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Interpretazione dei testi della Letteratura Italiana- Masuccio e Bandello, Sbobinature di Letteratura Italiana

Sbobbine dell'intero corso tenuto nel secondo semestre (2023) dalla professoressa Figorilli. Analisi dei testi di Masuccio e Bandello, sbobbine complete

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 24/05/2023

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Scarica Interpretazione dei testi della Letteratura Italiana- Masuccio e Bandello e più Sbobinature in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LEZIONE 1 06/03/2023 Ci occuperemo delle novelle nel periodo dal 400 al 500. Il Decameron è il testo di riferimento per gli autori che studieremo. La novella è una forma letteraria molto duttile, molto elastica, che non ha dei contorni molto rigidi e questo ha permesso una serie di interferenze e contaminazioni tra i diversi generi. Non è un caso che la novella si trovi infatti all’interno di altri generi letterali. Ad esempio, all’interno dell’Orlando furioso, che è un poema cavalleresco, ci sono delle novelle. Non è difficile vedere la presenza di novelle all’interno di altri generi. Tra i generi letterali che più hanno rappresentato e costituito questo legame e interferenza con la novella dobbiamo annoverare il teatro, in particolar modo la commedia. La commedia nasce nel 500 e prenderà spunto da una parte dai modelli latini (come Plauto e Terenzio) dall’altra recupererà molte situazioni e personaggi dalle novelle decameroniane-Assistiamo ad una riconversione e adattamento teatrale della narrativa, in particolare delle novelle del Decameron. Dante, Petrarca e Boccaccio rappresentano le tre corone perché sono i grandi autori del nostro Medioevo, Boccaccio rx alle altre due corone sembra che abbia avuto successo minore ma non è così perché si tratta di vedere quali sono le opere che hanno preceduto il Decameron. Gli scrittoti di novelle hanno infatti come modello il Decameron. La fortuna nel decameron va rintracciata nel genere letterario della commedia. La novella resta un po’ al di fuori degli interessi teorici: il 500 è un secolo che si impegna molto sulla teorizzazione, nascono una serie di poeti di studi teorici sulla base della poetica di Aristotele infatti vengono definite le regole dei diversi generi letterari, in particolar modo sulla tragedia, sul poema epico). Sulla novella questi interventi teorici sono minori perché la novella viene considerata un genere meno nobile ed elevato, in ogni caso questi interventi sono piuttosto tardi e possiamo ricordare uno scritto di Francesco Bonciani che scrive “Lezioni sopra il comporre delle novelle”, che legge questo intervento nell’Accademia degli alterati di Firenze ma nel tardo 500 (1574). La caratteristica di queste pagine di Bonciani è che viene presa in considerazione solo la novella comica; nel 500 abbiamo notevoli esempi di novelle tragiche, ma Bonciani invece parla della novella comica, della novella di beffa. Bonciani sembra quasi non tenere in considerazione gli scrittori a lui più vicini (del 500), tutta l’esemplificazione che produce Bonciani infatti riguarda il Decameron. Dando più importanza alla novella comica si attribuisce alla stessa un fine preciso: quello di dilettare. Gli interventi teorici sulla novella dunque diventano interventi teorici che trattano del riso: teoria del riso e della novella ecco perché le due cose sono correlate. Bonciani Fa degli esempi dal Decameron di boccaccio, unica eccezione è costituita da una novella “Spicciolata” (tutte le novelle che non sono inserite all’interno di un libro di novelle -come il Decameron- prendono il nome di spicciolate, ovvero novelle singole). La spicciolata presa in considerazione è quella “del grasso legnaiuolo” che è una spicciolata del 400, (che sarà anche da riferimento per un'altra novella, quella di Anton Francesco Grazzini, quella di Bartolomeo degli Avvenuti); Bonciani prende spunto da un’altra opera che è il Trecento Novelle di Sacchetti. Bonciani sembra trascurare la parte tragica della narrativa rispetto ai suoi contemporanei. Gli interventi teorici sulla novella sono pochi, oltre alla lezione di Bonciani possiamo citare un altro scritto di Francesco Sansovino che scrive un “discorso fatto sopra il Decameron” che Sansovino premette a un’antologia di 100 novelle (1571). Altra opera che non è interamente dedicata alle novelle ma si parla di novelle, si intitola “il dialogo dei giochi che nelle veglie senesi si usano di fare” opera del 1572 di Girolamo Vardagli, e qui ogni tanto si parla di novelle. Sansovino, parecchi anni prima, nel 1542, aveva scritto delle lettere “sopra le 10 giornate del Decameron”. Sono dunque due gli interventi di Sansovino da ricordare, questo e quello del 1571 che è la prefazione dell’antologia delle 100 novelle e si intitola “Discorso sopra il Decameron”. Il contributo più interessante di Sansovino è stato quello di mostrare attenzione per gli aspetti narrativi, per gli intrecci del Decameron perché invece durante il 500 un attenzione particolare era stata dedicata alla lingua del Decameron. Sansovino sosta l’interessa dalla lingua agli interessi e alle trame. L’interesse per la lingua era legato al nome di Pietro Bembo che aveva lodato anche lo stile del Decameron, infatti per Bembo, il Decameron diventa modello della scrittura in prosa, così come Petrarca era modello di riferimento per la scrittura in poesia. Dobbiamo fare delle precisazioni: Bembo non “salva” tutto il Decameron ma fa una bella selezione: propone come modello solo alcune parti del Decameron cioè le parti della cornice (le parti in cui si racconta la storia dei ragazzi, della brigata) e poi le novelle con uno stile più elevato cioè le novelle della IV giornata e le novelle della X giornata. Per quanto riguarda “Il dialogo dei giochi che nelle veglie senesi si usano fare” di Bargagli, l’interesse deriva dalla particolare fruizione che viene fatta nel Decameron dalle donne. Le donne prediligono una linea del Decameron ben precisa: i racconti d’amore, erotici e patetici. Sono interessanti queste letture rispetto a Bonciani che si era tutto concentrato sulla novella comica, in Bargagli infatti ci sono altri gusti, ad esempio quello femminile. La genesi della novella; come nasce la novella? cosa c’era prima della novella? Abbiamo detto che a differenza di altri generi, quello della novella non ha molti interventi teorici, non ci sono molte attenzioni da parte degli studiosi, ecco perché forse la novella è un genere così aperto e fluido. Prima del Decameron che cosa c’era? Boccaccio con il Decameron fa un recupero di elaborazione di tantissimi materiali narrativi fra i più disparati e diversi che circolavano. L’unico elemento che accomuna i materiali è la brevità, per questo trattiamo di narratio brevis, testi brevi che ci sono giunti in manoscritti che non sono particolarmente curati e in cui si raccolgono testi di natura completamente diversa: possiamo trovare testi anche di carattere religioso, narrativo, osceno, comico, profano. Il fatto che questi codici manoscritti non sono curati, ma testi affastellati senza ordine, sembrano messi lì a caso, ci indica che erano considerati una letteratura di tipo più basso e popolare. Entriamo nei dettagli: innanzitutto circolavano tanti racconti e storie delle vite dei santi, tutta una serie di materiali che prendono il nome di agiografia; circolavano le Passiones che si costruiscono intorno all’imitatio Cristi; queste sono state raccolte in opere che prendono il nome di Legende: la più nota è la Legenda aurea di Iacopo da Varrazze (siamo nel 1260), viene considerata una sorta di raccolta della cristianità in cui si trovano tutte le storie che, appunto, fanno parte della narrativa “cristiana”. Già con la Legenda aurea è avvenuto un processo di letterarizzazione: una serie di materiali che prima avevano solo una funzione didascalica e didattica, cominciano ad avere una funzione letteraria e di intrattenimento. Oltre alla lettura agiografica, un’altra forma che ha più influito sulla novella è l’exemplum (plurale exempla): anche in questo caso assistiamo a un lento processo di letterarizzazione perché all’inizio l’exempla faceva parte delle prediche degli ordini monastici, come i francescani e domenicani che favevano largo uso di exempla. Col passare degli anni anche questo genere avrà funzione letteraria Una cosa interessante è che era invalso da parte dei predicatori di abusare di questi racconti: questo ce lo dice sia Dante che Boccaccio. Dante nel canto 29 del paradiso v94 in poi dimensione autoriale, e poi il di bel parlar gentile indica lo stretto legame tra racconto e arte della parola (ars narrandi-ars loquendi, una delle caratteristiche fondamentali della novella). Il novellino segna la nascita del genere letterario della novella. Questo genere viene codificato per poi diventare modello per i narratori successivi. Il motto è molto importante, soprattutto nel Decameron perchè permette di uscire fuori da una situazione complicata.Non a caso Boccaccio dedica una giornata appositamente al motto. Il raccontare, infatti, permette di passare il tempo sottolineando l'importanza del potere della parola. Boccaccio può essere considerato infatti parodico, in quanto ha fatto una trasformazione, un adattamento di un testo che viene usato poi diversamente. C'è un passo nel proemio dove Boccaccio dice di voler raccontare 100 novelle; ciò ha creato problemi perchè sembra che L'autore utilizzi dei sinonimi. Boccaccio non vuole usare però questi termini come sinonimi, infatti vi è consapevolezza, in Boccaccio, della diversità narrativa. Le parabole sono da ascrivere agli exempla( favole= fableaux, storie = dove è evidente la componente storica). Boccaccio vuole nobilitare questo genere letterario che era considerato di serie b; fondamentale per fare ciò è il formato del libro: abbiamo infatti un manoscritto autografo HAMILTON 90. Questo codice presenta delle caratteristiche tipiche dei libri universitari, questo per lui era una controprova ovvero sinonimo del fatto che si trattava di un trattato importante. Altra caratteristica che rientra nel suo progetto di nobilitare questo genere letterario è la struttura, prettamente geometrica( vi è la divisione in giornate, numeri precisi di novelle e narratori,recupera lo schema orientale della cornice,crea una zona extra adiegetica ovvero quelle parti del discorso in cui Boccaccio parla in prima persona.) Boccaccio ricorre alla finzione di una narrativa di secondo grado perchè non è l'autore a narrare ma i componenti della brigata; i suoi spazi sono il proemio, l'introduzione alla quarta giornata e le conclusioni. L'opera di Boccacco è inoltre rivolta alle donne anche se ciò non deve essere preso alla lettera perchè le donne istruite ai tempi erano poche (appartenenti alle classi nobiliari). Un elemento che indica in Boccaccio l’impegno di presentare un’opera letteraria è la simmetria, una struttura molto rigida, e inoltre il fatto di aver fagocitato tutta la letteratura contemporanea e di averla riportata nella propria opera. Quando poi diventa amico con Petrarca (come dicono alcuni critici) approfondisce i suoi interessi nei confronti dei classici. Inserisce poi un proemio che evidenzia la volontà di esibire l’autorialità (Boccaccio dichiara le sue intenzioni e i destinatari). Si apre con uno squarcio autobiografico (ricorda di aver sofferto in gioventù per amore) → questo tipo di amore non è l’amore che vuole esaltare, ma è un diverso sentimento, quello per cui non si perde il controllo si sé. Boccaccio racconta di questo suo amore sbagliato perché eccessivamente ardente e non controllato e ricorda come sia stato aiutato dagli amici, dai “piacevoli ragionamenti” avuti con esso → proprio per questo sente di dover fare qualcosa per manifestare la sua gratitudine. Ma chi è che ha bisogno di consolazione? Le donne, ma non tutte, le donne innamorate. Nelle conclusioni l'autore mette in risalto il tipo di letteratura che vuole fare: una letteratura da giardino. Le accuse che gli rivolgono, di essere immorale, di trattare cose non importanti, sono irrilevanti poichè ogni letteratura ha il suo intento e quello di Bocaccio è di alleviare delle pene amorose. Rispetto al Novellino, il Decameron è più lungo; importante è poi l’invenzione dell’allegra brigata: Boccaccio immagina che siano i dieci ragazzi a narrare le novelle, e questo schema non è invenzione del Decameron in quanto Boccaccio stesso l’aveva sperimentata nelle opere del periodo napoletano (uniscono cultura mercantile e cultura cortese), per esempio in una parte del Filocolo (romanzo in prosa) nel quale codifica anche l’ottava rima (rima dei poemi epico-cavallereschi, in Ariosto e Boiardo, ma anche nella Gerusalemme liberata). Legame tra il raccontare e la morte: preso dalla narrativa orientale (come le MIlle e una notte), in cui ci si salva dalla morte raccontando una storia. Ciò consente la continuità dei racconti (per potersi sottrarre al pericolo). Decorum→ Boccaccio insiste su onestà e decoro della brigata; questi ragazzi anche se sono soli in campagna si danno delle regole perché ci vuole il giusto mezzo. Nel proemio e nell’intro della 4 giornata Boccaccio parla in prima persona e si difende dalle accuse che gli erano state rivolte. L’operato diegetico si conclude proprio con la conclusione dell’autore, con cui Boccaccio difende la sua opera e divide i diversi luoghi di produzione della cultura: • il giardino • la chiesa • gli studia dei filosofi Ciascun luogo avrà una sua letteratura specifica, e la sua opera si legge nei giardini (inutile quindi accusarla di leggerezza perché non si legge in chiesa o negli studia). Ma è anche un’opera morale, che veicola la filosofia aristotelica. Un’ultima cosa da tener presente è appunto quella del giardino come locus amoenus: una prima descrizione di esso c’è nella seconda parte, quando i ragazzi lasciano Firenze, arrivano ad un primo palazzo e qui il giardino diviene simbolo della comunicazione letteraria, lo spazio della letteratura. Altra celebre sua descrizione è nell’introduzione alla III giornata, dove c’è la descrizione del “giardino paradiso” quando i ragazzi si spostano in un’altra parte della campagna e quindi in un altro giardino. Ultima descrizione è nella conclusione della VI giornata, quando le ragazze fanno una gita alla valle delle donne, dove c’è un laghetto dove loro fanno un bagno (purificazione delle donne della brigata). Nel decameron è evidente un' etica tomistica ( commento di san tommaso). Fondamentale è il senso della misura: non ci si abbandona agli eccessi, ci si comporta seguendo l'etica Aristotelica sebbene ci siano anche dei legami sentimentali tra loro; i ragazzi sapranno governarsi e autoregolarsi. Tutto ciè emerge nella decima giornata dove risaltano: il sapersi regolare, la magnaminità, la continenza ecc. Il Decameron, avendo una sua struttura geometrica, guarda in qualche modo a Dante; alcuni studiosi l'hanno visto in un percorso ascezionale, parte da un inizio orrido con la questione della peste e si finisce con la novella di griselda che è un'immagine mariana, cristologica. Questo percorso ascenzionale allude alla Divina Commedia, come una salita al paradiso ma negli ultimi anni questa ipotesi non regge. Dietro quest'opera vi è celato un progetto tanto etico quanto estetico, fondamentale risulta essere infatti per il Decameron l'etica di Aristotele. C'è per Boccaccio un altro codice fondamentale che viene conservato a Milano ovvero l'etica aristotelica tradotta con l'aagiunta di una serie di postillie.Questo codice ci permette di sapere che Bocaccio era conosciuto anche nell'etica aristotelica e per lui fondamentale è tstao inoltre il commento di San Tommaso. Nel Decameron quindi è presente un'etica Aristotelica Tomistica. La presenza di Aristotele si vede sia nella cornice sia nelle novelle della decima giornata. Anche i novellatori seguono una visione improntata sulla misura: ecco l’etica aristotelicaàbisogna evitare gli eccessi, la misura sta nel mezzo. La brigata nel Decameron si comporta avendo come punto di riferiemento l'etica, nessuno commette degli eccessi nonostante siano soli e giovani, si danno delle regole di vita. Nella X giornata si parla di virtù come magnanimità, regalità, magnificenza, continenza, sapersi regolare (eco Aristotelico). Nella novella X della Vi giornata c’è Carlo d’Angiò che si innamora di due sorelle, vorrebbe tutte e due ma poi c’è il consigliere che gli fa capire che incorre ad un pericolo in quanto re e si macchierebbe di infamia. Il re capisce che il suo consigliere ha ragione e c’è una sorta di psicomachia (combattimento con sé stesso) e fa un grande sfoggio di continenza e temperanza. Non solo decide di reprimere il suo amore ma le da una grande dote a queste due sorelle. Renzo Bragantini il più importante studioso di novelle e del Decameron dice che questo libro è stato considerato un libro di puro intrattenimento ma in realtà è un libro “civile”, un trattato di morale che prende la forma di novella. C’è una lettura ascensionale dell’opera: il Decameron è un libro che ha una sua geometria e attentamente costruito; Boccaccio guarda a Dante in ciò e alcuni studiosi hanno visto questo come un percorso ascensionale. Si parte con quello che Boccaccio chiama l’orrido cominciamento (peste) e si finisce con la novella di Griselda che chiude il libro di Grisella è Vista come un’immagine mariana. Questa visione è stata contestata negli utimi anni: ma in realtà non c’è un rapporto ascensionale come nella divina commedia perché c’è una varietas. Tutti gli studiosi concordano nel dire che sia un libro che da importanza alla filosofia morale. Abbiamo una cornice quindi molto complessa. Cosa succede nella stagione post boccacciana? Siamo nel tardo 300: la cornice subisce una sorta di regressione, ossia o scompare del tutto (come nel caso di Franco Sacchetti che parla in prima persona.) oppure è mantenuta ma è depotenziata, nulla a che vedere con quella di Boccaccio (ricordiamo Il novelliere (300-400) di Giovenni Sercambi, scrittore lucchese; un'altra opera bolognese: Le porretane (400) di Sabatino degli Arienti). Esempio è la novella spicciolata, che si sviluppa su due filoni distinti: • spicciolate in latino, scritte dagli umanisti; Petrarca traduce la novella conclusiva del Decameron; E' vero che Petrarca mostra una sorta di disatcco nel Decameron, per dire che è un opera non molto importante, anche se non sappiamo se sia vero perche l'autore prende l’ultima novella del Decameron e la riscrive in latino, ovvero quella di Griselda e del Marchese di Salluzzo (X giornata) ma poi si discosta dall’originale perché Petrarca la riscrive in una prospettiva più religiosa, Griselda diviene quasi una figura mariana; è Bandello il padre della novella epistolare, ogni novella ha un’epistola prima della sua realizzazione. Per quanto riguarda la traduzione del Decameron, altri umanisti traducono in latino altre novelle come Leonardo Bruni che traduce in latino la prima novella della Iv giornata. Il capolavoro della spicolata umanistica in latino del 400 è l’ Historia de duobos amantis di Enea Silvio Piccolomini; anche qui non abbiamo un singolo racconto ma abbiamo delle lettere che si scambiano all'interno della narrazione i due innamorati. spicciolate in volgare. Importante è il Belfagor Arcidiavolo (Machiavelli): si apre con un concilio infernale che deve capire per quale motivo i mariti scappano dalle donne e mandano un diavolo sulla terra ad indagare. Il diavolo sposa Onesta, una donna fiorentina, ma subito il lettore capisce che si tratta di un nome antifrastico (è avida, vanitosa ecc..). Riduce in povertà il povero marito diavolo che ha contratto molti debiti ed è inseguito da moltissimi successo e fu tradotto in diverse lingue. I novellieri 500eschi eliminano l’elemento edonistico/licenzioso del Decameron, anche per la tendenza dovuta al clima controriformistico, principalmente grazie all’operazione fatta da Bembo (che indica il Decameron come alta opera a livello linguistico, ma che fa una rigida selezione nel suo Decameron, prediligendo novelle tragiche e eliminando le novelle più basse)--> poi il comico e la beffa sopravvivono ma si arroccano in toscana, mentre nell’Italia settentrionale si perde l’interesse per il comico e la novella si apre al tragico (che può essere declinato anche sul macabro, sull’orrorifico→ come in Giraldi Cinzio, ,mentre grazzini ha il gusto per il violento, per l’eccessivo e l’abnorme). LEZIONE 3 8\03\2023 Nel saggio la tradizione novellistioca di Renzo Bracantini all’inzio mette ben in evidenza delle questioni: si tratta di una produzione molto rigogliosa (abbiamo tante opere) e dopo Boccaccio c’è una regressione della novella, ovvero le opere ci sono tramantete da pochissimi manoscritti e in alcuni casi da un unico manoscritto. Abbiamo un'altra caratteristica: spesso le opere non sono compiute. Questi due aspetti caratterizzano la produzione: pochi manoscritti oppure opere non portate a termine. Tra i testi non conclusi: il tecento novelle di Sacchetti e le novelle di Giovanni Sercandi e passsando al 500 i ragionamenti di Firenzuola, a metà 500 le Cene di Doni. Spesso possiamo notare che i titoli non sono dati dagli autori ma sono date successivamente. Filebo di Platone: interessante per la novella. C’è l’idea che il riso nasca quando non si conosca se stesso, e dunque ci si può ingannare: • Sui beni • Sul corpo • Sulle virtù Dallo scarto tra ciò che si è e ciò che si presume di essere nasce il riso Esempi 300eschi: Il Pecorone→ Sergio Vanni fiorentino, non ha identità precisa ma ancora non ci sono dati definitivi. E’ una raccolta di 50 novelle con esile cornice, data dalla presenza di due personaggi tra cui Auretto (che si fa frate per la presenza di una suora, Saturnina e i due iniziano a raccontare una storia ciascuno). C’è un’anticipazione al Mercante di Venezia (Shakespeare entrò a contatto con quest’opera). Ciò non significa che Shakespeare conoscesse Pecorone. Questa raccolta è stata stampata a Milano nel 1558 ed è probabile che l’autore inglese non lo lesse, ma che vi entrò a contatto tramite il Bandello→ nell’edizione milanese di Bandello del 1560, stampata da Ascanio Centorio, figurano delle novelle tratte dal Pecorone, ma come se fossero di Bandello. Queste novelle traggono poi i soggetti da opere reali, come nel caso dei Chronica di Giovanni Villani→ che rientra nelle storiografie del 500, e le croniche erano tipiche del periodo. Esempi 400eschi: Franco Sacchetti( 1385-1400)→ 300 Novelle, non c’è cornice, e la sua caratteristica è quella della mancanza dell’espediente che a narrare siano altri rispetto all’autore (infatti sono narrate in prima persona, e Sacchetti ci tiene a presentarsi come testimone oculare, sottolineando come le store che racconta siano vere). Sono novelle di ambientazione mercantile, raramente con personaggi aristocratici. C’è forte moralismo, affidato ai commenti dell’autore stesso, cosa che sarà ampliata da Masuccio Salernitano (e cosa assente nel Decameron). Altro aspetto è la critica della corruzione del clero→ sempre ripreso da Masuccio. Giovanni Sercambi(300-400)→ autore toscano, la cui principale attività fu quella di Storico (scrisse delle croniche). Le sue novelle sono exempli→ la sua raccolta è di 155 racconti che però è incompleta. La cornice è depotenziata e itinerante (poiché i personaggi della cornice si spostano di località in località). Non viene recuperata la strategia letteraria della finzione dei giovani narratori Giovanni Gherardi Prato→ Il paradiso degli alberti: c’è rimasto un autografo, la sua opera è incompiuta e c’è un riuso di Dante ma anche dei Triumphi di Petrarca. C’è anche Boccaccio, ma non il Decameron ma del Filocolo. C'è la dilatazione della cornice che diventa spazio della civile conversazione (diegesi). Gentile Sermini→( di aria Senese) Il Novelliere, è un’opera composita, di 40 novelle + 36 componimenti poetici (esempio fornito dal Decameron, definito anche prosimetro).C'è anche una lettera dedicatoria e un componimento in prosa. E' una raccolta che mescola generi letterari diversi. Il narratore più potente del periodo però è Masuccio Salrenitano (ultimo scorcio del 400). Esempi 500eschi: Agnolo Firenzuola, che non scrive solo i Ragionamenti(1525) opera incompiuta ma anche la prima veste dei Discorsi degli Animali, che è una traduzione di un’opera indiana, chiamata Tanciatantra (5 libri del tantra), in cui i protagonisti sono animali (ripresa del genere esopico). Straparola: Le piacevoli notti, di cui ci sono due edizioni. La caratteristica è che alla fine di ogni racconto vi è un enigma. Hanno avuto grande successo e lo ricordiamo perchè rappresentano l'archetipo della variante della novellistica che è l fiaba. Questo libro è tradotto in diverse lingue come era successo per Bandello. Giraldi Cinzio: Ecadonniti (100 raccolti). La caratteristica è che presenta molte lettere di dedica a diversi personaggi ma inserisce anche al centro dell'opera dei dialoghi civili. Egli voleva scrivere una sorta di Decameron controrformato. Riutilizza l'orrido cominciamento (sacco di Roma). La brigata si mette in viaggio per Marsiglia, ed era completamente una brigata maschile; ciò rappresenta un distacco dal Decameron che era prettamente una brigata femminile e inoltre il personaggio principale è un uomo di una certa età a differenza dei giovani del Bocaccio. La morale è improntata sulle regole della controriforma. L'hotello di Shakespeare prende spunto proprio da una novella di questo autore. Inoltre Giraldi scrive dei drammi; alcuni suoi testi hanno la versione sia in novella (Orbecche e Epizia) che in tragedia . Introduzione al Novellino: Il Novellino ha una stampa princeps del 1476 (stampa napoletana perduta), poi 1483 (milanese), che deriva dalla princeps, e poi nel 1484 esce un’altra edizione milanese. Ci sono poi molti frammenti (2-3-21-31) delle novelle, conservati in codici della Nazionale di Firenze e nella Riccardiana. Questi manoscritti sono stati studiati da Petrocchi, che fece un’edizione critica. Il Novellino è l’opera più importante del dopo Boccaccio/Bandello, e con esso assistiamo con un’allargamento della materia narrata, perché non prevale più la novella di tipo toscano (con la beffa e il comico), in quanto Masuccio opera in un’altra area geografica (da Salerno, dove operava la corte aragonese, e infatti le novelle devono assecondare un pubblico diverso, cortese; ci sono novelle tragiche→ il tragico masucciano si associa ad un gusto per il patologico e per il deforme, oltre che per le passioni smisurate che generano altrettante reazioni). La prima decade del Novellino è dedicata alla denuncia del clero; c’è poi il tema della misoginia. Il Novellino ha una struttura curata: a livello formale si mette in evidenza l’uso dell’epistola, in dittico, usata come epistola dedicatoria per un personaggio della corte aragonese, che è abbinata alla novella, consuetudine che risale a Petrarca (XIV Senili). C’è poi un prologo e un testo di chiusura, con cui Masuccio chiude il suo testo, “Parlamento dell’Autore al Libro suo”. L’opera è divisa in 5 decadi: • Racconti che evidenziano la corruzione del clero • Inganni che si usano in amore • Decade Misogina (le donne sono viziose) • Storie d’Amore a lieto/tragico fine • Gesti di magnificenza dei principi e si raccontano storie d'amore Ogni novella ha una struttura particolare: una rubrica (che si chiama “argomento” che è una sintesi del contenuto), la lettera dedicatoria (“esordio”) e poi c’è la “narrazione”. Infine c’è il commento dell’autore che prende il nome di “Masuccio”. Dedica prima parte: Novellino dedicato alla figlia del Duca Sforza Ippolita (figlia di Bianca maria visconti, e sposa Alfonso d’Aragona duca di Calabria e poi re) innamorata dei codici manoscritti e a stampa (che collezionò in una biblioteca di pregio). E' una donna molto interesante; in questi anni le donne colte che avevano accesso agli studi facevano parte dell'aristocrazia. Ippolita era una donna che amava lo studio e allestì una biblioteca. C'è un formulario encomiastico: c'è una contrapposizione tra la dedicataria che viene inalzata e c’è il topos dell’abbassamento (deminutio suis→ topos modestiae, masuccio diminuisce il valore della sua opera). Inclita→ illustre, nobile, è un latinismo insieme a eccelsa Subito c’è l'abbassamento della sua opera, paragonata ad una bassa e roca lira. Definisce il suo ingegno grosso, non raffinato, così come la mano è pigra e rozza, ma le novelle sono autentiche storie approvate, fatti realmente accaduti sia in tempi più antichi che moderni→ Masuccio aveva già composto quelle novelle e probabilmente il progetto di raccoglierle viene dopo (probabilmente come spicciolate rivolte a importanti personaggi). Libretto e novellino: indicano nuovamente un abbassamento, un qualcosa di poca importanza. Lei è fine e delicata rispetto a lui, e proprio grazie alla sua finezza letteraria è la chiave per rendere aggraziato il testo di Masuccio per poi inserirlo tra i libri di pregio della sua biblioteca. Inizialmente Masuccio non era convinto di dare la sua opera a Isabella, e quindi spiega la sua decisione: è stato pesuaso da un fatto che gli era capitato. da dovero→ adesso racconterà l’aneddoto realmente accaduto a Salerno, una facezia di valore esemplare che si conclude con un motto. Nel mentre regnava la regina Margherita (moglie di Carlo III d'Angiò), a Salerno c’era un mercante genovese molto ricco e famoso in tutta Italia, messer Guardo Salugio. Egli (mentre Masuccio descrive il quartiere di Salerno in cui c’erano i banchi dei mercanti chiamata Drapperia→ descrizione realistica del tempo) vede ai piedi di un povero sarto una moneta (un ducato veneziano). Questa moneta era ricoperta di fango, ma il mercante ricchissimo che conosceva le monete preziose la individua, si china e la raccoglie. Il sarto reagisce con rabbia e dolore, e maledice la giustizia divina che non è Inizia dicendo che molti secolari spesso cercano, per acquistare maggiore reputazione e per mostrarsi più virtuosi e dotati di virtù, di far vedere che sono legati a dei religiosi e dialogano molto con loro. La funzione di Masuccio è di dimostare che questi religiosi sono pieni di vizi. Masuccio affermo di essere continuamente morso e lacerato da questi. La critica gli aveva rivolto accuse come se lui non sapesse scrivere altro che non riguardasse i frati( per accusarli e polemizzare su di loro). I frati si difendono dicendo che può esserci qualche frate vizioso, ma altri sono virtuosi e si comportano bene seguendo le loro regole. Perfidiare = ostinano a credere. Scelestus= scellerato; latinismo. Soffiato= calunniato Di nuovo si insiste sulla verità, non è lui che si inventa cose su di loro per denunciare la corruzione, ma sono le loro stesse azioni che dimostrano quello che sono e quello che Masuccio dice, e lui sarà lodato da coloro che sono amanti del vero. Commendato = lodato da coloro che sono amanti del vero. Graziosissimo non ha il suo significato attuale, ma indica che mostra grazia verso gli altri. Masuccio fa una similitudine con il mondo militare. Negli eserciti basta che ci sia un solo soldato codardo per causare delle sconfitte e perdite, la stessa cosa avviene con i frati, ne basta uno malvagio e corrotto a provocare una grande rovina. Arriva a dire: possa Dio distruggere il purgatorio perché proprio in virtù della credenza del purgatorio i frati fanno il mercato delle indulgenze, non potendo vivere delle elemosine devono tornare a zappare (posizione ideologica del conservatore nei confronti di queste persone di umili origini). Si rivolge ad Alfonso che chiama dio terreno e dice che si vuole trattenere dall’accusarli genericamente, ma vuole concentrarsi su una figura particolare e insiste sul fatto che sia una storia vera: un frate predicatore domenicano molto stimato che aveva beffato una fanciulla dell’Alemagna. Alla fine dirà che non parlerà male dei frati ma parlerà male di un'unica persona (un domenicano) che ingannò le ragazze della Germania. Vi è una metafora spesso usata da Masuccio per indicare i frati che si lasciano andare alla frode e ingannano il prossimo, si tratta di una metafora animale; spesso i frati sono paragonati ad animali che hanno un’immagine negativa, in questo caso la volpe e in altri casi si tratta di paragoni con lupi e avvoltoi. Narrazione I frati sanno ingannare e manipolare le persone per ottenere favori sessuali e materiali. La novella è ambientata in Germania, ma la situazione è italiana, lo fa quindi solo per motivi prudenziali. Questa novella è in forma breve di facezie ed è presente anche in un dialogo di Pontano dal titolo Caronte. Pontano è un’umanista importante dell’umanesimo napoletano, non abbiamo notizie sufficienti a capire chi abbia scritto prima dei due. Alcuni studiosi ritengono che se fosse stato Pontano a scrivere per prima Masuccio avrebbe fatto riferimento e lo avrebbe considerato come un fatto che garantiva ancora di più l’autenticità del racconto. Quindi è probabile che sia Masuccio a scrivere e poi Pontano l’abbia sintetizzata e scritta in latino. Masuccio cerca di convincere la corte Aragonese a non avere rapporti stretti con il clero. Invece la corte sosteneva e appoggiava il clero. Proprio Alfonso d’Aragona aveva contribuito alla canonizzazione di San Bernardino da Siena, uno dei più importanti predicatori del 400, faceva parte dei l’ordine mendicante dei frati minori che era una costola formatasi dai francescani, rappresentavano la parte più rigoristica. Per la novella dobbiamo tener conto due aspetti: la situazione filologia à è una novella con una redazione manoscritta e la lettura della versione manoscritta è molto utile, perché per quanto riguarda l’interpretazione del frate, mentre nella versione a stampa la persona è anonima, in quella manoscritta è individuata precisamente. Per motivi prudenziali e non incorrere nella censura Masuccio aveva dovuto tacere il nome; poi l’altro è di ordine letterario: sono tanti i testi con cui Masuccio dialogo in questa novella. L’operazione di Masuccio è di una riscrittura parodica della letteratura agiografica. Vi è ''unicamente'' in forma avverbiale. Masuccio vuole sottolineare la singolarità dei personaggi. La protagonista è Barbara che da ragazzina decide di consacrare la sua vita a Dio. Questo passaggio della novella è scritto proprio tenendo a mente questa letteratura, queste vite delle Sante (abbiamo citato la leggenda Aurea di da Varrazzo. Ma anche un’altra opera è lo Specchio di Vera penitenza di Jacopo Passavante, Novella VIII della V giornata Decameron è una riscrittura di un exemplum narrato da Jacopo Passavante), e due novelle del Decameron: la II della IV giornata: Frate Alberto e Lisetta, e X della III che è di Rustico e Alibech. Frate Alberto per possedere una donna di cui è invaghito finge di essere l’agnolo Gabriello; invece l’altra novella è la novella in cui viene rappresentata un’altra giovane ragazza che è Alibech che è musulmana e sente parlare del cristianesimo e decide di trovare il modo di mettersi al servizio di Dio e intraprende un viaggio nel deserto per cercare di entrare con gli asceti che avrebbero potuto consigliarla, ma si imbatte in Rustico che non resiste alla tentazione della carne e fa credere ad Alibech che l’atto sessuale sia un modo di servire Dio perché è un modo per rimettere all’inferno il diavolo. Un altro testo di Boccaccio è una biografia del De mulieribus claribus (repertorio in cui si raccolgono molte biografie di donne illustri dall’antichità) uno dei capitoli è dedicato a Paolina che è una donna romana, sposata e fedele al merito e aveva il culto per il dio Anubi e c’era un uomo che si era innamorato di lei e per possederla si finge il dio. Torna il tema della vergine persuasa di essere amata da un’entità divina. La novella si apre con il riferimento all’approvata verità si racconta di come negli anni passati – verità e coordinate temporali – c’era il duca di Alemagna Lanzhueta che aveva una sola figlia di nome Barbara. È elemento della novellistica più diffuso, non riguarda solo Masuccio, i racconti sono veri. Questa storia è presente anche in un testo di Pontano (ved. Lezione precedente). È importante tenere a mente che la novella è ambienta in Germania tra i baroni tedeschi, ma gli interessano gli aragonesi. 3) c’è questa ripetizione di unica. L’autore dice che dalla puerile età si era dedicata sempre alle cose Sacre, e all’età del matrimonio decise di votarsi a Dio. Masuccio mette in dubbio la vocazione di Barbara, aggiunse che questa vocazione era mossa forse da una smania infantile e questo si dice anche in Alibech; anche lì si mette in evidenza che questo viaggio era intrapreso come atteggiamento infantile. C’è la classica ragazza di buona famiglia molto ricca e lei decide di consacrare la sia vita a Cristo e di mantenersi casta e vergine, qui c’è l’allusione alla letteratura agiografica. La definisce «santolina» e lo fa con malizia e ironia alla luce di come andrà a finire la novella. Si riproduce lo schema di vita di Sante: quanto arriva all’età di marito, deve rivelare ai genitori che non vuole sposarsi e consacrare la sua vita a Dio. La decisione fu accolta agramente, di mal animo. All’inizio provano a dissuaderla anche con minacce, ma poi accettano anche se a malincuore e con dolore. Barbara, manifestata la sua volontà, aveva fatto un altare nella sua camera e digiunava. M a s u c c i o r e c u p e r a c o s ì f a c e n d o g l i s c h e m i d e l l a l e t t e r a t u r a a g i o g r a f i c a àriferimento ai digiuni, a ciò che avvilisce il corpo e continue preghiere, sempre allusione agli schemi delle vite delle sante. Le azioni di Santa di Barbara si diffonde subito per tutta la Germania e arriva fin in Italia e una serie di uomini del clero come sentono l’episodio decidono di recarsi a casa di Barbara con diverse cagioni, pretesti, per trarne dei vantaggi. Siamo nella decade della satira anticlericale e il registro è quello del biasimo àC’è una similitudine dei frati con il mondo animale: i lupi che si gettano sul cadavere che emana cattivo odore allo stesso modo i frati corsero dalla giovane e questo per mettere le mani sui beni della ricca famiglia. Masuccio decide di non svelare l'identità di questo frate( uno studioso Petocchi gli ha attribuito successivamente un nome e un cognome) Tra questi, parla di un poltrone frate, non ci dice se italiano o tedesco, non vuole dire chi è ma dice che era domenicano. Dà una descrizione del frate, godeva di una grandissima reputazione di predicatore, ma lui lo smaschera dice che era un ciarlatano e lo paragona quindi a queste figure. L’autore fa riferimento al fatto che questi predicatori si avvalevano delle reliquie che i fedeli consideravano vere( becconi= creduloni), ma Masuccio false. (Frate Cipolla Decameron). Il domenicano esibiva il coltello che aveva ammazzato san Pietro e altre coselline (è sempre ironico) di San Vincenzo che è dell’ordine dei Domenicani e secondo anche quello che credevano i fedeli faceva dei miracoli. Mauccio attacca sia i frati sia gli uomini che si fanno facilmente abbindolare. Nella redazione manoscritta questo personaggio ha un nome: è Fra Giovanni da Pistoia. Nel Novellino è citato anche all’inizio della novella XXVI. Ci sono rimaste biografie 500 di Fra Giovanni che confermano questi dettagli che ci dà Masuccio, che era molto stimato come predicatore, sappiamo che aveva soggiornato anche a Salerno e quindi Masuccio sicuramente lo aveva ascoltato e conosciuto, il riferimento è preciso e vuole colpire questa figura del predicatore che è realmente esistito. C’è il topos letterario della scrittura anticlericale, ma c’è un riferimento ben preciso, Masuccio credeva che la loro presenza fosse pericolosa anche per la corte aragonese. Il narratore risulta essere molto esplicito: rivela subito l'innamoramento del frate. La stessa Barbara sente parlare del frate e gli chiede di recarsi da lei. Il frate è colpito subito dall’aspetto fisico di Barbara, che aveva fattezze bellissime, anche lui Masuccio lo descrive come giovane e robusto, e si stava facendo assalire dal desiderio. In tutta la novella si mette in evidenza la retorica del frate che punta sull'inganno. Questi avverbi, come subitamente, tornano subito, indicano qualcosa d’improvviso. Ce lo descrive come un desiderio molto forte. Il frate finge di lodare la decisione della donna parole ornate, ma il suo obiettivo che era quello di possedere la ragazza. Ornate parole fa riferimento all’arte della retorica. Le elogia dicendo che serviva come modello ad altre fanciulle. Barbara lo elegge come sua guida spirituale e confessore e lui le dice di ritirarsi in un convento con altre vergini così il suo esempio poteva servire anche per convertire altre giovani ragazze. 20) latino da spondere che vuol dir promesse. Vista la ricchezza dei genitori il primo consiglio del frate fu di far costruire un grande monastero intitolato a Santa Caterina da Siena dove altre ragazze dell’aristocrazia tedesca si chiusero. L’autore mette in evidenza il Giglio è simbolo dell’organo genitale femminile, ma anche della castità, la blasfemia continua. All’interno dell’andamento diegetico Masuccio inserisce il commento del narratore che lascia immaginare al lettore quello che avviene: si allude al fatto che non sarà un atto sessuale unico, ma si ripeteranno. La scoperta della giovane vergine che non conosceva l’atto sessuale e che apprezza ci riporta alla novella X della III giornata di Alibech e di Rustico. Anche Alibech capisce che servire dio( avere un rapporto sessuale) è la cosa più dolce che sia mai esistita al mondo. Si tratta di un inganno da parte dall'eremita perchè le viene fatto credere che viene fatto qualcosa di religioso(mettere il diavolo all'inferno). I due continuano a vedersi finché Barbara rimane incinta. Il frate capisce che è il momento di andarsene in quanto si spaventa della cosa. Le fa credere di lasciare la Germania di recarsi dal papa per comunicare l’arrivo del santo bambino e prepararsi così ad accoglierlo e le fa credere che sarebbe tornato. La donna era stata fino a quel momento super pura e ingenua; Ritorna la vana gloria di Barbara, lei si sente santa e beata. 54) pastucci in senso metaforico: metafora sessuale. Masuccio lascia aperto il finale: il frate lascia la Germania e ci dice che continuerà con questi suoi atti e continuerà ad ingannare il prossimo. Questo finale non punito lascia una luce ancora più sinistra. Nel caso di Lisetta e Alberto il frate è punito orribilmente, qui invece si lascia volutamente aperto. Dice solo che frequentare i frati porta a questo. La novella termina in modo esemplare e vuole allertare gli Aragona e far capire quanto possano essere dannosi i frati e cosa succede se li si frequenta. C’è un’incongruenza con la rubrica.Il narratore su quello che succederà a Barbara, invece, non dice nulla. Nella rubrica dice che il padre la marita bassamente(uomo non all'altezza della sua famiglia aristocratca), era stata disonorata, mentre alla fine della novella non dice che fine farà Barbara, non dà altre informazioni. Ci sono stati dei cambiamenti ma non adegua ad essi le vicende. Nella versione manoscritta si parla anche del fatto che il Duca fa uccidere tutti i domenicani presenti nel suo dominio. Masuccio insiste sull'inganno e sulla punizione dei frati che si mettono d'accordo con persone scampate dalla forca per fare ''miracoli'', mettendo in scena queste recite e finti miracoli insieme a delinquenti che accettano il tutto in cambio di denaro. LEZIONE 5 14\03\2023 Novella III I decade Rubrica: possiamo trovare un paragone con una novella, la II della IX giornata del Decameron: quella delle brache del frate. La lettera dedicatoria è rivolta a Giovanni Pontano. La terza novella dunque è dedicata a Giovanni Pontano. È la novella del frate Nicolò da Narni che era umbro e di Agata, ambientata a Catania. Nell'esordio Masuccio salernitano consiglia a Pontano, umanista del 400 napoletano, di tenersi lontano dai frati. – decade antifratesca. Nell’esordio c’è il solito formulario encomiastico a Giovanni di cui esalta ed elogia le virtù, dice che era lume dei retorici però c'era solo una macchia che lo contraddistingueva e questa era il fatto che parlava continuamente con i religiosi. Afferma che è peggio frequentare i religiosi che gli eretici. Poi consiglia ancora di allontanarsi da questi uomini di non permettere che entrino in casa sua e sottolinea la loro attitudine a ingannare il prossimo. E in questa novella gli mostrerà cosa ha portato l'amicizia di un Santo religioso, Santo detto in maniera ironica con un medico catanese. La novella vuole mostrare il danno che possono provocare i frati. Narrazione Ci troviamo in una situazione tipica della novellistica: la malmaritata( donna sposata con un uomo più grande che non la soddisfa sessualmente). L’attacco della novella, come da consueto, dà le coordinate storico geografiche e le caratteristiche dei personaggi e non era passato molto tempo da quando ci fu un dottore di nome Roggero Campisciano. C'è malizia nella scelta del cognome, i Campisciano era un’illustre famiglia di medici catanesi. Questo dottore sebbene fosse anziano aveva sposato una giovane donna di nome Agata che era la più bella e leggiadra donna che ci fosse in tutta la Sicilia. Il marito divenne molto geloso di lei, l'amava molto, e non le permette mai di frequentare nei parenti gli amici e nemmeno i frati, nonostante lui fosse procuratore proprio dei frati. Un lettore capisce che siamo di fronte a una persona matura che ha commesso un errore che è quello di sposare una donna molto più giovane di lui: Agata. Spesso nel Decameron ci sono novelle che mostrano uomini anziani che sposano giovani fanciulle e poi non fanno una bella fine. Altro elemento importante per connotare questa situazione novellistica: la gelosia. Anche questo è un elemento topico, il marito anziano che sposa una giovane donna di cui poi è gelosissimo. Le novelle del Decameron che partono da questa situazione sono molte, nel Decameron i mariti gelosi sono stolti, il sentimento è denunciato in maniera negativa. compare il protagonista. Accade Che (Avvenne che - accadde che si usano per introdurre nuovi argomenti nell’andamento diegetico) dopo non molto tempo arrivò a Catania frate Nicolò da Narni; lo presenta come un frate che sembrava una persona pia un bizzochi à pauperistici coloro che interpretano l’ordine in maniera molto rigida e dà delle indicazioni, aveva il collo torto, tratto caratteristico del frate ipocrita, aveva studiato a Perugia era un bel giovane e era un famoso predicatore ed era stato amico di San Bernardino di cui aveva delle reliquie con il quale diceva di fare miracoli. Abbiamo un riferimento a Perugia il quale deve dare una concretezza storica alla narrazione perchè questa città era un centro molto attivo per la predicazione. Una mattina predicando vide Agata e la paragona ad un rubino che splendeva in mezzo a tante perle. Continuava ad osservarla, e anche Agata guardava il giovane frate e desiderava che il marito fosse bello quanto lui. Aveva deciso di volersi confessare con frate Nicolò. Nella redazione manoscritta abbiamo una situazione più blasfema perchè le brache sono di San Bernardino e infatti nel testo compare un legame con quest'ultimoe aveva addirittura delle reliquie che appartenevano a lui. C’è sempre l’atteggiamento del frate che non si fa vedere, ma la guarda continuamente e resta turbato dalla sua bellezza. Come nel caso della novella precedente, il frate occulta il suo interesse verso Agata, avrebbe voluto agire in altro modo, ma stava attento a trattenersi e dare un’immagine di rigore e santità. Tanto che sembra quasi rifiutarla, non deve svolgere lui il compito della confessione. e rifiuta di confessare la donna; la quale però, glielo chiede per amore di suo marito che era il loro procuratore, colui che amministrava i beni dei frati e così il frate accetta. Il momento della confessione è interpretato come una scenetta teatrale, e anche il motivo della confessione ritorna nel Decameron (III della III giornata, anche VIII della III giornata il cui protagonista è Perondo- l'analogia è dovuta dalla confessione della donna che si lamenta della gelosia del marito). Le battute che si scambiano i due protagonisti sono galanti e si dichiarano la reciproca attrazione. La scena della confessione si svolge come una scenetta teatrale e dopo aver pronunciato i suoi peccati chiede un consiglio su come poter guarire suo marito dalla estrema gelosia nei suoi confronti e chiede una pozione, un qualcosa. Il frate dice che ragionevolmente il marito era geloso poiché lei aveva delle bellezze angeliche. La donna chiese di assolverla poi ma il frate afferma che era impossibile assolverla perché ormai l'aveva legato, si tratta dei lacci dell’amore. Confessa la sua attrazione. La donna, che era una siciliana, intese subito il riferimento e sapendo che i frati erano intenti a queste cose non fu molto meravigliata. Come se fosse una prerogativa delle donne siciliane di capire subito le allusioni erotiche e amorose. Nella novellistica la siciliana sembra sempre un po’ legata a quest’immaginario. Nel Decameron ci sono delle novelle in cui le siciliane sono delle prostitute. Novella X dell’VIII giornata, Salabaetto che frequenta una donna siciliana Biancofiore che lo inganna e poi è una prostituita. Anche V della II giornata è quella di Andreuccio da Perugia. Nella novellistica spesso la siciliana ha questo ruolo. Qui Agata non è una prostituta, ma il narratore dicendo che era siciliana vuole intendere che è come se avesse una particolare inclinazione ai fatti amorosi, Agata subito capisce il discorso e le battute del frate e non si lascia intimorire. La cosa di cui resta meravigliata è come il frate possa avere un desiderio erotico come un uomo non religioso e fa un paragone dicendo che gli uomini quando diventano frati sono come i polli castrati; ma questo frate non era un pollo ma un Gallo aveva deciso di dargli il suo amore e iniziarono a pensare come vedersi. È lei stessa a trovare la soluzione: ogni mese era presa da una fiera passione e non aveva trovato mai rimedio, le antiche donne le avevano detto che era causato dall'utero (matrice) Passione significa dolore, ha dei dolori talmente forti che è privata dei sensi. Argomento = rimedio. Matrice = nel linguaggio anatomico rinascimentale significa utero, lei non poteva avere figli a causa del marito che era troppo anziano. Aveva pensato che il giorno in cui il marito sarebbe andato fuori casa per svolgere degli affari, lei avrebbe finto di essere oppressa dalla solita passione e subito avrebbe invocato le reliquie di San Grifone. Il frate sarebbe giunto con un altro frate in modo tale da non lasciare la sua Fante da sola; e così si accordarono. Questa prontezza rimanda al Decameron sempre VII giornata in cui si dice che l’amore rende più vivo l’intelletto. Infatti, lei subito pensa a un’espediente. La situazione è diversa rispetto alla II in cui la donna è casta e il frate ha bisogno d’ingannarla, invece qui la giovane donna è protagonista, è lei che è consapevole e consenziente ed una parte attiva. Agata è una mal maritata à Queste donne giovani e belle che sono sposate a persone anziane che non riescono a soddisfarle sessualmente. Questi mariti non solo incapaci, ma anche gelosi. In questo caso quasi l’adulterio è giustificato. La VII giornata del Decameron è dedicata alle beffe che fanno ai loro mariti e si c’è una donna bella e giovane e marito vecchio e incapace e la donna si procura un’avventura erotica e questo adulterio è quasi giustificato. Questo fingersi malata da parte di una donna che vuole incontrare l’amante è una topica situazione da novella, si trova anche da Grazzini – Alle reliquie nelle credenze popolari si attribuivano credenze taumaturgiche. Nella versione a stampa ci sono una serie di spie testuali che mostrano come l’autore abbia voluto stemperare la blasfemia della novella, qui fa ricorso a un santo immaginario. Il griffone è un animale mitologico con corpo da leone e ali e becco di aquila, e nei bestiari spesso indica l’animale rapace che divora gli uomini. Il grifone è l’emblema della città di Perugia. Nella versione manoscritta le reliquie erano proprio di San Bernardino. Rimangono alcune tracce però, Nicolò era stato amico di san Bern dice all’inizio ed era stato amico di questo santo. Poi la versione a stampa cambia e il santo è di finzione. Arrivata a casa rilevò tutto il piano alla sua fante che apparecchiata agli ordini della signora. Così già la mattina seguente il maestro andò fuori di casa, e lei subito finse di avere i dolori; la Fante consigliò di andare a chiamare le reliquie di San Grifone che avevano poteri miracolosi e subito andò a chiamare il frate che arrivò insieme al all'altro frate, si creano due coppie così. Nelle case del tempo, soprattutto benestanti, non si abitava mai da soli per questo ha bisogno di mettere in scena questa sorta di finta rappresentazione. giovane e bella, ma non si insiste sul fatto che lei non sia molto soddisfatta del marito, ma non si dice che il marito sia avanti negli anni e geloso, ma solo che il marito era magretto e di poco spirito e che lei spesso frate Antoni; non c’è questa immagine iniziale della confessione, come non c’è la trovata della donna che si finge malata. I due sfruttando la circostanza del marito che è fuori riescono a stare insieme, poi il marito torna e il frate fugge e lascia le braghe. Il giorno dopo indossa le mutande, ma si accorge che non sono le sue, le sfila e le mette in un cassetto. Da quel momento si dice che il personaggio diventa malinconico, tanto che non mangiava. La moglie racconta tutto al frate che chiede aiuto a un frate più anziano che trova il modo per cercare che non ci sia uno scandalo, ed è lui che inventa la storia della reliquia. In questo caso inventano che le mutande siano di San Francesco; si credeva nella tradizione che le mutande avessero anche le capacità di rendere le donne sterili. Si recano a casa di Buccio a prendere le reliquie perché altre donne ne avevano bisogno, non c’è il motivo della processione, ma si mette in evidenza che si cerca di trattare in modo adeguato l’oggetto. Le mettono su un cuscino di seta, intonano dei salmi e poi il frate vecchio confessa Buccio. Buccio crede a tutto e aspetta che la moglie resti incinta, ma il narratore in modo ironico dice che non resta incinta nonostante si desse molto da fare. Sacchetti introduce il commento, Masuccio ne fa una parte proprio a sé, mentre in Sacchetti è nel testo e il lettore si accorge che è il commento: lui critica soprattutto il frate Domenico che aveva commesso una disonestà ineguagliabile proprio nei confronti del santo sotto il cui ordine viveva, questo per mascherare il vizio del suo compagno. Il frate Domenico ha una giusta punizione perché si ammala di lebbra à vista come segno esteriore di un vizio interiore. Un altro testo è una facezia di Poggio Bracciolini (sono in latino) che rappresenta un repertorio da cui i novellieri attingono. La facezia ci fa vedere che il genere letterario è diverso, è un raccontino più asciutto che Masuccio riesce a sviluppare, invece, e rendere narrativo e anche a teatralizzare con effetti di scenografia la trama che è presente nella facezia. Non è un limite, ma le facezie sono brevi raccontini. Anche questo fatto avviene ad Amelia, i nomi dei protagonisti non sono nominati. La donna si va a confessare dal sacerdote, ma non si dice che la donna era mal maritata. I due cercando di trovare un modo per restare insieme, troviamo il modo della donna che si finge malata e chiede di ricevere un confessore, perché questo era l’unico modo per restare veramente da soli. Allora i due hanno un rapporto sessuale che viene interrotto, poi va a casa della donna per continuare la confessione, poi anche lui dimentica le braghe e chiede aiuto al priore del convento. Anche qui si tratta di una persona vecchia, quindi più esperto di queste cose e il priore dice di coprire la cosa; il marito ha scoperto tutto, questa è la differenza, e anche lui si reca dal priore e anche in questo caso il priore chiede di tacere perché bisogna evitare lo scandalo. Allora trova la soluzione e dice di far passare le mutande come braghe di San Francesco per far guarire la moglie. C’è il riferimento alla pompa e alla processione. Il priore convoca i frati e vestiti con indumenti sacri e con la croce in testa (si trova in Masuc), andarono alla casa, le misero su un cuscino di seta e le fecero baciare alla moglie, marito e chi incontravano e le posero nel convento fra le altre reliquie. Ma tutto venne scoperto e le gerarchie ecclesiastiche della santa sede si recano sul posto e noi immaginiamo che vengano puniti. L’imbroglio viene scoperto. LEZIONE 6 20/03/2023 Novella XXVIII. Terza decade: misoginia La novella è dedicata a Francesco d’Aragona, ancora adolescente ma ricco di immense qualità, figlio del re Ferdinando I di Napoli, noto come Ferrante o Re Ferrando. Vi è la contrapposizione tra la rozza lingua dell'auotore e l'eleganza dei personaggi rappresentati. La funzione della prima decade era di mettere in guardia dalla corruzione dei frati; questa stessa finalità la troviamo in questa lettera di dedica in cui si evince la malvagità del genere femminile. Tutte queste novelle sono accomunate dal tema della misogenia; il genere femminile viene definito imperfettissimo( che è un latinismo). Masuccio nelle lettere di esordio della prima decade indirizzava le sue novelle con la finalità di mettere in guardia i suoi dedicatari, in quel caso da frequentare i frati viziosi, qui il giovinetto è messo in guardia e conoscerà quello di cui sono capaci le donne. Esordio La dedica a Francesco che ancora non aveva raggiunto l’età dell’adolescenza e comunque il suo ingegno era bastevole per comprendere le rude e materne sue lettere, usa una diminutuio sui, per capire la sua opera che era semplice, e lo mette in guardia dalle donne, gli vuole far conoscere le loro insidie e i loro tradimenti. La novella è ambientata a Marsiglia e in apertura si fa riferimento alla guerra tra Aragonesi e Angioini che si contendevano il regno e alla guerra del 1432 in cui Alfonso aveva bruciato Marsiglia, è un passato recente, sono passati pochi anni( in battaglia con gli Angiò si contendevano il regno di Napoli e Alfonso aveva bruciato la città di Marsiglia). Alfonso non deve essere confuso con Alfonso II, perchè in questa novella si fa riferimento ad Alfonso I; ci sono sempre questi riferimenti storici e ci fa capire quando è capitata la storia. Masuccio dà una descrizione dei personaggi dettagliata, presentati in una luce estremamente positiva (dotati di grande virtù). C’è una situazione inizialmente idillica, ma presto risalterà il contrasto con il resto della novella. C’era un giovane e forte cavaliere, ricco e molto bello dal nome Pietro d’Orliens il quale amava fieramente( avverbio sempre associato al tema amoroso) Ambrosia, figlia di un barone(alta aristocrazia) compatriota con la quale si sposò. Si mette in evidenza la bellezza e le virtù di Pietro, cosa che non avviene per Ambrosia poichè, essendo in un passo misogeno, viene presentata inizialmente in maniera negativa. Il giovane trattava molto bene sua moglie, non le faceva mancare nulla, poteva comprare i vestiti più costosi e la rendeva sempre felice. La soddisfaceva anche in quell’attività che alle donne piace, ma che per onestà celano, cioè il sesso(c'è una frecciata polemica di questo aspetto che alle donne piace). Quindi non situazioni come le precedenti in cui c’era una mal maritata. In questo all’uomo non è rivolta una piccola critica, è un uomo perfetto. Abbiamo questo inizio in cui i personaggi vengono presentati in modo superlativo; l'atmosfera è piacevole. avvenne cheà-> c’è un cambiamento. La novella fa vedere come Masuccio sia attratto dal diverso(tratto tipico della sua poetica), qui c’è il nano Masuccio va alla ricerca di qualcosa di inedito, di eccesso per suscitare disgusto e disprezzo nel lettore. Ci troviamo anche qui in un triangolo amoroso dove la terza persona è rappresentata da questo nano deforme; Masuccio vuole rappresentare l'insaziabilità erotica delle donne poichè la donna, nonostante abbia un marito bellissimo, è attrata da questo nano orribile. Il nano già di per sé rappresenta il diverso, ma un nano anche orribile, che era deforme, tanto che non aveva nulla di umano. Nelle corti nel '500 era diffusa la presenza del nano e anche Ambrosia si dilettava molto della compagnia del nano (libro: nanerie del 500 della Vecchiarelli);(Andrea Mantegna ritrae la nana della marchesa che indossa una veste rossa orlata di bianco con un mantello, la nana non è giovane ma è avanti con gli anni e indossa una cuffia nei capelli, tipica delle donne maritate);(Velasquez in Las Meninas anche qui abbiamo una nana);(la lena in Ariosto ha un nano);(Morgante abbiamo un nano presentato come un cacciatore di uccelli);( lirica di Tasso dove dedica cinque madrigali alla nana di Margherita d'este, qui la nana viene descritta con gli stessi attributi delle donne ''normali'') . Nella rappresentazione nell'arte del nano, spesso esso è accompagnato da animali(come il cane). Si insiste sulla mostruosità, c'è un'animalizzazione del personaggio che perde i tratti dell'umanità, viene descritto in una forma di bestia. Coda già nel Decameron indica l’organo maschile( come nella novella del muto che entra in un monastero di suore;ritorna anche nelle conclusioni del Decameron; nella novella di Mastro Alberto). Lei si accorge che il nano è dotato di un fallo di grandezza maggiore del normale. Il narratore mette in evidenza che Ambrosia aveva questa fortuna di avere un marito bellissimo, che l’amava, che l’accontentava in ogni suo desiderio, ma lei era convinta che due persone potessero soddisfarla meglio. Nel Decameron viene presentata la superiorità erotica femminile,ma Bocaccio lo fa in maniera positiva, Masuccio invece ne trae una sorta di critica. Masuccio ha un gusto nel narrare lo spropositato, anzi ad infastidire la sua insaziabile libidine, saziare fino alla nausea possiamo dire. Libidine è insaziabile, non ha fine. Il desiderio sfrenato à Masuccio ci fornisce anche una connotazione patologica che lo presenta come un disturbo, che si ripete, che è dato da un’attrazione che dà repulsione. Salto schiavonesco: termine che viene dalla regioe schiava, questo salto indica una sorta di piroetta che faceva il nano e che portava a desierare la donna quest'ultimo. Tra la brigata della casa/i servitori c’era un nano dalle fattezze orribili, non aveva nulla di umano, ma Ambrosia spesso si intratteneva piacevolmente con lui; il nano faceva sempre dei voli e salti e Ambrosia si accorse della sua coda mirabile (era dotato sessualmente) e nonostante il marito l’amasse fu presa da un desiderio sfrenato di giacere con il nano, perché due persone potevano soddisfare la sua libidine sfrenata. Vuole provare con lui un salvo alla schiavonesa e non sul pavimento come era solito (della Scavonia ovvero regioni Slave da cui venivano i saltimbanco). La libidine era tanta che la vile ribalda, Masuccio la chiama, volle subito soddisfare la sua golosa voragine cioè il suo desiderio con il nefando pasto. E sebbene il nano l’annoiasse, lei ogni giorno giaceva con lui. Troviamo di nuovo nefando che usa per questi soggetti con vizi indicibili. Questa unione di attrazione, anche se alle volte la bestia la annoiasse, eppure lei era attratta, questa è la patologia del disturbo sessuale. Lo definisce sfrenata rabbia che desiderava trovarsi alla battaglia (sempre allusione al campo erotico). I due continuarono la detestanda libidine finché se ne accorse una serva mora anziana, molto fedele alla famiglia, era stata al servizio prima del padre e ora del figlio e avrebbe preferito morire piuttosto che far perdere l’onore al suo padrone. Un giorno che il padrone era andato via pensò di coglierli in flagrante. La serva mora indica un interesse per ciò che è esotico. Vide che Ambrogia aveva dato ordini alla servitù e si era incamminata con il nano. Prontamente si era nascosta sotto il letto e i due arrivarono e iniziarono il loro solito lavoro. Scaistrato: usato in forma avverbiale.Era uscita da sotto il letto e aveva visto i due in un nuovo ballo, metafora per indicare il rapporto sessuale che prende delle forme non umane e sull'animalizzazione, (donna cavalcare sopra lo rospo), e fu così afflitta dal dolore e accesa dall’ira che prese una lancia che era in camera che il suo signore usare per la caccia, sale sul letto e trafigge tutti e due che non si erano nemmeno accorti della sua presenza. Anche la vecchia è presa da un’ira irrefrenabile, anche nel suo caso si tratta di una reazione improvvisa e non meditata. Questo ci dice che tutto era venuto a caldo. La serva dopo un po’ pensa che aveva sbagliato perché la vendetta non spettava a lei. E poi manda a chiamare il padrone dicendo di correre se voleva vedere sua moglie viva. I due muoiono abbracciati, traflitti da una stessa lancia; si tratta di un'imagine di morte tragica, tipica delle storie tragiche cortesi. Il nano viene definito rospo = disumanizzazione del nano. Giannetto era un cavallo di razza spagnola. Tutta la novella va alla ricerca dell’eccesso, spropositato e abnorme. La serva con tristezza spiegò l’accaduto e che l’amore per lui e l’onore l’aveva spinta a tanto. Il padrone si addolora molto anche, aveva perso insieme l’onore e la persona che più amava in vita; questo tema ritorna con le stesse movenze ritorna in diverse novelle, soprattutto in quelle più tragiche. Masuccio fa riferimento all’ineffabilità, la sua penna non basta per spiegare i sentimenti e la sofferenza che provava in quel momento, sentiva il suo cuore come se da un momento all’altro volesse spezzarsi. Rinsavito un po’ dal dolore, pensa almeno a come salvare il proprio onore e così fa chiamare i parenti di Ambrogia e li fa entrare in camera e spiega di averli uccisi vinto dallo accompagnarle con le lacrime. Aveva avuto notizia di un episodio lacrimevole di due infelici amanti a causa di una triste fortuna portati alla morte, e ha deciso di dedicarle a Eleonora perché era piena di compassione e carità e si auspica che leggendo o ascoltando, vinta da compassione, sparga qualche lacrima e queste siano refrigerio per i due giovani amanti che immagina siano tormentati dalle fiamme eterne. Antecedente: il testo ovidiano di Priamo e Tisdeche a cui si rifà a Romeo e Giulietta. Questa storia di Ovidio è una storia non di metamorfosi, ma un racconto eziologico, dove i frutti da bianchi diventeranno rossi. Ci sono due giovani, Piramo e Tisbe, a Babilonia, che sono innamorati ma il loro amore viene ostacolato dalle famiglie.I due riescono a comunicare nonostante si trovano in due camere diverse di cue case poichè confinano e hanno un muro in comune dove c'è una fessura. C'è un chiaro riferimento a Boccaccio nella novella V della VII giornata, non è una novella tragica poichè è la giornata delle beffe. Questa storia di Ovidio ha dato vita a temi e situazioni di lunga durata nella letteratura di diversi secoli. I due riescono a comunicare e sentono che questo sia l'unico modo che hanno per comunicare quindi anche se li divide li unisce; decidono di fuggire (tema tipico delle storie tragiche). Si danno appuntamento in un luogo dove c'è una fonte e un gelso; si tratta di una fuga notturna e la prima ad arrivare è Tisbe, ma questa si accorge dell'arrivo di una leonessa che aveva fatto una strage di buoi; la donna fugge e ri ripara in una caverna e la leonessa prende il suo velo impregnandolo di sangue. Quando priamo arriva, pensa che la sua amata sia stata sbranata e si uccide con la sua spada, ma prima di uccidersi si accorge di Tisbe che riesce a raggiungerlo ma era ormai troppo tardi. Tisbe addoloratissima decide di morire usando la stessa spada del suo amante. Masuccio pensa a un’immedesimazione del lettore con immedesimazione delle vicende dei protagonisti delle storie. 3) tre aggettivi. Menati e condotto è una chiara dittologia sinonimica. Gli aggettivi sono diversi, qui c’è il lessico è legato al tragico, lacrime, compassione e pietà, e casi orribili e crudeli. Storie di questo tipo dilettavano un pubblico aristocratico. Auspica che almeno Eleonora sentendo la storia possa versare delle lacrime che sicuramente costituiranno refrigerio per i due giovani amanti che immagina che le loro anime siano tormentate nelle eterne fiamme. Masuccio biasima i giovani che non danno ascolto ai propri genitori, secondo lui non rispettare la volontà dei genitori porta a delle conseguenze che possono diventare luttuose. Questo ha una finalità anche educativa. Dello stesso avviso saranno anche Bandello e Giraldi Cinzio. Non obbedire ai genitori ha queste conseguenze. È un’ideologia abbastanza conservatrice. Narrazione Masuccio rivela di aver appreso la storia per fama che portatrice di vecchi fatti veritieri anche, in questo modo ci vuole dire che la storia è reale. La vicenda è ambientata nel regno di Francia ai tempi di Giovanna d'arco, quindi nel primo 400, a Nancy dove vivevano i Baroni. C'erano due famiglie di Baroni un dal nome Condì e l'altra Bruges che avevano due figli: Condè aveva una sola figlia di nome Martina che era piena di virtù e costumata con un corpo formoso e un bel viso; l'altro barone aveva un solo figlio che gli era rimasto di nome Loisi, della stessa età di Martina, ed era molto bello, di gran cuore e pieno di virtù. Le due famiglie avevano buoni rapporti, si frequentavano spesso tanto che era difficile individuare le ricchezze dell’uno e quelle dell'altro. la cosa strana è proprio questa: non c’era inimicizia tra le due famiglie. Avvenne che in età virile Martina e Loisi stavano molto tempo insieme e quindi si innamorarono. Il narratore sottolinea come, nonostante passassero molto tempo insieme, non avevano mai consumato il loro amore proprio perché Loisi era virtuoso e viene rappresentato con una sua morale, voleva evitare rapporti prematrimoniali. Martina lo sollecita a chiederla in sposa e così Loisi fa. L’amore è rappresentato come un sentimento molto intenso, sono felici quando riescono a stare insieme. Il padre del ragazzo si reca dal padre di Martina, il quale però rifiuta la mano di Loisi, aggiungi che la loro amicizia deve terminare e i due ragazzi non devono più vedersi. I due innamorati soffrono molto di questo: Masuccio descrive di amorosi pianti, amari rammarichi, interni e focosi sospiri dei due amanti, possiamo osservare che se i primi due termini della serie sono simmetrici, sostantivo preceduto da aggettivo, c’è una variante nell’ultimo sostantivo che è preceduto da due aggettivi. Una serie ternaria con una variante finale quindi. In questa novella abbiamo una doppia redazione: nella redazione manoscritta si vede come il padre di Martina rifiuta la mano del ragazzo poichè aveva già dato la sua parola per un altro matrimonio, cosa che in questa redazione viene omessa. Loisi è dispiaciuto perché ciò non sia capitato a lui che aveva scelto proprio di comportarsi in maniera virtuosa e non aveva avuto rapporti ma aveva chiesto subito la mano. Masuccio ha un'ideologia conservatrice quindi per lui disubidire ai genitori porta delle conseguenze negative, questo atteggiamento verrà ripreso anche dal Bandello. Luisi invia una lettera a Martina chiedendole se avesse trovato una soluzione che permettesse loro di vedersi. Nella novellistica la donna deve trovare la soluzione perché l'amore aguzza l'ingegno (novella VII giornata in cui si dice che l’amore aguzza l’ingegno). Il narratore dopo aver parlato di Loisi ci presenta l’amore di Martina, che è intollerabile. Martina dopo aver letto la lettera, sa che non può rispondere ma invia il messaggio con il messo: riferisce che lei amava solo Loisi e che o l'avrebbe sposato o sarebbe morta, fa anche una sorta di rimprovero a Loisi perché aveva voluto preservare il suo onore e questo l'aveva portati ad allontanarsi. Trova la soluzione e comunica che la sera stessa Loisi, accompagnato da alcuni giovani, l'avrebbe dovuta raggiungere dalla finestra con una scala dalla quale sarebbe calata e poi due sarebbero fuggiti e poi si sarebbero sposati. L’immagine della scala-finestra-amata è un’immagine ricorrente nei testi novellistici. Allude al matrimonio clandestino. Il matrimonio clandestino, sia nel 400 che 5000, era una prassi molto praticata. A questo punto il padre avrebbe dovuto accettare per forza quello che aveva rifiutato. Il messo va subito da Loisi e comunica il messaggio e questi subito raduna venti giovani domestici e fidati e la stessa notte si ritrovò sotto la finestra della sua amata. Al segnale concordato, Martina gettò giù un filo con la quale legò la scala e la tirò a sé e poi scese dalla finestra in maniera molto agile come se lo avesse fatto già prima. Finalmente era nelle braccia del suo amato si scambiarono dei baci e si incamminarono su un ronzino. Dottanza: francesismo usato anche da Dante nella Vita Nova Masuccio introduce la nuova vicenda con un ma (forte avversativa) che indica un cambiamento dei fatti, una inversione di fortuna più grave e con questo il narratore interviene e dà un'anticipazione al lettore del finale della vicenda. Ma, avendo i fati contrari, si avviarono verso un finale acerbo e mai udito prima. Ritorna l’interesse di Masuccio per ciò che è straordinario, un caso che non è mai stato udito perché Masuccio è interessato a questi aspetti strani, e lui dice che sono veri e reali. Questo è proprio la caratteristica della scrittura di Masuccio che poi sarà presente anche in Bandello. Il fatto che sono strani non vuol dire che siano inventati. Non avevano camminato nemmeno un miglio quando si scatenò una tempesta molto forte con grandine, tuoni, lampi e sembrava che e tutto il mondo venisse giù. Questo è il primo presagio di una fine luttuosa: si scatena la tempesta che è rappresentata iperbolicamente. Molti che erano con loro a piedi si smarrirono, altri cercarono di ripararsi, e tutti pensavano che fosse una punizione di Dio per la loro fuga. La pioggia era così forte e intesa che i due amanti non riuscivano nemmeno a vedersi, riescono a stare insieme perché si tengono per mano e camminarono, dice il narratore, come una nave senza nocchiero. Interpretano la tempesta quasi come un segnale di Dio, come una punizione per la loro fuga. Questa tempesta anticipa questo valore simbolico di anticipare il finale così luttuoso. Andrebbe inserito un chiamati prima della cruda morte. Petrocchi che ha curato l’edizione critica del Novellino consiglia di sanare questa lacuna con chiamati. Sembrava esserci una speranza in questo piano dopo la tempesta così spaventosa perché videro una piccola luce e andarono verso quella. Arrivarono ad un lazzaretto piano di lebbrosi, bussarono e questi li aprirono e spiegarono perché erano arrivati lì cosa li aveva condotti anche se era notte tarda. I due giovani erano molto assiderati tanto che solo Loisi riuscì con difficoltà a parlare. Fanno la comparsa nella novella i lebbrosi che permette al narratore di indugiare su quegli aspetti più macabri e repellenti che può assumere il tragico. C’è una descrizione dei lebbrosi atta a suscitare repellenza, è un ritratto fortemente negativo dal momento che la lebbra era considerata un segno esterno di vizi interiori. Un lebbroso era chi aveva commesso dei reati e aveva dei grandi vizi. Guasto è un aggettivo che ricorre proprio a proposito dei lebbrosi. Gli infelici amanti chiedono aiuto ai lebbrosi. Li definisce come dannati dell’inferno, esseri mostruosi, esseri deformi, privato della speranza di ogni salute, ma mossi da una debole compassione e li aiutarono e smontarono i cavalli e li fecero porre insieme ai loro asini e poi li condussero nella cucina vicino al fuoco dove si sedettero. Insiste sul vizio, non c’era umanità. Il narratore si sofferma sulla reazione dei giovani, fanno fatica a rapportarsi con persone con una natura così deforme e cercavano almeno di riuscire a lasciarsi aiutare da queste persone. I due, sottolinea il narratore, non avevano nulla in comune con quelle guaste genti, e davanti al fuoco Martina e Loisi ripresero le bellezze di prima che con il freddo e la tempesta avevano perso tanto che sembravano avessero rubato la bellezza a Diana e Narciso. C’è questo paragone mitologico con Diana e Narciso. Il gusto per il repellente raggiunge l’apice: Il narratore continua dicendo che la bellezza di Martina fu la causa dell’invaghimento di un empio ribaldo, che era più deturpato e marcio degli altri e fu assalito da fiera libidine ed era pronta a fare qualsiasi cosa pur di possederla anche di uccidere Loisi. Il contrasto è enorme tra un essere così repellente e la bellezza di Martina. Così aiutato da un compagno meno ribaldo di lui, va nella stalla e sciolti cavalli fece un gran rumore chiamando Loisi e dicendogli di andare a legare i cavalli; l'altro compagno si era nascosto dietro la porta e con una scure lo uccise. Si apre un commento del narratore contro la fortuna, ora interrompe con un’invettiva. La fortuna è considerata una forza avversa che sembra colpire gli uomini laddove vede più felicità e si abbatte su due giovani innamorati. Il narratore sottolinea il modo che ha scelto per separare gli amanti che è tra i più crudeli, avrebbe potuto separarli anche in modo diverso. Definisce le opere della fortuna detestande. Il narratore considera un po’ anche responsabili Martina e Loisi che hanno disubbidito i genitori, dall’altro lato c’è la partecipazione emotiva del narratore. Masuccio descrive brutalmente l'omicidio: Loisi che subito venne colpito dalla scure cade a terra morto e bene colpito ancora alla testa e poi venne lasciato lì. Non fa in tempo nemmeno a emettere un lamento ( forma presente anche nel Decameron) che muore, ma anche se capiscono che è morto continuano a dare dei colpi con brutalità. Apprendiamo che questi due più ribaldi avevano anche un ruolo di capo. Esecrabile: forma latineggiante. I due ritornarono ad aver a Martina e il lebbroso ordinò a tutti di andar via tranne Martina che chiedeva di Loisi. Il lebbroso con voce rauca e guasta disse che avevano ucciso l'uomo e però lui avevi intenzione di godere con lei. Guaste: compare più volte(è forse la terza). Apostrofe alle donne(lascia intuire che si tratta del popolo della corte): Il narratore si rivolge alle lacrimevoli donne che avevano ascoltato questa novella luttuosa dicendo che se mai avevano amato il loro amante e il loro marito fieramente, si rivolge anche i giovani innamorati, li prega di della morte apparente IV della X giornata. Altro esempio di morte apparente dovuto a narcotico e a X della IV giornata in cui Ruggeri per sbaglio beve una pozione soporifera. Per questo motivo dobbiamo fare riferimento a altre novelle: una novella di Gentile Sermini (novelliere senese) che è la I che apre il suo novelliere i cui protagonisti sono Vannino e Montanina. È ambienta a Perugia e Vannino è innamorato di Montanina che è sposata, ma è malmaritata con Andreoccio che è gelosissimo e non le permette mai di uscire e le rende la vita impossibile. Novella ambientata a Perugia. Qui troviamo anche la figura di una ruffiana dal nome Nuta che deve combinare l’appuntamento tra i due. Montanina alla fine accetta, ma dice che permetterà all’uomo solo di parlare con lei, niente di più. Vannino con Nuta trova un modo per allontanare il marito da casa. Vannino è amico del priore della città di Perugia e grazie al suo aiuto lo fanno allontanare, gli dà un incarico e deve andare ad Assisi. Montanina avrebbe aperto la finestra e lui avrebbe parlato dal basso, così avevano accordato. Ma Vannino porta una scala e con un inganno (c’è il motivo della scala già visto nella novella precedente), non appena lei apre la finestra, lui è già salito ed entra dentro e finge di esser seguito dal podestà. Riesce a sedurla. C’è la classica situazione del marito che torna presto a casa. Andreuccio è colto dal maltempo e decide di tornare indietro, la donna lo fa nascondere in un cassone. Poi prende una pozione che aveva a casa e finge di morire. Finge di esser sul punto di morire, vuole esser confessata, arrivano due frati e dice di esser sepolta con il cassone che conteneva cose molto preziose. Anzi dice ai frati di prender loro suo il tesoro. Montanino viene sepolta con il cassone, i frati si recano a prendere il tesoro, ma non appena aprono la tomba esce Vannino e i frati scappano. Vannino e Montanino si trasferiscono a Milano, vivono felicemente, lei prende un altro nome. Decidono di tornare a Perugia, Montanina parla in milanese per rendere autentica l’assunzione della nuova identità, l’unica persona che sa tutto è la madre di Montanina che andrà a vivere con la coppia. Quindi sia il motivo del narcotico che della morte apparente senza però esito tragico. Altri due testi da citare: una novella spicciolata dal titolo Istorietta amorosa da Eleonora de bardi e Ippolito Buondelmonti. È un testo anonimo attribuito però a Leon Battista Alberti, è un’umanista fiorentino del 1400 (ha scritto i libri della famiglia e Le intercenali). Ha avuto una stampa nel 1470, questa novella circolava già prima della stampa anche a Napoli ed è probabile che Masuccio la conoscesse. Il testo presenta sia il motivo dell’inimicizia tra le due famiglie che non è molto sviluppato da Masuccio, ma questa storia in cui è presente il motivo del matrimonio clandestino ha un lieto fine. Anche in questo caso i due personaggi pensano di contrarre un matrimonio clandestino. Le cose sembrano mettersi male per i due ragazzi, Ippolito si autoaccusa di esser un ladro perché i due amanti avevano progettato il matrimonio clandestino e ideato che Ippolito entrasse di nascosto in camera: motivo della finestra e della scala, così entra in camera. Poi viene scoperto e si accusa di esser un ladro per salvare l’onore della ragazza. Poi la ragazza davanti ai giudici confessa la verità, dice che i due si sono sposati, che Ippolito non è un ladro e anche le famiglie alla fine si riappacificano. Il testo ha avuto una riscrittura in ottave. L’altro testo ci è giunto incompleto, abbiamo solo l’inizio si tratta del Novelliere di Giovanni Sercambi n. 156. Questa novella dalla rubrica capiamo che ha un finale tragico e lo capiamo dalla rubrica in cui si dice che per causa di una donna è stata distrutta una città Toscana, Luni. Si parla di un re e una regina che arrivano a Luni dimorano in un albergo e la regina si invaghisce del proprietario. Il motivo ci ricorda quello di Ambrosia e il nano. Si invaghisce perché si dice che è iperdotato. Lei vuole vedere l’uomo nudo e toccarlo, ma dopo aver toccato l’uomo ha una sorta di innamoramento incontenibile e anche lei cade in una sorta di depressione e malinconia. Allora lei pur di poter stare con quest’uomo progetta un piano e capiamo che si fa costruire dal marito un monumento funebre. Allora si immagina che la novella dovesse sviluppare il tema della morte apparente e si parla anche di una pozione detta qui beverone. Il testo non ci è arrivato integralmente e possiamo attenerci alla rubrica riguardo la fine tragica. ESORDIO Dara notizia degli amori infelici può essere utile per coloro che sono appassionati amanti. Si recupera lo schema delle questioni: tipico della lett medievale. Possiamo citare il Filocolo di Boccaccio: la questione è quale dei due amanti ha amato di più? La dedica al duca perché è avvolto nei lacci amorosi, ma si specifica che ama anche in maniera prudente; vuole raccontargli una vicenda di due miseri innamorati così che con la sua prudenza e virtù possa esprimere la sua opinione. Ma non significa che sia un amore di minore intensità, ma che sia un diverso tipo di amore. Da una arte c’è un amore per i quali non esiste più libero arbitrio, la razionalità viene meno, e quegli amori in cui non si perde la razionalità ma sono sempre intensi. Aggettivi o avverbi come modo temperati, savi, e prudenti, indicano un amore in cui la ragione non è offuscata. Quindi il dedicatario sta vivendo questo tipo di amore prudente e savio in cui la ragione non è offuscata. Si crea un contrasto tra questo tipo di amore del dedicatario e quello dei protagonisti della storia che offusca la ragione. Finge che ci sarà una disputa essendo il duca d’Amalfi esperto delle cose d’amore e potrà decidere chi dei due amanti abbia amato di più. NARRAZIONE La storia è ambientata a Siena. Masuccio dà le coordinate temporali, dicendo in questi dì, quindi era un avvenimento recente. C’è l’espediente che la storia era già stata raccontata dal giovane senese questo espediente del fatto che l’autore l’ha già sentita la troviamo in tutte le lettere dedicatorie di Bandello. i protagonisti sono presentati sempre sotto una luce positivo. Aveva sentito da un senese di notabile autorità che a Siena c'era un giovane di buona famiglia, bello e consumato, Mariotto Mignanelli, che amava fieramente la bella giovane Giannozza figlia di un notevole stimato cittadino di casa Saraceni e anche lei lo amava ardentissimamente. I due avrebbero voluto godere dei soavi frutti d’amore (gustare i frutti si intende avere rapporti sessuali, stessa espressione nella novella di Martina e Loisi) e non trovando il momento opportuno, la giovane decide di sposarsi clandestinamente avendo il fato contrario per godere del loro amore. In realtà non è ben spiegato perché ricorrano al matrimonio clandestino, è lei che lo decide, si fa un breve accenno solo ai fati contrari. La situazione sembra positiva perché i due ragazzi riescono a soddisfare il loro desiderio amoroso. Questo amore che è definito furtivo e lecito in parte. Il matrimonio clandestino era una forma se non tutto legittima, ma per il rapporto sessuale una forma di pseudo legittimità. Non c’è proibizione da parte delle famiglie, non si capisce perché si ricorra al matrimonio clandestino. Dopo aver corrotto un frate agostiniano (MASUCCIO PARLA DI CORRUZIONE) i due contrassero matrimonio e poterono godere l’uno dell'altro. Avvenne che (solita espressione che Masuccio usa), la fortuna nemica limita e capovolse i loro desideri: Mariotto un giorno si scontrò con un onorevole cittadino e lo colpì alla testa con un bastone procurandogli una ferita che causò la morte all’uomo. Così Mariotto viene ricercato dalla giustizia, dai Signori e dal Podestà e decise di partire; viene condannato all’esilio e bandito da Siena (quanto e quale fosse sempre stesso motivo). Interviene il narratore dicendo che solo chi ha provato un dolore simile può capire il dolore della separazione degli amanti. La novella ha un andamento narrativo a differenza di altre novelle e non ci sono dei discorsi riportati in forma diretta dei protagonisti. (Novella di San Griffone in cui l’andamento è spesso interrotto da dialoghi, confessioni, battute e frasi oscene) qui non ci sono discorsi dei protagonisti e la narrazione procede in modo serrato e interrotta dai soliti interventi del narratore. È una narrazione che procede spedita senza indugi se non brevi parantesi del narratore. Sperando di rimpatriare un giorno, andò ad Alessandria d’Egitto da suo zio Niccolò Mignanelli che era un ricco mercante e con l’amata accordano di scambiarsi lettere. La lettera con funzione di conforto è un tratto tipico della scrittura epistolare. Nelle lettere stesse che scrivono gli autori si sottolinea sempre la funzione della lettera, è sempre esse che riesce ad avvicinare chi scrive e chi riceve la lettera. Lo scambio di lettere come una possibilità di mantenere contatti. In absentia l’epistola è l’unico mezzo di consolazione, l’unico modo in cui gli amanti riescono a lenire la distanza. Mariotto si accorda con suo fratello a cui rivela come stanno le cose e lo raccomanda di avvisarlo su Giannozza. I due si separarono con grandi lacrime. Arriva dallo zio al quale rivela le cose come stanno, e lo zio sembra più affranto per il matrimonio clandestino che non per la persona uccisa perché capisce che rimproverare non porta a nulla (concetto conservatrice di Masuccio, stesso concetto di San Griffone dove il padre spirituale avrebbe voluto rimproverare il frate, ma rimproverare in quel caso non serviva a nulla, bisognava salvaguardare l’onore), e gli affida dei compiti che riguardano i traffici mercantili e cerca di confortarlo mentre lui passa il tempo a piangere. Nel frattempo, arrivavano continue lettere dal fratello e da Giannozza. Avvenne che, molti chiedevano la mano al padre di Giannozza e lei rifiutava tutti tanto da preferire la morte. Sperava di ritornare da suo marito, ma non voleva rivelare la verità al padre perché nulla avrebbe giovato, e allora pensò un modo strano, pericoloso e crudele mai sentito raccontare prima – sottolinea il narratore mettendo in evidenza la sua disapprovazione (c’è un monito da parte di Masuccio). È sempre centrale il problema dell'onore per lei, e poi si pone in pericolo di vita. Lo voleva salvare e aiutata da grande animosità chiamò il padre spirituale che le aveva già sposati prima; rese chiaro il suo intento, ma questi era restio. Ma poi la giovane propose del denaro a San Giovanni bocca d'oro, e così decise di aiutarla. Il narratore non perde l'occasione di mettere in risalto i vizi dei frati e sono avidi. San Giovanni Boccadoro è un’espressione che indica proprio il denaro. Indica San Giovanni Crisostomo (detto boccadoro per la sua eloquenza) che in greco vuol dire Boccadoro per la sua eloquenza. Nella novellistica questa espressione indica invece il denaro. boccadoro Già questa espressione compare nel Decameron VI della I giornata; anche qui è riferita a un frate francescano. Motivo del narcotico che produce una morte apparente: Così il frate con il suo mestiere compose una pozione con diverse polveri, in modo tale che, una volta ingerita, avrebbe dormito per tre giorni da sembrare morta (motivo della morte apparente). Giannozza si preoccupò di rivelare il piano al fratello dell'amato, poi e bevve l'acqua e cascò subito a terra. La Fante subito accorse con grandi urla e anche il padre che fu molto addolorato vedendo la sua unica figlia morta; chiamarono dei medici per portarla in vita e tu si considerarono che un accidente improvviso la colpì, era stata colpita da un colpo apoplettico. Tutto il giorno e la notte seguente la controllarono e poi i familiari, tutti senesi, con grande dolore, con pompose esequie la seppellirono al sepolcro di Santo Agostino. Alla mezzanotte il venerabile frate - detto in senso ironico - insieme ad un altro compagno la presero dal sepolcro e la portarono una camera poiché l'effetto del narcotico stava per finire. Poi travestita da frate, Giannozza, insieme al buono religioso (buono detto in modo antifrastico e sarcastico), partì per Alessandria d’Egitto; nella novellistica è usuale il travestimento prima della partenza. Il loro viaggio durò molto tempo: c’è una sfasatura di tempo. Gargano, fratello di Mariotto, pensò di informare di tutti i dettagli della morte dell'amata, com'era stata pianta e dove era seppellita e anche della morte del padre dopo qualche tempo per il dolore. Le lettere di Giannozza non arrivavano, il narratore dice a causa della avversa fortuna e interviene dicendo un'anticipazione: l’acerba e sanguinosa morte che gli sopraggiunse apparecchiata (si anticipa il finale così come abbiamo visto nella novella di Loisi e Martina). Il Corriere che aveva inviato la donna venne catturato dei pirati e venne ucciso. Sono tutte sfasature temporali; questo è frutto sicuramente della fortuna beffarda che si diverte a creare questa continua mancanza di raccordo temporale che non porta mai i due amanti ad incontrarsi. C'è una serie di sfasature temporali. Masuccio apostrofa il lettore dicendo di pensare al dolore e all’afflizione del giovane se aveva alcuna pietà: Mariotto non avendo altre notizie dava per certe quelle del fratello e fu addolorato così tanto che decise di partire per Siena nonostante lo zio lo scoraggiasse, ma pensava che la fortuna sarebbe stata benevola se i senesi lo avessero trovato e poi giustiziato così avrebbe potuto raggiungere la sua amata già morta. Così, insieme allo zio, partì verso la sua predestinata morte, e in poco tempo arrivò a Napoli e da qui poi arrivò a Siena dove non fu re conosciuto da nessuno in quanto si era travestito. Andò nella chiesa dove era seppellita Giannozza, piangeva amaramente e volentieri sarebbe entrato nel sepolcro. Arrivata sera, portatosi con sé dei ferri, si nascose nella chiesa e di notte iniziò a puntellare il coperchio del sepolcro. Stessa tema della novella di Martina e Loisi quando si sottolinea che se gli amanti non fossero potuti stare insieme in vita, lo sarebbero stati dopo la morte. È una scena necrofila anche, l’uomo non ha remore di entrare nel sepolcro pur di stare vicino alla sua amata. Lo aveva quasi aperto quando, un frate svegliatosi per suonare le campane, sente il rumore vede quell'uomo occupati in quell'esercizio, e urla al ladro. Chiamano anche il che Bandello mette in scena spaccati di vita cortigiana. Non abbiamo le geometrie decameroniane, è lui stesso che dice che non c’è un ordine. Le Si insiste sulla dimensione orale. Bandello si fa trascrittore di novelle che lui ha sempre sentito narrate da un altro personaggio. C’è prima la dimensione orale della novella, si racconta quando è stata raccontata e poi la decisione di trascriverla e inviarla a un personaggio Lettera dedicatoria: Bandello sostiene che la sua protrettrice è stata Ippolita Sforza moglie di Alessandro Bentivoglio; ella era una donna molto colta, poetessa, e la sua casa era frequentata da letterati del tempo tra cui Bandello che la elogia spesso e ne fa la sua musa. Bandello inizia a scrivere le novelle a partire dal 1520, quando inizia a scrivere le novelle la sua musa era gia morta. Nonostante fossero dedicate ad altre persone le lettere, venivano date anche a lei; Ippolita muore e sebbene la sua morte, Bandello ha continuato a seguire la sua esortazione di raccolta di novelle così come la macina che una volta avviata continua a muoversi. Bandello decide di pubblicarle per via dell'esortazione di alcuni amici, anche se molte le ha bruciate; non aver servato ordine per uno: Bandello fa capire come è costruito il suo novelliere in quanto le novelle non sono disposte in un ordine preciso ma sono messe alla rinfusa. La struttura delle novelle è legata alle diverse occasioni, nonc'è un progetto di libro iniziale, infatti prima aveva parlato di "un'occasione che gli si offriva". Le prime tre su quattro parti vengono da lui facilmente controllate e ne vengono fatti tre libri con un formato piccolo e adatto alla lettura e con l'intento di dilettare e giovare il lettore. Cè una presa di distacco da Boccaccio nonostante questo viene spesso citato, sia le sue novelle che i suoi personaggi. Boccaccio dice di aver scritto in un fiorentino volgare ma Bandello sostiene che lui non può ammettere ciò perchè sarebbe una bugia in quanto non è nè Fiorentino nè Toscano; l'autore mette quindi le mani avanti dicendo di non avere questo stile toscano riprendendo il topos della modestia, ma allo stesso tempo sostiene che le sue novelle hanno come obiettivo di dilettare il lettore . Novella del Pecorone di Sergio Vanni Fiorentini, II Giornata; Editio princeps del 1578, esce a Milano. Non possiamo dire con certezza se Bandello l’avesse letta, ma va citata come precedente; la beffa è simile, anche la controbeffa. Una novella ambientata a Firenze in cui ci sono famiglie acerrime nemiche Buondelmonti e Acciaiuoli. Buondelmonti si innamora di Acciaiuoli e i due si fanno delle beffe. Buond corteggia Niccolosa e lei lo fa andare nella sua camera e finge di preparare un bagno dove loro possono immergersi, ma fa immergere solo lui. Lei urla e fa accorrere tutti nella stanza, anche il marito. Buond resta nella vasca per ore morendo di paura pensando di morire. Le due famiglie poi si uniscono e diventano amiche. Poi lui si vendica in modo quasi simile a Pompeio perché la donna andrà a casa di lui che la fa spogliare e mettere a letto, chiude la stanza e la lascia lì. Il marito torna dalla cena e dice a Buond perché non era andato a cena e risponde perché era stato con la donna più bella che aveva visto. Il marito la vuole vedere, ma copre il volto e mostra il resto. Questa seconda parte in cui l'uomo mostra le parti della donna comprendo il volto, viene recuperata da Bandello. La beffa della donna invece forse è stato individuato in un altro testo. Novella III È dedicata a Lucio Scipione Attellano. Bandella parla chiaramente di beffa e controbeffa(Decameron: VII dell'ottava giornata; Elena è oggetto di innamoramento di uno scolaro, ella si prende gioco di lui e lo fa aspettare una notte intera al gelo nel giardino, ma l'amore di questo si tramuta in odio e si vendica facendola stare in cima ad una torre in estate a mezzogiorno a bruciarsi: il messaggio è non beffare chi può essere più astuto di te). e dice che coloro i quali sono soliti beffare in maniera disinvolta, non riescono ad accettare la vendetta, molto spesso restano offesi come se ricambiare la beffa fosse un torto ancora più grave della beffa stessa e vengono paragonati agli autori ai buffoni di corte. Il buffone passa la sua vita a truffare il prossimo, ma non è in grado di accettare una contro beffa. Questo era accaduto a Calcagnino giocolatore che quando beffa ride così tanto da piangere, ma una volta beffato si arrabbiò così tanto che l’autore pensa che sarebbe potuto morire. L’autore sottolinea un elemento importante, dice che il narratore della novella era Ottonello Pasini, uomo dottrinato e piacevole compagno, che narra la novella agli astanti. Narratore e autore sono personaggi diversi. Scritto e orale: novelle narrate prima da qualcuno e poi trascritte dall’autore (Bandello si ritiene tale). Si tratta di una novella ripresa da fonti letterarie, pertanto Bandello cela i nomi dei protagonisti della novella perché il destinatario della lettera conosce queste persone e anche per non fare un torto alla loro dignità, aggiunge solo che se fosse vivo il marito della donna lui non avrebbe pubblicato questa novella perché si sarebbe potuto vendicare. Poi consiglia ai dedicatari ( i fratelli Annibale e Caio) di fare una copia della novella e diffonderla e spera che la facciano leggere a Cecilia Gallerana e Camilla Scarampa che le definisce lumi della lingua italiana. Cecilia Gallerana è importante, è una nobildonna poetessa ed era nota per esser stata amante di Ludovico il Moro ed è celebre per esser stata ritratta da Leonardo da Vinci, La dama con l’ermellino. Camilla Scarampa è una poetessa famosa anche. È un fenomeno poetico tipico del XVI secolo. Si tratta di due donne immerse in una cultura in cui c’era una minoranza femminile. Il 500 è importante per la produzione femminile; c’è una produzione di lirica d’amore e nasce questo fenomeno che ha un successo editoriale. Es. Vittoria Colonna, Ariosto le dedica l’esordio nel 37 canto. Anche Castiglione la cita. Bandello non esplicita neanche il narratore. Le novelle sono precedute da una breve rubrica. Le prime informazioni che l’autore fornisce sono le coordinate spazio-temporali: l’episodio era accaduto in una città della Lombardia il cui nome non viene svelato e la protagonista era una gentil donna, il marito era ricco e aveva un cervello gagliardetto e capriccioso che non conveniva a una donna. La novella non era stata scritta molto tempo addietro. La donna era famosa per le beffe, si divertiva a beffare e rideva con le altre donne tanto che nessun uomo osava avvicinarsi a lei, agli occhi degli uomini era un pericolo dal quale fuggire perché tutti conoscevano la sua lingua sfrenata e mordace e che non portava rispetto per nessuno. La donna è descritta come bellissima. Gli uomini la corteggiavano soffermandosi solo sull’aspetto fisico, tralasciando la sua indole di beffatrice, cosa che portava gli uomini a non avvicinarsi eccessivamente a lei. Viene descritta come una donna bella oltre misura, con buone maniere e grazia e alcuni uomini che non conoscevano la sua arte beffatrice l’avevano corteggiata, ma lei come al solito, li aveva beffati e scherniti e questi si erano allontanati. Avvenne che(sintagma tipico della novellistica) un ricco e nobile giovane di quella città, che ancora non aveva avuto conoscenza della donna, se ne innamorò fieramente essendo così bella e pensava sempre a lei. Amore di Pompeio è un tipo di quegli amori che sono incontenibili; si fieramente è lo stesso avverbio delle novelle di Masuccio. Uno di questi amori in cui si capisce che è in potere della donna, un amore che fa perdere il libero arbitrio. Topos della donna angelicata rovesciato in maniera ironica, si utilizza il paragone della donna angelicata con la natura esteriore bella e quella interiore caratterizzata da astuzia e scaltrezza. Allora iniziò a pensare a un modo per potere stare con lei. Iniziò a passare davanti l’albergo in cui dimorava tutti i giorni o a piedi o a cavallo e si fermava a parlare con lei. Altro topos: l’uomo che passa davanti all’abitazione della sua innamorata. à boccaccio Decameron I, 10. Maestro Alberto era innamorato e per corteggiarla passa davanti la sua abitazione. Passeggio davanti casa: anche Alfredo da Toledo. La donna che era maliziosa capisce che il giovane si era invaghito di lei. Poi il narratore spiega che la sorella del giovane abitava vicino la casa della donna. Compaiono per la prima volta i nomi dei protagonisti, ma sono fittizi, proprio per il rispetto che nutriva verso di loro, e chiama la sorella Barbara e la donna Eleonora e il giovane Pompeio. Il giovane si recava a casa della sorella e cercava di passare davanti la stanza di Eleonora finché un giorno decide di manifestare tutto il suo amore alla donna, proponendosi come suo servo e altre cose che sono soliti dire gli innamorati, aggiunge Bandello. La donna lo rifiuta e gli dice di andare da altre donne. A un certo punto Eleonora dice di non voler beffare Pompeio per una questione di rango. Non le sembrava opportuno beffare Pompeio che apparteneva a un ceto così elevato, non gli sembrava adatto da beffare. Il giovane è quasi disperato, ma non si abbatte. Viene a conoscenza della partenza del marito di Eleonora essendo circa fine giugno. Pompeio all’ora nona – le 15 circa, ora più assolata in cui i novellatori del Decameron si riunivano – si reca a casa della donna che era sola, la vede da una porta che era intenta ad alcuni lavori di seta e deciso fa un’intrusione della sua camera. Eleonora è sbigottita, e il giovane spiega che vuole intrattenersi con lei; la donna si preoccupa del pericolo nel quale la sta mettendo e anche del suo onore perché suo marito non è andato fuori città e ora era sicuramente in via del ritorno pertanto gli chiede di andarsene se tiene veramente al suo onore. Nemmeno dette queste parole, sentirono la voce del marito dalla strada. Eleonora tremava, ma subito pensò a una soluzione. Lo fa nascondere su una cassa e lo ricopre di vestiti tanto che nessuno avrebbe mai potuto scoprirlo. Il marito entra in stanza e si vanta con la moglie sull’acquisto della migliore spada dalla lama più fina che esista in città, pensa di imbrunirla, farla foderare e poi regalare a un suo amico; la mostra anche alla moglie, la quale afferma che non ha competenze di cose che riguardano l’arma e lo rimprovera anche: dovrebbe spendere i suoi soldi in altre cose più utili e non in frivolezze, con la spada non tagliava nemmeno una ricotta con tre colpi. Il marito risponde che compra le spade, ma anche le donne comprano sempre cose per abbellirsi, conciature per i capelli, colletti, coperte fregiate e altro. La donna risponde e fa una difesa a tutte le donne: dice che si acconciano, si abbigliano alla carlona perché senza gli uomini non apprezzano le fattezze naturali, dicono che sono sporche e sono vestite come contadine per stare nella cucina, ma come vedono una donna ben truccata e abbigliata, anche se è brutta le corrono dietro.Tema della sprezzatura delle donne truccate. Tematica ripresa da Baldassarre Castiglione: grazia e sprezzatura. La regola universale è l’arte è nascondere l’arte. Rendere qualcosa di costruito il più naturale possibile. Loro usano l’arte per esaltare la loro bellezza. Aggiunge ancora che il marito non traeva alcuna utilità dalle armi. Ma il marito si difende dicendo che avrebbe tagliato anche un cavallo in due talmente era affilata quella spada. Allora inizia la sfida: Eleonora si avvicina alla cassa su cui era nascosto Pompeio e aveva posto la mano su un vestito di velluto carmesino e aveva proposto di tagliare la veste in due proprio lì, la mano era sulla gamba di Pompeio. Questo è l’inizio della beffa con la quale voleva far solo paura al giovane. Il narratore di rivolge al lettore e chiede di immaginare la paura di Pompeio che da un momento all’altro voleva uscire fuori, ma non aveva armi con cui difendersi – essendoci anche i servitori – e allora gli sembrava di essere sul ceppo. E così aspettava e sudava freddo. LEZIONE 10 28\03\2023 Il marito crede che non sia vantaggioso rovinare i suoi vestiti, ma Eleonora è così convinta che scommette anche sulla riuscita dell’atto: gli avrebbe fatto fare un saio in broccato d’oro, avendo una ricca eredità lasciata dalla zia – sembra che Eleonora sia emancipata, non era consueto avere essere beffate nuovamente. Pompeio è amante nell’accezione del participio, colui che ama ed è innamorato. La beffa: i grandi beffatori che non sopportano di esser beffati. Lo sottolinea Bandello in quella di Eleonora e Pompeio. Si lega al fatto che il beffatore, che si sente come maestro della beffa, vive come umiliazione il fatto di esser stato beffato. Chi beffa pensa di aver un intelletto superiore e allora vive la beffa come uno smacco. Nelle Cene di Grazini c’è una beffa a un beffatore che alla fine esce quasi pazzo che non sopporta la beffa e deve lasciare la città. Beffa e controfebba: Decameron VII dell’VIII giornata quella dello scolare e la vedova. È un antecedente di beffa e controbeffa. Prima è lo scolare che viene lasciato fuori e poi lui si vendica e lascia morire e c’è una sorta di contrappasso perché la donna verrà arsa dal sole in piena estate. Novella del Pecorone di Sergio Vanni Fiorentini, II Giornata; Editio princeps del 1578, esce a Milano. Non possiamo dire con certezza se Bandello l’avesse letta, ma va citata come precedente; la beffa è simile, anche la controbeffa. Una novella ambientata a Firenze in cui ci sono famiglie acerrime nemiche Buondelmonti e Acciaiuoli. Buondelmonti si innamora di Acciaiuoli e i due si fanno delle beffe. Buond corteggia Niccolosa e lei lo fa andare nella sua camera e finge di preparare un bagno dove loro possono immergersi, ma fa immergere solo lui. Lei urla e fa accorrere tutti nella stanza, anche il marito. Buond resta nella vasca per ore morendo di paura pensando di morire. Le due famiglie poi si uniscono e diventano amiche. Poi lui si vendica in modo quasi simile a Pompeio perché la donna andrà a casa di lui che la fa spogliare e mettere a letto, chiude la stanza e la lascia lì. Il marito torna dalla cena e dice a Buond perché non era andato a cena e risponde perché era stato con la donna più bella che aveva visto. Il marito la vuole vedere, ma copre il volto e mostra il resto. Questa Novella I, 3 era interessante per la descriptio puelle. La stessa scena che troviamo nel Pecorone, solo che la donna viene mostrata al marito che non la riconosce. È un descriptio rovesciata. Ci sono gli elementi canonici che ritornano. Il bianco che indica lo splendore della donna, mentre nella camera il rosso cremisi trionfa. Termine avorio, perla che rimandano all’area semantica del bianco. Si usa l’aggettivo candidissimo e alabastro. È anche un momento della narrativa di Band in cui si inseriscono riferimenti sensuali, si dice che resta coperta la parte che per pudicizia deve restare coperta e poi si sofferma su una descrizione dettagliata e sensuale del seno della donna. Tutti aspettavano di vedere l’angelico viso che invece resta coperto. Questa descriptio ci collega alla novella 24 della II parte. Ci sono descrizioni della sua bellezza, dei suoi occhi luminosi anche quando è in vita, una descrizione dettagliata la offre quando è morta. Qui vediamo nuovamente il macabro di Band. Bandello inizia dicendo che tutti i cadaveri e morti rappresenta uno spettacolo che può provocare spavento, a maggior ragione quello che sono morti per violenza. In questi casi il corpo presenta segni ancora più spaventosi. La descrizione è contrastiva, si mettono a contrasto le parti anatomiche del prima e del dopo la morte. La descrizione dopo la morte mette in evidenza proprio l’orrore. Ciò che prima era bellissimo, diventa qualcosa che provoca orrore. Anche quella di Eleonora è particolare perché viene dal basso. LEZIONE 11 29\03\2023 Novella IV: prende spunto da un fatto di cronaca vero. Bandello raccona la realtà e rielabora i dati storici. La dedicataria è Isabella D'este, che si trasferisce a Mantova perchè sposa un Gonzaga, diventando machesa di Mantova. Bandello ricorda una conversazione che c'è stata vicino Mantova, a porto Mnatovano; la conversazione era incentrata su Bianca Maria, sposa di Ermes Visconti, gentiluomo di Milano ormai morto. Isabella D'este: Donna importante per il rinascimento italiano, grande mecenate di artisti e letterati. Fra i tanti artisti che ospita alla sua corte c’è Bandello dal 1515 al 1522.Novella della Contessa di Cellan, riflette il gusto della cronaca contemporanea. Bandello, come Masuccio, sottolinea la verità storica di ciò che tratta. Tratta elementi reali, ma anche inserisce elementi d’invenzione. Bandello subito sottolinea di parlare di un fatto realmente accaduto rispetto al tempo della scrittura e dice che Non è gran tempo passato. Bandello conosceva la protagonista del racconto. Ermes Vesconti era molto geloso della donna, non permetteva che uscisse e frequentasse eventi mondani. Bandello chiarisce di averlo conosciuta presso la casa di Ippolita Sforza. La signora aveva chiesto proprio a Ippolita di intercedere con il marito affinché le permettesse di andare alle feste milanesi. C'è un riferimento ai costumi delle donne di Milano, le quali avevano una certa libertà e Bandello nelle sue lettere spesso ci informa sui costumi dell'epoca. BiancaMaria dunque richiede l'aiuto di Isabella d'Este per avere il permesso per andare ad una festa. Bandello riporta l’evento perché era presente quando la Sforza fece la richiesta e riporta in discorso diretto la risposta: Ermes non permette alla moglie di uscire e lo fa con una metafora animalesca: dice che conosce bene il trotto del suo cavallo e sa quando lasciare le briglie, così sa cosa può fare la moglie libera in Milano e dunque non vuole più aprire l'argomento. Bandello ricorda come una volta andato via Ermes, Bandello e Ippolita si sono interrogati su cosa avesse voluto dire Ermes con quella ripsposta, senza arrivare ad una conclusione. Quando il fatto si è compiuto e BiancaMaria ha fatto la fine che ha fatto, decapitata nel 1526 con l'accusa di aver fatto uccidere il suo ex amanate Ardizzino e il fratello. Questa lettera è scritta dopo il 1526 e dunque dopo la condanna della donna, c'è quindi un riferimento interno al testo che ci permette di dire ciò. Conoscere il trotto del cavallo: conoscere la natura della donna, in questo caso una donna incline al tradimento. Viene presentato Ermes Visconti come un uomo savio, prudente e che sapeva confrontarsi con la donna e che faceva bene a non darle libertà. Bandello commenta che coloro i quali biasimavano il marito, ora si devono ricredere e possono comprendere perché la gelosia era motivata. Anticipa un po’ la trama della novella. L’autore elogia Visconti che tuttavia si inganna sull’onestà della donna. Era un uomo saggio e prudente, aveva ben governato la sua donna tanto che era creduta una tra le donne più oneste di Milano. Onestà e costume della donna lo abbiamo anche nel Cortegiano che circolava nelle corti del 500. Nel III si parla della formazione della perfetta donna di palazzo, e alla donna oltre alla grazia e alla sprezzatura si conviene che pratichi l’onestà e Castiglione per onestà intende la capacità di intraprendere qualsiasi tipo di conversazione con gli uomini senza che tale conversazione possa intaccare la virtù della donna o possa cadere nella lascivia o nell’adulterio. Però poi critica anche Ermes perché ritiene che avrebbe dovuto prendere in sposa una donna nobile di famiglia, così come lui era nobile. Qui si allude alla situazione di BiancaMaria, di famiglia ricca, ma la cui ricchezza è stata ricavata per mezzi poco onesti (usura del padre). Secondo lui Ermes sbaglia a prendere moglie perché bada alla ricchezza materiale (la roba) rispetto che alla nobiltà d’animo e di sangue. E da un’anticipazione di alcune caratteristiche descrive la donna che era di umile origine e il padre era usuraio. Ma sono falsi storici perché le critiche riportano informazioni diverse. usa una serie di metafore animali: come chi vuole allevare cavalli di razza e cerca cavalli generosi e di razza, allo stesso modo deve fare un uomo che vuole assicurarsi discendenza. E anche l’unione tra i cani. Oggidì il costume contemporaneo prevede di considerare come prima cosa la dote in una donna, mentre si dovrebbe guardare l’animo. Riporta l’esempio del duca Galeazzo che aveva sposato per dote una figlia di un suo capitano che era pazza, e così anche i suoi figli furono tutti pazzi sebbene ricchi. Bandello sotiene che non bisogna andare a vedere la Roba ma chi fossero il padre e la madre. Bandello afferma che Antonio Sabino, uomo saggio e di lettere, governatore, ragionava molto sulle qualità delle fanciulle e aveva manifestato che la dote doveva essere l’ultima qualità quando si cerca moglie. Il tema del matrimonio era molto diffuso nella trattatistica e si parlava proprio delle qualità delle donne, si parla se è meglio sposarsi oppue no ecc. Giovanni della casa scrive un trattato proprio su questo argomento. Amori infelicissimi: capiamo che ci troviamo in una novella tragica. Recitò: esempio di natura performativa del racconto che diventa un recitare. Le lettere sono state aggiunte in un successivo momento, quindi questa novella viene unita ad altre novelle e dotata di uno scudo per poi essere rivolta ad una destinataria di alto livello: Isabella D'Este. Segue il topos di Modestia: la novella non è all'altezza di una così illustre destinataria. Mario è Mario Equicola- De natura Amore- trattato neoplatonico, L’autore spiega che quando la donna era morta si trovava fuori Romagna e Sabino gliel’aveva raccontata e così lui l’aveva trascritta e ora la donava alla signora. Nell’epilogo della lettera si ha un modus operandi tipico di molti autori che è il topos di modestia che prevede una dimunutio del proprio scritto e parole di encomio alla persona a cui è dedicato. Il Bandello si pone come supplice affinché non si arrabbi che un nome così alto venga associato a lui. Fa riferimento alla dimensione della lettura. Subito fa un commento spregiato - spia di misoginia di Bandello: Bandello non reputa Biancamaria una signora per levirtù e il comportamento ma solo per i mariti che ha avuto che sono da ritenersi due signori. Ci presenta la ragazza che era di basso lignaggio. Suo padre era un usurario e con quest’attività riuscì ad arricchirsi tanto da avere diversi possedimenti e facoltà. La madre proveniva dalla Grecia, era molto bella ed era una mal maritata perché era anche giovane, mentre il padre era ormai vecchio e brutto, ma non c’è riferimento all’infelicità. Comunque, riescono ad avere Biancamaria che è la protagonista della novella. Il padre morì e la madre l’allevò da sola. Il termine signora: viene usato in forma di rispetto perchè il suo comportamento era abbastanza discutibile. Troviamo dei falsi storici, dati discordi rispetto alle cronache. Uomo plebeo riferito a Giacomo. La famiglia di Biancamaria appartiene alla piccola nobiltà di Casal di Monferrato sin dal bisnonno della contessa. L’usura è l’origine greca della madre della contessa. Giacomo fu tesoriere, secondo le cronache, di Casal di Monferrato e ricco uomo di affari, ma non si fa menzione dell’usura. L’origine della madre sarebbe diversa rispetta all’origine piemontese che dicono che la madre sarebbe Margherita degli Indiziati appartenente a una nobile famiglia di Alessandria. Biancamaria era molto bella, viva e aggraziata che all’età di sedici anni Ermes Vesconti la chiese in sposa in grande pompa; la festa continuò fino a Milano dove il fratello di Ermes, Francesco, accolse gli sposi con una carrozza intagliata in oro, con una coperta di broccato con ricci e bellissimi ricami e fregi. à secondo le cronache il 1513. Anche il dato della carrozza di cui Bandello da una precisa descrizione, sarebbe un regalo reale. La carrozza veniva portata da cavalli bianchi con un ermellino; i cavalli erano di alto prezzo. I due vissero insieme circa sei anni. Dopo sei anni, Ermes venne decapitato e la signora tornò a Casale di Monferrato dove conduceva una vita libera e da donna ricca e giaceva con diversi uomini. Due tra questi la chiedevano in sposa: Gismondo Gonzaga e il conte di Cellant. Dato storicamente attestato: c’era stata una contesa per sposare della donna perché aveva una ricca dote ereditata dal padre. Per l’una e l’altra padre scesero personaggi eminenti del tempo: a favore LEZIONE 12 3\04\2013 Novella VIII: si tratta di un raccconto tragico È dedicata a Pirro Gonzaga Cardinale. Il concetto fondamentale di questa lettera è che i tempi presenti non sono uguali ai tempi antichi; nell'antichità gli scritttori non mancavano di celebrare gli avvenimenti di memoria, nei tempi presenti gli scrittori vengono meno alla loro funzione di servare memoria delle cose degne di essere trasmesse. Lettera dedicatoria: Bandello si rivolge al personaggio con illustrissimo e reverendissimo. Pirro Gonzaga era un cardinale italiano figlio di Ludovico Gonzaga e nipote di Gianfrancesco Gonzaga. Quest’ultimo è colui che rese Gazzuolo il centro della corte e trasformò la corte prima in signoria e poi marchesato. La lettera si apre con confronto tra i tempi moderni e antichi. Gli antichi mettevano per iscritto gli avvenimenti importanti, mentre i moderni non lo fanno e così vengono a perdersi molti eventi, altrimenti in altri ambiti l’epoca moderna non ha nulla da invidiare a quella antica. Scultori, pittori e scrittori non sono meno valorosi di quelli antichi, hanno raggiunto una posizione di uguaglianza; ciò vale anche per la letteratura. Elogia anche le milizie dei tempi attuali, sostiene che se Alessandro Magno, Pirro, Annibale, Cesare e altri vedessero gli strumenti usati e le modalità moderne di combattimento ne resterebbero stupiti, perchè l'arte militare ha fatto un vero e proprio passo in avanti (Es: la polvere da sparo). La pecca dei tempi moderni è che non si scrivono i fatti, detti, motti che accadono quotidianamente e sono degne di esser ricordate. Spesso i narratori di Bandello sono poeti o comunque persone dalla piacevole scrittura. Dedica sulle arte contemporanei e quelle passate. Biasima i contemporanei perché non raccontano delle storie che sarebbero degne di essere raccontate e di essere rese eterne. Non che nella contemporaneità non ci siano fatti degni. Ma la differenza è che nell’antichità gli scrittori si dedicavano a celebrare gli eventi memorabili, questo non capita con l’età contemporanea, come se non esistesse virtù. L’atteggiamento di Band non è quello di lodare del tempo passato per lui anche la contemporaneità ha raggiunto risultati importanti. Non ha superato l’eccellenza degli antichi, ma possiamo essere pari. Il suo atteggiamento non è quello della laudatio, del passato, di tutto ciò che è più antico è migliore del presente. Band è vicino a Castiglione nel Cortegiano, c’è la consapevolezza di vivere nel 500 in cui arti stavano vivendo un livello elevatissimo. Nel rinascimento l’Italia esporta cultura. Poi parla dell’arte militare e, a differenza di Machiavelli, che pensava che i contemporanei dovessero imitare la virtù degli antichi capitani, dice che l’età contemporanee ha fatto dei progressi e fa riferimento alla polvere da sparo come grande novità dell’epoca. Nell’Orlando furioso canto IX ci sono versi contro l’archibugio, ovvero quell’ordigno micidiale per cui il vero valore veniva azzerato. È Orlando che prende l’archibugio e lo getta nel profondo del mare e dice di riconsegnarlo all’inferno. Questa dedica che gli scrittori contemporanei sono da biasimare perché hanno perso l’abitudine di raccontare le storie, lo ripete nella dedica della novella 40 II parte. Ritorna lo stesso concetto sottolineato nella dedica dell’VIII. Per questo motivo vuole riportare un fatto avvenuto negli anni passati a Gazzuolo. Riporta una novella recitata da Gian Matteo Olivo, e se fosse accaduta nei tempi antichi, Giulia da Gazzuolo sarebbe stata celebrata come Lucrezia romana. La fama di Lucrezia esiste grazie agli scritti passati, quella di Giulia non esiste perchè ai suoi tempi non si scriveva così tanto e quindi di lei non si è parlato sufficientemente. Paragona Giulia a Lucrezia Romana a cui dedicherà la novella della II parte. Lucrezia a cui fa riferimento Bandello e la moglie di Lucio Tarquinio Collatino. A causa di questa violenza lei aveva perso la sua pudicizia e aveva deciso di togliersi la vita. Alla fine, la lettera si conclude con Bandello che si rivolge a Pirro dicendogli che attraverso la dedica della novella vuole ringraziarlo del bene mostrato nei suoi confronti. Molti dicono che Bandello prediligeva l’atto narrativo alla scrittura, in realtà non è vero perché lui dà stessa importanza sia alla scrittura alla narrazione. La novella è imitazione di un atto orale. Allo stesso tempo l’epistola è imitazione di un genere che imita l’oralità. Bilanciamento tra oralità e scrittura. Questo metodo che ha Bandello di narrare si instaura sulla figura centrale dell’io narrante che non è solo trascrittore delle novelle e epistole, ma è anche ascoltatore e in alcun modo casi vive personalmente i fatti che racconti o ci entra in stretto contatto. Non è un semplice compilatore. Paragona Giulia a Lucrezia Romana a cui dedicherà la novella della II parte. Lucrezia a cui fa riferimento Bandello e la moglie di Lucio Tarquinio Collatino. A causa di questa violenza lei aveva perso la sua pudicizia e aveva deciso di togliersi la vita. Alla fine, la lettera si conclude con Bandello che si rivolge a Pirro dicendogli che attraverso la dedica della novella vuole ringraziarlo del bene mostrato nei suoi confronti. Novella: La novella si apre con una rubrica. La storia di Giulia era molto famosa e raccontata nel III libro del Cortegiano. Tuttavia, questa novella del Cortegiano è un po’ diversa da questa, sicuramente la principale differenza è che non viene fatto il nome della ragazza. Si parla di una ragazza andata a raccogliere spighe nei campi; Ella presa dal caldo e dalla sete entra in una casa e il padrone che, vedendola sola e bella, la prese in braccio e abusò di lei; ella essendo stata violata decide di uccidersi, si getta nel fiume e la sorella aveva cercato di salvarla. La rincorse sulla riva, le porse una corda che aveva portato per raccogliere le spighe; nonostante ricevette la corda in suo soccorso la ragazza la rifiutò per il dolore che provava a causa della verginità persa. Non si parlò di lei, nonstante il suo atto di grande coraggio. In questo caso si attrbuisce questo fatto alla morte del Vescovo di Mantova, che se non fosse morto, avrebbe ornato la via in cui la donna ha perso la vita, con un sepolcro in suo onore. Si tratta di un dialogo in cui viene riportato questo racconto non molto esteso, avvenuto qualche giorno prima. È Pirro stesso che chiede di raccontare questo avvenimento accaduto a Giulia. E viene detto anche che la morte di Giulia non è molto che avvenne, quindi è recente. Bandello si schernisce e afferma che lui racconta la novella e ci sarebbero anche altri in grado di farlo meglio di lui à topos di modestia. Dà una sorta di coordinate temporali: mentre a Mantova regnava Ludovico Gonzaga, che tenne una corte ricca di gentiluomini, viveva in città una giovane di 17 anni di nome Giulia, figlia di un povero uomo che lavorava i campi tutto il giorno. La moglie lavorava anche in occupazioni tessili o facendo altri mestieri tipici delle donne. Giulia era molto bella e dotata di leggiadri costumi, Bandello afferma che aveva una bellezza non convenente al suo status sociale. Spesso andava con la madre ed altre donne a zappare la terra. È descritta Giulia, ma rispetto a come fa si solito Bandello con ritratti sempre teatrali si sofferma sui vestiti e gioielli, e ornamenti, qui abbiamo una generica presentazione di Giulia che è descritta come molto bella e di buon costumi. Poi dice che Giulia era di basi sangue e può ricordarci Griselda di Boccaccio nella X della X giornata. Nella letteratura è tipico riferirsi a donna di umili costumi con termini come onesta. Qui abbiamo Griselda che era una guardiana di pecore, ma sposata dal marchese di Saluzzo Gualteri che l’aveva scelta per la sua bellezza e poi amata per la sua fedeltà e onestà. Queste doti che risiedono in persone umili e di basso rango vengono ricordate da Boccaccio che nell’incipit della II giornata dice che: E così le due ministre del mondo spesso le lor cose più care nascondono sotto l'ombra dell'arti reputate più vili, acciò che di quelle alle necessità traendole, più chiaro appaia il loro splendore. Un giorno mentre l’autore passeggiava con madama Antonia Bauzia, madre dei signori, incontra la giovane fanciulla, che aveva circa 15 anni, che tornava dai campi con un canestro in capo. La madama chiese subito chi fosse e le sembrò così educata che non sembrava cresciuta in una casa di paglia, ma esser allevata a corte. Antonia del Balzo, nonna di Pirro Gonzaga, che incontra Giulia ed è come se il riferimento al personaggio storico portasse Bandello a rimarcare la veridicità dei fatti che sta narrando. 15 anni, ma c’è uno sfasamento temporale perché la morte di Giulia avvenne a 17 anni. Giulia era diverse da molte altre ragazze, anche nei suoi svaghi si comportava in maniera senza malizia. Tornare sul tema dell’onesta ricorda Lucrezia di Machiavelli che viene definita più volte onesta e savia. Antonia pensò di portarla a corte con sé, senza saper spiegare il motivo di questa scelta. Poi ritorna a elogiare le virtù della fanciulla: tutti i giorni lavorava senza perdere mai tempo, andava alle feste con le altre fanciulle e si comportava sempre onestamente. Onestamente: comportamento sempre molto onesto e adeguato. Avvenne che, quando aveva 17 anni, in una festa, un cameriere di monsignor vescovo Gonzaga, vedendo Giulia se ne innamorò, del resto era la più bella fanciulla e aveva maniere che si addicono alle ragazze cresciute nelle case nobiliari. Viene detto stranamente che è da intendere come fuor di misura ed è in contrapposizione con onestamente che rappresenta l’equilibrio e la misura di Giulia. A lei detto aggraziatamente, riverentemente, quindi diversa dal cameriere. Ingorda vista: passione che il cameriere non saprà gestire in maniera razionale Il giovane cameriere la invita a ballare il ballo della gagliarda e se non fosse per vergogna l’avrebbe invitata a ballare ad ogni giro. Bandello indugia sulla descrizione e sulla sua bellezza: nonostante lavorasse tutto il giorno nei campi, aveva delle mani bianche, lunghe e morbide; tenendola per mano il giovane aveva provato un piacere mai sentito prima. Il contesto è quello di un ballo e Bandello descrive anche uno spaccato di società. Confronto con il ballo di Romeo e Giulietta nella seconda parte del novelliere. Giulia e Giulietta due figure speculari, seppur diverse. Giulietta fa parte di un’importante famiglia di Verona. Il ballo è il momento in cui sia il cameriere e Romeo notano le ragazze, quindi il ballo è momento di seduzione. In Giulietta è detto che Romeo guardando Giulietta beveva l’amoroso veleno, del cameriere viene detto che aveva il cuore roso da un amoroso veleno. Amore corrisposto e nell’altro no. Il cameriere le rivolge assai motti e parolucce che non riescono a smuovere il cuore della ragazza. Il racconto di Romeo e Giulietta e ricco di riferimenti cortesi e letterari, mentre il ballo di Giulia manca di questi riferimenti e incentrato sugli istinti sessuali e sulla violenza. Il ballo di Giulia è di bassi istinti al contrario di quello di Giulietta. I vermi del cuore indicano una condizione bassa di amore che si trasformerà in cieca bestialità. Il primo contatto tra i giovani avviene attraverso il contatto delle mani. Il ballo è descritto attraverso il contrasto del comportamento dei due giovani: la passione del giovane che si accendeva sempre di più, le pronunciava motti e parolucce tipiche degli amanti, dette per corteggiarla, ma Giulia invece rimaneva sempre onestissima, assumeva un atteggiamento di distacco e consigliava di non parlare di quelle cose. Si riprende un concetto medievale: idea che l'amore si addice solo alle persone aristocratiche, il popolo ha altro a cui pensare. Nel Decameron Boccaccio invece dirà che l'amore può anche insinuarsi in persone umili. L'uomo non farà un passo indietro nonostante il distacco della donna, ci sarà dell'insistenza che avrà un esito tragico. Vi è un lessico particolare usato da Bandello per la rappresentazione di questo amore: lei è un esempio di castità, donna onesta, virtù principale che ogni donna dovrebbe osservare con più attenzione. Molti personaggi femminile in Bandello sono personaggi disonesti generalmente. Alla fine del ballo il cameriere la segue per capire quale fosse la sua camera. In questa lettera si parla di Leonardo; si parla del suo modo di lavorare al monastero delle Grazie convento di Santa Maria, quando stava lavorando all'ultima cena. Si trovava quindi nel refettorio di questa chiesa e si fa rifrimento a questa lettera perchè ci stavano uomini che contemplavano l'opera che Da vinci stava dipingendo. Leonardo amava sentire le opinioni sul suo lavoro. Bandello sotiene di aver conosciuto Leonardo Da Vinci, si trattava di un uomo che lavoara dall'alba a sera inoltrata, scordandosi di mangiare e bere e dedicandosi solo alla pittura. Alternava però momenti di grande lavoro a giorni in cui non aggiungeva nessuna pennellata ma contemplava le sue figure per poi giudicarle. Partiva da Corte Vecchia in cui stava lavorando ad una statua equestre dedicata a Francesco Sforza fino ad arrivare al convento per continuare il dipinto e poi andare altrove. Bandello racconta di un colloqui che Leonardo aveva avuto con il cardinale Gonzaga, dove si parlò dell'eccellenza della pittura e se quella contemporanea possa essere eguagliata a quella antica. Si parla anche dello stipendio di Leonardo definito adeguato; nell'Orlando Furioso succede il contrario: si dice che gli artisti non vengono ben compensati per il lavoro da loro svolto. Leonardo divenna narratore raccontando la novella 58, definita Historietta. Egli racconta la storia di un altro pittore, Filippo Lippi, pittore fiorentino che grazie alla sua rte riuscì a mettersi in salvo. LEZIONE 13 4\04\2023 Novella X Lettera dedicatoria a Giovan Battista. C'è una distinzone ricorrente nelle lettere dedicatorie di bandello tra appetito e amore; non ogni tipo di sentimento può essere scambiato con quello dell'amore. E' importante fare questa distinzione. C'è un modo di argomentare tipico di Bandello; si affrontano questioni tipiche della filosofia, i diversi tipi di amore, di anima e poi si fa un passo indietro perchè si dice che sarebbe una disputa troppo lunga e uno schema da filosofo, ciò perchè si fa la differenza tra le questioni dei filosofanti e i racconti di storie. Questo è uno schema già presente nel Decameron. Bandello vuole fare delle distinzioni: riprende le concezioni aristoteliche ovvero che per natura l'uomo tende per seguire l'istinto e cercano ciò che giova a loro e fuggono da ciò che li danneggia, un pò come fanno gli animali. Recupera anche il lessico e la filosofia aristotelica e parla di appetito concupiscibile e appetito irascibile. C'è un problema: per natura cerchiamo ciò che per noi è bene e fuggire da ciò che per noi è male, ma, gli appetiti umani resitono alla ragione e quindi si comportano nei confronti della ragione come se fossero dei nemici, contrasto quindi tra il desiderio e la ragione. Gli umani sanno qual è il bene perchè la ratio glielo mostra, ma pur sapendolo, lasciano il bene e perseguono il male; ciò accade soprattutto in amore perchè qui l'uomo non da retta alla ragione e si comporta da essere bestiale come se non fosse dotato di ragione. Bisogna quindi fare la differenza tra amore vero e amore bestiale. L'attacco della novella si ricolegga alla lettera, spesso infatti sono collegate. Si narra che nella lettera dedicatoria quando si presenta il narratore, si sottolinea la "bellissima" compagnia"; prende la parola il narratore e si rivolge alle donne della brigata presenti. Ci sono diverse variazioni lessicali del concetto di "appetito" (sfrenata voglia, furore bestialità ecc), si tratta di movenze decameroniane perchè Boccaccio pure si rivolge alle donne come "graziose donne. Qui si parla dell' amore di Maometto durante il periodo della caduta di Costantinopoli. Si sottolinea la natura crudele di Maometto, uomo giovane e inclinato alla libidine, diversamente da cò che succede nella concezione cristiana. Maometto vede la preda dopo aver vinto la battaglia, si trattava di una ragazza greca, Irenea, che gli piacque moltissimo e desiderò possederla. Abbiamo una tecnica che anticipa un finale negativo, perchè se fosse stato vero amore la storia non avrebbe avuto un così brutto finale. C'è una classica situazione aristotelica, si parla delle virtù della regalità che non prevedono che il re nn si occupi degli affari di stato ma che se ne occupi( Succede anche nella novella del Decameron di Carlo D'angiò, dell'ultima giornata. Qui il re si invaghisce di due sorelle, Isotta e Ginevra, vuole prenderle con la forza ma il consigliere cerca di dissuaderlo dal fare ciò usando anche delle motivazioni politiche: un re non può usare la violenza con i suoi sudditi e soprattutto nei confronti di una donna, perchè ciò lo avrebbe portato a perdere il suo stato. Bisogna essere magnanimi, liberali e giusti, solo così avrebbe potuto governare). In questa novella abbiamo un signore che abbandona le questioni statali per dedicarsi ad una pulsione, pertanto viene definito pusillanime. Maometto dopo aver provocato la rovina dell'impero romano aveva nominato i governatori delle diverse province e inizia ad avere problemi all'interno del suo impero, si crea questo malumore, perchè l'imperatore era "effeminato", poichè aveva abbandonato i suoi doveri per dedicarsi all'amore. Questo malumore stava prendendo le dimensioni di una vera ribellione; si fa riferimento alla crudeltà di Maometto, ma ora aveva più felicità grazie ai piaceri della gloria e della donna. I compiti di un imperatore sono: dilatare i confini dell'impero, accrescerlo, e accrescere la religione musulmana, motivo per cui Mustafà, allevato con la fanciulla , che aveva una certa familiarità con Maometto, prende la parola per cercare di persuaderlo (simile al consigliere decameroniano) e gli dice che non toccherebbe a lui dargli consigli su come dovrebbe comportare ma dato la loro familiarità, si sente giustificato dal parargli. Si fa un inserto storiografico: la storiografia entra all'interno della novella attraverso il discorso e l'orazione di Mustafà. Per l'inserto storiografico Bandello si rifà all' opera di Paolo Giovio " Commentario sulle cose dei Turchi". Altra opera presa in considerazione da Bandello è L'historia Turchesca di Giovanni Maria Angiolello, qui si nomina Irenea. A questo inserto storiografico seguono argomentazioni politiche che riprendono anche la novella decameroniana di Guido. Mustafà propone una situazione conciliante, non dice di abbandonare Irenea ma di portarla in campo o dove fa battaglia. Gli fa capire che può godere della bellezza della donna e dedicarsi anche alla battaglia. Altra novella simile è quella di Scipione in cui si dice che amore e milizia sono inconciliabili. Si parla della conquista e della conservazione, caratteristica della trattatistica. Per Machiavelli la fase della conservazione è più difficile della conquista stessa. C'è il monito: Vinci e vincerai tutto il resto. Bisogna dire il vero al principe, tema della trattatistica. Nelle corti non c'era più chi diceva la verità al principe perchè quest'ultimo si contornava di adulatori. I consiglieri hanno il compito di dire la verità al principe nella trattatistica politica, cosa che nella letteratuta avviene al contrario perchè non c'è più nessuno che dica la verità al principe. Maometto sa che Mustafà ha detto il vero; nella lettera si dice che si riconosce il bene ma si segue il male, ma Maometto dice che è stato temerario a dirgli quelle parole e gli dice che lui stesso dimostrerà che saprà vincere se stesso. Ci troviamo di fronte ad un comportamento non sano e razionale, perchè non c'erca di allontanare l'amore, non si tratta di una risposta positiva come era avvenuto per Carlo D'angiò che aveva rinunciato all'idea di possedere le due donne, questo sforzo in questa novella non c'è, vi è una reazione diversa. Maometto crede di mostrare la sua forza e dimostra di vincere se stesso ordinando che tutti i capi della sua milizia si dovevano trovare nella sala del suo palazzo. Iniziò poi ad avere talmente tanto piacere con la greca, come non avesse mai fatto. Si giustifica dicendo che la donna era talmente tanto bella che tutti al posto suo si sarebbero comportati alla stessa maniera, gli uomini gli danno ragione. La donna viene in questa scena rappresentata come un oggetto, e per dimostrare che lui rispettava i suoi doveri nei confronti dello stato, sventrò con un coltello la donna. C'è un'interpretazione distorta di maometto all'esortazione del vincere se stesso, si incorre nella crudeltà e non nella temperanza. Lui può vincere la dipendenza dalla donna solo attraverso questo atto di crudeltà. Questa crudeltà è associata ai Turchi infatti la novella si conclude sostenendo che questo gesto a noi può sembrare una barbaria ma per loro è tutto normale. Questo è un modo diverso di decinare il motivo del vincere se stessi che di solito viene legato alla virtù della temperanza, qui invece si ha questa infelice fine con un atto di violenza. NOVELLA XVIII La lettera dedicatoria è indirizzata a Violante Borromeo, prima amante di Bandello, e si parla dell'onestà delle donne. Le donne dovrebbero avere l'obiettivo di essere sempre oneste e in questo caso si parla di una donna che riesce sempre ad essere onesta e che difende la sua castità e onestà. Bandello rimproverà le donne contemporanee perchè troppo pieghevoli ai desideri degli uomini perchè quest'ultimi preferirebbero un comportamento onesto. Gli uomini ingannano sempre le donne perchè a loro non ne basta una, per questo cerca di dare un consiglio alle donne. Le donne non si rendono conto e cadono nella trappola, paragone alle farfalle attirate dalla luce. Alcune donne si lasciano ingannare perchè di poco cervello, altre credono di poter legare a sè in qualche modo gli uomini. La protagonista della novella non fa così perchè di fronte al re Ottone III non ha rinunciato e ha difeso la sua onestà. Questa novella è ricca di Anacronisti, si fa riferimento a Ottone IV che diventa imperatore nel 1208. La novella viene raccontata da un frate domenicano alla presenza di un comandante. Gualdrada è la stessa buona gualdrada di cui parla Dante nel XVI canto dell'inferno al verso 37. Gualdrada è la Monna di Guido Verre , personaggio incontrato nel girone dove vengono puniti i violenti. La novella prende spunto dalla cronaca d Giovanni Villani e dai commenti danteschi alla Divina Commedia soprattutto quello di Cristofaro Landino e Alessandro Velutello che danno informazioni sulla Gualdrada, informazioni recuperate da Bandello. Anche la dodicesima novella trae spunto dai commenti alla Divina Commedia perchè i commentatori danno notizie fondamentali per un narratore e utili. LEZIONE N14 05/04/2023 Novella 18 Il narratore è un frate domenicano che narra la storia in presenza di un capitano. Qui si invitano le donne a non darsi e a non concedersi facilmente agli uomini; questo si può leggere come un riferimento a un monito diverso, a una esortazione rovesciata di segno ricordiamo il Decameron. Qui le donne non dovrebbero essere così pieghevoli ai desideri degli uomini e invece nel Decameron si dice che le donne dovrebbero concedersi di più, ed essere generosi (ricordiamo la novella di Nastagio degli Onesti). La caccia infernale vede Nastagio rappresentato innamorato cortese, ma la donna che lui ama non lo ricambia e lui sperpera tutti i suoi denari ottava della IV giornata (come farà il protagonista della) si innamora della figlia di traversarvi. Anche Nastagio è di un importante famiglia emiliana; non viene ricambiato perché la donna è molto distaccata, è rappresentata come una donna altezzosa. Alla fine Nastagio si incammina verso una pineta di Chiessi (vicino Ravenna). Anche dante ne parla di questa pineta, quando descrive il paradiso terrestre dantesco una similitudine con la pineta di chiassi (Ravenna). Nastagio ha una visione vede un cavaliere e dei cani che inseguono la donna, e viene lacerata. Nastagio si ricorda che la stessa scena viene ripetuta sempre alla stessa ora: è come se fosse una pena del purgatoria. castità, anche lei è pronta a morire, il re capisce e fa lo sforzo di continenta e in questo caso la sposa. NOVELLA 41 p220 È la novella di Massinissa e Sofonisba La lettera dedicatoria si presenta come una sorte di cornice di ambientazione militare. I personaggi sono in un accampamento presso Viterbo. È una cornice militare e si fa riferimento al sacco di Roma. Scipione Atellano p il dedicatario, amico di Bandello. i due stanno pranzando insieme in una bella dimora e dinanzi al luogo cera un frutteto con una fontana: anche qui è presente la piacevolezza del luogo (locus amoenus). Consumano il pranzo con vini pregiati. Questo pasto è considerato talmente buono come se si trattasse di un pasto offerto a Roma prima che ella fossa saccheggiata. Vediamo la brigata di uomini d’armi che sono anche letterati. Si leggono dei sonetti del Petrarca e si parla del valore delle poesie. Si passa a parlare dal Canzoniere ai Trionfi di Petrarca. Nei Trionfi si parla della storia di Massinissa e Sofonisba. Ci troviamo in una situazione in cui viene narrata una novella già narrata precedentemente allo stesso dedicatario. Questa novella è costruita attraverso la giustapposizione di monologhi, la vicenda di M e S è dilatata dalla presenza di orazioni; prima c’è un dialogo tra M e S, poi tra Massinissa e Scipione e poi un monologo/lamento di Massinissa. Siamo agli inizi della II guerra punica. Questa storia Petrarca la racconta nei Trionfi ma anche nel V libro dell’Africa. Bandello in questo caso opera da sceneggiatore: ampia la storia immaginando le parole che si rivolgono i personaggi. Questa storia viene anche raccontata da Livio nel libro trentesimo. Massinissa è il re della Numidia. “Dapoi che il caldo…” attacco decameroniano; si narra nelle ore più calde -nel mese di giugno- così come nel Decameron. Si narra in un luogo fresco così come nel Decameron. Massinissa è in guerra con Siface e riesce a conquistare la città di Cirta. M è alleato dei romani. Sofonisba è la figlia di Asdrubale, comandante dei cartaginesi. M che ha vinto entra a Cirta, Sofonisba sa che M è entrato in città e gli va incontro; bule incontrarlo , si getta ai suoi piedi e lo implora che non lo faccia cadere in mano agli odiati romani, la donna preferirebbe morire. Ella era sul fiore de la sua etá e in quei tempi la piú formosa, leggiadra e bella giovane che l'Affrica avesse. E tanto di vaghezza il pianger l'accresceva quanto a molte soglia l'allegria ed il soave e moderato riso aggiungere; Sofonisba era la donna più bella che l’Africa avesse; la sua paura è quella di cadere in mano ai romani perché Massinissa è alleato dei romani. Secondo la natura dei numidi molto facile .. nei lacci dell’amore così come i turchi e Maometto erano stati definiti crudeli allo stesso modo i numidi sono ingordi. Massinissa si innamora a prima vista della donna. la donna preferisce marcire in una prigione piuttosto che cadere nelle mani dei romani, anche perché Sofonisba è figlia di un cartaginese. Se tu, signor mio, hai sorelle, pensa che in tale sí trista ed avversa fortuna potrebbero cadere, quale è questa ove io mi ritrovo. Cosí fatta è la rota de la fortuna, la quale ogni dí veggiamo instabile, volubile e varia, che ora pace ora guerra, ora bene ora male ne apporta, ora lieti ed ora di mala voglia ne fa essere, ed ora ne leva in alto ed ora al profondo de l'abisso ne fa tornare Siface era un re che in uno scontro aveva vinto Massinissa e adesso era stato confitto: ecco la ruota della fortuna che cambia continuamente e rende gli avvenimenti umani instabili. Massinissa non solo le promette che non cadrà mai nella mani dei romani, ma innamoratissimo le dice che la prenderà come sposa. Sofonisba mostra felicità e gratitudine e usa espressioni ossimoriche per indicare che ciò che era una sventura per lei si è trasformata in qualcosa che può dare felicità. Sa però che questa cosa non può realizzarsi perché gli dei sono contrari. Sofonisba dice di non accendere in lei quella speranza, perché sa che la sua fine sa che è vicina. Notiamo che Bandello parla degli dei: attribuisce agli africani le divinità dei romani (parla di Campi Elisi, e più giù di Giove). Il re la rassicura. La sposa e si dice anche “quasi la sua rovina palese veggenfo”, così come prima, Sofonisba non aveva creduto alla possibilità di un nuova felicità perché sentiva che la sua fine era arrivata. Anche M avverte che la sua rovina si sta avvicinando e decide di sposarla repentinamente. Entrano ora in scena i romani, Lelio Gaio romano non fa catturare Sofonisba ma avvisa Scipione. Lelio e Massinissa tornano a combattere per la conquista del regno. E tanto piú il fatto di Masinissa a Scipione dispiaceva quanto che egli era da simili disconvenevoli e disonesti amori in tutto alieno, di modo che in Spagna non s'era da bellezza né leggiadria di donna lasciato piegare dal suo onesto e lodevole proposto giá mai. Pertanto giudicava l'atto di Masinissa esser stato fuor di tempo, poco onorato, e degno d'esser biasimato da qualunque persona lo sapesse. Tuttavia come savio ch'egli era e prudente, dissimulava ciò che nel core aveva, aspettando l'occasione di por rimedio a tutto Abbiamo un ritratto di Scipione che è immune dai sentimenti amorosi: Scipione per antonomasia era completamente alieno dalle passioni amorose. LEZIONE 15 17/04/2023 Continuazione novella Massinasse: Scipione non aveva mai ceduto alle tentazioni amorose. La dissimulazione,che qui vediamo, la vedremo anche in altre novelle: segno di saggezza. La guerra riprende e massinissa e Lelio devono riprendete a combattere per riconquistare il regno. C'è il commento del narratore che si trova anche nelle novelle di Masuccio. Inizia la sequenza del dialogo tra Scipione e massinissa, abbiamo le parole che rivolge Scipione al re dei numidi. In questa parte Scipione spiega cosa ha spinto massinissa a ricercare l amicizia dei romani da parte di Scipione. Sono più pericolose le lusinghe delle donne da combattere che non gli esercizi armati,qui Bandello dilata il discorso che fa Scipione e che racconta Livio nel libro 30, ritorna il tema del vincere se stessi, è difficile resistere alla passione amorosa. Si conquista maggior gloria resistendo ai richiami della passione amorosa rispetto ad aver vinto un nemico in battaglia ( in questo caso Siface). C'è un riferimento ad Annibale come il più glorioso dei nemici romani, generale più valoroso. Lui è stato vinto dai piaceri femminili, e viene effeminato dalle donne. C'è il legame con la novella di Maometto perché lui quando si era innamorato aveva dimenticato tutti i suoi compiti militari e veniva definito come un imperatore femminilizzato. Nel caso di Maometto, Mustafà gli aveva consigliato di portare la sua donna durante le spedizioni; nel discorso di Scipione amore e doveri militari sono incompatibili. Il discorso che fa Scipione è chiaro: tutto ciò che loro hanno vinto e tutti i beni(inclusa la moglie) del re sono preda del popolo romano. In questo testo Siface in un primo momento era alleato dei romani,ora Scipione accusa Sofonisba,figlia di asdrubale, di aver convinto a farlo diventare loro nemico. Il pericolo delle donne negli affari di stato è un tema che ricorre nella trattatistica politica, come in un'opera di Machiavelli dove si dice che " per cagione di donna si rovina uno stato". Massinissa capisce che Scipione ha ragione ma chiede di poter mantenere la parola data. Questa novella, strutturata su un dialogo sul quale nasce l'amore di Massinissa, presenta un lungo lamento attraverso un monologo di Massinissa (Da ardeva libero amante). Abbiamo nel lamento la descriptio della donna amata. Queste descriptio sonno molto convenzionali; Sofonisba, cartaginese probabilmente non era però bionda; gli occhi vengono paragonati alle stelle e al sole (descriptio tradizionale). C'è un riferimento al candore che si mescola a qualcosa di roseo con riferimento alle rose, tutto molto convenzionale. Pensa di morire insieme alla sua amata, tema della sepoltura comune degli amanti che non potendo stare insieme in vita stanno insieme dopo la morte. C'è l'aldilà concepito alla maniera dei latini, immagina la sua vita post mortem con la sua amata. Questa novella è incentrata su Massinissa non su Sofonisba. L'episodio di Sofonisba compare nell'episodio di Madonna fiammetta, la quale quest'ultima passa in rassegna molte donne che hanno sofferto per amore e poi parla di Sofonisba, sostenendo che questa donna ha avuto la fortuna di morire ponendo fine alle sue sofferenze, quindi soffre meno rispetto a lei. C'è anche una tragedia del 500 che si chiama Sofonisba di Trissino. Scipione viene definito di marmo, come una statua di marmo che non prova amore, non può essere messo tra coloro che hanno fatto prova d'amore. Possiamo notare il commento del narratore più avanti: C'è un'identificazione tra la storia di Massinissa e quella dell'autore. Il narratore si augura di non provare mai nella vita una passione così forte poichè Massinissa passa una notte così dolorosa a causa della sua forte passione per Sofonisba; l'autore spera dunque di amare più temperatamente. Questi due tipi di amore sono presenti in molte novelle: un amore che va aldilà della ragione e un amore che non offusca le nostre menti. Il narratore si rivolge al destinatario presente nel momento in cui stava raccontando la novella ed esorta a fare attenzione a questi amori poco regolati. Vi è una metafora molto riccorrente della letteratura, quella della Pania amorosa, tipica anche dell'Orlando Fuioso( prima oattava canto 24); questa pania veniva utilizzata per catturare gli uccelli e viene usata quindi questa metafora per indicare la forza dell'amore; questa stessa tematica ricorre anche nel sonetto 211 del Canzoniere di Petrarca. Passa la notte in questo stato pessimo ma gli manda il veleno come era stato promesso; fa mandare il veleno in una coppa d'oro. Sofonisba prende il veleno con comportamento molto composto e senza piangere, ciò ricorda in campo novellistico Ghismonda, la quale decide di morire perchè Tancredi fa uccidere il suo amante Guiscardo. Sofonisba ha la peggio perchè Massinissa si consola e ottiene il riconoscimento dei romani di Scipione; prima si era annunciata la morte della donna, Massinissa stava per suicidarsi ma intervenne Scipione che lo chiama e con dolcissime parole lo consola e gli fa molti ricchi doni, viene dunque riconosciuta la sua gloria da tutto il popolo e dal senato romano. Questa storia è simile a quella di Maometto dove la donna che ama viene uccisa da Maometto stesso per dimostrare di saper vincere se stesso, avendone una variazione distorta. Qui massinissa da il veleno a sofonisba ma era dovuto al fatto di voler evitare che la donna finisse nelle mani dei nemici romani. Il tema della novella è dunque quello del vincere se stessi. NOVELLA XII: Nella lettera dedicatoria si fa riferimento ad una villa bresciana e si indica il destinatario Pietro Barigliano, poeta. Bandello dice di aver letto e riletto i suoi sonetti e anche in madrigale. Queste lettere dedicatorie servono anche per dimostrare le relazioni tra letterati che si scambiano i loro scritti, sarà Bandello poi a mandargli una novella raccontata alla presenza di Isabella d'Este, di Niccolò Campani, detto lo Strascino, poeta che visse alla corte dei Gonzaga. Si tratta di una novella trascritta che è una Historia di cui fa menzione Dante nel Purgatorio, si rifrisce al canto V vv130-136, in cui Dante raconta con allusività la storia di Fia dei Tolomei. Dopo essersi riposata a seguito della percorrenza di un lungo cammino di cui si fa riferimento nelle prime cantiche, negli ultimi tre versi di questo canto del purgatorio troviamo versi autobiografici con una chiusura chastica. C'è un'accusa velata da parte di Fia nei confronti del marito poichè l'ha uccisa senza saperne le cause. Abbiamo un caso di riscrittura di ciò che è successo a Fia, raccontando in maniera precisa il suo assassinio da parte del marito, è una malmaritata. Bandello dello stesso Vangelo. In una novella di Giovanni Sercambi, la 70 de bonis moribus, racconta di Dante che reagisce al giudizio degli uomini sul giudicare avanti alle apparenze. Dante si trova a contatto con il re Roberto di Napoli ed era mal vestito, essendosi presentato con una veste non importante era stato maltrattato. Vi è un secondo banchetto dove Dante si presenta con una veste elegante e viene trattato con tutti i riguardi. Dante inizia a comportarsi da pazzo buttandosi cibo e bevande adosso e quando gli chiedono perchè fa così risponde che voleva rendere partecipe la sua veste al banchetto. Il re si rende conto della saggezza di Dante e lo invita a stare a corte per sfruttare il suo intelletto, questa stessa situazione si ripresenta in diversi aneddoti. De iusta respondorum, di Sarcchetti, qui si mette in risalto la capacità di Dante di resistere alle provocazione, gli pongono quesiti con l'obiettivo di deriderlo, Dante non perde la pazienza e dà delle risposte che fanno riferimento al Re Roberto, facendo capire che sapeva che questa situazione era tutta organizzata dal re stesso; quest'ultimo quindi lo invita a restare a corte. Questa situazione ritorna del liber faceziarum. In un'altra facezia Dante è presentato seduto a tavola con Cangrande, il signore diventa artefice di una beffa perchè i signori durante il convito iniziano a lanciarsi addosso le osse della carne mangiata; Dante pronuncia un motto che crea un gioco tra il cane animale e il cane nome, diventando un insulto indirizzato al signore di Verona. Si tratta di un aneddoto già circolante infatti abbiamo una storiella analoga, la disciplina clericalis, raccolta di sentenze orientali di Pietro Alfonsi nel XII secolo. La battuta qui è pronunciata da un giullare, aumentando il sarcasmo del motto. Questa storia ritorna in un novelliere , gli Ecatonniti di Giraldo Cinzio del 500. Qui il racconto è preceduto da una presentazione di Dante in cui si mette in risalto il suo ingegno e la sua dottrina nonchè la sua maniera nuova di fare poesia; si dice anche che nonostante la sua sapienza era comunque povero, cosa ingiusta dovuta anche al suo esilio. Queste facezie sono presenti anche in altre opere del 500, in Francesco Doni- La Zucca e in Detti e fatti di Lodovico Domenichi. Queste opere sono fondate sulla strategia del reciclagio perchè raccolgono facezie che già circolavano, come in Motti e Facezie di Domenico Arlondo. Nella 66 abbiamo Dante in esilio a Siena che sta riflettendo in una chiesa e viene importunato e risponde con una battuta velenosa caostica per far tacere il molestatore. Questo aneddoto si trova anche in Lodovico Carboni, autore Ferrarese. Altro esempio è quello di Dante nella novellistica sono le novelle di Gentile Sermini, la cui edizione critica delle novelle è curata da Monica Marchi( l'attribuzione a Gentile non è completamente certa); qui c'è un racconto in cui il protagonista è Ser Giovanni da Prato che si invaghisce di Baldina e grazie ad un amico ha l'opportunità di trovarsi in una camera con lei, dove anzicchè andare al dunque, trova nella stanza il poema e inizia a commentare e leggere ben 4 canti. La donna si arrabbia e lo lascia nella camera in bianco. Molti studiosi in Ser Giovanni da Prato hanno rivisto Gherardo da Prato,che leggeva Dante; questa novella è seguita da un componimento poetico dove si dice che Giovanni non ha saputo cogliere l'occasione e si fa riferimento alla sua omosessualità. Francesco Bausi non è d'accordo con l'identificazione di ser Giovanni da Prato. Altre raccolte del 500 sono Le cene di Grazzini, in particolar modo nella terza novella della seconda cena in cui abbiamo Elisabetta degli Uberti che racconta un sogno che è in tessuto di lessico e di immagini del poema Dantesco. La più celebre novella delle cene ha un'immagine in cui il protagonista cade nelle fiamme provocate da un esperto di fuochi d'artificio che stava provando una nuova invenzione. Mariotto nonostante sia in acqua arde e ricorda una punizione dei fraudolenti, immagine dantesca. In Bandello la presenza di Dante la troviamo nelle citazioni (cita anche Petrarca come nella novella 22). Le citazioni dantesche sono diverse come per esempio quando dice amor che nulla amato amor perdona, usata in tre novelle come se fosse un proverbio; lo troviamo nella seconda parte della novella 40 con significato :se si vuole essere amati si ama; lo troviamo anche nella novella 57 nella terza parte, anche qui il verso è decontestualizzato; la terza volta compare nella lettera della novella 64 nella terza parte quando si parla di matrimonio e si dice che l'uomo deve sforzarsi di essere amato dalla moglie perchè chi ama sarà senza dubbio amato. C'è una novella, la prima della terza parte, che ha come protagonista Francesca da Rimini che però non ha nulla a che fare con la vicenda del poema perchè è una semplice figura di innamorata che cade nell'umore malinconico. Altra novella è quella XII che abbiamo citato nella precedente lezione che prende spunto dai versi del quinto canto del purgatorio vv 130-136, la vicenda di Pia. Pia è una malmaritata e non si hanno notizie sulla morte, perchè si dice che è stata uccisa dal marito ma non si conosce la causa; abbiamo dei commenti in cui si presuppone che fosse stata uccisa per adulterio. Di Francia è uno studioso importante che ha scritto diversi articoli sul giornale storico e negli anni 20 aveva parlato delle fonti su cui aveva lavorato e per quel che riguarda la novella XII, aveva citato il commento di Vellutelli alla Divina Commedia che però è molto scarno. Benvenuto da Imola, commentatore, sostiene che un servo, sul volere del marito, l'aveva fatta precipitare dalla finestra, solo qui si danno dei particolari di come è morta, gli altri commentatori non danno notizie a riguardo; in ogni caso muore in Maremmma. Secondo Di Francia Bandello ha usato il commento di Vellutello e e utilizza degli elementi tratti da De istoribus de duobus amantibus, sfrutando lo stratagemma dell'amante che entra nella casa della donna senza farsi scoprire. Donato Piromato invece ha approfondito i legami tra Bandello e Enea Piccolomini autore del duobus amantibus. Novella XII continuazione: il marito per compiere l'omicidio torna in Maremma. Sappiamo che è una malmaritata perchè c'era tra di loro un'esagerata differenza di età. Abbiamo un'allusione all'incapacità di Nello di soddisfare sessualmente la donna e per fare questo riferimento Bandello riprende una citazione decameroniana del Boccaccio; cita la novella X della seconda giornata, in cui Ricciardo, sposato con Bartolomea non compie i suoi doveri coniugali e perde la moglie rapita da un corsaro e ella vive bene perchè scopre le gioie di stare con un uomo giovane e bello, dunque decide di rimanere con lui nonostante i tentativi di recuperarla di Nello, arriva a non riconoscerlo più e lui impazzendo muore. Abbiamo la classica situazione della malmaritata che cerca di procacciarsi un amante guardandosi intorno. C'è Agostino Chigi, personaggio che discende da un mecenate imortante dell'epoca, a cui la donna mette gli occhi addosso; subentra l'innamoramento reciproco ma devono trovare un modo per vedersi. Agostino cerca un modo per entrare nella casa della donna senza farsi vedere perchè ella non poteva uscire di casa senza essere accompagnata da qualcuno. Nello approfitta dell'assenza del marito e dell'ordine di Nello di una grande quantità di grano, Agostino si veste da facchino e si presenta a casa di lei seguendo le indicazioni che per lettera la donna gli aveva dato. Abbiamo un'espressione che era presente anche nella novell di Eleonora. I due riescono ad incontrarsi e vogliono continuare a vedersi . Lei si confiderà con una persona di sua fiducia ma Pia avverte che è molto pericoloso ciò perchè in questa soluzione vede quasi la morte ma allo stesso tempo si sente di assecondare la proposta del suo innamorato. I due inizialmente si riescono a vedere grazie allo stratagemma del travestimento. Abbiamo un'avversativa "Ma la fortuna" che indica come il loro felice amore viene presto messo a rischio a causa della loro poca prudenza perchè un vecchio servitore di Nello si rese conto di ciò che stesse facendo la donna e si mise in guardia e venne a conoscenza di ciò che la donna facesse, comprendendo i travestimenti dell'amante. Viene ripreso dai commentatori che l'omicidio avviene in Maremma, poichè a Siena c'era il padre della moglie lì era molto potente; la donna viene fatta strangolare. Bandello in una situazione tragica usa sempre dell'ironia: " Mi mandasti a corneto". Bandello alla fine fa riferimento al fatto che ha preso spunto da un manoscritto appartenente alla sua famiglia dove vi erano annotati altri fatti. Bandello utilizza spesso le cronache così come nella novella della Duchessa di Amalfi, novella 26 della prima parte. LEZIONE N18 20/04 Novella 21 p111 Ci fa pensare alle narrazioni di secondo grado dell’Orlando furioso. La lettera dedicatoria è indirizza a sforza Bentivoglio, figlio di Alessandro Bentivoglio. Contessa Bergamini incontrato, è una letterata poetessa resa celebre nel ritratto di Leonardo da Vinci. Cecilia Gallerani stava facendo una cura termale per motivi di salute. Si riuniva un circolo attorno a cecilia bergamini e si fa vedere come era composto il circolo di gentiluomini che si riuniva presso Cecilia: c’erano rappresentanti delle diverse arti. La lettera ci da un esempio della civil conversazione inscenata nelle dedicatorie di Bandello. era continuamente visitata da gentiluomini e gentil donne. Non solo letterati milanesi ma anche persone che vengono da altre parti: aveva una certa notorietà Cecilia e questo circolo era con molto piacevolezza si riuniva intorno a lei. In un'altra lettera di dedica abbiamo visto un ambientazione militare. Vediamo le forme di intrattenimento di questa società aristocratica: danzano, gli architetti e i pittori disegnano, i poeti parlano dei loro poemi e di quelli degli altri. I ragionamenti di questa società sono aristocratica. Nel bel pieno di una disputa poetica tra il signore Antonio Fregoso Firelemo (letterato le opere più importanti sono “riso di Democrito e il pianto di Eraclito” , altra opera “Cerva Bianca”); Fileremo indica che il personaggio ama luoghi solitari. Anche in questo caso, cosi come nella novella di Sercambi il poema dantesco entra nella novella come libro anche in questo caso c’è il Cento novelle (Decameron) che entra in questa cornice come libro da leggere. Avevano già visto un esempio di questo con Petrarca. C’è una disputa sulla poesia tra i due letterati, ma oer il principio della variatio Girolamo Cittadino entra in mano con le 100 novelle id Boccaccio. La proposta di Girolamo è quella di leggere qualche novella del Decameron: ecco principio della variatio, prima si parla di una questione poetica, ora la proposta è quella di leggere il Decameron. La proposta piace a Camilla, altra letterata (vista in coppia con Cecilia in un'altra novella). viene concepita la lettura del Decameron come una forma di recreatio dopo le dotte dispute: da notare “ragionamenti poetici” tessera prelevata dal proemio del Decameron (quei piacevoli ragionamenti degli amici che avevano permesso a Boccaccio di sopravvivere dopo la sofferenza per l’amore). interviene Costanza Bentivogli che invece è d’accordo e vuole ascoltare novelle, le sembra una buona idea, ma perché leggere novelle che tuti conoscono? Tutti hanno sentito leggere più volte quelle novelle. Historie o novelle: alternanza terminologica che attraversa tutto il novelliere di Bandello, in alcuni casi definisce le storie, in altri novelle, forse per le cronache usa il termine storia (come nel caso della contessa di Cellant). Vuole che si raccontino novelle che non si conoscono: questa proposta piace alla brigata. Non è strano che vinee definita novella: questa che andremo a leggere è come se infatti fosse una favola. Si Delina la brigata alla maniera decameroniana: la spia è data dall’aggettivo lieta. Il narratore viene definito costumato e piacevole:. Caratteristica di tutti coloro che narrano un racconto all’interno delle novelle di Bandello. Si anticipa il comportamento errato di due ungheresi dicendo che il dedicatario non si sarebbe mai comportato in modo poco saggio cosi come si sono comparati loro. Rivolge una novella a una giovane dedicataria affinché possa funzionare come esempio di comportamento così possa continuare a comportarsi in modo saggio come saggiamente fa con il compasso della ragione (ovvero Bandello dice che bisogna sempre avere come nume tutelare la ragione in qualunque situazione noi ci troviamo). Questa novella si apre con la descrizione della corte del re Matteo Corvino, re di Ungheria, presentato come re liberalissimo, re che ricompensava tutti i cavalieri virtuosi e chi manifestasse dei meriti e delle virtù militari. Ugualmente cortese era la moglie del re: Beatrice d’Aragona figlia del re Ferdinando di Napoli. Protagonista della novella è un cavaliere boemo che non vive a corte di Matteo Corvino, il nome non si esplicita subito, ma in un successivo momento. È vassallo del re corvino ma non vive a corte, è nobile ma è un nobile non ricco, ha un suo castello ma non può condurre una vita agiata. Questo nobile che, quanto piú di filo filarete, tanto i cibi vostri saranno meglio conditi e in piú copia. Altrimenti voi digiunarete in pane ed acqua. nella novella il comportamento irrazionale e sciocco da condannare è quello di cercare di voler disonorare la donna. si fa spargere la voce che Alberto se n’era tornata in Ungheria, nel frattempo Ulrico guarda l’immagine che aveva della donna ed ebbe la sicurezza dell’onestà della donna. Alberto era stato imprigionato e si era messo a filare e aveva pure accettato di rivelare il perché si fosse recato al castello e della scommessa. A quel punto la damigella di Barbara reca al barone delle buone vivande, allo steso modo avrebbe trattato il secondo cavaliere: Uladislao. Molti si accorgano che Ulrico toglie dalla tasca una scatolina, dove ha l’immagine della donna; tutti volevano sapere cosa guardasse. Uladislao nel frattempo immagina di essersi trattenuto in Boemia perché preso dai lacci d’amore, decide di recarsi al castello. In tutti i due casi, sia quando arriva Albero che Uladislao gli uomini dicono che si erano recati li perché non credevamo alle bellezze della donna e si erano recati lì per constatare li (topos dell’innamoramento per fama; anche la Mandragola inizia con questo topos, anche in una novella della VII giornata del Decameron inizia con questo topos). Barbara anche con Uladislao finge di accettare il corteggiamento e così anche lui finisce nella prigione della torre: anche lui se voleva avere di pasti doveva lavorare, ovvero dipanare il filo. Barbara una volta che tutte e due sono prigionieri fa avvisare il marito. Ulrico racconta la storia alla regina che loda Ulrico. Ulrico chiede che i patti siano rispettati; gli ungheresi avevano detto di dare mobili e immobili, ovvero tutti i loro beni in caso di sconfitta. Il re sentenzia che Ulrico ha vinto la scommessa. Nondimeno, essendo chiara la pattuita convenzione, fu da tutti giudicata giusta, a ciò che per l'avvenire fosse in essempio a molti, che leggermente, senza fondamento alcuno, giudicano tutte le donne esser d'una qualitá, veggendosi per esperienza ogni dí il contrario, perché tra le donne ce ne sono di varie maniere, come anco sono gli uomini. Volle poi il re con la reina che la valorosa ed onesta donna venisse a la corte, ove da loro fu benignamente raccolta e da tutti con infinita meraviglia mirata; e la reina, presala per dama di onore, le ordinò grossa provigione e sempre l'ebbe cara. Il cavaliere, cresciuto in roba e degnitá e dal re molto accarezzato, visse lungamente in pace e tranquillitá con la sua bellissima donna, e non si scordando il pollacco, facitor de la meravigliosa imagine, di danari e d'altre cose gli mandò un ricco dono si vuole condannare l’idea misogina che tutte le donne sono lascive e inclini al tradimento, si condanna la sciocchezza dei due ungheresi mentre non si condanna la gelosia di Ulrico che non riesce a lasciare da sola la donna. Bandello rovescia il mito della fedeltà delle donne, e questa parte finale sul fatto che sia sciocco considerare le donne infedeli e volubili ci rimanda alle argomentazioni presenti nel Cortigiano e nel Furioso. In questo caso vengono puniti i bisogni e coloro che volevano sedurre la donna per mostrare che quella donna sarebbe stata sicuramente infedele LEZIONE N19 26/04 NOVELLA 22 È di ambientazione siciliana. Questa novella, la 22 della prima parte è dedicata a Cecilia Gallerani Bergamini. Lettera dedicatoria Cecilia ha lasciato la sua dimora milanese per il caldo per recarsi in una dimora in Cremona. La donna nel viaggio era insieme a Scipione Atellano. Sta andando a Gazzuolo dove sarebbero stati ricevuti da Pirro Gonzaga (già ricordato nella novella 8). Decidono di fare una visita alla signora Cecilia Gallerani la quale accoglie gli ospiti con grande benevolenza e cortesia. Gli ospiti si fermano per tre giorni. Si dice che Celica nei giorni in cui ha gli ospiti, abbandona i consueti studi che riguardano la poesia latina e volgare. Passa il tempo con gli ospiti facendo piacevoli ragionamenti (espressione del Decameron). Anche il termine brigata: Decameron. All’ora del meriggio raccontavano delle novelle. Bandello decide di riscrivere la novella e di donarla a Cecilia. C’è il topos della modestia tipico delle lettere dedicatorie: c’è l’elogio dell’amico Atellano dotato di facondia ed eloquentia e dice che lui non ha potuto riprodurre che quello stile ma spera che il suo dono sia accolto benevolmente della destinataria. Spera che inserisca la novella nella sua biblioteca insieme alle altre composizioni: rime e prose che lei custodisce. Questa novella è di ambientazione siciliana, il fatto accade dopo i vespri siciliani del 1282. I siciliani avevano cacciato gli angioini ed era divenuto re dell’isola Pietro D’Aragona, che aveva dovuto combattere con Carlo II d’Angiò che teneva il regno di Napoli. Pietro era risultato vincitore ma per meglio occuparsi della guerra aveva fato trasferire la corte e la regina a Messina. Il protagonista è un cavaliere valoroso alla corte di Pietro, uno tra i favoriti del re che si chiama Timbreo di Cardona. Timbreo si innamora della figlia di un siciliano: lionato. Lionato è un nobile decaduto, le sue condizioni sono piuttosto disagiate. Timbreo si innamora a tal punto che manda un messo a casa di Lionato per chiedere la figlia in sposa. Dal racconto del narratore si intuisce che in un primo momento Timbreo avrebbe voluto avere dei rapporti senza matrimonio ma la donna Fenicia fa capire che lei manterrà la verginità intatta per il futuro marito. Dunque la chiede in sposa e al padre di lei sembra un ottima notizia proprio perché Timbreo è di altissimo rango. Anche Fenicia è felicissima, è accolta la notizia con grande benevolenza da tutti i messinesi tranne uno: Girondo Valenziano che non prende bene la notizia perché anche lui era segretamente innamorato di Fenicia. Girondo era un fraterno amico di Timbre: i due avevano spesso combattuto insieme ma non si erano mai rivelati questo amore per Fenicia. In questa situazione Girondo dà il peggio di se: decide di trovare un modo per far saltare le nozze. Nel corso della narrazione c’è il solito modo di esprime il cambiamento di fortuna: ma la fortuna che mai non cessa.., per quanto riguarda il desiderio così poco sano e corretto di Girondo di far saltare le nozze si dice che Girondo è vinto da questa passione amorosa. Si lascia trasportare a fare cose biasimevoli. Compie questo atto biasimevole: pensa di seminare discordia tra i due promessi sposi e si fa aiutare da un amico che istruito da lui si reca da Timbreo e gli fa un discorso che finge di dover fare per correttezza: gli fa credere che Fenicia non è una ragazza per bene ma ha una relazione amorosa prematrimoniale, due o tre volte alla settimana si recava un amico a casa sua. Propone a Timbreo che se vuole accertarsi di ciò gli avrebbe detto il modo quella sera stessa. Timbreo crede agli avvertimenti di questa persona. Lui si doveva recare la sera stessa in un edificio in rovina di fronte al giardino di Fenicia: si doveva appostare li e avrebbe visto il tutto. Girondo quella sera fa vestire un suo servo per interpretare lil personaggio dell’amata (gli fa mettere anche del profumo). Viene accompagnato da due uomini che portano con se una scala. Il troppo creduto e sfortunato signore, dal velo di gelosia accecato, quel giorno nulla o poco mangiò. E chiunque in viso il mirava giudicava che piú morto che vivo fosse. Egli di mezza ora innanzi il termine posto s'andò appiattare in quel luogo rovinoso, di tal maniera che poteva benissimo vedere chiunque quindi passava, parendoli pur impossibile che Fenicia s'avesse dato altrui in preda. Il narratore interviene sullo stato d’animo del personaggio: “poco mangiò”. Accecato dal velo della gelosia non avrebbe dovuto credere a ciò che gli era stato raccontato. Timbreo comincia a nutrire delle opinioni negative sulle donne: la gelosia lo porta a condannare le donne (topos tradizionale delle donne instabili e desiderose di cose nuove). Queste parole sentí chiaramente il signor Timbreo, che al core gli erano tanti pungenti ed acuti spiedi. E quantunque fosse solo ed altre armi che la spada non avesse, e quelli che passavano avessero, oltra le spade, due arme astate e forse fossero armati, nondimeno tanta e sí mordace era la gelosia che gli rodeva il core e sí grande lo sdegno che lo infiammava, che egli fu vicino de l'aguato uscire ed animosamente quegli assalendo ammazzar colui che amante esser de la Fenicia giudicava, o vero, restando morto, finire in un'ora tanti affanni, quanti per soverchia pena miseramente sofferiva - stava per uscire dall’agguato e scagliarsi contro gli uomini perché accecato dalla gelosia (il narratore insiste su questo) ma non fa nulla perché aveva dato la parola all’amico. I tre appoggiano la scuola, a Timbreo basta vedere che quest’amante sale la scala per credere che sia l’amante di Fenicia. Il suo amore si trasforma in odio. Cosa richiama alla memoria questa scena? È una riscrittura dell’episodio che racconta Dalinda a Rinaldo nel canto V dell’Orlando Furioso. Rinaldo viene a sapere che Ginevra è condannata a morte perché accusata di adulterio, lui vuole difendere Ginevra. Rinaldo sente una donna gridare e chiedere aiuto (Dalinda). Polinesso concepisce un piano: Dalinda dovrà mettere le vesti di Ginevra. Qui Timbreo non ha bisogno di vedere Fenicia, vede solo l’amante salire dalla donna attraverso la scala e crede che lo stia tradendo e crede che abbia questa storia prematrimoniale, quel messo che aveva mandato per chiedere la mano, lo rimanda per annullare le nozze dicendo che Fenicia ha perso la verginità prima del matrimonio, ha potuto vedere con i suoi occhi che è una donna disonesta (tema dell’apparenza, l’uomo si lascia spesso ingannare dalle apparenze). Il padre risponde al messo dicendo che sua figlia fosse onesta e presume che Timbreo non vuole più sposarsi perché sono una famiglia nobile decaduta. Si dice che la giovane non era abituata a ricevere colpi cosi duri dalla fortuna: ha un mancamento che sembra essere in pericolo di vita. Tutte le donne messinesi accorrono al suo letto e con una voce molto soave fa un discorso in cui difende la sua innocenza e la sua onestà. Un discorso con dei toni religiosi, affida la sua anima a dio. Questo discorso mostra la sua preoccupazione per la perdita dell’onore, prega dio che un giorno venga riconosciuta la sua innocenza ma sa che morirà con l’infamia addosso. Pronunciate queste parole, muore. C’è il tema della morte apparente, si accorge che non è morta la madre di Fenicia. Io genitori decidono di tenere segreta la morte. Fenica andrà a vivere in campagna dallo zio, da Girolamo. Il loro pensiero è che dopo qualche anno si potrebbe potuta sposare sotto altro nome. Seppelliscono una bara vuota e c’è un epitaffio in cui è la stessa Fenica a parlare è un sonetto. Questa inserzione di epitaffio sono frequenti in Bandello: ce n’è uno nella novella di Romeo e Giulietta. C’è il motivo della morte apparente già affrontato. La morte apparente senza narcotico dobbiamo tener presente la novella IV della X giornata, quella di Gentile Carisendi la donna viene sepolta e in quel caso colui che è innamorato si indrofuce nel sepolcro, baciandola si accorge che è ancora viva. Fenicia dunque e viva, i messinesi piangono una tomba vuota. Questa storia presentata come vere viene presentata come compassionevole, sembra una novella tragica. Timbreo è turbato dalla morte di Fenicia, lo sdegno e la rabbia gli era passata. Girondo si sente responsabile della sua morte e pensa al suicidio, è spinto dal rimorso decide di confessare tutto a Timbreo e gli da appuntamento davanti alla tomba di Fenicia e li Girondo si confessa. La cosa che notiamo è che nel confessarsi racconta di nuovo tutta la storia (tecnica bandelliana). Timbreo si comporta da cavaliere: capisce che non ha senso uccidere per vendetta il suo amico che mostra un grande pentimento. Timbreo stesso si sente colpevole della morte della ragazza e rimprovera l’amico di non aver detto che anche lui era innamorato della ragazza. Timbreo si sente in colpa e si autoaccusa per la morte della ragazza “io per troppo credere abbia colei morte” espressione che fa riferimento al tema di lascarsi ingannare dalle apparenze. Propone di andare insiem da Lionato affinchè possano raccontare i fatti e per restiture l’onore alla ragazza. Chiedono al padre di Fenicia di essere perdonati. Timbreo gli mette a disposizone tutte le su ericchezze, Lionato non vuole dei doni chiede a Timbreo che sceglierà lui la sua futura moglie. Nel frattempo era passato del tempo, era passato un anno. Lionato a un certo punto organizza un incontro nella sua villa in della storia che tutti conoscono. Oltre a dire che la storia è stata raccontata da Girolamo Visconti, la storia del matrimonio tra la duchessa di Amalfi e di Antonio di Bologna e della morte di questi, Bandello dice anche che lui conosceva già il tutto (dettaglio che ritorna nella narrazione); lo aveva appreso dal signor cesare Feramosca. Antonio da Bologna è il nipote di Antonio Beccarelli, umanista. Il nome vinee sostituito dal toponimo: noto come il Falormita. Antonio viveva a servivo del re Federico d’Aragona,, era suo maggiordomo. Il re si era dovuto rifugiare in Francia e Antonio era passato al servizio di un altro aragonese: Giovanna d’Aragona figlia di Enrico d’Aragona. Lei era andata molto giovane in sposa nel 1497 al duca di Amalfi: don Alfonso Piccolomini, il duca qualche anno dopo muore e Giovanna, appena 20 enne si trova da sola ad amministrare le proprietà che ha ricevuto in eredità perché suo figlio è troppo piccolo. Amministra in attesa della maggiore età del figlio. Questa storia c’è giunta attraverso un manoscritto anonimo conservato nell’Archivio di stato di Napoli, non ha datazione. Di questa storia fa anche menzione un altro scrittore napoletano - Scipione Ammirato- che ha scritto: Delle famiglie nobili napoletane, opera del 1580. LEZIONE N20 27/04 Continuazione novella 26 Abbiamo visto come Bandello denuncia il diverso comportamento nel giudicare gli uomini e le donne nelle loro scelte in campo amoroso. C’è un inizio particolare perché si fa riferimento alle scoperte geografiche e ai popoli di nuovi mondi, mondi che vengono idealizzati: per Bandello non c’è quell’idea di sopraffazione e violenza degli uomini sulle donne che crea vicende nefaste in occidente. Abbiamo introdotto: Antonio Bologna, è un Beccadelli, nipote di Antonio Beccadelli. La protagonista è Giovanna D’Aragona, duchessa di Amalfi rimasta ben presto vedova. La storia che narra Bandello è un fatto di cronaca. Abbiamo messo in evidenza che Bandello conosceva la storia perché tempo prima gliel’aveva raccontata Cesare Fieramosca. La novella si racconta quando Antonio da Bologna è a Milano, prima di morire. Si indicano i signori presso cui era stato a servizio a Milano: Francesco Acquaviva etc. Bologna va dal cavaliere Alfonso Visconti. Era un gentiluomo molto galante e di bella presenza. Uomo di buone lette, con il liuto in mano cantava soavemente. Il narratore dice: “io so che alcuni che si trovano qui un giorno l’hanno udito cantare, piangere lo stato nel quale si trovava”. Antonio Bologna canta la sua triste storia e molti di coloro che ascoltano il racconto di Girolamo Visconti hanno avuto l’opportunità di ascoltare il suo canto direttamente essendo dalla signora Ippolita Sforza invitato a suonare e a cantare. Si torna un po’ indietro: il primo segmento della novella riguarda gli ultimi mesi di vita di Antonio, poi si ricorda come lui era stato al servizio di Federico d’Aragona e poi Federico d’Aragona si era rifugiato in Francia nelle braccia di Ludovico XII(si tratta di Luigi XII e non di Lodovico c’è un errore). Antonio aveva servito Federico per molti anni e poi fu chiamato da Giovanna d’Aragona che è la duchessa si Amalfi, figlio di Enrico d’Aragona e sorella del cardinale d’Aragona. La duchessa era rimasta vedova molto giovane e governava il figlio e il dicato di Amalfi. La duchessa è vedova ma ha soli vent’anni dunque è giovane e bella. La duchessa non vuole risposarti perché vuole lasciare tutto il potere al figlio una volta che diventa grande. Ma sente il bisogno di avere a fianco a sé un uomo. inizia a guardare molto dei suoi sudditi che le sembrano costumanti e gentili ma nessuno era paragonato al suo maggiordomo: Giovanna infatti fa dei pensieri sul suo maggiordomo, uomo ben formato e di leggiadri costumi e virtù. con la solita espressione si dice: “di lui ardentemente si innamorò”. e di giorno in giorno piú lodandolo e le sue belle maniere commendando, di modo si sentí esser di lui accesa, che senza vederlo e starsi seco non le pareva di poter vivere espressione che ritroviamo spesso in Bandello: pensa di non riuscire a vivere senza di lui. I due si amano a vicenda, la donna per non offendere dio, decide che è bene sposare Antonio Bologna ma attraverso un matrimonio segreto, non pubblico. Ciò non lo dice subito in maniera esplicita. – Se io con altra persona che teco, Antonio, parlassi, assai dubiosa sarei di dir quanto di farti palese ho deliberato. Ma perciò che gentiluomo discreto ti conosco e d'alto ingegno da la natura dotato, e sei ne le corti regali d'Alfonso II, di Ferdinando e di Federico miei propinqui nodrito e cresciuto, porto ferma openione e giovami credere che, quando le mie oneste ragioni averai inteso, che meco d'un medesimo parer ti troverai… che fra le altre non possa comparire c’è un espressione del Decameron: io non sono né guercia né sciancata e non ho il viso dei Baronci VI novella della VI giornata del Decameron. È una novella di motto raccontata per far ridere la brigata. Il protagonista, Michele Scalza, sta con altri compagni inizia a parlare delle famigli più illustri di Firenze e si fanno i nomi dei nobili illustri. Michele dice che la famiglia più illustre di Firenze sono i Baronci e tutti ridono perché non è all’altezza delle altre. Michele da tutta una dimostrazione per provare che i Baronci sono della nobiltà più antica di Firenze partendo dalla loro bruttezza. Michele dice che sono stati i primi ed erano così brutti perché Dio li aveva creati per primi e quindi per questo. alla fine i Baronci diventano proverbiali per la loro bruttezza proprio a partire dalla novella del Decameron. Siamo di fronte alla teoria che l’amore alberga nell’ozio: gli amorosi pensieri non possono essere disgiunti dalla donna. non si sente di prendere marito perché vede che le persone che possono essere paragonate al marito morto sono ancora troppo giovani e lei non potrebbe fidarsi. “Ché d'etá a me convenevole non ci è al presente baron nessuno che sia da prender moglie”. La donna sa che facendo questo tipo di matrimonio dovrà rinunciare al suo titolo di duchessa ma a lei non interessa: preferisce vivere da gentil donna felice che da duchessa infelice. I due celebrano il matrimonio clandestino davanti a un’unica persona fidata della duchessa: cameriera figlia della sua nutrice. In molti anni i due vivono felicemente, hanno anche un primo figlio, di nome Federico e nessuno si accorge della nascita di questo ragazzo che sia figlio di Giovanna e Antonio. Mettono al mondo anche una figlia però non riescono a tenere nascosta questa cosa. la notizia giunge ai fratelli di Giovanni che spiano la sorella mandando delle persone di fiducia perché non sanno chi è il padre. Capiscono c di essere in pericolo e Antonio decide di fuggire d’accordo con Giovanna: la prima tappa della sua fuga è Ancona. Giovanna resta incinta. Quando lui è fuori per la terza volta di Antonio. Non riesce a stare senza Antonio e decide di raggiungerlo ad Ancona e di vivere come “privata gentildonna” per amore: rinuncia al suo stato di duchessa. Finge con le cameriere di doversi recare a Loreto per motivi religiosi, ma da Loreto prende la direzione di Ancona. Ci saranno poi di quelli che diranno che amore non sia potentissimo. Che amore non sia di estrema possanza, chi sará che voglia dire? Veramente le sue forze sono assai piú maggiori di quello che noi possiamo imaginarci. Non si vede egli che tutto il dí amore fa certi effetti i piú rari e mirabili del mondo e che vince il tutto? Però si suol dire che non si può amar a misura. Ché quando amor vuole, egli fa i regi, i prencipi e gli uomini nobilissimi di vilissime femine divenir non amatori, ma schiavi Commento del narratore della scelta di rinunciare al suo stato di duchessa: il narratore fa di questo caso l’esempio di amore La donna arriva ad Ancona decide di recarsi nel palazzo di Antonio, la duchessa decide di rivelare la verità ai sui servitori che congeda con denaro. Tiene con se solo la cameriera gli altri torneranno ad Amalfi alla corte del primo figlio avuto con Don Alfonso. i servitori però avvisano i fratelli di Giovanna a Roma ed iniziano a perseguitare la coppia. Uno dei fratelli era cardinale e tramite le sue conoscenze ecclesiastiche perseguita i due. Tramite il cardinale di Mantova che aveva una carica proprio ad Ancona riescono a farli cacciare da Ancona. La coppia si rifugge a Siena, ma tramite il cardinale di Siena vengono cacciati da Siena. Fuggono a Venezia, ma all’altezza di Forlì si accorgono di essere seguiti da uomini a cavallo mandati dai fratelli. La donna crede dentro di sé che non le faranno del male. Bologna con il figlio più grande riesce a mettersi in salvo e anziché andare a Venezia si recano a Milano. La novella inizia proprio con Antonio che è a Milano: il cerchio si sta chiudendo. Gli uomini a cavallo prendono solo Giovanna con la cameriera e gli altri due figli e la conducono ad Amalfi. Viene chiusa in una torre del castello e insieme ai figli vengono fatti uccidere. Il narratore si riallaccia all’attacco della novella perché dice che: “Antonio se ne venne a Milano dove stette…”, fa il nome del marchese di Bitonto, dunque riprende proprio l’inizio della novella. Il narratore dice che alcuni gentiluomini avevano cercato di avvisare Antonio che Milano non era sicura, Antonio non ascoltava nessuno e il narratore ipotizza che era stato ingannato e che non sapeva che la moglie e i figli erano stati uccisi. Di questa vana speranza adunque pieno e d'oggi in dimane essendo divenuto sazio, stette in Milano piú d'un anno. In questo tempo avvenne che un signore di quei del Regno, che aveva genti d'arme nel ducato di Milano, narrò tutta questa istoria al nostro Delio, e di piú gli affermò che aveva commessione di far ammazzar esso Bologna, ma che non voleva diventar beccaio a posta d'altri, e che con buon modo l'aveva fatto avvertire che non gli andasse innanzi, e che di certo la moglie con i figliuoli e la cameriera erano state strangolate. Dobbiamo ricollegare questa frase alla lettera dedicatoria. Delio è proprio Bandello stesso. Quindi capiamo che Cesare Fieramosca ha raccontato tutto a Delio: ovvero a Bandello. cesare Fieramosca probabilmente aveva allertato Bologna e le aveva raccontato che la moglie e i figli erano stati strangolati. Un giorno essendo Delio con la signora Ippolita Bentivoglia, il Bologna, sonò di liuto e cantò un pietoso capitolo si ricollega a quanto detto prima nella novella. lo stesso Bandello aveva cercato di mettere in guardia Antonio Bologna dicendo che a Milano correva un pericolo perché c’era qualcuno che voleva ucciderlo. Antonio Bologna crede che il cardinale non sia più in collera e che presto potrà riunirsi a Giovanna. Delio (Bandello) racconta la sua storia all’amico Scipione Atellano e che voleva inserire questa storia nelle sue novelle sapendo che il povero Bologna sarebbe stato ucciso. Viene citato: Daniele da Bossolo è lui il sicario che uccide Antonio insieme a tre altri compagni. La novella si conclude con la dichiarazione che non sarà fatta giustizia: l’assassinio di Antonio Bologna non verrà perseguito dalla giustizia. Secondo uno studioso ottocentesco, Antonio Bologna muore a Padova. La novella racconta un fatto realmente accaduto. Webster rappresenta questa novella nel 1614 trasformandola in una tragedia. La storia penetra in Inghilterra tramite la raccolta di William Painter che scrive Il palazzo del Piacere in cui appunto ci sono alcune novelle di Bandello tradotte in inglese. Dobbiamo ricordare anche un’altra tragedia: Il maggiordomo della duchessa di Amalfi tragedia di Lope de Vega (1618). NOVELLA 27 p153 La lettera dedicataria è a Ermes Visconti già incontrato, primo marito della marchesa di Cellant, l’uomo che conosceva il trotto del suo puledro, era gelosissimo della sua donna e non la faceva uscire di casa. Questa lettera inizia con un tema caro a Bandello: quello dell’amore e gli effetti dell’amore quando non è misurato/moderato e controllato dalla ragione. Bicocca: Battaglia anche citata alla fine della novella di Timbreo. La lettera inizia con le solite raccomandazioni, di quanto sia pericoloso non avere un amore regolato, ma cmq i giovani si danno ai ciechi appetiti. Racconterà un caso degno di essere raccontato, un caso avvenuto in Spagna e che mette in evidenza gli errori commessi dalle donne. Alcune volte le donne si ingannano e restano cosi ostinati nei loro errori e inganni che provano delle conseguenze molto pericolose. La lettera si consclòude con la solita precisazione che rimanda al Cortegiano e al Furioso: se c’è una donna malgavia non dobbiamo dire che tutte siano malvagie. Infatti la lettera termina così: Né perché ci sia talora una malvagia femina si vogliono l'altre sprezzare; anzi per una buona, ché molte ce ne sono, continente. La virtù della continenza è stata citata più volte. Faustina aveva delle relazioni con marinai e gladiatori nella sua splendida villa di Gaeta. Era stata raccontata la storia della relazione di Faustina e del gladiatore, Faustina aveva anche comunicato questo suo sporco appetito a Marco Aurelio. Dopo aver raccontato questa storia il giorno successivo, una compagni di uomini iniziò a ragionare proprio dell’incontinenza di alcune donne. Carlo Atellano (fratello di Scipione Atellano, amico di Bandello) a proposito di questo argomento narrò una novella che tutti gli ascoltanti riempi di estrema meraviglia e stupore. Bandello dice che il caso è degno di memoria (topos di Bandello). il caso è mirabile proprio per la sua stranezza ed ecco perché è degno di essere registrato e degno di essere trasmesso ai posteri. Il narratore carlo Atellano inizia dicendo che in fin dei conti si ricollega alla storia che era stata raccontata pochi giorni prima all’imperatrice Faustina. Faustina si era comportata effettivamente in modo disonorevole, considerando anche il fatto che era la moglie di un imperatore virtuoso quali Marco Aurelio. La cosa non era strana che Carlo Atellano, il gladiatore etra un uomo molto prestante. La storia che adesso io voglio raccontarvi presenta un caso strano, questa storia che racconta Carlo è una storia che è accaduta in Francia, a Rovano, una delle più importante città della Normandia. La protagonista della storia è una giovane molto bella e sposata con un uomo ricchissimo che ama molto sua moglie e presto ne diventa geloso. Si usa molto spesso un’espressione “gli pareva che le mosche che per l’aria volavano la dovessero portare via” espressione usata anche nel Decameron, l’espressione indica una gelosia eccessiva. Nonostante la gelosia, la moglie godeva di una libertà secondo gli usi dei francesi. Bandello più volte inserisce le indicazioni sui comportamenti dei diversi paesi e dei loro costumi. atellano dice: “voi dovete sapere che il morbo della lebbra…” questa novella ci riporta a Masuccio Salernitano, a quella di Martina e Loisi che si imbattono nell’ospedale/lazzaretto, anche questa novella è ambientata in Francia. La lebbra è il male di san Lazzaro: viene detto così nella novella 37. Lazzaro è il santo protettore dei malati di lebbra. I lazzaretti sono gli ospedali. Bandello definisce i lebbrosi anche lazzarosi. In Francia è talmente diffuso questo morbo che non esiste una città che non abbia un suo ospedale. Un dì avvenne che un gruppetto di donne, tra cui c’era la protagonista che per ora è senza nome, iniziano a parlare dei lebbrosi. Una donna che faceva parte della compagnia cominciò a dire che i lebbrosi sono molto prestanti sessualmente (“durano più degli altri nella fatica del macinare” metafora sessuale tratta dal Decameron, II novella VIII giornata, novella del prete di Varlungo e Belcolore, è proprio nella novella del Decameron che si dice “atta a saper macinare”.) non viene dato né il nome della protagonista né il nome del marito, con la solita scusa di tenere oscuri i nomi visto il caso così insolito, è un caso disonorevole infatti, che rovina la reputazione dei diretti interessati. Alla moglie dell’uomo geloso le venne un desiderio, quello di provare un lebbroso e vedere se erano “valenti nel servizio delle donne” espressione decameroniana ripresa sempre nella novella del prete di Varlungo e Belcolore, qui si dice “valente e gagliardo nei servigi delle donne”. La donna viene assalita da questo desiderio e non vedeva l’ora di soddisfare questo suo desiderio. Dopo che ci ragionò su, tanto fu l’ingordo e libidinoso appetito che vinta in tutto da quello decise di soddisfare questa sua sfrenata voglia. Ne scelse uno molto giovane perché le sembrava molto gagliardo, ebbe questo rapporto intimo con lui, non contenta di averlo una volta, volle ripetere ed ebbe con lui diversi rapporti. La donna si stanca presto di questo giovane, le viene la paura di essersi contagiata; il narratore precisa che nel periodo in cui la donna ebbe i rapporti con il lebbroso, il marito era fuori per affari. Alla fine la donna decide di raccontare tutto al marito. Notiamo l’espressione “enorme eccesso” la donna aveva riflettuto su quest’enorme eccesso che aveva commesso. L’aggettivo enorme sta ad indicare tutto ciò che è abnorme ed eccessivo. Ci troviamo infatti di fronte a un caso insolito. Il marito rientrato in città, dopo essere stato lontano per molti giorni dalla moglie avrebbe voluto avere un rapporto con lei, ma la donna si sottrae e gli racconta tutto ciò che aveva fatto: la donna aveva giaciuto carnalmente con un lebbroso. Con le lacrime chiedeva perdono al marito e gli dice che non era riuscita a contenere quella passione per il lebbroso. Temeva di poter contagiare il marito ed ecco perché non aveva voluto giacere con lui. Il narratore definisce il marito: “ser capocchio” “caprone”, più avanti “ser barbagianni” appellativi che indicano la stoltezza del marito ma solo per ciò che riguarda il rapporto con la moglie. Il marito cominciò a piangere insieme a lei dicendole che l’avrebbe fatta medicare. Il marito si reca a Parigi e si rivolge a più medici, raduna i più famosi ed eccellenti medici per avere una cura per la moglie. Ai medici aveva raccontato la verità e li pregò di studiare il suo caso. I medici dopo aver studiato attentamente il caso arrivarono ad un parare: la più utile medicina per la donna era quella che per tre o quattro mesi ogni giorno, quanto più volte poteva, amorosamente giacesse con vari uomini così che potesse guarire da quel morbo. Il marito torna a casa e riferisce alla moglie la terapia e si dice che se ne tornò tutto allegro (cosa insolita), ma era allegro perché pensava che la donna guarisse. La donna pensava di essere ingannata ma poi capisce che il marito parlava sul serio. L’uomo è stolto solo per quanto riguarda il rapporto con la moglie, il narratore infatti dice “non crediate che egli sia uno scemunito o un pazzo”. Vediamo innanzitutto l’interesse di Bandello per i comportamenti umani in campo erotico, in particolate per quelli più strani. Abbiamo detto che c’è un collegamento con la novella di Loisi e Martina per quanto riguarda la presenza del lebbrosi: mente Masuccio si sofferma a descrivere l’aspetto repellente dei lebbrosi insistendo sul macabro facendone esseri spaventosi, l’interesse di Bandello invece non è quello di dare questa descrizione repellente che suscita ribrezzo come nel caso di Masuccio. Ci può venire in mente anche un’altra novella di Masuccio per quanto riguarda la sessualità vissuta in modo così disturbata: quella del nano anche qui la donna ha un bellissimo marito che però nutre un desiderio per un essere deforme, una strana bestia, un essere mostruoso. Il marito sopporta qualunque cosa per amore della donna. La protagonista della novella 37 è vittima di appetito sessuale: per lei non è importante la persona con cui ha rapporti. Il marito invece non riesce a concepire l’amore se non per lei. Vediamo una situazione diversa tra i due, una situazione che comunque è patologia. Notiamo anche il motivo del sesso terapeutico, che è un motivo presente nella novellistica (ricordiamo la novella di san Griffone e delle sue brache: Agata finge di stare male e grazie ai rapporti non li ha più). Il motivo del sesso terapeutico lo ritroviamo nella prima novella de Le cene di Grazzini: qui la donna è effettivamente malata e guarisce perché ha un rapporto con il marito, guarisce grazie al sesso. L’infermità delle donne dunque può essere curata in questo modo. NOVELLA 42 p227 Questa novella rappresenta il macabro bandelliano. La brigata si trova nella villa in compagnia di Isabella d’Este, dove ama passare le estati. I presenti parlano delle vendette che si prendono vicendevolmente uomini e donne. Si dice però che le vendette degli uomini sono più pesanti, interviene una donna: Eleonora Bonavicini a difesa delle donne, dicendo che gli uomini prendono grande piacere a ingannare le donne, e che se qualche volta le donne beffano gli uomini questi si rattristano e tentano di vendicarsi con tutte le forze. Dunque dice che non si dovrebbero meravigliare se poi qualche volta le donne reagiscono, come è successo in Spagna. Eleonora dice di aver saputo questo caso successo in Spagna perché le è stato raccontato da un amico attraverso una epistola. Eleonora racconta questo caso, definito nella lettera dedicatoria “meraviglioso accidente”: anche questo caso, dunque è destinato a suscitare stupore. Interessanti sono i passaggi: questa storia per la prima volta è stata raccontata in forma scritta in un’epistola (inviata ad Eleonora da un amico che era a Napoli) poi raccontata oralmente da Eleonora e poi di nuovo trascritta da Bandello. questa novella è ambientata a Valenzia (Spagna) dove ci sono bellissime donne che sanno adescare gli uomini; si dice che in tutta la Catalogna non c’è città più lasciva di questa. Se per caso capita un qualche giovane poco esperto, le donne lo adescano; “gli radono la barba” metafora per indicare che adescano i giovani. Li adescano ancor meglio di quanto farebbero le siciliane: topos della novellistica già notato a proposito di Masuccio, nella novella di Agata; avevamo ricordato anche le siciliane del Decameron: Biancofiore (decima dell’VIII giornata) e la prostituta siciliana nella novella di Andreuccio da Perugia. Il protagonista della novella 42 è un giovane ricchissimo di nome Didaco, di 23 anni, della famiglia di Centigli. Il giovane si innamora di una ragazza di molto più basso lignaggio: Violante. Se ne innamora follemente, anche in questo caso lui non vuole sposare la donna, ma vuole possederla. Immagina che avrebbe potuto corromperla con il denaro, e si usa l’espressione “san Giovanni boccadoro”, espressione già vista in una novella di Masuccio, espressione a sua volta attinta dalla sesta novella della prima giornata del Decameron. Violante nonostante il ragazzo la rassicura dicendole che l’avrebbe sposata e le avrebbe dato una ricca dote, non cede. Didaco non ha i genitori: nella novella si dice questo. la donna non accetta, ma lui è talmente innamorato che decide di prenderla per moglie visto che non può averla come amante. Cerca di trovare delle giustificazioni tra se e se per questo matrimonio insolito perché i due non sono dello stesso ceto sociale (in una lettera di Bandello abbiamo visto come per Bandello stesso i matrimoni debbano essere conservatori). Per darsi delle giustificazioni il giovane diceva tra se e sé di dare retta al cuore, e soprattutto ricorda che un re aveva sposato una donna umile. Inoltre diceva che Violante era dotata di tante buone maniere al punto che non sfigurava di fronte alle nobil donne. Si fa un matrimonio clandestino soltanto alla presenza di un servo di fiducia del giovane e alla madre e i due fratelli della donna. L’accordo era che avrebbe dovuto rendere pubbliche le nozze, ma così non avvenne, anzi non solo non le rese pubbliche, ma Didaco si sposa con una donna di alto rango: tutto ciò dopo che Didaco era stato insieme un anno con Violante. La narratrice dice che forse perché o era sazio di lei o perché si vergognasse di lei dato che era di basso rango. La prima reazione di Violante quando viene a sapere la notizia è di profondo dolore, reagisce con profonda malinconia (topos bandelliano), la donna passa il tempo sospirando, piangendo, senza mangiare, bere e dormire (tratti tipici del malinconico). Vedendo che il pianto non serviva a nulla, Violante si riprende e comincia a concepire una vendetta. Prende la decisione di vendicarsi e comunica tutto il suo piano ad una sua servetta. Il momento opportuno arriva: Didaco un giorno passa a cavallo sotto la finestra di Violante. Il termine vendetta è più volte ripetuto. I due hanno un colloqui, lei non mostra di essere in collera con lui e lui da parte sua le dice che è stato costretto a sposarsi con quella donna per mettere pace tra le due famiglie. Lei finge di aver piacere che si incontrassero altre volte, il giovane cade nella trappola e le chiede di passare la notte da lui. Lei non aspetta altro: la vendetta sarà raccapricciante ed eccessiva. Lei inscena, con l’aiuto della serva una sorta di rituale orrido perché l’uomo viene seviziato. Quando il giovane si addormenta, Violante lega nudo Didaco in una trave che era nella camera e lo imbavaglia. L’uomo si risveglia e dice che le due donne si procacciano una serie di strumenti come tenaglie, coltelli e altri ferri taglienti. C’è il commento del narratore “Che animo crediamo noi che devesse esser alora quello di cosí infelice gentiluomo? che pensiero il suo, veggendo innanzi agli occhi suoi le due donne spiegar quei taglienti ferri ed arditamente prepararsi, come fa il beccaio quando nel macello vuol scorticare un bue od altra bestia, contra di lui? Veramente io penso che egli si trovasse molto mal contento d'aver mai offesa Violante. Ma il pentirsi da sezzo talora poco vale, dico appresso agli uomini, ché innanzi a Dio ho io sentito piú fiate predicare che il pentirsi di core sempre vale”. Violante si rammarica solo di una cosa, che la vendetta non può essere pubblica: lei avrebbe voluto fare la vendetta pubblicamente, ma la deve fare all’interno della sua camera; infatti dice: “quanto mi duole che io di te non possa publicamente negli occhi di tutta la cittá quella vendetta prendere che la scelaraggine tua merita!”. avverte che è successo qualcosa di grave, chiama il marito e altri servitori i quali buttano la porta giù permettendo di vedere un misero e orribile spettacolo dell'uomo pendente dalla trave. Fu mandata a chiamare la madre e i parenti del ragazzo e messer Francesco Guicciardini, re di modena, non ha le vesti di scrittore ma quelle di governatore della città. Guicciardini fu il primo an entrare in camera, vide i biglietti e fece distaccare il corpo. Arrivata la madre iniziò a diffondersi il pianto, i biglietti vennero letti e mostrati ai parenti che ne confermarono la scrittura. Viene attestata la veridicità del fatto grazie al confronto con Guicciardini. Questa novella viene a rappresetare cosa può succedere a causa dell'amore non controllato dalla ragione e a causa della gelosia. Interessante sono le strategie del narratore per dimostrare che il caso sia un fatto di cronaca, avvenuto a Modena, realmente accaduto, che ha coinvolto il governatore di Modena. Nella novella di Violante abbiamo un omicidio che nasce da un desiderio di vendetta spropositato e dal desiderio di salvare l'onore. Violante fa un'orazione al vicerè incentrata sul tema dell'onore (lo fece anche Giulia Da Gazzuolo uccidendosi in quanto disonorata); Violante ha una vendetta folle, non pensa al suicidio, pensa che l'uomo debba essere punito e si rammarica che la punizione non è pubblica ma solo privata poichè avviene nella sua camera spagnola ( cosa che accade anche qui in questa novella in una casa modenese). Novella 44 : si racconta un fatto realmente accaduto; l'epistola è indirizzata a Baldassar castiglione. Bandello ricorda che a Milano era venuta Bianca d'Este che fu invitata, dai gentiluomini lombarsi. Lucio Scipione Atellana, persona virtuosa e cortese, onora la sua ospite illustre. Era la stagione di luglio. Nella lettera vengono indicate le usanze di questi uomini, c'è una farsa. Dà delle coordinate temporali: era luglio nei giorni in cui fa più caldo. Questi uomini si trovavano in un circolo novellistico milanese, in cui si tennero delle rappresentazioni teatrali e anche dei piacevoli giochi e balli. Visto il caldo opprimente, la brigata pensò bene di abbandonare i balli e iniziare a conversare. In questa brigata c’era la poetessa Camilla Scarampi – un’altra Saffo la definisce l’autore – che propose di iniziare a novellare vista l’ora e il caldo. Nella dedica c’è un riferimento alla lieta brigata che riecheggia gli ambienti che troviamo nella cornice del Cortegiano. Ma richiama alla lieta brigata del Decameron. Anche se qui non sono descritti i tratti tipici del locus amoenus, ma c’era solo un venticello che allieta la giornata afosa. Camilla Scarampi verrà paragonata a Saffo, era una donna molto ammirata da Bandello e Camilla propone si raccontare novelle. Possiamo paragonarla a Pampinea che sarà lei a proporre di raccontare novelle. Così Camilla iniziò a narrare e poi seguirono anche altri uomini e donne; anche la signora Bianca narrò una novella che a Bandello parve notabile e degna di esser trascritta e ricordata. Nell’epilogo della lettera Bandello afferma che questa novella era degna di esser dedicata a Baldassarre ed era testimone dell’amore e devozione nei suoi confronti. Gli invia la novella perché Baldassarre gli aveva inviato un’elegia e usa il solito topos modestia affermando che gli inviava una cosetta delle sue, in dono, ma non come scambio perché le cose coltissime dell’autore non sono degne di essere paragonate a quelle sue. Questa Elegia, composta nel 1519, raffigura la moglie di Castiglione, morta di parto, Ippolita Torelli e il figlio Camillo, mentre fanno delle domande al ritratto di Castiglione come se parlassero con il ritratto per consolarsi della sua assenza. Castiglione aveva importanti mansioni diplomatiche e spesso era in viaggio. Il ritratto è dipinto da Raffaello ed è conservato al Louvre. La moglie voleva che gli permettesse di andare dal papa a Roma. Lei vien rappresentata come la donna che vuole vivere e morire con il marito. Bandello quindi riporta una novella Novella: Raccontata da Bianca D'este. Bandello inizia con un elogio a Niccolò III d’Este( nonnno Bianca), era stato un grandissimo signore di Ferrara, sebbene non fosse figlio leggittimo e il posto toccava al cugino Azzo, ed aveva spesso fatto da arbitro in contese italiane. Fa riferimento al cugino Azzo che lo aveva molestato, ma poi era riuscito a relegarlo in Creta. C’è un riferimento storico per ottenere la signoria da parte di Niccolò che spettava al Azzo IV. Poi ottenne la signoria di Ferrara e prese in sposa Gigliola figlia di Francesco da Carrara che in quei tempi era signore di Padova. Ebbero un unico figlio dal nome Ugo; successivamente Gigliola morì a causa di parto con grande dispiacere del marchese che amava unicamente solo lei. Si tratta in realtà di un falso storico perché Gigliola morì di peste e non diede alcun figlio a Niccolò. Anche quando Bandello dice che unicamente amava era ironico, perché Niccolò ebbe molte amanti, Bandello lo definisce il Gallo di Ferrara. Ugo era figlia di Stella di Tolomei una sua amante. Ugo era cresciuto come un principe e elogiato in qualsiasi cosa facesse. Il narratore fa riferimento alle molte amanti del marchese e anche ai tanti figli bastardi che nacquero riportando anche un proverbio di quei tempi: si diceva che 300 figli del marchese avessero tirato l’altalena dalle navi dietro al po’. Cita anche qualche figlio e le cariche che avevano avuto, ma afferma solo di quei figli che si conoscevano, facendo intendere che molti altri ancora erano nascosti. Arrivò il momento in cui il marchese Niccolò III decise di sposarsi nuovamente. Decise di prendere come moglie la figlia di Carlo Malatesta, signore valoroso della Romagna; si tratta di un falso storico perché era figlia di Andrea Malatesta e non di Carlo. In seguito alla morte della moglie la bambina era cresciuta alla corte dello zio Carlo. La ragazza era molto giovane, non aveva ancora 15 anni, era bella e molto viziosa. La giovane fanciulla venne accolta pomposamente e Ferrara. Parisina – questo era il suo nome – aveva capito che il signore era il gallo di Ferrara e quante donne vedesse, con tante voleva stare, comunque era anche più vecchio di lui e non aveva intenzione di sprecare così la sua giovane età, e allora si innamorò del figlio Ugo che era molto bello e costumato. Era così innamorata che era felice solo quando lo vedeva e parlava con lui. Lei era una mal maritata. La donna non è soddisfatta per il marito anziano. Bandello non era estraneo alla visione della donna come potenziale creatura dell’ordine sociale. L’adulterio non è considerato come rischio, ma permette di risolvere una situazione di scompenso per il corpo della donna. Bandello era influenzato da quelle che erano le teorie mediche che vedevano il corpo umano dominato da diversi livelli di calore e differenti umori. Ugo le portava l’onore e il rispetto che si doveva a una matrigna, non pensava a una tale scelleratezza – scrive Bandello – e Parisina, che lo ardeva di amore, si sforzava di fargli capire cosa provasse, ma vedendo che lui non era per nulla interessato e sviava l’argomento ogni volta, era molto triste. Dopo molti giorni in cui Parisina aveva vissuto acerbissimamente, decise di vincere la sua vergogna e rendere manifesto il suo amore a Ugo. L’occasione ci fu quando il marchese andò fuori città, poichè chiamato dal duca Visconti, così la marchesa mandò a chiamare Ugo nella sua stanza per esprimere i suoi sentimenti. Bandello tende a sottolineare costantemente l’onestà del giovane, infatti si recò nella stanza senza alcun indugio, i suoi pensieri erano totalmente diversi rispetto a quelli di Parisina, infatti le fece i soliti onori e si sedette al letto come gli aveva chiesto. Vinta la vergogna, iniziando a piangere e con i singhiozzi che interrompevano le parole parla a Ugo e Bandello riporta il discordo diretto. La donna fa riferimento alla natura adulterina del marchese, dicendo che dopo la morte della moglie si era intrattenuto con diverse donne e non ci fosse contrata in cui non ci fosse un suo figlio bastardo; facendolo sposare nuovamente tutti pensavano che non avrebbe cercato altre donne, ma non cessò di farlo, ritiene, anzi, che continuerà a farlo fino alla sua morte. Ciò portava il marchese a dare poca attenzione sia a lei, ma anche ad Ugo che era suo figlio legittimo. Poi ricorda l’episodio di un suo avo: Azzo aveva ucciso suo padre perché aveva portato in casa una matrigna. Lo vuole ammonire affinché non venga beffato e schernito in quanto il marchesato di Ferrara non toccava a Niccolò, ma apparteneva ad Azzo IV che Niccolò aveva fatto invece uccidere. Allora lei consiglia di guardarsi bene che questo non accada a lui, che non venga spodestato in quanto i figli bastardi erano molti. Lei era dalla sua parte in quanto lo amava molto. Successivamente giustifica il suo innamoramento spiegando che le era stato fatto credere che avrebbe dovuto sposare Ugo e non suo padre e poi erano anche della stessa età quasi – Ugo aveva tra i 16/17 anni (riferimento all'innocenza di Francesca di Paolo e Francesca). Continua a lodarlo e manifestare il suo amore senza fine e poi gli getta le braccia al collo e lo bacia più volte. Gli chiede di ricambiare il suo amore così da renderla la donna più felice al mondo. Ugo rimase stupito di quelle parole, non sapeva cosa dire e se andar via, era attonito e stupefatto e viene paragonato a una statua di marmo. Parisina era così bella e si fa un paragone a Fedra: se Fedra fosse stata così bella avrebbe piegato Ippolito. Fedra significa splendente. Sposò Teseo che aveva avuto già come figlio Ippolito e lei si innamora di lui. Teseo uccide Ippolito. Seneca nel finale dice che Fera confessa il finale e si uccide. Parisina molto astuta, vedendo che non rispondeva, pensò bene di agire ora che aveva manifestato il suo amore, affinché non riportasse la verità al padre e perdendo così l’onore. Allora nuovamente gli si gettò al collo, lo baciò, abbracciò in modo tale da accendere la passione anche in Ugo che iniziò a ricambiare. Per pudore non scrive quello che fecero, dicendo di non voler raccontare i particolari. I due amanti pensarono bene di trovare un luogo nel quale vedersi e in cui stare sicuri. Parisina aveva rivelato il segreto solo a una serva fidata affinché li aiutasse. Questa sebbene fosse una novella tragica, ci sono espressioni che contrastano lo stile tragico, infatti la narratrice sottolinea l’amore anche di Ugo, non faceva altro che pensare a lei. I due grazie alla serva segretamente riuscirono a vedersi per due anni continui senza che nessuno sospettava qualcosa anche se li vedevano stare insieme. Ma accadde che la serva si ammalò e morì. (Piramo e Tisbe. I due parlano attraverso una fessura, sepoltura comune. Sepoltura comune novella 31 di Masuccio); (anche nell'Oralndo Furioso c'è una novella in cui ritorna il tema del buco, canto 28, Astolfo e Fiammetta che grazie ad un buco si scopre che la regina lo tradisce con un nano). Sia Astolfo che Iocondo vengono traditi. Astolfo dalla moglie e cade nello stato dell’innamorato tradito, malinconia e depressione. Poi inizia a riprendersi quando il re anche si accorge che viene tradito. Poi il re si mette in testa che non c’è donna che sia fedele. I due se ne fanno una ragione e decidono di condividere la stessa donna Fiammetta. Fiammetta riesce ad avere un rapporto con un terzo uomo quando gli altri due dormono. È una novella misogina per mettere in evidenza il loro essere inappagate e desideroso di avere più uomini. È Iocondo che si accorge di tutto attraverso un piccolo buco. La regina ha rapporti con un nano, quindi collegare anche a una novella di Masuccio, quella di Ambrosia. Anche questo nano è definito orribile, sgrignuto che significa anche gobbo. Una regina che ha il maggiore re del mondo, ma ha un appetito distorto. Bucolino oattraverso cui si vede tutta la scena. Un cameriere di Ugo si accorse dell’avvicinamento dei due amanti e li seguì. Fece un buco sul muro della stanza e vide più volte che i due trastullavano insieme; condusse anche Niccolò a vedere quello spettacolo e l’amore che provava per il figlio e la moglie si tramutò in odio. Era il mese di maggio verso le tre del pomeriggio quando il marchese vide i due stare insieme. Più tardi mentre Ugo giocava a palla in piazza, il padre chiamò il capitano della guardia e tutti i suoi uomini armati liberatori delle passioni dell'anima; lo testimoniano una facezia oscena di Floriano Dolfo o ancora Boccaccio che ambientò due novelle nei bagni: VI novella della IIl giornata e ancora la VIII della X giornata; l'Elegia di Madonna Fiammetta in cui le acque di Cuma o di Pozzuoli fanno da sfondo ad atteggiamenti licenziosi e lussuriosi. I riferimenti potrebbero essere diversi: Franco Sacchetti e ancora Machiavelli nella Mandragola. L'accezione delle terme come luogo licenzioso però non si intravede in Bandello poiché sottolinea come Ritornando alla lettera dedicatoria, è nei bagni che il capitano Alessandro Peregrino narrò una pietosa istoria il suo signore si dedicasse a passatempi onesti. ambientata a Verona al tempo di Bartolomeo della Scala (1301-1304); segue il monito di Bandello ai giovani, 'che imparino...a furia'. La indirizza a Fracastoro anche perché aveva scritto un commento alle Tre Parche di Bandello, poemetto scritto per celebrare la nascita del primogenito di Cesare Fregoso e Costanza (15 gennaio 1531) e pubblicato nel 1545. NARRAZIONE Bandello inizia la narrazione con un elogio della sua Verona, la descrive come superiore in bellezza di molte città italiane, il cui nobile fiume l'Adige con le sue acque chiarissime invia mercanzie all'Alemagna, ancora gli ameni e fruttiferi colli, piacevoli valli, tante fontane ecc. Segue la presentazione delle due nobilissime famiglie di Verona: i Montecchi e i Capelletti (nomi che recuperiamo dal VI canto del Purgatorio). In un periodo di tregua, Antonio Capelletto fece una bellissima festa alla quale partecipò anche Romeo Montecchi, il più e bello e cortese di tutta la gioventù di Verona, da mascherato (nel periodo di Carnevale) riuscì ad entrare. Era fieramente innamorato di una gentildonna, che seguiva ovunque, alla quale inviava numerose lettere e ambasciate ma la donna nitrosa, di un solo sguardo non gli era stata cortese. Decise di partire, ma fu ancora una volta vinto dal fervente amore e rimase a Verona. Interessante come Bandello riporti in discorso diretto ciò che Romeo diceva tra sé e sé. Bandello ci presenta Romeo come un innamorato afflitto per un amore non corrisposto, un uomo che insegue la donna ovunque nonostante lei non lo degni di uno sguardo; è possibile rievocare a questo punto uno dei topoi della letteratura latina, confermato da una spia linguistica, servitù mia: servitium amoris (uno dei temi elegiaci per eccellenza; un amore vissuto come sofferenza come discidium; ne è causa soprattutto il comportamento della donna che spesso viene definita incostante e avida; il completo assoggettamento dell'uomo alla donna (nella novella di Bandello il tema ritorna con diverse spie linguistiche, si tratta poco però di militia amoris, nel senso di soldato d'amore che combatte e conquista, ma di uomo servitore che accusa anche fisicamente i colpi di un amore non ricambiato)] Aveva tra gli altri un compagno al quale rattristava che l'amico perdesse la sua giovinezza andando dietro una donna. Il discorso verte su elementi topici: lo spreco di denaro [Lucrezio dedica il quarto libro De Rerum Natura alla patologia dell'eros, consiglia il ridimensionamento della relazione amorosa. Nel frattempo il patrimonio scivola via, la fama vacilla e si ammala. Il riferimento è soprattutto alle spese, ai regali costosi. La consapevolezza che la donna non ricambi il suo sentimento conduce ovviamente l'innamorato alla follia (motivo che collega opere dall'antichità alla modernità, il mito di Orfeo ed Euridice, l'Orlando Furioso, ancora Jacopo Ortis e molte altre)]. A proposito dell'intervento dell'amico, è possibile una sorta di corrispondenza col Boccaccio del già citato proemio del Decameron: grazie agli amici è riuscito a sfuggire all'amore soverchio da cui era intrappolato. Romeo accettò il consiglio. Avvenne che Romeo mascherato andò a una festa in casa Capelletti, le donne presenti erano meravigliate nel vedere quel giovane costumato, gentile, amato da tutti; durante il ballo si accorse di una fanciulla, Da notare l'uso di un lessico fortemente connotativo dell'amore spirituale, poco carnale, lessico che rimanda alla poesia stilnovista, alla donna come creatura se non divina quasi: grazie, vagheggiare, contemplare, canto assiso. E ancora il riferimento all'amore come vago laberinto, per alludere a un sentiero tortuoso, impervio, che non si conosce. Si svela poco dopo l'identità della fanciulla, si tratta di Giulietta figlia del padrone di casa, anche lei si accorse di Romeo, che le sembrò il più bello e leggiadro giovane che si potesse trovare, segue un rimando puramente stilnovista, l'amore inizia nasce dagli occhi, dalla vista (a tal proposito ho ripreso alcuni dei componimenti che abbiamo analizzato nelle lezioni di letteratura medievale) Fonte i poeti siciliani, gli stilnovisti, la vita nova di Dante, il Decameron di Boccaccio: Cappellano con il suo De Amore, trattato in tre libri composto in latino intorno al 1185, considerato il manuale e la summa dei precetti dell'amor cortese, punto di riferimento per tutto il XIII e XIV secolo. Una delle sequenze del primo capitolo è intitolata proprio l'amore nasce dalla vista. La prima conversazione arriva con un ballo, il ballo del Torchio (consisteva nello scambio di una fiaccola tra una dama e un cavaliere) al quale i due parteciparono e si ritrovarono per mano. Sintomatologia amorosa: nel De natura de amore Equicola spiega la fisiologia dell'innamoramento e dell'innamorato nei suoi elementi naturali come il fuoco che genera nel corpo la febbre d'amore o l'origine dei sospiri degli amanti. La spiegazione medica e fisiologica dell'innamoramento si unisce in questi passi al temi lirici classici, provenzali e boccacciani (specie il Boccaccio dell'Elegia di madonna fiammetta) e naturalmente petrarcheschi. A tal proposito ho riportato quello che potrebbe essere considerato un carme fonte per la descrizione in opere successive degli effetti dell'amore sul corpo dell'innamorato, il carme 51 di Catullo che si presenta come traduzione dell'ode di Saffo, conosciuta come frammento 31 Voight; centrali gli sconvolgimenti che l'amore provoca nel corpo, condizionando tutta la letteratura d'amore fino all'epoca contemporanea; il tema. è quello della malattia d'amore: la parola si blocca, le fiamme ti avvolgono, i sensi perdono la loro funzione, un sudore e un tremito scuotono le membra; Eros con la sua duplice natura, dolce e amara, appare in tutta la sua potenza. Sul tema del ballo come momento di incontro e di seduzione, interessante far emergere la differenza di prospettive che Bandello fa emergere nella novella già letta e analizzata, VIII della prima parte: da una parte un amore non corrisposto dall'altra si; se il racconto del ballo in Romeo e Giulietta è ricco di riferimenti cortesi e letterari, nella novella Vill esso è incentrato sugli istinti sessuali e sulla violenza. Infatti, nel primo caso, il ballo è descritto ponendo l'accento sull'atteggiamento contrastante dei due personaggi: la passione del giovane e il rifiuto della donna. Finita la festa, Romeo capi che si trattasse della figlia del padrone di casa. Qui il narratore riporta, alla maniera della novella di Massinissa, un monologo della fanciulla la quale trascorre la notte insonne chiedendosi innanzitutto se il giovane fosse stato onesto con lei ma anche che se onesto il matrimonio avrebbe potuto portare la pace tra le famiglie. Si dice poi che Romeo nei giorni seguenti non fece altro che passare e ripassare sotto la finestra della fanciulla nella speranza di vederla (rif novella Boccaccio ma anche precedenti di Bandello); una sera Giulietta si accorse di Romeo e gli chiese cosa ci facesse li, l'uomo rispose: legg. Giulietta adirata gli disse legg (rif Martina e Loisi Masuccio), da una parte una Giulietta preoccupata dall'altra un Romeo pronto a tutto, Bandello dunque insiste sull'aspetto psicologico. È Giulietta però a prendere in mano la situazione (amore che aguzza l'intelletto) dando a Romeo sul da farsi e sul matrimonio che sarebbe stato celebrato da Lorenzo da Reggio, suo padre spirituale di cui l'autore ci offre un ritratto, ma è un ritratto all'insegna dell'ambiguità: frate, filosofo e pure esperto di arti magiche, che si muove con astuzia e opportunismo cercando di ottenere l'appoggio del volgo e dei potenti e soprattutto del signor Bartolomeo che infinitamente desiderava che queste due casate facessero pace per levar i tumulti de la sua città. (Ganozza e Mariotto; anche il frate agostiniano in realtà cercava di fare i propri interessi; in un primo momento rifiutò la richiesta di Ganozza ma dopo aver visto il denaro messo a disposizione dalla donna accettò). Arrivata la quaresima, Giulietta confessò tutto a una vecchia serva che tentò più e più volte di dissuaderla da tale impresa (amore che offusca la ragione contro cui Masuccio, Bandello e anche Grazzini si scagliano mostrando un'ideologia conservatrice) ma non riuscendoci aiutò la ragazza consegnando una lettera a romeo: avrebbe dovuto recarsi sotto alla finestra alle ore 5 con una scala di corda. Romeo lo fece e i due si incontrarono; la scena è descritta nei minimi dettagli (è evidente il richiamo al topos della scala-finestra della novellistica, in particolare la Istoria amorosa di Eleonora de bardi e Ippolito Buondelmonti ved; e nella novella 31 di Masuccio Martina e Loisi mettere a paragone i passi). ROMEO E GIULIETTA DI SHAKESPEARE Introduzione. La fortuna della vicenda di Romeo e Giulietta non si esaurisce ovviamente con Bandello, ma continua anche per tutti annie i secoli successivi, tante che oggi presso il grande pubblico la vicenda e nota più per l'adattamento teatrale che ne fece Shakespeare sul finire del Cinquecento che per le novelle di Da Porto, Masuccio e Bandello. Questo successo planetario è dovuto non soltanto alla maestria di Shakespeare, quindi alle intrinseche qualità letterarie della tragedia, ma anche alla scelta di esasperare gli aspetti drammatici e patetici della vicenda, come il genere drammatico imponeva. A tal proposito dobbiamo ricordare che già Luigi Groto aveva trasposto la vicenda dalla novella alla tragedia con l'Hadriana, del 1578, rimasta però ignota al drammaturgo inglese e sicuramente dagli esiti letterari meno felici. Il merito di Shakespeare è quello di aver immortalato la storia di Romeo e Giulietta facendone l'archetipo dell'amore perfetto ma avversato dalla società e rendendola una delle storie sentimentali più famose e popolari al mondo. Fonti letterarie. In realtà, dobbiamo subito precisare che Shakespeare non lesse direttamente né la novella XXII del Novellino di Masuccio Salernitano (1476), quella di Mariotto e Ganozza da Siena, né la Istoria novellamente ritrovata di due Nobili Amanti di Luigi da Porto (1530), né la novella IX della seconda parte delle Novelle di Matteo Bandello (1554), cioè quelle che contengono al loro interno il nucleo originario della vicenda di Romeo e Giulietta. Shakespeare, infatti, non conosceva ritaliano, a almeno non abbiamo indizi sufficienti ad affermario, seppure alcuni sostengono che dietro il suo nome si nascondesse in realtà Giovanni Florio, un linguista e scrittore di origini italiane, considerato il più importante umanista del Rinascimento inglese. Oggi la maggior parte degli studiosi ritiene che Shakespeare si sia basato per la sua tragedia sul lungo poema di circa 3.000 versi di Arthur Brooke. The Tragical History of Romeus and Juliet (1562) e forse, in qualche misura, sulla versione in prosa che ne dette William Painter nella novella XXXV intitolata "Rhomeo and Julietta" e contenuta nel secondo volume del suo Palace of Pleasure (1567), il maggior repertorio di "soggetti per i drammaturghi inglesi. A sostegno di questa influenza, il dramma shakespeariano mostrerebbe alcune sparse testimonianze, come il riferimento al castello di Villafranca (Atto 1 Scena () non altrimenti nato. In entrambi i casi, però, si tratta di adattamenti in inglese di una novella di Pierre Boaistuau (pron. "Bolstiu") pubblicata nel primo volume delle Histories Tragiques (1559) di Francois de Belleforest (pron. "Belforèst"), la quale, a sua volta, proponeva in traduzione francese la novella IX- della seconda parte delle Novelle di Matteo duello tra Tebaldo e Mercuzio, assente in tutte le versioni precedenti della storia Differenze rispetto al modelli Italiani. Visto che l'oggetto del nostro corso verte su Bandello e Masuccio, è bene evidenziare le analogie e le differenze tra la tragedia di Shakespeare e le novelle italiane dei due autori . Similitudini Shakespeare-Bandello. Le similitudini tra la tragedia di Shakespeare e la novella sono infatti molteplici. Non solo in entrambe le vicende l'amore del due giovani è contrastato da entrambe le famiglie di appartenenza, ma anche T'ambientazione è la medesima: Verona, Infine, medesimi sono i nomi del protagonisti e di altri personaggi: Romeo e Giulietta e ancora Frate Lorenzo, Tebaldo e Paride. Anche alcune singole situazioni sono davvero simili, come il primo incontro tra i due giovani innamorati, che in entrambi i componimenti letterari avviene in occasione di una festa in maschera nel palazzo della famiglia di Giulietta. Anche la Giulietta di Bandello, per sfuggire al matrimonio con Paride, dietro consiglio di Frate Lorenzo, beve una pozione che la fará sembrare morta, in attesa che Romeo, una volta informato dello stratagemma, possa recuperarla dal sepolcro e scappare insieme all'amato. Infine, anche nella novella di Bandello, il Caso è avverso nei confronti di Romeo e Giulietta. In entrambe le versioni, nonostante gli amant si ingegnano perché loro amore trionfi e magari possa metter fine alle ostilità tra le loro famiglie, il destino sembra essere inevitabilmente scritto. E niente potranno fare per scampare alla morte Differenze Shakespeare-Bandello. La differenza sostanziale sta nel ritmo con cui si susseguono gli eventi. Nella tragedia di Shakespeare l'intera vicenda si svolge in soli tre giorni. Invece, nella novella di Bandello Romeo e Giulietta riescono a portare avanti il loro amore clandestino più a lungo. Inoltre, la Giulietta di Bandello è la prima ad intravedere, nell'eventuale matrimonio con Romeo, un modo per porre fine alle ostilità tra le due famiglie e quindi ha una sorta di pensiero politico che, nella Giulietta di Shakespeare è assente. Il racconto della prima notte di nozze tra i due amanti, se in Shakespeare è solo accennato, in Bandello è sicuramente più esplicito. Il Frate Lorenzo di Bandello si capisce che ha degli interessi personali nel provar a porre fine all'inimicizia tra le due famiglie, mentre in Shakespeare è un personaggio del tutto positivo. Infine, nella novella di Bandello mancano dei personaggi, invece presenti nella versione del Bardo, Tra questi, va senz'altro ricordato il carismatico personaggio di Mercuzio, che è quindi una creatura originale di Shakespeare. Differenze Shakespeare-Masuccio, Interessante poi notare, in chiusura, le differenze tra Shakespeare e Masuccio. Le differenze riguardano: • Ambientazione. In Masuccio la vicenda è ambientata a Siena invece che a Verona, inoltre Marioto in seguito alla rissa scappa nel paesaggio assolato e mediterraneo di Alessandria d'Egitto, mentre Romeo scappa a Mantova • Tono generale. Masuccio insiste più volentiert, almeno all'inizio, sull'aspetto erotico-carnale e spensierato della loro relazione, ben lontana dall'aspetto di sacralità, idealizzazione e tenerezza che avrebbe acquisito in seguito; inoltre Ganozza trangugia allegramente la pozione mentre la Giulietta di Shakespeare (come quella di Bandello) beve il narcotico con terrore e dal suo monologo scaturiscono oscuri presagi circa il destino che attende lei e il suo Romeo • Trama. 1) la scena del duello è diversa, Tebaldo in Masuccio è un anonimo "onorevole cittadino" e la sua morte è effetto, non immediato, di una bastonata assestatagli da Mariotto in seguito a un'animata discussione (il duello è quindi solamente accennato e inoltre è completamente assente il personaggio di Mercuzio, che riveste un ruolo importante nella rissa, nella quale viene ucciso per difendere Romeo); 2) i motivi della morte apparente sono diversi, in Masuccio Ganozza beve la pozione per fingersi morta e scappare da Siena ad Alessandria d'Egitto, dove lo attende Mariotto, mentre in Shakespeare (come in Bandello) Giulietta beve la pozione esclusivamente per sfuggire al matrimonio, quindi nan c'è l'intenzione di raggiungere il suo amato; 3) La scena finale: mentre Mariotto, ritornato in fretta da Alessandria d'Egitto alla notizia della presunta morte di Ganozza, viene sorpreso e catturato e quindi condannato a morte per decapitazione, Romeo, ritornato in fretta da Mantova alla notizia della presunta morte di Ganozza, viene coinvolto nell'uccisione del suo rivale in amore Paride sul sepolcro di Giulietta e si dà la morte con l'arsenico; anche la sorte delle due innamorate è diversa, Ganozza muore di dolore alla notizia della morte di Marlotto mentre Giulietta si dà la morte con il pugnale di Romeo sulla sua stessa tomba. Quindi, se Romeo e Giulietta si suicidano, Mariotto e Ganozza muoiono uno per decapitazione l'altra di dolore (cause esterne). Analogie Shakespeare-Masuccio. Un'importante analogia tra le due vicende riguarda il ruolo della Fortuna crudele, particolarmente cattiva ad accanirsi contro i due amanti: in Masuccio, infatti, la notizia del piano di Ganozza non giunge a destinazione (ad Alessandria d'Egitto) perché il messo muore a causa di alcuni corsari, mentre in Shakespeare la notizia del piano di Giulietta non giunge a destinazione (a Mantova) a causa della peste che aveva interrotto ogni comunicazione. Soltanto la notizia successiva della morte giunge ai due amanti, che si precipitano al sepolcro della loro amata per andare incontro al loro crudele destino. Lettura scena del ballo. Per concludere, abbiamo pensato di leggere la famosa scena del balcone, in cui c'è il celebre dialogo tra Giulietta affacciata alla finestra e Romeo nascosto in una viuzza sotto di essa. Il colloquio notturno si conclude con una promessa di matrimonio, alla quale poi seguiranno una serie di peripezie fino all'epilogo finale. Dobbiamo evidenziare una differenza tra Bandello e Shakespeare: in Bandello, infatti, la scena del balcone avviene parecchi giorni dopo la festa in maschera in cui i due innamorati si conoscono per la prima volta; in Shakespeare, invece, il dialogo tra i due amanti avviene la notte stessa del ballo e si protrae quasi fino all'alba. Con questo espediente il drammaturgo inglese esaspera ancora di più l'amore di Romeo che non riesce a resistere al fascino di Giulietta e deve per forza confessare il suo amore. In generale in tutta la riscrittura di Shakespeare c'è una maggiore drammatizzazione delle varie scene, tutto avviene con maggiore pathos, si percepisce di più l'affiato lirico, come vedremo in questo confronto emblematico. LEZIONE 24 09/05/2023 SEMINARIO i modi del raccontare. Spazi della narrazione nella letteratura italiana del 500. Raccontare il conclave: Machiavelli e Castiglione. Ciò che conosciamo del passato è ciò che ci viene raccontato, studiamo forme attraverso cui vengono veicolate idee del passato. Il punto di osservazione del nostro seminario riguarda cio che accade intorno al conclave, le conseguenze sugli equilibri. Tra la fine del 400 e inizi 500, 1494 discesa in Italia di Carlo VIII e 1530 incoronazione carlo V a bologna, susseguono interventi militari Francia e spagna su territorio italiano, le famose guerre d’Italia, in questa fase il momento in cui lo stato pontificio essendo non solo una semplice potenza territoriale ma unendo potenza internazionale di prestigio e consapevolezza guidata dal papa, questo ha conseguenze sulla politica militare e civile che lacerava l’Italia, da qui la scelta del punto di osservazione quello delle cronache intorno al conclave e a ciò che lo coinvolge legato alle relazioni di quanti lavoravano nei servizi diplomatici o nelle ambascerie che avevano un diretto rapporto. Agosto 1503 Italia è stata attraversata da una guerra lampo di Cesare Borgia che ha cercato con l ‘appoggio del padre Alessandro VI di impadronirsi alcuni territori della chiesa dell’Italia centro- settentrionale, il progetto del duca sarà stroncato dalla morte del padre 18 agosto 1503. Rispetto questa situazione, alle porte della toscana, le considerazioni di un cancelliere, Niccolò Machiavelli, che scrive a un governatore territoriale, Alessandro di Castrocaro (in Romagna vicino Firenze). Ridolfi Gb era stato un fedele dei Savonarola, condannato a rogo, la repubblica fiorentina prende una svolta, il Ridolfi era un esemplare di sopravvivenza della crisi di Savonarola e nel 1503 si candida al posto di gonfaloniere contro Soderini, vincerà Soderini. È un uomo che capisce la politica, ha conoscenze... il segretario di cancelleria Machiavelli gli scrive perché a nome dei dieci intrattiene la corrispondenza. Prospero Colonna esponente di spicco dei Colonna a è soprattutto uno dei maggiori condottieri della sua epoca. Nella lettera che Machiavelli scrive avvisa che sta arrivando una guerra tra spagnoli comandati da Sandro de Cordova per il controllo del soggiorno d’Italia. I francesi perderanno ogni controllo sul mezzogiorno d’Italia grazie a lui; dice che le esequie del papa morto il 18 iniziano il 25 e il duca è al palazzo e ha truppe fedeli attorno. Nella medesima lettera Machiavelli informa anche di alcune truppe da nord, i francesi mandano un esercito perché non vogliono l’elezione del pontefice per forza ma vogliono che seguano gli ordini. Il duca valentino aveva cacciato i precedenti signori, occupa e si impadronisce di Urbino e caccia il duca di Montefeltro, tutti coloro che aveva cacciato ora che è più debole vogliono reinsediarsi. Il collegio dei cardinali sposta l’elezione. In una situazione cosi burrascosa le autorità fiorentine, i dieci, chiedono al commissario di svolgere un duro lavoro, (è lontano da Firenze, chiedono un grosso quantitativo di soldi , è solo che si deve muovere in un teatro di guerra). Machiavelli scrive a nome dei dieci. I vitelli sono comandanti militari che non hanno buoni rapporti con Firenze, Paolo vitelli venne mandato per la conquista di Pisa, i fiorentini lo impiccarono, essendo sotto Il valentino occuparono Arezzo I vitelli non sono amichevoli con Firenze e avanzano verso la toscana e all’uomo solo i dieci danno un compito impossibile, lui doveva dire alle truppe armate di non avanzare nei territori fiorentini, ma doveva fare passare il messaggio di averlo pensato lui. Articolo 1988 il commissario e lo stato territoriale fiorentino, ora Machiavelli nel rinascimento italiano. Articolo interessante perché chiarisce bene le diverse forme di organizzazione che l a Firenze 500esca aveva (comune podestarile /medievale, i rettori, il commissario=nominato per svolgere un compito preciso). Con il venir meno del potere di Valentino, i signori tornano a casa. Siamo in un momento in cui la lingua italiana sperimenta, il significato medievale della parola stato è la condizione personale, La parola “stato“ si sta trasformando, sta acquisendo la valenza di stato, organizzazione giuridico politica di un territorio, nozione di stato moderno. Perché c’è questa trasformazione? La società medievale si tratta sulla relazione tra sovrano e vassallo. È il comes ovvero compagno di guerra, io alla fine della guerra lo premio dando un beneficio che sarebbe una terra, mentre in cambio il sovrano vuole la sua lealtà. Essere signore territoriale significa aveva un dominium territoriale, esercitare le funzioni che noi ricolleghiamo in nome dalla proprietà, sotto spinta di una guerra violenta e sfonda con artiglierie le mura della città, cambia il modo di fare e pensare; l’esercizio del potere diviene esercizio di funzioni che
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