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Introduzione all'archeologia B. Bandinelli, riassunto, Sintesi del corso di Archeologia

Riassunto del libro di Bandinelli per il corso di Archeologia romana

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Scarica Introduzione all'archeologia B. Bandinelli, riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! INTRODUZIONE ALL’ARCHEOLOGIA PREFAZIONE: L’ARCHEOLOGIA COME SCIENZA STORICA Si tracciano gli aspetti, le fasi che la disciplina dell’archeologia ha percorso per arrivare a meglio comprendere cosa possa rappresentare oggi nel nostro contesto e cultura. non più considerandola come Wilamowitz, maestro filologico, che essa ha come scopo “la contemplazione pura e felice dell’arte antica con in più la soddisfazione che essa sia accessibile a pochissimi”, visione edonistica e escluvistica, ma occorre tenerla presente per degli aspetti della cultura moderna di un momento conservatore. “Archaiologia”: la troviamo nei maestri antichi con il significato di discorso e indagine sulle cose del passato. Nell’opera di Tucidide con questo nome troviamo un esempio di deduzione storica da un lato archeologico: sostiene che Fenici e Cari fossero pirati che abitavano la maggior parte delle isole dell’Egeo, e la prova la vede nel fatto che, quando gli Atenesi purificarono Delo e ne tolsero le tombe, la maggior parte dei cadaveri erano Cari (riconosciuti per l’armatura sepolta). Questa unità di ricerca storica si frantuma quando il concetto di “archeologia” si applicò allo studio di antichità in sé e per sé, avulsa dal contesto storico. Abbassando le antichità a mero oggetto di curiosità e limitando il concetto alle “antichità classiche”, greca e romana. questa ricerca minuta e priva di metodo degenerò in dispute accademiche nell’Europa della Riforma e dell’età barocca specialmente in Italia. Sussistono ancora oggi i continuatori di quell’archeologia antiquaria settecentesca di Winckelmann, il quale con la sua opera “Storia delle arti del disegno presso gli Antichi”, 1764, doveva costituire l’atto di nascita dell’archeologia moderna. Ma il pensiero di Winckelmann venne frainteso nel suo lato più vitale. La sua grande innovazione nel campo dell’antiquaria fu data dal passaggio da un’erudizione fine a se stessa a una prima ricerca e distinzione cronologica della fasi dell’arte antica classica (quindi cessò di essere un tutto intero senza differenze) e la ricerca di supposte leggi che presiedessero al raggiungimento della Bellezza assoluta nell’arte. Si introdussero in questi studi due esigenze di ricerca: storica e di definizione estetica. Fu la seconda a prevalere per oltre un secolo. I precetti winckelmanniani e la loro autorità non mutarono neanche quando fu chiaro che la scultura antica, dalla quale essi erano stati desunti, non era vera scultura greca. Fu così che si continuò a studiare la scultura e l’arte greca attraverso le copie romane. ARCHEOLOGIA FILOLOGICA: l’archeologia venne intesa essenzialmente quale storia dell’arte greca sulla base delle fonti letterarie, figlia diretta della filologia. Lo scavo archeologico era per lo più inteso come recupero di pezzi da collezione. Questa archeologia di derivazione winckelmanniana fu superata da due fattori: 1. Lo storicismo, ultimi due decenni dell’Ottocento. Fece la sua prima apparizione, anche se nel suo aspetto idealistico, negli scritti del maggior esponente della “scuola viennese”, Alois Riegl, “Industria artistica tardoromana” 1901, nel quale andò contro al pensiero comune degli altri studiosi secondo cui l’arte successiva all’età degli Antonini (dopo anni 80 del II secolo d.C.), andasse considerata come fenomeno di decadenza, e dimostrò invece come essa andasse considerata quale espressione di un diverso “gusto”, e che doveva essere valutata per sé e non secondo i pregiudizi winckelmanniani. La scuola viennese era giunta a queste conclusioni non tanto per un approfondimento metodologico, ma per l’influenza dei pittori loro contemporanei “impressionisti”. Tra le nuovi correnti dello storicismo si vide chiaramente, con Max Weber, che la storia è opera degli uomini, e quindi ci si sforzò di ricondurre la ricerca storica a ciò che appariva concreto processo e concretamento di fatti. La crisi dell’arte antica è vista ora inserita nella generale crisi sociale, economica e politica che condusse il mondo antico verso la società medievale e che ne spostò il centro propulsivo dal Mediterraneo all’Europa. Nell’ultimo quarto di secolo, liberatasi dall’ipoteca neoclassica, l’arte greca non appare più come modello fisso, ma è stata storicizzata. Intanto è stato affrontato su basi nuove il problema dell’arte romana. La storicizzazione della ricerca artistica aveva aperto la via alla comprensione delle civiltà estranee al mondo classico (mesopotamica, egiziana, iranica). Alla dissoluzione dell’organizzazione imperiale romana, i popoli sottomessi infatti, sorsero ad autonomia con espressioni culturali e artistiche proprie. La ricerca storico-artistica, se rettamente condotta quale interpretazione del fatto sociale, può avere un alto valore di indagine storica. L’arte figurativa non compie mai salti improvvisi. Vi è sempre un tessuto connettivo che prepara e unisce le esperienze. Il fenomeno artistico così avrà un valore di documento sociale e storico di inaudita sincerità. È stato necessario e lo è ancora, superare il pregiudizio della critica idealistica, che sosteneva l’assoluta autonomia dell’opera d’arte così che anche la storia dell’arte rientri a pieno titolo nelle scienze storiche. L’archeologia non è più, come lo era nella scia winckelmanniana, soltanto storia dell’arte. Anzi, la storia dell’arte è il suo aspetto non primario, che tende a inserirsi come particolare momento entro un più ampio quadro storico. 2. L’accresciuto importanza, nel campo dello scavo, dell’indagine preistorica. L’archeologia deve agli studiosi di preistoria e di protostoria di aver rinnovato e approfondito il proprio metodo e finalità. Ben sapendo che lo scavo archeologico distrugge una documentazione accumulatasi nei millenni, essa dev’essere rilevata con estrema esattezza. Ogni scavo clandestino è deprecabile non tanto perché sottrae alla collettività oggetti più o meno preziosi, ma soprattutto perché distrugge una documentazione. L’archeologia preistorica ha insegnato che non esistono doppioni superflui; ma ci ha confermato che non vi sono pezzi unici. La produzione di manufatti ha una continuità e una produzione che si susseguono nei secoli e che si interrompono solo per cause esteriori di estrema gravità. Si è andato perfezionando lo scavo stratigrafico con l’esatta osservazione delle varie successioni e lo studio di reperti ceramici (studiando la forma, resa evidente dalle sezioni grafiche, si può risalire alla sua produzione, la diffusione mercantile, risalire a situazioni socio-economiche). Accanto allo scavo si sono associate tecniche scientifiche, quali rilevazioni cronologiche mediante rilevamento del radiocarbonio C/14 residuato nei materiali organici; depositi di polline nei bacini lacustri; sondaggi elettrici e prospezioni magnetometriche; fotografia aerea. (grazie a tutto ciò si sono avuti enormi risultati in Anatolia, facendo sì che la storia della civiltà umana si dilatasse di alcuni millenni). La data storica più remota attraverso dati epigrafici e astronomici è quella della fondazione della I dinastia d’Egitto attorno al 3100 a.C. Dalle liste sumere non si risale oltre al 2400 a.C. Oggi invece si può risalire alle prime fasi dell’associazione umana in comuità stabili e datarle, con le indicazioni al radiocarbonio C/14 tra l’8000 e il 7000 a.C. Tra i vari insediamenti apparsi, il più importante, centro di irridiazione culturali attraverso larghi contatti di scambio, è quello del Catal-Huyuk in Anatolia, nella pianura Konya, la cui vita si è potuta seguire attraverso 13 strati archeologici di un periodo di 3000 anni, dal 7000 al 5700 a.C. è stata posta in luce una città di 12 ettari alle cui case rettangolari in mattoni crudi sorretti da intelaiature in legno, si accedeva dall’alto mediante scale in legno non fisse. Si sono rilevati tra oggetti di uso quotidiano, anche pitture all’interno delle case sulle pareti e nei livelli più recenti (VI millennio), immagini d’argilla con dea madre accompagnata a figlio metà animale, toro o ariete. Nei secelli di culto (dal V al III millennio) pitture con combattimenti di animali e cacce, corse e danze e una impressionante scena di morte. Si è potuta constatare quindi la presenza di una civiltà complessa e avanzata per cui è stato nel Vicino Oriente che si è svolta quella che viene chiamata “rivoluzione neolitica”. Cioè un profondo mutamento nelle strutture della società primitiva a seguito della scoperta di nuovi metodi di produzione. Questa rivoluzione si compì tra l’altopiano anatolico e i deserti dell’Asia centrale, tra Caucaso e Palestina, perché solo in questa zona vi corrente di gusto, il gusto neoclassico. Inoltre il suo stile di scrittore era notevole. Il concetto estetico rappresenta anche un limite poiché sull’arte non vi si costruisce una storia, ma si crea un mito. Con l’inizio dell’800 si hanno le prime campagne di scavo; tale FASE MILITANTE dell’archeologia culminerà dopo il 1870. Intanto si sviluppa la fase FILOLOGICA dell’archeologia. La parola d’ordine era di raccogliere materiale da costruzione per un futuro edificio storico. Lo spirito informatore della storia dell’arte greca e romana rimase immutato fino al ‘900. Questo avvenne perché il giudizio di Winckelmann coincideva coi giudizi trasmessici dalle fonti letterarie antiche. Ma le fonti classiche (Plinio e Pausania) sono tarde e si riconnettono a tutta una serie di scritti retorici del tardo ellenismo (dal 150 a.C.), quando nella Grecia, in declinio economico, si era formato un ceto medio e una media cultura conservatrice e rivolta al passato, dove il gusto per l’arte del passato si riconnette anche con l’antica indipendenza (precedenti di Alessandro V-IV secolo). Sorge una corrente neoattica, per la quale di tutta la scultura dell’ellenismo non si teneva conto, infatti questi autori che Plinio e Pausania leggono non parlano mai dell’arte a loro contemporanea. Per questo per Winckelmann il periodo aureo è quello di Fidia, di cui in realtà non si conosceva nulla. Fondamentale equivoco quello che l’arte greca sia un’arte essenzialmente volta all’idealizzazione del vero, mentre invece è rivolta alla ricerca sostanziale di realismo. Essa è l’unica che abbandona la ripetizione di schemi figurativi fissi e simbolici, che inventa lo scorcio e la prospettiva e il colore locale. Si pone precocemente sulla via del naturalismo per realizzarlo pienamente in età ellenistica. A questo schema si oppose l’affiorante coscienza storicistica; ma esso non è ancora del tutto cancellato. Il primo ad avvertire Winckelmann del suo errore fu Federico Schlegel a fine ‘700 che parla di misticismo estetico poiché egli ha veduto l’arte greca attraverso un processo di idealizzazione dell’arte stessa, quasi volta a creare, con dei modelli un’astratta perfezione, analogo al mondo delle idee di Platone. Tutte le altre arti che si differenziano da quella ideale, sono considerate o una preparazione per arrivare a tale ideale o una manifestazione di decadenza. Schlegel sostiene che quest’unica idea di Winckelmann sia stata seguita, mentre si trascurò la sua esigenza che la storia dell’arte dovesse approfondire il concetto essenziale dell’arte stessa. Le conseguenze culturali della teoria dell’arte greca come bellezza formale assoluta, mancanza di pathos, prevalere della forma scultorea su quella pittorica, sono molto tipiche. Quando LORD ELGIN staccò i marmi dal Partenone, gli archeologi negarono che potessero essere di Fidia. Furono gli artisti, e in particolare Canova che, pur essendo permeato da idee neoclassiche, capì di trovarsi di fronte a capolavori degni del nome di Fidia (1819). I marmi furono acquistati dal Museo Britannico a Londra. Nel 1877-82 il governo tedesco fece condurre scavi a Olimpia dove emerse un grosso complesso di sculture che delusero gli archeologi, che li giudicarono opere di una scuola secondaria. Si criticò il soggetto nella figura dello stalliere seduto che si tocca un piede con la mano (troppo realistico e volgare). I due episodi dimostrano che l’immagine della critica archeologica si era fatta dell’arte greca, non corrispondeva alla realtà. Restano innegabili i meriti di Winckelmann che può considerarsi il padre dell’archeologia come storia dell’arte. Egli fu Conservatore delle Antichità in Roma. Nel suo epistolario egli mostra la sua sorda lotta, contro ogni manifestazione di ingegno e progresso veniva condotta contro di lui dagli “antiquari” romani. La prima opera fondamentale di Winckelmann Geshichte der Kunst der Alterthums fu pubblicata a Dresda nel 1763, “Storia delle arti del disegno presso gli antichi fu pubblicato a Roma nel 1783. Il primo libro parla delle origini dele arti e le loro differenze presso vari luoghi, nota che l’idea generali delle arti del disegno ha origine simile presso i diversi popoli (stile arcaico). Poi cerca di spiegare l’influenza del clima sulla figura e spirito umano per spiegare l’eccezionale capacità dei Greci. Nel secondo dedica a Egizi Fenici e Persiani. Nel terzo Etruschi, considerando la loro più arcaica e primitiva di quella greca. Nel quarto l’arte del disegno presso i Greci e il Bello, nel quinto il Bello nelle varie figure dell’arte greca. Nel sesto il panneggio, con studio formale e antiquario. Il settimo ha la parte tecnica, scultura e pittura. L’ottavo offre una sintesi dei progressi della decadenza dell’arte presso i Greci e i Romani, analizzando “stile arcaico”, “stile sublime” e della decadenza. Vi è poi traccia della storia dell’arte presso i Greci fino a Alessandro il Macedone, poi quella da Alessandro fino al dominio romano, poi presso i Romani dalla Repubblica fino all’intero decadimento. Si parla sempre di arte greca e non romana, solo con WICKHOFF nel 1895 si inizia a parlare di arte romana. Nella descrizione dell’Apollo del Belvedere Winckelmann traspone i valori formali dell’opera in valori letterari corrispondenti. “il più sublime tra le opere […] statua puramente ideale […] sollevasi sopra l’umana natura […]. Una primavera eterna […] spande sulle virili forme d’una età perfetta i tratti della piacevole gioventù, e sembra che una tenera morbidezza scherzi sull’altera struttura delle sue membra. […] riempire l’alma tua coll’idea del bello sovraumano, poiché in quella figura nulla v’è di mortale, nessun indizio si scorge dei bisogni dell’umanità! […] né tendini, né vene, che il corpo muovano o riscaldino, ma uno spirito celeste, simile a un fiume placidissimo, tutti abbiano formati gli ondeggianti contorni. […] mirando questo prodigio dell’arte, tutte le altre opere ne oblio, e sovra me stesso mi sollevo per degnamente contemplarlo.” Non è questo il modo di accostarsi storicamente a un’opera d’arte. 2-3 punti: - Riecheggiamento della teoria della linea ondulata che consisteva nel riconoscere la bellezza nella linea mossa. - Quasi un anticipo della tendenza pragmatista di fine ‘800 (Berenson) di considerare l’opera d’arte come un tonico. III. L’ARCHEOLOGIA FILOLOGICA La filologia si afferma in Germania e divide in due grandi rami: grammatica comparata e critica dei testi. Fu il secondo che indirizzò l’archeologia. È la scuola filologica a scoprire che le sculture che si credevano greche erano spesso copie romane. Fra i primi studiosi del periodo furono OVERBACK, FRIEDERICHS, BRUNN. Dal 1830 l’archeologia diviene una scienza diretta essenzialmente dalle scuole di studiosi tedeschi. La Germania vide in se stessa l’erede della civiltà greca. Lo studio delle antichità greche fu quindi favorito dal governo prussiano. Friedrichs identificò in una serie di copie il Doriforo di Policleto, il canone della formazione classica; il Brunn tracciò, basandosi su fonti letterarie, la prima vera storia dell’arte greca (“Storia degli artisti greci”). Overback raccolse e classificò il materiale iconografico-mitologico formando una raccolta indispensabile nonostante le lacune. Ci si volge con metodo critico allo studio dei testi antichi e ne si traggono notizie. Deriva da qui l’ipotesi che forma il nucleo delle ricerche: da una parte copie romane di sculture greche; dall’altra una serie di menzioni di opere descritte da fonti antiche. Il problema che si pone è di identificare le une nelle altre, mettendo d’accordo monumenti e fonti. L’ultimo e più grande rappresentante della scuola fu Adolf FURTWAENGLER. La prima identificazione fu quella dell’APOXYOMENOS di LISIPPO in una copia in marmo, resa più facile dall’atto della figura di pulirsi con lo strigile. Essa costituisce in certo modo un caso isolato, perché non ne sono state trovate altre repliche, mentre l’indizio di un’opera famosa è dato dal fatto di trovarne numerose copie. Le statue in bronzo potevano essere copiate in marmo e rimanevano delle tracce della tecnica diversa usata. Ad esempio l’incisività dei capelli, i puntelli (che fu un primo esteriore criterio di classificazione). Identificazione importante fu quella del DORIFORO DI POLICLETO partendo da una replica. Esso era stata la creazione che risolse il problema centrale dell’arte greca, nel passaggio tra età arcaica e classica. Figura virile nuda e stante non impegnata in un’azione precisa ma tale da avere la possibilità di muoversi. Il kouros e la kore può essere dedicato come ex voto, eretto sopra la tomba, senza alcun rapporto con la divinità o la persona. Lo stesso può essere usato come immagine della divinità aggiungendo attributi in mano. Esse sono immagini astratte. Tra il VI e V il problema fu di darke la possibilità di movimento con un sistema equilibrato di proporzioni. Trova la sua soluzione con Plicleto, da lui stesso illustrato col titolo “canone”, regolo. Ancora in età romana, Augusto di Prima Porta di Villa di Livia non è altro che il Doriforo. Esso fu molto importante per conoscere la norma greca. Fu dovuta a Friedrichs che ne identificò una copia a Napoli. Egli notò che di questo tipo di statua atletica ve ne sono moltissime copie (perciò famosa), fra le quali una in bronzo della testa firmata da Apollonios. Attraverso lo studio della capigliatura giunse al convincimento che l’originale fosse in bronzo. L’opera rileva che l’artista cercava l’equilibrio delle varie parti della figura (chiasma). Egli trova una corrispondenza tra questo equilibrio e le fonti rispetto a Lisippo che perfezionò il tema. Qui vi è ancora però una forma più arcaica. Si risale quindi al IV-V secolo che concorda con le fonti di Policleto. Doriforo: portatore di lancia (lancia in mano). Si finì per studiare più copie di età romana che gli originali che venivano messi in luce. Questa tendenza trovò la massima espressione appunto in Furtwaengler il quale identificò molte opere, alcune ancora non accettate (es. Athena Lemnia di Fidia). Una visione però fredda e accademica, neoclassica. Questo metodo è servito per ricostruzioni delle tarde fonti letterarie, ma esso ha avuto due effetti: 1. Trascurare gli originali dell’arte greca 2. Perdere di vista lo studio della qualità artistica dell’opera d’arte a profitto dell’iconografia artistica. La ricerca filologica costituì una prima base di chiarimento e di ordinamento del materiale monumentale superstite. Ma attraverso lo studio di copie si può stabilire l’iconografia dell’originale greco, ma non il linguaggio formale degli artisti. Anche la PITTURA cadde in questo equivocò e si pretese di ricostruire la pittura classica per mezzo della pittura romana solitamente detta “pompeiana”. Si basò inoltre su alcuni criteri che poi sono apparsi fallaci. Per esempio il concetto che nella pittura greca non potessero esserci paesaggi e sfondi. Quindi laddove si aprivano sfondi di paesaggi doveva esserci un’interpolazione romana. (la pittura di paesaggio è in realtà una conquista ellenistica). La critica filologica accettò come elemento critico quello che risultava dalle fonti antiche, come Winckelmann. Come reazione a questo errore si manifestò, nel XX, la tendenza a trascurare la tradizione delle fonti antiche e a considerare la pittura pompeiana unicamente come pittura romana. IV. LE FONTI LETTERARIE Le fonti sono dirette e indirette. Le dirette sono di scrittori che si sono occupati di cose d’arte; quelle indirette, opere in cui incidentalmente è contenuta la menzione di un’opera o notizie sull’artista o espressi giudizi. Molte fonti sono state raccolte da OVERBACK nel 1868 e pubblicate in un volume che ancora serve. È una raccolta dei passi tratti da letteratura greca e latina nei quali si trova un accenno a opere d’arte. Esso segue essenzialmente lo spoglio di Brunn. Bisogna usarlo comunque con cautela risalendo sempre al testo originale. Dobbiamo inoltre tener presente sempre che il giudizio critico deve essere nostro, raggiunto attraverso un’analisi formale dell’opera d’arte. Questo giudizio critico deve farsi storico mediante la ricostruzione dei processi di produzione di un’opera d’arte, nella quale entrano e assumono valoro elementi della realtà storica del tempo. V. Con Furtwaengler si aveva ancora l’ultima espressione tipica dell’archeologia filologica. Diverso è il problema tra l’800 e 900. Prima si cercò di individuare i grandi artisti, ma le opere originali erano pochissime. Moltissime invece le opere trovate negli scavi delle quali non si aveva notizia nelle fonti. È passata in secondo piano quindi la ricerca erudita delle personalità quanto più delle scuole. Conosciamo largamente il tessuto connettivo che univa le personalità. La civiltà artistica greca ebbe un carattere di altissimo artigianato. Dopo la prima guerra mondiale, lo studio della storia dell’arte antica entrò in una
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