della vita. Plutarco ricorda l’abilità delle nutrici spartane, famose in tutto il mondo greco. L‘esempio di Alcibiade, Ateniese, nipote di Pericle, la cui balia era proprio spartana. Avevano competenze particolari per far diventare il bambino un perfetto oplita. L'agoghé cominciava con il compimento dei 7 anni, a 7 anni il fanciullo era considerato idoneo all’apprendimento. Dopo aver superato l’esame degli anziani alla nascita, fino a 7 anni il bambino era lasciato ai genitori, perché lo allevassero e lo crescessero in buona salute. A 7 anni i fanciulli erano tolti alla famiglia e sottoposti all’educazione pubblica, collettiva, ritenuta adeguata per la futura integrazione dei bambini nella società spartiata di uguali, il cui compito primario era l’esercizio della guerra. Dagli esempi e riferimenti nelle fonti, quando il bambino rientrava nella sfera dell’agoghè, era come se perdesse la relazione e il contatto con la sua famiglia, per allentare il rapporto con la mamma e la famiglia. Una disposizione di Licurgo prevedeva che ogni adulto aveva a Sparta la pari autorità sui propri figli e anche su quelli altrui. I bambini erano raggruppati in squadre, definite agheilai, gregge, squadre di coetanei che crescevano attraverso un addestramento che mirava allo sviluppo delle capacità fisiche e del carattere, secondo le regole di austerità e disciplina. L'agoghè era organizzata in 3 cicli di classi di età: 8-11 anni, periodo in cui l’educazione era in primo luogo l’esercizio all’ubbidienza. Gli anziani in questo frattempo studiavano il comportamento dei bambini e le loro attitudini, alla lotta e al coraggio. 12-15 anni: l’educazione prevedeva l’applicazione più severa dei criteri dell’austerità spartana. I giovani non indossavano più la tunica, portavano per tutto l’anno sempre lo stesso mantello. Non potevano lavarsi, gli unguenti erano banditi ad eccezione di pochi giorni all’anno. Dovevano dormire su dei pagliericci, preparati da sé, eventualmente anche rubando il materiale necessario. Era la fase più dura dell’agoghè. 16-20 anni: ultimo ciclo, i ragazzi erano ormai forti grazie a riti di iniziazione, si chiamavano ireni. Il sistema educativo spartano era sottoposto alla supervisione degli efori. Per gli aspetti pratici era affidato a un paidonòmos, colui che sorvegliava e addetto agli aspetti pratici, letteralmente il fanciullo-pastore, guardiano del gregge. Il paidonomos era scelto tra i giovani più grandi. La scansione dei cicli di età era finalizzata sia all’apprendimento delle tecniche di combattimento, sia a favorire la socializzazione del giovane. In questo modo nell’agoghè i giovani si conformavano alla disciplina, all’ubbidienza, al rispetto degli anziani. Senofonte scrive che Licurgo aveva stabilito che i giovani nella fase dell’agoghè dovessero camminare per strada con lo sguardo sempre verso il basso, in silenzio, senza guardarsi intorno. Nell'ultima classe di età, i riti di iniziazione servivano a portare questi ragazzi alla vita adulta. A questo proposito, la krypteia si configura come rito, il più forte. Altri riti erano il procacciamento del cibo con il furto e la frode, per cui se venivano scoperti erano anche puniti; era necessario percorrere i cicli dell’agoghè in maniera corretta, perché altrimenti il giovane non diventava cittadino spartano. Per ottenere lo statuto di cittadino era necessario svolgere con correttezza e competenza tutta l’agoghè. Altra istituzione importante per gli Spartiati era l’istituzione delle mense comuni, i sissizia. I sissizia sono i pasti in comune, così chiamati da Licurgo, mentre Senofonte li definisce suskemia, tende militari. Gli Spartiati adulti, riuniti in gruppi di circa 15, pranzavano insieme, mangiando gli stessi cibi e bevendo le stesse bevande. Anche l’ammissione all’interno di un sissizio di nuovi membri era regolata dal consenso comune dei partecipanti, e il consenso avveniva tramite una votazione, attraverso il lancio di una pallina di pane in un vaso. Tutti i partecipanti del sissizio dovevano essere d’accordo, bastava un solo voto contrario perché il candidato venisse escluso. Non sappiamo le ragioni che determinavano eventualmente il rifiuto. L'ordinamento gerarchico della società spartana lascia pensare a sissizia più ambiti di altri, come pure al loro interno potevano esserci distinzioni di rango anche se ufficialmente dovevano essere tutti uguali. 41 Licurgo stabilisce anche delle norme da seguire in merito all’alimentazione degli spartiati, perché la corretta alimentazione era indispensabile per l’equilibrio fisico e intellettuale dello spartiata: fu Licurgo a stabilire la quantità e la qualità del cibo da assumere. Ogni spartiata aveva l’obbligo di provvedere al pasto: ogni mese doveva portare determinate quantità di farina, vino, formaggio e fichi. Quando nel IV sec a Sparta viene ammessa una parziale e limitata circolazione monetaria, a questi cibi andava aggiunta una somma di denaro per l’acquisto di altri alimenti. I contributi per i sissizia erano fondamentali per mantenere lo status di spartiata. Solo i re erano esonerati dal pagamento dei contributi per i sissizia, avevano il privilegio della mensa a spese pubbliche. Tranne per situazioni eccezionali, come la celebrazione di sacrifici o un impegno di caccia, la presenza ai sissizi era obbligatoria, ed era indispensabile per conservare lo statuto civico di spartiata. Per gli spartiati il sissizio funzionava anche come spazio della circolazione dell’informazione, fornendo occasione per un momento di dibattito politico informale. Ce lo dice Plutarco ma anche Senofonte, il quale aggiunge anche che nel sissizio si parlava non di argomenti futili, ma di ciò che era stato compiuto di più bello dalla città di Sparta. Secondo uno scrittore Anonimo del III secolo, il sissizio poteva essere definito come una piccola politeia, una piccola cittadinanza. Platone invece vedeva nel sissizio un potenziale pericolo, perché lo vedeva come un focolaio di eventuali rivolte contro il kosmos spartano. Il sissizio forniva anche un modello educativo per i giovani, i quali, durante l’agoghè, non erano ancora obbligati al sissizio, ma erano ammessi perché potessero apprendere come si doveva parlare e si doveva scherzare in maniera adeguata nella vita adulta quotidiana. A loro veniva detto che bisogna rispettare la riservatezza: i giovani che entravano nella sala erano ammoniti dal più anziano degli spartiati, che mostrando la porta spiegava che da lì non doveva uscire nessuna parola di ciò che veniva proferito all’interno del sissizio. Il sissizio realizza lo stile di vita preparato dal ciclo educativo, perché riassume i modelli principali al quale si deve attenere il cittadino spartiata: nella frugalità del pasto si evince l’austerità; nella commensalità gli aspetti della vita comunitaria; nella circolazione dell’informazione ristretta, perché limitata al gruppo, riservata e selettiva, si evince l’aspetto di segretezza tipico degli Spartiati. Il sistema militare spartano Gli Spartani sono sempre stati celebrati come grandi combattenti, dei grandi opliti. La superiorità dell’esercito spartano godeva di grande fama consolidata, considerata il risultato dell’addestramento durante l’agoghè e dell’esperienza. Senofonte parla degli Spartiati come di coloro che erano esperti dell’arte della guerra e che la esercitavano come occupazione primaria. In funzione delle attività militari, a Sparta erano organizzati anche il sistema sociale ed economico. Nella pratica, la struttura applicata era quelle della falange oplitica, e anche le sue modalità di combattimento utilizzate in tutta la Grecia. La differenza rispetto alle altre poleis consisteva nella corrispondenza a Sparta tra la disciplina appresa durante l’agoghè e la capacità di coordinamento, richieste da una tattica che prevedeva l’azione di una massa di uomini e una preparazione che si basava sul connubio tra l’addestramento fisico, molto seguito a Sparta, e l’educazione alla vita di gruppo, all’obbedienza, al rispetto delle gerarchie. A Sparta c’era anche maggiore attenzione per gli aspetti organizzativi: attenzione alle vie di comunicazione (di competenza del re), la cura per la sussistenza nel periodo bellico, considerando alcune figure professionali come quella del màgheiros, ossia il cuciniere, importante perché gli Spartiati dovevano essere alimentati a dovere nel corso della campagna militare. Le figure professionali come il magheiros erano trasmesse per via ereditaria all’interno della stessa famiglia. In merito alla composizione dell’esercito spartano, essa è stata ristrutturata nel tempo. Le descrizioni degli autori sono quindi spesso contraddittorie, e ci impediscono di avere una conoscenza sicura della composizione. Plutarco scrive che la città di Sparta era come un accampamento, nel quale i cittadini si consideravano costantemente a servizio della patria. Verso la metà del V secolo, la falange spartana era composta da cinque reggimenti che corrispondevano alle 5 obài, che secondo la tradizione avrebbero sostituito una più antica e originaria tripartizione sulla base delle tre tribù doriche. Nell’epoca di Aristotele, approssimativamente del 403 fino alla battaglia di Leuttra del 371, 42 cassa federale (a differenza della lega ateniese), il che implica l’impossibilità di contare su un fondo di denaro che possa sovvenzionare i vari contingenti. 12. 26 /03 – LEGA PELOPON NESIACA E RELAZIONI NEL MONDO GRECO L'espansionismo di Sparta nel Peloponneso del VI sec è diverso da quello dell’VIII-VII sec della Messenia, perché gli Spartani sono ormai consapevoli del problema che gli Iloti rappresentano, quindi non riducono le nuove popolazioni nella condizione di Iloti, ma preferiscono concedere la condizione di alleati. Si unirono a Sparta: • la Megaride, la regione a sud ovest dell’Attica. Essa faceva parte del Peloponneso (politicamente anche se non geograficamente), e fra l’VIII e VI sec a.C. Megara svolge un’attività coloniale di un certo rilievo, sia in Occidente (fonda in Sicilia Megara Iblea), sia nel Bosforo, dove fonda Calcedone e Bisanzio. In Bitinia, a nord ovest dell’Asia Minore, viene fondata Eraclea Pontica. La città di Megara intanto anche nel mondo greco comincia ad avere alleate e nemiche: molto ostili con Megara sono Corinto, Calcide (città dell’Eubea), Samo, Atene (al tempo di Solone e di Pisistrato per il possesso di Salamina). Riesce a compensare queste ostilità con un’alleanza importante con l’isoletta di Egina a sud dell’Attica e di Salamina (in contrasto con la polis di Atene) e con Mileto. Agli inizi del VI sec, dalle fonti sappiamo che la città di Megara era governata dal tiranno Teàgene, suocero di Cilone ateniese che cercò di impossessarsi del potere ad Atene come tiranno nel 632. Alcune discrepanze negli studiosi sono relative alla cronologia. Quando Teagene agli inizi del VI secolo viene cacciato da Megara, Megara si allea definitivamente con Sparta entrando con essa in una lega, che sarà la futura lega peloponnesiaca. • A sud della Megaride, tutti gli stati peloponnesiaci si trovavano nel V sec già sotto l’influenza spartana, tranne due: gli Achei, stanziati sulle coste meridionali del Golfo di Corinto, uniti tra loro da vincoli federali intorno ad un tempio (anfizionia), ossia il santuario di Zeus Amarios ad Elice, ed entrano nell’alleanza con Sparta solo alla fine del V sec (fino a questo momento rimangono ostili a Sparta). • Oltre agli Achei sono esclusi dall’influenza spartana anche gli Argivi, eterni rivali e nemici di Sparta, stanziati nell’Argolide (dove si trova Argo) nel Peloponneso nord-orientale, il centro della civiltà micenea. Argo raggiunge una notevole potenza durante l’età arcaica, sotto il re Fidòne che verso la metà del VII sec svolge una politica di ampio respiro. Conia monete fra i primi in Grecia e cerca di ottenere (in opposizione a Sparta) l’egemonia sul Peloponneso. Morto Fidone, Argo comincia a perdere importanza perché nel frattempo si potenziano sempre più sia Corinto (molto vicina geograficamente ad Argo) sia Sparta. Sparta inflisse una clamorosa sconfitta agli Argivi grazie a Cleomene re di Sparta intorno al 500. Gli Argivi mantengono nei confronti di Corinto e Sparta un’avversione costante, che sarà alla base della loro neutralità quando c’erano azioni comuni che riunivano i Greci, per esempio nelle guerre persiane: gli argivi preferiscono mantenersi neutrali piuttosto che legarsi a Corinto e Sparta. • Dopo la sottomissione della Messenia che si compie fino alla metà del VII secolo, Sparta si muove contro gli Arcadi (l’Arcadia è più a sud dell’Acaia, nel Peloponneso), che sono organizzati in due stati federali intorno alle città di Orcòmeno e Tegèa. Durante le guerre messeniche erano stati anche alleati dei Messeni, anche se, secondo le fonti, poi li tradirono. Sparta muove contro gli Arcadi e li sconfigge. Dopo la sconfitta gli Arcadi sono costretti a cedere a Sparta la regione più meridionale del loro stato, la Sciritide, dalla quale provenivano i fanti della fanteria leggera scelta sulla quale faceva affidamento Sparta (Sciritidi precedevano il re durante le campagne militari). La Sciritide dunque 45 entra a far parte della Laconia, e le città importanti come Tegea, Orcomeno e Mantinea sono costrette ad allearsi con Sparta e a riconoscerne l’egemonia. • Nell'alleanza con Sparta, nel VI secolo entrano anche gli Elei, che abitavano l’Elide, a nord ovest del Peloponneso, e dato che nel loro territorio delll’Elide si trova il santuario di Olimpia, gli Elei esercitavano, su questo santuario e sui giochi delle Olimpiadi, la prostasìa, cioè la presidenza dei giochi e del santuario. • Nel VI secolo si uniscono a Sparta anche le città minori dell’Argolide, come Trezène, Epidàuro, Ermiòne, che per sottrarsi all’influenza di Argo preferiscono legarsi a Sparta. • Si legano a Sparta anche Fliunte, a nord est del Peloponneso nell’Arcadia; l’isola di Egina a sud dell’Attica, molto vicina ad Atene geograficamente ma politicamente molto lontane; si uniscono a Sparta anche le città di Sicione e Corinto, molto floride nel periodo della colonizzazione greca, Sicione sotto la tirannide di Clistene (nonno di Clistene il legislatore, figlio di Megacle a Agariste, figlia di Clistene di Sicione); a Corinto c’era stata la tirannide di Periandro, della dinastia dei Cipselidi. Dopo la morte dei tiranni, le due città vengono turbate da lotte intestine molto forti dovute ai discendenti dei generi dei tiranni, quindi si erano rivolte a Sparta per ottenere aiuto, e avendolo ottenuto Sparta le costringerà all’alleanza. Come coordinamento delle alleanze viene fondata una lega nel VI secolo: la lega peloponnesiaca (termine coniato dai moderni). Molti studiosi attribuiscono la fondazione della lega all’eforo Chilone (definito primo eforo, che vive però nella metà del VI secolo). Sappiamo che la lega esisteva già nel 525 a.C., anno in cui gli Spartani con i Corinzi allestiscono una spedizione navale contro il tiranno di Samo Policrate (ce lo dice Erodoto). Il primo ricordo esplicito degli alleati di Sparta come facenti parte di una lega che vedeva egemone Sparta, si ha nel 506, quando Cleomene il re spartano realizza una spedizione contro Atene in favore di Isagora, per smantellare la riforma del legislatore Clistene. Un’altra menzione della lega nel 500, in occasione della spedizione sempre di Cleomene ma contro Atene, in appoggio dei Pisistratidi, dove si parla dell’assemblea degli alleati e di una loro deliberazione. La lega peloponnesiaca è un’alleanza militare permanente, di carattere difensivo (almeno originariamente). Le città che vi facevano parte erano autonome, ma dovevano obbligatoriamente accettare l’egemonia spartana in caso di guerre. Il dualismo di questa lega, che comprendeva la città egemone da una parte e un numero fluttuante di città che ne accettavano in guerra il primato, si esprimeva nella formula ufficiale con cui veniva designata la lega: “gli Spartani e i loro alleati”. Esisteva un consiglio della lega, il sinedrio, costituito dai rappresentanti di tutte le poleis alleate, ciascuna della quale aveva a disposizione un voto, indipendentemente dalla grandezza e dall’importanza. Il consiglio, che vedeva partecipare i rappresentanti di tutti gli alleati, era nettamente distinto dagli organi deliberativi di Sparta (cosa che non accade ad Atene, che era molto ingerente nella sua lega). A Sparta, quando si doveva prendere una decisione che interessava la lega, perché doveva essere presente una dichiarazione di guerra o un trattato di pace, l’Apella, dopo aver ascoltato gli alleati, decideva in merito alle proposte avanzate; poi la deliberazione dell’Apella era sottoposta al voto dei rappresentanti degli alleati, dei membri della lega, che potevano approvare o respingere. Solo questo voto finale, al quale Sparta non partecipava, determinava l’azione della lega. Dalle fonti si evince che la volontà spartana poteva affermarsi comunque, perché l’influenza che Sparta esercitava sulle città minori era determinante, perché il loro voto aveva lo stesso valore di quelle più grandi. Se Sparta riusciva ad influenza le poleis più piccole, poteva comunque far deliberare come lei desiderava, vincendo sul numero delle città più grandi. Inoltre, Sparta aveva fatto sì che nelle piccole e grandi città venissero instaurati dei governi oligarchici, che erano filo spartani. Le decisioni della maggioranza obbligavano tutta la lega ad agire e a portare avanti quanto stabilito. Gli spartani, che dovevano eseguire ciò che la maggioranza aveva deliberato, inviavano dei messaggeri o araldi alle singole città della lega peloponnesiaca, erano sempre gli spartani a fissare il contingente che ciascuna città dovesse fornire per cominciare la campagna militare e il giorno in cui il contingente doveva presentarsi. Gli spartani assumevano il comando della campagna, gli alleati erano consapevoli di dover accettare l’egemonia di Sparta in guerra. 46 L'autonomia delle polis che facevano parte della lega peloponnesiaca era confermata dalla lega, e non ammetteva che le poleis versassero un tributo in denaro per il mantenimento della lega, solo durante le campagne militari ogni polis doveva mantenere le proprie truppe. In caso di necessità, poi, le varie poleis dovevano contribuire in maniera volontaria per il mantenimento delle truppe e per le azioni di guerra stabilite dalla lega. Le forze degli alleati che adesso Sparta aveva erano notevoli: all’inizio del V secolo Sparta possedeva il più valido esercito terrestre della Grecia continentale, e grazie all’alleanza dei Corinzi, che erano molto esperti nella marineria, c’era a disposizione anche una buona flotta. Con questo strumento di potenza Sparta avrebbe potuto tentare di unificare tutta la Grecia sotto la sua egemonia già all’inizio del V sec. Probabilmente era questa l’aspirazione di Cleomene, che interviene per ben due volte ad Atene, ufficialmente per eliminare la costituzione democratica istituita da Clistene, ma in realtà per esercitare la sua influenza e il suo dominio anche su Atene. Il tentativo di Cleomene fallì, anche perché di fondo sia gli Spartani che gli alleati erano ostili ad avventure extra-peloponnesiache, per il timore delle rivolte ilotiche. I Greci dopo la colonizzazione sono dislocati in varie parti del Mediterraneo. Sono importanti alcune isole vicine alla costa Greca: Citèra, a sud del Peloponneso, apparteneva a Sparta; Salamina, accanto alla costa attica, era legata ad Atene; Egina faceva parte della lega peloponnesiaca (pur essendo vicina all’Attica); Eubea a nord dell’Attica era sotto l’influenza di Atene. Le città più importanti erano Eretria e Calcide, protagoniste anche della colonizzazione dell’VIII-VII secolo. Atene era alleata di Eretria ma era nemica di Calcide, nonostante l’influenza ateniese su tutta l’isola. Atene aveva inviato sul territorio di Calcide, dopo averla sconfitta, una clerukìa di cittadini ateniesi, cioè una colonia (diversa dall’apoikìa) dove il legame con la madrepatria è molto forte. I cittadini ateniesi che si recavano qui rimanevano cittadini ateniesi, perché lì dovevano esercitare solo una funzione di controllo. I cittadini ateniesi che si recavano nelle clerukie, tornando ad Atene erano comunque cittadini ateniesi con tutti i loro beni e le loro proprietà, non perdevano alcunché. Altra isola importante è Corcìra, sulla costa dell’Epiro, era colonia di Corinto ma anche estremamente rivale di Corinto stessa. Non c’è mai stato un rapporto amabile tra madrepatria e colonia, come è accaduto altrove. Grazie alla sua flotta, Corcira era riuscita a mantenere la sua indipendenza nei confronti di Corinto, ed era ambita come alleata. Diventerà presto alleata di Atene (fine V secolo soprattutto). I Greci d’Asia, della costa dell’Asia minore dove erano state stanziate varie colonie durante la prima e la seconda colonizzazione: le isole dell’Egeo vicine alla costa asiatica, erano agli inizi sotto il dominio del re di Lidia (Sardi, capitale del regno di Lidia, era vicina alle varie colonie greche). Le città greche d’Asia all’inizio sono sotto il dominio del re di Lidia. Quando la Lidia viene conquistata dal re persiano Ciro nel 546, passarono sotto il dominio persiano. La rivolta di queste città dell’Asia minore, guidate da Mileto sarà la causa delle guerre persiane secondo Erodoto. Le grandi isole dell’Egeo come Rodi, Samo, nel corso del VI secolo passano sotto al dominio persiano. Indipendente rimane l’isola dorica di Creta, che nel VI secolo fu governata da oligarchie, e vi si svilupparono molto presto la pirateria e il mercenarismo. I Greci d’Occidente: rispetto alla Grecia continentale e rispetto alle colonie orientali (città greche dell’Asia Minore), le città greche d’Occidente furono in ritardo per l’avvento dei regimi tirannici. Fatta eccezione nel VI secolo per qualche città, per esempio il tiranno Falaride di Agrigento; la tirannide in occidente si afferma agli inizi del V secolo, con Ippocrate di Gela, Perillo di Imera, Terone di Agrigento, Anassilao di Reggio, i Dinomenidi di Siracusa (es. Dionisio). I caratteri della tirannide siceliota, di cui abbiamo notizie in Erodoto (V secolo), in Pindaro e in Bacchilide (VI-V secolo), in Diodoro, sono diversi da quelli della tirannide nella Grecia continentale, o dalle tirannidi delle isole dell’Egeo e delle coste asiatiche: in Grecia la tirannide era nata da contrasti sociali, per esempio con Pisistrato, ed essa si era appoggiata sulle classi più basse e popolari; invece sulle coste dell’Asia Minore la tirannide è uno strumento della dominazione persiana: quando i persiani occupano la zona sconfiggendo il re di Lidia impongono alla varie poleis greche dell’Asia Minore dei tiranni, dei cittadini greci ma filo persiani, sotto il controllo diretto dei satrapi persiani; in Sicilia invece la tirannide è ancora differente, perché si appoggia sugli elementi aristocratici e conservatori oltre che sull’esercito, e nasce in funzione della lotta contro i barbari, rappresentati dai Cartaginesi, che nel 47 dimostrarono il loro valore e la loro superiorità militare, che i Greci non conoscevano. Non ebbero paura dei Persiani agli inizi, perché pensavano che Creso non potesse essere sconfitto da un persiano che non conoscevano. Invece in appena due settimane Ciro riuscì a prendere Sardi, la capitale dei Lidi, che cadde nelle mani dei Persiani. Sardi era considerata imprendibile e fu un grande scossone per i greci che vi abitavano: Creso, il loro re, venne fatto prigioniero da Ciro e la sua caduta determinò la nascita dei rapporti tra Persia e Grecia, entrando in una fase che ancora non era conosciuta. Dal 546 ha inizio il contatto diretto tra i Greco e i Persiani, che durerà per secoli. Le colonie greche dell’Asia Minore erano state soggette al re dei Lidi, ma quei Greci non si erano mai sentiti realmente oppressi, specialmente da quando i Lidi avevano scoperto la civiltà ellenica e l’avevano vista con entusiasmo, l’avevano apprezzata. I greci non si sentivano sudditi ma erano stimati dai Lidi, i quali avevano capito l’importanza di quelle colonie greche. D’altra parte i Greci avevano molto appreso dai Lidi, incluso l’uso della moneta che impostò su basi nuove l’economia del Mediterraneo (sembra che i Lidi abbiano dato origine alla monetazione). Ciro, che era sempre a conoscenza di ciò che avveniva nel suo impero, aveva conosciuto o sentito parlare dei Greci, che occupavano alcune città dell’Asia Minore. Prima della spedizione contro la Lidia, Ciro aveva proposto alle singole poleis greche in Asia Minore degli accordi: solo Mileto, scrive Erodoto, era stata così saggia da schierarsi apertamente al fianco di Ciro. Al contrario le altre poleis, credendo fermamente nell’invincibilità di Creso, non avevano preso in considerazione la proposta di Ciro. Dopo la sconfitta di Creso, tutte le colonie greche dell’asia minore furono poste sotto il diretto controllo dei satrapi persiani (comandanti delle satrapie, province dell’impero persiano). Mileto, invece, poté godere di un trattato di amicizia e alleanza con il grande re di Persia. Altre città che avevano rifiutato di accogliere i Persiani al loro interno furono assoggettate con la forza e la violenza: si parla di violenze esercitate da Arpago, generale di Ciro. Le poleis dell’Asia Minore chiesero aiuto alla madrepatria, quindi a Sparta, che in quel momento era forte. Gli Spartani inviarono un’ambasceria a Ciro, ma Ciro non sapeva chi fossero gli Spartani (conosceva solo il concetto di Greco), quindi non vennero ascoltati da Ciro e non ottennero nessuna concessione in merito alla richiesta di non attaccare gli Ioni. In Lidia ci fu anche la sollevazione – anche se non grande – di un Lidio, Pattolo, che cercò di allontanare i Persiani ribellandosi, però la sua rivolta venne facilmente repressa. I Persiani erano convinti di poter assicurarsi il possesso del territorio trasferendovi coloni, insediandovi guarnigioni militari e affidando il governo delle varie città greche a dei Greci ma filo persiani, sotto l’incarico di tiranni, sotto la stretta dipendenza dei Persiani. Gli Ioni in Asia Minore si accorsero presto che il dominio persiano non era quello dei Lidi, perché i Persiani esercitavano un dominio più opprimente e spiacevole rispetto a quello dei re di Lidia, che erano stati sempre molto sensibili e vicini ai Greci. L'idea greca dello stato era inconciliabile con quella persiana, era in contrasto evidente e agli inizi i due mondi avevano pochi punti di accordo. Pian piano l’impero persiano si estende, già dopo la conquista della Lidia la Persia diventa una grande potenza, Ciro assoggetta questa zona e poi le zone iraniche orientali fino a raggiungere anche l’India, includendo anche Babilonia. Estende enormemente il suo dominio. Ciro nel 546 annette al suo impero la Lidia e ne espugna la capitale Sardi, pone fine al regno neobabilonese sorto dopo la caduta dell’impero assiro, e nel 539 Ciro conquista Babilonia e restituisce la libertà agli ebrei che lì erano stati deportati, concede loro di ritornare nella loro terra e di ricostruire il tempio di Gerusalemme nel 538. In questo modo Ciro si guadagna l’eterna riconoscenza del popolo ebraico. Impone poi la sua sovranità sulle città fenicie, in Siria, in Palestina. Nel 529 muore combattendo contro i Messageti sul confine orientale dell’Impero, lungo il fiume Oxos. Morto Ciro, gli succede il figlio Cambise, che viene ricordato per la conquista dell’Egitto tra il 526- 525. Egli era molto diverso dal padre: non era tollerante come invece era stato Ciro nei confronti dei suoi sudditi. Sale al trono prendendo il posto del padre, ma per assicurarselo senza problemi, uccide il fratello minore Bardija. Cambise era piuttosto intollerante, collerico, non era molto amato dai suoi sudditi come invece era amato Ciro. Mentre Cambise si trovava in Egitto per la sua conquista, gli arriva la notizia dell’elezione al trono di Persia del fratello Bardija, che però lui aveva ucciso. Alla notizia dell’elezione del falso Bardiria tornò in Siria, ma lì morì. Il falso Bardiria era in realtà Gaumata, 50 un mago. L'elemento sacerdotale era costituito da magi. Gaumata era riuscito a farsi eleggere grazie all’appoggio della casta sacerdotale, piuttosto potente, che contava su di lui per assumere il controllo del paese. Grazie a vari provvedimenti molto graditi al popolo, per esempio la sospensione dei tributi per tre anni, Gaumata si guadagnò il favore delle masse e l’influenza degli aristocratici cominciò a venire meno in tutti i campi. La lotta per il potere tra l’elemento sacerdotale (i magi) e gli elementi dell’aristocrazia iranica era molto difficile. Tra gli aristocratici si impose Dario, il futuro grande Dario I, figlio di Istaspe, satrapo dei Parti (satrapia della Partia), che discendeva da un ramo collaterale degli Achemenidi (era vicino alla casa reale). Dario figlio di Istaspe si alleò con altri sei nobili persiani (scrive Erodoto) e in poche settimane riuscì ad eliminare Gaumata, il quale regnò appena due mesi e fu ucciso proprio da Dario. Dario quindi si ritrova ad avere in mano il potere. Venne incoronato re dei Persiani nella capitale della Persia Pasargade e sposò Atossa, legittimando così il potere, perché Atossa era la figlia di Ciro, quindi Dario, sposandola, successe a Ciro in maniera più legittima. Come spesso succedeva nell’impero persiano, quando moriva un grande re e doveva succederne un altro, si verificavano dei disordini sia a livello dinastico, sia all’interno dell’impero. In molte zone i satrapi si rivoltavano: abbiamo notizie di rivolte in Media, Partia, Ircania e Armenia. Dario riuscì a sedare le rivolte e poi si dedicò alla riorganizzazione dell’Impero, che con lui giunse la massima espansione. Estende il dominio verso oriente fino all’Indo, e a occidente fino alla Macedonia e alla Tracia. L'impero persiano nella coscienza e rappresentazione dei Greci è il modello dello stato barbarico per eccellenza, potente e in grado di minacciare i Greci, nei quali suscitava sia timore sia ammirazione, perché per i Greci l’impero persiano diventa un modello per la politica sistematica di espansione adottata dai grandi re di Persia, modello anche per la sua struttura organizzativa molto efficiente, ripartito in province con funzioni amministrative e fiscali ben definite; per i Greci poi l’impero persiano era anche sinonimo di ricchezza, l’oro si identificava con il mondo persiano, d’altra parte la moneta d’oro per eccellenza che i Greci conoscevano era il darìco, la moneta dei persiani. Per i greci i persiani sono i barbari per antonomasia, sempre caratterizzati negativamente, tuttavia nonostante tutto sono partners di scambi e di relazioni diplomatiche, sono anche un popolo che offre ospitalità. Gli Achemenidi (i Persiani) esercitano sicuramente una certa influenza sulla storia del mondo antico in generale, in particolare quello greco. I contatti tra Greci e Persiani sono frequenti e durano per secoli. Già dall’epoca di Ciro abbiamo notizia di intagliatori della pietra provenienti dalla Ionia chiamati in Persia per la costruzione dei grandi palazzi imperiali; abbiamo poi notizia di medici, letterati, architetti greci che lavoravano presso la corte persiana; abbiamo notizia anche di mercenari greci che militarono nell’esercito persiano (per esempio anche gli spartani militano nell’esercito persiano al tempo dei contrasti tra Ciro il giovane e il fratello Artaserse). Le fonti ci dicono anche che presso la corte di persia si trovavano molti esuli greci, anche di alto rango, come ad esempio Demarato re di Sparta che fu ospite alla corte persiana. Fu Demarato a dare tante informazioni al grande re di Persia in merito al mondo greco. E poi ci sono tiranni, uomini politici come Ippia (Pisistratide), Temistocle, storici come Ctesia, Senofonte. Proprio grazie allo storico greco Erodoto, possediamo una descrizione dell’impero persiano. Le iscrizioni persiane pervenuteci sono documenti tipici dell’antico oriente, dettati dall’alto in onore e glorificazione del grande re, dunque non sono oggettivi. Prima che gli scavi archeologici nelle varie regioni dell’impero achemenide ci restituissero reperti importanti, come le iscrizioni regie, tavolette d’argilla, resti iconografici e numismatici, le notizie che prima avevamo sull’impero persiano ci erano note quasi del tutto grazie a scrittori greci, i quali concentravano la loro attenzione soprattutto sulla situazione delle coste egee, perché è lì che si trovavano le poleis greche in asia minore. Si concentravano anche sugli affari diplomatici e militari, su complotti di corte. L'impero persiano si presenta come un aggregato di territori soggetti, tenuti insieme dalla forza centrale del grande re. Tra questi popoli non c’erano legami linguistici, culturali, religiosi, artistici che potessero favorire la coesione. L'impero si estendeva dall’Indo all’Egeo, dalle montagne del Caucaso fino alla Nubia. Era formato da tanti popoli, tante stirpi dalle culture diverse. Il mondo persiano si presenta all’opposto di quello greco, che al tempo si estendeva dall’Egeo alla Spagna, dalla Russia Meridionale alla Libia, ma ad eccezione dei territori della madrepatria, si trattava di un’espansione a 51 zone, non di un tutto-continuo. C'era un frazionamento politico in un quadro di omogeneità culturale: il contrario dell’Impero persiano, in cui ci sono differenze culturali, religiose, ma unità politica imposta dal grande re. L’impero persiano non costituiva un’unità economica e sociale, questo poteva anche causare una certa decentralizzazione politica, ma il grande re aveva la capacità di tenere unito tutto l’Impero. L'organizzazione realizzata da Dario I fu un’opera grandiosa e rimane in vigore per secoli. Se si tiene conto dell’estensione del territorio e delle enormi distanze tra le varie parti dell’impero che potevano ostacolare la realizzazione di un’amministrazione ordinata e solida, possiamo definire grandiosa l’opera di questo grande re. Dario sale al trono nel 521, e tra il 518-514, dopo aver sedato le grandi insurrezioni, avvalendosi di collaboratori fidati, riorganizzò l’impero amministrativamente e fiscalmente. Da Erodoto si deduce che Dario è il creatore nel suo impero del tributo, inteso alla maniera greca del V secolo. Esso viene stabilito in base alle potenzialità del territorio, e quella regione doveva pagare quel dato tributo in base ai calcoli effettuati dai responsabili. Dario divide infatti l’impero in 20 province, definite satrapie, e istituisce il pagamento di un tributo fisso da parte dei sudditi. Prima di Dario non era stabilito un tributo regolare nell’impero: le fonti varie scrivono che i sudditi inviavano al grande re dei doni, come se fossero delle donazioni e non dei tributi. In realtà sappiamo che Ciro e Cambise avevano dovuto curare l’amministrazione finanziaria, perché per le loro imprese avevano avuto sicuramente bisogno di molti fondi per le armate e le spedizioni militari, avendo conquistato varie terre e avendo costituito il loro impero. Durante il regno di Ciro e Cambise, i popoli che riconoscevano la supremazia persiana dovevano versare al re e al potere centrale dei contributi in natura o in metallo prezioso. Dopo la riforma di Dario il sistema di doni non scompare, nelle fonti abbiamo dei riferimenti, ma si tratta di un apparato tributario sotto forma di doni. In realtà a Ciro i popoli assoggettati avevano fatto volentieri atto di sottomissione, e perciò le prestazioni elargite sembrano doni, nel senso politico che Erodoto attribuisce a questo termine. Dalle fonti sappiamo che Cambise, non molto amato per il carattere collerico, era più crudele e ritenuto piuttosto duro forse perché aumentò la pressione fiscale, per finanziare la campagna in Egitto. Dario alla fine stabilì delle cifre precise per il tributo, in proporzione alla stima del valore delle terre della regione che doveva pagare questo tributo. I tributi, che erano tanti, venivano raccolti dagli amministratori delle province, cioè i satrapi. Il termine satrapo è persiano e significa “protettore del regno”, probabilmente era un titolo che esisteva già sotto il regno di Ciro il grande, forse di origine meda. Designava i signori feudali, che controllavano vasti territori. Quando Dario divise l’impero in 20 satrapie, le dimensioni delle antiche satrapie vennero ridotte. Il satrapo quindi deve gestire da quel momento dei territori più piccoli. I tributi delle varie satrapie venivano raccolti dai satrapi e ammassati in depositi centrali che si trovavano nelle varie residenze reali. Alessandro Magno trovò molti tesori inutilizzati nei vari palazzi reali. I distretti fiscali a volte coincidevano, altre volte si intersecavano con le satrapie, non sempre corrispondevano. I distretti erano l’espressione di un sistema di governo assolutistico, che riprendeva i modelli precedenti dei grandi imperi dell’antico oriente, l’impero assiro e quello neo babilonese. L'ordinamento imperiale persiano si basava principalmente sul rapporto di fedeltà personale tra il grande re e i suoi sudditi, i quali venivano educati a questo, sentivano di dovere al grande re obbedienza incondizionata, loro vivevano per il grande re. Per il sovrano invece i sudditi, qualunque fosse il loro ceto di appartenenza, erano schiavi. La vita del sovrano era piuttosto isolata, solo i potenti osavano guardarlo da lontano e durante le udienze (così si spiega meglio la vicenda del falso Bardija, perché nessuno conosceva il volto del re). I re achemenidi erano circondati da molto rigore, ma al contempo avevano una straordinaria tolleranza verso la religione e i costumi dei loro sudditi, i quali subivano una pressione fiscale ma erano lasciati abbastanza liberi nell’amministrare il loro stato. Anche la lingua dei conquistatori non era imposta agli stati assoggettati, non doveva essere quella persiana. Solo la lingua ufficiale, della cancelleria, rimaneva l’aramaico imperiale. I grandi re, dando vita al loro impero, pur operando confische di terre e installando guarnigioni militari ovunque, cercavano di utilizzare le strutture preesistenti, perché quelle potevano fare da mediatrici tra i conquistatori e i conquistati, tanto che a volte si aveva l’impressione che non si realizzasse una rottura con il governo precedente, ma una continuazione. Sappiamo per esempio che Astiage re dei 52 famiglia reale. A causa della loro rivalità, Dario II fu costretto a inviare il figlio Cirio nella Ionia per riappacificare la situazione. I successi di un satrapo potevano provocare il risentimento o invidia di altri satrapi, che allora cercavano di mettere in cattiva luce il successo di quel satrapo davanti al grande re, fingendo che quel potere si stesse rafforzando ai danni del governo centrale. Quando un satrapo veniva sospettato dal grande re aveva due possibilità: o andava a discolparsi a Susa presso la corte, rischiando anche di essere condannato, quindi ucciso; oppure poteva ribellarsi per potersi salvare. Tra società greca e società persiana la maggiore differenza sta nell’individuo che, nella prima società, poteva esprimersi a seconda delle proprie doti; nella seconda dominava invece solo la figura del grande re di Persia. Raramente sono giunti i nomi dei grandi collaboratori, da fonti greche. I contatti che si ebbero tra questi due mondi, però, determinarono delle vicende importantissime, delle soluzioni politiche rilevanti nel mondo greco. Ci sono anche rapporti diplomatici tra questi due mondi, specialmente nel V secolo. È bene però precisare che l'alleanza con il barbaro persiano solitamente non si realizzava a livello di parità: il grande re non realizzava alleanze a livello paritario con altri popoli, per lui bisognava sottomettersi al barbaro. I trattati erano sempre dettati dal grande re, ed erano di tipo unilaterale. I Persiani chiedevano “terra e acqua” ai popoli con cui entravano in contatto: era una richiesta che serviva ad evitare un confronto militare, ad offrire un’alternativa. Questa richiesta era comunque preliminare ad ogni tipo di accordo con i Persiani. Ad esempio quando il grande re di Persia organizza una spedizione contro gli Sciiti, a loro venne avanzata prima la richiesta di concedere terra e acqua, poi si passò il dibattito. Anche dopo la riforma di Clistene alcuni legati ateniesi, inviati dal partito avverso in Persia, si trovavano presso la corte del grande re per chiedere un aiuto o un’alleanza, e il grande re fece richiedere prima terra e acqua. I delegati ateniesi accettarono, creando poi in patria vari disordini, rimproveri e punizioni. È una richiesta che troviamo sempre citata quando si parla di rapporti tra persiani e greci. Questa rituale richiesta persiana era propria dell’ideologia imperiale achemenide, perché equivaleva al riconoscimento della superiorità dello stato richiedente, e dell’inferiorità dello stato che invece accettava la richiesta. A questa richiesta si può paragonare anche il cerimoniale della proskùnesis, o proscinesi, genuflessione, che veniva richiesto in presenza del grande re. Bisognava inginocchiarsi davanti a lui, di modo da riconoscere la superiorità del grande re rispetto al delegato dello stato alle sue spalle, che si adeguava alla proskunesis. Gli stati che aderivano alla richiesta del re ne diventavano per lui sudditi, e come tutti i suoi sudditi gli dovevano lealtà eterna, risorse materiali, militari e fiscali. 14. 31 /03 – LA RIVOLTA IONICA E LA PRIMA GUERRA PERSIANA Nel V secolo la storia delle poleis greche si intreccia con quella del vicino oriente. Con le guerre persiane nel V secolo comincia la storia della Grecia classica, la Grecia delle poleis. La resistenza alla grande invasione persiana era stata organizzata nel 481 al tempo della seconda guerra persiana da una prima lega di poleis greche i cui rappresentanti si riuniscono a Corinto dove viene organizzato un congresso che raccoglie ben 31 città, piccole e grandi, che danno vita alla lega panellenica. Sarà l’unica volta in cui le poleis greche si uniscono nonostante il loro individualismo e particolarismo per combattere un nemico comune, quello persiano. Agli inizi dei contatti tra mondo greco e mondo persiano, lo scontro è entrato nella storia come qualcosa di più importante che un semplice conflitto. Le guerre persiane vengono trasfigurate in mito e in epopea già dai contemporanei, non solo dai posteri, gli stessi contemporanei già dopo i fatti accaduti sentirono il bisogno di elevare queste vicende. Per esempio, il tragediografo greco Eschilo (V secolo) scrive la tragedia I Persiani, l’unica tragedia greca storica pervenuta per intero. 55 Essa venne rappresentata ad Atene nel 472 a.C., 18 anni dopo la battaglia di Maratona (del 490) e solo 8 anni dopo la battaglia di Salamina (480). Di queste due battaglie Eschilo era stato testimonio oculare, combattente. Ciononostante lo scontro tra Greci e Persiani nella tragedia è sentito simbolicamente come l’urto tra due ideologie differenti, due concezioni dell’uomo e dello stato opposte. La sconfitta persiana viene vista alla luce della teoria eschilea della hybris, la tracotanza, è vista come la risposta divina alla superbia umana che si manifesta nei disegni di dominio degli imperi storici come quello persiano. In questa tragedia la regina Atossa, moglie del re Dario I, figlia di Ciro, racconta nella tragedia un sogno profetico che aveva fatto e narra questo sogno al coro, formato da vecchi Persiani, e racconta che nel sogno ci sono due donne, due sorelle, che rappresentano la Grecia e la Persia. Serse, il figlio di Atossa e Dario, aveva voluto aggiogare le due donne allo stesso carro. Mentre la Persia non si oppone al giogo, la Grecia no, sbalza Serse dal carro ed è insofferente di ogni legame. Ad Atossa che chiede informazione al coro su Atene e sui capi che la comandano, il coro risponde che Atene di nessun mortale è chiamata serva o suddita. Questa è la definizione che dà Eschilo, ed è la differenza essenziale tra i due mondi: il greco è libero, il barbaro è schiavo. Ciò che fa la libertà del greco è proprio la polis, nella polis l’individuo ha la possibilità di instaurare un rapporto nuovo con lo stato, di cittadino e non di suddito. La trasfigurazione poetica, l’idealizzazione simbolica, non impedì ai Greci di cogliere il significato politico e l’importanza militare di questo conflitto. La percezione dell’importanza storica dell’avvenimento dà origine alla prima opera della storia della Letteratura Greca, ossia le Storie di Erodoto, nelle quali vediamo applicato per la prima volta il criterio dell’autopsia, cioè il controllo diretto da parte dello storico delle fonti alle quali attinge per ricostruire le vicende storiche; e poi il criterio della critica, una critica piuttosto ingenua ma è un inizio importante. Le storie di Erodoto vengono divise dagli eruditi alessandrini in 9 libri, ognuno ha il nome di una Musa. Le storie di Erodoto sono la fonte principale che noi possediamo sulle guerre persiane. Erodoto nasce ad Alicarnasso, in Asia Minore, ma gran parte della sua opera viene composta ad Atene nella seconda metà del V secolo a.C., nell’età di Pericle (Erodoto è ospite di Pericle). L’opera di Erodoto ha uno scopo preciso, che l’autore stesso esplicita scrivendolo all’inizio dell’opera: Erodoto scrive che il suo scopo è quello di “far sì che il ricordo di tanti avvenimenti umani non sia cancellato dal tempo e che non rimangano oscure le grandi e mirabili imprese dei greci e dei barbari, e si conoscano inoltre le cause per cui vennero a guerra fra loro”. Delle guerre persiane Erodoto inizia a parlare nel quinto libro, nei libri precedenti infatti descrive quei popoli con i quali viene a contatto il mondo greco, cioè parla della storia dell’impero persiano e degli stati che erano confluiti in questo impero, come la Lidia, la Media, l’Egitto. Erodoto fornisce tante informazioni, ma al di sopra degli uomini e delle loro lotte vede sempre la presenza del divino, ogni vicenda è spiegata alla luce della hybris, della violenza umana e dell’intervento divino: non sempre Erodoto è del tutto oggettivo. Il primo scontro tra greci e persiani vede protagonisti i Greci dell’Asia Minore. Avviene una rivolta nella Ionia, vista da Erodoto come la causa immediata della prima guerra persiana. Le cause più profonde di questa rivolta da parte degli Ioni delle poleis greche dell’Asia Minore contro i persiani non sono quelle che ci scrive Erodoto, e lo capiamo dallo studio di altre fonti, letterarie e anche archeologiche. I Persiani e i Greci vengono a scontrarsi a causa della politica che i Persiani avevano adottato in Asia Minore nei confronti dei Greci. In tutte le città greche sotto il dominio persiano in Asia minore, i Persiani avevano posto degli uomini greci ma di fiducia del grande re. Per i Greci questi governatori imposti dai persiani erano tiranni che opprimevano le loro poleis. Da parte loro, i tiranni trovavano appoggio nei satrapi persiani e nei gruppi filo persiani della cittadinanza della polis greca. Era naturale che i persiani e i loro sostenitori fossero ritenuti responsabili del declino di cui il commercio ionico soffrì nell’ultimo venticinquennio del VI secolo. La conquista dell’Egitto avvenuta intorno al 525 da parte del re persiano Cambise danneggiò molto anche il commercio greco, soprattutto ionico, che era molto fiorente con la terra d’Egitto. La decadenza del centro commerciale greco di Nàucrati fu una perdita importante per i Greci. Dopo la spedizione contro gli Sciiti, che Dario effettuò tra il 513 e il 512, Dario aveva posto mano sugli stretti tra l’Asia e l’Europa. I Persiani controllavano soprattutto i traffici greci con l’area del Mar Nero, ricca di grano, di importanza vitale per esempio per una città come Mileto, che viveva di commercio. Mileto ricevette un altro duro 56 colpo al tempo della perdita di una sua piazza commerciale in occidente, quando venne distrutta la città amica di Sibari, da Crotone nel 511-510. La situazione minacciò di mandare completamente in rovina la prosperità di Mileto. Mileto era stata l’unica polis greca dell’Asia Minore che aveva accettata la consueta richiesta di terra e acqua del re di Persia. Le altre poleis invece non avevano capito quanto fosse potente il persiano, perché credevano invincibile Creso, re di Lidia. Mileto fu l’unica lungimirante ad accettare, e scaturì un trattato di pace e di alleanza con i persiani. Nonostante ciò, però, Mileto era sempre suddita del grande re di Persia, doveva pagare le tasse, e si vede tolto da questa dominazione persiana tutto ciò che le permetteva di essere fiorente. Per quanto potesse risultare grave per gli ioni il declino economico della Ionia, ad innescare la rivolta furono anche motivi politici, a cominciare dalle limitazioni dell’autonomia da parte dell’amministrazione persiana, e quindi dai tiranni protetti dai Persiani. Solo un greco, scrive Erodoto, poteva sentire cosa voleva dire che a decidere del proprio destino non fosse l’assemblea della città, ma fossero i satrapi, il grande re nella lontana capitale Susa. A Mileto avviene una rivolta. Secondo Erodoto, la rivolta ionica fu la causa immediata della guerra persiana. Erodoto descrive la rivolta nel V libro, ed attinge ad Ecateo di Mileto, un logografo che descrive la rivolta, della quale era stato testimone e della quale era stato un oppositore. Da Ecateo deriva l’ostilità che Erodoto prova per Aristagora, il tiranno di Mileto, secondo Erodoto autore principale della rivolta degli Ioni contro la Persia. Erodoto ci presenta Aristagora come un personaggio intrigante, negativo desideroso solo di sfuggire con un’insurrezione generale alle responsabilità personali alla base dell’insuccesso di Nasso. Per questa ragione avrebbe iniziato una rivolta. Questo pensiero non va condiviso, ci sono diverse concause. Ciò che sappiamo è che nel 500 a.C. circa, alcuni esuli dell’isoletta di Nasso - che non era ancora assoggettata alla Persia - , avevano chiesto al tiranno di Mileto di appoggiarli nel loro tentativo di rientrare in patria, in isola. Aristagora, pensando di fare qualcosa di giusto e importante, e sperando di estendere la sua influenza su Nasso da legare alla Persia, aveva convinto il satrapo di Sardi (della Ionia) a tentare l’impresa contro l’isola di Nasso. L'impresa però fallisce. Quando un tiranno falliva di fronte al grande re cadeva in disgrazia, e di solito finiva con l’essere giustiziato. Aristagora, prevedendo di cadere in disgrazia davanti al re di Persia e avendo anche ricevuto un incitamento e appoggio dal suo predecessore Istieo (che era suo suocero o cugino) che intanto era divenuto consigliere di Dario, inizia la rivolta contro il potere del re persiano su Mileto. (Dario in realtà aveva chiamato Istieo a corte perché non si fidava di lui e preferiva averlo vicino e sotto controllo, e Aristagora era diventato al suo posto tiranno di Mileto. Isieo dalla capitale cercava però un modo per tornare sulla costa, nella sua regione). Per coinvolgere gli altri cittadini greci dell’Asia Minore, Aristagora fa deporre gli altri tiranni filo persiani della Ionia, delle varie poleis greche dell’Asia Minore, e fa instaurare dei governi democratici, sia a Mileto che nelle altre poleis dell’Asia Minore. Dopo aver fatto questo, però, Aristagora è consapevole di avere poco potere per riballarsi contro l’impero persiano. Quindi pensa di chiedere aiuto alla madrepatria greca. Si reca prima di tutto a Sparta, perché pensava fosse necessario che combattessero gli opliti spartani, e chiede aiuto in nome della comune origine greca, dichiarandosi sicuro che il superiore armamento greco avrebbe assicurato la vittoria agli ioni e la conquista dell’asia stessa. Ma Cleomene, il re di Sparta, non si lascia convincere, perché non era propenso ad allontanare gli Spartani dalle loro basi per un tempo indefinito, lasciando gli iloti in patria senza opportuna sorveglianza. Cleomene giustifica il rifiuto con il suo impegno contro Argo. Aristagora allora andò ad Atene, e persuase l’assemblea ateniese a inviare aiuti a Mileto e agli Ioni in generale. Atene decide di inviare 20 navi, un piccolo aiuto che per il grande re di Persia è comunque un affronto, perché qualcuno si sta opponendo contro la Persia. A queste 20 navi si aggiunsero altre 5 navi di Eretria, città dell’Eubea, che ricordava bene l’amicizia e l’aiuto offertole da Mileto quando era in guerra con Calcide. Dunque partono 25 navi in aiuto degli ioni insorti. La missione diplomatica di Aristagora si svolge tra il 499 e 498, secondo le fonti. La prima campagna di guerra avviene infatti nel 498, e gli Ioni hanno successo all’inizio: si impossessano di Sardi, la capitale della Lidia (eccetto dell’acropoli) e incendiano Sardi (ecco perché durante la seconda guerra persiana fu incendiata Atene, perché i persiani vollero punire gli ateniesi di questo incendio di Sardi). 57 Erodoto per il suo racconto. Dalle vicende successive, tuttavia, possiamo dedurre che non fu proprio così: subito dopo la battaglia di Maratona, i Persiani non solo riuscirono a portare con sé il bottino e i prigionieri catturati ad Eretria, ma riuscirono anche a doppiare Capo Sunio con l’intenzione di arrivare presto ad Atene e attaccarla di sorpresa, prima che l’esercito di Milziade potesse avere il tempo di tornare ad Atene e difendere la città. Fu solo la velocità con cui Milziade, intuendo il piano persiano, ricondusse i soldati ad Atene, che salvò la città. Il fatto stesso che questo piano sia stato concepito fa però pensare che la sconfitta dei Persiani non fu così disastrosa, e la ritirata avvenne in buon ordine. Più tardi ad Atene, scrive Erodoto, si diffuse la voce che il tentativo di attaccare di sorpresa Atene fu suggerito ai Persiani dagli Alcmeonidi, volendoli screditare addossando a loro la responsabilità del piano persiano. Secondo quest’accusa gli Alcmeonidi, d’accordo con i nemici avrebbero fatto dei segnali con uno scudo quando i Persiani erano già sulle navi. Riguardo a questi segnali si sono accumulate varie ipotesi, sia da parte delle fonti antiche che da parte degli storici moderni: Erodoto da parte sua cerca di scagionare in tutti i modi gli Alcmeonidi dalle accuse di tradimento, ricorda le benemerenze degli Alcmeonidi, ma bisogna anche ricordare che Erodoto era amico di Pericle, suo protettore, Alcmeonide. Forse per questa ragione Erodoto insiste tanto nel difendere gli Alcmeonidi. Scrive che uno scudo certamente fu innalzato, perché notizia certa restituita da più fonti, ma non si sa chi fu a farlo: se il segnale fu fatto da spie ateniesi favorevoli Persiani, ciò confermerebbe che esisteva effettivamente un’intesa tra Persiani e una parte degli Ateniesi. Non sappiamo però che conto ne abbiano fatto i generali persiani, non c’è un riscontro da parte loro Alcuni hanno pensato invece che il segno provenisse da un posto di vedetta ateniese verso Milziade e i suoi soldati. La vicenda dello scudo rimane ancora misteriosa, perché non abbiamo altre fonti per aggiungere qualcosa in più. Sappiamo che i Persiani, giunti all’altezza del Falero, il porto di Atene, prima misero all’ancora le navi, ma poi ripartirono per l’Asia. Così si concluse la prima guerra persiana, che gli ateniesi poi celebrarono sempre come una grandissima vittoria. Fu davvero una grande vittoria, soprattutto per le ripercussioni psicologiche e la fiducia grande che infuse nei Greci. Ma considerata dal punto di vista delle forze in campo o delle perdite persiane effettive, vediamo che fu solo una spedizione punitiva realizzata dai persiani e finita con un parziale insuccesso: le Cicladi infatti rimangono in possesso dei Persiani. Milziade, dopo la vittoria di Maratona, grazie alla fama che aveva conseguito riesce a convincere gli Ateniesi riuniti in assemblea a tentare la riconquista delle isole Cicladi. Però nell’isola di Paro Milziade incontrò una tale resistenza che fu costretto a ritornare in patria senza concludere nulla, e venne anche ferito. Tornato in patria venne chiamato in giudizio davanti al popolo da Santippo (Santippo era il padre di Pericle, la moglie di Santippo è un’Alcmeonide. Megacle ed Agariste, oltre a Clistene, ebbero altri figli, come Ippocrate (fratello di Clistene il legislatore), il quale è padre di una donna di nome Agariste, che va in sposa a Santippo, e dai due nacque Pericle – nipote di Clistene il legislatore -> vedi genealogia Alcmeonide). Secondo la versione di Erodoto, quando Milziade torna in patria viene accusato di tradimento o di aspirare alla tirannide, perché facendo parte della nobile famiglia dei Filaidi era imparentato con i Pisistratidi. Viene condannato ad una multa molto elevata di 50 talenti, e Milziade perde la vita a causa di una ferita infetta riportata proprio durante l’assedio nell’isola di Paro. Muore dunque senza aver pagato il suo debito, che non venne cancellato, ma rimane al figlio Cimone. La versione che Erodoto raccoglie sulla vicenda di Paro è evidentemente ostile a Milziade, al quale viene attribuito un risentimento personale verso l’isola. Le notizie di Erodoto sono però in questi passaggi poco attendibili, e notizie che arrivano da Cornelio Nepote sono differenti. Questa guerra termina senza un trattato di pace, e lo stato di guerra viene mantenuto. Passa però un decennio tra una guerra persiana e la successiva. La battaglia di Maratona avvenne nel 490, e nel decennio che separa le due guerre ci sono varie vicende da considerare: alcune sono piuttosto oscure in merito ad Atene, Sparta e il resto della Grecia. Ad Atene intanto era scomparso Milziade, e con lui era stata abbattuta definitivamente la fazione dei Pisistratidi; morto Milziade il potere rimane nelle mani degli Alcmeonidi, che erano stati i suoi principali avversari, e nelle mani di Aristide, un ricco conservatore che era stato stratego insieme a Milziade nella battaglia di Maratona. Dalle fonti sappiamo che ricoprì l’arcontato come arconte eponimo nel 489-88 (dopo la prima guerra persiana), 60 dunque fu un personaggio di un certo rilievo. Oltre agli Alcmeonidi e ad Aristide il potere è anche nelle mani di Temistocle, che faceva parte della famiglia dei Licòmidi (anche se Erodoto solleva dei dubbi sulla sua paternità, ma sappiamo che è abbastanza ostile anche nei confronti di Temistocle). Temistocle è stato arconte nel 493-92 e aveva iniziato in quel periodo le fortificazioni del Pireo, il nuovo porto di Atene. Questi personaggi diventeranno fondamentali nella cita di Atene, e la condizioneranno molto. In questo decennio ad Atene vennero introdotte importanti innovazioni: per la prima volta nel 488-87 per la prima volta venne messo in pratica l’ostracismo (istituito in realtà da Clistene) contro un parente dei Pisistratidi, Ipparco di Carmo (l’ultimo ostracismo noto è quello di Iperbolo nel 417, durante la guerra del Peloponneso); importante innovazione fu la sostituzione con il sorteggio all’elezione per il collegio degli arconti, il sorteggio rendeva la nomina più democratica e toglieva ogni peso all’influenza che gli aspiranti alla carica di arconti potevano esercitare con metodi più o meno legittimi sulla massa di elettori, ma allo stesso tempo diminuiva l’importanza della carica stessa, che in questo modo poteva essere affidata anche a persone meno competenti. La dochimasìa, cioè l’esame che i candidati subivano ad Atene prima di rivestire incarichi pubblici, non riguardava la loro competenza tecnica, ma solo la loro eligibilità giuridica, cioè l’età, la cittadinanza, il censo, l’assenza di condanne comportanti l’atimìa (perdita di diritti civili e politici). In questo decennio cambia dunque la nomina degli arconti, che non è più elettiva ma avviene per sorteggio. Aumenta invece l’importanza del collegio degli strateghi, che pure venivano nominati e non sorteggiati: al presidente degli strateghi, che veniva eletto con il voto di tutti i cittadini, spettò anche la presidenza del consiglio di guerra, che fino ad ora era toccata all’arconte polemarco. Assume dunque sempre più importanza la carica di stratego. Queste sono le riforme di politica interna più importanti di questo decennio. Quanto alla politica estera Atene, subito dopo la prima guerra persiana, riprese la guerra contro l’isola di Egina, ma Atene subì una grave sconfitta a causa della scarsezza della sua flotta. Di questo insuccesso furono ritenuti responsabili gli Alcmeonidi Megàcle e Santippo, che vennero ostracizzati tra il 486 e il 484, mentre ad Atene in questi anni assume maggiore influenza Temistocle. Quest’ultimo, riprendendo le idee di espansione marittima che erano state di Milziade ma all’epoca di Milziade non erano state accettate, riprendendo quest’idea con la giustificazione immediata della guerra contro Egina finita con la sconfitta di Atene, Temistocle riuscì a far passare nel 483-82 la sua legge navale: Aristide invece osteggia questa proposta di legge, e in quel periodo subisce anche l’ostracismo. La legge navale viene approvata dall’assemblea. Questa legge navale è importante perché decide il futuro di Atene: prevedeva di devolvere alla costruzione di una flotta ateniese, anziché distribuirla tra i cittadini, la somma ricavata dalle miniere di argento del Laurio. Questa legge trasformò Atene in una grande potenza marinara di un certo rilievo, e non solo la mise in grado di affrontare vittoriosamente dopo pochi anni la flotta persiana (battaglia di Salamina), ma segnò anche l’indirizzo della futura politica ateniese. In merito al numero delle navi ci sono delle contraddizioni: Erodoto parla di 200 navi, Aristotele e Plutarco parlano di 100 navi. Questo è l’inizio della politica marittima ateniese. Mentre Atene, guidata da Temistocle, si avvia a diventare la più grande potenza della Grecia; Sparta attraversa un periodo di grave crisi dinastica: tra il 490 e il 480 il re Cleomene (Agiade) era entrato in contrasto con l’altro re Demarato (Euripontide), per l’atteggiamento da assumere verso Egina nella sua lotta contro Atene. Cleomene riuscì a sbarazzarsi del collega e rivale Demarato, – forse grazie agli aiuti dei Téssali e sicuramente grazie all’aiuto dell’oracolo di Delfi – che deve lasciare esule Sparta e viene accolto dal re persiano. L'oracolo di Delfi fu manovrato in realtà da Cleomene, che riuscì a ottenere la sostituzione di Demarato con Leotichida (sempre un Euripontide). In seguito alla scoperta dei suoi intrighi a Delfi, Cleomene fu però costretto a fuggire da Sparta. Richiamato in patria Cleomene non si sa con quali pretesti (Erodoto scrive che Cleomene si rifugiò prima in Tessaglia, poi in Arcadia, e qui stava preparando una coalizione di Arcadi contro gli Spartani, cosicché gli spartani spaventati in vista di questo attacco invitarono Cleomene a tornare, perché regnasse nelle stesse condizioni di prima che fosse mandato via). Rientrato in patria, Cleomene morì in circostanze 61 misteriose. Qualche fonte parla di suicidio, ma è molto più probabile e credibile che si sia trattato di un assassinio politico. Leonida, suo fratellastro, successe a Cleomene. Negli stessi anni i Tèssali hanno delle vicende importanti, che portano secondo Erodoto alla seconda guerra persiana. I Tessali subiscono importanti sconfitte a Ceresso dai Beoti, e agli Ampoli dai Focesi. Vedono così crollare i sogni egemonici che avevano: fu l’amarezza per l’insuccesso subito e la volontà di ottenere una rivincita a spingere gli Alevàdi, signori di Larissa, in Tessaglia – i quali detenevano la suprema magistratura federale tessalica della Tagìa – a recarsi (notizia messa in discussione) nel 48685 presso la corte persiana, dove si trovavano già alcuni Greci di rango elevato, come Demarato di Sparta e i Pisistratidi di Atene. Lì si recano per sollecitare un nuovo intervento contro la Grecia da parte del Re di Persia. 15. 12 /04 – LA SECONDA GUERRA PERSIANA Dario, dopo il ritorno di Dati, Artaferne e Ippia in patria, aveva iniziato subito i preparativi per una nuova spedizione in Grecia. Spesso però si verificavano delle rivolte nell’impero persiano. Il grande re di persia in genere rispettava gli stati inglobati nell’impero, ma c’erano delle regioni che erano troppo civilizzate e troppo abituate ad essere libere e indipendenti per poter sottostare al dominio persiano. Nel 487-86, dalle fonti letterarie e archeologiche si ha notizia di rivolte scoppiate in Egitto, che andavano pacificate prima di una nuova spedizione. Il re Dario viene quindi distratto da queste rivolte in Egitto, poi muore e gli succede il figlio Serse, il quale deve prima occuparsi delle questioni in Egitto e poi di altro. Al momento sembra che il grande re di Persia debba disinteressarsi delle conquiste in occidente e in Grecia, nonostante il generale persiano Mardonio incitasse il grande re di Persia ad intervenire, perché il mondo greco era da conquistare per via della civiltà e delle risorse. Secondo Erodoto l’incitamento dei Tessali, i quali avevano inviato i loro ambasciatori presso il re di Persia per sollecitare un suo nuovo intervento in Grecia, fu determinante. L'adesione della Tessaglia, che in quegli anni cominciò a coniare le sue prime monete adottando proprio il piede persiano (c’era una simpatia e un’unione crescente tra tessali e persiani), assicurava all’esercito persiano un’ottima base di operazioni sul territorio greco e assicurava anche la continuità dei rifornimenti, due vantaggi importanti per i persiani. Infatti Serse e Mardonio (il suo generale), nei due anni di spedizioni che seguiranno, si avvalsero di questi vantaggi sul suolo greco. Dopo aver sedato la rivolta in Egitto nel 484 secondo le fonti, Serse si dedicò interamente alla preparazione di una nuova spedizione in Grecia, ma molto più grande ed accurata di quella precedente, anche perché il grande re non accettava smacchi da parte di altri popoli, e il fatto di non aver vinto contro i greci durante la prima guerra persiana era motivo di grande insoddisfazione per il grande re di Persia. L'attacco venne progettato per terra e per mare, si stabilì che l’esercito dovesse passare l’Ellesponto dove venne lanciato un doppio ponte di barche, in modo tale che l’esercito potesse passarvi senza problemi per poter raggiungere la Tessaglia attraverso la Tracia e la Macedonia. L'esercito dunque doveva marciare lungo le coste dell’Egeo e la flotta doveva avanzare parallelamente. Flotta ed esercito dovevano essere sempre legati per aiutarsi l’un l’altro, la flotta doveva rifornire l’esercito, troppo numeroso per essere imbarcato. La flotta doveva essere sempre in costante contatto con le forze di terra, navigando lungo le coste. Per evitare pericoli di naufragio (per esempio, presso il monte Athos nella penisola calcidica, dove c’era già stato), Serse progettò il taglio dell’Istmo che salda la penisola Calcidica alla penisoletta di Acte, alla cui estremità si trovava il monte Athos. Si programmano dunque dei lavori grandiosi che le fonti ci riportano, per poter raggiungere risultati eccellenti. In questo tempo i Persiani lasciarono depositi di viveri nei luoghi più adatti per fornirsene durante la spedizione, sia in Tracia che in Macedonia. Vennero prese importanti informazioni geografiche sui 62 e ritirarsi a Salamina, prima che l’esercito persiano occupando le coste tagliasse loro la via per la ritirata. I Persiani riescono a superare le Termopili ed entrano nella Grecia centrale, guidati dai Tessali. I Tessali volevano prendersi una rivincita sui Focesi che li avevano sconfitti prima delle guerre persiane, dunque devastarono con i Persiani la Focide ma risparmiarono il santuario di Delfi (che si era schierata con i persiani); i Persiani occuparono la Beozia, distruggendo Tespe e Platea che si erano alleate con gli altri Greci. Quindi i Persiani arrivarono in Attica, mentre la flotta, doppiando Caposumio, si presenta davanti al Pireo. Atene venne sgombrata dalla popolazione, in seguito ad un decreto fatto approvare da Temistocle. Secondo questo decreto gli uomini validi dovevano imbarcarsi sulle navi, interpretando a suo modo una profezia dell’oracolo di Delfi che invitava a non confrontarsi direttamente con i Persiani. Secondo l’oracolo “un muro di legno” avrebbe salvato Atene. Le donne e i bambini furono invitati a rifugiarsi a Salamina, Egina e Trezene, mentre Atene e i templi dell’Acropoli difesi da sacerdoti vengono dati alle fiamme dai Persiani (ricordando l’incendio di Sardi che viene rivendicato). Nel frattempo tra i comandanti della flotta Greca a Salamina, cominciano a esserci importanti divergenze (il particolarismo tra le poleis tende sempre a imporsi). Euribiade, comandante spartano della flotta greca, e anche gli altri capi peloponnesiaci, volevano ritirare la flotta presso l’Istmo di Corinto. Temistocle invece, appoggiato da altri greci come i Megaresi e gli Egineti, sosteneva che si dovesse combattere a Salamina, e giunse a minacciare di ritirare le navi Ateniesi (il grosso della flotta greca) se la flotta non fosse rimasta per intero a Salamina. Euribiade fu costretto a restare e ad attaccare battaglia. Sia Erodoto che Eschilo (testimone oculare della battaglia) affermano che nella notte precedente alla battaglia di Salamina un uomo (secondo Erodoto inviato dallo stesso Temistocle) portò a Serse una falsa notizia, secondo la quale i Greci stavano per fuggire. Questo messaggio spinse Serse a tentare l’aggiramento dei Greci bloccando l’uscita sud orientale e nord occidentale dello stretto di Salamina. Con questa manovra Temistocle voleva evitare ripensamenti ulteriori da parte dei Peloponnesi, sempre propensi a ritirarsi verso l’Istmo. Temistocle attirò allo stesso tempo Serse a combattere dentro lo stretto di Salamina, dove la mancanza di spazio non gli avrebbe permesso di far valere la superiorità numerica della sua flotta. Molti storici hanno tuttavia messo in dubbio la storicità di questo stratagemma di Temistocle. I persiani tentarono effettivamente l’aggiramento dei greci bloccando il canale, con l’obiettivo di vincere sui greci. L’obiettivo di Temistocle, invece, fu quello di costringere i persiani ( che si erano schierati all’imboccatura dello stretto) a combattere, attirati dalla sua manovra, all’interno di esso, cosa che comportò effettivamente la sconfitta di Serse. Ci sono molte incertezze, sugli schieramenti e la topografia di Salamina, sui movimenti della battaglia, sul giorno della battaglia, ma sicuramente la battaglia di Salamina avvenne negli ultimi giorni del settembre del 480. La vittoria greca e la distruzione di buona parte della flotta persiana sono note alle fonti, e resero baldanzosi i greci. Resero impossibile a Serse, che aveva assistito alla battaglia dalle coste dell’Attica, di procedere all’invasione del Peloponneso. Torna con la flotta che era rimasta a Sardi, e lascia in Tessaglia Mardonio con l’esercito. Avrebbe ripreso le operazioni nella primavera successiva. Intanto a Sparta, morto Leonida, aveva assunto il comando il cugino Pausania. Il comando sarebbe dovuto toccare in realtà a Pistarco, figlio di Leonida, al tempo un bambino. Come reggente Pausania prende il suo posto, fu un grande generale e alla fine sarò accusato persino di medismo, con una motivazione forse inventata. Pausania è capace di imporre agli Spartani tanto prudenti la strategia offensiva che l’anno precedente avevano rifiutato. Gli spartani cercano di evitare anche per il 479, ma stavolta non riescono. Gli altri alleati greci sono più agguerriti. Nella primavera del 479 Mardonio scende di nuovo in Attica, di nuovo sgombrata dalla popolazione. Alla richiesta di aiuto gli Spartani, occupati di nuovo nelle loro feste solite, questa volta le Giacinzie, e che si sentivano sicuri perché nell’ultimo periodo era stata completata la fortificazione dell’Istmo di Corinto, tergiversarono alla richiesta di aiuto da parte degli Ateniesi. Gli Ateniesi erano esasperati, e si dichiararono decisi a passare dalla parte dei Persiani se non fossero stati aiutati, 65 quindi gli spartani furono costretti ad intervenire. Si congiunsero ad Eleusi con il resto del contingente greco. Mardonio a questo punto si ritira dall’Attica e va in Beozia, a Platea, dove avvenne la battaglia che portò alla vittoria dei Greci. Durante questa battaglia cadde Mardonio e l’esercito persiano si sbandò. Inoltre il loro armamento era troppo leggero, più utile fu quello pesante spartano. L'esercito greco riesce a vincere contro i persiani, nonostante i Persiani ricevessero l’aiuto anche dei Greci medizzanti, che secondo le fonti non si impegnarono così a fondo nella battaglia perché volevano dare l’idea di combattere per i persiani perché costretti, e non perché credevano alla causa. Questo perché le cose stavano andando particolarmente bene per i greci e temevano ritorsioni. Dell’esercito persiano rimasero solo 40 mila uomini, che si ritirarono verso l’Ellesponto al comando del nuovo generale Artabazo. La battaglia di Micale avvenne nell’agosto del 479, secondo la tradizione nello stesso giorno di Platea, ma sicuramente nella stessa estate. La flotta greca era al comando ufficialmente del re spartano Leotichida, ma di fatto era l’ateniese Santippo, padre di Pericle, a guidare le operazioni. La flotta greca accetta in questo momento la partecipazione degli Ioni, i greci d’Asia di Samo e di Chio, e attacca la flotta persiana presso Micale, a nord di Mileto. È un’ulteriore vittoria greca. Proprio alla vigilia di Platea (479), Erodoto parla di un evento che fa comprendere come il mondo greco non riuscisse ad essere veramente unito anche in momenti delicati come questo: alla vigilia della battaglia gli Argivi, neutrali, vennero a conoscenza del fatto che un esercito spartano, guidato da Pausania, si era mosso per raggiungere le forze ateniesi. Gli argivi mandarono un araldo in Attica, ad avvertire Mardonio dell’imminente arrivo delle truppe spartane. Se la notizia fosse vera, confermerebbe l’ambiguità della città di Argo, anche rispetto alle ragioni addotte per giustificare la propria neutralità nella guerra contro i persiani (la rivalità con Sparte). Ciò fa capire che c’erano simpatie tra Argivi e Persiani, contatti che tradivano anche un accordo implicito. Al tempo della pace di Callia, gli Argivi avevano stabilito un’alleanza, o un trattato, che li univa ai Persiani in qualche modo. Dopo la battaglia di Micale, gli ioni delle coste dell’Asia Minore e delle isole si ribellano alla dominazione Persiana, abbattono i loro tiranni (come era stato durante la rivolta ionica), e chiedono di far parte alla Lega ellenica, volendosi unire ai loro fratelli greci. La flotta greca era vittoriosa, rinforzata anche dagli alleati ioni, e naviga verso l’Ellesponto con l’intenzione di allontanare i Persiani dalle zone Greche. Volevano anche interrompere le comunicazioni tra Europa e Asia, con l’intenzione di tagliare i ponti costruiti da Serse. A questo punto Leotichida, re spartano, e gli altri Spartani decisero di fermarsi con la spedizione, non volendo più continuare a combattere i Persiani, ormai lontani dalla Grecia. Gli spartani sentivano forte la necessità di ritornare in patria, non volendo rischiare che l’ordine costituito spartano avesse dei cedimenti. Leotichida dunque, sicuramente d’accordo con le autorità spartane, decise di tornare in Grecia. Gli ateniesi e gli altri alleati, però, non volevano ancora interrompere le operazioni. Anche per questo motivo, al comando di Santippo passarono verso il Chersoneso e assediarono Sesto, ultima piazzaforte persiana della zona. Sesto venne assediata e liberata nella primavera del 478. Per questo si dice che le guerre persiane terminarono con la presa di Sesto. La guerra non finisce con un trattato di pace tra Greci e Persiani. Lo stato di guerra rimane, come il timore che i Persiani potessero tornare in Grecia. Ciò non si verificherà per molto tempo. Con le battaglie di Salamina, Platea e Micale, viene assicurata la libertà greca, mentre l’offensiva persiana venne fiaccata per sempre. Secondo la tradizione, nello stesso giorno mese e anno di Salamina, il tiranno di Siracusa Gelone e Terone il tiranno di Agrigento, sconfiggono ad Imera, sulle coste settentrionali della Sicilia, i Cartaginesi. Mentre in Grecia si sono impegnati contro il nemico barbaro Persiano, in Occidente sono impegnati a combattere contro i nemici barbari Cartaginesi. Avviene la battaglia di Imera. Gli antichi contemporanei a quegli eventi supposero l’esistenza di un accordo tra Persiani e Cartaginesi contro il mondo greco, per la contemporaneità dei due attacchi. I moderni non sono concordi. I Greci sicuramente chiesero contro i Persiani l’appoggio dei Greci d’Occidente di 66 Sicilia, che rifiutarono perché vollero ritenersi neutrali. Secondo la versione greca, non per la minaccia cartaginese, ma perché non potevano ottenere il comando supremo delle operazioni. Erodoto, che fornisce le informazioni, scrive che dopo aver rifiutato l’appoggio ai Greci, il tiranno Gelone mandò a Delfi un suo messo con molto denaro e un’offerta di amicizia per il re di Persia, nel caso in cui il re di Persia avesse ottenuto la vittoria contro i Greci. Secondo la versione siceliota, riportata sempre da Erodoto, l’aiuto da parte dei Greci d’Occidente della Sicilia non sarebbe stato concesso invece per il sopraggiunto attacco cartaginese, che portò alla battaglia di Imera. Secondo Diodoro Siculo la combinazione dei due attacchi sarebbe stata concordata da Persiani e Cartaginesi già da tempo, almeno tre anni prima della sua realizzazione. Anche Erodoto ci parla di contatti tra le due potenze già dal tempo del re Dario, contatti che continuarono anche dopo la rivolta ionica, quando una parte dei fuoriusciti antipersiani emigrarono in occidente e si unirono alle forze anti cartaginesi in Sicilia. Il mondo greco, anche nel momento in cui stava acquisendo piena coscienza della sua unità morale, non arriva mai a costituire unità politica. I combattenti greci, anche se in quel momento erano uniti e solidali contro un nemico comune, in fondo erano divisi da interessi contrastanti. C’erano nel fondo delle grandi divisioni. Il congresso di Corinto del 481 che dà vita alla lega ellenica impose una tregua alle rivalità e guerre tra i greci, ma non le risolse. Le rivalità rimasero. La cosiddetta pentecontetia è il periodo di 50 anni che intercorre tra le guerre persiane e la grande guerra del Peloponneso è dominata dal dualismo sempre crescente tra Atene e Sparta, una rivalità già presente, anche se ancora in forma lieve, nei consigli di guerra di Artemisio, Salamina, nello schieramento stesso di Platea, nelle decisioni successive alla battaglia di Micale. Nelle guerre persiane i Greci presero coscienza di sé, della loro individualità eccezionale, della superiorità sugli altri popoli: da quel momento barbaro non significò solo straniero per i Greci, ma anche uomo inferiore, incapace di apprezzare la libertà. Poteva essere l’inizio di una nuova Grecia unita, ma non lo sarà, e si indebolirà al punto che Filippo riuscirà a riunirla sotto il suo potere. 16. 14 /04 – LA PENTECO NTETIA E LA LEGA DELIO- ATTICA La pentecontetia (478-431, cioè dalla fine delle guerre persiane all’inizio della guerra del Peloponneso) è un cinquantennio importante: Tucidide scrive che in questi 50 anni gli Ateniesi resero più saldo il loro dominio e giunsero ad una grande potenza; gli Spartani, pur accorgendosi di ciò, non si opposero se non blandamente, per non allontanarsi dal Peloponneso. Tucidide scrive che gli Spartani stettero in pace per la maggior parte del tempo, osservando quello che gli Ateniesi facevano, sia perché erano lenti ad avventurarsi nelle guerre se non costretti, sia perché impediti da problemi interni. Ma quando la potenza ateniese fu percepita chiaramente e cominciò a minacciare i loro stessi alleati, gli Spartani allora dovettero intervenire, tentando con ogni impegno di allontanare la potenza ateniese, anche prendendo l’iniziativa della guerra. È quello che avviene nel cinquantennio successivo alle guerre persiane. Atene si potenzia, anche Sparta: la prima sul mare, la seconda sulla terraferma del Peloponneso. Il dualismo diventa sempre più forte. Quando Atene comincia ad inserirsi negli affari interni delle poleis legate a Sparta, allora comincia un grande conflitto, alla fine del V secolo. Per arrivare a questo, bisogna capire cosa succede e quali sono le alleanze. Dopo le vittorie delle guerra persiane, le poleis greche raggiungono livelli di benessere e civiltà mai raggiunti in seguito, e neanche in precedenza. Tra le varie città primeggia Atene, la poleis più adatta a trarre vantaggi dal trionfo contro i persiani, perché è una città mercantile in possesso 67 Erodoto invece scrive che con il pretesto dell’insolenza di Pausania, gli Ateniesi privarono gli Spartani dell’egemonia. Aristotele è d’accordo con la versione di Erodoto. Al filone della tradizione diverso da Tucidide si rifa’ anche Deodoro, il quale scrive che a Sparta la situazione era molto tesa e che sia durante la riunione della gherusia che dell’apella, quasi tutti gli Spartiati erano concordi nel voler recuperare l’egemonia sul mare, persa perché affidata ad Atene. I giovani, ma anche i più grandi, erano di questo parere. Solo un personaggio, alzatosi durante l’assemblea, riuscì a convincere gli Spartiati a tornare sui loro passi: rimanere nel Peloponneso e lasciare ad Atene l’egemonia sul mare. Si viene a formare un nuovo consesso: nell’inverno 478-77, sotto l’arcontato di Timostene, comincia l’organizzazione formale della lega delio-attica, attraverso l’unione di molte comunità ioniche, eoliche, e di molte isole sotto l’egemonia di Atene. I processi di formazione furono concordati, secondo le fonti, nelle riunioni e discussioni tra gli alleati principali. Aristide, come rappresentante degli Ateniesi, e i comandanti della flotta ionica, delle isole, dell’Ellesponto. La riunione si tenne a Bisanzio. In questo primo momento protagonista indiscusso della lega è Aristide (abile stratego contro Platea nel 479; contro i persiani a Cipro e a Bisanzio, poi accanto a Temistocle nell’organizzazione della nuova lega). Ad Aristide viene affidato il compito di regolare il tributo degli alleati. Viene affidato a lui per la sua proverbiale equità: il primo tributo, detto “il tributo di Aristide”, è pari a 460 talenti. Il passo successivo agli accordi preliminari fu quello di propagandare le proposte e cercare di aumentare il numero degli aderenti: la flotta, secondo le fonti, si mosse da Bisanzio, forse preceduta anche da araldi, che avevano il compito di invitare le varie città greche e delle isole dell’Egeo ad inviare i loro rappresentanti a Delo, isoletta a sud della Grecia - che sarà la sede della nuova lega - per inaugurare con solennità la nuova alleanza. La scelta di Delo come sede della lega e del tesoro, della cassa federale propria della lega. La scelta di Delo risponde a vantaggi derivanti dalla posizione geografica dell’isola e dall’importanza religiosa, perché la sede di un santuario dedicato ad Apollo. Tre sono i motivi per i quali viene scelta Delo: era centro religioso di grande importanza per il santuario di Apollo e gravitava nell’orbita di Atene; la posizione strategica al centro dell’Egeo la rendeva adatta come quartiere generale, anche per il porto molto comodo; come anche Delfi, Delo era un’isola troppo piccola e debole per avere ambizioni politiche indipendentiste e poteva essere tenuta sotto controllo da Atene. Ufficialmente sono gli alleati della Ionia che chiedono ad Atene di prendere il comando delle operazioni e di essere l’egemone del nuovo consesso che si andava a creare. In realtà Atene desiderava essere alla guida di queste poleis e delle operazioni. Già all’inizio della seconda guerra persiana, per quieto vivere e per non creare problemi in un momento così delicato, Atene non disse nulla, ma dalla scelta stessa di Delo vediamo come Atene dirige le operazioni. La nuova lega nasce all’insegna del prosieguo della guerra al persiano, ma a differenza della lega ellenica mira a raggiungere la tutela permanente della libertà dei Greci d’Asia. Quindi, per ottenere uno scopo del genere non bastava un breve periodo, ma andava creato un organismo militare ben funzionante e che durasse nel tempo. Da qui la necessità di creare un’alleanza ben salda, permanente, per la quale lo scopo non fosse solo di condurre una guerra. Il carattere permanente della lega viene espresso nel giuramento che le varie poleis che aderiscono sono chiamate a fare. È un giuramento che trova una sua componente religiosa, in nelle cerimonie collettive in cui vengono gettate nel mare delle masse di ferro rovente e si giura che soltanto quando queste masse fossero tornate a galla, la lega si sarebbe potuta sciogliere. Aristotele dice inoltre che nel giuramento era contenuta una formula, che era quella di “avere gli stessi amici e gli stessi nemici”. Le poleis che si uniranno saranno circa 150. La clausola di avere gli stessi amici e gli stessi nemici è molto vincolante. Non è unica nel suo genere, è una forma usuale. Ma essa distingue la nuova lega da quella peloponnesiaca, in cui gli alleati potevano condurre delle guerre separate, anche contro gli altri stati membri. Nella lega delio attica una tale situazione non è prevista. Benché all’inizio della lega molti punti basilari non erano definiti, al momento della costituzione gli alleati si sentivano membri liberi e autonomi, anche se questa autonomia di fatto non viene sancita e salvaguardata da clausole presenti nel giuramento (e questo è un danno per le poleis). Ufficialmente, agli inizi, i membri dovevano essere liberi e prendevano le decisioni insieme in un’assemblea 70 comune. Tucidide dice questo molto chiaramente. Lo si ritrova in una sua opera, in un discorso ad Olimpia si fa riferimento all’uguaglianza e all’autonomia dei vari membri nei primi tempi della lega. Proprio va specificato nei primi tempi, perché poi la situazione cambia. Quando la situazione comincia a cambiare, a causa di quel giuramento le poleis non possono più staccarsi dalla lega, e Atene intanto comincia ad imporre pian piano delle pretese, come il fatto di sostituire i governi delle varie poleis con delle costituzioni democratiche. Ma il principio primo della democrazia viene meno se quest’ultima è imposta. Degenera la lega. Alcune poleis cominceranno ad essere sottomesse. Quando sentono di non voler far più parte della lega, saranno costrette con la forza a rimanere. La prima polis che cerca di ribellarsi è Nasso, isola delle Cicladi nel 471 tenta di defezionare, ma è costretta a rientrarvi e fu sottomessa. Già prima di Nasso, c’è Caristo nell’Eubea costretta ad entrare nella lega; nel 475 Taso cerca di allontanarsi dalla lega, perché si sente forte contro i Persiani. Ma Cimone, all’epoca molto influente, la risottomette. Nel 446 anche l’Eubea tenta di allontanarsi, ma fu Pericle a riportarla all’obbedienza; nel 440 a Samo che trascina altre città, come Bisanzio. Ancora una volta le ribellioni vengono domate da Pericle. La politica ateniese comincia pian piano ad imporsi nella politica degli altri stati. Tutto questo viene camuffato in qualche modo: ufficialmente ogni polis ha diritto ad un voto, anche le più piccole. Anche Atene, come Sparta, riuscirà a persuadere per portarle dalla propria parte le città più piccole che si facevano condizionare, che avevano pur sempre diritto al voto. Gli stati più potenti, come Samo, Lesbo, Chio, Mitilene, erano messi fuori gioco nella votazione da un gran numero di città piccole che erano sotto il diretto controllo di Atene. Quindi, la votazione era controllata. Viene fissato un tributo, che doveva essere equo. Gli stessi stati membri desideravano che venisse fissato e definito, e venne richiesto ad Aristide da fissarlo. Le poleis erano libere anche di non versare il tributo, fornendo invece navi. La situazione andò avanti finché il timore dei persiani fu veramente alto. Verso il 467 si verificò una battaglia importante, la battaglia dell’Eurimedonte, che vede contrapporsi Greci e Persiani e finisce con una vittoria della flotta greca. Dopo questa battaglia, secondo alcuni la lega non aveva più motivo di esistere, perché la vittoria contro i persiani sembra allontanare il pericolo. A questo punto, Atene invece rese esplicite le sue intenzioni, che con un processo lento e graduale portarono alla formazione di un Impero ateniese. Atene non voleva porre fine alla lega, anzi con la forza trattiene tutte le città. La rivolta di Taso si concluse nel 463 dopo un durissimo assedio con la vittoria ateniese, e ciò diffuse il malcontento tra le città alleate. Le relazioni tra Atene e gli alleati diventarono sempre meno pacifiche, gli Ateniesi cominciano ad essere più arroganti e violenti, e la maggior parte degli alleati cominciano ad ignorare le assemblee comuni e ad agire indipendentemente, non riconosce più l’autorità d'Atene, che però si impone con le armi e costringe le polis a rimanere nella lega. La lega non sarà più un baluardo contro l’attacco persiano, ma la lega venne utilizzata dagli ateniesi per i loro scopi, per le loro guerre intestine, per combattere contro altri Greci. L’assemblea comune cominciò a perdere prerogativa, Atene agiva arbitrariamente e interferiva nella politica interna delle città alleate. Nel 454 ci fu una svolta importante, perché venne trasferito il tesoro della lega da Delo ad Atene. A questo punto Atene diventa ancora più forte, riceve nelle sue mani il dominio completo della lega, attraverso il controllo dei fondi, che altrimenti sarebbe stato difficile da imporre se il tesoro fosse rimasto a Delo. Tutto ciò fu possibile perché Atene riceve un’egemonia permanente, definitiva; ad Aristide fu affidato il compito di amministrare gli affari della lega, fu ateniese colui che fu incaricato di stabilire il primo tributo, e furono ateniesi i tesorieri della lega, detti Ellennotamii, erano ateniesi i generali che guidavano le forze confederate. Atene si sente forte e lo diventa, perché ha a sua disposizione un impero, una lega alle sue dipendenze. Questa lega si forma nel 478/477. Temistocle si trova ad Atene a dirigerne la politica ed è affiancato da Cimone, che sta prendendo piede in questo periodo e sogna la sconfitta di Sparta, potenza antagonista di Atene. In quest’ottica, Temistocle fa approvare dall’assemblea la costruzione di una solida cinta muraria ad Atene dal porto del Pireo: cominciano ad essere costruite le lunghe mura, che collegavano Atene con il suo porto. Il capo del partito democratico Temistocle, però, aveva degli avversari, ossia i conservatori ateniesi, che vedevano in Sparta un possibile baluardo contro 71 l’avanzata radicale democratica, e non concordavano con le sue idee. Questi aristocratici conservatori si raccolgono intorno a Cimone, figlio di Milziade, molto ricco e popolare, che con l’appoggio dell’Areopago riuscì ad avere la meglio su Temistocle. Legò Atene più fortemente a Sparta con un’alleanza, e poi costringono Temistocle ad allontanarsi dalla città tramite l’ostracismo nel 471. Dopo l’ostracismo viene totalmente esiliato, e al momento dell’esilio (in contumacia) si ritrova a vivere una situazione irreale: una volta esiliato, non sapendo dove recarsi, chiede ospitalità ad Artaserse, re dei Persiani, il quale lo accoglie presso la sua corte e gli concede come proprietà ereditaria le città di Magnesia, di Lampsaco, da lasciare ai suoi eredi. È un personaggio che viene così accolto, anche se era stato tanto un acerrimo nemico. Cimone prende piede nella democrazia ateniese. Nel 476 ottiene il comando della flotta della lega, e grazie alla sua flotta intraprende la riconquista delle isole greche rimaste sotto al controllo dei Persiani: libera le coste della Tracia meridionale, si impadronisce dell’isoletta di Sciro e costringe Caristo ad entrare nella lega delio-attica. Con il consenso degli Spartani, allontana Pausania da Bisanzio e inizia il brutto periodo per Pausania che, tornato a Sparta, è accusato di medismo, alla fine viene eliminato. Viene murato vivo in un edificio accanto ad un tempio a Sparta sempre con l’accusa di medismo. In realtà dalle fonti non abbiamo mai riferimenti a un tale atteggiamento di Pausania. Probabilmente, essendo reggente, nonostante facesse parte della famiglia reale, non poteva diventare re. Gli Spartiati avevano la loro rigida costituzione che non permetteva la mobilità sociale. A qualcuno come Pausania questo non sembrava giusto, probabilmente si stava accordando con gli Iloti per appoggiare la loro ribellione e sovvertire il kosmos spartano. Questo timore portò gli Efori ad agire in questo modo e a togliere dalla scena politica Pausania. A Sparta la personalità seguente sarà l’oligarchia generale. Cimone alla guida della flotta greca della lega delio attica riesce a realizzare la vittoria per terra e per mare presso l’Eurimedonte, e occupa le coste della Caria e della Licia. A questo punto lo scontro tra Sparta e Atene è in qualche modo sospeso, perché in entrambe trionfa l’aristocrazia. Rimane il diverso sviluppo interno delle poleis, però, che sarà quello che porterà allo scontro effettivo frontale. Ad Atene, dopo la scomparsa dalla scena politica di Temistocle, comparirà sulla scena Efialte, il nuovo leader democratico, con il quale il partito democratico torna all’offensiva. Ci sarà anche Pericle. Efialte e Pericle cercano di scalzare dal potere Cimone. L'occasione viene offerta da alcuni errori che commette Cimone in termini di politica estera, perché scontenta sia i nemici spartani, sia gli ateniesi. Nel 464 avviene a Sparta un terremoto devastante. Sparta viene distrutta e non riesce a sollevarsi. Il timore più grande per gli spartani è che gli Iloti si possano ribellare: si parla della rivolta del terremoto. Gli Iloti della Messenia si ribellano e gli Spartani, disperati, chiedono aiuto ad Atene, ancora legate tra loro dalla lega ellenica. Era naturale che gli spartani si rivolgessero agli alleati Ateniesi per far fronte a una situazione critica. Ad Atene si trovavano sia Efialte che Cimone a rappresentare i partiti democratico e conservatore. Durante l’assemblea, Efialte si impone perché non vuole che vengano inviati rinforzi e aiuti agli Spartani. Cimone, filo spartano, riesce a convincere l’assemblea a inviare delle truppe in aiuto agli Spartani. Gli Spartani, quando arrivano gli Ateniesi, temono: cominciano a temere che gli ateniesi possano appoggiare gli Iloti. Quindi mandano indietro gli Ateniesi spiegando che la situazione si stava risolvendo e non avevano più bisogno. Al ritorno in patria, gli Ateniesi videro come uno smacco forte questo atteggiamento degli spartani, ed uscirono dalla lega ellenica. A questo punto la lega ellenica non ha più motivo di esistere, anche alla luce dell’esistenza delle altre leghe, entro le quali si dividevano le altre poleis. Dunque la lega ellenica viene meno. Cimone, tornato in patria da Sparta, viene colpito dagli Ateniesi: i poteri dell’Areopago, roccaforte degli aristocratici, vengono ridotti a favore della Boulè e dell’Eliea, istituti a larga partecipazione popolare. Ciò avveniva perché Efialte, sebbene ha il potere solo per un anno, dà vita a riforme importanti, in un periodo in cui Cimone è lontano per la guida del contingente a Sparta. La situazione sta cambiando ad Atene, si parla di democrazia radicale che sarà potenziata di più con Pericle. Tornato Cimone, egli non è più visto di buon occhio e viene ostracizzato. Per dieci anni dovrebbe 72 potrebbero essere anche di tipo ideologico: Sparta non voleva danneggiare Atene per favorire la Persia, il nemico di sempre; probabilmente era convinta che Atene fosse un baluardo contro il nemico persiano; il timore del biasimo da parte dei Greci per essersi concessa al barbaro persiano. A circa 20 anni dal conflitto greco-persiano, è strano come Artaserse abbia pensato di coinvolgere una polis greca, Sparta, contro un’altra mpolis greca, Atene. Si evince, quindi, un chiaro cambiamento. Non è il caso di evocare un trattato di pace precedente a queste vicende: c’è chi pensa che al tempo di Pausania fosse stato siglato in segreto un trattato di alleanza tra Sparta e la Persia, tramite Pausania. Vanno dunque analizzati altri eventi. Negli anni 460 circa, la vittoria dell’Eurimedonte, guidata da Cimone, aveva segnato l’apogeo di Atene, determinando l’umiliazione della Persia, e aveva cominciato a preoccupare Sparta, che notava la crescita di Atene. Il pugno di ferro all’interno della lega delioattica comincia poi ad evidenziarsi, soprattutto nell’attacco ateniese a Taso riportata nella lega con la violenza. Taso sperava nell’aiuto spartano che non arrivò mai per via del terremoto e della rivolta ilotica. Alla corte di Artaserse (nuovo re di Persia appena salito al trono), invece, da Erodoto sappiamo che si trovano ambasciatori ateniesi e ambasciatori argivi. Gli Argivi forse non erano così lontani dai persiani e così leali nei confronti dei greci, si erano tenuti neutrali durante le guerre persiane e forse volevano confermare una loro alleanza con la Persia. Tra gli Ateniesi c’è un certo Callia, forse colui che siglerà la pace di Callia?... non sono chiare le motivazioni di questa presenza ateniese presso il re di Persia. Non viene realizzato un accordo tra Persia e Sparta, ma abbiamo questi ambasciatori. Seguono le vicende di Cimone e gli aiuti che promosse agli Spartani, ma che vengono rifiutati da Sparta. Gli Ateniesi rimangono offesi e si staccano dalla lega, che non ha più motivo di esistere e si scoglie. Segue l’ostracismo di Cimone e la vittoria del partito democratico ad Atene. Tutte queste vicende portano alla fine della collaborazione tra Atene e Sparta. Da questo momento in poi cominciano una lunga serie di conflitti che culmineranno, alla fine del V secolo, nella guerra del Peloponneso. Queste vicende certamente non fuggirono al grande re di Persia, che era sempre molto ben informato sulle vicende politiche greche. In un momento successivo, dopo il fallimento di un’ipotesi di collaborazione tra Sparta e la Persia contro Atene, e avvenuta la sconfitta a Salamina di Cipro, probabilmente il re di Persia cerca un accomodamento con Atene e con i suoi alleati. Ad Atene c’è Pericle in questo periodo a dirigere la politica, anche se ufficialmente è l’assemblea che decide. Ma da parte sua Pericle aveva compreso di non poter combattere su più fronti senza rischiare dei pericoli estremi, sia dentro che fuori la lega, che si avviava adesso a trasformarsi in Impero, ma all’interno di questa, ancora, la posizione di Atene non era ben consolidata. Pericle comprende di aver intrapreso una politica un po’ avventata aprendo più fonti di guerra contemporaneamente, e si frena un po’. Quindi, Pericle pensa anche lui di non poter combattere contro i Persiani. Questa convergenza di interessi, verso la fine degli anni 50 portò alla pace di Callia, o se non si vuole credere alla storicità di questo trattato, portò alla chiusura di una prima fase aggressiva dei rapporti tra la lega delio-attica e la Persia, e all’apertura di una seconda fase, segnata dall’assenza di fatti bellici di rilievo e dal riconoscimento delle rispettive aree di sovranità. In questo periodo non ci sono interferenze tra Atene e la Persia. Cambia l’atteggiamento della Persia nei confronti di Atene e viceversa. Nel 454, il tesoro della lega delio-attica viene spostato da Delo ad Atene, proprio perché dopo la rivolta di Inaro e l’intervento di Atene e della Persia, i Sami in particolare temevano che i Persiani potessero arrivare a Delo e impossessarsi della loro cassa federale. A loro e ad altri membri della lega sembrava opportuno spostare il tesoro ad Atene, grande errore perché così Atene lo gestisce anche per interesse personale. Atene fonda nel 444-443, grazie a Pericle in particolare, la colonia panellenica di Turi, in Italia Meridionale. Non è lontana dal luogo dove era stata fondata Sibari (distrutta nel 610 da Crotone). Con la fondazione di Turi, la politica ateniese allunga la sua ombra sull’Italia Meridionale, e come indica il rinnovo del 443 degli accordi con Reggio e Leontini, Atene si presenta come concorrente di Corinto. Corinto è una potenza commerciale legata a Siracusa e deteneva il monopolio del commercio occidentale. Adesso Atene vuole essere la sua concorrente e strapparle il monopolio. Atene volge lo 75 sguardo anche ad est, verso la metà degli anni Trenta grazie a Pericle viene realizzata una spedizione nel Ponto. Con questa spedizione Pericle si inserisce nella sfera di influenza del regno del Bosforo, che controllava l’esportazione del grano dalla Russia meridionale. Atene con la sua terra arida è costretta a importare il grano, non solo dall’Eubea ma anche dal Bosforo. Per cui è fondamentale questa spedizione verso la metà degli anni 30, in un periodo precedente alla grande guerra del Peloponneso. La politica estera di Pericle è piuttosto audace: affronta contemporaneamente più nemici, Persiani e Spartani insieme. Affronta i persiani appoggiando Inaro, anche se poi la spedizione sarà un fallimento. Affronta anche gli Spartani. Insieme alla spedizione in Egitto si verifica anche un attacco a Cipro, nel 460-459. Questo rientrava sempre nel quadro di una liberazione del Mediterraneo dai Persiani (per questo in fondo era nata la lega delio-attica. La rivolta in Egitto e l’attacco a Cipro offrivano un’occasione per continuare quest’opera. Accanto a queste spedizioni, Atene combatte anche delle altre guerre: in primis c’è un conflitto con Corinto, che si sente provocata dall’alleanza tra Atene e Megara, dopo lo scioglimento della lega ellenica, anche se poi Megara abbandonerà l’alleanza con Atene per ritornare a legarsi con Corinto e Sparta; la guerra con Egina, vinta dopo tre anni di guerra dal 459 al 456, anni confusionari e ricchi di eventi in cui il dualismo tra Atene e Sparta si accentua sempre più; poi inizia la prima guerra del Peloponneso (in realtà solo nel 431 si può davvero parlare veramente di guerra del Peloponneso, anno in cui ci sarà una guerra portata dai Peloponnesi ad Atene. Parlare adesso di guerra del Peloponneso per una serie di conflitti tra Atene e Sparta tra 459-446, e che per la massima parte ebbero come teatro il Peloponneso, significa pregiudicare in senso improprio il significato autentico dell’espressione “guerra peloponnesiaca”, la guerra scoppiata nel 431 e portata dal Peloponneso contro l’attica). L'intervento spartano a favore dei Dori della Doride contro i Focesi nel 458-457 è un intervento che blocca i tentativi di espansione degli Ateniesi in questa zona. Gli Ateniesi tradizionalmente sostengono i Focesi, nella Grecia centrale. Gli ateniesi vengono bloccati dagli spartani, che contro i Focesi difendono i fratelli Dori della Doride. Gli Ateniesi bloccano però gli Spartani nella Megaride: con la battaglia di Tanagra in Beozia nel 457, gli Spartani escono vittoriosi, forzano il blocco ateniese e rientrano nel Peloponneso. Dopo due mesi dalla battaglia di Tanagra gli Ateniesi riescono a conseguire una vittoria a Enofita, in Beozia sul confine dell’Attica, contro i Beoti alleati degli Spartani. Assistiamo comunque ad un espansionismo esasperato di Atene. Questa politica suggerita da Pericle ha dapprima successo, perché Atene ottiene la supremazia sulla Beozia, sulla Focide, sulla Locride, sull’isola di Egina, ma a lungo andare diventa pesante seguire una tale politica. La prima guerra del Peloponneso si svolge tra il 459 e il 446, non in maniera continuativa perché nel 451 grazie a Cimone viene stabilita una tregua di 5 anni, e nel 446 si conclude questa serie di conflitti con una pace trentennale firmata da Sparta e Atene, a seguito della quale Atene e Sparta si dividono le zone di influenza: Sparta conserva l’egemonia terrestre nel Peloponneso, dove non vuole essere disturbata da Atene; Atene conserva l’egemonia marina e sulla lega di Delo. La politica di Pericle diventa gravosa per Atene. Nel 449 circa, con la pace di Callia (che non sappiamo se sia storica) Pericle è costretto a venire a patti con i Persiani, in questo modo gli Ateniesi rinunciano ad una ulteriore espansione nel mediterraneo orientale. I Persiani invece si impegnano ad abbandonare ogni tentativo di penetrazione nell’Egeo. Se questa pace non è veramente storica, si assiste comunque ad un cambiamento di rapporti. Da una prima fase aggressiva tra lega delio-attica e Persia si passa ad una fase segnata dall’assenza di fatti bellici di rilievo e dal riconoscimento delle rispettive aree di sovranità. La Guerra del Peloponneso A causa del forte dualismo tra Atene e Sparta si arriva alla guerra del Peloponneso verso il 435, fino ad arrivare nel 431 alla dichiarazione di guerra. Tucidide scrive un’opera intitolata “La guerra del Peloponneso”. La definisce una guerra fratricida, mondiale perché coinvolge tutti i greci dovunque si trovassero, ed è una guerra civile perché 76 combattuta tra greci. Questa guerra pone fine all’egemonia di Atene e segna l’inizio di una nuova egemonia, l’egemonia Spartana. Di fatto lo sconvolgimento che questa guerra portò nelle vicende di tutto il mondo greco fu molto profondo, certamente più profondo di una semplice scambio di egemonie. Con la fine della guerra è la struttura stessa della Grecia classica e il sistema della polis con la sua esigenza di autonomia e libertà vengono meno. Questa guerra porta a cambiamenti radicali nel mondo greco perché la struttura e il sistema stesso delle poleis, che avevano come principi fondamentali autonomia e libertà, le poleis con il loro esasperato individualismo e l’incapacità di realizzare forme di convivenza pacifica tra loro. Dopo questa guerra cominciano a manifestarsi i primi sintomi di una crisi che le vicende del IV secolo riveleranno irreversibili. Una causa principale che Tucidide evidenzia nella sua opera è lo strapotere di Atene, che preoccupa Sparta e i suoi alleati, in primis Corinto. È Atene con la sua potenza che provoca questo contrasto. Ci sono alcune piccole scintille che fanno scoppiare l’incendio, che vedono sempre contrapporsi Atene e Corinto. Corcira (colonia di Corinto ma in contrasto con quest’ultima) aveva fondato Epidamno sulla costa occidentale a nord dell’Epiro, in Lidia. Epidamno è colonia di Corcira, quindi subcolonia di Corinto. Nel 435 (fonte di Tucidide), periodo florido per tutta la Grecia fino ad ora, i democratici di Epidamno espellono gli oligarchici. Questi democratici, minacciati dagli oligarchici che tentano di tornare in patria con l’aiuto dei barbari Illiri, chiedono aiuto alla madrepatria, cioè a Corcira. Corcira non concede l’aiuto, perché preferisce che la sua colonia possa risolvere da sola i problemi interni. I democratici, allora, chiedono aiuto a Corinto, che sempre in contrasto con Corcira, per infliggere uno smacco a Corcira accetta di aiutare i democratici di Epidamno. I corinzi inviano un presidio ad Epidamno. Corcira, che odia Corinto e non accetta questa situazione, subito intima alla sua colonia di Epidamno di espellere il presidio corinzio, ma Epidamno non accetta. Corcira non ottiene ciò che vuole e così pone l’assedio a Epidamno. Corinto, che fa parte della lega peloponnesiaca, si sente in dovere di coinvolgere i suoi alleati della lega (egemone della lega è Sparta). Subito rispondono positivamente alla richiesta di Corinto Megara, Tebe ed Epidauro (nell’Argolide). Queste poleis offrono la loro disponibilità a Corinto, e insieme a Corinto preparano una spedizione contro Corcira. Corcira, che non vuole arrivare al conflitto, manda degli ambasciatori a Sparta e si mostra disponibile anche ad accettare un arbitrato della lega del Peloponneso pur di mettere pace in questa situazione. L'arbitrato purtroppo non porta a nulla e si arriva a uno scontro navale tra Corinto e Corcira, che inaspettatamente finisce con la vittoria di Corcira. I corinzi in questa situazione si sentono delusi, umiliati e adirati, e preparano una spedizione più grande dopo aver capito la situazione: Corcira ha una flotta molto buona, la migliore della Grecia dopo quella ateniese. Corcira rappresenta inoltre, per la sua posizione una buona base sulle rotte per l’occidente, quindi è una città ambita. I corinzi intendono sconfiggerla per ridurla alle loro dipendenze. Corcira, allora, capisce la realtà dei fatti e chiede aiuto ad Atene, che sa bene che accettare un accordo con Corcira e contro Sparta significa provocare una guerra con Sparta. Anche se Pericle voleva in qualche modo colpire Sparta per far prevalere Atene, non può fare apertamente tutto ciò. Pericle consiglia così all’assemblea di Atene di accettare il rischio di un accordo con Corcira, ma consiglia un’epimachìa, ossia un’alleanza difensiva: solo se Corcira fosse stata attaccata, Atene sarebbe intervenuta ad aiutarla. In caso contrario no. Pericle e l’assemblea decidono di realizzare un’epimachia con Corcira. Nel 433-32 avviene la battaglia navale presso le isole Sibota che vede la vittoria di Corinto. Intervengono gli Ateniesi che in qualche modo impediscono ai corinzi di sbarcare a Corcira. I corinzi non possono sfruttare la loro vittoria, ma sono loro a vincere la battaglia. A questo punto la situazione precipita. Dopo questi eventi si hanno delle conseguenze politiche: Zacinto entra nella lega delio-attica; Leontini e Reggio in occidente (avversari di Siracusa, colonia di Corinto e alleata di Sparta) rinnovano i trattati di alleanza con Atene nel 433-32. La posizione di Corinto in questo momento, così salda prima nei mari occidentali, viene compromessa; mentre il prestigio di Atene cresce sempre di più, sia nello Ionio sia in Magna Grecia e in Sicilia. La situazione si complica e si evolve tanto da sfuggire di mano sia agli Spartani che agli Ateniesi. 77 che stanno sbagliando a richiedere aiuto esterno per risolvere i propri problemi, perché chi ne trarrà vantaggio in una situazione del genere potrà essere solo Atene, che viene in aiuto ma per proteggere i propri interessi. Ermocrate riesce a convincere i Sicelioti ad allontanare gli Ateniesi e a pacificare la situazione in Sicilia da soli. Dopo questa spedizione, continua comunque il conflitto in Grecia. Nel 426 viene conquistata da parte degli ateniesi Pilo, ad ovest del Peloponneso. Per vicende varie gli Ateniesi riescono a sconfiggere gli spartani su suolo peloponnesiaco, conquistano Pilo e assediano l’isola di Sfacteria, da dove le truppe peloponnesiache cercano e in qualche modo riescono all’inizio a bloccare gli ateniesi. In seguito vengono bloccati essi stessi, i peloponnesi vengono presi prigionieri, tra i quali 120 Spartiati vengono catturati all’interno dell’isola. In un momento delicato per Sparta in cui l’oligantropia dominava, gli spartani temono. Gli spartiati catturati erano da considerare tresantes: erano stati presi prigionieri, sconfitti dagli ateniesi, e questo era un disonore per un oplita spartano. Ma in questo momento gli Spartani hanno bisogno di Spartiati, quindi nonostante la decadenza a tresantes questi 120 spartiati verranno presto reintegrati, e per loro faranno di tutto, pur di riavere in patria i 120 spartiati. Quindi in questo periodo si guarda con favore ad una pace con Atene. Sparta in questi anni conquista anche la penisola calcidica, che raggiunge via terra grazie a un esercito di opliti guidati da Brasida, che arruola anche gli Iloti, ai quali viene promessa la libertà se avessero combattuto per Sparta. Ad Atene intanto comincia a prevalere il partito pacifista di Nicia, nel 424-23. Nel 422 avviene un fatto importante, in uno scontro presso Anfipoli muoiono sia lo spartano Brasida, sia l’ateniese Cleone, entrambi sostenitori della guerra ad oltranza. Sia a Sparta che ad Atene prevalgono le tendenze pacifiste: per cui si arriva alla cosiddetta pace di Nicia del 421. Con questa pace viene ripristinata la situazione esistente prima della guerra. Rimangono scontenti gli Ateniesi interessati a una politica imperialistica, invece devono lamentare i gravi danni subiti anche dall’attica durante la prima fase della guerra del Peloponneso. Anche ad Atene ci sono i due schieramenti opposti, pacifista (Nicia) ed espansionista, rappresentato (perso Cleone) da Alcibiade, nipote di Pericle. Alcibiade non è così oculato come lo zio: è piuttosto audace, spregiudicato. Alcibiade secondo alcune fonti incarna i pregi e i difetti dell’Atene dell’epoca. Educato dai sofisti, è disposto anche a tradire la sua patria pur di salvaguardare i propri interessi. Non è il polites eccezionale che Pericle vuole che gli altri intendano guardando la sua persona, Alcibiade è una persona piuttosto opportunista. Alcibiade determina una fase di questo conflitto, perché sarà lui a promuovere la spedizione ateniese in Sicilia nel 415. Le alleanze in questa fase come vengono gestite? Dalle fonti sappiamo che già dal primo anno di guerra vengono inviati, sia da Sparta che da Atene, degli ambasciatori al grande re di Persia, il nemico per eccellenza, il barbaro per antonomasia, che in questo momento viene visto con occhi diversi sia da spartani che da ateniesi. Sicuramente, queste ambascerie speravano di guadagnare l’aiuto del re in un conflitto che si stava già dimostrando abbastanza importante. Nel 431 ambascerie vengono inviate da Sparta anche ai popoli occidentali: gli Spartani chiedono che venga presto inviata in Grecia una spedizione da parte degli alleati occidentali, con navi che potessero combattere contro le navi Ateniesi. Archìdamo, re di Sparta, già prima della guerra aveva evidenziato la necessità della defezione degli alleati ateniesi da Atene. Sperava che gli Spartani convincessero le poleis alleate di Atene nella lega delio-attica ad abbandonare Atene per unirsi a loro. Per far questo gli spartani utilizzano uno slogan per tutto il corso della guerra, secondo il quale voleva liberare le poleis greche dell’Asia Minore dalla tirannia ateniese. Archidamo, ritenendo che gli spartani non dovessero vergognarsi per questo, sosteneva che dovevano chiedere aiuto anche ai barbari per concludere positivamente la guerrra, cioè anche ai persiani. Infatti abbiamo notizia, sia in Tucidide che in Erodoto, di un’ambasceria che parte dal Peloponneso nel 430, che doveva raggiungere il grande re di Persia. Era un’ambasceria della lega Peloponneso: infatti era costituita da tre spartani, Aneristo, Nicolao, Pratòdamo; il corinzio Aristeo; da Tegea (nell’Arcadia) Timàgora; da Argo (che allora era neutrale) Pòllide. Non era dunque un’ambasceria solo spartana, ma della lega del Peloponneso. Volevano convincere il grande re di Persia ad offrire un appoggio finanziario, alleandosi nella guerra contro Atene. 80 Siamo nella prima fase del Peloponneso, ad un cinquantennio circa dalle guerre persiane in cui i persiani erano visti come nemici e barbari da combattere, da allontanare da tutto il suolo greco e dalle zone dove i greci potevano avere degli interessi, adesso vengono cercati come alleati, partners di accordi diplomatici. Tucidide scrive che questa ambasceria parte dal Peloponneso ed è diretta in Asia, ma fa tappa in alcune zone: dapprima si ferma presso Sitalce, il re della Tracia, e gli Spartani cercano di convincere il re della Tracia a staccarsi dall’alleanza con Atene per allearsi con loro, per indurlo ad attaccare il corpo di spedizione ateniese che stava assediando Potidea. Arrivati da Sitalce, chiedono a lui di aiutarli anche ad attraversare l’Ellesponto, perché Sitalce conosce quelle zone, e dall’Ellesponto dovrebbero arrivare dal satrapo dell’Ellesponto Farnàce, che avrebbe dovuto accompagnarli dal grande re. Proprio in quel periodo, alla corte del re Sitalce, si trovavano degli ambasciatori ateniesi. Sitalce era alleato di Atene. Gli ambasciatori ateniesi si rivolgono a Sadòco, il figlio del re Sitalce, il quale era legato agli ateniesi, era Ateniese di cittadinanza (concessa). Gli ateniesi riuscirono a convincere Sadoco a trattenere gli ambasciatori spartani, per impedire loro di raggiungere la corte persiana (che sarebbe stato un grande danno per Atene). Sadoco si lascia convincere, ma siccome gli ambasciatori erano già partiti, mentre questi attraversano la Tracia per raggiungere l’Ellesponto, vengono attaccati da Sadoco che li consegna agli Ateniesi: arrivati ad Atene, vengono mandati a morte senza processo, nel giorno stesso del loro arrivo. Atene diventa adesso crudele e cattiva, la situazione sta degenerando (inoltre gli ambasciatori erano sacri, non potevano essere violati). Tucidide scrive che gli Ateniesi decisero di intervenire in questo modo per evitare che quegli ambasciatori potessero tramare contro di loro e una volta liberati potessero realizzare imprese contro di loro. Gli ateniesi volevano anche vendicarsi degli spartani, perché i Lacedemoni avevano messo a morte dei mercanti ateniesi e alleati che navigavano con delle navi da trasporto nei pressi del Peloponneso, erano persone disarmate e innocenti che stavano svolgendo la loro attività senza intenzioni belliche. Tucidide aggiunge che Sparta aveva deciso fin dall’inizi della guerra che chiunque fosse stato catturato in mare, sia Ateniese che alleato di Atene (o semplicemente non alleato di Sparta) sarebbe stato ucciso il giorno stesso. L’ipotesi più probabile è che la strategia di Pericle prevedeva l’invio di gruppi navali lungo la costa della Laconia, per devastarla e destabilizzare la regione, per provocare una sollevazione degli Iloti. Gli Spartani, per scongiurare questo pericolo, avevano preso questi drastici provvedimenti. Gli Ateniesi, uccidendo gli ambasciatori inviati nel 430 presso Sitalce, vendicarono anche azioni simili commesse dagli Spartani. Questo è quanto restituisce Tucidide, ma anche Erodoto, seppur quest’ultimo con un contributo divino: parla di una punizione che i figli di Aneristo e Nicolao (due degli ambasciatori) subiscono a distanza di anni per quello che avevano commesso gli Spartani durante le guerre persiane. Cambia l’atteggiamento dei Greci nei confronti dei Persiani: adesso li vedono come possibili alleati. Questa ambasceria di cui abbiamo notizia fallisce, ma, nonostante ciò, gli Spartani continuarono a sviluppare un’attività diplomatica in direzione della Persia. Gli Ateniesi erano anche al corrente di ciò, infatti Aristofane, nella sua commedia Gli Acarnesi, parla di attività diplomatiche sia da parte di Atene che da parte di Sparta nei confronti del re. Aristofane fa riferimento a un personaggio persiano nel quale si può riconoscere Artaferne: ad Artaferne fa riferimento anche Tucidide, che parla di un’ambasceria che lo coinvolge nel 425-24, sempre nella fase archidamica della guerra del Peloponneso. Durante l’inverno dello stesso anno, lo stratego ateniese Aristide (non è lo stesso Aristide del tributo della lega), che era a capo di una nave che aveva il compito di raccogliere i tributi delle città appartenenti alla lega delio-attica, durante questo suo compito cattura un persiano, Artaferne, presso la foce del fiume Strimone (Tracia), vicino a Eione. Il persiano si stava recando a Sparta, inviato dal re Artaserse, per aprire dei seri negoziati con Sparta. Portato ad Atene, ad Artaferne vengono sequestrate delle lettere in lingua assira, che vengono tradotte: da quelle lettere gli Ateniesi vengono a sapere che il re di Persia voleva comunicare con gli Spartani, perché aveva ricevuto varie delegazioni spartane ma erano state poco chiare, e il grande re di Persia chiede chiarezza. Quindi gli Ateniesi capiscono che in fondo il re di Persia non aveva stabilito ancora un determinato tipo di condotta politica da adottare, perché le varie delegazioni spartane giunte da lui fin dal 431 non erano state latrici di proposte chiare. Questo è un documento significativo, perché da 81 una parte rivela che sia avvenuto l’invio di molte delegazioni da Sparta in Persia durante la guerra del Peloponneso, dall’altra afferma che non era chiaro che cosa volesse con precisione il governo Spartano. Questa mancanza di chiarezza significava che i messaggi delle diverse ambascerie non erano coerenti: la mancanza di coerenza doveva dipendere da un’incertezza della linea politica del governo spartano, dove sappiamo che nonostante la fama di compattezza del governo spartano in realtà c’erano diverse correnti contrapposte che cercavano di prevalere. Ci dovevano essere dei punti controversi nel protocollo dell’accordo che veniva sottoposto al re di Persia. Si può pensare che Sparta chiedesse il finanziamento delle forze peloponnesiache, poiché aveva bisogno di denaro; mentre la Persia come contropartita poteva chiedere il riconoscimento del grande re di Persia sull’Asia minore e le isole dell’Egeo, che in questo momento si trovavano sotto il dominio Ateniese. Sostanzialmente la Persia poteva chiedere il ritorno dei greci d’Asia sotto il dominio persiano. Questa condizione doveva essere la causa dell’esitazione e delle incertezze da parte di Sparta: accettare questa condizione significava sottrarre le popolazioni agli Ateniesi, per cederle però ai Persiani. Altra spiegazione plausibile dell’incoerenza spartana potrebbe essere di tipo ideologico: allearsi con la Persia significava ripudiare il proprio passato di campioni della grecità contro il barbaro, per combattere poi a fianco del barbaro contro un’altra protagonista della lotta della libertà dei greci, che era stata Atene fino a quel momento. Il dibattito a Sparta dovette essere vivace, contrastato e con esiti incerti, se varie ambascerie giunsero alla corte del re con proposte diverse e incoerenti. Ad Atene, la cattura di Artaferne e il pericolo di una guerra aperta con Artaserse, fecero cambiare un po’ i programmi e produssero la speranza negli Ateniesi di un incontro con il grande re, che potesse porre fine all’interferenza persiana in queste vicende, e anzi potesse fornire un’alleanza con il re di Persia. Nelle lettere che gli ateniesi sequestrarono, il grande re di Persia aveva riferito che se gli spartani avessero voluto essere più chiari, avrebbero dovuto mandare al grande re di Persia degli ambasciatori insieme ad Artaferne, e gli Ateniesi colsero la palla al balzo e inviarono loro degli ambasciatori insieme ad Artaferne alla corte del grande re. gli Ateniesi intendevano impedire alla Persia di entrare in guerra al fianco di Sparta. Quando però la delegazione ateniese con Artaferne giunse ad Efeso in Asia Minore, Artaferne apprese che il grande re di Persia Artaserse era morto, e gli Ateniesi non avevano motivo di andare subito in Persia, e tornarono in patria senza aver concluso nulla. Da questa testimonianza di Tucidide deduciamo un’informazione importante, ovvero l’esistenza di una serie di iniziative diplomatiche spartane nei confronti del re di Persia. I continui tentativi spartani che si possono dedurre da questa fonte cominciarono ad impensierire maggiormente gli Ateniesi, che si affrettarono ad inviare al nuovo re di Persia, Dario II, dei nuovi ambasciatori. Da Andocide, oratore attico, sappiamo che ai primi anni del re Dario II deve risalire un’ambasceria ateniese di Epìlico, conclusa nel 424-23 con un patto di amicizia per sempre tra ateniesi e persiani (che in verità non durò così a lungo, per colpa degli ateniesi, perché dopo la pace di Nicia gli ateniesi appoggiano un altro principe persiano che si ribella al grande re di persia ). Epilico era zio di Andocide, quindi quest’ultimo era sicuro della notizia. Ad Atene adesso sta dominando questo nuovo personaggio, Alcibiade, un uomo raffinato e oratore facondo, che riesce in genere ad avere un seguito e a convincere l’assemblea ateniese: nel 416-15 ci sono delle vicende che coinvolgono le poleis alleate di Atene presenti in Occidente. L'assemblea riceve una delegazione da parte di Segesta, alleata siceliota di Atene. In questo momento Segesta è minacciata da Selinunte e Siracusa, alleate di Sparta. Segesta chiede aiuto alla sua polis di riferimento, ad Atene. Ad Atene si discute, perché le perdite della prima fase della guerra sono state già tante, e la situazione era da vagliare. Alcibiade infiamma gli animi dei suoi concittadini che si lasciano convincere, toccandoli sul tasto dello spirito di avventura, sui vantaggi economici sicuri che Atene avrebbe potuto ricavare da una spedizione in Sicilia dove il grano era fiorente, e c’era una realtà che poteva essere di grande aiuto ad Atene. Tra l’altro, le fonti scrivono che i Segestani, per convincere gli Ateniesi ad appoggiarli in Sicilia, riferiscono di avere molto denaro con cui pagare l’impresa ateniese in Sicilia. Vanno anche dei delegati ateniesi a Segesta, per vedere coi propri occhi la realtà e la ricchezza della città. Gli ateniesi vengono invitati di casa in casa e vedono tanta ricchezza, tanto oro, non sanno che quelle sono sempre le stesse ricchezze che vengono spostate di 82 denaro che aveva portato da offrire a Sparta per la costruzione di una flotta che doveva aiutare la ribellione in Ellesponto. Non tutti gli studiosi moderni ritengono che nell'inverno 413-12 un accordo formale sia stato davvero concluso a Sparta alla presenza degli emissari di Farnabazo e Tissaferne. La mancanza di un accordo potrebbe essere dovuto anche al fatto che l’inviato di Tissaferne, un greco ma della Ionia, forse non era autorizzato a concludere un trattato ma solo a negoziare i termini di un accordo; oppure perché gli spartani non volevano impegnarsi in questo momento riguardo la politica da adottare nell’Asia Minore. C’è chi invece pensa che un accordo con Tissaferne sia stato effettivamente concluso in questo inverno 413-12. In virtù di questo accordo, Tissaferne prometteva di mantenere la flotta e in cambio si aspettava tre risultati: l’intervento dei peloponnesi nelle città greche della Ionia, l’alleanza di Sparta e il re persiano; e soprattutto la cattura di Amorge al quale il grande re teneva molto. Anche se Tucidide parla solo di un’alleanza di Sparta con Chio ed Eritre che è quella ufficiale realizzata in questo inverno, le decisioni prese in questo frangente a Sparta potrebbero indurre a credere che ci fu davvero un accordo con la Persia, che doveva prevedere un intervento prima a Chio, poi a Lesbo, poi in Ellesponto. Tucidide in un passo successivo scrive che il finanziamento dei peloponnesi da parte dei persiani era quello stabilito nell’accordo tenuto a Sparta, dunque ci dice dopo che a Sparta ci deve essere stato un accordo. Da questo momento in poi avvengono vicende che non penseremmo mai sarebbero potute accadere, perché si realizzano degli accordi formali tra Sparta e la Persia (ben tre accordi formali): uno dell'estate 412; uno dell’inverno 412-11; infine un altro nell’aprile del 411. Accordi che prevedono, prima di tutto, una pace che, dopo le guerre persiane, non si era mai stabilita tra Sparta e Persia; poi accordi finanziari che nel primo trattato non vengono specificati, perché in quell’accordo dell’inverno 413-12 doveva essere stata stabilita informalmente da Sparta la tariffa tipica dell’epoca, che prevedeva il finanziamento di una dracma al giorno a persona per gli equipaggi, che avevano un numero di 200 soldati (un talento al mese per ogni nave che il re doveva mantenere e gli spartani dovevano equipaggiare). Poi però le cose cominciano a cambiare, perché Alcibiade a partire dall’autunno 412 viene allontanato da Sparta dove si era rifugiato (non potendo ancora tornare ad Atene), perché ritenuto traditore, falso e bugiardo (pare avesse avuto una relazione con la moglie del re Agide, per cui il figlio nato non sarebbe stato del re Agide ma di Alcibiade). Si rifugia dal satrapo persiano, e manovra contro Sparta nell’intento di poter tornare poi nella sua città, Atene. Questo personaggio riesce a dirigere le situazioni e condizionare la guerra tra Sparta, Atene e la Persia, con il suo opportunismo riesce a cambiare relazioni, dinamiche e alleanze. Alcuni studiosi ritengono che i primi due accordi non siano ufficiali, mentre il terzo sì. I tre trattati di pace invece, inseriti nel contesto che Tucidide ci presenta, hanno la consistenza di trattati differenti che rispecchiano la situazione che si evolve nel mondo greco. La situazione si evolve, perché nel primo trattato c’è una clausola che va oltre le aspettative degli stessi contraenti, perché si dice che tutte le terre che appartenevano al grande re di Persia e che erano state dei suoi avi, dovessero tornare alla Persia. Ma così sarebbero tornate alla Persia anche quelle poleis della Grecia che avevano medizzato durante le guerre persiane ma che poi si erano staccate dalla Persia. Per cui venne rinnovato il trattato anche per definire meglio le zone di influenza del grande re di Persia, non si poteva cedere tutta la Grecia o gran parte alla Persia. Sappiamo che cambiando gli efori a Sparta annualmente, quando prendono il potere quelli successivi all’anno in cui arrivò Alcibiade, questi saranno dei personaggi che non favoriranno più Endio né Alcibiade ma il re Agide, in contrasto con Alcibiade. Da tener presente che Atene ha aperto due fronti di guerra, uno contro la Sicilia e l’altro contro la Persia. In più, nel 414-13, commette un altro errore: per attirare Argo (in questo momento in conflitto con Sparta) e portarlo dalla sua parte, la aiuta compiendo scorrerie nel Peloponneso sempre per appoggiare gli Argivi, così facendo violano la pace di Nicia e provocano la riapertura del fronte di guerra in Grecia contro Sparta. Dunque Atene si ritrova ad avere tre fronti di guerra aperti contemporaneamente in un momento in cui ha grandissime difficoltà, e gli espedienti per uscirne fuori sono ben pochi. Gli ateniesi sono costretti ad utilizzare anche i 1000 talenti di riserva che sono 85 nel tempio di Atene e che, secondo una legge, non potevano mai essere toccati. Secondo la legge, chi avesse proposto l'utilizzo di quel denaro che doveva servire a difendere Atene fino alla fine, doveva essere anche mandato a morte. Si cambia prima quella legge e poi si usano i 1000 talenti perché, per far fronte a questi 3 fronti di guerra, Atene aveva bisogno di navi e, quindi, anche legname che veniva preso dalla Macedonia. Per comprare il grano hanno bisogno di denaro liquido; useranno anche moneta suberata, di argento e bronzo, perché non avranno neanche più il metallo del valore adatto per coniare moneta. È una situazione davvero tragica per Atene. 19. 26 /04 – LA FASE DECELEICA E LA FINE DELLA GUERRA DEL PELOPON NESO Quando inizia la fase deceleica della guerra del Peloponneso, Sparta, vedendo violata la pace di Nicia, riprende le ostilità. A Sparta c’era Alcibiade, che condizionerà gli eventi di tutta la guerra in questo periodo, e del re Agide che si occupava della spedizione all’estero rispetto al Peloponneso. Alcibiade condiziona questa fase perché consiglia tramite Endio a Sparta di fortificare stabilmente Decelea, il demo dell’Attica. Agide, re di Sparta, viene insignito di un incarico: deve guidare la spedizione contro Atene, che prevedeva la fortificazione stabile del demo di Decelea, che si trovava in una posizione strategica dal punto di vista geografico: da Decelea passavano i convogli che portavano grano e vettovaglie ad Atene, dall’Eubea e dal mar Nero. Era un passaggio molto importante, e non poterlo sfruttare significava dover andare per mare per recuperare il grano che serviva alla popolazione dell’Attica. Agide dunque si trasferisce in Attica. Trovandosi in quella fortificazione, Agide aveva pieni poteri nella direzione della guerra, che andavano al di là dei normali poteri riconosciuti ai re. ad esempio, nell'inverno del 413-12, Agide riceve a Decelea degli ambasciatori provenienti dall’Eubea, che chiedevano aiuto ad Agide come se si fossero recati a Sparta, come se fosse l’Apella, come fosse lui a gestire la politica spartana. Gli ambasciatori spiegano che l’isola di Eubea voleva preparare una sollevazione contro Atene, si voleva staccare da Atene. Progetta un’invasione dell’isola. Da Agide si recano ambasciatori anche dell’isola di Lesbo, per lo stesso motivo: vogliono defezionare da Atene. Agide pensa di abbandonare al momento il progetto di invadere l’Eubea, e prepara invece l’invasione di Lesbo, con 20 navi. Agide, senza consultare Sparta, pensa di appoggiare la rivolta prima a Lesbo e poi in Eubea, probabilmente perché non aveva le risorse per intervenire contemporaneamente nei due luoghi. È chiaro che le trattative tra Agide e i delegati dell’Eubea e di Lesbo, senza contattare Sparta, dispiacquero a quest’ultima. Agide aveva grandi poteri, perché i re che guidavano delle spedizioni fuori dalla patria rivestivano poteri eccezionali. Sparta però non rimane soddisfatta delle iniziative di Agide, che sul piano diplomatico e sulla conduzione della guerra in generale ha dei poteri che erano propri degli Efori e della gherusia, oltre che dell’Apella. Nel primo anno della guerra deceleica gli Efori erano amici di Agide, lo appoggiavano e gli avevano concesso ampi poteri. Ma nel 413-12 cambiavano gli efori, e le cose cambiano. In questo periodo l’eforo più in vista è proprio Endio, amico di Alcibiade. Alcibiade aveva grande interesse di far allontanare Agide, era anche l’amante della moglie, e da loro nacque un figlio che Agide non riconosce. Questi nuovi efori limitano i poteri di Agide, che viene confinato alla sola conduzione della guerra terrestre in Grecia, limitatamente al corpo di spedizione in Attica. Mentre la faccende di Lesbo e dell’Eubea era trattata da Agide, gli inviati di Chio e Eritre, insieme all’emissario di Tissaferne (sempre inverno 413-12), si recarono direttamente a Sparta per chiedere 86 aiuto e sottrarsi dal dominio Ateniese, dove Alcibiade appoggia le richieste di questi emissari. La politica di Sparta è molto influenzata da Alcibiade in questo periodo La trattativa tra Sparta e Chio ed Eritre termina con una summakìa, un’alleanza. Dopo di che gli spartani inviarono a Chio un esploratore di nome Frinide, che doveva controllare a Chio la presenza effettiva delle navi che diceva di avere per appoggiare la ribellione ad Atene grazie all’aiuto Spartano. In realtà Chio ed Eritre, che formalmente facevano parte della lega delio-attica, non erano compatte nel volersi staccare da Atene e passare a Sparta, erano gli oligarchici che volevano l’alleanza. L’alleanza di cui parla Tucidide può essere interpretata nel senso che Sparta si accordò con i delegati degli oligarchici, e si realizzò un’impegno all’alleanza da formalizzare poi quando la città si fosse sollevata. A Sparta si decise la strategia della guerra navale nell’Egeo: dapprima venne stabilito che 40 navi dovessero essere inviate a Chio, ma subito dopo il numerò diminuì, da 40 diventarono 10. Ci furono cambiamenti repentini nella politica spartana: un terremoto causò la morte del navarco Melancrida, al quale seguì Calcideo (sarà lui poi a siglare il primo trattato tra Sparta e la Persia), appartenente al gruppo di Endio, favorevole ad Alcibiade (non favorevole ad Agide). Calcideo con 10 navi doveva recarsi nella Ionia per appoggiare la rivolta di Chio, secondo le disposizioni del governo spartano. Delle 10 navi alla fine se ne allestirono solo 5, e nell’estate del 412 venne ordinato di inviare a Chio tutte le navi possibili, comprese quelle che Agide avrebbe invece dovuto inviare a Lesbo. Gli efori cominciano a dare ad Agide anche sul piano militare, perché la situazione è critica. Agide, nonostante abbia pieni poteri all’estero (trovandosi in Decelea), deve seguire le direttive di Sparta. In quel periodo intanto si celebravano le Istmie, a Corinto, che festeggiavano Poseidone. Nonostante le guerre le feste religiose continuavano ad essere realizzate. I Corinzi non volevano mandare aiuti in questo frangente, prima che le feste furono finite. Dato che le Istmie erano delle feste panelleniche, nella città erano presenti anche gli Ateniesi, oltre agli spartani. Era stata indetta una piccola tregua per partecipare a queste feste. Gli Ateniesi che erano lì cominciarono a sospettare qualcosa, non sapevano che Chio stava per liberarsi ma cominciavano ad avere sentore delle intenzioni dei Chii. Perciò gli Ateniesi si fecero consegnare delle navi dai Chii, per bloccare con la flotta Ateniese la squadra peloponnesiaca che stava per salpare verso la Ionia. Dopo le feste, ben 21 navi che Agide stava mandando a Chio, si scontrarono con quelle ateniesi e furono spinte verso Capo Spireo, a sud della Megaride, di fronte a Corinto, e dagli Ateniesi vengono costretti ad arenarsi. Agide chiede subito aiuto a Sparta, che inviò un aiuto di 15 navi al comando di Calcideo. Però Endio e gli altri efori (convinti da Alcibiade) non inviarono aiuti a quel contingente bloccato allo Spireo, ma direttamente a Chio (forte influenza di Alcibiade: tenne due discorsi, uno pubblico in cui disse che era conveniente per Sparta e dannoso per Atene accelerare la sollevazione delle città greche invece di salvare qualche nave che poteva essere salvata anche in un secondo momento; e uno privato ad Endio, al quali sottolineò che gli conveniva che la defezione delle città greche e l’alleanza con il re avvenissero per merito suo, e non di Agide). Dalle fonti sappiamo che alla fine con 5 navi soltanto Calcideo e Alcibiade si diressero nella Ionia, Alcibiade era convinto infatti che il fattore sorpresa sarebbe stato determinante. Prima che Atene si riprendesse e sapesse anche dello smacco allo Spireo, che dimostrava che gli Ateniesi erano ancora in grado di sconfiggere i peloponnesi, Alcibiade cerca di ottenere la defezione di Chio. A Chio la situazione non era tranquilla, perché tutto si svolgeva all’insaputa non solo degli ateniesi ma anche della maggioranza del popolo. Però Chio riuscì ad avere la meglio e defezionò, perché si aspettavano i rinforzi peloponnesiaci, si pensava che quelle 5 navi fossero solo l’avanguardia delle altre che stavano arrivando. Atene, piuttosto debole a causa dell’insuccesso in Sicilia, non poté fare molto. Come Alcibiade aveva previsto, dopo Chio defezionarono varie città da Atene: Eritre, Clazòmene, Teo, Efeso, Mileto, Cnido, e ne seguirono poi delle altre. Atene viene abbandonata dai suoi alleati, ed è difficile per lei recuperarle tutte con la forza. Tra l’altro, durante la defezione di Mileto, Tissaferne, satrapo della Ionia, partecipa con le sue truppe alla manovra: e così senza spargimento di sangue e per opera di armi greche, i Persiani tornano in quella città dalla quale era partita la rivolta ionica, dopo circa 60 anni. I persiani tornano a Mileto. Dopo la sollevazione, sarà realizzato il primo trattato di alleanza tra Sparta e la Persia. Sparta sarà rappresentata da Calcideo e la Persia da Tissaferne. Abbiamo un primo trattato di alleanza, 87 aspettando l’arrivo dei fondi da parte del re, attenendosi alla clausola del secondo trattato, siglato nell’inverno 412-11 (il primo era nell’estate 412). Date molto vicine per limare e definire meglio le varie clausole del contratto. Siamo già a due contratti tra Sparta e la Persia. Alcibiade ora si trovava presso Tissaferne. A un certo punto Tissaferne delega Alcibiade a parlare con le poleis greche che si stavano legando a Sparta e di conseguenza alla Persia. Il satrapo fece dire da Alcibiade agli ambasciatori della Ionia che si erano staccate da Atene e che chiedevano denaro, che il satrapo aveva delle buone ragioni per aver cambiato atteggiamento e lesinare sui pagamenti, perché in questo momento stava sostenendo il peso della guerra con i propri fondi, e che sicuramente quando fosse giunto il finanziamento del re avrebbe dato il salario dovuto e anche gli arretrati. La situazione non è facile per gli Spartani: il morale stesso delle truppe cambiava a seconda del finanziamento. Se venivano pagate, erano più attive. Altrimenti erano delusi, e ne risentiva l’andamento stesso della guerra perché gli equipaggi non combattevano con vigore. Alcibiade dal canto suo faceva di tutto per deteriorare i rapporti tra il satrapo e le forze peloponnesiache: l’ateniese consigliò al satrapo di ridurre di nuovo il salario a tre oboli giornalieri (metà dracma); consigliava al satrapo di pagare non in maniera regolare, perché gli Ateniesi, sempre stati maestri della guerra navale, al momento per i vari disagi pagavano solo tre oboli a persona gli equipaggi; altro consiglio di Alcibiade era quello di corrompere i comandanti delle navi delle città alleate Peloponnesiache, anche per isolare Ermocrate che era incorruttibile (ecco perché si pensa che Terimene fosse stato corrotto da Tissaferne); consigliò di non aiutare le città greche dell’Asia Minore che cercavano soccorsi in denaro, anzi Alcibiade stesso rispondeva a queste città che, prima di ribellarsi, pagavano il tributo ad Atene. Allora perché ora facevano tante storie al momento, e non spendevano la stessa cifra per se stessi? Era anche un quesito giusto per certi versi, però esisteva un trattato che il satrapo stava disattendendo a causa di Alcibiade. Alcibiade inoltre consigliava al satrapo anche di spingere la guerra a fondo, di non contribuire troppo con i propri soldi in questa guerra, ma di lasciare logorare reciprocamente Sparta e Atene. Secondo Alcibiade il satrapo doveva badare soprattutto a non far cadere in mano ad uno solo dei contendenti il dominio del mare e della terra, perché così più forte così sarebbe stato il satrapo, cioè la Persia. Addirittura Alcibiade consigliò al satrapo di abbandonare l’alleanza con Sparta e di stipularne una con Atene, perché secondo lui Atene sarebbe stata molto più accondiscendente in questo momento, mentre gli spartani con il loro slogan propagandistico volevano liberare soltanto i greci dell’Asia minore da Atene ma per lasciarli liberi, non per sottometterli alla Persia. Il satrapo (scrive Tucidide) si lasciò molto condizionare da Alcibiade, seguendo il consiglio di Alcibiade, anche quello di non far arrivare nella Ionia le navi fenicie che Tissaferne aspettava, già pronte in fenicia per aumentare le navi presenti contro gli Ateniesi. L'intenzione di Tissaferne nel preparare questa flotta fenicia forse era quella di combattere Atene con la flotta fenicia, sotto il suo comando diretto, liberandosi così degli alleati peloponnesiaci, avendo a disposizioni mezzi sufficienti per vincere Atene, vista la debolezza di questa. Alcibiade, che era piuttosto astuto, gli consiglia di non far arrivare quelle navi. Tissaferne al momento segue il consiglio, molto affascinato da Alcibiade. Tissaferne inizia una politica ambigua, sleale nei confronti degli alleati peloponnesiaci, soprattutto perché Alcibiade lo stava manovrando, e le sue manovre erano finalizzate al suo disegno, che era quello di tornare ad Atene. Certamente non poteva tornare ad Atene con un governo democratico, lo stesso che lo aveva richiamato in patria per processarlo e dal quale lui era fuggito. Alcibiade intanto instaurò dei contatti con il partito oligarchico della sua città, e soprattutto con la parte oligarchica di coloro che erano presenti nella flotta ateniese ancorata a Samo. Fece credere loro (ce lo scrive Tucidide) che la Persia sarebbe stata disponibile ad un’alleanza con Atene, a patto che Atene avesse cambiato la costituzione in senso oligarchico. Tissaferne non sapeva nulla di questi progetti di Alcibiade. Tissaferne poteva scegliere tra due vie: da una parte deve tentare l’accordo con Sparta limitando un po’ le sue pretese; dall’altra poteva avvicinarsi ad Atene, ma per fare questo doveva ottenere da Atene molto più di quello che Sparta gli offriva. Il satrapo in quel momento aveva paura degli Spartani, perché erano presenti nella zona un centinaio di loro navi, e sospettava anche che gli Spartani (e alleati) potessero favorire o sostenere le istanze autonomistiche delle città greche d’Asia. 90 Atene in questo momento era molto debole, dopo la spedizione in Sicilia aveva dovuto usare anche quel fondo di mille talenti che mai avrebbero potuto utilizzare. Quindi Atene poteva essere disponibile alla cooperazione, più di quanto si aspettasse. Intanto era stata riunita l’assemblea ad Atene, che viene persuasa da Pisandro ad accettare le proposte di Alcibiade. L'assemblea autorizza ufficialmente l’apertura di negoziati con Tissaferne. Dopo l’arrivo degli ambasciatori si intavolarono delle trattative. Alcibiade sapeva che difficilmente Tissaferne poteva essere spinto dalla parte degli Ateniesi. Il satrapo da parte sua aveva paura degli spartani, e allo stesso tempo era attirato dal consiglio di Alcibiade di far logorare i due contendenti. Non era così predisposto nei confronti di Atene. Alcibiade, temendo questo atteggiamento di Tissaferne, predispose tutto in modo da far fallire il negoziato, facendo apparire troppo esose le richieste del satrapo. Chiese per il satrapo la cessione di tutta la Ionia, delle isole adiacenti alla Ionia, e pretese dal satrapo il diritto del grande re di navigare ovunque nelle acque ateniesi, con una flotta di qualsiasi dimensione: ciò sconfessava se non la pace di Callia (di storicità non sicura), sicuramente il trattato di Epilico, con cui il re si era impegnato nei confronti degli ateniesi di non circolare con una flotta da guerra nell’Egeo. Con queste richieste, gli Ateniesi non potevano proseguire le trattative, che quindi si interruppero. Tissaferne era cosciente del fatto che Atene avesse bisogno dell’appoggio Persiano e la situazione era catastrofica, però doveva verificare a quale prezzo Atene sarebbe arrivata pur di ottenere l’appoggio persiano. Inoltre la Persia otteneva da Sparta già tanto, non meno di quello che Atene voleva offrire. Perché Tissaferne doveva cambiare alleato, e come spiegarlo al grande re di Persia, al quale aveva annunciato la sua alleanza con gli Spartani e le concessioni (anche se vaghe, perché Sparta non è mai decisa di offrire in cambio le poleis greche dell’Asia minore) che Sparta voleva fare? Come poteva Tissaferne spiegare al grande re di volersi avvicinare gli Ateniesi, gli stessi che avevano fino ad allora privato il grande re dei tributi delle città greche d’Asia, e avevano rifiutato la sua amicizia sconfessando il trattato di Epilico e appoggiando Amorge. L’unica soluzione era convincere il re riferendogli il consenso di Atene a fare grandi concessioni, ma non poteva farlo. Alcibiade da una parte voleva dimostrare agli ateniesi la sua capacità di influenzare il satrapo, e al satrapo voleva dimostrare altro, ottenendo da Atene ciò che Sparta non concedeva, ovvero una completa rinuncia da Atene alle pretese imperialistiche dell’area anatolica. Tissaferne, dal canto suo, essendosi impegnato di sua iniziativa all’alleanza con Sparta e avendo coinvolto il governo centrale che aveva accettato la situazione, doveva mettere sul piano della bilancia delle concessioni molto grandi fatte da Atene per convincere il grande re ad allearsi con il suo nemico. Per altro verso, Alcibiade non poteva far fallire queste trattative da colpa sua volendo rientrare ad Atene e volendo anche nascondere agli ateniesi la poca influenza su Tissaferne, voleva far ricadere sui negoziatori ateniesi oligarchici la responsabilità del fallimento di questi negoziati. Alla fine le trattative con gli Ateniesi falliscono, e Tissaferne per non rimanere con nulla di fatto pensa di riavvicinarsi a Sparta, con la quale stipula un nuovo trattato, il terzo, che risale all’aprile del 411. È un trattato più formale anche nella sua stesura. Nel terzo trattato si specifica meglio tutto: sia la zona di influenza che doveva essere sotto il dominio del grande re, cioè l’Asia Minore; viene definito il problema del finanziamento, viene allargato il numero delle navi che potevano essere allestite dai Peloponnesi, però viene specificato che una volta arrivata la flotta del grande re, la flotta fenicia, i peloponnesi avrebbero potuto combattere ancora con i Persiani, e avrebbero potuto chiedere un prestito a Tissaferne. Cioè Tissaferne avrebbe finanziato ancora la loro flotta, ma a titolo di prestito. Dopo la guerra gli spartani avrebbero dovuto restituire ai persiani il denaro che Tissaferne stava prestando. Insieme avrebbero dovuto definire anche le trattativa di pace con Atene, che ormai si prevedeva che sarebbe stata sconfitta. Intanto Alcibiade, con i suoi maneggi e non facendo ricadere su di sé il fallimento dei negoziati, riesce a tornare effettivamente ad Atene. Torna ad Atene nel 411, e gli Ateniesi grazie anche al suo rientro riescono a strappare importanti vittorie agli spartani. Tra settembre 411 e aprile 410 gli Ateniesi riescono a vincere in tre importanti battaglie: a Cinossema, Abido e Cizico, in quest’ultima è presente anche Alcibiade, che viene visto come il salvatore di Atene che riesce a rendere vittoriosi gli Ateniesi. Ci sono anche altre vicende, con la presenza di Lisandro come navarco della flotta spartana. Intanto il grande re di Persia, stanco di tutte le contraddizioni degli Spartani e anche dell'atteggiamento di Tissaferne, che non paga bene gli equipaggi, il re di Persia decide di inviare il 91 figlio Ciro nella Ionia. Ciro prende il posto di Tissaferne nella Ionia e dirige le operazioni. Ciro instaura un legame con il navarco spartano Lisandro. In base alle direttive del padre, Ciro dovrebbe mantenere il salario di 2 oboli per gli equipaggi, concede a Lisandro di aumentare di un obolo il salario. Questo porta alla defezione degli equipaggi ateniesi, perché i mercenari preferiscono essere pagati a una cifra maggiore, e passano dalla parte spartana per essere pagati un obolo in più. Nel 407 ci sarà una sconfitta Ateniese importante presso Efeso, a Nozio. In quel momento Alcibiade era assente e la sua mancanza non fece andare bene le cose. Gli ateniesi non riuscirono a far fronte alla flotta spartana, vennero sconfitti e Alcibiade per fuggire dal malcontento generale va in esilio. Atene si priva ancora di un grande generale che avrebbe potuto cambiare le sorti. Gli Ateniesi vincono presso le Arginuse nel 406, ma non riescono a sfruttare questa vittoria perché la situazione è sempre più insostenibile a causa delle continue perdite per gli ateniesi di mezzi che non potevano essere facilmente sostituiti né rinnovati vista la penuria di denaro ad Atene. Le entrate diminuiscono anche perché vengono ridotti i tributi per evitare che gli alleati defezionino, ma ormai sono pochi anche gli alleati. L’assemblea popolare comincia a prendere decisioni insensate, per esempio la condanna a morte degli strateghi vincitori presso le Arginuse, perché non avevano ripescato le vittime di un naufragio avvenuto in battaglia. In questo modo gli ateniesi si privano di sei strateghi che servivano invece per portare avanti le operazioni. Gli spartani invece si potenziano grazie a Lisandro, grazie al fatto che Ciro deve tornare in Persia perché sta morendo il re Dario, e lascia tutto il denaro, l’oro e le provvigioni che vengono dalle satrapie a Lisandro, che può gestirlo. La situazione diventa florida per Sparta e disastrosa per Atene. Nel 405 Sparta infligge il corpo mortale ad Atene: occupa l’Ellesponto, ci sarà la battaglia di Egospotami che vedrà la sconfitta definitiva di Atene, che verrà assediata per terra e per mare, e per fame è costretta ad arrendersi a Lisandro nel 404. Atene era stata sconfitta, l’impero di Atene viene meno. Corinto e le altre poleis vorrebbero radere al suolo Atene, ma il prestigio di Atene prevale e gli Spartani non possono permettere questo. Quindi, si arriva ad un trattato di pace, che prevede la demolizione delle lunghe mura, la consegna della flotta tranne 12 navi, il pagamento di un’indennità molto forte, l’obbligo ad avere gli stessi amici e nemici di Sparta, l’imposizione di un governo conservatore. Sull’acropoli di Atene ci sarà una guarnigione Spartana che controllerò la situazione e imporrà un governo oligarchico, i cosiddetti Trenta Tiranni, trenta ateniesi filo spartani che governeranno Atene in maniera tirannica. 20. 28 /04 – EGEMONI A TEBANA La guerra del Peloponneso aveva portato devastazioni in tutta la Grecia e sconvolto gli equilibri, non solo della Grecia ma anche delle zone in cui si trovavano le colonie greche, per esempio in Sicilia dove si stava affermando prepotentemente il dominio di Siracusa. Atene esce da questa guerra dilaniata, e poche garanzie poteva ormai garantire al controllo dei mari, alla difesa della libertà greca di eventuali attacchi persiani o dal dilagare della pirateria. Mutano pian piano i presupposti per l’assunzione nuovo, più vasto, della civiltà greca del mondo antico. La polis mostra sempre più i limiti ideologici e strutturali, ma la cultura greca si prepara ad essere assorbita, irradiata ovunque da un organismo più vasto, che sarà la Macedonia di Filippo, sovrano macedone. È abile e intraprendente, e riesce a mettere sotto il suo controllo quasi tutte le poleis greche, dando la Grecia quell’unità che forse avrebbe desiderato ma che non riuscì mai a realizzare, solo poco prima della seconda guerra persiana le poleis greche riescono ad unirsi, nonostante i contrasti e le contraddizioni che ne seguono. 92
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