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Globalizzazione Economica: Paesi, Mercati e Strategie di Marketing Internazionale, Appunti di International Management

Una panoramica della globalizzazione economica, descrivendo come la quota di attività economica mondiale tra soggetti di diversi paesi è in costante crescita. Vengono discusse le tendenze dell'economia ad assumere una dimensione sovranazionale, la competizione tra paesi per attrarre investimenti e clienti, e i benefici e i costi della globalizzazione. Il testo illustra anche come le obiettivi nel marketing internazionale includono il miglioramento della redditività, la fronteggio della concorrenza, la formazione di segmenti di domanda transnazionale, la diversificazione del rischio e l'allungamento del ciclo di vita del prodotto.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 17/01/2024

Micaty23
Micaty23 🇮🇹

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Scarica Globalizzazione Economica: Paesi, Mercati e Strategie di Marketing Internazionale e più Appunti in PDF di International Management solo su Docsity! LA GLOBALIZZAZIONE DEI MERCATI La globalizzazione la vediamo nelle cose di tutti i giorni (es. Iphone, designed in california e made in China). E tocca tutti nel quotidiano (es. mobile Ikea - certamente non prodotto in Svezia, lampade a led - 90% della produzione mondiale di led è asiatica, la stessa Cina ha cominciato a diversificare le proprie produzioni in altri paesi perché più conveniente). Ogni paese si trova sul mercato globale? SI sostanzialmente…Non esiste paese che possa essere completamente assente dai mercati globali (corea del nord = dittatura ed estremamente chiuso, fa parte del mercato globale), alcuni invece vengono tagliati fuori nel senso che lo subiscono ma non possono esserne attori più di tanto (paesi molto arretrati o di dichiarata povertà); ci sono dei paesi che sono più protagonisti (ex. Unione europea) e ci sono paesi che influenzano di più e dettano quasi legge all’interno dell’economia globale  equilibri che cambiano e si spostano, è un mondo in movimento, in continuo cambiamento…spesso ci sono anche dei cambiamenti improvvisi e inattesi (cigni neri = ad esempio il covid) Quando parliamo di globalizzazione dell'economia parliamo di una tendenza dell'economia ad assumere una dimensione sovranazionale, cioè fuori dalla nostra nazione. Quindi una quota sempre maggiore, sempre crescente, dell'attività economica mondiale ha luogo tra soggetti che vivono in paesi diversi. Il grosso degli scambi fino a un po' di tempo fa era tendenzialmente tra paesi limitrofi. I mezzi di comunicazione e le modalità di comunicazione sono cambiate radicalmente con una serie di invenzioni (che oggi vengono chiamate disrupting oppure game changers), che di fatto hanno veramente cambiato i giochi. EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE: nel sistema economico -c'è una maggiore competizione tra paesi per attrarre soprattutto IDE (investimenti diretti all’estero, è una forma di internazionalizzazione dell’azienda = mi compro un azienda in Albania oppure voglio vendere le mie motociclette in Indonesia allora apro un ufficio commerciale o una showroom all’estero), investimenti, clienti o fornitori interessati a stabilire le loro produzioni in un altro paese. -Ma tutta questa competizione (tra i paesi che combattono uno contro l’altro) comporta anche una maggiore instabilità finanziaria ed economica, perché ti devi misurare con una pletora di concorrenti sparsi anche in giro per il mondo. -Tutti coloro che vogliono competere a livello globale, anche le PMI devono adottare dei sistemi che siano in grado di competere anche con quelli più grossi, per questo vi è una convergenza tra i sistemi di corporate governance (ovvero tra i sistemi di controllo e di gestione delle società). -Questo ha comportato nell’ultimo periodo soprattutto un indebolimento degli stati nazionali e di conseguenza il prevalere di potenze economiche non necessariamente identificabili in uno stato (es. multinazionali) -contemporaneamente c’è stata una crescita delle organizzazioni sovranazionali (mettersi insieme di stati, nazioni e realtà per darsi delle regole) tipo ( il fondo monetario internazionale e l’Unione Europea). L'impatto sulle imprese: -innanzitutto, un'espansione del mercato e della domanda potenziale, se ieri potevo vendere più o meno ad un mercato ristretto, adesso se voglio posso vendere a chiunque, ognuno di noi può mettere oggi un prodotto online su eBay e venderlo ad uno statunitense o ad un sudafricano, e si dovrà preoccupare solo di eventuali dazi e dell'affidabilità del fornitore, però lo può fare. -Ha comportato un aumento della rivalità perché è ovvio che di fronte a grandi possibilità in tanti si buttano (con successi più o meno reali) in business che magari non avevano fatto prima. -Comporta anche nuove competenze manageriali, perché per muoverti su questi scenari che sono cambiati così radicalmente per cui servono degli esperti, se non lo sai lo devi apprendere, se non hai il tempo per apprenderlo lo compri, “compri” qualcuno che sa al posto tuo e che lavora per te. Ovviamente cambia anche la clientela, che ha maggiori opzioni di scelta, che può avere una maggiore convenienza (essendoci più scelta, c’è più concorrenza tra i prezzi e ci sarà sicuramente qualcuno che diminuisce il prezzo  il cliente ha lo stesso prodotto a prezzo più basso). Ubiquità degli stili di vita: Grazie a questa globalizzazione gli stili di vita sono diventati, o stanno diventando, molto più simili di quello che erano in passato: se prima gli stili di vita erano radicalmente diversi (e ancora in larga parte lo sono in molti punti del mondo) oggi chiunque è collegato a un telefonino, iPad o computer vede o può vedere come vive l'altro; gli stili di vita sono quasi uniformati. Di conseguenza però genera anche una ricerca di autenticità: io voglio qualcosa di autentico. LE REAZIONI DELLE IMPRESE Alcune imprese hanno deciso di smettere di produrre certi prodotti, oppure mi focalizzo sulla produzione di oggetti con minore pressione competitiva (ad esempio bicchieri, non più classici che il cinese li vende a 1 euro l’uno, ma di lusso). Posso scegliere di localizzare, parzialmente o totalmente, dei cicli produttivi nei luoghi dove i fattori produttivi sono meno costosi (la manodopera in Italia ha un costo abbastanza elevato, in Bangladesh o Vietnam è nettamente minore). Poi si va verso la differenziazione dei prodotti offerti attraverso la ricerca di più elevati livelli di valore per il cliente cioè se io voglio competere e non ammazzarmi sulla concorrenza a basso costo che mi arriva da questi paesi devo avere gli strumenti giusti e se magari sono una pmi non li ho, quindi mi conviene cambiare parzialmente la mia produzione, vendere oggetti più di nicchia, più interessanti dove trovo meno concorrenza. Quando è cominciata la globalizzazione? XV/ XVI con l’epoca delle colonizzazioni, dal momento in cui abbiamo iniziato ad espanderci. Però c’era una difficoltà comune: le navi erano tutte a vela, (per arrivare in oriente bisognava circumnavigare l’africa) le tecnologie a disposizione erano a grosso modo le stesse per tutti e sono rimaste così per lungo tempo, fino alla rivoluzione industriale, che ha cambiato completamente gli scenari e questo si è portato dietro il fenomeno che oggi chiamiamo globalizzazione. si umane e spesso amministrazione dell'azienda (ovvero qualcuno che assume e licenzia), ricerca e sviluppo delle tecnologie (ci saranno designer che si occuperanno di creare capi e persone che si occuperanno della creazione dei macchinari), e infrastruttura dell’impresa () . 2) il margine, cioè il guadagno che viene dall'attività, (misurato con i ricavi che ottengo meno i costi sostenuti dai miei processi). Se io ho una marginalità del 10 %, tendenzialmente ho costi 90% e incasso 100%, il 10 % non è il guadagno è l’utile lordo, con quello ci pago le tasse, una volta pagate io avrò il mio utile netto.  Attività quotidiana dell’azienda Si arriva alla terza fase della globalizzazione: le nuove caratteristiche degli investimenti diretti esteri 1) hanno una caratteristica double way, piuttosto che one way = investimento one way, sono io che investo lì, Ad esempio, se un'azienda statunitense apre una filiale in Cina, si tratta di un investimento diretto estero one way per gli Stati Uniti. Double way: c’è uno scambio di investimenti diretti tra due paesi specifici, Ad esempio, se un'azienda tedesca apre una filiale negli Stati Uniti e contemporaneamente un'azienda statunitense apre una filiale in Germania, si tratta di un investimento diretto estero double way tra Germania e Stati Uniti. 2) Si passa dall'agricoltura e dalle attività estrattive alla manifattura e ai servizi, 3) tutto questo origina dalla frammentazione della catena del valore: nella catena del valore si dà un'importanza e un peso a tanti aspetti fondamentali che prima non venivano considerati, ad esempio lo sviluppo della tecnologia o le operations, questa è la frammentazione della catena del valore = io decido di concentrarmi su qualche punto della catena. E questra frammentazione contribuisce alla fase tre della globalizzazione. 4) C'è la partecipazione ai mercati globali di tanti paesi, alcuni in via di sviluppo che vogliono crescere, vogliono darsi da fare. 5) Cambia la struttura del commercio estero, diventa intra-industry piuttosto che inter-industry, cioè da ‘’io industria che vende i bulloni’’ mi rivolgo a ‘’te che fai i bulloni’’ e basta, a ‘’io industria che disegno e creo telefonini mi rivolgo a te che me li assembli e che magari mi fai anche tu i microchip’’. Sostanzialmente è una compenetrazione tra Industrie diverse, mentre prima era solamente io ti do questo da fare, ti pago, basta, mi hai fornito il prodotto. Adesso io ti do una parte del lavoro a cui contribuisci tu con una quota che non è più semplicemente di manodopera a basso costo ma di intelligence che ci metti anche tu: il livello di compenetrazione degli scambi tra le aziende diventa estremamente più complicato perché la catena del valore si è frammentata, è diventata più importante sotto tanti aspetti, tutti questi aspetti come abbiamo visto prima nel grafico generano valore e quindi tutti sono un'opportunità di business. 6) A questo si aggiunge la dematerializzazione dei flussi commerciali internazionali: vuol dire che tanta roba la faccio viaggiare sul web, transazioni di ogni tipo. La fase tre è caratterizzata da questi nuovissimi elementi che prima non c'erano o c'erano ma in misura ridotta, e che sparano le economie, assieme ad una facilitazione negli scambi internazionali che è andata crescendo, a una riduzione dei dazi tramite accordi eccetera, il commercio ha cominciato a crescere in modo esponenziale ed è in questo modo che si parte dai 200 per arrivare ai 1800 miliardi. Le determinanti ovvero i fattori principali della globalizzazione dei mercati moderna (di questa terza fase) sono: 1) i progressi nell’ICT (information and communication technology): diffusione della rete internet su scala mondiale  possibilità offerta a chiunque di entrare in contatto con chiunque altro a costi incredibilmente bassi, questo facilità la commercializzazione su scala globale dei beni e servizi, permettendo alle imprese di: -localizzare le attività della catena del valore in paesi diversi, connettendole attraverso reti telematiche, -avere una localizzazione unica dalla quale servire direttamente (tramite il commercio elettronico) i clienti sparsi nel mondo, -acquisire informazioni per la conoscenza del proprio mercato di riferimento, in ogni paese di interesse. 2) la diffusione dell’economia di mercato: -l'economia di mercato si è diffusa dopo la fine della Seconda guerra mondiale, alla conferenza di Yalta del 1945 le potenze che avevano vinto la guerra si sono spartite il mondo in aree di influenza, poi con il crollo del muro di Berlino si è verificata l’implosione dell’URSS (1991, in 15 stati indipendenti, alcuni fanno parte della CSI) quindi nell’Europa centro-orientale si sono aperti all’economia di mercato degli spazi rilevanti. -parallelamente anche nei paesi dell’estremo oriente asiatico ha preso il via un processo di cambiamento, il caso più eclatante è quello della Cina, che da sistema comunista, dove ogni cosa era pianificata, da lì si è passati ad un’economia mista, il partito ha dato il via libera a forma di economia e di commercio simili a quelle occidentali = si da il via ad un’economia socialista di mercato. Nel 2001 ha aderito all’organizzazione mondiale del commercio. 3) lo sviluppo scientifico e tecnologico: -natura transazionale (attraversa tutto il mondo) e interaziendale (attraversa tutta la catena dell’azienda: dal fornitore al cliente), quindi genera la crescita degli investimenti per la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti in tutti questi settori perché genera una crescita per tutti (fornitore, produttore e cliente), -questo comporta un’abbreviazione dei tempi di obsolescenza dei prodotti, che diventano molto più rapidamente vecchi. -con il diffondere di tutto questo è difficile mantenere il controllo esclusivo della conoscenza: nel momento in cui la Apple ha una nuova idea viene copiata da Samsung o altro.. 4) la riduzione delle barriere artificiali (nel momento in cui si è partiti a fare accordi sovranazionali) : -Sono calate le barriere artificiali, quindi barriere tipo dazi doganali, questo è iniziato nel 1947 con il GATT (general agreement on tarifs and trades, Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio) e poi dopo si è proseguiti per arrivare a ridurre queste barriere a livello di aree regionali plurinazionali, prima esistevano solo accordi tra uno Stato e l'altro  nel 1994 nasce l’OMC (organizzazione mondiale del commercio). Ha promosso la concorrenza leale a livello internazionale. Quindi tutto questo ha facilitato in modo estremo gli scambi all'interno dell'Unione Europea, e questo gli altri paesi in giro per il mondo, soprattutto i paesi emergenti  Nascono le aree di libero scambio. Perché non facciamo un'unione doganale? Da lì il passaggio successivo, tra i nostri 3/4 paesi facciamo che per la maggioranza dei prodotti non si pagano dei dazi e se tu importi un prodotto da un paese altrove, dall'Italia per dire, entra da te, basta, ha pagato il dazio una volta e poi circola liberamente al nostro interno. Si creano mercati comuni e si creano poi unioni politiche. Questi sono i quattro livelli di crescita e di semplificazione del commercio internazionale. I NUOVI PROTAGONISTI: I PAESI EMERGENTI Prima c'era una grande divergenza tra paesi più ricchi e paesi poveri. Questa grande divergenza si è ridotta. Chi sono i mercati emergenti? (secondo gli studi di managment) si dicono emergenti i paesi che hanno poca ricchezza pro capite, arretratezza del mercato dei capitali, sviluppo economico impetuoso, e apertura agli investimenti esteri. Prospettive di Asia, Africa e alcuni paesi sudamericani. PIL: CHE COS’È? Prodotto interno lordo, ovvero il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti all’interno di un paese. (tutto ciò che un paese produce: beni e servizi è il pil) Parliamo della Cina, ha delle peculiari condizioni: - bassi livelli salariali mediamente, - una ampissima offerta di lavoro perché è diventata la fabbrica del mondo (vi dicevo che l'80% dei giocattoli viene prodotto in Cina, - hanno una sottovalutazione del tasso di cambio imposta dallo Stato -lasciate perdere non è importante, concentratevi più su bassi livelli salariali e un'ampia offerta di lavoro. Si sono aperti agli scambi internazionali, quindi hanno raggiunto posizioni in preminenza in tante produzioni, per esempio dei giocattoli, è diventata il principale esportatore mondiale, di conseguenza attira enormi capitali dall'estero. Ma a loro volta sono diventati dei grandi investitori internazionali, (l’Inter il proprietario è il Gruppo Suning). Nessuno può fare a meno di misurarsi con la Cina come competitor e come cliente. E poi c'è un altro protagonista che sta crescendo mostruosamente: l'India. Anche qui la svolta è stata impressa dalla politica: - hanno cominciato ad aprire alle privatizzazioni, la catena del valore è un modello che descrive l'organizzazione aziendale come un insieme di processi, di attività e di relazioni in cui l'obiettivo è quello di creare valore per i clienti e quindi aumentare la redditività dell'impresa. È un complesso organizzato di processi coordinati = Immagina una barca con tante vele, se tutte le vele sono orientate allo stesso modo, il vento spingerà e dara una forza in più all’azienda/nave, se invece anche una sola delle vele non è orientata come le altre si spezza il flusso del vento e la spinta della barca sarà inferiore. Stessa cosa funziona nelle aziende, se sono organizzate e coordinate massimizzano il valore. FORME DI INTERNAZIONALIZZAZIONE, ce ne sono di tantissimi tipi, ma noi ci concentreremo su queste: -l'internazionalizzazione commerciale, -l’internazionalizzazione degli approvvigionamenti, -l'internazionalizzazione produttiva, -l'internazionalizzazione della ricerca e sviluppo -l’internazionalizzazione finanziaria. Sono tutti pezzi all’interno della catena del valore, quindi io spezzo la catena e mi concentro su uno o più segmenti. DELOCALIZZAZIONE ED ESTERNALIZZAZIONE sono due cose diverse, poi in alcuni casi possono coincidere. L’impresa può dislocare le attività della catena del valore in paesi diversi: controllandole tutte ( in termini proprietari = è roba mia), oppure posso affidarne lo svolgimento ad un'altra impresa. In entrambi i casi parliamo di DELOCALIZZAZIONE, che in inglese viene chiamato offshoring. L'ESTERNALIZZAZIONE è invece la decisione di non svolgere più un'attività all'interno dell’impresa, significa trovare semplicemente un fornitore. I due termini, possono coincidere in alcuni casi, diciamo che questa è più una distinzione di scuola, parliamo in generale di delocalizzazione, però l'esternalizzazione di fatto esiste, ed è quando non cambio paese, cioè cerco un fornitore all’interno del paese, nel nostro caso l’Italia. Tutto ciò che viene internazionalizzato o globalizzato che dir si voglia, comporta una serie di rischi importanti, l'abilità sta nel riuscire in parte a calcolarli e prevenirli. L’assetto strategico delle imprese: Due assi, su uno troviamo la configurazione (accentramento – decentramento) e sull’altro il coordinamento (alto – basso). 1) la configurazione è la localizzazione delle singole attività della catena che io posso concentrare (tutte in uno stesso posto) o decentrare (in posti diversi), 2) il coordinamento sono le modalità in cui le attività dislocate sono collegate tra di loro. (alto o basso), il grafico serve a individuare subito che tipo di azienda è. 1) PERCHÉ CONCENTRARE? Riguarda prevalentemente le attività a monte (logistica in entrata, attività produttiva, e logistica esterna) della catena del valore. Perché localmente posso avere fattori di produzione più competitivi, ad esempio la manodopera costa poco, poi posso conseguire delle economie di scala (più produco più stabilisco i miei prezzi fissi) o un’economia di esperienza (in quel particolare distretto si concentrano aziende che producono la stessa cosa che produco io), oppure posso integrarmi in un distretto di attività che facilità. Il coordinamento e l’apprendimento (di solito in un distretto dove si produce un determinato prodotto, li vicino ci saranno anche quelle attività che gli girano intorno: l’indotto). PERCHÉ INVECE DECENTRARE? Riguarda prevalentemente le attività a valle (logistica esterna, il marketing e le vendite, l’assistenza alla clientela), della catena del valore. Perché posso avere una maggiore aderenza alle peculiarità locali, inoltre riduco costi di trasporto e logistici in generale; a volte può essere opportuno decentrare anche altre attività, soprattutto per accedere agli incentivi concessi dalle autorità locali (Austria: solo il 15% di tasse per i prossimi 10 anni, Serbia regala il terreno) o affidare la gestione al management locale (aspetti che non si capiscono tra culture diverse, e questo rende le cose più facili). 2) COORDINAMENTO: - Basso : quando l’impresa fonda la sua presenza estera su unità nazionali non specializzate, ognuna si occupa di tutto quanto concerne la propria area geografica di competenza. (quindi io ho la filiale in Giappone, quella si occupa di tutto all’interno della catena del valore, perlomeno per quanto riguarda la sua area geografica di competenza) - Alto: ciascuna unità nazionale integra le proprie strategie e politiche con quelle della casa madre e/o di altre unità, al limite assumendo una missione particolare a livello corporate, (la nostra consociata in germania è quella dove noi concentriamo la ricerca e sviluppo per tutte le aziende del gruppo però è estremamente coordinata con la casa madre, quindi materie prime etccc) Il coordinamento ha dei vantaggi: - Condivido esperienze e conoscenze tra diverse unità in diversi paesi, dalle conoscenze di ognuno si possono ottenere diverse opinioni. - Si diventa più veloci (ex. Vaccini) - Capisci prima i segnali di cambiamento del mercato, esempio tipico la moda. - Mi possono anche aiutare a definire beni/servizi transnazionali, esempio divorziate/i internazionalmente. - Coordinamento dei mezzi finanziari: ho diponibilità maggiori in un altro paese e quindi ho più soldi da utilizzare lì che qui o pesco dal serbatoio che ho lì. Le strategie internazionali, ci sono quelle globali e quelle multidomestiche, etc… 1) LA STRATEGIA BASATA SULLE ESPORTAZIONI (tipica delle PMI italiane) È una forte concentrazione geografica delle attività della catena del valore nel paese di origine dell'impresa, ad eccezione di quelle legate alla commercializzazione dei prodotti. (vendità di un prodotto all’estero). Ce ne sono due tipi: -indiretta: quindi delego uno specialista di vendita e marketing, es. voglio vendere le mie calzature all’estero, prendo un agente che si occupa di quello nel territorio straniero. -diretta: il produttore ha il contatto diretto con i clienti esteri, es. io azienda parlo con i clienti esteri. 2) STRATEGIA BASATA SUL DECENTRAMENTO: La mia impresa è presente in più paesi con unità operative tra di loro indipendenti, e ciascuna è responsabile dei risultati ottenuti nell'area geografica di competenza. Può contemplare due varianti principali: -decentro tutte le attività a valle della catena del valore, Nelle pmi c'è carenza di elaborazione strategica, ridotte esperienze internazionali, dei limiti nella disponibilità di competenze manageriali, in una ditta di 10-15 persone difficilmente avrete dei manager super preparati in ogni campo. Quando è che c’è un atteggiamento reattivo (c’è un problema, lo risolvo subito- senza pianificazione) , quando l’internazionalizzazione non è una strategia deliberata, ma secondo una visione contingente, cioè dettata da condizioni di necessità o da richieste di operatori esteri. È tipico delle imprese: -poco propense a esplicitare i propri obiettivi e ad adottare una pianificazione strategica, -inclini ad affrontare i problemi con un processo incrementale, -che non hanno ancora compreso nel profondo le logiche della globalizzazione. ≠ Mentre ho un atteggiamento proattivo quando la decisione di operare sui mercati esteri è connessa a una precisa scelta di sviluppo, la quale si fonda su un’analisi delle condizioni d’ambiente (attuali e tendenziali) e a questo punto individua la direzione più efficace per l'impresa, in relazione alle sue risorse e ai suoi punti di forza e debolezza. Modello per la pianificazione: 1) si definiscono gli obiettivi, 2) si scelgono i vettori di sviluppo, quindi la combinazione di paese-prodotto- segmento, 3) si decidono le strategie e quali modalità di ingresso in un paese (vendita diretta e vendita indiretta ad esempio), 4) sviluppiamo un piano di marketing e cominciamo ad attuarlo, 5) e poi sempre faccio delle azioni di controllo per adattare e riformulare obiettivi e strategie perché è tutto in movimento. 6) Mi confronto con il mercato obiettivo, funziona? SI 7) consolido le mie posizioni, 8) non funziona, torno indietro e ricomincio da uno dei punti precedenti. Quindi gli obiettivi nel marketing internazionale, quelli base sono: -sviluppare il fatturato e migliorare la redditività (cioè fatturo di più e guadagno di più), -fronteggiare la concorrenza (riesco a contenerla, siamo in guerra sostanzialmente come un Risiko), -trarre vantaggio dalla formazione di segmenti di domanda transnazionale (in diversi paesi), - diversificare il rischio (magari mi va male in un paese ma non negli altri), -posso allungare il ciclo di vita del prodotto (è l'esempio tipico di Zara, non butta via subito i suoi prodotti a fine ciclo, li fa girare in altri paesi). -migliorare l'immagine aziendale, perché se io vado a piazzarmi negli Stati Uniti o in Cina, non è che io sia uno stupido qualsiasi, sono un'azienda internazionalizzata. Ci sono dei vincoli e delle risorse disponibili, che devo calcolarmi prima, devo valutare le risorse e le competenze specifiche nonché i vantaggi competitivi di cui l’impresa dispone per confrontarli rispetto a fattori critici identificabili nei vari paesi quali risorse e competenze dei concorrenti locali con cui l’impresa deve confrontarsi. Questa è l’elevata complessità dell'ambiente internazionale: accedo a competenze tecnico-scientifiche specializzate, (esempio microchip a Taiwan) e questo mi permette di monitorare gli sviluppi tecnologici dei paesi, e beneficiare di specifici incentivi (es. fiscali), posso partecipare a progetti di ricerca in cooperazione con organismi specializzati, e posso adattare il prodotto e il processo alle peculiarità locali; quindi sono dei mercati in cui si IMPARA = learning markets, di consumo (gusti dei consumatori) o scientifico-tecnologici (tecnologie). ANALISI E ATTRATTIVITA’ DEI MERCATI ESTERI Premessa  LA SCELTA DEI PAESI: è fondamentale perché orienta tutto Il processo di formulazione della strategia di marketing internazionale, scelte errate (o sub-ottimali, non la miglior scelta possibile) comportano una serie di conseguenze negative in termini di costi vivi (devo sopportare dei costi che invece con una strategia corretta non avrei dovuto sopportare) e di opportunità (manco determinate opportunità e quindi non riesco a portarmi a casa quel fatturato a cui auspicavo, perché perdo un opportunità? C’è qualcun altro che ne beneficia al mio posto? C’è un danno quasi invisibile (che quasi certamente avverrà)  se IO non entro nel mercato, lascio a disposizione una fetta di mercato per I MIEI CONCORRENTI, sicuramente entreranno… non c’è più posto per noi. La prima domanda che mi devo fare è: ho le opportunità finanziarie per entrare in un certo paese? IL COMPORTAMENTO TIPICO DELLE IMPRESE ITALIANE (si prendono in considerazione le PMI)  ancora oggi non svolgono alcuna analisi di mercato! Loro fondano le proprie decisioni sui contatti e le informazioni raccolte presso gli operatori commerciali in occasione di fiere e mostre (ho incontrato quel mio amico in fiera, mi ha detto che ha un contatto giusto a Singapore), sulla distanza (geografica o culturale) che intercorre fra il paese di origine e quelli di destinazione (esportano solo in paesi più vicini: es. Spagna, Germania, Francia), su quanto fanno i concorrenti (‘’effetto sciame’’  come le api, vado a vedere cosa fanno i miei concorrenti ) ci sono ovviamente dei rischi in questo modo di operare: -trascuro paesi potenzialmente interessanti, magari perché non hai avuto l'opportunità di contattarli, non avevi nessuno che li ha contattati o non ti hanno contattato loro. -inizio a operare in paesi privi di reali prospettive e quindi magari azzecchi una o due esportazioni ma poi finisce lì e dici “come mai? Non capisco”. -mi limito a vendere solo nei paesi geograficamente più vicini, ad esempio in Germania e Austria. -concentro le vendite in pochi paesi: In pratica ti fai governare dall'occasionalità “ho beccato questa occasione/opportunità, ci salto addosso” ma è troppo altalenante…non c'è una strategia dietro. Questo è il modus operandi di tante aziende MA C'è tutta una serie di ragionamenti da fare, di cose da escludere, di cose da considerare e poi soppesare, in modo da orientare le decisioni nel modo di fare meno danni possibile e trovare veramente delle opportunità. IL PROCESSO ANALITICO DI SCELTA DEI PAESI  L’analisi aziendale deve considerare: l'attrattività del paese: la domanda potenziale (c’è interesse per i miei prodotti in quel paese? ), l’espandibilità della domanda (è un paese che può crescere?) e la compatibilità della mia offerta con questo paese (io vendo i miei prodotti con modalità che vanno bene per quel paese o no?) l'accessibilità del paese, che tipo di ostacoli ci sono? Le barriere all’ingresso (naturali: cioè geografico, concorrenziali: cioè ci sono miei concorrenti nel paese? artificiali: cioè dazi e dogane). Paesi facili non esistono, ma esistono diversi livelli di difficoltà che devono essere valutati in base a tutta una serie di parametri, le dimensioni del mercato, le dimensioni di clienti, ma anche le mie di dimensioni… priorità  da chi entro prima e da chi entro dopo? Schemino con 4 quadranti: da un lato ci metto l’attrattività (alta e bassa) e dall’altro metto l’accessibilità (alta e bassa). Il paese che io metto a bersaglio sarà un puntino in queste aree. Se ho un paese che è super attraente e ha un'accessibilità alta, cioè è più facile entrarci rispetto alla media, me lo trovo in alto a destra: è nei PAESI PRIORITARI, questo è sicuramente uno dei primi paesi su cui io devo andare perlomeno a porre la mia attenzione per poi fare le ulteriori valutazioni. SECONDO SCREENING: una volta stilato l’elenco dei paesi ‘’accettabili’’, l’analisi deve considerare la domanda potenziale del genere di prodotto offerto dall’impresa. (quanto ne possono prendere della mia roba?). ANALISI LEAD-LAG = la domanda di lettori DVD negli stati uniti e in italia. Un prodotto, quasi ogni prodotto, ha un tempo di interesse e accettazione diverso a seconda del paese, sicuramente un vantaggio nel paese di origine o nei paesi più ricchi. Per i DVD c'è un gap di 2 anni prima che segua la stessa curva di crescita nelle vendite in Italia, se poi andiamo in un altro paese meno sviluppato dell'Italia probabilmente questo prodotto avrà un lead-lag ancora più ampio, magari diventa di 3-4-5 anni. Però io che sono nell'analisi delle vendite, nel marketing, nella programmazione, so che su quella tipologia di prodotti in Italia ci può essere uno sviluppo più o meno analogo, Allora vado a guardare che cos'è la curva di vendita negli Stati Uniti di quel prodotto recuperando i dati storici e posso già dire con una relativa certezza ai miei interlocutori in azienda “guardate che abbiamo delle chance di crescita di questo prodotto in Italia e il picco lo raggiungeremo tra 2 anni” e via dicendo. Questo è il classico esempio di una collezione di abbigliamento che poi viene venduta in Messico: Armani che produce la collezione uomo autunno inverno 2020/2021, probabilmente è quella che adesso sta seguendo le curve corrette di vendita in Messico perché per tutta una serie di motivi, di tempistiche, di logistica e di prezzi, il Messico arriverà due anni dopo. TERZO SCREENING: esiste un effettivo spazio di mercato per lo specifico prodotto offerto dall’impresa? Si può espandere la domanda effettiva? È compatibile con questo particolare mercato? E’ compatibile con il mercato locale? Dopodiché devo valutare il rischio paese, dal (pov) economico, finanziario e politico: -rischio politico: rischio di instabilità, rischi sul controllo della proprietà dell’investimento, rischi operativi, rischi di trasferimento. La vulnerabilità dell’impresa al rischio politico dipende da: la qualità dei rapporti che il paese di origine dell’azienda intrattiene con quello estero, dalle dimensioni aziendali, dalla visibilità dell’impresa. Come posso controllare e ridurre questi rischi? a) Tecniche di riduzione  contenere ai minimi livelli l’ammontare dell’attività svolta nel paese estero, limitare l’apporto di capitale di rischio e adottare modalità di ingresso meno ‘’coinvolgenti’’. b) Tecniche di prevenzione  azioni atte a ridurre la convenienza, per il governo locale, di azioni ostili…azioni volte a far percepire il positivo contributo offerto dall’impresa alla società locale oppure ti affidi a istituzioni per contenere il livello finanziario delle perdite (sace). Basta che un paese sia ATTRAENTE? NO, ci vuole anche l’ACCESSIBILITA’ (ci sono paesi che possono aprire le porte, e paesi che non le aprono). Nell’UE le porte sono spalancate, si può commerciare liberamente. Quando si guarda un mercato che è attraente ci sono sempre due fattori da considerare per la accessibilità  Fattori di analisi: -domanda: c’è domanda del mio bene in questo paese? ci sono barriere culturali che io non vedo? peculiarità socioculturali ( barriere naturali) -concorrenza (locale e internazionale – ad esempio se vendo formaggi in francia ci sarà una grande concorrenza locale). Quindi poi dovrò capire le infrastrutture di marketing di quel paese e della concorrenza: • canali di comunicazione  quali si usano in quel paese? (esempio eBay non in Cina) • canali di distribuzione  quali si usano in quel paese? Della concorrenza devo individuare le caratteristiche dei concorrenti che sono in grado di agevolarmi o ostacolarmi, quindi devo capire che strategia di marketing hanno adottato, le risorse e competenze che hanno a disposizione e cerco di intuire quali sono gli obiettivi che perseguono (vogliono semplicemente mettere la bandierina per dire “lavoro anche qui” oppure stanno puntando su quel mercato perché veramente lo vedono in espansione per quella tipologia di prodotto?). Io devo sapere con chi vado a misurarmi. Devo analizzare quelli che sono I CANALI DI DISTRIBUZIONE: -devo comprendere quali sono le caratteristiche del sistema distributivo locale, (è simile al mio? O completamente diverso?) -la dinamica dei rapporti industria-distribuzione, -i servizi richiesti -il problema non riguarda solo l’accesso alla GD, ma anche, specialmente nei paesi emergenti, a quella tradizionale. LE BARRIERE ARTIFICIALI  degli ostacoli che vengono creati dai governi per impedire o rendere più difficile l'ingresso di un'impresa straniera e/o dei suoi prodotti nel territorio dello Stato (si intende territorio doganale ovviamente, dove tu hai la possibilità di imporre degli ostacoli, ≠ free trade zones, che fanno parte del territorio statale e non doganale). Sono artificiali perché non ci sono in natura, vengono create apposta per impedire o rendere più difficile l'ingresso di uno Stato o di un prodotto nel mio. Queste barriere si dividono in: 1) barriere tariffarie: sostanzialmente IL DAZIO DOGANALE, è un ostacolo perché questa barriera riduce; fino a quasi annullare il vantaggio economico (la convenienza di prezzo). Ci sono dei dazi sulle automobili. Possono avere due scopi principali : lo scopo fiscale (più facilmente nei paesi meno evoluti, generando meno ricchezza possono incamerare meno tasse) e quello protettivo (negli stati dove c’è più benessere, che sono più evoluti; hanno costi maggiori per beneficiare e proteggere la produzione nazionale) il ruolo dell’OMC = organizzazione mondiale del commercio/world trade organisation, ci sono 164 stati membri. L’obiettivo principale è aiutare i propri membri a usare il commercio come strumento per aumentare gli standard di vita, stabilisce delle regole di tipo generale (non possono entrare nel dettaglio). I 4 principi fondamentali sono: 1. il consolidamento tariffario: cercare di avere + o – delle tariffe simili dove possibile 2. l’applicazione della clausola della ‘nazione più favorita’  tra i vari paesi che esportano nel tuo paese non puoi fare tariffe diverse. 3. La clausola del trattamento nazionale (non ci interessa) 4. Il divieto di quote all’importazione: tu non puoi limitare la quantità di merce che viene esportata nel tuo paese MA nella realtà, nonostante l’impegno delle organizzazioni internazionali, le barriere artificiali rimangono numerose ed elevate. PERCHÉ VENGONO MESSE LE BARRIERE? 1) MIGLIORARE LA BILANCIA DEI PAGAMENTI, quanto esporto e quanto importo cioè quando vendo e quanto incasso. 2) LA PROTEZIONE DELL'INDUSTRIA NASCENTE nazionale. 3) TUTELARE DEI SETTORI ‘’STRATEGICI’’ PER L'ECONOMIA NAZIONALE o di prioritario interesse sotto il profilo politico: esempio le armi. 4) INFLUENZARE LE DECISIONI DI DELOCALIZZAZIONE DELLE IMPRESE ESTERE: es. il Brasile fa pagare 3 dazi (uno nazionale, uno statale e uno cittadino), alla fine un macchinario che costa poco in Italia, se lo vendo in Brasile mi costa tantissimo; MA il brasile può dirti ‘’se tu insegni alla mia gente come si costruisce quel macchinario e stabilisci un azienda produttiva dell’azienda italiana allora ti favorisco con una detassazione’’. 5) RISPONDERE AD AZIONI POLITICHE (come le sanzioni che stiamo praticando come europei alla Russia). L'ORIGINE DELLE MERCI È sempre più raro che un prodotto venga fatto integralmente in un solo paese; quindi, il trattamento doganale di un prodotto è innanzitutto determinato dal suo paese di origine. Secondo l'OMC la merce è originaria del paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale; è economicamente giustificata (da chi? Come? E perché?); è effettuata da un'impresa attrezzata a tale scopo, e che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo. Sono una società che produce costumi da bagno, compero il tessuto in Indonesia, compro il filato per cucire il tessuto in Pakistan, faccio fare la stampa e poi le cuciture base del mio costume da bagno in Bangladesh, dopodiché lo importo in Italia. Gli faccio un ulteriore trasformazione, gli aggiungo dei ricami particolarmente costosi prodotti in Italia proprio, e faccio l’aggiunta di dettagli del prodotto come le clips di chiusura, mettendogli sopra degli Swarovski di produzione austriaca. È un prodotto Made in Italy? Ci sono le quattro caratteristiche? L'ultima trasformazione è avvenuta in • MISURE DI CARATTERE FINANZIARIO E VALUTARIO: esistono delle misure valutarie, esistono dei paesi che hanno il controllo sui cambi delle valute (in genere il cambio delle valute è dato dalla libera fluttuazione sul mercato); ci sono paesi in cui devi avere una specifica autorizzazione per poter acquistare valuta estera Una volta fatte le nostre analisi di attrattività e accessibilità, ci troviamo davanti magari 35 paesi… Qui si deve completare l’analisi, stimando se si può acquisire una posizione competitiva in certi paesi, il numero di paesi in cui andare, i tempi in cui realizzare lo sviluppo internazionale (i tempi minimi sono dai 3 ai 5 anni per poter vendere in modo proficuo in un paese nuovo). Esempio: si tratta di dare delle pagelline con una componente di valore di peso a determinati concetti. Ad esempio, il tasso di crescita nel mercato degli ultimi 5 anni gli do 8, eccetera e vi fate almeno un'idea. Qui va molto a persona, all'intuito e alla mole di dati che voi riuscite a raccogliere. È chiaro che più ne raccogliete e più precisi sono, più facile è che la vostra credibilità sia azzeccata. La numerosità dei paesi vi colloca di fronte a un dilemma: moltiplico i paesi in cui vado a vendere o li concentro (mi concentro a vendere solo in alcuni paesi o moltiplico) ? Questa è una scelta che può essere influenzata da più fattori; ad esempio, l’omogeneità dei paesi considerati. Le stime diventano più precise se si considerano anche altri fattori: - Il tasso di sviluppo della domanda primaria nei vari paesi (la domanda del mio prodotto nel tempo crescerà, sarà costante o dimnuirà?) - Il grado di stabilità delle vendite - Funzione di risposta delle vendite agli sforzi di marketing - Risorse disponibili - Vantaggio temporale dell’impresa innovativa (ho un prodotto innovativo che gli altri non hanno? o lo hanno anche altri miei concorrenti?) - Necessità e costi degli adattamenti del prodotto (devo adattare il mio prodotto?) - Importanza delle economie di scala e di esperienza (Posso farci economie di scala?) - Grado di controllo (Posso controllare tutti i passaggi?) LE MODALITÀ DI INGRESSO NEI MERCATI ESTERI: Ci sono strategie di ingresso e modalità di ingresso. È una distinzione apparentemente banale ma in realtà non lo è affatto. STRATEGIE D’INGRESSO  sono condotte competitive adottate dall’impresa per affermarsi rispetto ai rivali presenti nel paese estero; (formulare strategie/piano strategico per decidere qual è la politica migliore da adottare). MODALITÀ DI INGRESSO  sono le soluzioni tecniche e organizzative che rendono disponibile, nel paese estero, l'offerta dell'impresa. (come mi vado ad organizzare nel paese singolo). Una STRATEGIA può dare vita a una o + SOLUZIONI ORGANIZZATIVE a seconda dell’area o delle aree in cui decidiamo di implementare la nostra strategia. Schema riassuntivo: due assi, su uno è indicato il grado di coinvolgimento internazionale (senza o con investimento) ; mentre sull’altro il grado di controllo sulle operazioni internazionali (far fare o fare; controllo medio o assoluto). Da questo grafico vengono fuori 4 quadranti con diverse modalità di attacco e di ingresso sui mercati stranieri. Tra le varie teorie organizzative delle modalità d’ingresso, una delle più importanti è LA SEQUENZIALITÀ DELLE MODALITÀ D’INGRESSO > l’impostazione tradizionale concepisce l’internazionalizzazione come un processo GRADUALE. (step by step, si parte da un nucleo più piccolo per poi allargare e allargare). Il processo di internazionalizzazione attraversa vari stadi in sequenza, che però richiedono un impegno diverso in termini di risorse (finanza e organizzazione) e competenze e prospettano diversi gradi di controllo della strategia. Quando si fa? Il passaggio da uno stadio all’altro avviene in funzione della crescita dell’esperienza internazionale e della riduzione del rischio percepito (che intuiamo; concetto di rischio accettabile, ma quanto è accettabile? Come?). Questa è una delle teorie che quasi tutti utilizzano in italia. Questa cosa che vedete serve solo per dare un'idea di massima, nel senso che avete dei fattori che sono le frecce all'esterno (tempo, il controllo che avete su questa strategia e il rischio complessivo). Quanta conoscenza è richiesta? Quante risorse sono necessarie? E quindi vedete una serie di pallini con possibili soluzioni, poi nella realtà esistono molte variabili. C'è chi critica questa tesi della sequenzialità affermando che non sempre lo sviluppo internazionale è caratterizzato da un processo sequenziale e che l’impostazione tradizionale non prevede la possibilità di cambio di direzione o un ripensamento strategico da parte dell’impresa. E questa teoria non si adatta all’emergere delle ‘born global firms’ ovvero di imprese in grado di internazionalizzarsi entro pochi anni dalla loro costituzione, sono un fenomeno degli ultimi 15 anni; ma che continua a crescere. Queste aziende sono dinamiche, competenti, ….. Esistono anche delle vie alternative, dei ‘’business model’’ che, per loro stessa natura, permettono all’impresa di non dover intraprendere attività che rendono il processo di esportazione lungo e laborioso. Ad esempio il modello ‘’globale di nicchia’’: vado a imperniare la mia offerta su beni e/o servizi altamente differenziati (cioè in quel modo lì li faccio solo io, per cui ho pochi concorrenti o quasi nessuno – in gergo si chiama ‘blu ocean’); ho prodotti indirizzati a una nicchia di consumatori (di dimensioni ridotte a livello nazionale - vegani), occorre dunque rivolgersi all’estero sin dalla fondazione alla ricerca di un segmento di domanda trasversale (sito di oggettistica ebraica ex.). Queste strategie possono essere anche utilizzate come ciliegina sulla torta da aziende già ben affermate, per andare a guadagnare di più…(ex. Capsule collection). sono specialisti; ma non sai a chi vende (mentre con l’agente sì); quindi non hai il controllo del mercato e dei prezzi (la trading company guadagna aggiungendo un mark-up al prezzo di listino del prezzo), servizio post-vendita  rispondono loro. I consorzi  una figura particolare di organizzazione delle vendite che sono i consorzi per l’internazionalizzazione. Possono essere sia per la vendita diretta che indiretta. Un consorzio è un'aggregazione di diverse aziende, che si realizza quando più imprese decidono di disciplinare e svolgere in comune determinate attività della loro catena del valore. In particolare, i consorzi ‘’hanno per oggetto la diffusione internazionale dei prodotti e/o dei servizi da parte delle piccole e medie imprese nonché il supporto alla loro presenza nei mercati esteri’’. (l’unione fa la forza). Punti di forza: • riduci i costi connessi all’attività internazionale, perché fai delle grandi economie di scala; • ripartendo i costi puoi fare migliori progetti, • puoi aggregare i prodotti complementari (un consorzio molto noto è quello Italia del Gusto, c'è quello che vende il miele, c'è quello che vende la pasta, c'è quello che vede la pummarola); • Hai una maggiore forza contrattuale nei confronti degli organismi pubblici del paese e istituti bancari (qualsiasi direttore di banca avrà un atteggiamento proattivo nei confronti delle organizzazioni associate), • si possiede un patrimonio di risorse e competenze specifiche, in grado di attivare un processo di learning by doing per le associate, cioè certe soluzioni che io ho adottato possono diventare interessanti anche per il mio collega e viceversa, (è uno scambio onesto dato che non sono concorrenti) Efficacia dell’azione consortile: • serve un’omogeneità tra i partner, sicuramente sotto il profilo finanziario, inutile mettere assieme un'azienda enorme con un'azienda piccolissima, (chi volete che faccia il business? Lo farà l'azienda enorme, l'azienda piccolissima scompare, avrebbe anche difficoltà a partecipare con la sua quota nel consorzio). Quindi dimensioni e parte finanziaria importano, anche la parte territoriale (se siamo un consorzio di Made in Italy pesa). • Ma soprattutto è il comportamento degli associati che rende efficace un consorzio. • Il numero degli associati. Un consorzio di 5/10 aziende è un conto uno di 100 è un altro Questi aspetti possono comportare problemi ai consorzi => tendenza a cercare di ricavare un proprio tornaconto personale…  L’ Esportazione diretta è, invece, la modalità più adeguata quando: - i problemi distributivi sono molto complessi, - quando si richiede la gestione diretta di un’organizzazione dei servizi post-vendita, - quando i prodotti sono molto specializzati (serve uno specialista che vinee dalla casa madre) - quando i margini di ricarico dell'intermediario sono molto elevati (nel caso di una trading company che esplode, vende sempre di più; a quel punto ci si rende conto che c’è un mercato grande che non governa l’azienda e a quel punto si può pensare di entrare direttamente, Con quei margini io ricavo molto di più). HA DEGLI SVANTAGGI: a) Sostengo un investimento iniziale, nonché costi di esercizio (macchinari, personale) che possono non essere trascurabili (il Giappone è uno dei paesi più costosi al mondo ad esempio) b) Ho la necessità di personale qualificato, sia in patria che all’estero, c) Rende rigida l’impresa sia nella produzione sia nella distribuzione, (per garantirmi che l’investimento ritorni devo vendere almeno tot pezzi, devo reagire in base al mercato). d) Lo ‘’smantellamento’’ della presenza può non essere facile e, comunque, è di solito oneroso (e anche un danno d’immagine) Ci sono delle forme alternative di realizzazione, nell’esportazione diretta  1) negoziazione diretta col cliente straniero, mando un mio dipendente invece di cercare un agente. 2) costituzione di una rete di vendita dedicata al mercato locale, non ho un venditore e basta…ne ho più di uno (un export Department nella mia azienda, a capo metto un sales manager dedicato, c’è bisogno di una struttura). 3) istituzione di una propria unità commerciale nel paese estero, che può essere un mio ufficio all'estero dove metto dei venditori, loro vendono direttamente. Attenzione questo non è da confondere con il cosiddetto ufficio di rappresentanza. Cosa cambia? L’ufficio di rappresentanza fa solo un'attività di promozione (cercano i clienti, li selezionano, li contattano, gli mostrano il prodotto, gli danno la brochure e i cataloghi, fanno l'analisi se è un cliente solvente e solvibile, che ha i soldi oppure non ce li ha, fa un'analisi della concorrenza), ma la vendita diretta viene sempre fatta dalla casa madre. Le imprese esportatrici possono negoziazione direttamente con i clienti esteri quando: -operano su commessa (anche nella forma di contract = il contract, è una forma usata molto in Italia. È utilizzata soprattutto in due segmenti di mercato: settore dell'hospitality, settore dei mobili. È una società, spesso fatta da professionisti di alto profilo, possono essere degli architetti, chiunque abbia delle capacità su quella tipologia di prodotto consolidate nel tempo. Il contract si occupa di tutto il pacchetto, Va attraverso la sua esperienza e contatti di subfornitori a fornirti il prodotto finito. -quando intrattengono contatti diretti con i grandi gruppi della GDM (grande distribuzione moderna). I GRANDI GRUPPI DELLA DISTRIBUZIONE: GDO  grande distribuzione organizzata. la GDO internazionalizza sia gli acquisti che le vendite, quando si lavora con una GDO si crea una doppia occasione per le imprese fornitrici, perché posso rispondere alla domanda espressa dalle grandi centrali d’acquisto, che si approvvigionano all’estero e posso anche effettuare la fornitura di prodotti locali, all’interno del proprio paese, alle imprese estere della GDO. Quindi posso impostare i rapporti con la catena distributiva facendo leva sulla competitività di prezzo; proponendosi come fornitori di marche del distributore, offrendo prodotti specializzati (talvolta ‘’tipici’’) di qualità alta o medio-alta. Per relazionarsi con loro sono necessarie, comunque, capacità di collaborazione proattiva, solidità finanziaria e gestionale, e propensione all’innovazione (tecnologica, logistica e comunicativa). La distribuzione ha il coltello dalla parte del manico, possono disdire da un momento all’altro. -quando si utilizza il commercio elettronico. Le imprese possono negoziare direttamente con i clienti esteri quando: -operano in segmenti di mercato a forte componente di specializzazione o di nicchia, magari ho un prodotto molto particolare che gli agenti non conoscono. -il numero dei potenziali clienti è relativamente contenuto, -siano in grado di rispondere velocemente ad efficientemente alle richieste della clientela (anche in post-vendita), siamo molto efficienti. LA COSTITUZIONE DI UNA FORZA DI VENDITA LOCALE: il personale di vendita, dipendente o autonomo (ad es. l’agente monomandatario) ha il compito di per prima cosa prendere contatto con i clienti allo scopo di raccogliere ordini, i contatti possono essere presi senza alcuna base permanente all’estero oppure con un ufficio di rappresentanza, verificare che i prodotti corrispondano alla domanda e poi è utile come antenna sul mercato perché mi puo individuare le nuove esigenze del mercato e assicurare l’assistenza necessaria. la costituzione di un’unità commerciale/filiale/branch rappresenta ovviamente la volontà dell’impresa di investire e di mantenere una presenza stabile nel paese e questo è molto importante nei paesi che attribuiscono grande rilevanza ai rapporti personali (es. la cina); è una garanzia. È una soluzione quasi obbligata (se le norme locali lo permettono) quando: - i prodotti sono di qualità - sono di marca affermata - la domanda è alta - c’è tanta concorrenza in quel caso la presenza locale è una garanzia per tutto e tutti. A volte sono proprio i clienti stessi che richiedono all’impresa questa modalità di presenza (ad esempio grande distribuzione statunitense). Questa unità può assumere forme diverse: 1) Può essere un'unità organizzativa semplice, ci può essere una filiale o una branch, che è una sede secondaria priva di personalità giuridica Ci sono ovviamente anche degli svantaggi: ovvero l’esposizione a possibili comportamenti opportunistici della controparte, non ho un controllo della qualità della produzione estera e devo richiedere un’autorizzazione preventiva allo stato e fisco del paese e quello italiano; inoltre non posso vendere i prodotti nel paese estero dove io ho la produzione. l'insediamento produttivo all'estero  insieme alla produzione vado a ubicare anche le altre attività della catena del valore. Questa cosa adesso è diventata una cosa fattibile anche per le medie imprese, sono parecchie le medie imprese italiane, ad esempio, che hanno insediamenti produttivi all'estero. Siccome abbiamo un controllo importante lo rende un investimento diretto all'estero. se questa cosa la faccio da sola è mia e basta, se lo faccio con altre imprese è una JOINT VENTURE. Le principali motivazioni per cui io vado a fare una cosa del genere sono: - cogliere delle opportunità che offre lo Stato straniero tramite operatori pubblici, - ho il miglior presidio del paese, oppure posso anche scegliere un ingresso ex novo, - ma soprattutto posso ottenere dei vantaggi di costo ma comporterà sempre il sostenimento di un investimento iniziale importante (dovrò avere dei magazzini, dovrò avere l'assistenza post-vendita, dovrò avere le infrastrutture, la logistica, gli uffici e via dicendo). Quindi se vado a mettere un'unità produttiva all'estero so in partenza che ho dei costi di una certa importanza da sostenere. ATTRAZIONE DI INVESTIMENTI ESTERI marketing di primo livello = Uno Stato che vuole attirare nel suo territorio degli investitori esteri che cosa fa? - Gli dà magari dei finanziamenti agevolati, - garantisce un'imposizione fiscale e/o doganale ridotta. - propone dei modelli societari semplificati (puoi avere uno snellimento della burocrazia). - ti do delle aree economiche speciali o zone franche (zona temporaneamente esentasse, free zone ), perché tu puoi tenere lì la merce pagando le tasse esclusivamente quando l'hai venduta. - Oppure ti do aree logistiche e industriali attrezzate - Da dei minori costi di terreni o fabbricati - Può darti degli incentivi all'assunzione se tu assumi il personale locale serbo tutti i tuoi costi relativi ai contributi tu non li paghi. ATTRAZIONE DI INVESTIMENTI ESTERI marketing di secondo livello = questo si vede soprattutto nel settore ad alta tecnologia, robotica, informatica, farmaceutica, biotecnologie; questi sono i settori che vengono in genere attratti con un marketing di secondo livello da parte degli Stati o delle loro emanazioni). Voglio sviluppare uno specifico settore merceologico, allora cerco di invogliare le aziende di questo segmento a venire qua. E come ti invoglio? - Ti do la disponibilità di personale altamente qualificato, in questa zona trovi facilmente ingegneri e tecnici formati dalle mie università o da aziende locali. - Ti posso dare degli incentivi per la ricerca applicata, tu metti qua dei tuoi laboratori di ricerca, ti do degli incentivi, ti do dei soldi, ti detasso. - Ti detasso gli utili, dovresti pagarci 20% di tasse, te lo tolgo. Io come Stato ne ho un vantaggio evidente: la mia popolazione vive meglio, guadagna meglio e sale di livello, cresce di cultura, mi faccio una cultura anch'io e un domani potrò mettere anch’io delle aziende di questo tipo indiane, serbe eccetera. - Ti posso garantire la presenza di laboratori universitari avanzati, io ho l'università lì a fianco, sono specializzati, hanno dei laboratori della miseria proprio nella tua tipologia di prodotto, se vieni qua hai dei vantaggi. Prendiamo il caso dell’Austria, che ha deciso di sviluppare specifici settori innovativi come energia, medicina, componentistica (cioè pezzi di macchinari), agroalimentare. L'Austria è un paese con infrastrutture e logistica eccellenti. Loro hanno il vanto di avere praticamente assenza di scioperi nel paese. Ti restituisco cash il 12% degli investimenti che tu fai a titolo di ricerca e sviluppo: investi 10 milioni di euro, io ti ridò indietro subito il 12% dalle casse del mio Stato, quindi non ti costa 100, ti costa 88. In Austria ci sono più di 1000 aziende italiane operative, proprio per questi motivi. IL PAESE IDEALE > COSIDDETTO BUSINESS FRIENDLY > cioè quello che attira i capitali dall'estero ha un sistema politico e giuridico stabile, che ha delle regole di diritto certe, Ti offre una burocrazia snella, Ti offre infrastrutture servizi e logistica sviluppati, ma può anche offrirti una garanzia di mancanza di ostacoli alla ricerca, cioè ci sono alcuni settori che in certi paesi è meglio non toccarli: noi rientriamo in uno di quei paesi dove certi settori non si possono toccare. L'investimento produttivo finalizzato alla presenza diretta nel paese estero, ad esempio FERRERO, BARILLA, AUTOMOTIVE (il settore automobilistico) come FIAT, Toyota…, PROEL (azienda strumenti musicali). Un investimento produttivo può essere finalizzato ad avere dei vantaggi di costo: vado ad approvvigionarmi di materie prime che magari da me costano molto care, mentre lì no. Oppure posso avere un altro tipo di logica relativa alla logistica di componenti e prodotti finiti in loco e ovviamente il costo del lavoro = è il caso della Mapei (marchio italiano, che produce adesivi per le piastrelle che vanno al kg, e quindi, il trasporto ha un'incidenza pesantissima. Quindi la Mapei ha messo tanti stabilimenti produttivi in giro per il mondo per consegnare subito le sue colle lì); E poi l'altro investimento è il costo del lavoro, ma qui si apre un parallelo: attenzione alle condizioni di lavoro, attenzione al lavoro minorile, attenzione alle norme di sicurezza, attenzione agli ostacoli alla libertà sindacale. “il crollo del Rana Plaza è stato un cedimento strutturale avvenuto il 24 aprile del 2013, un edificio commerciale di otto piani crollò a Savar, che è un sotto distretto di Dacca, capitale del Bangladesh. Le operazioni di soccorso e di ricerca si sono concluse con 1134 morti e 2515 feriti estratti dal palazzo, il più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nella storia, così come il più letale cedimento strutturale accidentale nella storia umana moderna. L'edificio conteneva alcune fabbriche di abbigliamento, una banca, appartamenti, numerosi negozi. Nel momento in cui hanno notato delle crepe hanno chiuso i negozi e la banca, mentre l'avviso di evitare di utilizzare l'edificio è stato ignorato dai proprietari delle fabbriche. Ai lavoratori fu infatti ordinato di tornare il giorno successivo, giorno in cui l'edificio ha ceduto collassando durante le ore di punta della mattina. Le fabbriche realizzavano abbigliamento per marchi come: Auchan, Benetton, Carrefour, El Corte Inglés, H&M, Inditex (Zara, Bershka, Pull and Bear, Oysho, Stradivarius), Mango, Primark, Walmart”. l'80% delle fabbriche in paesi a basso costo di manodopera sono esattamente come questo. Il costo della manodopera in Europa: - in norvegia = 51 / in Danimarca = 42,5 dollari/ germania = 34/ francia= 36/ italia = 28/ malta = 13 / bulgaria = 4,9 / polonia = 10 Il costo della manodopera in Asia: - Cina = 8 dollari all’ora/ Vietnam = 2 dollari all’ora. Ci sono dei costi occulti che possono annullare i vantaggi di costo, ad esempio, la bassa produttività locale della manodopera, costi di non qualità, ci possono essere problemi di assenteismo, scarsa capacità di apprendimento, analfabetismo, diversità di cultura oppure puoi avere forti aumenti salariali come in Cina: in Cina la filosofia locale è mi paghi di più, vado via. Puoi avere mancanza di lavoratori esperti, così come puoi non trovare il subfornitore, puoi avere le critiche dei consumatori, la reputation: vai a fare i palloni facendoli fare ai bambini. Puoi avere un'incertezza valutaria, ad esempio in Turchia tu vuoi fare un investimento in un paese che ha una moneta che è assolutamente instabile. Tutti questi motivi hanno spinto e spingono oggi a un PARZIALE RESHORING, cioè a riportare le produzioni che una volta, erano all'estero. Differenza tra l'euro e la lira turca oggi per €1 ti danno 20 lire turche, tradotto: la lira turca vale un tubo. Questo gli facilita a loro le esportazioni, ma è un problema se tu hai il tuo impianto produttivo o la tua filiale lì. Stessa cosa, in Argentina: avevamo una parità di cambio nel 1999, quindi 1 valeva 1, oggi ci vogliono 200 pesos argentini per fare €1. Quando mi internazionalizzo devo tenere conto anche dei servizi, perché anche le attività della catena del valore inerenti ai servizi vengono internazionalizzate, siccome molte sono svincolate dalla presenza fisica e si possono fare tramite internet (ad esempio le società di assicurazioni, call center, attività dove io non ho il manifatturiero). Il call center è qualcuno che risponde al telefono, e chi meglio degli indiani che parlano bene l'inglese e hanno un costo del lavoro bassissimo. Quando si va all'estero con un'unità operativa ci sono diverse modalità: posso farla da zero, la creo ex novo – green field (quindi faccio tutto nuovo di sana pianta, stabilimento, impianti, logistico, ufficio, eccetera) oppure mi compro un'azienda o una quota di controllo di un'azienda che già esiste. In entrambi i casi creo una filiale, senza personalità giuridica, o una consociata, con personalità giuridica. - Cosa devo considerare per fare questo? Sostanzialmente sono tutte quelle forme di collaborazione in cui 2 o + imprese cercano aggregazione temporanea di risorse, se ci metto dei soldi sono degli accordi patrimoniali, mentre se ci metto delle conoscenze (know- how o tecnologia) e competenze invece è un accordo contrattuale. DO UT DES. Se c’è un accordo patrimoniale, nel momento in cui io ho la maggioranza del patrimonio ho un controllo ‘’totale’’, comando io, gli altri possono sempre dissentire ma comunque il controllo ce l’ho io. Mentre se è un accordo contrattuale non particolarmente, solo nel caso in cui ci mette magari una tecnologia originale e unica o un prodotto particolare, di cui io ci metto il know-how, in quel caso ho più interesse e quindi più controllo. Le motivazioni degli accordi internazionali sono - ottenere ovviamente dei vantaggi di costo. - l’attingere a specifiche risorse o competenze. - ridurre il rischio e ridurre l'investimento rispetto a una cosa fatta interamente da me solo: se sono solo io sì, se mi va bene è vero mi porto a casa tutto io, ma se mi va male mi piglio una botta da cui magari non mi riprendo facilmente o posso fare degli errori madornali, mi conviene magari confrontarmi con altri che sono già sul mercato e magari hanno l'interesse proprio a trovare delle forme di accordo con me, perché abbiamo una parte (tutti gli interessi comuni e praticamente impossibile) di interesse in comune. Come per qualsiasi investimento, come per qualsiasi modalità di sviluppo di un'azienda, bisogna fare delle valutazioni di convenienza. Rispetto alla costituzione di una sussidiaria estera completamente controllata (quindi tutta mia), gli accordi con i partner stranieri comportano innanzitutto un ingresso nel paese estero in tempi più brevi. (logico: se io da solo vado in Cina, partendo da zero per quanto io mi rivolga a società di consulenza, avvocati eccetera, è lunga). C'è anche un minore impegno economico e la possibilità di ritirarmi più facilmente da un paese. MOLTO IMPORTANTE è il fattore T (tempo): Il tempo è quello che può determinare o meno il successo di iniziative di questo genere. Dove il fattore tempo diventa assolutamente critico? Ad esempio, in settori ad alta intensità di ricerca, quanto è stato importante il fattore tempo per le aziende che hanno prodotto i vaccini per il covid? oppure può essere per prodotti che hanno un ciclo di vita breve (Ogni prodotto ha un grafico che indica il suo ciclo di vita e poi di obsolescenza); ci sono magari risorse e competenze che non sono facilmente acquisibili sul mercato (ad esempio io ho bisogno di un'assistenza post vendita super qualificata oppure ho bisogno di ingegneri o di biotecnologi…Li trovo in certe aree del mondo dove sfornano università con queste caratteristiche. Il fatto che io riesca ad accaparrarmi queste competenze velocemente e a metterli in sintonia velocemente con la mia azienda mi dà un fattore di successo sul mercato). Poi un'altra importanza relativa al fattore tempo sono gli sforzi di marketing (devo adattare il mio marketing in base al paese). Quindi un accordo è un’efficace modalità che ha dei tempi tutto sommato rapidi. C’è anche la necessità di essere presenti in più paesi: se io ho questo prodotto e so che lo posso vendere in più paesi mica vado a fare una fabbrica In tutti i paesi, diventa una roba impossibile, mi conviene di più trovare delle forme di accordi di collaborazione internazionale, in questo modo ho anche minori rischi di rigetto. L'accordo internazionale può essere (anzi è spesso) una bella soluzione per aggirare quei problemi che vengono creati ad hoc da governi, da paesi, che ostacolano le acquisizioni straniere. E poi, come dicevamo prima, è possibile la ritirata senza la sconfitta. Si fanno anche ALTRE valutazioni di convenienza rispetto all’acquisizione di imprese locali, in questo caso gli accordi richiedono un impegno economico modesto e permettono di entrare in più paesi contemporaneamente, risultano meno onerosi, c’è un minor rischio di rigetto (che il management dell'impresa acquisita abbandoni l'azienda), e possono costituire una soluzione di ripiego rispetto a una crescita esterna (ho difficoltà a crescere esternamente con i miei mezzi). PRINCIPALI FORME DI ACCORDO: a) ACCORDI DI MARKETING che consentono di accedere alle risorse e alle competenze di marketing necessarie per entrare e operare in un mercato specifico estero, ad esempio conoscere le esigenze della domanda locale, accedere a relazioni con la distribuzione locale o la reputazione di una marca (se io ho un brand molto forte, questo mi può permettere di entrare più facilmente in certi mercati e magari ad avere dei ritorni), b) ACCORDI DI CARATTERE TECNICO-PRODUTTIVO che consentono di entrare nel paese estero delegando la produzione a un’azienda locale, eventualmente mantenendo io il controllo delle attività di marketing, distribuzione e di servizio al cliente. Posso anche splittarli, cioè trovare una soluzione multipla (uno è bravo a fare attività di marketing, mentre un altro è bravo a produrre…) Quando si fa un'alleanza si può fare con un importatore/ concessionario (agisce per conto proprio, acquista e rivende in un mercato di propria competenza; mentre l’importatore è un distributore), ho la solita bilancia dei vantaggi e degli svantaggi. Vantaggi: assorbimento limitato di risorse finanziarie e manageriali (sostanzialmente mi costa un po' meno). Consente di muovere i primi passi in mercati con barriere all’entrata. A differenza dell’agente dispone in genere di un magazzino e di una forza di vendita, con cui fa fronte all’assistenza post-vendita, si addossa il rischio di insolvenza del cliente finale. Svantaggi: il contatto indiretto col mercato (il portafoglio clienti è in mano al concessionario) , La criticità del controllo del concessionario che potrebbe compromettere la mia immagine o la reputazione dell'impresa (esempio magari il concessionario ha le mazzette) , l'esposizione economica nei confronti del rivenditore può raggiungere livelli elevati (se il concessionario non vende o magari ha venduto meno di quanto sperava di vendere). Un esempio dove avere un rapporto di questo tipo è il mondo della nautica da diporto dove c’è il dealer (in questo caso distributore è improprio perché fa qualcosa di più). Innanzitutto c’è del personale qualificato, vendiamo un prodotto complesso, è anche in grado di darmi un'assistenza pre e post vendita (mi rivolgo a lui perché mi fa tutto lui). Ma non solo, il dealer può fare anche da antenna per capire quali sono i gusti sul mercato, quali sono le necessità… Una tipologia di accordo internazionale (e non solo): è il FRANCHISING (INTERNAZIONALE) che cos’è? Un impresa (il franchisor) intenzionata ad entrare in un paese concede a un operatore locale (il franchisee) l'utilizzo di una propria formula organizzativa e commerciale, quindi di un pacchetto, compreso il diritto di avvalersi del suo know-how e dei suoi segni distintivi (il marchio, l'insegna), ma anche la possibilità di beneficiare di altre prestazioni e forme di assistenza volte a consentire che la gestione del franchisee, avvenga in modo coerente con l’immagine e gli obiettivi strategici del franchisor. - Esempi di franchising > Calzedonia, intimissimi, tezenis, benetton, intimissimi, la piadineria, tecnocasa…. Quindi io marchio scelgo di distribuire attraverso punti vendita in franchising. Calzedonia, ad esempio, è un marchio in franchising: i negozi non sono di proprietà di Calzedonia, i negozi sono di proprietà di Laura, di Federico, di Andrea che fanno un accordo di franchising con Calzedonia, il quale gli fornisce i prodotti, e tutto il pacchetto (quindi gli dice “tu puoi usare la mia insegna che va messa in questo modo”), nell'accordo di franchising paghi per tutto questo; Quindi, ti do tutto il pacchetto per facilitarti. Il franchisee deve pagare un corrispettivo, generalmente c'è sempre una fee di ingresso, che può essere anche consistente, e poi periodicamente mi paghi delle royalties e cioè un quid/una percentuale sul fatturato che tu vai a sviluppare (ogni mese mi dai 10.000 euro più una percentuale del 10% su tutto quello che hai venduto) e ti impegni a sostenere tutti gli investimenti necessari per la corretta commercializzazione dei beni e dei servizi, cioè i mobili non ti compri i mobili che dici tu, compri i mobili che dico io Calzedonia perché i negozi Calzedonia devono essere più o meno simili uguali in tutto il mondo perché è la mia immagine, non la tua. Quindi io ti faccio gestire una cosa che è in parte tua e in parte mia, è un accordo. È un po’ più complicato quando si tratta di italia/estero, proprio per quanto riguarda burocrazia e altre cose amministrative. Quali sono i vantaggi? - Il franchisor ha dei costi fissi inferiori rispetto ai punti vendita di proprietà: se il punto vendita è mio devo pagare tutto, dal personale all'energia elettrica, alle concessioni a tutto. Se invece è in franchising io mi occupo del pacchettino ma poi del resto si occupa il franchisee. Una variante è L'ACCORDO DI LICENSING, L'ACCORDO DI LICENZA, cos’è? Avviene quando l’impresa estera (licenziante) concede a un'impresa (licenziataria) del pauese cui tende fare ingresso: il diritto di usare una certa tecnologia o un processo produttivo brevettato per realizzare un certo prodotto. (do la licenza dei prodotti trudy ad un produttore cinese perché un azienda italiana di pupazzi non sarebbe ben accetta in cina, ha molte più probabilità il produttore cinese con il suo brand). Oppure il diritto di commerciarlo con il marchio del licenziante, in cambio del pagamento di un compenso. Questo compenso può essere IMMEDIATO oppure DILAZIONATO. Immediato > posso trasferire una quota della società al licenziante, Oppure riservare al licenziante la possibilità per un certo numero di anni di acquistare a un prezzo ridotto la quota, Oppure più semplicemente dargli dei soldi. Dilazionato > al licenziante vengono riconosciute delle royalties cioè o una percentuale sul prezzo di vendita oppure un compenso fisso sul numero di pezzi venduti. I vantaggi: -elimino gli oneri doganali, e non ci sono più i costi di trasporto -si può eliminare il rischio paese connesso ad un investimento diretto, -Posso limitare i costi di adattamento del prodotto alle specifiche realtà nazionali, -Riduci il coinvolgimento dell'impresa, quindi hai meno spesa, hai meno costi tu -contieni il rischio della concorrenza. I rischi: -Posso perdere delle opportunità: se è lui a produrre tu lo sai se lui gestisce al meglio il tutto? Governa lui lì. -ho un controllo limitato sulle sue attività, sul marketing che fa: devo mandare degli ispettori, va a divulgare i segreti e i brevetti che io gli ho dato. -Potrei mettere in piedi un futuro concorrente, lui impara a fare bene un prodotto grazie a me ma scaduta la licenza mi dice “muchas gracias però adesso noi continuiamo con il nostro marchio, è stato un piacere, arrivederci’’. GLI ACCORDI DI JOINT VENTURE si dividono sostanzialmente in due: 1) CONTRATTUALE è un accordo con cui due o + imprese si collegano per il compimento di un singolo affare, quindi ad esempio la partecipazione a una gara d'appalto internazionale: ognuno ha la sua azienda e resta la propria individualità, mettono in comune le rispettive conoscenze tecniche e capacità operative. Assumono obblighi e responsabilità ripartiti pro quota (A ha il 30%, B il 20%, etc.. e ognuno si assume responsabilità per quella percentuale), suddividendo in tal modo il rischio affare. In alcuni caso può essere necessaria per partecipare a gare d’appalto internazionali (si chiamano tender), e avrà un comitato di gestione e una società capofila; può avere carattere occasionale (anche per un singolo affare) infatti tendenzialmente ha durata limitata. 2) SOCIETARIA è la costruzione di un nuovo soggetto giuridico (newco), partecipata dai partner e destinata all’esercizio di un’attività produttiva di beni o servizi e tendenzialmente illimitata nel tempo. L’iniziativa è sotto il controllo congiunto delle case-madri (parent companies), le quali non si trovano in condizioni di controllo reciproco. E ogni venturer offre un contributo sostanziale all’attività in comune. L’iniziativa esiste come entità separata dalle aziende partner. La sua forma giuridica è scelta fra quelle possibili nel paese in cui essa deve operare e dotate di norma di responsabilità limitata. La nuova Simonelli che produce macchine da caffè ha fatto un balzo micidiale di fatturato con gli Stati Uniti perché si è appoggiata a questa società di distribuzione e ha toccato canali che mai si sarebbe sognata di andare a toccare, mai ci sarebbe riuscita per conto suo e alla fine dei conti hanno fatto proprio l joint venture insieme. L’ INDIVIDUAZIONE DEL PARTNER LOCALE Quando cerchi un partner locale, devi considerare tanti aspetti, fare un’analisi. Qual è l’orientamento strategico complessivo? (la strategia della mia società?) la capacità di interagire con il mercato locale, Ha le competenze tecniche organizzative? Ha i soldi o è uno che tra due abbandona? Diventa critico effettuare una valutazione approfondita di un'impresa locale. E questo può essere molto difficile perché mica tutti i paesi vi danno poi facilmente le informazioni necessarie. Ci sono delle condotte borderline o scorrette = • Le importazioni parallele, che cosa sono? Molti prodotti dei grandi marchi li trovi poi su mercati paralleli privati, molti grandi marchi della moda fanno realizzare un tot di prodotti nei loro laboratori a un certo costo e permettono che questi laboratori facciano uscire una quota piccola di borse o di scarpe quasi identiche all'originale, con gli stessi materiali, sono gli stessi che fanno esattamente per il marchio più importante, ma non è proprio lo stesso, e se li rivendono per conto loro > in questo caso sono volontarie importazioni parallele • mi difendo con > I patti di non concorrenza, • l’appropriazione delle conoscenze, e la nascita di nuovi concorrenti, i produttori di pizzi italiani hanno insegnato a farli in Asia e adesso gli asiatici gli hanno portato via il mercato. Stessa cosa per gli stampatori di Como. ❖ storia Danone-Wahaha: La Danone è riuscita a farsi fregare in larga misura da un personaggio che è diventato in poco tempo uno dei 15 uomini più ricchi della Cina, ma in questo caso è una fregatura fatta bene. SVILUPPO E ATTUAZIONE DEL PIANO DI MARKETING – LE POLITICHE DI MARKETING INTERNAZIONALE, il posizionamento. LO SVILUPPO DELLE POLITICHE DI MARKETING: dobbiamo procedere a una serie di step. il primo è fondamentale, è la segmentazione della domanda del mercato e di conseguenza dell'offerta che viene fatta. Una volta effettuata la segmentazione, bisogna valutare e scegliere il proprio segmento o i segmenti, e definire qual è il posizionamento della nostra offerta in relazione al segmento o ai segmenti che abbiamo prescelto. Dopodiché andiamo a progettare e attuare il nostro piano e le nostre politiche di marketing. L'azienda quindi deve andare a posizionarsi, che cosa deve fare? Per arrivare al posizionamento dell’offerta ci sono due stadi > La definizione del posizionamento deve essere ispirata all’obiettivo di avvicinare la percezione del bene/servizio offerto dall’impresa a quello giudicato ‘’ideale’’ dal segmento target, in questo processo si individuano due momenti: -analitico: in cui si fa la ricerca, analizzare percezioni e preferenze dei consumatori, qual è lo spazio che viene occupato da un prodotto o una marca nel sistema di percezione dei consumatori; che percezione i clienti hanno del mio prodotto, è un prodotto percepito di fascia alta? Che caratteristiche ha? Quali devo modificare o sottolineare nel mio processo di marketing? e questo ci porta alle decisioni strategiche. -strategico: in cui si prendono le decisioni, quindi decidere la posizione da attribuire al prodotto aziendale. Il posizionamento può essere differenziato (lo adatto a seconda del paese, dell’area, del segmento di mercato in cui mi vado a muovere) o standardizzato (standard per tutto il mondo tipo Apple). Globalmente c’è tutta una serie di forze che rende il tutto abbastanza complesso. Le differenze tra popolazioni e culture esistono ma si stanno sociali che rilevano, le quali si riconducono all’ambiente sociale a cui appartiene l’uomo. Se io faccio parte di una comunità religiosa negli stati uniti sarò chiaramente influenzato dalla comunità. “è l'individuo che sente, pensa e agisce, ma la maniera in cui sente, pensa e agisce è influenzata dal gruppo a cui appartiene”. IL RUOLO DELLA CULTURA: La cultura è un sistema di valori e di norme condivisi da gruppi di persone, e che forniscono un modello di vita. Non è biologicamente trasmessa ma la apprendiamo, dal nostro vivere quotidiano, crescendo impariamo quali sono i comportamenti, valori e stili di vita da adottare o che scegliamo di non adottare. Lo possiamo considerare un ‘’software mentale’’ che distingue i membri di un gruppo umano dagli altri, e non è facile capire quanto sia presente questo software nella vita di ogni giorno e quanto pesa. La cultura ha delle variabili: -I valori riguardano le convinzioni riguardo a ciò che un gruppo ritiene sia giusto e desiderabile. Si riflettono nei sistemi politici ed economici di una società. -i valori forniscono il contesto nel quale dopo vengono messe in piedi le norme, regole sociali che vanno a governare le persone; le norme possono anche essere gli usi ( rituali, simboli, anche delle superstizioni) e costumi (spesso sanciti in forma di legge). LE DETERMINANTI DELLA CULTURA, i valori e le norme che compongono una cultura sono il PORTATO EVOLUTIVO di diversi fattori, tra cui: -filosofie politiche ed economiche prevalenti, -religioni dominanti, -strutture sociali, -il linguaggio e l'istruzione. GERARD HENDRIK HOFSTEDE: antropologo e psicologo olandese, influente ricercatore nell'ambito degli studi delle organizzazioni culturali; economia culturale, management e marketing, partendo dal psicosociale. Hofstede ha creato i cosiddetti “indicatori” della cultura; lui usa cinque categorie: 1) L'individualismo, inteso come grado in cui le persone che appartengono a una certa cultura preferiscono agire come singoli piuttosto che membri di un gruppo. 2) La distanza gerarchica, quindi il grado in cui una data collettività accetta e approva l'autorità, le distanze di potere e i privilegi di status… (le accetto o non le accetto? in che misura? subisco o non subisco? sono propenso meglio a subire o a non subire?) 3) l’avversione all'incertezza, il modo in cui le persone si pongono di fronte alla circostanza per cui il futuro è sconosciuto… preferisco tendenzialmente sapere cosa ho di fronte o non mi interessa? 4) Il grado di mascolinità, il modo in cui le differenti culture affrontano la differenza tra i sessi: quanto spazio viene dato o meno all'universo femminile e/o ha una cultura più o meno maschilista? 5)l'orientamento a lungo termine, la tendenza degli individui ad agire in ottica di lungo periodo, sacrificando il vantaggio immediato in vista di possibili benefici futuri (è un popolo di piccoli risparmiatori?) l'Italia vista dalle statistiche: l'individualismo -> risultiamo un paese marcatamente individualista; come mascolinità -> c'è un 70 quindi siamo nella parte altina; l’avversione all'incertezza -> siamo un popolo di piccoli risparmiatori; un orientamento a lungo termine -> confronto tra Brasile, Cina e Italia: Allora, qui vedete che mentre noi dei nostri governi al 50% ce ne sbattiamo, in Cina non è così, e stesso discorso in Brasile. Per quanto riguarda l'individualismo, vedete gli italiani come diavolo sono e vedete invece il senso di comunità che c'è diffuso in Cina, ma che è anche diffuso in Brasile. Il Brasile, che è un paese con etnie diverse, ha un fortissimo senso della comunità. SEGMENTAZIONE DELLA DOMANDA: È la suddivisione del mercato in gruppi di consumatori con caratteristiche e profili più o meno omogenei. Si divide in macro segmentazione, ovvero l'individuazione di similarità transnazionali tra diversi paesi, e la micro segmentazione, l’individuazione di similarità transnazionali tra singoli segmenti che compongono i mercati nazionali. MACROSEGMENTAZIONE individua gruppi di paesi che ai fini del marketing evidenziano una domanda piuttosto omogenea. Considera tre variabili principali: variabili geografiche, sono importantissime perché comportano spese che possono diventare molto rilevanti, i costi con la distanza. variabili economiche, sono principalmente la capacità di spesa che può avere il consumatore o il cliente, se parliamo di business to business. variabili culturali, è tutta quella pletora di cose di cui abbiamo parlato prima. Si individuano così delle “ZONE DI AFFINITÀ CULTURALE” NELL’EUROPA ORIENTALE = ci definiscono delle macroaree in cui più o meno tutti i prodotti vengono concepiti nello stesso modo, perché hanno similarità culturali simili. MICROSEGMENTAZIONE: cosa vado a vedere? -Segmentazione demografica: • per età (mi rivolgo a dei giovani o mi rivolgo a una fascia di età 40-50enni?); • di genere (mi rivolgo agli uomini o alle donne o ambedue?); • stato civile (mi rivolgo alle famiglie o mi rivolgo a un pubblico lgbtq+?); • istruzione (mi rivolgo a un mercato di laureati quindi di livello di istruzione estremamente alto?); • reddito (mi rivolgo a chi ha un reddito annuo di 20 mila euro lordi o a una fascia di reddito che ha 100 mila euro lordi all'anno?); • professione (mi rivolgo alla classe operaia o mi rivolgo agli avvocati o ai medici?)… -La segmentazione geografica: • ma mi rivolgo all'area geografica del centro-nord o mi rivolgo al mercato del sud Italia che ha le sue caratteristiche; • la lingua (all’interno dello stesso paese si possono parlare lingue diverse); • urbano/rurale (mi rivolgo a della clientela urbana o rurale). -segmentazione comportamentale: • occasioni di acquisto e di utilizzo (è un prodotto che si vende per delle occasioni, delle festività, per dei matrimoni?); • benefici ricercati (è un prodotto particolarmente sicuro, particolarmente confortevole); • competenza (lo propongo perché mi propongo io come super competente in questo settore, sono io l'esperto?); • modalità ed intensità di utilizzo (lo propongo perché viene utilizzato il modo intensivo?); • fedeltà al prodotto o alla marca (lo propongo perché c'è fedeltà rispetto alla marca?). • tipo di coinvolgimento emotivo. -segmentazione psicografica: si vanno ad identificare delle categorie di consumatori • personalità • attitudini • valori • interessi • stili di vita Hanno dato vita al MODELLO DELLE 4C (YOUNG & RUBICAM, colosso del marketing internazionale): la Young & Rubicam è nota per aver forgiato il modello delle 4C: Cross Cultural Consumer Characterization. Distingue i consumatori in sette gruppi (I rassegnati: rigidi, sciovinisti, orientati al passato, la scelta delle marche è orientata alla sicurezza, alla familiarità e al risparmio). (Rampanti: grande orientamento al risultato, al lavoro, forte autostima e consapevolezza dei propri mezzi e del proprio status, la scelta delle marche è effettuata in funzione della gratificazione personale e del prestigio, sono quelli che scelgono il meglio). (i riformisti: sensibili alla crescita culturale, fortemente consapevoli del proprio status, allergici a qualsiasi forma di condizionamento, indipendenti, tollerano la complessità ma intolleranti verso il materialismo e il cattivo gusto, curiosi nello sperimentare nuovi marchi, selezionano i marchi in funzione della loro qualità intrinseca, prediligono semplicità e bellezza). IL MARKETING ADATTIVO SU BASE NAZIONALE, il marketing si può adattare su base nazionale, quindi si può avere un prodotto identico ma con piani di marketing diversi: Quando hanno lanciato il modello Canon AE-1: In Giappone lo propongo ai giovani per sostituire la vecchia macchina perché è una popolazione molto tecnologica e quindi ti dico “ti dò l'ultimo gadget”. In Germania mi rivolgo a un pubblico di utilizzatori esigenti, è gente che sa, gente che conosce. Negli Stati Uniti, dove non è poi così diffuso, lo propongo ai clienti che acquistano questa tipologia di macchina fotografica per la prima volta. I MEDIA DIGITALI supportano la segmentazione geografica, sociodemografica, psicografica e la ricerca dei benefici. Come? Beh tanto per cominciare mi danno la geolocalizzazione, quindi io so dov'è il consumatore. Ho una profilazione sociodemografica, io posso profilare la clientela in base all'età e al sesso. Posso fare stessa quindi capire l'influenza del numero degli altri innovatori presenti nel mercato e arrivare a un tasso di adozione dell'innovazione quindi capire quanto questa innovazione può per ciascun mercato avere una possibilità di penetrazione. Le variabili di contesto ci sono nei diversi paesi con cui noi andiamo a interfacciarci: il rapporto tra innovatori/imitatori, la cultura del paese è una cultura votata all'individualismo o è votata al collettivismo? L’EFFETTO “PRISMA” : io posiziono il mio prodotto in un paese in un modo ma non è detto che il mio prodotto venga percepito esattamente allo stesso modo in un altro paese. Potrei avere un effetto trasparente (segue una riga retta): nell’altro paese viene percepito esattamente come nel mio = neutralità; MA il mio prodotto potrebbe avere un’amplificazione in un altro paese e cioè venire apprezzato ancora di più; oppure potrebbe anche avere un effetto riducente, quindi venire apprezzato meno di quanto merita. Uno dei motori fondamentali è IL “COUNTRY OF ORIGIN EFFECT” : l'effetto esercitato sui processi di scelta dei consumatori dal fatto che essi valutano gli attributi di un prodotto anche sulla base del paese a cui associano l'origine del medesimo. Può essere analizzato secondo due prospettive: • Un effetto alone: c'è un'immagine del paese che si estende a convinzione degli attributi del prodotto  avrà una conseguenza sull'atteggiamento dei consumatori o dei clienti nei confronti della marca. Può essere sia positivo che negativo. • Un effetto sintesi: che non parte dall'immagine del paese ma parte dall'esperienza del consumatore, il consumatore si è fatto la sua convinzione su ciò che è buono e ciò che è meno buono, lo ricollega a un'immagine del paese e di conseguenza ha un atteggiamento verso la marca. Questo è un modello dinamico, possono esserci entrambi gli effetti: 1) l'immagine di un paese iniziale e il suo effetto alone, 2) quindi ci si forma delle convinzioni sugli attributi, 3) quindi un atteggiamento verso la marca e 4) quindi una decisione di acquisto. 1) Acquisto il prodotto, faccio 2) l'esperienza con il prodotto, 3) ho più familiarità con gli attributi del prodotto stesso e 4) modifico più o meno l'immagine di questo paese, 5) ne ho di conseguenza una convinzione verso gli attributi, 6) ho un atteggiamento verso le marche e 7) decisione di ulteriore acquisto o meno di prodotti analoghi. LA COUNTRY IMAGE è la percezione di un paese influenzata da componenti congitive, affettive (amo il mio paese), ma anche da normative. Ma anche dagli stereotipi. L’immagine di un paese non è statica ma può variare nel tempo. L’effetto dell’immagine del paese di origine può essere moderato da alcune variabili tra cui: -il livello di coinvolgimento psicologico nei confronti del prodotto, -il grado di etnocentrismo del consumatore (sono un nazionalista) -il grado di animosità, io non voglio comprare i prodotti di un paese perché voglio andargli contro. È importante comprendere l’interazione fra paese d’origine e marca. GESTIONE DEL “COUNTRY OF ORIGIN EFFECT” Bisogna rilevare l'immagine del paese d'origine del prodotto nello specifico mercato estero, devo valutare la consonanza (fit) fra l’immagine del paese e gli attributi del prodotto e POI individuare le più opportune linee di condotta. Su cosa gioco? -innovazione? (superiorità e avangardia tecnologica) -design? (stile, varietà, eleganza) -prestigio? (esclusività, status, reputazione delle marche) -workmanship? (affidabilità, durata, qualità) LA VALUTAZIONE DELL’IMMAGINE DI ALCUNI PAESI L’Italia è valutata bene per il design, Quando si pensa all'Italia, le associazioni che vengono in mente alle persone sono arte, storia, cultura, design, moda, cibo e vino, pasta e pizza, eleganza, stile, qualità. la Francia invece per il prestigio. In Francia, è il lusso, anche qui eleganza, qualità, cultura, cibo e vino, e qui diventa subito formaggi, la baguette, lo champagne ovviamente. la Germania per la workmanship; in Germania, ecco le associazioni più comuni le automobili, la birra, l'industria, la tecnologia, l'ingegneria, disciplina, organizzazione, forza, solidità. il Giappone per l’innovatività. Le associazioni principali sono innovazione, nuove tecnologie, precisione, qualità, e sushi. La valorizzazione dell’immagine dell’ITALIA: gli interventi in grado di favorire il verificarsi di un country of origin effect positivo non sono circoscrivibili solo all’ambito delle attività economiche: noi ci possiamo avvalere di una comunicazione trasversale. Infatti c’è il cosiddetto ‘’italian way of living’’ molti stranieri sono attratti dal nostro paese della dolcevita. Questo apre aspetti interessanti nel marketing, ad esempio i luoghi (si vendono delle location, editoria, turismo, alberghi, nautica. LA RILEVANZA DELL’EFFETTO “MADE IN”: su un asse gli attributi del prodotto, se le sue caratteristiche importanti (in alto) o non importanti (in basso), sull’altro l'immagine del paese di origine positiva e negativa. Se ho degli attributi del prodotto importanti e l'immagine del paese è positiva l’effetto paese è positivo. Se ho un'immagine positiva del mio paese ma non il prodotto, mi ritrovo nell'effetto paese mancato. E poi ovviamente effetto paese negativo e indifferente o neutro. I MERCATI “EDUCATI” E “INEDUCATI” Nei mercati educati, l’immagine del paese di origine di un prodotto è un dato in larga parte acquisito. Nei mercati emergenti, la percezione di immagine del paese di origine del prodotto non è un dato di partenza, deve essere costruita attraverso un processo di apprendimento. Quindi il processo percettivo dei consumatori dei mercati ‘’ineducati’’ funziona sostanzialmente a ‘’imbuto’’. Si costruisce sull’esperienza d’acquisto recente, per cui è il primo entrante a costruire l’immagine paese. Per molte piccole e medie imprese è necessario adottare la strategia del SECOND MOVER: quindi capire che c’è stato qualcuno che ti ha fatto pubblicità in negativo, in quanto italiano, quindi non fai leva sull’effetto paese, ma su altro. Chiaramente le marche quelle più forti sono più privilegiate in questo tipo di paesi. Ci sono anche degli elementi di distorsione in questo: ‘’country sound brand’’ = invece di mozzarella, zottarella…non è veramente italiana MA sembra italiana; i clienti pensano sia italiana e loro la compreranno. LA POLITICA DI PRODOTTO: STANDARDIZZAZIONE O ADATTAMENTO? Devo standardizzare il prodotto, quindi vendere sostanzialmente sempre lo stesso prodotto, o devo adattarlo, prodotto modificato per renderlo più gradevole nel paese di arrivo? In base alla mia scelta ho due logiche diverse da seguire: logica di produzione (standard) o logica di marketing (adatto)? • Che vantaggi ha la standardizzazione? mantiene immutati gli attributi del prodotto nei vari paesi in cui è offerto, tranne per attributi secondari che devono essere adattati perforza. - Ho un effetto scala, - Ho un effetto di apprendimento, imparo a fare il prodotto sempre meglio, faccio solo quello. - Ho un maggior potere contrattuale, perché nei confronti dei fornitori gli dico “che prezzo mi fai per 10 mila pezzi?” “che prezzo mi fai per 100 mila” “mi fai per un milione” e beh è chiaro che non mi fai lo stesso prezzo - Ho un’eliminazione degli oneri di adattamento, e se non devi più adattare il prodotto vabbè è sempre quello e non hai più i costi relativi all'adattamento. - Maggiore competitività del prezzo e margini più elevati. PRODOTTO STANDARDIZZATO, MA ADATTO! Il prodotto standardizzato può essere adattato percettivamente al mercato locale, posizionandolo in modo differenziato a seconda dei paesi oppure tramite l'adattamento delle politiche di comunicazione distributive e di prezzo. Poi ci sono degli adattamenti che fanno in base poi alle culture del paese. MC DONALDS. LE VIE DELLA STANDARDIZZAZIONE: ci sono dei prodotti che nascono standardizzati e alcuni che nascono addirittura global, già concepiti così per andare in tutto il mondo. Il TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DI UN PRODOTTO NAZIONALE: - prodotto dotato di superiorità tecnologica o funzionale; - prodotti che svolgono la funzione di “omogeneizzatori di status’’ : Ferrari, di qualsiasi etnia o paese di provenienza tu sia, la Ferrari definisce il tuo status; - i prodotti tipici: DOP, IGP, DOC o DOCG. Quindi, il trasferimento all'estero di un prodotto nazionale può trovare un supporto nelle strategie di sviluppo della grande distribuzione organizzata. Livello letterale: per i marchi occidentali che hanno un senso, è possibile ideare un marchio selezionando caratteri cinesi il cui significato traduce al meglio il senso del brand originale, quindi il significato e non il suono. Livello simbolico: quindi ideare un marchio tipicamente orientale che conservi elementi della brand identity originaria ma che richiami dei concetti positivi della cultura locale. LA POLITICA DEI PREZZI. LA DEFINIZIONE DEL PREZZO è cruciale nella politica di marketing internazionale perché influenza la redditività aziendale; va a influenzare il mio posizionamento; è quello con cui io mi confronto principalmente con i concorrenti; e allo stesso tempo è quello che esprime maggiormente la vulnerabilità della mia impresa/attività cioè quanto io sono attaccabile. LA POLITICA DI PREZZO BASATA SUI COSTI: il prezzo viene definito mediante l’aggiunta ai costi del MARGINE REDITTUALE /mark up che si intende perseguire, devo considerare: · i costi di produzione; · i costi di commercializzazione; · oneri finanziari e assicurativi. · spese di gestione all'estero A questi io vado ad aggiungere un margine, mark up: che è il ricavo. Ci sono due metodi principali: METODO DEL COSTO PIENO : costi variabili medi del prodotto + quota di costi comuni (relativi al mercato domestico) + costi specifici (trasporto, dogane, imposte) = COSTO PIENO + aliquota di ricarico, una percentuale e a quel punto io ho il prezzo finale di vendita. METODO DEL COSTO DIFFERENZIALE: costi variabili di produzione + costi di marketing, amministrativi, finanziari di marketing = costo DIFFERENZIALE + percentuale di ricarico/margine = ho un PREZZO SOGLIA MINIMO. Vengono fuori due prezzi di vendita MOLTO diversi l’uno dall’altro. Come si calcola la differenza tra i due? Guardiamo i costi diversi da un metodo all’altro.  - La quota di costi fissi, li avrò sempre. - Costi generali di produzione, - La mia amministrazione ????????? CRITERI DI SCELTA FRA COSTO PIENO E DIFFERENZIALE Allora, se io ho una ampia differenziazione del prodotto, quindi ho tanti prodotti diversi, probabilmente mi conviene stare sul costo pieno perché come diavolo faccio se no a controllare bene tutti i costi. Se invece ho pochi prodotti e relativamente standardizzati, anzi più standardizzati più posso fare eventualmente economie di scala, questo mi permette di puntare a dei volumi più importanti e quindi potrei puntare a un discorso di costo differenziale. In base all’atteggiamento verso l’esportazione se è limitato probabilmente la scelta del costo pieno è quella corretta. Ma se invece voglio conquistare nuovi mercati…allora il costo differenziale diventa uno strumento importantissimo. I tempi per coprire le spese generali; con il costo pieno le copro già tutte; con il cost odifferenziale li vado a coprire a lungo termine. Devo avere delle Risorse finanziarie sufficienti se voglio usare il metodo differenziale, mentre se voglio usare l’altro non necessariamente, il 25 % su tutto lo andrò a prendere in ogni caso. Devo avere un margine di redditività ampio, perché per applicare il costo differenziale significa che tu devi già vivere benino su un tuo mercato interno. Necessità di utilizzare capacità produttiva bassa nel caso del costo pieno, mentre alta nel costo differenziale. Posso anche farci delle economie di scala importanti con il costo differenziale. Bisogna anche fare un analisi dei FATTORI DI MERCATO: ci sono dei casi in cui io mi devo adeguare al prezzo di ‘’quelli + grossi di me’’, che magari sono già lì da più di me, quindi devo andare su un costo differenziale OPPURE vado a vendere un prodotto di nicchia che non è coperta dagli altri. Ci sono casi in cui devo fare un prezzo diverso dal prezzo del mio competitor di riferimento, devo capire: - Se ho lo stesso concorrente su + mercati - Se ho concorrenti diversi per ogni mercato. Poi devo scegliere l’ampiezza e la direzione del differenziale di prezzo: - alto - Basso I FATTORI DI MERCATO: ci sono anche dei fattori di mercato come la domanda. Cioè io posso anche ragionare non più necessariamente in termini di costo pieno o di costo differenziale, ma ragionare in termini di target pricing, cosa vuol dire? Vuol dire che a fronte di una conoscenza piuttosto approfondita di un mercato, riesco a capire che la fascia di prezzo in cui bisogna stare se si vuole vendere è quella. Devo andare a ragionare sulla differenza tra le culture low context (poco sviluppate) e culture high context (paesi abbastanza sviluppati): non posso vendere borse da 30000 euro l’una in ogni parte del mondo; se le vendo a 30 euro lavoro più facilmente in tanti paesi. Ci sono anche dei fattori che influenzano la percezione del prezzo > - Reddito pro capite (quanto guadagno), e reddito spendibile quanto posso spendere… - Importanza annessa agli attributi dell’offerta - Consapevolezza dell’esistenza dei prodotti sostitutivi - possibilità di confrontare delle alternative di prezzo - incidenza del costo d’acquisto sui consumi totali - gusti e le tradizioni - altri aspetti culturali. Quindi, possiamo dividere tra mercati di prezzo e mercati cosiddetti “con coscienza di status” o comunque mercati di qualità, cioè che percepiscono la qualità come un fattore fondamentale. ORIENTAMENTO ALLA PRODUZIONE oppure ORIENTAMENTO AL MERCATO Cioè orientamento alla produzione è il metodo tradizionale con cui io vado a costruire i costi di un nuovo prodotto: faccio la ricerca di mercato di laboratorio, definisco il prodotto che caratteristiche tecniche deve avere, gli dò un design, faccio la progettazione, calcolo i prezzi di fornitori, calcolo i miei costi, la fabbricazione, quanto mi costa e ho il mio prezzo target. A me costa X, ci applico un markup del 25%, il prezzo finale è quello. Diverso è l’orientamento al mercato, faccio una ricerca di mercato o di laboratorio, definisco le caratteristiche del prodotto, poi vado a capire che cos’è il prezzo di vendita accettabile da parte del mercato; quindi, che cos’è il suo costo target, questo va a influenzare le vostre politiche di marketing perché se c’è un costo target avrete un segmento o dei segmenti di mercato target in cui dovrete andare necessariamente a muovervi. A complicare tutto questo che già è complicato di suo, ci sono i fattori ambientali: l’andamento del tasso di cambio, le barriere artificiali, controllo pubblico dei prezzi, influenza del sistema distributivo, normative antidumping (dumping: quando si vende in un paese sottocosto), andamento dell’inflazione, controllo pubblico dei prezzi, regolamento dei prezzi di trasferimento. Competitività di prezzo: i fattori da cui dipende non sono riconducibili soltanto a quelli che si riflettono sui costi aziendali, ma anche a quelli che si ribaltano sul tasso di cambio fra le valute dei paesi interessati, (meno controllabili dall’impresa). L’azienda esportatrice potrebbe perdere la competitività internazionale anche in condizioni di costi stabili o potrebbe avere miglioramenti della competitività internazionale anche in presenza di costi nazionali crescenti ALTERNATIVE DI CONDOTTA da leggere slides LE TECNICHE DI COPERTURA: come faccio a coprirmi dai rischi di cambio?  CONTRATTI A TERMINE DI VALUTA : accordo mediante il quale due parti (tra cui una banca) si accordano per scambiarsi, a una data futura, una determinata quantità di valuta a un prezzo prestabilito. BARRIERE ARTIFICIALI: le normative doganali di un paese possono imporre dazi su prodotti in concorrenza con quelli locali, per cui vogliono magari proteggere la produzione nazionale. Per fronteggiare l’imposizione di questi dazi è possibile: · trasferire la fase di assemblaggio nel mercato di destinazione (mando i pezzi e faccio assemblare là), sui pezzi pago sicuramente dei dazi minori. · oppure posso utilizzare i ‘’prezzi di trasferimento’’: io trasferisco alle mie aziende in Brasile il macchinario fatto e finito o se voglio i pezzi per poi 4) Oppure (come abbiamo detto prima) mandi i pezzi e fai fare il prodotto all’estero, lo assembli all’estero. 5) Ridurre i costi di trasporto e logistica internazionale. 6) Oppure accetti lo svantaggio di prezzo e posizioni il tuo prodotto in un segmento di domanda superiore. LE POLITICHE DI MARKETING INTERNAZIONALE – LA POLITICA DI COMUNICAZIONE FINALITÀ DELLA COMUNICAZIONE : creare un’immagine forte e attrittiva al fine di ottenere de risorse necessarie al funzionamento aziendale. Chi è che apporta le risorse? i clienti ovviamente che comprano il prodotto e pagano. Clienti finali, clienti intermedi… ma non solo loro! in realtà ci sono anche altri attori sociali che andiamo a toccare: finanziatori esterni che non necessariamente comprano i prodotti ma possono comprare quote dell’azienda. Possono essere anche figure che vanno a conferire lavoro e servizi; quindi, soggetti con cui noi andiamo a interfacciarci per lavorare, per produrre, per poi essere sul mercato, (fornitori, subfornitori, aziende con cui andiamo a collaborare). Il mondo politico e sindacale. E la pubblica opinione. LE AREE DELLA COMUNICAZIONE AZIENDALE: 1) COMUNICAZIONE DI MARKETING, è atta a rendere percepibile il valore della tua offerta, migliorando il più possibile le relazioni con i clienti. 2) COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE, cioè il far conoscere l’impresa, i suoi valori, i suoi progetti, migliorando le relazioni con gli stakeholders (investitori, Azionisti, il pubblico da un certo punto di vista, fornitori determinanti, può essere anche lo Stato), 3) COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA, migliorare i rapporti/le relazioni con tutti i soggetti coinvolto nella gestione aziendale, estremamente importante per poi rendere fluidi i rapporti all’interno delle imprese. 4) COMUNICAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA, è proprio finalizzata ad avere delle buone relazioni con chi porta i soldi rendendo visibili gli aspetti patrimoniali, reddituali e finanziari della mia impresa. Quindi cosa faccio? pubblico i bilanci. Quando parliamo di comunicazione, parliamo di comunicazione macro (come abbiamo detto finora) ma c’è anche la microcomunicazione, che noi abbiamo quotidianamente e di cui dobbiamo tenere assolutamente conto perché poi questa la ritroviamo un po’ in tutte le manifestazioni della nostra attività MA sappiamo tutti che esistono delle BARRIERE ALLA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE, che sono molto forti e sono tutt’ora uno degli elementi più difficili da superare per tantissime aziende…  COMUNICAZIONE VERBALE: legame tra lingua e contesto: ci sono contesti “low context” “high context’’, quindi livelli culturali molto alti o livelli culturali mediamente bassi. Ci sono lingue in cui l’espressione è molto diversa dalla nostra o praticamente non esiste. Così come ci sono lingue, che funzionano con meccanismi completamente diversi, si lavora con ideogrammi. Esistono forme miste… Quindi la modalità di utilizzo di una determinata lingua, anche ammesso che si tratti della stessa lingua, ci sono modi e modi di parlare l’inglese e pronunce e modi di esprimersi completamente diversi in grado di dare un maggiore significato a un concetto o un minore significato a un concetto e questo porta a grandi differenze di stile di comunicazione.  COMUNICAZIONE NON VERBALE: la mimica facciale, il modo di guardare le persone, la gestualità, lo spazio personale. Sono fattori che bisogna avere presente nel momento in cui si va a comunicare con soggetti esterni. Le barriere di lingua non sono solo di lingua, ma anche di dialetti, di pronuncia e comprensione. CI SONO diverse MODALITÀ DI LETTURA E COMPRENSIONE, nel caso in cui non ci sia punteggiatura (a seconda di dove si va a pesare la frase, la stessa frase assume dei significati completamente diversi o comunque delle intenzioni di comunicazione completamente diverse). COMUNICAZIONE: 1) Gesti: la gestualità non solo non è presente presso tutte le culture, ma non è neanche apprezzata da tutte le culture. Ad esempio, nelle culture asiatiche e sicuramente in Giappone, c’è una tendenza durante discussioni di business a rimanere immobili, assolutamente immobili e a cercare di non tradire nessun tipo di emozione o di riscontro dal punto di vista del linguaggio del volto. 2) linguaggio del corpo: il corpo che deve andare coordinato assieme alla parola, beh dipende se noi siamo seduti a un tavolo a una riunione, un conto è farlo da mezzo busto e un conto è farlo ad esempio davanti a un grande uditorio, davanti a un pubblico. 3) persino l’abbigliamento che si ha ha un significato oppure ci sono dei casi in cui invece è necessario vestirsi con un abbigliamento non necessariamente formale, 4) sguardo: ci sono dei professionisti in grado di valutare e soppesare tutti questi aspetti, così ci sono dei professionisti in grado di governare tutti questi aspetti. un head-hunter preparato è in grado di vedere in pochissimo tempo la corrispondenza tra il linguaggio del corpo e quanto viene detto da un candidato, ad esempio ad un colloquio di lavoro. COMUNICARE CON IL CLIENTE significa tenere presente tutti questi aspetti: Partendo dalla voce, bisogna avere un controllo sul tono, sulla velocità con cui parliamo, sul volume del nostro parlare, sulla nostra pronuncia, avere l’intonazione corretta. La stessa cosa per un video o per parlare in pubblico, si applica anche alla scrittura, allo stile, ai messaggi delle mail, le caselle vocali, ma anche su Whatsapp o sull’equivalente cinese che è WeChat, su Facebook, su Linkedin, l’utilizzo degli acronimi. Poi nel comunicare ci sono anche delle etiquettes, o delle netiquette quando si va su Internet, cioè ci sono delle modalità che vengono considerate corrette e altre che vengono considerate scorrette. Lo stesso sui social… Quindi questi aspetti vanno tenuti in considerazione, in primis nella propria comunicazione diretta con gli altri soggetti, ma ancora di più quando si fa una comunicazione aziendale di tipo social o di tipo video. Bisogna tenere in considerazione anche l’HIDDEN LANGUAGE: linguaggio del corpo nascosto. STILE DI COMUNICAZIONE LOCALE entrano in gioco anche formalità, regole non scritte e usi o pratiche di business locali. Lo stile di comunicazione locale nei paesi può essere estremamente diverso. Ci sono paesi che sono attenti alla formalità ed esistono diverse forme di formalità che non sono necessariamente le nostre. Pensate semplicemente all’inchino che si utilizza come gesto di saluto e di rispetto in Giappone ma anche in Corea ad esempio, più profondo è l’inchino tendenzialmente più ci si rivolge a una persona di grande importanza. Ci sono delle pratiche di business locali che sono legate a questo tipo di formalità, ad esempio la presentazione dei biglietti da visita da parte dei giapponesi, vengono sempre presentati in modo che l’interlocutore li possa leggere subito comodamente. Ci sono delle regole non scritte, cioè delle cose che non si fanno. Non si tocca la testa alle persone in Tailandia, la testa è sacra, quindi è un gesto estremamente offensivo. LA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA: forma di presentazione teoricamente impersonale, firmata, a pagamento, le cui caratteristiche sono definite dall’azienda, che la indirizza a un target. È chiaramente lo strumento di comunicazione più pervasivo, è il più utilizzato soprattutto nei mercati di consumo, nei mercati B2C cioè business-to-consumer. Le forme e le modalità pubblicitarie possono essere diverse da paese a paese. E anche qui ci sono ovviamente le influenze dell’ambiente socio-culturale: 1) Ci sono differenze nella regolamentazione, vedi le bevande alcoliche. Ci sono paesi in cui la pubblicità delle bevande alcoliche è proibita. 2) Diffidenza verso la pubblicità. Ad esempio, la Francia, che comunque ha un largo utilizzo della pubblicità, però c’è una diffusa convinzione a livello del pubblico che la pubblicità non dica la verità. 3) atteggiamento alla pubblicità cosiddetta comparativa. In Italia si può fare? No. 4)differenze di stile: informativo, persuasivo, umoristico. LE FASI DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA  viene definito il problema di comunicazione; si individua il target di riferimento (a chi voglio comunicare, quali strati, popolazione, non popolazione, maschi, femmine, età,…); gli obiettivi della comunicazione (cosa voglio ottenere con la mia comunicazione); si va a ideare una strategia creativa; si pianificano i mezzi di comunicazione (manifesti, televisione, pubblicità negli aeroporti, Internet, social media,…); dopodiché si realizza la campagna e la si monitora per vedere il risultato della campagna stessa (che feedback ho della mia campagna, ha funzionato, non ha funzionato). Perché chiaramente una campagna pubblicitaria di successo può dare il successo di un prodotto o meno. LA STRATEGIA CREATIVA: bisogna presentare un bene o un servizio in modo nuovo, accattivante, a volte spiritoso. Questo deve indurre il mio target o a rafforzare o a 3) il tecnico esperto a cui l’aspetto della vendita singola e immediata non interessa più di tanto, proprio perché vende un prodotto molto tecnico, basa il proprio successo sulla conoscenza approfondita di tutte le caratteristiche tecniche del prodotto che sta vendendo, è quindi in grado di spiegarvi tutto. Il venditore che è in grado di coniugare questi 3 aspetti, quindi il dinamismo, la capacità di sapere entrare in empatia velocemente, la capacità di chiudere un business rapidamente, ma che sappia anche allo stesso tempo impostare un rapporto di fiducia e un rapporto di lunga durata con il cliente e che abbia una conoscenza tecnica del prodotto sufficientemente approfondita = super venditore. MANIFESTAZIONI FIERISTICHE: L’Italia è un paese di belle fiere, fatte bene. Le fiere una volta erano uno strumento prevalentemente di vendita ora sono più di public relations; si parla di comunicazione specializzata in funzione della provenienza dei visitatori e della localizzazione della manifestazione. Importanti perché ti permettono di valutare in tempo reale le reazioni del target al proprio prodotto e a quello della concorrenza. Inoltre vi permette di acquisire esperienza comunicativa e di capire bene quali sono le esigenze di mercato. L’impresa può partecipare a manifestazioni fieristiche: di carattere regionale o nazionale; oppure internazionali con sede all’estero e nel paese di origine dell’impresa. Gli utenti delle fiere internazionali superiori a quelli di qualsiasi altro mezzo di comunicazione. IL PIANO DI MARKETING = è il frutto di tutto quello che si va a studiare e preparare prima di lanciare una campagna di marketing o fare delle scelte o far fare delle scelte ad un’azienda. PIANIFICAZIONE, IMPLEMENTAZIONE E CONTROLLO DEL PIANO STRATEGICO DI MARKETING sono gli aspetti fondamentali dello stesso.  La pianificazione. Andiamo a definire gli obiettivi e le politiche operative di marketing mix, attraverso cui vogliamo raggiungere questi obiettivi.  Una volta che lo abbiamo definito, andiamo a implementarlo. Si producono dei report di risultati che possono essere note, commenti che scambiamo con colleghi o …  E poi la terza funzione : Attraverso il controllo andiamo a definire un report delle azioni correttive. Quindi annotazioni sulle possibili azioni correttive da intraprendere, se ce ne sono. Questo per andare a risolvere i problemi che man mano si è andati a incontrare e vedere di cogliere delle nuove opportunità applicando i correttivi migliori. Prima di implementare un piano di marketing, si fa l’ANALISI SWOT : strengths, weaknesses, opportunities and threats. • I punti di forza sono gli elementi positivi individuati attraverso l’analisi della nostra azienda/impresa, quindi l’analisi della catena del valore della nostra azienda: quali sono le sue risorse, qual è il suo core strategico, • Punti di debolezza, ovviamente l’opposto. Sono elementi negativi che noi andiamo ad individuare attraverso proprio l’analisi dell’impresa, della catena del valore, delle risorse… • Le opportunità ovvero elementi positivi individuati attraverso l’analisi del macroambiente, del mare in cui si muove l’azienda, del settore, della concorrenza, del sistema di valore del proprio settore e di altri. • le minacce, gli elementi negativi individuati sempre attraverso l’analisi del macro ambiente, del settore, della concorrenza. SEGMENTAZIONE DEL MERCATO= divisione dei potenziali acquirenti in gruppi o segmenti che tendenzialmente hanno gli stessi bisogni o bisogni simili e che daranno delle risposte simili alle sollecitazioni che vengono dal mercato. Quindi per ogni segmento che noi decidiamo di andare a servire, nel nostro piano di marketing, dovremo definire degli OBIETTIVI specifici che saranno: · i mercati obiettivo, · i punti di differenza rispetto magari a concorrenti o a quanto noi andiamo a proporre sul mercato rispetto all’esistente, · il nostro posizionamento, dov’è che andiamo a posizionarci. Gli obiettivi devono essere SMART : specific, measurable, achievable, realistic, timely. Il POSIZIONAMENTO serve a creare l’immagine dell’impresa e della sua offerta di prodotti e servizi nella testa dei potenziali acquirenti. Si tratta di individuare degli obiettivi in termini quantitativi di prodotti venduti e stabilire l’obiettivo in termini di fatturato. E gli obiettivi dovranno essere coerenti con la scelta di posizionamento. Il MARKETING MANAGER governa il prodotto, le caratteristiche, il brand name, la confezione, il servizio e la garanzia; ha a che fare con il prezzo, listino prezzi, sconti, ribassi, condizioni di credito, periodo di pagamento; poi ha a che fare con la promozione, pubblicità, vendita personale, promozione vendite, relazioni pubbliche, direct marketing; con la distribuzione, punti di vendita, canali, copertura, trasporto, livello delle scorte. Un buon programma di marketing ha tutti questi aspetti che coincidono: prodotto, promozione, prezzo, distribuzione. LA FASE DI PIANIFICAZIONE = Permette di chiarire le modalità di attuazione e affronta il problema dello sviluppo del budget (di vendita è anche un budget di marketing) e si crea il perfetto marketing mix = l’insieme di azioni che un’azienda intraprende per creare e commercializzare il proprio prodotto o servizio alla clientela per offrirgli il prodotto giusto, al momento giusto e nel posto/canale giusto, al giusto prezzo, le 4 P fondamentali del nostro marketing. PER ATTUARE IL PIANO DI MARKETING servono le risorse, una volta ottenute, bisogna organizzare l’area marketing (Quindi la definizione dei ruoli e delle funzioni all’interno del vostro ufficio). Poi stabilire una tabella di marcia e Dopodiché eseguire il programma che abbiamo elaborato nella pianificazione. Comprendere la struttura organizzativa del mio marketing, mi permette di capire : · l’importanza delle linee di prodotto, e dei prodotti in portafoglio; · il modo in cui gli eventuali manager di linea o posizioni di staff interagiscono con gli altri raggruppamenti divisionali, con il resto, · e poi capire il ruolo del responsabile marketing, o di prodotto. ESEMPIO  Qui siamo in ambito Barilla, abbiamo un management superiore. Abbiamo una suddivisione di prodotti per la cena, di prodotti da forno, abbiamo un gruppo per i dessert. Quindi ci sono dei team dedicati a queste 3 diverse categorie, perché tecnicamente non si muovono allo stesso modo, sempre food è ma hanno problematiche di tipo diverso. Un esempio banalissimo, il prodotto nel vasetto va sterilizzato, il prodotto biscotti no. Ci sarà un direttore ricerca, ci sarà un direttore vendite. Se prendiamo i prodotti da forno, ci sarà un senior marketing manager: per i biscotti; al di sotto di lui due product manager (biscotti) uno per la prima colazione uno per i biscotti di pasticceria; al di sotto ci saranno un junior product manager e un assistente di marketing. DIAGRAMMA (o curva di gannt) dove vedete un po’ l’andamento nel tempo della vostra tattica: quindi di che cosa dovrete andare a fare. Quindi avrete all’inizio delle sessioni/riunioni in cui andate a fissare i target operativi, quali sono gli obiettivi che volete raggiungere. Poi dovrete fare un’analisi situazionale, quindi fare una verifica di marketing, fare la vostra analisi SWOT e cercare di definire la vostra comprensione di bisogni della clientela. Dopodiché definire una strategia di marketing, quindi creare un marketing plan, andare a sviluppare un budget di marketing, quanto mi costa fare queste operazioni, quanto costerà all’azienda. Dopodiché dovrete andare a definire una strategia di marketing, dove dovrete mettervi dei risultati raggiungibili, non solo quelli che vorreste raggiungere ma quelli che oggettivamente sono raggiungibili. Dopodiché ci sarà un budget che andrà effettivamente sviluppato. Passaggio ulteriore, il marketing mix, quindi lo sviluppo del prodotto, come andiamo a prezzarlo, come andiamo a promuoverlo. CONTROLLARE: VERIFICARE E MONITORARE I RISULTATI Il marketing manager deve confrontare i risultati del programma di marketing con gli obiettivi dei piani scritti per vedere le divergenze, correggere quelle negative e sfruttare quelle positive. Ci sono delle TECNICHE DI ANALISI > Per valutare l’efficacia dei piani di marketing e i punti di forza, si possono analizzare i risultati ottenuti rispetto alle diverse variabili. · le caratteristiche del cliente, quindi il profilo demografico, la dimensione del cliente in ambito B2B, canali di acquisto; · le caratteristiche del prodotto, il modello l’ho azzeccato? le dimensioni della confezione vanno bene? · l’area geografica, il territorio di vendita, le città, lo stato, delle macroregioni se ho definito magari di lavorare ad esempio con il sud-est asiatico. I PASSAGGI PRINCIPALI PER LA CREAZIONE DI UN PIANO DI MARKETING 1. Definisci il tuo pubblico di destinazione. Il primo passo è identificarlo e include la comprensione dei loro dati: demografici, i bisogni, le preferenze e i
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