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Intero programma di Scienze della terra di V anno per maturità, Dispense di Scienze della Terra

Intero programma di Scienze della terra di V anno liceo scientifico per maturità: - Materiali della terra solida (Minerali; Rocce) - Giacitura e deformazione delle rocce (stratigrafia; le formazioni geologiche; elasticità e plasticità delle rocce; faglie; pieghe; accavallamenti); - Fenomeni vulcanici (cosa sono i vulcani, magma, prodotti delle eruzioni, tipi di eruzioni, forma dei vulcani, fenomeni legati all'attività vulcanica, distribuzione geografica dei vulcani); - Fenomeni sismici (origine dei terremoti, effetti del terremoto, registrare le onde sismiche, magnitudo, intensità di un terremoto, propagazione delle onde sismiche, aree sismiche); - tettonica delle placche (crosta terrestre, isostasia, dorsali oceaniche, energia geotermica, fosse abbissali, scala paleomagnetica, deriva dei continenti, margini).

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 29/07/2023

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giusy-de-santis 🇮🇹

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Scarica Intero programma di Scienze della terra di V anno per maturità e più Dispense in PDF di Scienze della Terra solo su Docsity! SCIENZE DELLA TERRA: MATERIALI DELLA TERRA SOLIDA I MINERALI I minerali sono i costituenti fondamentali delle rocce. Diciamo che sono dei veri e propri mattoni di cui è fatta la nostra crosta terrestre. Esistono più di 2000 tipi di minerali diversi e uno stesso tipo si presenta in molte varietà differenti. I minerali sono sostanze solide, naturali, che hanno una composizione chimica definita e quindi sono esprimibili attraverso una formula chimica. Gli atomi sono quasi sempre disposti secondo un reticolo cristallino, ovvero una struttura regolare che si ripete nelle tre dimensioni. Esistono vari tipi di reticoli cristallini a seconda delle dimensioni degli atomi che compongono il reticolo e del tipo di legame che li unisce. La forma esterna di un cristallo è detta invece abito cristallino. A seconda della forma e degli elementi chimici i minerali vengono classificati in otto classi principali: silicati, ossidi, carbonati, elementi nativi, solfuri, solfati, alogenuri, fosfati e borati. A queste otto classi si aggiungono alcune sostanze organiche minerali come il carbone. I minerali si possono riconoscere in base alle loro proprietà fisiche come: il colore; la lucentezza, ovvero il modo in cui un cristallo riflette la luce che può essere metallica nelle sostanze opache, o non metallica nelle sostanze più trasparenti; la densità, data dalla compattezza degli atomi; la sfaldatura, ovvero la tendenza di un minerale a rompersi che dipende dalla forza dei legami tra gli atomi; infine la durezza, ovvero la resistenza alla scalfittura e dipende dai legami chimici, viene misurata in base alla scala di Mohs. COMPOSIZIONE E FORMAZIONE DEI MINERALI Il nostro pianeta è costituito da composti allo stato solido che formano la crosta terrestre. Alcuni minerali sono formati da un solo tipo di elemento, ma la maggior parte dei minerali sono il risultato della combinazione di più elementi legati tra loro in un composto chimico.Gli elementi chimici presenti in natura sono 92 però soltanto 8 di questi sono abbondanti nella crosta terrestre e sono: ossigeno, silicio, alluminio, ferro, calcio, magnesio, sodio e potassio. Solo l'ossigeno e il silicio costituiscono il 75% in massa della crosta terrestre. Il resto della crosta è composta dagli stessi elementi ma in proporzioni diverse e quindi sotto forma di composti chimici differenti, ovvero un minerali diversi. Ogni specie minerale dipende dall'ambiente in cui si forma: temperatura, pressione, concentrazione degli elementi chimici La presenza di un minerale fornisce delle informazioni sull'ambiente di origine della porzione di crosta terrestre che lo contiene. I principali processi di formazione sono: ● Cristallizzazione per raffreddamento di materiali fusi, dove gli atomi o i gruppi di atomi si aggregano per formare i reticoli cristallini tipici dei vari composti chimici; ● Precipitazione da soluzioni acquose calde in via di raffreddamento forma cristalli di specie mineralogiche diverse a seconda della composizione chimica della soluzione; ● Sublimazione di vapori caldi o brinamento determina la formazione di cristalli su superfici vicine alla zona di fuoriuscita; ● Evaporazione di soluzioni acquose soprattutto acque marine ● Attività biologiche che portano alla costruzione di gusci o apparati scheletrici ● Trasformazione allo stato solido di minerali già esistenti, prodotte da variazioni di temperatura o di pressione diffuse in profondità, entro la crosta. SILICATI I silicati sono i minerali più abbondanti della crosta terrestre (80% dei materiali sulla superficie del pianeta). Il loro nome deriva dal fatto che contengono silicio e ossigeno. La struttura alla base del reticolo cristallino dei silicati a forma di tetraedro con quattro atomi di ossigeno che circondano un atomo di silicio. Questo tetraedro viene chiamato gruppo silicatico (SiO4)4- dotato di quattro cariche negative che devono essere compensate da quattro cariche positive, per avere un composto neutro. Ciò può avvenire in due modi: ● un gruppo silicato può legarsi ad alcuni ioni positivi metallici, come sodio Na+, potassio K+, o calcio Ca2+, magnesio Mg3+, ferro Fe2+ e Fe3+; ● i tetraedri possono legarsi tra loro unendosi per i vertici: alcuni atomi di ossigeno sono condivisi da due tetraedri (detti ossigeno-ponte) originando così catene di tetraedri, singole o doppie, oppure in lamine e reticoli tridimensionali ancora più complessi, secondo un processo detto polimerizzazione. Il diverso modo di legarsi dei tetraedri influisce sulla forma e le caratteristiche chimico-fisiche dei cristalli che ne derivano, l’aumento di atomi di ossigeno-ponte ne aumenta la durezza, ciò ne consente la divisione in quattro gruppi: nesosilicati, tetraedri separati sono legati a ioni metallici; inosilicati tetraedri uniti in catene di tipi diversi e legati a ioni metallici; fillosilicati maggior numero di ossigeno-ponte; tettosilicati tutti gli atomi di ossigeno fanno da ponte. OSSIDI Sono un gruppo economicamente importante poiché comprende i minerali da cui si ricava gran parte dei metalli usati nelle industrie. Sono infatti combinazioni di ossigeno e elementi metallici. In questo gruppo sono compresi ematite(Fe2O3), magnetite (Fe3O4) e coridone(Al2O3), secondo in durezza solo al diamante; a volte si presenta di colore rosso o blu, rispettivamente chiamate rubino e zaffiro. CARBONATI Composti da uno o più ioni positivi combinati con uno ione carbonato (CO3)2-. I minerali più comuni sono calcite, CaCO3, che si forma per evaporazione di soluzioni di carbonati di calcio o estrazioni di acque marine; la dolomite CaMg(CO3)2 che si forma per l'azione dell'acqua del mare sulle rocce ricche di calcite. ELEMENTI NATIVI Alcuni esempi di questo gruppo sono oro, diamante e grafite. Sono chiamati così perché vengono trovati in natura allo stato nativo, cioè sono puri. Formano masse di minerali costituiti da un singolo elemento. La maggior parte delle volte vengono trovati in forma di ammassi granulari e filamentosi, ma sempre con un reticolo cristallino. L'oro si forma insieme al quarzo e sono associati a rocce derivanti da magma raffreddatosi al di sotto della superficie terrestre. La maggior parte viene ricavata da accumuli dove i corsi d'acqua hanno sedimentato sabbia aurifera o pepite. Anche argento, rame e zolfo possono essere trovati nello stato nativo. Il diamante e la grafite sono due modi diversi di cristallizzare del carbonio, il primo in grandi profondità, il secondo da sostanza organica sottoposta a forti pressioni. Tra questi elementi troviamo anche il mercurio, ovvero l’unico elemento liquido a temperatura ambiente, si trova in rocce vulcaniche in piccole gocce. SOLFURI Contengono zolfo legato ad elementi metallici. Il più comune è la pirite (FeS2), si presenta in cristalli cubici, ottaedri oppure con 12 facce pentagonali. Abbiamo poi l'argentite (Ag2S) è il solfuro d'argento; la galena (PbS) ovvero il solfuro di piombo. SOLFATI Qui lo zolfo è presente sotto ione solfato (SO4)2-. I più comuni sono il gesso (CaSO4·2H2O: solfato di calcio legato a due molecole di acqua); barite (BaSO4) e celestina (SrSO4). I cristalli di gesso si presentano spesso geminati, ovvero cristalli associati secondo regole precise. Il gesso è un tipico minerale sedimentario di origine chimica e si forma per precipitazione diretta da acque dove il solfato è disciolto. avvengono all'interno della crosta terrestre, dove pressione e temperatura aumentano non al punto da provocare la fusione. Ci sono due tipi di metamorfismo: ● metamorfismo di contatto, un fenomeno localizzato e avviene quando il magma risale attraverso la crosta o si ferma all'interno di questa provocando l'aumento di temperatura nelle rocce con cui viene a contatto; ● metamorfismo regionale riguarda porzioni molto estese della crosta terrestre e si verifica scendendo dove le pressioni di carico e le temperature sono più elevate, ma si può verificare anche quando movimenti della crosta provocano delle pressioni orientate sulle rocce interposte tra diversi blocchi di crosta. A seconda di pressione e temperatura il metamorfismo è definito di grado basso, medio o alto. Quando prevale l’azione di forti pressioni rispetto a quella della temperatura si formano minerali lamellari, le rocce che ne derivano presentano la scistosità, ovvero la proprietà di suddividersi in lastre. Con l’aumentare della temperatura e della pressione, prevalgono i minerali in cristalli, e si formano rocce più massicce, anche se comunque facilmente divisibili in lastre. Le caratteristiche delle rocce metamorfiche dipendono anche dalla composizione originaria. Si formano differenti tipi di rocce: in uno stesso stadio di metamorfismo, da rocce di partenza con composizione diversa; in stati di metamorfismo diversi, ma con rocce di partenza con la stessa composizione. I gruppi più comuni sono la famiglia delle filladi deriva da metamorfismo di basso grado di rocce argillose, formate da minuti cristalli di quarzo e mica e la scistosità è molto accentuata. I micascisti derivano da metamorfismo regionale di grado medio alto di rocce argillose, presentano sottili letti alternati di quarzo e miche, che conferiscono scistosità alla roccia. Infine abbiamo gli gneiss sono rocce massicce e di modesta scistosità che derivano da metamorfismo regionale di grado da medio ad alto e composizione simile a quella dei graniti. LA GIACITURA E LA DEFORMAZIONE DELLE ROCCE LA STRATIGRAFIA La Stratigrafia è quella parte delle Scienze geologiche che ha come obiettivo la ricostruzione della storia della Terra attraverso l'identificazione dell'ordine in cui si sono formate nel tempo le rocce della crosta. LE FORMAZIONI GEOLOGICHE La Stratigrafia studia le formazioni geologiche, cioè i corpi rocciosi caratterizzati da natura lito- logica uniforme. Questi corpi rocciosi risultano di regola ben distinti dagli altri corpi rocciosi con cui sono in contatto. Lo strato è l'unità più piccola di una serie rocciosa ed è delimitato da superfici di discontinuità più o meno parallele fra loro, dette piani di stratificazione. Il termine facies indica proprio l'insieme delle caratteristiche litologiche (e paleontologiche, se sono presenti resti fossili) di una roccia. Le rocce sedimentarie si possono distin-guere, in base agli ambienti di formazione, in tre gruppi: ● le facies continentali, ● le facies di transizione, ● le facies marine. LE FACIES CONTINENTALI Sono riconoscibili in rocce deposte su terre emerse, cioè a diretto contatto con l'aria. Tra queste, sono diffuse le facies fluviali (o alluvionali), rappresentate dai materiali (ghiaie, sabbie e argille) deposti da un fiume nel suo alveo. Anche le facies moreniche sono comuni: sono costituite da ammassi di detriti abbandonati dai ghiacciai. Altre facies continentali diffuse sono le facies desertiche, con le tipiche dune, collinette sabbiose con forme e dimensioni diverse, costruite dal vento su vaste aree a clima arido. LE FACIES DI TRANSIZIONE Tipiche della fascia di passaggio dalle terre emerse al mare. Ne sono esempio le facies palustri o di laghi costieri, che si formano per la mescolanza dell'acqua marina con l'acqua dolce proveniente dai rilievi montuosi. Vi sono poi le facies lagunari, tipiche dei bracci di mare rimasti isolati per lo sviluppo di cordoni o barre sabbiose e collegati con il mare aperto solo da alcuni canali naturali. Le facies d'estuario e di delta si ritrovano invece dove un fiume sfocia in un lago o in mare. LE FACIES MARINE Sono tra le più diffuse; possono essere schematicamente raggruppate in tre grandi suddivisioni. Le facies litorali sono tipiche della fascia costiera, con al massimo qualche metro d'acqua sopra fondali sabbioso-argillosi. Vi sono le facies neritiche: vi si trovano fondi sabbiosi o rocciosi. In alto mare vi sono le facies pelagiche, in genere caratterizzate da argille e fanghi (calcarei, silicei ecc.) con grande prevalenza di resti di microrganismi «planctonici» (che vivono in balia delle acque). I sedimenti delle facies marine si accumulano, strato su strato, per migliaia di metri nel corso di milioni di anni, formando estesi corpi litoidi tabulari, con spessori costanti su grandi estensioni. I PRINCIPI DELLA STRATIGRAFIA Con lo studio del ciclo litogenetico è possibile definire come si sono formate le rocce attraverso un’analisi secondo i principi della Stratigrafia. ● Principio di orizzontalità originaria. I sedimenti si depositano, di regola, in strati pressoché orizzontali e, secondo questo principio, se gli strati appaiono inclinati o incurvati, si deve concludere che essi hanno assunto la giacitura attuale come conseguenza di movimenti della crosta avvenuti dopo la loro formazione ● Principio di sovrapposizione. Ogni strato di roccia sedimentaria è più giovane di quello sottostante e più antico di quello che gli sta sopra. La presenza di fossili risalenti a periodi successivi in strati successivi conferma questo principio e permette di risalire al tempo della formazione anche di due rocce prelevate in regioni geografiche diverse. ● Principio di intersezione. Intrusioni di magma che tagliano altre rocce sono più giovani di queste. Il principio di intersezione si applica anche alle fratture che attraversano le rocce: anche le fratture, come le intrusioni magmatiche, devono essersi formate necessariamente dopo rispetto alle rocce che attraversano. DISCORDANZE STRATIGRAFICHE Il fenomeno del ritirarsi del mare è detto regressione; il processo inverso viene detto trasgressione. Questi fenomeni lasciano tracce vistose nelle successioni di rocce. Si definisce discordanza il fenomeno per cui due formazioni rocciose stratificate sovrapposte non hanno la stessa giacitura. La superficie ideale che separa le due formazioni e detta superficie di discordanza. In base a ciò che accade agli strati dopo che sono stati deposti, distinguiamo due tipi di discordanze stratigrafiche. ● Una discordanza semplice si forma quando un basamento di rocce a strati orizzontali, spianato dall’erosione, è ricoperto da altri strati orizzontali; ● In una discordanza angolare alcuni strati inclinati a causa di movimenti della crosta, sono stati deformati, erosi e poi ricoperti da altri strati rocciosi. In entrambi i casi, per un certo tempo si è avuta erosione e non si sono deposte nuove rocce: questi fenomeni danno luogo a una lacuna di sedimentazione. LE DEFORMAZIONI DELLE ROCCE Le rocce non si presentano quasi mai con la loro giacitura originaria. Le deformazioni delle masse rocciose sono testimonianza dei processi attivi all'interno della Terra. Alla Stratigrafia si affianca la Tettonica, che studia l'architettura» della crosta terrestre, descrivendo le forme degli ammassi rocciosi (geometria), ricostruendo i movimenti secondo cui si sono mossi (cinematica) e deducendo le forze (direzione e verso) che hanno agito (dinamica). GLI EFFETTI DELLE FORZE SULLE ROCCE Sotto l'azione delle forze che agiscono per milioni di anni all'interno della crosta, le rocce possono piegarsi o rompersi, a seconda della loro natura. ● le rocce duttili sono quelle che, all'aumentare della forza applicata, subiscono una deformazione plastica (cioè non elastica, ma permanente). ● le rocce rigide (o fragili) sono quelle che, all'aumentare della forza applicata, si deformano solo per un po' in modo elastico e poi si rompono all'improvviso. Il comportamento delle rocce dipende anche da fattori esterni. ELASTICITA’ E PLASTICITA’ DELLE ROCCE Il tipo di deformazione delle rocce e le strutture che ne derivano sono legati al modo in cui si comportano i corpi solidi sottoposti a una sollecitazione, cioè a uno sforzo. La fisica definisce un corpo perfettamente elastico quando, applicando a esso una forza crescente, questo si deforma, ma se si diminuisce la forza fino ad annullarla il corpo riacquista la sua forma iniziale. Secondo la legge di Hooke, che descrive il comportamento di un corpo elastico ideale, le deformazioni sono sempre direttamente proporzionali alle forze che le provocano. Nei solidi reali, invece, quando lo sforzo supera un certo valore, il corpo, al cessare della sollecitazione, non riacquista più la sua forma iniziale. Si è raggiunto, in questo caso, il limite di elasticità, oltre il quale la deformazione è plastica, cioè permanente. Se lo sforzo aumenta ancora, il corpo si rompe, in corrispondenza di un valore della sollecitazione che è tipico di ciascun materiale e viene chiamato carico di rottura. LE FAGLIE Gli sforzi in atto nell'interno del pianeta possono sollecitare in modo diverso due parti contigue di un settore di crosta, oppure può accadere che sia uno stesso settore a presentare resistenza diversa nelle sue parti. In entrambi questi casi, se lo sforzo applicato è abbastanza intenso, tra le due parti diversamente sollecitate di un settore di crosta terrestre si forma una lacerazione, detta faglia, ed esse scivolano l'una rispetto all'altra. Le faglie sono distinte in base alla giacitura del loro piano di taglio, cioè alla direzione secondo cui è avvenuta la frattura, e a come è avvenuto il movimento reciproco delle parti. La direzione del movimento si ricava dalle strie, le incisioni che si producono sul piano di faglia per il forte attrito fra i due blocchi in movimento. In base alla giacitura del piano (superficie di faglia), si distinguono: -faglie con piano di taglio inclinato (faglie dirette e inverse); -faglie con piano di taglio verticale (faglie trascorrenti). 1. Si parla di faglia diretta quando il blocco di rocce che si trova sopra il piano di taglio inclinato risulta spostato verso il basso rispetto a quello contiguo. In tal caso, dopo che si è manifestata la faglia, il settore di crosta risulta allargato. 2. Si parla di faglia inversa quando il blocco di rocce che si trova sopra il piano di taglio inclinato risulta spostato verso l'alto rispetto a quello contiguo, e lo sormonta. In tal caso, il settore di crosta risulta accorciato. 3. Quando il piano della faglia è verticale, i blocchi risultano in genere uno sollevato e l'altro abbassato; il movimento può essere dedotto dalla direzione delle strie. Quando le strie indicano che il movimento è stato orizzontale o pochissimo inclinato, si parla di faglie trascorrenti. SISTEMI DI FAGLIE Le faglie sono raramente isolate: di regola sono associate in sistemi tanto più abbondanti quanto più rigido è stato il comportamento delle rocce sollecitate. Un tipico sistema di faglie dirette è quello che determina una fossa tettonica (o Graben): in questo caso due sistemi paralleli di faglie disposte a Il magma contiene fino al 5% di gas. Nelle emissioni aeriformi vi è abbondanza di vapore acqueo e anidride carbonica. Le fumarole sono emissioni di gas e vapori caldi che possono verificarsi anche durante le fasi di quiescenza di un vulcano. TIPI DI ERUZIONI Il «trasferimento» di materiale fuso sulla superficie terrestre può avvenire con fenomeni diversi. Per classificare i diversi tipi di attività vulcanica è necessario considerare: ● i tipi di eruzioni, cioè in che modo fuoriescono i materiali eruttati, ● gli edifici vulcanici, cioè le forme che derivano dalle eruzioni. I fattori che più direttamente influenzano il tipo di eruzione sono la viscosità del magma e il contenuto in aeriformi, soprattutto acqua e anidride carbonica. È possibile distinguere due tipi principali di eruzione: ● effusiva, con magmi poco viscosi, ● esplosiva, con magmi viscosi e ricchi di gas. Al termine dell'eruzione il vulcano è considerato quiescente fino a quando il magma, risalendo, non lo riattiva. Un vulcano si considera estinto se da qualche migliaio di anni non manifesta più alcun tipo di attività. ERUZIONE EFFUSIVE In presenza di lava molto fluida si hanno eruzioni di tipo effusivo. Le eruzioni di tipo hawaiiano sono effusioni di lave fluide,contengono poca silice e fuoriescono da grandi vulcani centrali. Le colate si espandono intorno all'apertura del condotto vulcanico, (in basalto). I volumi di lava emessa sono enormi. Queste lave contengono piccole quantità di gas e vapori che si liberano con eruzioni poco violente. I gas, in genere possono trascinare getti di lava fusa, innalzando fontane di lava. Le eruzioni di tipo islandese presentano caratteristiche simili: la lava, fluida, fuoriesce da lunghe fessure, originando vaste aree di basalto (plateaux).Queste eruzioni avvengono soprattutto negli oceani, (dorsali oceaniche) dove il basalto va a formare il fondo oceanico con la lava a cuscini. Le eruzioni islandesi sono avvenute anche sui continenti: (di recente, in Islanda), in passato in diversi luoghi del pianeta, dove si sono formati estesi plateaux basaltici (l'altopiano del Deccan, in India). ERUZIONE MISTE EFFUSIVE-ESPLOSIVE Nel vulcanismo più fortemente esplosivo i gas trascinano in alto nubi di rocce sbriciolate e lava polverizzata (nubi ardenti). Quando i gas si disperdono, la colonna di frammenti collassa, scende lungo i fianchi del vulcano a grandissima velocità e si espande in colate piroclastiche. Distinguiamo tre tipi: 1. Le eruzioni di tipo stromboliano (prevalentemente effusive) associate a lave non molto viscose, che ristagnano nel cratere, dove si solidificano. Si forma una crosta solida, dove si accumulano i gas che si liberano dal magma. Successivamente la pressione dei gas cresce fino a far saltare la crosta, con esplosioni che lanciano in aria brandelli di lava fusa. Che si solidificano esternamente e assumono una forma affusolata (bombe). Esaurita la spinta dei gas, la lava torna a ristagnare sul fondo del cratere e il fenomeno si ripete. 2. Le eruzioni di tipo vulcaniano caratterizzate da un meccanismo simile a quello stromboliano, ma con lava più viscosa. Perciò i gas si liberano con più difficoltà e la lava solidifica nella parte alta del condotto, formando un «tappo» di grosso spessore. I gas impiegano più tempo per raggiungere le pressioni sufficienti a vincere l'ostruzione; quando ciò avviene, l'esplosione è violentissima. 3. Quando le esplosioni raggiungono il loro aspetto più violento prendono il nome di eruzioni di tipo pliniano, da Plinio il Giovane, che descrisse l’eruzione del Vesuvio Del 79 d.C. La colonna di vapori e gas fuoriesce dal condotto con forza e velocità, prima di perdere energia ed espandersi in una grande nuvola da cui ricadono su un'ampia area grandi quantità di pomici. ERUZIONI ESPLOSIVE Nelle eruzioni di tipo peléeano la lava ad altissima viscosità e a temperatura relativamente bassa (600-800 °C) viene spinta fuori dal condotto vulcanico già quasi solida e forma di cupole o torri alte qualche centinaio di metri. Dalla base sfuggono dense nuvole di gas, vapori e frammenti solidi, roventi (nubi ardenti discendenti), che si espandono su vaste aree con velocità di oltre 100 km/h. Le eruzioni di tipo idromagmatico sono dovute all'interazione tra un magma a modesta profondità e l'acqua che satura le rocce nella falda idrica. Il brusco passaggio dell'acqua allo stato di vapore genera enormi pressioni, che possono far saltare l'intera colonna di rocce sovrastanti, aprendo un condotto verso l'esterno. Dal cratere esce con grande violenza una colonna di vapore, che trascina con sé frammenti di rocce e talvolta lava finemente polverizzata. Dalla base di tale colonna parte una nuvola di vapore e materiali solidi, a forma di anello (base-surge). Questa nube si espande a grande velocità lasciando accumuli piroclastici. LA FORMA DEI VULCANI Vulcani a scudo: edifici vulcanici larghi e con fianchi poco ripidi. Sono originati da lave fluide che risalgono da zone profonde e fuoriescono con eruzioni effusive (hawaiiano). I vulcani più grandi sono di questo tipo. Vulcani-strato: vulcani a cono con fianchi ripidi. Costituiti da colate di lava e strati di materiali piroclastici eruttati durante le eruzioni esplosive. La forma è dovuta da gas, vapori e lava poco fluida. Caldere: ampie depressioni circolari con fondo piatto e pareti interne ripide che si formano dopo il crollo di un edificio vulcanico; dopo un'eruzione si verifica lo svuotamento della camera magmatica, che vuota non può più sostenere il proprio tetto e quindi crolla. Possono formarsi coni vulcanici più piccoli, sul fondo della caldera. Coni di scorie: ammassi di piroclasti. La distanza di caduta dei frammenti dipende dalla violenza dell'eruzione e dal peso. I più pesanti si depositano nella sommità dell'edificio formando versanti ripidi, quelli più leggeri trasportati a distanze maggiori si accumulano in versanti meno inclinati. Possono trovarsi vicino vulcani più grandi, sul fondo di crateri o lungo dorsali emerse. FENOMENI LEGATI ALL'ATTIVITA' VULCANICA I lahar: colate di fango che si formano quando le ceneri presenti si mescolano alla pioggia (dovuta alla condensazione del vapore acqueo). Questo fenomeno si verifica anche quando il magma provoca una fusione di una massa glaciale alla sommità o pendici del vulcano. Tsunami: gigantesche onde d’acqua che si propagano fino a grandi distanze, provocate da esplosioni generate da vulcani o collassi di isole vulcaniche che spostano masse di acqua. Emissioni di gas: queste emissioni accompagnano quelle di lava, ma possono verificarsi anche in altri momenti poiché i gas continuano a liberarsi anche sul fondo del cratere. Tra i gas, l'anidride carbonica è più pesante e si ristagna. Quando l'anidride carbonica colma il cratere trabocca dall’orlo e scende lungo i pendii, a causa del peso si muove verso il terreno, formando un fiume tossico. Quando sono di grandi dimensione può uccidere gli esseri viventi. Geyser, soffioni, sorgenti termali: Un geyser è un getto di acqua caldissima, emesso a intervalli di tempo regolari. Anche se un vulcano non manifesta nessuna attività, in profondità ci sono delle sacche di magma freddi. L'acqua che circola nel sottosuolo può incontrare nel suo percorso in profondità una di queste masse di roccia a temperatura elevata e riscaldarsi a sua volta. L'acqua calda risale verso la superficie, in vicinanza della quale, a causa della diminuzione di pressione, comincia a bollire ed esce con violenza, come geyser. Questo processo è alla base anche dei soffioni, fuoriuscite di vapore meno violente dei geyser, spesso utilizzate come fonte di energia geotermica. Se l'acqua non si spinge a profondità elevate, o la massa di roccia non è più tanto calda, l'acqua non si riscalda e si possono formare delle sorgenti termali. LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI VULCANI Sulle terre emerse e sui fondi oceanici i vulcani attivi sono concentrati in lunghe fasce o catene di edifici vulcanici. 1. Il vulcanismo delle dorsali oceaniche è il più diffuso, lungo decine di migliaia di chilometri, ma è anche invisibile, perché sottomarino. Dai vulcani lineari delle dorsali oceaniche fluiscono grandi quantità di lave basaltiche fluide (vulcanismo effusivo). In qualche caso, il vulcanismo associato alle dorsali oceaniche si manifesta anche sopra il livello del mare, formando delle isole (in Islanda, dove la Dorsale Medio-atlantica emerge per un lungo tratto, grazie anche alla presenza di un «punto caldo») 2. Gran parte dei vulcani emersi si trova lungo i margini di alcuni continenti, o forma intere catene di isole vulcaniche. In entrambi questi casi, gli allineamenti sono fiancheggiati da profonde depressioni del fondo oceanico, strette e lunghissime, chiamate fosse abissali. I vulcani allineati lungo le fosse abissali (come quelli della Cintura di fuoco che circonda l'Oceano Pacifico) sono caratterizzati da attività vulcanica di tipo esplosivo e i loro prodotti sono in gran parte materiali piroclastici. VULCANI ISOLATI Alcuni vulcani non si trovano ai margini delle fosse, ma in punti isolati all'interno dei continenti o delle piane abissali: sono i punti caldi (hot spot). Questi vulcani eruttano lave fluide, di tipo basaltico, caratterizzate da un vulcanismo di tipo effusivo. Per esempio i vulcani Mauna Loa e Kilauea, nelle isole Hawaii, al centro di una vastissima piana abissale; i vulcani delle Isole Canarie, nell'Oceano Atlantico. I VULCANI EUROPEI Sul territorio europeo si trovano molti vulcani attivi, quiescenti o spenti. 1. Due gruppi di vulcani (attivi) si trovano nell'area atlantica: in Islanda e negli arcipelaghi delle Azzorre e delle Canarie. 2. Vulcani attivi o quiescenti si trovano in Turchia e nella regione del Caucaso. Tra questi, soltanto due (il Nemrut Dag in Turchia e l'Elbrus in Russia) hanno eruttato negli ultimi 2000 anni. Tra i più imponenti, si ricorda l'Ararat. 3. Un terzo gruppo, costituito anch'esso da una ventina di vulcani attivi, è localizzato nell'area mediterranea, nella penisola italiana e nel Mar Egeo. Inoltre, sul territorio europeo esistono alcuni vulcani centrali spenti che sono stati attivi recentemente: per esempio la Catena dei Puys, nel Massiccio centrale (in Francia), i vulcani dell'Eifel in prossimità della Valle del Reno (germania) e in Italia. I VULCANI ITALIANI Nell'Italia peninsulare e in Sicilia sono presenti numerosi vulcani recenti, 11 dei quali attivi, raggruppati in 4 aree. 1. Il maggiore dei vulcani attivi italiani, e il più grande d'Europa, è l'Etna (3350 m), un vulcano- strato formato da diversi edifici vulcanici che si sono succeduti nel corso del tempo. La sua attività è iniziata come vulcano sottomarino, successivamente l'attività si è spostata verso Ovest, il vulcano è emerso e le colate di lava basaltica si sono alternate a manifestazioni esplosive. Oggi le eruzioni prevalentemente effusive avvengono sia dalla sommità dell'edificio, sia da bocche laterali, lungo le pendici, in corrispondenza di fratture che le collegano con il condotto centrale. punto in cui si intersecano le circonferenze. Maggiore è il numero di stazioni migliore è la precisione della localizzazione. Al passare del tempo e all'aumentare della distanza dall'epicentro la maggiore velocità di propagazione delle onde P rispetto alle onde S determina un aumento del ritardo di queste ultime rispetto alle P. Come l'intervallo tra la luce abbagliante di un lampo e il rombo del relativo tuono può darci un 'idea della distanza a cui il lampo si è verificato, così il tempo che intercorre tra l'arrivo delle onde Pe quello delle onde S ci fornisce la distanza dell'epicentro. Dall'entità del ritardo delle onde S è possibile calcolare la distanza tra epicentro e stazione registrante. Il metodo si basa sull'utilizzo di curve dette dromocrone (dal greco dromos = corsa e chronos = tempo) sono curve tracciate su un piano spazio-tempo in base a una serie di dati sulla velocità delle onde sismiche ricavati da terremoti naturali e da esplosioni nucleari effettuate in località note. Nel piano spazio-tempo l'origine degli assi coincide con l'epicentro. La dromocrona delle onde P e la dromocrona delle onde S iniziano dall'epicentro e divergono sempre più a mano a mano che si allontanano dall'origine. Sul piano spazio-tempo si fanno coincidere l'arrivo delle onde P e quello delle onde S di un sismogramma con le rispettive dromocrone. Il corrispondente valore sull'asse delle ascisse fornisce la distanza dall'epicentro. Il metodo delle dromocrone permette ai sismologi, conoscendo i dati di tre o più stazioni, di localizzare l'epicentro stesso. Il calcolo della profondità dell'ipocentro richiede un numero maggiore di sismogrammi e una buona conoscenza della geologia della regione colpita dal sisma. LA MAGNITUDO La magnitudo misura l'entità di un terremoto e il procedimento per valutarla fu ideato dal sismologo americano Charles Richter. Egli constatò che, a parità di distanza dall'epicentro, un terremoto più forte di un altro fa registrare sui sismogrammi oscillazioni più grandi. Richter scelse come riferimento un terremoto che, a 100 km di distanza dall'epicentro, produca un sismogramma le cui oscillazioni abbiano un'ampiezza massima di 0,001 mm, e assegnò a tale terremoto magnitudo 0. Qualsiasi sisma può essere confrontato con questo sisma di riferimento, attraverso le oscillazioni massime che esso causa (misurate anch'esse a una distanza di 100 km dall'epicentro). Dato che l'entità dei terremoti varia in un intervallo enorme, Richter fu costretto a «comprimere» la scala attraverso un artificio matematico: se due terremoti differiscono di 10 volte per ampiezza di vibrazioni, nella scala Richter la loro differenza di magnitudo è di 1 unità.Un aumento di 1 unità nella magnitudo corrisponde maggiore a un movimento del terreno più ampio di 10 volte e a una liberazione di energia di circa 30 volte. In ogni stazione sismica apposite tabelle consentono di misurare la magnitudo per qualunque distanza dall'epicentro. INTENSITA' DI UN TERREMOTO Prima dell'introduzione della magnitudo, la forza di un sisma era indicata soltanto con l'intensità, stabilita in base agli effetti prodotti sulle persone, sugli edifici e sul terreno. Per confrontare gli effetti prodotti dallo stesso terremoto in località diverse, o anche quelli dovuti a terremoti diversi, sono state ideate delle scale di riferimento, come la scala MCS (da I a XII: XII è la distruzione totale), ideata dal sismologo italiano Giuseppe Mercalli e modificata in seguito. Le intensità massime raggiunte da un sisma vengono assegnate dopo aver rilevato i danni e le reazioni delle persone su tutta l’area in cui è stato avvertito il terremoto. Per attribuire il grado, i dati raccolti vengono confrontati con le descrizioni riportate nella scala di riferimento: l'intensità di un terremoto è il valore massimo rilevato. Se per un terremoto si riporta su una carta geografica il valore di intensità di ogni località, si tracciano le linee di confine tra le zone in cui il terremoto si è manifestato con intensità diverse, si ottiene una serie di curve chiuse, dette isosisme; due isosisme consecutive delimitano un'area con lo stesso grado di intensità. L'isosisma più esterna delimita l'area all'interno della quale il terremoto è stato percepito; all'esterno di questa isosisma il terremoto non ha prodotto effetti direttamente rilevabili dall'uomo. La forma e l'andamento delle isosisme forniscono informazioni sulla struttura geologica dell'area: se le rocce della crosta fossero omogenee, le isosisme sarebbero simili a circonferenze concentriche. MAGNITUDO E INTENSITA' A CONFRONTO La magnitudo e l'intensità sono due misure della forza di un terremoto, ma sono anche dati diversi. Prendendo in considerazione due terremoti di uguale forza, avvenuti nella stessa zona, ma uno poco profondo, l'altro a grande profondità. Ci sarà la stessa magnitudo, ma le vibrazioni del primo arriveranno in superficie con grande energia e faranno gravi danni, quelle del secondo arriveranno molto attenuate e faranno danni minori: i due sismi avranno quindi una diversa intensità. Si ricordi che il valore della magnitudo di un terremoto si riferisce a quanto accaduto all'ipocentro. L'intensità, invece, è una misura che si riferisce agli effetti provocati in superficie e assume valori decrescenti, da quello massimo nella zona dell'epicentro, fino a zero a una certa distanza. I danni dipendono anche dalla densità demografica e dalla qualità delle costruzioni. PROPAGAZIONE DELLE ONDE SISMICHE Quando un'onda sismica si propaga in un materiale uniforme la direzione di propagazione è una linea retta. A differenza di un'onda sismica che attraversa materiali che abbiano proprietà fisiche differenti (diversa densità): la traiettoria subisce un cambiamento di direzione e di velocità. I sismogrammi, che registrano onde sismiche che hanno attraversato la Terra, possono essere letti come delle radiografie del pianeta. Le informazioni sulla propagazione all'interno del pianeta delle onde sismiche sono state ricavate anche attraverso lo studio delle onde sismiche generate da esplosioni sotterranee (sismica artificiale). Con queste informazioni sono stati costruiti dei diagrammi che mostrano come varia la velocità quando aumenta la profondità. Se la Terra fosse costituita da un solo tipo di materiale omogeneo, onde P e onde S si muoverebbero all'interno del pianeta, tra l'ipocentro e uno dei sismografi sparsi sulla superficie, con velocità costante, lungo una linea retta. Invece la velocità sia delle onde P, sia delle onde S varia con la profondità, e le traiettorie all'interno della Terra sono curve. LE ONDE SISMICHE E L'INTERNO DELLA TERRA Dallo studio dei sismogrammi abbiamo visto che il nostro pianeta è formato da tre involucri concentrici: crosta, mantello e nucleo. Separati da superfici di discontinuità sismica, perché in loro corrispondenza le onde sismiche cambiano velocità e vengono deviate. La crosta è l'involucro più superficiale. È separato da quello sottostante dalla superficie di Mohorovičić (Moho), a una profondità variabile tra una media di 6-7 km sotto gli oceani e 35 km sotto i continenti. Il mantello si estende al di sotto della crosta. La sua parte più superficiale è solida, ma poco al di sotto, tra i 70 e i 250 km di profondità; si comporta come se fosse parzialmente fuso: qui, infatti, le onde rallentano. Il mantello continua fino a 2900 km di profondità, dove è separato dall'involucro sottostante dalla superficie di Gutenberg. L’esistenza del nucleo è stata messa in evidenza attraverso lo studio della propagazione delle onde. Per ogni terremoto esiste infatti una zona della superficie che non viene raggiunta dalle onde sismiche dirette, cioè che non hanno subìto bruschi cambi di direzione. Si tratta della zona d'ombra, questo suggerisce che le onde P, che arrivano in superficie, siano fortemente deviate dal loro percorso originale per la presenza di un materiale diverso da quello in cui si stavano propagando (nel mantello). Inoltre, le onde S non ricompaiono in superficie; le onde non possono propagarsi nei mezzi fluidi, quindi il nucleo esterno è fluido. Si passa poi al nucleo interno, separato dal nucleo esterno dalla superficie di Lehmann. Dall'aumento di velocità delle onde P che riemergono dopo averlo attraversato si deduce che il nucleo interno sia solido. LE AREE SISMICHE Attraverso lo studio della sismicità in tutto il mondo si è trovata una regolarità nella distribuzione degli epicentri dei terremoti: le aree sismiche sono associate a particolari strutture della crosta terrestre. 1. Una fascia sismica corrisponde alle grandi fosse abissali, sia dove queste sono prossime a un continente, sia dove sono affiancate da un arco di isole vulcaniche. Una delle più note fra queste fasce sismiche è la Cintura di fuoco che circonda l'Oceano Pacifico. Gli ipocentri sono superficiali, a ridosso delle fosse e sempre più profondi man mano che ci si allontana da esse: è come se fossero distribuiti lungo un piano inclinato ideale che scende all'interno della Terra. Questo tipo di sismicità contribuisce per circa l'80% all'energia sismica totale liberata da tutti i terremoti. 2. Un'altra fascia sismica segue il percorso delle catene montuose formatesi in tempi più recenti, dalle coste del Mar Mediterraneo occidentale, fino alle Alpi e all'Himalaya, con un ramo che prosegue verso la Cina. I terremoti che si verificano lungo questa fascia superano raramente i 100 km di profondità e nell'insieme forniscono meno del 20% dell'energia liberata dagli eventi sismici nel complesso. 3. Una stretta relazione esiste anche tra la sismicità e le dorsali oceaniche. I terremoti che si verificano numerosi presso le dorsali hanno ipocentri superficiali e sono poco intensi. Per questo motivo, la sismicità associata alle dorsali fornisce nel complesso soltanto il 2% circa dell'energia sismica totale liberata. LA TETTONICA DELLE PLACCHE PIANETA FATTO A STRATI La Terra è formata da involucri concentrici con caratteristiche differenti: 1. la crosta (la parte più esterna), dello spessore di pochi chilometri; 2. il mantello (la parte centrale), che arriva fino a circa 2900 km di profondità; 3. il nucleo, diviso a sua volta in due involucri: il nucleo esterno e il nucleo interno, con un raggio che complessivamente supera i 3400 km. La causa che sta alla base della struttura a involucri concentrici è l'attrazione gravitazionale. Il nucleo è l'involucro di densità maggiore e quindi è il più interno; su di esso appoggia il mantello, che ha una densità intermedia, e sul mantello «galleggia» a sua volta la crosta, ancor meno densa. Al loro interno, sia il mantello, sia il nucleo presentano, inoltre, degli strati con caratteristiche differenti, in cui possono essere ulteriormente suddivisi. LA CROSTA TERRESTRE Ci sono due tipi di crosta terreste, oceanica e continentale. violenti attriti accompagnati da terremoti, i cui ipocentri sono distribuiti su una superficie inclinata, detta piano di Benioff (o superficie di Benioff). La mancanza di ipocentri più profondi di 700 km fa pensare che, a quella profondità, la litosfera si mescoli al mantello. Non tutto il materiale della litosfera viene «riciclato» nel mantello: in parte esso fonde e risale in superficie, dove alimenta l'attività vulcanica che si manifesta parallelamente alle fosse. Globalmente la nuova litosfera che viene prodotta in corrispondenza delle dorsali bilancia quella vecchia che viene riciclata nelle fosse. La crosta oceanica è tanto più antica quanto più ci si allontana dalle dorsali, ma arriva al massimo a 190 milioni di anni. FORMAZIONE DEGLI ATOLLI CORALLINI In corrispondenza delle linee di espansione di una dorsale oceanica si verifica la formazione di vulcani sottomarini. Il movimento del fondo porta il vulcano a scendere sotto il pelo dell'acqua. Se questo inabissamento non è troppo rapido, i coralli, che possono vivere soltanto in acque basse, si accumulano in strati, crescendo sugli scheletri dei coralli sottostanti, e formano vere e proprie «torri» sottomarine che corrispondono agli atolli corallini, cioè barriere coralline che circondano una laguna. TETTONICA DELLE PLACCHE Negli anni ‘60 del Novecento, ci fu l'elaborazione di un modello globale dell'attività del pianeta, chiamato Tettonica delle placche. Prende in considerazione la litosfera, attraversata da alcune fasce caratterizzate da forte attività sismica e vulcanica, in corrispondenza in superficie alle dorsali oceaniche, alle fosse abissali. Queste fasce attive dividono la litosfera in 20 placche che possono essere formate da: litosfera oceanica, continentale o da porzioni di entrambi i tipi. Le placche sono sempre in movimento; si allontanano (lungo i margini divergenti, dorsali) si scontrano (lungo i margini convergenti, fosse), o scivolano una a fianco all'altra (lungo i margini trasformi). Il modello della Tettonica delle placche spiega al meglio la distribuzione e dei terremoti. DERIVA DEI CONTINENTI L'idea di una «Terra mobile», ha avuto il suo principale teorico in Alfred Wegener, noto per aver proposto la teoria della deriva dei continenti. Osservando che le coste dell'Africa e del Sudamerica che si affacciano sull'Atlantico hanno profili quasi combacianti, Wegener ipotizzò che 200 milioni di anni fa vari lembi di crosta continentale, che ora sono separati, fossero uniti in un «supercontinente», la Pangea (dal greco: «tutto terra»), circondato da un unico oceano. Il Pangèa si sarebbe poi smembrato in più parti, che si sarebbero allontanate tra loro secondo il meccanismo chiamato appunto «deriva dei continenti», dando così origine ad Americhe, Eurasia, India, Australia e Antartide. Una delle prove più interessanti tra le molte portate da Wegener è l'osservazione che sui diversi continenti attuali sono stati trovati resti fossili di alcuni animali e piante terrestri del medesimo tipo, più antichi di 200 milioni di anni. La presenza di resti di una stessa flora e di medesimi rettili su terre oggi separate da ampi oceani non è facilmente spiegabile. Le aree di distribuzione dei fossili riconosciute si spiegano solo ammettendo che un tempo queste terre fossero in continuità. Wegener aveva riconosciuto la mobilità della crosta continentale; non riuscì però a spiegare la causa e la dinamica di tali movimenti. Di conseguenza, tutta la teoria venne contrastata e dovettero passare altri cinquant'anni prima che nuove scoperte portassero gli studiosi a recuperare questa geniale intuizione. MARGINI DIVERGENTI Lungo i margini divergenti si ha risalita di materiale fuso dal mantello, man mano che le placche si separano; questi margini sono detti perciò costruttivi e corrispondono alle dorsali oceaniche, lungo le quali si costruisce di continuo nuova litosfera oceanica. NUOVI OCEANI I margini divergenti corrispondono essenzialmente alle dorsali oceaniche. Alcune placche sono circondate in gran parte da margini costruttivi; in tal caso la loro superficie aumenta continuamente nel tempo. In corrispondenza dei margini divergenti, il vulcanismo essenzialmente effusivo lungo l'asse delle dorsali oceaniche è dovuto alla risalita dalle profondità del mantello di materiale solido, ma molto caldo, che fa inarcare la litosfera. Nello stesso tempo, lungo le dorsali oceaniche la tensione che tende ad allontanare i fianchi della rift valley provoca la formazione o riattivazione di molte faglie; ciò si traduce in numerosi sismi di modesta entità, i cui ipocentri si trovano nei primi 10 km di spessore della crosta. GREAT RIFT VALLEY La Great Rift Valley è un margine divergente che si trova sul continente. Si tratta di un sistema di profonde depressioni, lungo oltre 6000 km, che percorre l'Africa orientale, dallo Swaziland, a Sud, fino a incontrare il Mar Rosso, a Nord. Le depressioni sono limitate da alte e ripide scarpate, prodotte da grandi faglie dirette; esse ospitano i grandi laghi africani, alcuni dei quali hanno il fondo a centinaia di metri sotto il livello del mare. Lungo le grandi faglie che delimitano la rift valley, si ha la risalita di imponenti quantità di magmi che alimentano un vulcanismo molto attivo e una sismicità superficiale. MARGINI CONVERGENTI In corrispondenza dei margini convergenti due placche entrano in collisione e una delle due è trascinata nel mantello mediante il processo di subduzione che avviene lungo le fosse oceaniche, questi margini sono detti distruttivi. Lungo questi margini si ha in genere la formazione di una catena di vulcani, seguita da un'orogenesi, cioè dal sollevamento di una nuova catena montuosa. Anche in questo caso l'interpretazione fornita dalla Tettonica delle placche spiega la distribuzione dell'attività vulcanica e dell'attività sismica lungo margini di placche. Il vulcanismo, caratterizzato da attività esplosiva, è collegato al processo di subduzione in corrispondenza di margini convergenti tra le placche, a causa del riscaldamento e della fusione parziale della placca che sprofonda. LITOSFERA OCEANICA SOTTO LITOSFERA CONTINENTALE Se i movimenti della litosfera costringono un settore oceanico (più denso) a scivolare sotto un settore continentale (più leggero) litosfera si forma un arco vulcanico. 1. I sedimenti che si trovano sul fondo dell'oceano vengono «raschiati» nel contatto con la placca continentale e si accumulano, accavallandosi, lungo il suo margine. 2. Allo stesso tempo, le rocce che costituiscono la placca oceanica che viene inghiottita fondono. I materiali di fusione, più leggeri, risalgono come «bolle» di magma e possono perforare il margine del continente sovrastante e gli accumuli di sedimenti, formando dei vulcani, oppure possono fermarsi all'interno della crosta, costituendo dei batoliti. 3. L'allineamento di vulcani e gli accumuli di sedimenti fortemente deformati, col tempo, alimentano un'orogenesi, cioè costruiscono una grande catena montuosa. LITOSFERA OCEANICA SOTTO LITOSFERA OCEANICA Quando due placche oceaniche si avvicinano, oppure all'inizio dell'avvicinamento tra una placca oceanica e una in parte oceanica e in parte continentale, si ha subduzione di litosfera oceanica sotto altra litosfera oceanica. Non essendoci un margine continentale per ospitarla, non si forma una catena di vulcani, ma un allineamento di vulcani sottomarini. Esso cresce nel tempo per l'accumulo di materiale vulcanico, fino a emergere e a formare così un arco di isole vulcaniche lungo il margine della placca che resta in superficie. COLLISIONE CONTINENTALE Se la litosfera oceanica che va in subduzione sotto un continente è saldata a sua volta a un continente, i due continenti finiscono per venire a contatto e si forma una catena montuosa (orogenesi). 1. In una prima fase la subduzione della litosfera oceanica porta al progressivo avvicinamento dei due continenti; sul margine di quello vicino alla fossa di subduzione si forma un arco vulcanico. 2. Mentre l'oceano si riduce, la crosta oceanica si rompe in blocchi, che si accavallano tra loro lungo il bordo della fossa oceanica, trascinando masse di basalti metamorfosati (ofioliti). 3. Quando alla fine l'intero oceano è scomparso, i margini dei due continenti entrano in collisione e si frammentano in enormi cunei tettonici, che scivolano uno sull'altro, formando giganteschi ammassi di rocce. La fascia di collisione, deformata e con spessori che arrivano fino a 60-70 chilometri, si solleva e si manifesta in superficie come una nuova catena montuosa. Tale fascia viene detta sutura continentale, perché salda due lembi di crosta in un unico continente. I MARGINI TRASFORMI I margini trasformi coincidono con grandi faglie trasformi, lungo le quali i lembi di litosfera scorrono uno a fianco dell'altro, anche per centinaia di chilometri, in direzioni opposte, oppure nella stessa direzione, ma con diverse velocità. Questo movimento determina fenomeni di metamorfismo nelle rocce e attività sismica per l'attrito, ma nessuna formazione né distruzione di litosfera, per cui questi margini vengono detti conservativi. FAGLIE TRASFORMI Le faglie trasformi sono una categoria particolare di faglie, legate esclusivamente al movimento delle placche, distinte dalle faglie dirette, inverse e trascorrenti, presenti in ogni settore della crosta. Per la maggior parte sono quelle che suddividono le dorsali oceaniche in numerosi settori e sono tagli nella crosta che permettono lo slittamento in direzioni opposte dei due fianchi della dorsale durante l'espansione del fondo oceanico. Alcune faglie trasformi sono lunghe centinaia di chilometri e permettono lo slittamento una a fianco dell'altra di due placche che si muovono in direzioni opposte: esse costituiscono, perciò, un tratto dei margini che delimitano le due placche. FAGLIA DI SAN ANDREAS Un altro tipico esempio è la Faglia di San Andreas, tra la Placca del Pacifico e la Placca nordamericana. Il movimento reciproco fra queste due placche dura da milioni di anni e perciò le rocce presenti ai due lati della faglia sono di tipo molto differente e hanno diverse età. IL MOTORE DELLE PLACCHE Le differenze di temperatura esistenti all'interno del pianeta provocano l'instaurarsi di movimenti nel materiale del mantello. Le placche litosferiche, nei loro spostamenti, rispondono a questi movimenti. Lo studio delle variazioni di temperatura del materiale che costituisce il mantello ha permesso di individuare colonne di materiale caldo in risalita che corrispondono, in superficie, ai punti caldi. CORRENTI CONVETTIVE Il meccanismo che determina il movimento delle placche, partendo dall'ipotesi che esse vengano «trascinate» dai moti che coinvolgono i materiali del mantello, è il centro di una lunga discussione geologica. Si pensa che le zone con flusso termico più elevato siano dovute all'esistenza di correnti convettive nel mantello, cioè a spostamenti di materiale più caldo (e quindi meno denso) che risale da zone profonde, sostituito da materiale raffreddatosi in vicinanza della superficie (più denso), che ridiscende. Gran parte dei giganteschi volumi di litosfera oceanica fredda che scendono in subduzione arriva fino al nucleo, prima di riscaldarsi e di tornare in circolo. Contemporaneamente,
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