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Il Ruolo del Parlamento Europeo e la Composizione della Commissione nella Comunità Europea, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Il ruolo del parlamento europeo nella comunità europea e la composizione e la nomina della commissione. Viene inoltre discusso il rapporto tra i trattati istitutivi e i trattati successivi, l'effetto diretto verticale e orizzontale dei regolamenti, e i diritti e obblighi derivanti dal diritto comunitario. Il documento include anche informazioni sulla libertà di circolazione delle merci, le persone e la cittadinanza dell'unione europea.

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013

Caricato il 19/02/2013

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Scarica Il Ruolo del Parlamento Europeo e la Composizione della Commissione nella Comunità Europea e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! PRIMO CAPITOLO – L’EVOLUZIONE STORICA L' odierno quadro d’integrazione europea nacque sicuramente al termine della 2° guerra mondiale: vittime e distruzione costituirono la spinta decisiva per l’instaurazione di forme di cooperazione che avessero potuto impedire la nascita di nuovi conflitti. Nacquero cosi’ numerose organizzazioni che possono essere raggruppate in tre ambiti diversi: • Organizzazioni operanti a scopo di cooperazione militare: vennero create l’Unione Europea Occidentale (UEO) e la NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico) • Organizzazioni operanti a scopo di cooperazione economica: si ricorda l’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica (OECE); • Organizzazioni operanti a scopo di cooperazione politica: particolare importanza riveste il Consiglio d'Europa. Queste iniziative di cooperazione intergovernativa presentavano però alcune debolezze legate soprattutto ad una scarsa capacità decisionale (debolezze che venivano a galla ogni qualvolta, relativamente ad un problema da risolvere, non vi era unanimità di posizioni). Per questo motivo, si tentò di passare ad un nuovo sistema di tipo sovranazionale , attraverso quello che è divenuto il metodo comunitario Fu subito chiaro che la costruzione dell’Europa non passava per l’unificazione politica, bensi' su un processo incrementale legato alla gestione comune di aspetti e settori fondamentali dell’economia: un processo che avrebbe a sua volta determinato una progressiva integrazione di ulteriori aspetti. Fu cosi’ che nel 1952 entrò in vigore il trattato firmato un anno prima a Parigi dal Belgio, dall’Olanda, dal Lussemburgo e dall’Italia: un trattato che sanci’ la nascita della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), la quale permise l’abolizione delle tariffe e dei contingentamenti doganali. Il fulcro di questa nuova struttura comunitaria era l’Alta Autorità, al cui fianco fu istituito il Consiglio speciale dei ministri; una parziale legittimazione democratica era garantita dall’Assemblea comune, in cui sedevano rappresentanti dei Parlamenti nazionali; infine, molto importante, venne istituito un apposito organo giurisdizionale deputato al controllo degli atti e dei comportamenti delle istituzioni, vale a dire la Corte di giustizia. Nel 1958 nacquero la Comunità Economica Europea (CEE, oggi CE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA). Gli obiettivi della CEE erano quelli di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e attraverso il progressivo avvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche, un’espansione continua e bilanciata, un aumento di stabilità, una crescita accelerata degli standard di vita e la solidarietà tra gli Stati membri. Si cominciò quindi a considerare la Comunità come una zona di libero scambio e come una unione doganale: venne introdotta, infatti, una tariffa commerciale comune nei confronti degli Stati terzi (in base a cui l’importazione di beni nella Comunità avviene alle stesse condizioni a prescindere dal Paese d’ingresso, in modo che nessuno Stato membro possa essere in posizione di vantaggio, ad esempio riducendo le proprie tariffe doganali). Il mercato comune prevede non solo la garanzia della libera circolazione delle merci (zona di libero scambio), ma anche la libertà di circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, in modo da edificare uno spazio giuridico ed economico realmente unitario. Un significativo mutamento del quadro comunitario si ebbe, nel 1987, con l’Atto Unico Europeo (AUE) che introdusse una serie di novità relative ai meccanismi decisionali e ai settori d’intervento: venne fissata innanzi tutto al 1992 la data di completamento dei mercato interno e fecero il loro ingresso politiche in materia di ambiente, ricerca e sviluppo tecnologico e coesione economica e sociale. 1 Per quanto riguarda le modifiche dei meccanismi decisionali, venne stabilita la procedura da utilizzare per l’adozione di misure che avessero avuto ad oggetto l’instaurazione o il funzionamento del mercato comune; tale procedura sanci’ il passaggio dal voto all’unanimità al voto a maggioranza qualificata. Venne poi rafforzato il ruolo del Parlamento Europeo attraverso la richiesta del suo assenso (a maggioranza assoluta dei suoi membri) in varie materie, ad esempio in caso di adesione di nuovi Stati membri, o in caso di trattati di associazione tra la Comunità e Paesi terzi; vennero riconosciuti formalmente gli incontri a livello di Capi di Stato e di Governo nell’ambito del Consiglio europeo e, infine, venne previsto che alla Corte di giustizia potesse essere affiancato un Tribunale di primo grado. Negli anni successivi, molti degli Stati membri, ritennero che un mercato unico europeo non avrebbe mai potuto essere realizzato se non si fossero concretizzati degli sforzi per l’istituzione di una Unione Economica e Monetaria (UEM): una moneta unica avrebbe eliminato le distorsioni del mercato dovute al tasso di cambio di ogni singola moneta nazionale ed ai costi del cambio stesso. Inoltre, la progressiva eliminazione delle barriere alle frontiere interne della Comunità, aumentava l’esigenza di creare nuovi e più incisivi meccanismi a livello comunitario per gestire problemi legati al crimine internazionale, al traffico di droga, al terrorismo internazionale ed ai fenomeni migratori. Nel 1992 venne firmato il Trattato di Maastricht che, dopo essere entrato in vigore nel 1993, diede vita ad una nuova entità, l’Unione europea, che si presenta attraverso una struttura detta “a pilastri” (o “a tempio”): è come se vi fosse una sorta di “tetto”, rappresentato appunto dall’ Unione europea, al di sotto del quale si collocano tre ambiti o “pilastri”: • PRIMO PILASTRO: è quello comunitario, il più importante, che ricomprende le tre Comunità (CE, CECA e CEEA), i cui settori di competenza sono stati consolidati ed ampliati. In particolare va ricordata l’istituzione dell’Unione economica e monetaria (UEM), che ha portato alla creazione di una banca centrale europea ed un sistema europeo di banche centrali per la gestione della valuta unica, l'Euro, il cui valore non è esclusivamente economico, ma ha altresi' un significato simbolico di unità. Un’ altra novità di rilievo è l’introduzione del principio di sussidiarietà, in base al quale, nell’ambito delle competenze ripartite fra Comunità e Stati membri, la Comunità interviene “soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario”. Il principio contiene quindi un criterio flessibile di distribuzione delle competenze tra Stati e Comunità, che mira a limitare l’intervento della Comunità ai soli casi in cui le dimensioni del problema travalicano la dimensione nazionale, e può quindi essere risolto in maniera migliore a livello transnazionale. • SECONDO PILASTRO: settore della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). • TERZO PILASTRO: settore della Giustizia e affari interni (GAI) Il Trattato di Maastricht ha rivoluzionato la fisionomia europea, inserendo le Comunità nel più ampio contesto dell’Unione. Ciò ha comunque causato dei problemi: le modalità decisionali, infatti, risultarono farraginose, e la mancanza di una volontà comune tra gli Stati portò all’incapacità di agire in modo efficace e tempestivo (come ad esempio durante la crisi nei territori dell’ex Jugoslavia durante gli anni ’90). Bisognava quindi riadattare, senza stravolgerla, l'architettura istituzionale, in modo da renderla più funzionale ed efficiente: nel 1997, cosi’, venne firmato il Trattato di Amsterdam che entrò in vigore due anni dopo. Dal punto di vista della struttura "a pilastri” dell’Unione, tale Trattato ha mantenuto un sistema tripartito, ma ne ha modificato gli ambiti. Ciò è avvenuto soprattutto nel terzo 2 ritenga che il principio di sussidiarietà non sia stato rispettato. Se un terzo dei parlamenti condivide lo stesso parere, la proposta dovrà essere rivista. Infine, il Protocollo chiarisce che la Corte di giustizia è competente a ricevere i ricorsi degli Stati membri per violazione del principio di sussidiarietà. L’introduzione di questi meccanismi formalizza l’esistenza di un doppio canale di controllo (politico e giurisdizionale), facendo emergere, con sufficiente determinazione, che nella nuova Unione europea che si andrà a delineare con l’entrata in vigore della Costituzione, la sussidiarietà non è solo uno strumento di ripartizione delle competenze tra i soggetti istituzionali, ma è anche un criterio che ne determina le modalità di esercizio; un esercizio in cui viene ad assumere maggiore importanza il ruolo dei cittadini, i quali prendono parte alle procedure decisionali, in particolare attraverso l'azione delle articolazioni territoriali minori (regioni, enti locali, associazioni, ecc…). Cosi’ confiurata, quindi, la sussidiarietà si presenta, anche, come uno strumento di democrazia partecipativa, la cui reale efficacia è tutta da verificare. SECONDO CAPITOLO – LE ISTITUZIONI Tutti noi sappiamo benissimo che l’organizzazione di uno Stato si basa, cosi' come affermava Montesquieu nel XVIII secolo, sulla separazione dei poteri: al Parlamento viene affidato il potere legislativo, al governo il potere esecutivo e alla magistratura il potere giudiziario. Nelle Comunità europee, invece, non è cosi. Seguendo l’ordine con cui sono disciplinate dal Trattato CE, l'esecuzione dei compiti affidati alle Comunità europee, oltre che all'Unione, è assicurata dalle seguenti istituzioni ed organi: • Il Parlamento europeo ( potere consultivo) • Il Consiglio ( potere legislativo) • La Commissione (potere legislativo,esecutivo,amministrativo,di investigazione e sanzionatorio) • La Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado ( potere giurisdizionale) • Il Comitato economico e sociale (organo consultivo) • Il Comitato delle Regioni (organo consultivo) • La Banca europea per gli investimenti • La Banca centrale europea Il Parlamento europeo I suoi membri, il cui numero a seguito dell’allargamento ai Paesi dell’Est europeo non può essere superiore a 732, sono eletti a suffragio universale diretto e restano in carica per un periodo di 5 anni, al termine del quale sono effettuate nuove elezioni; tuttavia, a causa delle notevoli differenze che sussistono a livello costituzionale ed elettorale tra gli Stati membri, la procedura di elezione non è uniforme ovunque. I membri del Parlamento sono riuniti e siedono in aula distinti per gruppo politico di appartenenza, e non secondo la nazionalità di ciascuno. I parlamentari eleggono un Presidente e 14 Vicepresidenti che durano in carica per un periodo di due anni e mezzo; insieme costituiscono l’Ufficio di Presidenza o Bureau. In particolare, il Presidente dirige l’insieme delle attività del Parlamento rappresentandolo in tutte le relazioni esterne, in particolare in quelle internazionali. Inizialmente il Parlamento non solo non aveva alcuna funzione legislativa, ma non poteva neppure esercitare alcuna influenza sulla formazione di un atto normativo comunitario, tranne che in materia di bilancio. Successivamente il potere del Parlamento è stato progressivamente rafforzato: in un primo tempo attribuendogli il diritto di esprimere il proprio parere (per altro non vincolante) prima che il Consiglio potesse adottare un determinato atto; poi introducendo due nuove procedure deliberative 5 (procedura di parere conforme e procedura di cooperazione) grazie alle quali il Parlamento ha acquistato un ruolo decisamente più importante. Allo stato attuale, l’adozione degli atti aventi carattere normativo avviene solo ad opera del Consiglio, al termine di una complessa procedura che vede diverse fasi tra le quali vi è la partecipazione del Parlamento. Con l’espressione partecipazione si vuole affermare che, in alcuni casi, la procedura di adozione di un atto normativo (direttiva o regolamento) da parte del Consiglio deve essere necessariamente preceduta da un parere del Parlamento; in alcune di queste procedure, il Parlamento è semplicemente consultato, mentre in altre riveste ruoli più importanti, fino ad esercitare un vero e proprio diritto di veto. Le principali procedure di adozione di un atto normativo comunitario sono quattro: • LA PROCEDURA DI CONSULTAZIONE: prevede appunto la semplice consultazione del Parlamento prima che un atto normativo possa essere adottato dal Consiglio; ciò significa che, ai fini della procedura legislativa, il parere del Parlamento è obbligatorio, ma non vincolante. • PROCEDURA DI PARERE CONFORME: si configura come un vero e proprio diritto di veto del Parlamento nei confronti del Consiglio. Se il Parlamento non esprime parere favorevole, il Consiglio non potrà in nessun caso adottare l’atto. • PROCEDURA DI COOPERAZIONE: il Consiglio, sulla base del parere espresso dal Parlamento, è tenuto ad esprimere la c.d. posizione comune, vale a dire il suo parere in merito alla proposta della Commissione alla luce della posizione assunta dal Parlamento. La proposta, accompagnata dalla posizione comune del Consiglio, ritorna quindi in seconda lettura al Parlamento. A questo punto gli scenari che si possono presentare sono tre: •..1 se il Parlamento approva la posizione comune oppure non si esprime nel termine di tre mesi, il Consiglio potrà adottare l’atto, normalmente a maggioranza qualificata •..2 se il Parlamento respinge la posizione comune, il Consiglio può ugualmente adottare l’atto definitivo, ma solo all’unanimità •..3 se il Parlamento non respinge la posizione comune ma propone emendamenti, il documento dovrà nuovamente essere presentato alla Commissione affinchè si esprima sulla proposta modificata. Se la Commissione recepisce interamente le modifiche proposte dal Parlamento, il Consiglio potrà adottare l’atto a maggioranza qualificata. Se, invece, la Commissione non accoglie le modifiche del Parlamento, il Consiglio potrà ugualmente adottare l’atto ma soltanto all’unanimità • PROCEDURA DI CODECISIONE: anche qui la proposta della Commissione viene inviata al Consiglio e al Parlamento in prima lettura; successivamente si possono aprire più ipotesi: •..1 se il Parlamento esprime parere favorevole all’atto sottopostogli, senza proporre alcun emendamento, oppure se gli emendamenti proposti sono accettati dal Consiglio, quest’ultimo può adottare l’atto •..2 se il Parlamento rigetta la proposta o se gli emendamenti non sono condivisi dal Consiglio, quest’ultimo dovrà esprimere una posizione comune da sottoporre al Parlamento in seconda lettura. In questa fase la procedura si svolge secondo lo stesso iter della procedura di cooperazione ma con una differenza, molto rilevante, che consiste nella impossibilità per il Consiglio di adottare l'atto (neppure all’unanimità) nel caso in cui il Parlamento respinga la proposta. Oltre alla “partecipazione” al procedimento di produzione di produzione normativa, il Parlamento detiene anche altre prerogative come ad esempio i poteri di controllo sul bilancio della Comunità, sull’operato della Commissione, nonché la nomina del mediatore europeo. 6 Il bilancio è il documento che viene approvato annualmente dalle istituzioni comunitarie e che contiene un elenco delle entrate e delle spese previste. • Le entrate sono costituite esclusivamente dalle c.d. “risorse proprie”, che provengono da 4 fonti diverse: A) riscossioni sulle importazioni nell’Unione di prodotti agricoli provenienti da Paesi terzi; B) dazi doganali sugli scambi con i Paesi terzi; C) proventi costituiti da una percentuale sull’Iva riscossa da ciascun Paese membro; D) contributi versati direttamente dagli Stati membri sulla base del proprio PNL (Prodotto Nazionale Lordo). • Le spese, invece, vanno distinte in “obbligatorie”, attraverso le quali la Comunità europea adempie agli obblighi fondamentali, e “non obbligatorie”, quali le spese amministrative, le spese relative ai fondi strutturali e alle politiche in materia di ricerca, energia, trasporti o protezione dell’ambiente, il cui importo può essere liberamente fissato anno per anno. La procedura di approvazione del bilancio vede coinvolti principalmente il Parlamento (il cui potere riguarda solamente le “spese non obbligatorie”) e il Consiglio; in altre parole, di fronte alla proposta presentata dal Consiglio, il Parlamento ha tre possibilità: • Approvare il bilancio cosi’ come viene presentato • Approvare il bilancio, anche apportando emendamenti alla parte di bilancio concernente le spese non obbligatorie, ma limitandosi invece proporre al Consiglio di modificare le spese obbligatorie • Respingere in blocco l’intero bilancio, con la conseguente necessità per il Consiglio di presentare un nuovo progetto Dopo aver approvato il bilancio, il Parlamento verifica l’uso che ne viene fatto; valuta, cioè, la gestione e l’efficacia degli stanziamenti comunitari e vigila per combattere le frodi Il Parlamento esercita anche poteri di controllo sull’operato della Commissione avendo la possibilità di approvare una “mozione di censura” a seguito della quale la Commissione sarà costretta a dimettersi Altri meccanismi di controllo consistono nella possibilità di nominare il Mediatore europeo, il quale ha il compito di ricevere denunce da parte di cittadini comunitari o da parte di qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia sede sociale all'interno di uno degli Stati membri, riguardanti “casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni o degli organi comunitari” Il Consiglio Come già detto, il Consiglio detiene il potere legislativo da esercitarsi congiuntamente al Parlamento. Le funzioni del Consiglio sono essenzialmente decisionali e consistono nel potere di emanare gli atti normativi più importanti (regolamenti e direttive), nel formare e adottare il bilancio comunitario e nel concludere accordi con Stati terzi. Al Consiglio è tra l’altro riconosciuto il diritto di proporre avanti la Corte di giustizia ricorsi per incompetenza o per violazione delle norme comunitarie. Nel Consiglio siedono i rappresentanti dei governi di ciascuno Stato membro; esso si riunisce normalmente in base alle materie che deve trattare e, per questa ragione, in genere in Consiglio siedono i ministri competenti per materia dei rispettivi Stati membri, spesso accompagnati da delegazioni di esperti in materia. La Presidenza del Consiglio è esercitata a turno da ciascun membro del Consiglio per sei mesi. La Presidenza ha il compito di convocare il Consiglio e di fissare l'ordine del giorno delle riunioni. Il Paese che esercita la Presidenza, pertanto, assume un ruolo di primo piano, potendo dare maggiore impulso a particolari iniziative politiche piuttosto che ad altre; è per tale motivo che, all’inizio di ogni semestre, il Paese di turno presenta il proprio programma di fronte al Parlamento e alla Commissione. 7 È l’istituzione che controlla la gestione finanziaria della Comunità attraverso la verifica della legittimità e della regolarità delle entrate e delle spese. La relazione annuale sul bilancio viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. Dal 1° maggio 2004 la Corte dei conti è composta da un cittadino per ciascuno Stato membro, scelti tra coloro che hanno una particolare esperienza e qualifica per svolgere tale funzione e che offrano garanzie di indipendenza. I membri sono nominati dal Consiglio a maggioranza qualificata, previa consultazione del Parlamento e durano in carica 6 anni, con possibilità di essere rinominati. La Corte dei conti deve presentare ogni anno al Parlamento e al Consiglio una dichiarazione in merito alla legittimità, affidabilità e regolarità delle relative operazioni delle istituzioni. Il Comitato economico e sociale È un organo esclusivamente consultivo del Consiglio, della Commissione e del Parlamento. Esso rappresenta gli interessi di carattere economico e sociale delle diverse componenti della società civile (rappresentanti dei lavoratori, consumatori, agricoltori, ecc...) nell'ambito del processo legislativo comunitario. Il Comitato economico e sociale si suddivide in sezioni specializzate per i principali settori di intervento comunitario. Possono essere istituiti anche sottocomitati con il compito di elaborare progetti di parere da sottoporre, successivamente, alle delibere del Comitato. I membri del Comitato economico e sociale, il cui numero con l’allargamento ad Est è salito a 317, sono nominati per 4 anni dal Consiglio che, dopo essersi consultato con la Commissione, delibera a maggioranza qualificata sulla base di liste che vengono proposte dagli Stati membri. Il Comitato delle Ragioni Rappresenta le autorità locali e regionali nel contesto comunitario e anch’esso ha carattere prettamente consultivo. Il suo principale ambito di intervento è quello della cooperazione transfrontaliera, in quanto coinvolge spesso autorità locali che si trovano ai confini nazionali. I suoi membri hanno già tutti un incarico a livello nazionale e dunque dotati di un doppio mandato, uno a livello interno e l’altro a livello comunitario; il loro numero è uguale a quello previsto per il Comitato economico e sociale, cosi’ come sono uguali le modalità di nomina. La Banca europea per gli investimenti (BEI) Istituita fin dal 1957, ha il compito di favorire uno sviluppo equilibrato del mercato comune nell’interesse della Comunità. Il suo compito consiste nel facilitare e sostenere il finanziamento di progetti in tutti i settori dell’economia, attraverso la concessione di prestiti e garanzie, sia ai governi che alle imprese pubbliche e private, senza scopo di lucro. I suoi membri sono gli stessi Stati della Comunità. Sono organi della BEI: il Consiglio dei Governatori, il Consiglio di amministrazione e il Consiglio direttivo. La Banca centrale europea (BCE) È stata creata il 1° giugno 1998, in conseguenza dell’avvio del sistema di Unione monetaria, con lo scopo principale di gestire la politica monetaria nell’attuale processo di unione monetaria e di garantire la liquidità e la stabilità dei prezzi nella zona Euro. Sono organi della BCE: il Consiglio dei Governatori, il Consiglio esecutivo e il Consiglio generale. Il Consiglio europeo Da non confondersi con il Consiglio dell’Unione europea e tanto meno con il Consiglio d’Europa, è una della più recenti istituzioni comunitarie. 10 A partire dalla fine degli anni ’60 i Capi di Stato e di governo appartenenti alle Comunità europee avevano iniziato a riunirsi informalmente per discutere delle principali linee politiche degli Stati della Comunità e di questioni particolarmente delicate, da risolvere al più alto livello politico. Con l’Atto Unico europeo, questi incontri vennero istituzionalizzati ed il Consiglio europeo divenne a pieno titolo una delle più importanti istituzioni politiche europee; esso è l’unica istituzione ad appartenere esclusivamente all’Unione europea e a non essere condivisa con nessuna delle tre Comunità europee. Il Paese che detiene la Presidenza del Consiglio presiede anche il Consiglio europeo, che è composto dai Capi di Stato e di governo degli Stati membri oltre che dal Presidente della Commissione, dai Ministri degli esteri di ciascuno Stato membro e da un altro Commissario. Si riunisce almeno due volte all'anno. Anche se il Consiglio europeo non detiene poteri legislativi, il suo impulso è decisivo ai fini della definizione degli orientamenti politici generali dell’Unione europea. TERZO CAPITOLO – GLI ATTI Quando, in ambito comunitario, si parla di atti, ci si riferisce alle c.d. fonti del diritto comunitario dalle quali derivano tutte le regole (gli atti, appunto) rivolte agli Stati membri, ai cittadini, alle imprese e agli stessi organi e istituzioni della Comunità. Una prima distinzione riguarda le cd. fonti di diritto primario e le cd. fonti di diritto derivato : • FONTI DI DIRITTO PRIMARIO: ci si riferisce alle norme contenute principalmente nei trattati istitutivi e negli atti ad essi equiparati; tali norme non sono adottate da organi o istituzioni preposti a questa funzione, ma sono il frutto di un vero e proprio accordo tra le parti contraenti e gli Stati, ed esprimono direttamente la loro volontà; tra le fonti di diritto primario vanno ricordati i trattati istitutivi di Parigi del 1952 (CECA) e quelli di Roma nel 1957 (CEE ed EURATOM), a cui si devono aggiungere tutti i successivi trattati di revisione e cioè principalmente l’Atto Unico Europeo (1986), il Trattato sull’Unione europea (1992), il Trattato di Amsterdam (1997) e quello di Nizza (2001). Quando si parla di fonti di diritto primario non si può evitare di accennare alla recente Carta dei diritti fondamentali, uno dei più importanti e discussi documenti europei (vedi pag. 3); se sul piano politico la Carta è indubbiamente molto importante perché dimostra che è possibile raggiungere una convergenza degli Stati intorno a problemi estremamente rilevanti anche da un punto di vista sociale e culturale, tuttavia essa non ha, per il momento, alcun valore giuridico; è importante ricordare comunque che, a seguito del suo inserimento nella nuova Costituzione europea, la Carta acquisterà finalmente piena obbligatorietà giuridica (non prima del 1° novembre 2006, quando la Carta costituzionale dovrebbe entrare in vigore…..quindi è già entrata in vigore??) • LE FONTI DI DIRITTO DERIVATO (regolamenti, direttive e decisioni): sono quelle emanate dalle istituzioni comunitarie sulla base dei poteri attribuiti loro dai trattati. Poiché i trattati istitutivi sono accordi internazionali conclusi tra Stati sovrani, è legittimo chiedersi quale sia il rapporto intercorrente tra questi accordi e i trattati che i singoli Stati membri della Comunità abbiano autonomamente concluso con Stati terzi; la risposta a questa domanda, è che i trattati conclusi posteriormente all’entrata in vigore di quelli comunitari non possono sicuramente prevalere sul diritto comunitario primario; a contrario, gli accordi e le convenzioni conclusi tra gli Stati membri, da una parte, e gli Stati terzi, dall’altra, non possono essere pregiudicate dai trattati istitutivi posteriori. Proprio al fine di risolvere le incompatibilità che possano sorgere tra le obbligazioni assunte dagli Stati membri nei trattati comunitari e quelle assunte in trattati stipulati anteriormente, l’art. 307 CE 11 prevede che gli stessi Stati si debbano adoperare per adottare tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. In questa sede è opportuno accennare anche ai rapporti tra l’ordinamento comunitario e una della Convenzioni più importanti in vigore nel nostro continente: la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), firmata a Roma nel 1950 tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Anche se sino ad ora la Comunità non è parte di questa Convenzione, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha ritenuto fin da subito che la Convenzione dovesse essere considerata una fonte di ispirazione per la determinazione di quei fondamentali principi generali del diritto che, anche se non espressamente indicati nei trattati comunitari, tuttavia sono considerati parte integrante dell’ordinamento comunitario e di cui la stessa Corte di giustizia si è fatta garante. Per determinare quali siano i principi generali del diritto comunitario, la Corte di giustizia ritiene si debba innanzitutto fare riferimento ai principi esistenti nei diversi sistemi giuridici nazionali. Inoltre, secondo la Corte, è sufficiente che vi sia una “tendenza prevalente nei sistemi giuridici degli Stati membri” per poter affermare che un principio è comune agli Stati membri e, quindi, possa essere considerato un principio comunitario. Gli effetti delle norme del trattato Le norme del diritto comunitario primario sono diventate norme interne all’ordinamento italiano. Ciò significa che tali norme sono dotate di effetto diretto, nel senso che chiunque può invocare le disposizioni contenute nei trattati per farle valere di fronte ad un giudice nazionale. I trattati istitutivi hanno di conseguenza creato un ordinamento giuridico nuovo, fondato sul trasferimento di una parte di sovranità dagli Stati membri a favore delle istituzioni comunitarie. L’effetto diretto delle norme del trattato può essere verticale oppure orizzontale : • EFFETTO DIRETTO VERTICALE: si presenta quando le disposizioni del trattato creano obblighi soltanto a carico degli Stati o di qualsiasi altro ente pubblico al quale siano state attribuite funzioni pubbliche; di conseguenza gli individui (persone fisiche o giuridiche) possono invocare le relative norme solo nei confronti dello Stato qualora questo non abbia adempiuto agli obblighi comunitari (basti pensare la caso in cui uno Stato non consenta ad un'impresa nazionale l'importazione di un prodotto proveniente da un altro Paese comunitario, violando in questo modo l’art. 28 CE sul divieto di restrizioni alla libera circolazioni delle merci) • EFFETTO DIRETTO ORIZZONTALE: si presenta, invece, quando le disposizioni del trattato creano diritti ed obblighi nei rapporti giuridici tra singoli (persone fisiche o giuridiche) e sono pertanto invocabili nei rapporti di natura privatistica (basti pensare alle norme in materia di concorrenza, le quali impongono alle imprese determinati comportamenti o vietano di compiere determinati atti nei rapporti con altre imprese o con i consumatori) I regolamenti Oltre ai trattati istitutivi e alle loro modifiche, gli altri strumenti istituzionali con i quali vengono prodotte regole giuridiche destinate ad operare nei confronti sia degli Stati membri che direttamente nei confronti dei cittadini, sono: A) i regolamenti; B) le direttive; C) le decisioni. Questi ulteriori strumenti istituzionali, che devono essere sempre motivati, costituiscono le c.d. fonti di diritto derivato; tutti e tre sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (il regolamento entra in vigore alla data in esso stabilita oppure, in mancanza di data, nel 20° giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Il regolamento è caratterizzato dalla presenza di tre elementi che lo differenziano dagli altri atti comunitari: 12 Essa consiste nell’obbligo per il giudice nazionale di interpretare il diritto alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, e di scegliere, tra i metodi di interpretazione del suo ordinamento, quello che gli consente di dare alle disposizioni di diritto nazionale un significato compatibile con la direttiva. I soggetti obbligati ad applicare le direttive non attuate Con una sentenza del giugno 1989, la Corte di giustizia per la prima volta ha affermato che: "al pari del giudice nazionale, tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i Comuni, sono tenuti ad applicare le disposizioni di una direttiva e a disapplicare le norme del diritto nazionale non conformi a queste disposizioni”. L’allargamento ad un numero sempre più elevato di soggetti ed istituzioni tenute ad applicare le direttive comunitarie non attuate dallo Stato membro, comporta indubbiamente una accelerazione del processo di armonizzazione del diritto dei Paesi membri. Tuttavia, non si possono ignorare i problemi che potranno sorgere in futuro. Basti pensare alle conseguenze sul piano della certezza del diritto e della responsabilità stessa dei soggetti chiamati ad applicare le direttive non attuate. L’applicazione del principio appena esposto non significa, soltanto, che la Pubblica amministrazione, gli Uffici comunali e tutti gli uffici pubblici in genere, devono essere in grado di conoscere le direttive non attuate e di considerarle alla stregua delle altre fonti di diritto una volta che sia scaduto il termine per la formale attuazione in via legislativa. Significa, soprattutto, che tali soggetti ed enti dovranno avere la capacità di riconoscere se una direttiva possieda o meno quei caratteri tali da renderla direttamente applicabile; più ancora, dovranno essere in grado di valutare se l’eventuale norma nazionale che dà attuazione ad una direttiva dotata di quelle caratteristiche sia stata formulata in modo corretto. Una volta valutato tutto questo, essi dovranno assumersi la decisione se applicare o disapplicare la norma nazionale, con tutto quello che ne può conseguire sul piano della responsabilità amministrativa e penale. Le decisioni Come i regolamenti e le direttive, anche le decisioni hanno carattere vincolante ma, a differenza di queste, le decisioni si indirizzano ad uno o più soggetti individuati, siano essi Stati, enti pubblici, società, imprese o persone fisiche. Di regola sono emanate dalla Commissione; talvolta, soprattutto quando sono indirizzate agli Stati, possono essere emanate anche dal Consiglio. In molti casi esse richiedono che lo Stato adotti alcuni provvedimenti normativi necessari per darvi concreta esecuzione; tuttavia, quando il loro precetto è sufficientemente preciso e determinato, come normalmente avviene, esse producono effetti immediati e non richiedono alcun provvedimento nazionale di attuazione. Di particolare importanza sono le decisioni emanate dalla Commissione nei confronti delle imprese che abbiano violato le regole sulla concorrenza; tra l’altro, esse possono comportare a carico dei destinatari anche sanzioni pecuniarie. Avendo portata individuale, le decisioni acquistano piena efficacia solo con la loro notifica al destinatario, sia esso uno Stato, un ente pubblico, una persona fisica o giuridica. Le raccomandazioni e i pareri La raccomandazione ha la funzione principale di sollecitare il destinatario a tenere un determinato comportamento che si ritiene corrispondente agli obiettivi, agli interessi e alle finalità della Comunità europea. Il parere invece esprime il punto di vista, la presa di posizione su di un determinato fatto o argomento, da parte del soggetto da cui proviene. Se tali atti sono privi di effetti vincolanti per il destinatario, ciò non significa che non possono avere nessun effetto giuridico. Per esempio, alcuni pareri espressi dalla Commissione in ordine a determinati problemi, sono presi in considerazione dai giudici della Corte di giustizia o del 15 Tribunale di primo grado i quali, quando lo ritengono opportuno, li utilizzano come punto di riferimento o parametro per valutare il comportamento di uno Stato, o di un’impresa, o di un individuo. Altri atti comunitari Possiamo ancora parlare dei cd. Libri bianchi e Libri verdi. I primi hanno la funzione di avviare una consultazione con tutte le parti sociali interessate, in vista dell’adozione di una nuova normativa, oppure in vista di una radicale riforma di un settore. I secondi hanno la funzione di presentare pubblicamente le nuove iniziative e i criteri con cui la Commissione intende agire. Spesso costituiscono lo sviluppo naturale di un precedente Libro verde. Particolarmente importanti sono, infine, le comunicazioni interpretative della Commissione; esse contengono il punto di vista o l’interpretazione della Commissione di disposizioni contenute in un atto comunitario (trattato, regolamento, direttiva). Comunicazioni di tal genere, pur non essendo vincolanti, possiedono però una forte capacità di condizionare le scelte degli operatori del mercato, i quali saranno indotti a ritenere che l’interpretazione proposta dalla Commissione, esprimendo ufficialmente la posizione della Comunità, potrebbe facilmente diventare la soluzione applicata anche dalla Corte di giustizia. Le fonti del secondo e del terzo pilastro In materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC) nonché di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (CPG) non è possibile applicare le disposizioni relative al pilastro comunitario. Tra le fonti della PESC, possiamo ricordare le strategie comuni, che vengono messe in opera dal Consiglio attraverso le posizioni comuni e le azioni comuni; a seguito dell’adozione di una posizione comune da parte del Consiglio, gli Stati membri sono tenuti a conformare le proprie politiche nazionali. Le fonti della CPG, invece, comprendono le posizioni comuni, le decisioni-quadro e le decisioni (queste ultime hanno natura diversa rispetto alle decisioni esaminate prima); gli atti di maggior rilievo, cioè le decisioni quadro, hanno una funzione analoga a quella delle direttive (obbligo di raggiungere un determinato risultato, ma libertà e discrezionalità sui mezzi e le forme con cui farlo). QUARTO CAPITOLO- I RAPPORTI TRA DIRITTO COMUNITARIO E DIRITTO INTERNO Il rapporto duraturo che lega il nostro Paese alle Comunità europee è stato, spesso, difficile e non privo di attriti, soprattutto nei confronti della posizione assunta dalla Corte di giustizia in relazione ai rapporti tra il diritto interno degli Stati membri e il diritto comunitario. L’evoluzione della giurisprudenza italiana può essere divisa in due grandi periodi : • PRIMO PERIODO (a partire dalla metà degli anni ’60): nell’ordinamento italiano, mentre i principi e le consuetudini del diritto internazionale venivano automaticamente accolti, gli accordi e i trattati internazionali, invece, venivano inseriti solo a seguito di una procedura che prevedeva come momento fondamentale il cd. ordine di esecuzione, attraverso il quale, con un atto legislativo, le norme di origine internazionale diventavano parte del sistema giuridico interno e considerate alla stregua delle norme nazionali. Il meccanismo rifletteva la preferenza del nostro sistema giuridico per il cd. modello dualista, in forza del quale il diritto internazionale poteva diventare parte del diritto nazionale solo se era 16 incorporato attraverso uno strumento giuridico interno. L’ordine di esecuzione con cui venivano inseriti nel nostro ordinamento i trattati comunitari era contenuto in una legge ordinaria; in questo modo accadeva che tutti i trattati comunitari e le loro modifiche si collocavano, sul piano della gerarchia delle fonti, allo stesso livello di una legge ordinaria; e tutto ciò risultava chiaramente problematico in quanto, una volta ammesso che i trattati erano equivalenti ad una legge ordinaria, si dava il via libera all'applicazione del principio secondo il quale lex posterior derogat anteriori. Ciò significava che non solo le norme dei trattati ma, a maggior ragione, anche le norme di diritto derivato, potevano essere derogate o vanificate da leggi nazionali successive. Durante questo primo periodo, quindi, la Corte costituzionale appoggiava chiaramente la concezione dualista nel rapporto tra diritto interno e diritto comunitario, ponendosi in netto contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia. • SECONDO PERIODO (a partire dal 1984): in maniera graduale, la suprema Corte italiana si avvicina sempre di più all’idea di un sistema composto da ordinamenti coordinati. La vera chiave di svolta nell’evoluzione delle relazioni tra il diritto comunitario e il diritto nazionale sta, infatti, nella progressiva acquisizione della consapevolezza che i due ordinamenti non sono contrapposti, ma si integrano a vicenda. Ecco quindi che nasce il concetto di supremazia funzionale del diritto comunitario nei confronti di quello interno; tale concetto mette in luce il fatto che la partecipazione all’ “avventura europea” avvenga con la consapevolezza che la norma comunitaria debba prevalere sulla norma nazionale per il semplice motivo che il nostro Stato ha scelto liberamente di aderire agli obiettivi comuni europei. Sarebbe quindi contraddittorio e illogico mettere in discussione l’efficacia delle norme comunitarie ogni qualvolta si trovino in contrasto con una normativa nazionale incompatibile. L’applicazione del diritto comunitario all’interno dell’ordinamento nazionale È oggi chiaro che qualunque disposizione comunitaria, purchè dotata di effetti diretti, prevale su una norma nazionale anche nel caso in cui quest’ultima sia posteriore rispetto a quella comunitaria. Inoltre, una norma interna eventualmente in contrasto con un atto comunitario deve essere disapplicata da ogni giudice nazionale, senza che sia necessario attendere la dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale. La Corte costituzionale ha poi finito per estendere l’effetto diretto anche nei confronti delle sentenze della Corte di giustizia, prima con riferimento alle sentenze emesse nell’ambito dei ricorsi in via pregiudiziale e, successivamente, per qualunque sentenza. È quindi chiaro anche che le sentenze della Corte di giustizia sono vincolanti non solo per le parti, ma anche in tutte le altre situazioni analoghe che dovessero verificarsi in qualunque Stato membro, e non solo nello Stato nei cui confronti la sentenza della Corte è stata resa. Responsabilità dello Stato nei confronti del cittadino per mancata attuazione del diritto comunitario Al cittadino danneggiato dalla mancata attuazione della direttiva, non resta che chiedere allo Stato il risarcimento del danno subito in conseguenza della mancata possibilità di esercitare i diritti che la tempestiva attuazione della direttiva gli avrebbe attribuito. Tale principio è stato formulato per la prima volta in quella che può essere considerata la sentenza più nota nei 50 anni di attività della Corte di giustizia, vale a dire la sentenza Francovich, del 1991. La controversia verteva intorno alla mancata attuazione di una direttiva concernente la tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro. Alcuni dipendenti di due aziende private si erano venuti a trovare nella situazione tipica prevista dalla direttiva, ma non avevano potuto ottenere gli arretrati della retribuzione a causa della mancata attuazione da parte dello Stato italiano della normativa comunitaria, sebbene il termine per 17 1.Il ricorso contro l’inadempimento degli Stati Quando la Commissione (che come abbiamo già detto detiene il potere di controllo e di vigilanza, nonchè sanzionatorio, sulla corretta applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri) reputa che uno Stato membro abbia violato uno degli obblighi previsti dal Trattato (ma anche previsti dai regolamenti, dalle direttive, dalle decisioni, oltre che dai principi generali del diritto comunitario), può chiaramente agire contro di esso. La procedura di infrazione può essere divisa in due fasi: • FASE PRECONTENZIOSA: inizia con la richiesta da parte della Commissione di informazioni, dati e documenti che gli Stati sono tenuti a fornire; se l’esito di questo primo esame evidenzia un’infrazione, la Commissione invia allo Stato una lettera di messa in mora, con cui gli offre la possibilità di presentare le proprie osservazioni. Qualora lo Stato non intenda conformarsi alle indicazioni contenute nella lettera di messa in mora, la Commissione emette un parere motivato, in cui esprime definitivamente la propria posizione sulla violazione contestata; con questo atto termina la fase precontenziosa. • FASE CONTENZIOSA: prende il via nel momento in cui la Commissione presenta ricorso alla Corte di giustizia a causa del mancato adeguamento dello Stato al parere motivato. A questo punto, la Corte emetterà una sentenza vincolante per tutte le autorità dello Stato implicando l’obbligo per quest’ultimo di adottare le misure idonee per garantire l’adeguamento del diritto nazionale all’ordinamento comunitario; qualora lo Stato membro rifiuti di adeguarsi anche alla decisione della Corte, la Commissione dovrà intervenire nuovamente e, dopo aver dato allo Stato la possibilità di presentare le proprie osservazioni, emettere un secondo parere motivato, in cui precisa i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è adeguato alla decisione e fissa un termine per l’adempimento. Se entro tale termine lo Stato non si adegua alla decisione, la Commissione può nuovamente presentare ricorso alla Corte, indicando la somma di denaro che lo Stato inadempiente dovrebbe essere chiamato a versare a titolo di penalità. La Corte, nel caso in cui accerti l’effettivo inadempimento, emetterà una seconda sentenza di condanna nella quale però potrà comminare il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità, seguendo le indicazioni della Commissione, o stabilendo la somma in modo autonomo. 2. Il ricorso per l'annullamento di atti illegittimi Affinchè possa essere messa in atto un’azione di annullamento, sono necessarie 4 condizioni: • l’atto deve essere IMPUGNABILE : la Corte ha più volte riconosciuto che è impugnabile qualunque atto che produca effetti giuridici nei confronti di terzi. • il RICORRENTE deve avere DIRITTO DI AGIRE : bisogna innanzi tutto dire che i ricorrenti possono essere classificati in due categorie: • ricorrenti istituzionali: costituiti dal Consiglio, dal Parlamento, dalla Commissione e dagli Stati membri, possono ricorrere di fronte alla Corte di giustizia senza dover provare di avere un interesse ad agire. • ricorrenti individuali: costituiti da qualunque persona fisica o giuridica, possono agire solo contro alcuni atti e soltanto di fronte al Tribunale di primo grado; devono dimostrare, in primo luogo, di avere un interesse ad agire, devono cioè dimostrare di essere titolari di un interesse giuridicamente tutelabile ed attuale. • deve essere contestato un VIZIO DI LEGITTIMITÀ tra quelli espressamente previsti dal Trattato: i vizi di legittimità contestati sono: 20 • incompetenza: quando la singola istituzione non ha il potere di adottare l’atto, oppure quando l'atto non è di competenza comunitaria, è possibile rivolgersi alla Corte per far constatare tale violazione e chiedere l’annullamento dell'atto. • violazione delle forme sostanziali: si tratta per lo più di violazioni di norme che regolano le procedure di adozione degli atti comunitari e che ledono i diritti di soggetti coinvolti nella loro elaborazione (es. violazione delle regole relative alle modalità di voto in sede di approvazione dell’atto). • violazione del Trattato o di altre norme relative alla sua applicazione: riguarda la violazione, da parte dell’atto impugnato, di qualsiasi norma di natura gerarchicamente superiore. • sviamento di potere: il vizio riguarda l'esercizio del potere, da parte di una istituzione comunitaria, per raggiungere un fine diverso da quello per cui il potere le era stato attribuito. • è necessario agire entro il termine di DUE MESI che decorrono dalla pubblicazione dell’atto impugnabile, vale a dire dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza. Nel caso di accoglimento del ricorso, la Corte dichiara l’atto impugnato “nullo e non avvenuto”; la sentenza ha pertanto valore retroattivo, ma per il rispetto dei principi di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento, la Corte può stabilire, in caso di annullamento di un regolamento, quali fra gli effetti che sono stati prodotti dal regolamento debbano essere considerati come definitivi. 3.Il ricorso in carenza Nei casi in cui, in violazione del trattato CE, il Parlamento, il Consiglio o la Commissione si astengano dall'adottare un atto, gli Stati membri, le altre istituzioni della Comunità e i privati possono adire la Corte per far constatare tale carenza. Nel caso in cui la Corte constati la violazione del Trattato per carenza di azione da parte dell’istituzione interessata, questa è tenuta a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta. I ricorsi in carenza possono essere esperiti esclusivamente nei casi in cui le istituzioni abbiano un obbligo di agire, mentre ciò non avviene quando queste godano di un potere discrezionale. Prima di rivolgersi alla Corte, pertanto, è necessario che al Parlamento, al Consiglio o alla Commissione sia stato preventivamente richiesto di agire; se allo scadere del termine di due mesi dalla richiesta l’istituzione non si pronuncia, la parte interessata ha a propria disposizione due mesi per proporre il ricorso in carenza, dando cosi’ inizio alla fase contenziosa (nel caso di rifiuto esplicito ad agire da parte dell’istituzione o di adozione di un atto diverso da quello richiesto, invece, la parte interessata ha a sua disposizione il ricorso per annullamento). 4.Il rinvio pregiudiziale Dato che i giudici nazionali sono chiamati ad interpretare ed applicare il diritto comunitario prima ancora della Corte di giustizia, si è reso necessario creare un meccanismo volto ad assicurare l’uniformità di interpretazione ed applicazione del diritto comunitario da parte delle corti di tutti gli Stati membri. Il sistema, che è conosciuto con il nome di rinvio pregiudiziale, si basa su una cooperazione giudiziale tra le corti nazionali e la Corte di giustizia. In pratica, con il rinvio pregiudiziale si richiede o di conoscere la VALIDITÀ di un atto compiuto dalle istituzioni comunitarie, o di fornire l'INTERPRETAZIONE corretta di una norma comunitaria; successivamente, il giudice del procedimento principale applicherà alla fattispecie la norma comunitaria interpretata secondo il giudizio della Corte. Proprio per queste caratteristiche, si tratta di un procedimento di rinvio dal giudice nazionale al giudice comunitario, in cui spetta al primo decidere se sia necessario (o quanto meno opportuno) effettuare il rinvio in questione. È importante dire che se nel corso di un procedimento dovesse sorgere un problema di validità di un atto comunitario, la Corte di giustizia ha stabilito che le giurisdizioni nazionali non potranno mai 21 pronunciare l’invalidità di un atto comunitario, poiché tale compito spetta unicamente alla Corte di giustizia, mentre potranno concludere per la validità dell’atto senza dover necessariamente rivolgersi alla Corte. Le decisioni sul rinvio pregiudiziale (risolte dalla Corte con sentenza), non solo sono obbligatorie nei confronti del giudice nazionale che le ha sollevate, ma hanno effetti anche nei confronti di tutti i giudici nazionali di qualunque altro Stato membro che si trovino a dover decidere una fattispecie analoga. Tali decisioni hanno effetti retroattivo; ciò comporta che l’atto cosi’ come interpretato (o annullato) dalla Corte di giustizia, deve essere applicato (o disapplicato) anche a rapporti sorti prima della decisione della Corte. Cosi’ come avviene per le sentenze relative ai ricorsi per l’annullamento di atti illegittimi, gli effetti retroattivi delle decisioni sul rinvio pregiudiziale possono essere, in circostanze particolari, limitati. 5.Il ricorso per risarcimento dei danni La Comunità ha l’obbligo di risarcire i danni causati dalle sue istituzioni o dal suo personale nell’esercizio delle loro funzioni, nell’ambito della responsabilità extracontrattuale. Per quanto riguarda la responsabilità contrattuale, dunque, saranno competenti le giurisdizioni nazionali. Il ricorso deve essere presentato dal danneggiato entro 5 anni dal fatto che ha generato il danno. Normalmente, la responsabilità della Comunità è dovuta all’adozione di un atto illegittimo o alla mancata adozione di un atto dovuto; a tutto ciò seguono gli eventuali ricorsi per inadempimento o in carenza, i quali, comunque, non comportano automaticamente la risarcibilità del danno subito che richiede valutazioni diverse ed accurate da parte del giudice. Spesso il diritto comunitario viene applicato attraverso le autorità nazionali; in questi casi il compito del giudice è particolarmente arduo perché non è sempre agevole distinguere la responsabilità delle istituzioni comunitarie da quella delle autorità nazionali. Talvolta si può anche verificare un cumulo di responsabilità che può far capo sia alle Comunità che allo Stato; in tal caso la Corte ha ritenuto che sia necessario, prima, esaurire le vie di ricorso nazionali per valutare la quota di responsabilità a carico dello Stato membro in questione; solo successivamente ci si potrà rivolgere alla Corte perché sia riconosciuta la responsabilità della Comunità. La Corte di giustizia e l’elaborazione di principi generali La maggior parte degli ordinamenti giuridici, siano essi nazionali, internazionali o sovranazionali, sono dotati di principi generali di diritto; fu soprattutto la Corte ad individuare e formulare, fin dagli anni ’60, numerosi di questi principi caratterizzanti l’ordinamento giuridico comunitario, fino ad esercitare una vera e propria attività cd. di costituzionalizzazione del diritto comunitario, garantendone la massima ed uniforme applicazione ed efficacia. La formulazione da parte della Corte di giustizia di un principio generale di diritto può discendere: • dalla constatazione che si tratta di un principio comune agli Stati membri • dalla applicazione di Convenzioni internazionali Per quanto riguarda la prima ipotesi, è il caso, ad esempio, del diritto alla riservatezza, formulato dalla Corte in relazione al segreto epistolare nei rapporti tra avvocato e cliente, oppure dei limiti di interesse generale alla proprietà privata in relazione all’esercizio del diritto di proprietà. È il caso anche dei principi di pubblicità, di irretroattività della legge, di buona fede e di tanti altri formulati nel corso di questi ultimi 40 anni, come l’uguaglianza tra cittadini, o la proporzionalità tra la violazione commessa e la sanzione. Per quanto riguarda la seconda ipotesi, invece, è il caso, ad esempio, dei diritti dell’uomo che la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e sulle libertà fondamentali del 1950 tutela nelle sue diverse espressioni come la libertà religiosa, la libertà sindacale, la libertà di domicilio e cosi via, e che la Corte ha più volte affermato di voler garantire direttamente. Gli esempi potrebbero continuare a lungo…. 22 Di questi tre aspetti, quello di gran lunga più rilevante è il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza, siano esse palesi, oppure occulte (si pensi ad esempio all’introduzione di criteri di scelta del lavoratore basati sul luogo di nascita o di residenza). Nel corso degli anni tale divieto ha visto peraltro il suo contenuto ampliarsi ad opera della Corte di giustizia, che lo ha trasformato da divieto di discriminazioni a generico divieto di restrizione alla circolazione dei lavoratori. Il diritto comunitario prevede, infine, che anche i membri della famiglia di un lavoratore straniero possano beneficiare dei diritti sociali garantiti ai membri delle famiglie dei lavoratori nazionali, e ciò anche se questi non esercitano un’attività lavorativa nello Stato membro ospitante. Per ciò che concerne le limitazioni alla libera circolazione dei lavoratori, queste possono essere applicate in alcune particolari ipotesi che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Il diritto di stabilimento Tale diritto rappresenta un particolare aspetto della libera circolazione delle persone e dei lavoratori. Con il termine “stabilimento” s'intende l'esercizio, in un territorio, di un'attività economica autonoma a titolo permanente. Il diritto di stabilimento, garantito indistintamente a tutte le persone fisiche o giuridiche appartenenti ad uno degli Stati membri, può essere suddiviso in due tipi: • diritto di stabilimento principale, ovvero la possibilità di lasciare il proprio Stato membro d’origine per trasferirsi in un altro Stato dell’Unione • diritto di stabilimento secondario, ovvero la possibilità di stabilire in un altro Stato dell’Unione un centro secondario d’interessi conservando al contempo quello principale nel proprio Paese d’origine. La libera prestazione dei servizi Per libera prestazione di servizi s’intende la possibilità per qualunque cittadino comunitario di prestare la propria attività, professionale, industriale, commerciale od artigianale, in un altro Stato membro senza essere obbligato a stabilirsi in quello Stato, e di essere sottoposto al medesimo trattamento a cui sono soggetti coloro che vi risiedono. Elemento caratterizzante della libertà di circolazione dei servizi, è l’esistenza di una retribuzione, intesa come contropartita economica di una prestazione. Si noti, tuttavia, che talvolta è possibile che a varcare i confini sia la sola prestazione, come accade, ad esempio, per i servizi bancari, assicurativi, televisivi, radiofonici e, di recente, per i servizi forniti attraverso internet. Anche in tali ipotesi il servizio potrà godere della piena libertà di circolare nel mercato unico, senza poter essere ostacolato per motivi legati alla nazionalità del suo prestatore. È interessante notare che la Corte di giustizia ha precisato che il diritto comunitario tutela anche la cosiddetta libertà di prestazione di servizi passiva, cioè l’ipotesi di chi si rechi in un Paese membro per usufruire di un servizio. La libera circolazione di capitali e pagamenti Fu solo con l’Atto unico europeo che la libera circolazione di capitali e pagamenti fu posta sullo stesso piano di quella delle merci e dei servizi. 25 • Per libera circolazione dei capitali, s’intende la possibilità, per i cittadini e gli operatori comunitari, di trasferire capitale da uno Stato membro ad un altro, ovvero di investire i capitali stessi in un Paese dell’Unione diverso da quello di origine. • Con il concetto di libera circolazione dei pagamenti, invece, si fa riferimento alla possibilità di effettuare liberamente all’interno del mercato comune il pagamento di una controprestazione, mediante strumenti di diverso tipo (banconote, assegni, cambiali, bonifici, ecc…). È importante dire che, all’interno del mercato comune, esiste un diritto di libera circolazione dei pagamenti nella misura in cui tali pagamenti sono funzionali alla remunerazione di uno scambio di merce o di una prestazione lavorativa compiuta in esecuzione di un servizio, ovvero nel corso di un rapporto di lavoro subordinato La libertà di concorrenza L’Unione europea tutela, ed al tempo stesso promuove, la concorrenza tra gli operatori economici all’interno del mercato unico sulla ferma convinzione che un mercato concorrenziale migliora il benessere dei consumatori e l’efficienza del sistema produttivo. La concorrenza è il nucleo del sistema economico di mercato sul quale è fondata la società europea occidentale. Essa si basa su due regole ben precise: • libera iniziativa economica • autonomia dei privati Queste due regole potrebbero apparire in contrasto con il riconoscimento del diritto dello Stato ad intervenire nella vita economica; in realtà, è proprio la libertà di impresa che impegna lo Stato ad assicurare e proteggere l’esercizio di attività economiche dei privati nella forma meno regolamentata possibile. Ne deriva che le limitazioni della libertà di impresa applicate dallo Stato vengono messe in atto affinchè venga perseguito un interesse generale. È del tutto chiaro, quindi, che un mercato concorrenziale non può sussistere al di fuori di un contesto normativo che ne disciplini le dinamiche e disegni i contorni di ciò che è ammesso e di ciò che non lo è. È del tutto chiaro, di conseguenza, che il contrasto tra la libertà di iniziativa economica e le limitazioni alla libertà di concorrenza imposte dallo Stato, è soltanto apparente. Ed è del tutto chiaro, infine, che garantire la libera concorrenza nel mercato vuol dire proteggere la libertà dei cittadini, i quali potranno liberamente esercitare il loro diritto di libertà di scelta. Il modello comunitario del diritto della concorrenza si basa sul principio del divieto, in base al quale ogni comportamento che restringa la concorrenza è da considerare sempre vietato, ferma restando la possibilità di concedere delle deroghe. Il Trattato di Roma, a questo proposito, fornisce un insieme di strumenti giuridici diretti ad impedire o reprimere qualunque comportamento che possa avere come effetto quello di restringere o distorcere la concorrenza nel mercato unico. I principali articoli sono tre: ART. 81: secondo questo articolo, “sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune". La nozione di pratica concordata comprende qualunque genere di comportamento che, pur non essendo imposto alle parti da alcun accordo vincolante, sia comunque il risultato di una loro concertazione. È bene precisare che non tutti gli accordi tra le imprese sono dannosi per il corretto funzionamento del mercato. Alcuni di questi possono introdurre benefici oggettivi al sistema della produzione, oltre che arrecare vantaggi alla comunità dei consumatori. Per non proibire accordi benefici al mercato, 26 è stato previsto il sistema delle esenzioni, concesse dalla Commissione dopo un attento studio degli elementi essenziali dell'accordo e degli effetti che esso avrebbe potuto produrre sul mercato. Le esenzioni, in pratica, sono vere e proprie deroghe alla applicazione dell’art. 81. ART. 82: secondo questo articolo, " è incompatibile con il mercato comune e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo ". Ciò che si vieta non è la posizione dominante sul mercato in se, ma l' abuso (ovvero il ricorso a mezzi diversi da quelli su cui si fonda la concorrenza normale) che di questa posizione le imprese fanno ai danni di altre imprese. Per quanto concerne il pregiudizio al commercio tra gli Stati membri, la Commissione e la Corte di giustizia ritengono che sia sufficiente porre in essere, volontariamente o meno, una situazione di oggettiva difficoltà per le altre imprese di entrare nel mercato o di mantenere la propria posizione. I casi di abuso di posizione dominante non sono soggette al regime delle esenzioni e sono pertanto sempre vietate. Tuttavia le imprese, per evitare situazioni di incertezza, possono richiedere alla Commissione un’attestazione negativa, vale a dire una certificazione circa la non incompatibilità del loro comportamento con l’art. 82. ART. 87: tale articolo, dopo avere stabilito che gli aiuti sono incompatibili nella misura in cui, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza, individua alcuni aiuti che, per la loro particolare natura, devono sempre essere considerati compatibili con il mercato comune e non necessitano, quindi, di nessuna autorizzazione preventiva da parte della Commissione; ma tale articolo individua anche altri aiuti che, invece, possono essere considerati compatibili dalla Commissione in presenza di determinate circostanze (è il caso, ad esempio, in cui lo Stato aiuta un particolare settore della società, il quale si trova in un momento di difficoltà economica; chiaramente il settore aiutato deve essere di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’intera società -vedi caso FIAT-) L’aiuto può essere illecito, quando non è stato oggetto di comunicazione e di autorizzazione preventiva alla Commissione; può essere, infine, abusivo, quando le sue modalità di erogazione o di fruizione sono difformi da quanto autorizzato dalla Commissione. Per concludere questo capitolo, bisogna accennare al concetto di concentrazione, con il quale s’intende l’operazione di fusione tra due o più imprese, oppure l’acquisizione da parte di un’impresa del controllo di un’altra o di altre imprese. Il regolamento in materia di controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese, il cd. regolamento antitrust, prevede un intervento preventivo della Commissione, prima ancora che la concentrazione diventi efficace. Le imprese che hanno intenzione di procedere ad una concentrazione hanno, pertanto, l’obbligo di notificare alla Commissione l'intenzione di procedere ad una tale operazione. SETTIMO CAPITOLO – ALTRE POLITICHE COMUNITARIE E DELL’UNIONE EUROPEA L'adesione di nuovi dieci Stati membri, l'accelerazione dei processi di globalizzazione nel settore dell'economia, della produzione, della tecnologia e dei rapporti sociali apre importanti prospettive per le politiche dell'Unione europea dei prossimi anni. La politica agricola 27 Attualmente le risorse interne all’Unione garantiscono la metà dell’intero fabbisogno energetico dei Paesi membri, ma si stanno progressivamente esaurendo, mentre i consumi aumentano costantemente. Secondo recenti stime della Commissione europea, nei prossimi 20-30 anni, in assenza di interventi correttivi, l’impatto ambientale dello sfruttamento delle risorse energetiche non rinnovabili diventerà insostenibile e la dipendenza dai Paesi terzi aumenterà fino a raggiungere il 70%. Questa prospettiva di medio-lungo periodo dimostra la vulnerabilità dell’Unione nel settore dell’energia, soprattutto a causa della dipendenza economica da alcune energie (in primis il petrolio ed il gas) e da alcuni Paesi esportatori come la Russia e il Medio Oriente. La questione energetica a livello europeo riguarda il problema di come garantire un’offerta sufficiente e a prezzi ragionevoli; la ricerca tende in questo senso a ridurre l'impatto ambientale e ad aumentare il rendimento energetico delle fonti alternative di energia. Nell’aprile 2000, la Commissione ha adottato un piano di azione in cui propone di migliorare dell’1% all’anno l’intensità energetica dell’UE verso il 2010. La Costituzione europea ha però introdotto un limite all’azione comune in materia energetica: l’azione dell’Unione non potrà, infatti, incidere sul diritto degli Stati membri di definire le condizioni di sfruttamento delle proprie risorse energetiche, di scegliere tra le varie fonti energetiche e la struttura generale del proprio approvvigionamento energetico. L’azione comunitaria nel settore del turismo Il turismo rappresenta per gli Stati membri dell’UE un settore economico importante, anche per la sua forte valenza culturale e sociale. Il processo di integrazione sociale, in questo senso, propone uno scenario decisamente favorevole all'incremento del turismo, quale elemento di coesione della costruzione europea. Dal punto di vista del ruolo esercitato dall’UE nel settore turistico, è necessario ricordare che il Trattato di Maastricht, cosi’ come quello di Amsterdam del 1997, nonostante le pressioni di Italia e Grecia, non ha annoverato il turismo tra le materie di competenza comunitaria. Questo perché il turismo costituisce un fenomeno polivalente e multiforme, incapace di essere ingabbiato in una cornice legislativa a livello comunitario; ne consegue che, a tale livello, la materia del turismo è affrontata solamente a margine di interventi incentrati su altri settori di azione, quali la sanità, la protezione sociale, i trasporti, l'ambiente e la tutela dei consumatori. Tra i vari provvedimenti approvati a livello comunitario, è opportuno ricordare la direttiva 13 giugno 1990 che disciplina i viaggi, le vacanze e i circuiti “tutto compreso”, ed il Regolamento dell’11 febbraio 2004, in materia di overbooking nel settore del trasporto aereo di persone. Obiettivo principale della direttiva comunitaria è stato quello di uniformare a livello europeo la regolamentazione dei viaggi organizzati e di superare le numerose differenze esistenti all'interno dei Paesi membri dell'UE. Il Regolamento sull’overbooking aereo ha inteso invece introdurre regole più chiare (volte a tutelare il turista-consumatore) per casi di negato imbarco, di cancellazione del volo e di ritardo prolungato Le politiche culturali Solo con il Trattato di Maastricht la cultura viene compresa tra gi interessi perseguiti dall’UE, costituendo uno dei parametri obbligatori da valutare ed integrare con le altre politiche. I due principi guida dell’azione comunitaria nel campo della cultura sono il principio di sussidiarietà e il rispetto delle diversità; l’intervento dell’Unione si caratterizza, infatti, per il fatto di essere rivolto allo sviluppo delle varie culture degli Stati membri, attraverso il confronto e la comunicazione e nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali; tutto questo senza intervenire 30 direttamente nelle iniziative intraprese a livello nazionale. Solo se necessario, quindi, l'UE può appoggiare o integrare l'azione degli Stati membri assumendo un ruolo complementare, ma mai prevalente. La politica di coesione economica e sociale Le regioni dell’UE mostrano divari socio-economici rilevanti; è per questo motivo che, in tema di coesione economica e sociale, l’azione dell’UE concorre con quella degli Stati membri per ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite, elaborando opportune politiche e strategie d'intervento. La politica di coesione economica e sociale della Comunità, quindi, mira a realizzare una maggiore integrazione e convergenza fra le regioni europee, svolgendo una funzione redistributiva delle risorse finanziarie ed incidendo direttamente sul rendimento economico dell’Unione nel suo complesso (l’UE ha riservato oltre il 37% dell’intero bilancio comunitario previsto per il periodo 2007-2013) La politica comunitaria di coesione economica e sociale è incentrata sull’utilizzo dei fondi strutturali e del fondo di coesione, strumenti creati e potenziati dalle istituzioni dell’UE via via che la politica regionale acquisiva rilevanza fra le altre politiche comuitarie. I fondi strutturali sono 4: 1) il Fondo di sviluppo regionale 2) il Fondo sociale europeo 3) il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia 4) lo Strumento finanziario di orientamento della pesca Accanto ai fondi strutturali opera il fondo di coesione, che finanzia progetti in materia ambientale e di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture di trasporto. Ne possono beneficiare gli Stati membri più svantaggiati (Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda) il cui PIL per abitante è inferiore al 90% rispetto alla media comunitaria. Ogni tre anni la Commissione europea presenta al Parlamento e al Consiglio una relazione sui progressi compiuti nella realizzazione della coesione economica e sociale e sul modo in cui i vari strumenti dell’Unione europea vi contribuiscono. L’adesione dei dieci nuovi Stati membri rappresenta una sfida importante per la politica di coesione economica e sociale dell'UE. L'allargamento, infatti, ha interessato un gruppo di Stati con reddito inferiore al 40% della media europea e le politiche strutturali europee dovranno concentrarsi su queste regioni. La politica di tutela dei consumatori Già dagli anni ’70, in alcuni Stati europei come la Gran Bretagna, la Francia o la Germania, vi erano numerose disposizioni di vario carattere che individuavano nel consumatore (inteso come il soggetto passivo del sistema di produzione e distribuzione di massa, caratteristico delle economie capitalistiche) una persona particolarmente bisognosa di tutela. Tuttavia, i singoli interventi nazionali erano reciprocamente scoordinati e rispondevano a tradizioni socio-culturali diverse, a programmi e politiche differenti. All’epoca dei primi interventi comunitari in materia, la tesi sostenuta per giustificare l’intervento in materia di tutela del consumatore portava ad enfatizzare più l’aspetto della distorsione della concorrenza, che non l’aspetto sociale della tutela del consumatore. Fu grazie al Trattato di Maastricht, nel 1992, che la politica di protezione dei consumatori non venne più considerata strumentale rispetto alla tutela della concorrenza, ma venne ad assumere invece una propria indipendenza e rilevanza quale obiettivo sociale della nuova Unione europea. 31 Il quarto Piano di azione in materia di politica dei Consumatori, presentato dalla Commissione il 1° dicembre 1998, segna per certi aspetti una parziale inversione di tendenza della politica comunitaria in materia. Nella parole della Commissione sembra potersi cogliere, infatti, un ritorno verso obiettivi, giudicati prioritari o urgenti, di natura più economica che sociale. Con una importante differenza, però: mentre fino a poco tempo fa l'attenzione era rivolta esclusivamente verso l'armonizzazione del diritto interno alla Comunità europea, ora invece si va affermando sempre più nitidamente l'esigenza di armonizzare il diritto comunitario (e dei suoi Stati membri) a quello dei principali rivali commerciali della Comunità. I rapidi sviluppi delle tecniche di commercio elettronico e dell'ingegneria genetica sembrano cioè porre nuove drammatiche sfide all'economia europea, di fronte alle quali gli obiettivi sociali (che avevano cominciato ad affermarsi negli anni ’70, fino ad assumere un ruolo di primo piano nella seconda metà degli anni ’80 e nello scorso decennio) diventano secondari. Nel 2002 è stata presentata la Risoluzione del Consiglio sulla strategia per la politica comunitaria dei consumatori, un documento nel quale risulta ancora più marcato il mutamento di strategia operato dall’UE nel settore della tutela dei consumatori, poiché vi si afferma, apertamente, che l’UE ha tra le sue priorità per gli anni 2002-2006 quelle di: • garantire un livello essenziale di salute e sicurezza, in modo che si acquistino prodotti sicuri e non si corrano rischi dovuti a pratiche di vendita illegali e abusive • accrescere le capacità degli individui di comprendere le politiche che li riguardano e di influenzarne la definizione • stabilire un ambiente coerente e comune in tutta l’Unione, in modo che i cittadini si sentano sicuri quando effettuano acquisti oltre frontiera • garantire l’integrazione degli interessi dei consumatori in tutti gli ambienti politici dell’UE, dell’ambiente e trasporto fino ai servizi finanziari e all’agricoltura La politica economica e monetaria Nel 1992 sono stati concordati 5 criteri per determinare l’idoneità di uno Stato membro (dal punto di vista dell’affidabilità finanziaria) ad adottare la moneta unica. Tali criteri sono noti come i parametri di Maastricht e riguardano: • la stabilità dei prezzi: il tasso di inflazione non deve superare di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri che nell'anno precedente hanno registrato il miglio tasso d'inflazione • il disavanzo pubblico: deve essere inferiore al 3% del PIL • il debito: il suo limite è fissato al 60% del PIL • il tasso di interesse a lungo termine: non deve superare di oltre due punti percentuali quello dei tre Stati membri che l’anno precedente hanno registrato il miglior tasso d’inflazione • la stabilità del tasso di cambio: deve rimanere entro i margini di fluttuazione predefiniti per due anni È cronaca recente il rinnovato dibattito a livello comunitario sulla opportunità di una revisione dei criteri di Maastricht, o perlomeno di un’applicazione più flessibile degli stessi per venire incontro alle difficoltà di adempimento di alcuni Paesi membri (tra i quali Francia e Germania) che stanno attraversando, ormai da alcuni anni, una grave crisi economica. L’aspetto più rilevante, perlomeno in termini simbolici, della raggiunta unione economica e monetaria è stata l’introduzione della moneta unica che ha rilanciato concretamente il processo di integrazione del mercato unico europeo, eliminando i disagi (e soprattutto i costi) dovuti alle operazioni di cambio e permettendo, di conseguenza, un più facile ed intuitivo confronto tra i prezzi dei beni nei diversi Paesi. Le ragioni dell’introduzione dell’Euro, tuttavia, sono ben più importanti: il rilancio dell’integrazione del mercato comune europeo porterà vantaggi a lungo termine per la concorrenza, determinando una maggiore crescita e prosperità e garantendo una situazione di bassa inflazione 32 In coerente attuazione di quanto previsto nel Libro bianco, i compiti affidati all’Autorità consistono sostanzialmente nel fornire pareri ed un’assistenza scientifica e tecnica, che siano realmente indipendenti, in tutti i settori che abbiano un impatto anche potenziale sulla sicurezza alimentare, garantendo altresi' la comunicazione dei rischi al pubblico. Denominazioni d’origine controllata (DOC), denominazione d’origine protetta (DOP), indicazione geografica protetta (IGP), Attestazioni di specificità (AS), Specialità tradizionale garantita (STG), prodotti cd. biologici, ecc.., sono solo alcuni degli strumenti, introdotti con appositi regolamenti, che negli ultimi anni stanno caratterizzando i programmi di sicurezza e di certificazione della provenienza e della qualità dei beni alimentari prodotti in Europa. Tali strumenti, da un lato servono a valorizzare le produzioni locali e nazionali, proteggendole da prodotti similari provenienti da aree di produzione che non offrono le medesime caratteristiche naturali, dall’altro garantiscono al consumatore un’alta qualità del prodotto dal momento che tali marchi assicurano un rigoroso metodo di produzione. La politica dei trasporti e delle reti transeuropee I trasporti costituiscono parte integrante del processo di creazione del mercato unico il quale, come abbiamo già detto, comporta la libera circolazione delle merci, persone, servizi e capitali. I trasporti rappresentano inoltre un’ area complessa che abbraccia più settori (trasporto aereo, marittimo, su strada, reti transeuropee) nell’ambito dei quali le discipline nazionali sono soggette ad un intenso processo di comunitarizzazione per l’effetto dei regolamenti e delle decisioni comunitarie. La politica dei trasporti ha come obiettivi: • l’eliminazione degli ostacoli al mercato unico • l’armonizzazione della disciplina volta ad assicurare l’integrazione delle politiche nazionali dei trasporti • il perseguimento di un sistema di mobilità in grado di garantire una migliore qualità della vita e protezione dell’ambiente Le politiche per la ricerca e per lo sviluppo tecnologico Gli obiettivi della politica di ricerca vengono perseguiti attraverso la realizzazione di azioni comunitarie (cd. programmi quadro per la ricerca), consistenti essenzialmente in programmi di collaborazione tra imprese, centri di ricerca ed organizzazioni internazionali. I Programmi quadro per la ricerca fissano gli obiettivi scientifici e tecnici da raggiungere, le modalità di attuazione degli stessi e le priorità di ricerca. Ciascun Programma quadro ha una durata di 5 anni, e viene adottato dal Consiglio e dal Parlamento attraverso la procedura di codecisione. Per ciò che concerne lo sviluppo tecnologico, la moderna società dell’informazione impone un continuo rinnovamento dei saperi e delle competenze. Sono infatti numerose le applicazioni delle tecnologie della società dell'informazione nei settori delle attività umane, come ad esempio il telelavoro, la telemedicina, i sistemi di assistenza alle persone anziane, la gestione delle attività amministrative attraverso sistemi elettronici, i notevoli benefici nel campo dell’istruzione, ecc… La politica estera di sicurezza comune L’idea che l’UE possa esprimere un’unica voce in merito alle questioni mondiali, risale alle origini del processo d’integrazione. A partire da allora gli obiettivi di una politica estera e di difesa comune sono stati oggetto di numerosi progetti politici, ma le resistenze di molti Stati membri, timorosi di 35 rinunciare a prerogative da sempre considerate di esclusivo interesse nazionale, ne hanno bloccato l'attuazione. • Una prima svolta è stata rappresentata dal rapporto Davignon (1970), il quale segnò l’avvio di un processo di cooperazione politica europea (CPE) di tipo “informale”. • La successiva istituzione del Consiglio europeo (1974) contribui’ a migliorarne il funzionamento. • Nel 1986 la CPE venne formalizzata dall’Atto unico europeo: gli Stati membri assunsero l’impegno di consultarsi su ogni problema di politica estera che presentasse un interesse generale, per cercare di giungere alla definizione di obiettivi e di principi comuni. Ogni decisione andava presa all’unanumità. • L’approvazione del Trattato di Maastricht sull’UE (1992) pose l’obiettivo dell'affermazione dell’identità europea sulla scena internazionale, da perseguire “mediante l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune e la definizione progressiva di una politica di difesa comune”. La Politica estera e di sicurezza comune (PESC), come abbiamo visto, da vita al secondo dei tre pilastri che compongono la struttura dell’Unione europea. Si tratta di un pilastro, le cui procedure di funzionamento, di natura intergovernativa, si differenziano sostanzialmente da quelle in ambito comunitario. • Le disposizione sulla PESC sono state poi rafforzate dal Trattato di Amsterdam (1997) e da quello di Nizza (2001). Relativamente al primo Trattato, va ricordata, in particolare, l’istituzione dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, funzione spettante al Segretario Generale del Consiglio, creata per rispondere all’esigenza di identificare un soggetto rappresentativo della PESC in grado di rappresentare con maggiore visibilità e chiarezza l’Unione nella scena internazionale. L’art. 11 del Trattato UE definisce i 5 principali obiettivi della PESC: 1. la difesa dei valori comuni e degli interessi fondamentali dell'Unione 2. il rafforzamento della sicurezza dell’Unione 3. il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale 4. la promozione della cooperazione internazionale 5. il rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto, nonché il rispetto dei diritti dell’uomo Gli scenari geopolitici internazionali degli ultimi 5 anni sono stati caratterizzati da un intenso dinamismo (terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa, conflitti regionali, criminalità organizzata), che rende opportuno definire in maniera chiara i principi e gli obiettivi che l’Unione intende perseguire nelle relazioni mondiali. Queste premesse motivano le novità riguardanti la PESC contenute nella nuova Costituzione europea, novità che, peraltro, non scalfiscono la prerogativa della PESC di essere una politica basata su meccanismi principalmente intergovernativi e come tale diversa da quelli del modello comunitario. La novità principale riguarda la previsione di un ministro degli Affari esteri dell’Unione (vedi pag. 8) cui spetta guidare la politica estera e di sicurezza comune. Il ministro è una figura particolare, in quanto svolge sia le funzioni di Alto rappresentate per la PESC, sia quella di vicepresidente della Commissione. L’unione di queste funzioni dovrebbe conferire maggior efficacia al suo operato e consentire un efficace coordinamento. Le politiche di cooperazione con i Paesi terzi e di aiuto umanitario L’UE è il principale partner dei Paesi in via di sviluppo, e garantisce loro il 55% dell’assistenza internazionale ufficiale. Attraverso accordi di cooperazione, economica e commerciale, con numerosi paesi o associazioni regionali del Mediterraneo, dell’America latina, dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, l’Unione 36 persegue l’obiettivo di medio-lungo periodo volto alla creazione di aree di libero scambio che permettano una maggiore stabilità dei flussi economici, cercando cosi’ di integrare i Paesi in via di sviluppo nel sistema economico internazionale. Anche il ruolo umanitario dell’Unione si è notevolmente sviluppato nell’ultimo decennio, ed attualmente costituisce un importante aspetto della politica estera europea. L’intervento ed il coordinamento nel campo umanitario viene organizzato dall’ufficio umanitario della Comunità europea (ECHO), che ha il compito di fornire un’efficace e tempestiva assistenza alle vittime delle calamità naturali e dei conflitti armati. L’ECHO è il più grande donatore di aiuti umanitari a livello internazionale; la sua attività di intervento e di assistenza viene supportata dalla collaborazione di numerosi partner strategici (come le agenzie della Nazioni Unite, le oltre 170 organizzazioni non governative che operano nel settore, ecc...). L’ECHO, inoltre, promuove e coordina le misure di prevenzione delle catastrofi, contribuendo alla formazione di esperti in materia. Infine, l’ECHO finanzia programmi di sminamento e sostiene campagne informative e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica con la finalità di accrescere la comprensione dei problemi umanitari. È importante ricordare che l'ECHO, nella sua attività, tende a ridurre la vulnerabilità e ad incoraggiare l'autosufficienza delle popolazioni che ricevono un aiuto umanitario, in modo da evitare che ne diventano dipendenti. 37
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