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Introduzione al Diritto Amministrativo - Diritto Amministrativo II, Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

argomenti di diritto amministrativo

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 06/09/2012

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Scarica Introduzione al Diritto Amministrativo - Diritto Amministrativo II e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! INTRODUZIONE AL DIRITTO AMMINISTRATIVO Dr. Loredana Giani I. Il diritto amministrativo. - II. Gli apparati amministrativi. – III. L’amministrazione statale periferica e gli enti territoriali. - IV. L’organizzazione interna degli Enti pubblici. - V. Il rapporto di servizio. - VI L’attività amministrativa. – VII. Il procedimento amministrativo. - VIII. Atti e provvedimenti amministrativi. - IX. I vizi del provvedimento amministrativo. - X. La giustizia amministrativa. - XI. Il processo dinanzi al giudice amministrativo. I. Il diritto amministrativo Si definisce diritto amministrativo quel complesso di norme appartenenti al diritto pubblico che offrono una disciplina giuridica della pubblica amministrazione, nei beni e nelle attività ad essa peculiari, nonché nei rapporti che dall’esercizio di questa scaturiscono nei confronti degli altri soggetti. Accanto alle norme che disciplinano la pubblica amministrazione sotto un profilo per così dire sostanziale, rientrano poi nel diritto amministrativo anche quelle norme che prevedono e disciplinano i modi e le forme di tutela delle situazioni soggettive di quei soggetti che in diverso modo, e per diverse ragioni, si trovano in conflitto con l’amministrazione. Si tratta cioè di quelle disposizioni che prevedono e disciplinano non solo il procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ma anche quello dinanzi al giudice amministrativo rientranti in quello che comunemente viene indicato come diritto processuale amministrativo. Per ciò che concerne le fonti del diritto amministrativo, per le quali si rinvia alla trattazione generale sul tema offerta in altra parte del presente volume, non si può non rilevare in questa sede che questo ramo del diritto si caratterizza, a differenza del diritto civile, di quello penale e delle relative procedure, per l’assenza di un codice che disciplini i vari aspetti. Sebbene tale assenza sia stata da più parti rilevata soprattutto al fine di sottolineare quanto questo risulti pregiudizievole per la organicità del sistema, esso presenta ancora oggi un materiale legislativo sparso, ed alcune volte disorganico e frammentario, tale da rendere necessaria la elaborazione, o rielaborazione, da parte tanto della dottrina quanto – soprattutto – della giurisprudenza di concetti generali volti a garantire una certa sistematicità dell’intera disciplina. Le principali leggi cui occorre far riferimento sono, per il diritto amministrativo sostanziale, la Infatti, accanto ai singoli Ministeri, soprattutto a seguito di una sempre crescente espansione dell’attività dello Stato nel settore economico, sono stati creati altri soggetti amministrativi i quali perseguono fini che in qualche modo completano l’azione statale, si pensi ad esempio alle Università non statali che completano l’azione che lo Stato svolge nel settore dell’istruzione universitaria (attraverso le Università statali, appunto). Sempre a livello centrale, accanto ai Ministeri si pongono poi quegli enti cui sono attribuite funzioni consultive quali ad esempio il Consiglio superiore della magistratura, per il quale si rinvia alla parte relativa al diritto Costituzionale, e l’Avvocatura dello Stato che provvede all’assistenza legale della pubblica amministrazione. A partire dagli anni Ottanta, e in maniera più sensibile negli anni Novanta, si è reso necessario un vero e proprio ripensamento delle strutture amministrative sempre meno adatte a rispondere in maniera efficiente alla crescente, e soprattutto diversa sotto un profilo qualitativo, domanda di amministrazione proveniente dalla società. Da un lato l’ampiezza dei compiti affidati allo Stato ha reso necessaria l’introduzione di moduli organizzatori non più rigidamente burocratizzati, bensì di modelli più elastici e duttili, tali da garantire il passaggio da una gestione burocratica dell’amministrazione ad una gestione per così dire manageriale della stessa. Dall’altro proprio la generale accettazione delle regole di una economia di mercato ha portato ad un mutamento dei compiti affidati allo Stato, il quale non viene più chiamato a svolgere un attività direttamente tutte le attività ritenute essenziali per la tutela degli interessi della collettività (si pensi ad esempio alla erogazione da parte dello Stato dei servizi pubblici quali i trasporti o l’energia elettrica) o comunque una attività di rigida direzione del sistema secondo moduli tali da porre lo Stato al centro del panorama giuridico rendendolo per tale via "il principio e la fine di tutta la vita giuridica e sociale". Esso, al contrario, è chiamato a svolgere un ruolo assai diverso. Non è più richiesto, come si diceva, un intervento diretto nel sistema bensì interventi indiretti, attuati cioè attraverso la statuizione di regole di condotta attraverso le quali lo Stato garantisce il governo giuridico di alcuni settori. Ed è appunto questo mutamento di prospettiva che ha comportato l’introduzione nell’ambito della organizzazione amministrativa di figure e moduli organizzativi nuovi, alcuni dei quali mutuati dal diritto privato (si pensi ad esempio alla possibilità di creare una S.p.A. per la gestione dei servizi pubblici locali) Questo passaggio è particolarmente evidente se si ha riguardo alla introduzione della figura delle Amministrazioni indipendenti preposte alla regolazione, e alla vigilanza di particolari settori di mercato quali quello della concorrenza e delle telecomunicazioni, che si discostano in maniera assai netta dal modello ministeriale, ponendosi in un certo senso proprio come il tentativo di dare una risposta alla crisi che da anni interessa questo modello considerato ormai recessivo. Esempi di Amministrazioni indipendenti attualmente presenti nel nostro panorama amministrativo sono: • la Consob (Commissione nazionale per le Società e la Borsa); • L'Isvap (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni private); • Il Garante per la radiodiffusione e l’Editoria (attualmente riformato); • L'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato; • l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione; • l’Autorità per i pubblici servizi; • l’Autorità garante per la tutela dei dati personali; • l’Autorità per i lavori pubblici. E’ stata infatti recepita nel nostro ordinamento la regola, propria dell’ordinamento comunitario, in base alla quale si procede all’attribuzione di tutte le funzioni pubbliche alle Regioni e agli Enti locali, o meglio agli enti più vicini ai soggetti destinatari dell’azione, riservando allo Stato, inteso come apparato amministrativo centrale, un potere di intervento diretto limitato soltanto quelle materie espressamente escluse dal conferimento agli Enti locali e a quelle ipotesi in cui, stante l’inerzia dei soggetti effettivamente titolari delle funzioni, o la loro inadeguatezza strutturale, lo Stato esercita tali poteri in funzione sostitutiva. Oggetto del conferimento sono "le funzioni ed i compiti relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni ed i compiti localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici" (art. 1, comma 2). Secondo i principi enunciati nella legge 59/97, dunque, le funzioni e i compiti verranno attribuiti al livello centrale (Stato) o a quello periferico (Regioni) avuto riguardo alle esigenze della comunità locale. Sono state così trasferite alle Regioni, ad esempio, tutte le competenze in materia di turismo, commercio, agricoltura, e artigianato. In questo quadro, che muove verso una concezione di stampo federalista dello Stato, e nel quale il riparto delle competenze tra le diverse amministrazioni è, come si appena detto, improntato al principio di sussidiarietà, rimangono allo Stato, quelle materie che attengono a valori fondamentali della Repubblica quali ad esempio gli affari ed il commercio estero, la difesa, le forze armate, la tutela dei beni culturali e del patrimonio storico artistico. IV. L’organizzazione interna degli enti pubblici Sempre con riferimento agli aspetti organizzativi della pubblica amministrazione, rientra nell’ambito del diritto amministrativo anche la cosiddetta organizzazione interna degli enti pubblici. L’Ente per poter agire si avvale di proprie strutture che sono composte di beni e di persone fisiche che svolgono una attività finalizzata al perseguimento dei compiti istituzionali dell’Ente stesso, in base alle attribuzioni ed ai poteri che gli vengono riconosciuti all’interno dell’organizzazione. Le attività svolte da queste strutture sono: • attività aventi degli effetti soltanto interni; • attività che impegnano l’Ente verso l’esterno. Nel primo caso si è in presenza di una attività materiale che viene svolta nell’ambito di un ufficio e che si inscrive in quel complesso di attività che sono indispensabili affinché l’Ente possa perseguire i propri fini istituzionali, quale, ad esempio, l’istruzione di una pratica. Nel secondo caso, invece, non si tratta di attività aventi un rilievo meramente interno, ma al contrario di attività che vengono svolte dall’Ente (o più precisamente da un organo dell’Ente) il quale si pone e opera nel panorama giuridico come un soggetto dotato di personalità giuridica, al pari di una persona fisica o di una società per azioni. In quest’ottica, dunque, l’Ente esercitando quel determinato Questo cammino, infatti, ha portato ad una definitiva rottura della unità ministeriale all’interno della quale al vertice politico (il Ministro) si affianca ora un nuovo centro di attività (il Dirigente) che è collegato al primo secondo una logica che non è più di subordinazione gerarchica, bensì di direzione e coordinamento. In altri termini, dunque, il dirigente, in virtù dei poteri riconosciutigli dalla legge, non è più il mero esecutore di ordini provenienti dall’alto (cioè dal vertice politico dell’amministrazione nella quale è incardinato). Egli, infatti, recepisce gli indirizzi formulati da quest’ultimo e, attraverso l’esercizio di poteri propri, li traduce in azione. Non più, quindi, mero esecutore, ma soggetto titolare di propri poteri e di responsabilità. V. Il rapporto di servizio. Venendo ora al rapporto che lega la persona fisica all’Ente sì da giustificarne il suo inserimento all’interno dell’Ente medesimo, esso in generale viene definito rapporto di servizio. In tale categoria generale rientra il "rapporto di pubblico impiego", cioè quel rapporto di lavoro con cui la persona fisica pone volontariamente, ed in via continuativa, la propria attività al servizio dello Stato o di un qualsiasi Ente pubblico, a fronte di una retribuzione. A partire dagli anni ’90, e più in particolare dal 1993, anno in cui è stato emanato il Decreto legislativo n. 29 contenente norme in materia di razionalizzazione dell’organizzazione dell’amministrazione e revisione della disciplina del pubblico impiego, è stata operata una vera e propria rivoluzione della materia. Anche in questo settore, come in diverse altre aree del diritto amministrativo, si è avvertito un significativo cambiamento di prospettiva che si è manifestato, non solo, come si dirà in seguito, nella semplificazione dell’organizzazione dell’amministrazione, ma anche nella tendenza ad abbandonare le forme prettamente pubblicistiche a favore di una regolazione privatistica dei diversi settori. Ed è proprio in questa ottica che il legislatore ha operato, attraverso successivi interventi, una vera e propria rivoluzione della materia, avviando un lungo ed articolato processo che viene comunemente indicato come "privatizzazione del pubblico impiego"; dove con il termine privatizzazione si intende far riferimento ad un percorso di assimilazione del rapporto di lavoro pubblico a quello privato, con la conseguente e immancabile adozione della strumentazione propria di quest’ultimo settore. Il primo aspetto interessante della riforma è, come si diceva, quello che attiene alla dirigenza delle amministrazioni pubbliche, le cui riqualificazione ha reso possibile la separazione tra politica ed amministrazione. Il legislatore ha infatti consacrato un ruolo decisionale in capo alla dirigenza amministrativa che, ai sensi del secondo comma dell’art. 3 del decreto legislativo n. 29/93, è responsabile in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati operando, in tal modo una cesura netta tra organi politici (il Ministro) da un lato, i quali definiscono gli obiettivi ed i programmi dell’Ente, e dirigenti dall’altro, i quali si occupano in termini manageriali dell’Ente stesso. Il processo di privatizzazione del pubblico impiego è segnato da diversi e significativi interventi del legislatore che hanno riguardato non solo l’aspetto cui si è appena fatto cenno. In quest’ultimo quinquennio, infatti, è stata riscritta la disciplina relativa alle relazioni sindacali, alla contrattazione collettiva, che accanto a quella integrativa (che viene condotta sui luoghi di lavoro) diventano fonte della Con l’espressione buona amministrazione, infine, si fa riferimento all’obbligo posto in capo alle persone fisiche operanti nell’amministrazione di prestare tutta la propria opera nello svolgimento delle mansioni affidategli curando, in conformità alle leggi, con diligenza, e nel miglior modo, il pubblico interesse. Per ciò che concerne più da vicino l’attività della pubblica amministrazione, intesa come funzione che viene attribuita all’amministrazione dalla legge e da essa viene svolta attraverso l’esercizio di poteri discrezionali. Viene in rilievo per tale via il concetto di discrezionalità amministrativa che indubbiamente rappresenta ancora oggi "uno dei punti centrali dell’intero settore dell’esperienza giuridica di cui si occupa il diritto amministrativo", in quanto "nozione fondamentale per comprendere vuoi i meccanismi dell’agire dell’amministrazione pubblica, vuoi le modalità di funzionamento degli strumenti di tutela giurisdizionale posti a difesa del cittadino". Essa si traduce in una scelta effettuata dall’amministrazione, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dalla legge, nella quale l’amministrazione stessa compie, con riferimento ad una data circostanza, una valutazione (ponderazione) comparativa dei diversi interessi (pubblici e privati) coinvolti nella dinamica dell’esercizio del potere. Si consideri, ad esempio, il caso in cui si tratta di decidere se procedere alla ristrutturazione, o all’abbattimento di un edificio che pur essendo pericolante presenta un rilevante interesse storico artistico. In questa ipotesi la pubblica amministrazione dovrà ponderare l’interesse alla salvaguardia della incolumità delle persone con gli altri interessi compresenti nella vicenda (costo dei diversi interventi ipotizzabili, interesse alla conservazione del bene culturale). Ed è per tale via che l’amministrazione procedente, operando appunto questa comparazione tra i diversi interessi, potrà individuare una rosa di scelte possibili tra le quali poi selezionerà quella che, in ragione delle circostanze, appare maggiormente ragionevole. La discrezionalità rappresenta, dunque, uno spazio di agire libero dell’amministrazione, all’interno del quale essa effettua quella ponderazione comparativa degli interessi in gioco che richiede la completa acquisizione degli interessi stessi, ed il loro raffronto secondo il canone della ragionevolezza, intesa come logicità, o meglio come consequenzialità logica che deve necessariamente sussistere tra le premesse fattuali e normative poste a base dell’azione dell’amministrazione e la scelta da essa stessa effettuata. In questa ottica, pertanto, in cui la scelta che si offre all’amministrazione può riguardare di volta in volta il quid, l’an, il quomodo, oppure il quando dell’azione dell’amministrazione, la norma attributiva del potere che in quello specifico caso viene esercitato dall’amministrazione, la ragionevolezza della scelta, e, come si è detto, anche la compiuta acquisizione degli interessi, assurgono a veri e propri canoni attraverso i quali controllare la correttezza dell’agire dell’amministrazione. Controllo che, altrimenti, sarebbe precluso alla autorità giurisdizionale che, secondo l’impostazione tradizionale, andrebbe ad invadere la sfera riservata ad un diverso potere dello Stato, quello amministrativo. VII. Il procedimento amministrativo I principi costituzionali cui si faceva cenno in precedenza hanno ricevuto una attuazione a livello legislativo a seguito della emanazione della legge 241 del 1990, recante le norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso Si pensi, ad esempio, al settore degli accordi, tra soggetti privati e pubblici interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento o si sostituire lo stesso (accordi procedimentali o accordi sostitutivi del provvedimento) disciplinati per la prima volta con valenza generale dall’art. 11 della legge; o all’istituto della conferenza di servizi, un istituto al quale, sebbene fosse stato già adoperato nella prassi di talune amministrazioni, anteriormente alla entrata in vigore della legge 241/90, assume il carattere della generalità soltanto con questa legge. Essa costituisce una forma di cooperazione tra diverse pubbliche amministrazioni cui è possibile ricorrere nelle ipotesi in cui sia possibile ed opportuno effettuare un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un determinato procedimento amministrativo, realizzando per tale via, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale, "un giusto contemperamento fra la necessità di concentrazione delle funzioni in una istanza unitaria e le esigenze connesse alla distribuzione delle competenze fra gli enti che vi partecipano". Si tratta, in sostanza, di una soluzione di natura procedimentale introdotta dal legislatore per far fronte alla necessità, ed ai connessi problemi che si esprimono, soprattutto in termini di efficienza dell’azione dell’amministrazione, al fine di coordinare, ed in un certo senso riannodare, le diverse competenze frazionate tra i diversi centri decisionali dell’amministrazione. In tal senso vanno lette anche quelle norme volte ad attribuire un significato positivo (cioè di rilascio del provvedimento) a quelle ipotesi in cui ad una istanza presentata dal privato segua semplicemente un silenzio dell’amministrazione; ed anche la previsione, nelle ipotesi previste dalla legge, di una "denuncia di inizio di attività" che il privato interessato presenta all’amministrazione. Nell’ipotesi in cui, ad esempio, il privato deve procedere alla ristrutturazione di sua proprietà. In questo caso, anziché presentare all’amministrazione un’istanza volta ad ottenere un provvedimento dell’amministrazione competente, può presentare all’amministrazione, prima di iniziare i lavori, una denuncia di inizio di attività contenente la descrizione delle opere da realizzare. In tal modo il privato non solo non deve attendere più il rilascio del provvedimento amministrativo (rilascio che solitamente non interveniva in maniera tempestiva), ma consente, allo stesso tempo, all’amministrazione di verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti necessari alla realizzazione dei lavori. VIII. Atti e provvedimenti amministrativi Si è detto fino ad ora del procedimento amministrativo, cioè del modo in cui l’amministrazione deve (può) esercitare il potere attribuitogli dalla legge. Essa può concretamente incidere nella realtà attraverso l’emanazione di atti amministrativi che in un certo senso rappresentano il nucleo essenziale del diritto amministrativo, in quanto in essi viene racchiusa la scelta dell’amministrazione. In posizione di spicco rispetto alla generalità degli atti amministrativi, in quanto espressione di una potestà amministrativa, sono i cosiddetti provvedimenti amministrativi. Si tratta di atti che l’amministrazione può adottare nell’esercizio dei suoi poteri, nei casi previsti dalla legge, e possono essere emanati solo per perseguire e tutelare quell’interesse (pubblico) cui l’amministrazione è preordinata. Ad esempio il provvedimento di esproprio, può essere adottato dall’amministrazione soltanto in determinate ipotesi, cioè quando ricorrano specifici presupposti determinati dalla legge volti a tutelare il pubblico interesse alla costruzione di una opera pubblica, quale può essere un aeroporto o un ospedale. La presenza del vizio comporta l’annullabilità dell’atto da parte della stessa amministrazione che lo ha emanato (in sede di ricorso amministrativo o di autotutela) o da parte del giudice amministrativo. I vizi in presenza dei quali può procedersi all’annullamento dell’atto amministrativo possono essere di due tipi: vizi di merito e vizi di legittimità. Nel primo caso l’annullamento del provvedimento viene chiesto in quanto lo stesso non raggiunge nel modo più conveniente ed idoneo il risultato che la stessa amministrazione si proponeva. Queste ipotesi però sono assai limitate e devono trovare il proprio fondamento in apposite previsioni legislative in quanto i vizi di merito attengono agli aspetti sostanziali della scelta operata dall’amministrazione, che viene così sindacata sotto il profilo della opportunità. Come ad esempio nell’ipotesi in cui si impugna un provvedimento del Sindaco - con il quale viene dichiarata l’inabitabilità di un appartamento seminterrato, e conseguentemente ne viene ordinato lo sgombero per ragioni igieniche - sulla base della considerazione secondo cui il provvedimento è fondato semplicemente su una relazione dell’ufficiale sanitario, relazione basata su accertamenti assolutamente erronei. In questo caso, quindi, al giudice viene chiesta una valutazione, in termini di opportunità e di convenienza, della scelta operata dall’amministrazione. Nel secondo caso, invece, ai sensi dell’art. 26 del TU 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato l’annullamento del provvedimento amministrativo può essere chiesto se il provvedimento risulta essere viziato per: • incompetenza - cioè se emanato da una autorità amministrativa che non è legittimata a farlo. Si pensi ad un provvedimento di competenza dell’autorità regionale che viene adottato da quella comunale (incompetenza assoluta). O ancora, al caso di un piano regolatore adottato non dal Consiglio comunale bensì dalla Giunta (incompetenza per materia), o di un provvedimento adottato dal Prefetto con riferimento ad una provincia diversa (incompetenza per territorio); o, infine, di un provvedimento di competenza del Ministro che invece viene adottato da un direttore generale dello stesso Ministero (incompetenza per valore o per grado). • violazione di legge - che ricorre nelle ipotesi in cui vi sia un effettivo contrasto tra il provvedimento ed una disposizione normativa, si pensi ad esempio alle ipotesi in cui il provvedimento amministrativo non sia affatto motivato in violazione dell’obbligo espressamente previsto nella legge 241 del 1990 (art. 3). • eccesso di potere. Quest’ultima figura è frutto di una complessa elaborazione giurisprudenziale. Secondo lo schema originario, che in qualche modo ricalcava il detournement de pouvoir dell’ordinamento francese, il provvedimento era viziato da eccesso di potere tutte le volte in cui si riscontrava un uso del potere da parte dell’amministrazione per un fine diverso da quello cui era preordinato. X. La giustizia amministrativa. Con l’espressione diritto processuale amministrativo si fa riferimento ai mezzi di tutela garantiti dall’ordinamento avverso gli atti dell’amministrazione. Prima di passare in rapida rassegna i diversi mezzi di tutela (amministrativi e giurisdizionali) occorre precisare che nell’ordinamento italiano, a differenza degli altri ordinamenti comunitari (eccezion fatta per quello spagnolo) il cittadino i cui interessi sono coinvolti nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione, cioè il cittadino che ha come controparte la pubblica amministrazione non è titolare di un diritto soggettivo, bensì di un interesse legittimo. Si tratta di una situazione soggettiva la cui sostanzialità è stata di recente riconosciuta dalla dottrina ma che non gode di una tutela piena e diretta come il diritto soggettivo. Con riferimento all’oggetto dell’interesse legittimo, un tempo fatto coincidere con la legittimità dell’azione dell’amministrazione, dalla dottrina più attenta è stato individuato nell’interesse che il privato ha ad un comportamento legittimo e a sé favorevole dell’amministrazione, comportamento che garantisce di fatto la soddisfazione dell’interesse finale del privato. In altri termini il privato che richiede all’amministrazione una concessione edilizia è titolare nei confronti dell’amministrazione di un interesse (legittimo) a che l’amministrazione nel valutare la sua istanza tenga un comportamento legittimo e a lui favorevole (nel senso che si pronunci favorevolmente sulla richiesta rilasciano la concessione edilizia nel rispetto della normativa in vigore). Sarà soltanto in tal modo che l’interesse finale del privato, cioè l’interesse a costruire ad esempio la propria abitazione, potrà dirsi soddisfatto. Questa impostazione è stata timidamente accolta anche dai giudici amministrativi sebbene si tratti di decisioni recentissime nelle quali essi non esplicitano in tutte le sue accezioni, comunque, il discorso sotteso ad una simile impostazione. Per ritornare ai mezzi di tutela, nell’ordinamento italiano si distingue tra: • ricorsi amministrativi - istanze che il privato rivolge all’amministrazione per ottenere tutela nei confronti di un provvedimento amministrativo illegittimo. Si tratta, di veri e propri procedimenti amministrativi di secondo grado, finalizzati a cercare, nell’ambito della stessa pubblica amministrazione, la soluzione di una controversia avente ad oggetto un provvedimento amministrativo. Essi sono: il ricorso gerarchico – attraverso il quale ad esempio può essere impugnato un provvedimento di un Ministero dinanzi all’organo gerarchicamente sopraordinato, in questo caso il Ministro; il ricorso in opposizione; il ricorso gerarchico improprio e il ricorso Straordinario al Capo dello Stato. • ricorso giurisdizionale rivolto al giudice ordinario (in quei casi in cui si fa questione di un diritto soggettivo, anche se è coinvolta la pubblica amministrazione. Il giudice ordinario, però, nell’ipotesi in cui l’amministrazione abbia emanato un provvedimento - cioè abbia esercitato il suo potere attraverso un provvedimento amministrativo - non può in alcun modo giudicare sul provvedimento stesso potendo solo limitarsi a far finta che il provvedimento dell’amministrazione non sia stato emanato). • ricorso giurisdizionale rivolto al giudice amministrativo. Organi della giurisdizione amministrativa sono: • i Tribunali amministrativi regionali - T.A.R. (in primo grado): organi locali di giustizia amministrativa che hanno sede nel Capoluogo di ciascuna Regione (eccezion fatta per 8 Regioni nelle quali sono graduatoria di un concorso da parte del primo degli idonei. Mentre questo soggetto, di fatto non vincitore del concorso, si rivolge al giudice per ottenere l’annullamento della graduatoria in quanto alcuni titoli di cui era in possesso non sono stati presi in considerazione dall’amministrazione giudicante, i vincitori effettivi del concorso (controinteressati) hanno interesse (evidentemente contrario a quello del ricorrente) a che la graduatoria, in base alla quale essi risultano vincitori, non venga annullata dal giudice amministrativo. Il processo amministrativo, a differenza di quello civile, è un processo documentale, fondato cioè sulla documentazione che le parti allegano a sostegno delle proprie richieste, che si conclude con una sentenza che può essere portata immediatamente ad esecuzione. I tipici mezzi di impugnazione delle le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali sono: • l’appello al Consiglio di Stato (o al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana per le sentenze pronunciate dei Tribunali amministrativi della Regione Sicilia); • il ricorso per revocazione, che si può presentare ad esempio in quelle ipotesi in cui successivamente alla emanazione della sentenza da parte del giudice viene ritrovato un documento decisivo che la parte non aveva potuto produrre in giudizio; o ancora se la sentenza è contraria ad un altra sentenza passata in giudicato; • l’opposizione di terzo (introdotta nel processo amministrativo solo a seguito dell’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 177 del 1995) che può essere proposta da un soggetto che riceve una lesione (danno) dalla sentenza resa al termine di un processo (di primo o di secondo grado) cui era rimasto estraneo. Si pensi all’esempio prima riportato della impugnativa della graduatoria concorsuale. Il vincitore del concorso, rimasto estraneo al processo intentato da uno dei non vincitori. La concezione del processo amministrativo come processo avente ad oggetto l’atto amministrativo emanato dalla pubblica amministrazione, e non il rapporto giuridico di natura sostanziale sul quale tale atto va ad incidere, non solo ha condizionato la struttura dell’intero processo, limitando sensibilmente l’effettività della tutela offerta ai cittadini, ma ha reso in un certo senso anacronistico l’intero strumento processuale. Un peso importante va riconosciuto alla giurisprudenza che sia pure nei limiti del proprio ruolo, ha tentato di adeguare il modello processuale alle crescenti domande di giustizia, come si è visto a proposito dell’opposizione di terzo. Questa formazione graduale del processo amministrativo ad opera della giurisprudenza, unitamente a diverse esigenze tra le quali emerge in primo piano quella di realizzare i principi costituzionali posti a tutela del cittadino, assicurando la piena tutela degli interessi legittimi, rendono necessario un intervento del legislatore (più volte tentato) al fine di garantire non solo un sistema di giustizia nell’amministrazione, ma anche un sistema di giustizia sull’amministrazione.
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