Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Introduzione all'archeologia Bandinelli, Sintesi del corso di Archeologia

riassunto testo Introduzione all'archeologia

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 16/02/2021

azzurra-scarselli
azzurra-scarselli 🇮🇹

4.5

(26)

9 documenti

1 / 25

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Introduzione all'archeologia Bandinelli e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! CAPITOLO I: PREMESSA L’archeologia per molto tempo non è esistita come disciplina autonoma, né come parola corrente: è infatti di un termine che ritroviamo nelle fonti antiche, ma con un significato generico di “notizie sui tempi antichi”. Si tratta di una disciplina che, specialmente tra 800 e 900, ha mutato volto   Archeologia ottocentesca filologica (fino alle Pgm)  Archeologia storico-artistica  Archeologia storica (dalla fine della Sgm) Se in un primo momento si guardava soprattutto alle antichità greche e romane (si parla di archeologia “classica” o, in alcuni paesi “winckelmanniana”), oggi l’archeologia è intesa in senso più ampio e generale. Nel Rinascimento si ebbe una ricerca appassionata del mondo antico: i maggiori artisti si recarono a Roma per studiare e misurare i monumenti antichi di architettura. Pur non essendo tale pratica vera e propria archeologia, ne costituisce comunque di un punto di partenza. Tale ricerca era volta alla conoscenza di quell’arte antica considerata un esempio da raggiungere e nel quale riconoscere se stessi (un ricerca dal valore attuale, non storico). Nello stesso periodo sorge il gusto per le raccolte di oggetti antichi e uno studio antiquario inteso come studio degli usi, dei costumi e della mitografia con il duplice scopo di interpretare i monumenti figurati e di ricostruire gli usi e i costumi degli antichi. Praticati soprattutto come sfoggio erudito, tali studi finirono col cadere nel ridicolo. In epoca moderna gli studi “di antichità” furono fondati soprattutto sull’epigrafia e tramite essa sulla ricostruzione delle norme e delle leggi che regolavano la vita civile e religiosa. Questi studi andarono distinguendosi nettamente dall’archeologia, la quale si rivolse sempre più esclusivamente al fatto artistico. Nella prima metà del 700 molti si danno agli studi di “antiquaria”, favoriti di mecenati ecclesiastici che amavano raccogliere oggetti di scavo. In questo momento l’opera d’arte antica è considerata essenzialmente come documento. Gli antiquari persero velocemente di vista il loro scopo, finendo per cercare nei monumenti soprattutto una conferma a determinate ipotesi da sfruttare per dispute puramente accademiche. Il classicismo di fine 700/inizio 800 segna l’inizio dell’archeologia: fu in questo tempo che si posero le prime basi per una conoscenza storica dell’antichità. CAPITOLO II : WINCKELMANN Lo studio delle antichità greco-romane discende dunque dalla ricerca antiquaria; se ne distacca, invece, l’archeologia dell’arte, la quale studia i 1 monumenti come opere d’arte in se stesse e come documenti di civiltà e cultura. In questo senso, la nascita dell’archeologia è attribuita a Johann Joachim Winckelmann, il quale cercò di costruire per la prima volta una vera storia dell’arte che intitolò Storia delle arti del disegno presso gli antichi (1763). Il merito dello studioso è quello di aver trasportato lo studio dell’arte antica dalla mera erudizione e dalla disputa accademica in un campo più vasto, verso concetti generali che fossero di guida alla ricostruzione del tessuto cronologico dell’arte antica e alla comprensione dell’opera in se stessa. Winckelmann scriveva di cercare di scoprire l’essenza dell’arte: il suo fine era di individuare le supposte leggi che regolano la perfezione di un’opera d’arte e ne fanno un esempio di bellezza, ovvero quello di ricercare un’estetica assoluta, basata sulla supposta perfezione assoluta delle opere antiche. Riconoscere, attraverso i dati esteriori, indizi cronologici diviene essenziale sia perché l’archeologia è strumento necessario dell’indagine storica, sia perché non se ne può fare a meno per dare un corretto giudizio storico circa un’opera d’arte: la comprensione di un’opera ha dunque inizio proprio con la fissazione della cronologia. Al tempo di Winckelmann il mondo dell’arte antica appariva come un blocco unico senza prospettiva storica, occorreva dunque trovare un criterio per stabilire una cronologia. Le fonti antiche, specialmente Plinio, riferivano la cronologia dei maggiori artisti, ma era necessario un vero e proprio criterio per identificare le opere di questi ultimi con attribuzioni più specifiche. Il tutto era reso ancora più complicato dal fatto che la maggior parte della statue trovate a Roma non erano originali greci, ma copie di età romana (cosa che Winckelmann ancora non sapeva). Non era ancora sorto il principio in base al quale si poteva far ricorso ad un criterio di analisi stilistica per fondare una cronologia, ma sorse partendo dai criteri di Winckelmann. Quest’ultimo adottò per primo il criterio stilistico soffermandosi quindi sull’indagine formale delle opere d’arte. Distinse quattro grandi divisioni : stile antico, stile sublime (V-IV sec. a.C), stile bello (fino alla seconda metà del IV sec. a.C) e periodo della decadenza (fino all’età imperiale romana). Oltre alla divisione in quattro periodi dell’arte antica, W. non trascurò il criterio di ricerca e coordinare le notizie sulle opere tratte dalle fonti letterarie. Elemento più nuovo ed importante del suo lavoro fu, tuttavia, quello di stabilire il principio per cui allo studioso deve importare di capire l’intima essenza dell’opera d’arte: non solo si poneva un criterio estetico di selezione, ma anche un fine della acquisizione di un’estetica. La sua opera contribuì a determinare una corrente del gusto, quello neoclassico, che ha tra i propri fondamentali punti di partenza il Winckelmann. 2 plasticità. Tale ricerca, durata per tre generazioni, trova la sua soluzione con Policleto. Tale identificazione si deve a Friederichs (1863), il quale notò che di tale tipologia di statua esistevano numerose repliche, dunque doveva trattarsi di una statua famosa. Attraverso l’analisi della capigliatura lo studioso giunse al convincimento che l’originale doveva essere in bronzo e studiando la composizione della figura si rese conto che l’artista cercava l’equilibrio delle varie parti. Tramite lo studio di questi elementi Friederichs trovò una rispondenza tra questo equilibrio e quello descritto dalle fonti rispetto a Lisippo. Tuttavia, qui si notava una forma ancora dotata di alcune tracce di arcaismo, dunque non poteva trattarsi di Lisippo. Si risale dunque dal IV al V secolo, il che concorda con l’epoca in cui le fonti pongono Policleto. Ulteriore identificazione importante fu quella dell’Augusto di Prima Porta. Procedendo con un sistema analogo a quello di Friederichs altri studiosi cercarono di identificare numerose copie con gli originali descritti dalle fonti. Nel corso dell’800 ci si impegnò talmente tanto in tal senso che le copie di età romana finirono per essere studiate più degli originali stessi. La visione dell’arte greca rimase sfasata a causa del persistere del misticismo estetico di Winckelmann e l’archeologia divenne spesso disputa accademica fine a se stessa. La tendenza a costruire una storia dell’arte greca basata sulle copie trovò la sua massima espressione con Furtwaengler. Principale rischio di tale impostazione degli studi consisteva nel fatto che si andava trascurando eccessivamente gli originali anche là dove essi esistevano e si perpetuava una visione fredda ed accademica (neoclassica) dell’arte greca. Tale impostazione del problema dell’arte greca è detta filologica perché, come per un testo antico si cerca, tramite l’analisi critica, di stabilire la versione migliore, più prossima all’originale, così attraverso le varie copie di età romana si cercò di ricostruire il “testo” originale delle opere greche. Da tale metodo si sono avuti due effetti: il concentrare la ricerca su questo problema a tal punto da trascurare gli originali e il perdere di vista lo studio della qualità artistica dell’opera d’arte a profitto della iconografia artistica. In molti casi le attribuzioni operate in questo periodo sono rimaste definitive (come ad es. alcuni lavori di Brunn), in altri, invece, sono state messe in dubbio, contribuendo a far scadere la fiducia verso questo tipo di ricerca combinatoria e attribuzionistica (es. vicenda dell’Eirene e Ploutos di Kephisodotos qui spiegone di tre pagine su che cazzo è successo a sta statua secondo me non necessario p.39-42). Nonostante tutto, è innegabile che la ricerca filologica abbia costituito una prima base di chiarimento e di ordinamento del materiale monumentale superstite e che abbia, dunque, alcuni meriti e valori. Tuttavia, essa scadde quando divenne mero gioco attribuzionistico con fini di carriera accademica più che di concreta ricerca storica e quando procedette in modo privo di comprensione per il linguaggio artistico vero e proprio (e cioè per i valori 5 formali). Difatti, questo tipo di ricerca non permette di studiare quello che è il linguaggio formale dei singoli artisti. Così come è accaduto per la statuaria, anche con la pittura antica si cadde nell’equivoco di pretendere di ricostruire la pittura classica andata perduta per mezzo della pittura di età romana (“pompeiana”). Se nel caso della filologia letteraria è difficile stabilire dei criteri di veridicità del testo, ciò è altrettanto complesso nel campo della pittura se prima non si è stati in grado di approfondire quali siano stati i grandi problemi formali dal VII secolo e soprattutto dalla metà del V alla metà del III a.C. Quando venne compiuto questo lavoro di esegesi artistica per la pittura antica, ci si basò su alcuni criteri, in seguito apparsi fallaci (ad es. supponendo che nella pittura greca non potessero esserci sfondi paesistici). Tali errori sono da attribuirsi al fatto che le fonti, come Plinio, ci hanno trasmesso un’immagine dell’arte greca fissata su canoni estetici che sono veri soltanto in parte, poiché ci danno conoscenza di un periodo limitato e di un punto di vista determinato. Il problema della critica filologica è stato, in questo senso, accettare come elemento di giudizio quello che risultava dalle fonti antiche, come esso era già stato accettato da Winckelmann per la coincidenza tra il suo gusto neoclassico e quello delle fonti antiche che sono prevalentemente d’indirizzo classicista. Come reazione a questo errore di impostazione critica nel secondo quarto del XX secolo si manifestò la tendenza a trascurare la tradizione delle fonti antiche e a guardare direttamente alla pittura pompeiana, iniziando a considerarla unicamente come “pittura romana”. Tra i fondatori della scuola filologica dell’archeologia ricordiamo Brunn (Storia degli artisti greci dove si proponeva di raccogliere e coordinare notizie ed opere artista per artista; intendeva accentuare l’apporto delle singole personalità artistiche nella loro originalità creativa). Con Furtwaengler il metodo di ricostruzione di originali tramite copie fu portato al massimo successo. Oltre alle copie c’era però da tener conto di una varietà di imitazioni con varianti; un esempio su tutti è quello del già citato Augusto di Prima Porta, il quale altro non è che una variante travestita del Doriforo di Policleto. Non ci si curò mai di utilizzare queste copie e varianti per studiare il gusto di età romana, dell’età cioè alla quale queste copie appartengono. Furtwaengler riunì le sue principali indagini e ricerche in Capolavori della scultura greca (1893) e, è singolare, notare come tale opera, nonostante il titolo, non tratti che di copie di età romana. Altre opere da ricordare del F. sono il trattato di glittica uao chissà quanto scopava questo Die antiken gemmen e lo studio sulla ceramica greca Griechische Vasenmalerei, una raccolta di grandi tavole con il disegno dei vasi dipinti più belli, riprodotti a grandezza originale. Gli studi esclusivamente rivolti a copie romane e copie moderne della pittura vascolare hanno contribuito a perpetuare troppo a lungo una visione falsata dell’arte greca che contribuì ad allontanare dalla nostra sensibilità moderna e della nostra cultura la conoscenza di essa nei suoi valori essenziali. 6 Winckelmann e i suoi contemporanei avevano instaurato una relazione precisa con l’arte greca, la quale per loro era culmine della perfezione: essi avevano con l’arte greca un rapporto vivo. Noi, diversamente, non abbiamo più una relazione viva, siamo disposti a riconoscere alcune opere come sommi capolavori più per un “sentito dire” che non per un rapporto di sensibilità e gusto vivo, in quanto non siamo capaci di rivivere il problema artistico che presiedette alla creazione di queste opere. Deve invece essere possibile ricreare una relazione viva con l’arte greca. Numerosi scritti di artisti e critici del 900 hanno negato l’arte greca, ma, esaminando tali scritti, si nota che la polemica è in realtà indirizzata all’immagine di essa che era stata diffusa dagli archeologi dell’800, immagine formatasi a contatto con delle copie romane. Quanto veniva criticato era la visione fredda e classicista dell’arte greca. Difatti, quando tali artisti e critici vennero in contatto con i veri originali, da detrattori divennero esaltatori. Una delle principali conseguenze dell’equivoco winckelmanniano fu quella di considerare l’arte greca come arte idealistica, che rifugge la realtà. Diversamente, caratteristica essenziale è proprio quella di essersi messa sulla via della comprensione della realtà e dell’espressione dell’energia vitale concentrata nella forma della natura. L’arte greca affronta la realtà e, proprio in conseguenza di tale posizione realistica, unica nel mondo antico, scopre alcune norme che saranno poi fondamentali per l’arte europea (scorcio, prospettiva ecc.). In questo senso, dobbiamo ricordare di considerare l’arte greca fondamentale per la civiltà europea non solo per architettura e scultura, ma anche per la pittura. CAPITOLO IV: LE FONTI LETTERARIE La scuola filologica prese come punto di partenza le fonti letterarie ricercando nel patrimonio monumentale la conferma alle notizie e alle valutazioni critiche date dalle fonti letterarie antiche, ma non si pose il problema del valore critico di tali fonti, generalmente tarde e di una cultura ben lontana da quella che aveva presieduto alla creazione delle opere più alte dell’arte greca. Le fonti sono molteplici e possono essere dirette (scrittori che si sono occupati di arte ex-professo) o indirette (opere letterarie nelle quali incidentalmente è contenuta la menzione di un’opera o le notizie su un artista o sono espressi giudizi critici). Le fonti più importanti, perché più ampie, sono la Naturalis historia di Plinio e la Periegesi della Grecia di Pausania. Le altre fonti sono state raccolte da Overbeck nel 1868 e pubblicate nel volume Le fonti letterarie antiche per la storia dell’arte greca e romana. Si tratta di una raccolta quasi completa dei passi tratti dalle letteratura greca e latina nei quali si trova un accenno ad un’opera d’arte. Si tratta tuttavia di un testo da utilizzare con cautela poiché le fonti citate dall’autore sono per lo più passi scelti con la sola citazione dell’opera d’arte: il passo acquista spesso un 7 visitati, data la precisa rispondenza tra il testo e quanto messo in luce grazie agli scavi. Es. della descrizione del santuario di Olimpia (p.63-64 te dice tutta le tiritera degli scavi), nel quale si è scoperta la statua di Hermes con Dioniso infante, caso che ha confermato l’attendibilità topografica di Pausania. Diversamente, altri casi hanno offerto però esempio della sua non sempre esatta informazione storico-artistica. Es. dei frontoni del tempi di Zeus ad Olimpia, figure ricomposte seguendo le indicazioni e le descrizioni dell’autore per la quali permane il problema di attribuzione. Secondo Pausania si tratta di due autori diversi, mentre la critica moderna ha appurato che stilisticamente si deve trattare di un unico autore. Si è inoltre scoperto che l’errore di Pausania e del suo informatore deve essersi originato a causa dell’errata lettura di un’iscrizione presente di fronte al tempio (per quanto riguarda il fronte est, circa il frontone ovest non abbiamo a disposizione un’ipotesi in grado di spiegare il suo errore). Dal punto di vista critico Pausania non offre nessun elemento particolare né nulla di personale; egli riferisce per lo più gli apprezzamenti correnti del suo tempo, che sono all’incirca i medesimi di Plinio. Evidentemente dopo gli scrittori retorici del tardo ellenismo non c’era più stato nessun ripensamento dei valori dell’arte greca e delle sue opere principali, delle quali ormai circolavano giudizi stereotipati. Luciano Luciano di Samosata è l’unico ed ultimo tra i tardi scrittori del mondo greco che dimostra di avere gusto e sensibilità artistica. Non è un compilatore, ma uno scrittore di cultura che parla di opere d’arte da lui osservate, descrivendo le proprie sensazioni e il proprio giudizio. Alcune precisazioni che ritroviamo nei suoi scritti ci permettono di affermare che la sua documentazione è alquanto attendibile. Tuttavia, anch’egli partecipa al culto per l’età lontana della grande civiltà artistica della Grecia e non menziona se non opere di artisti famosi dell’età classica Ateneo Fu un grammatico e sofista nato in Egitto e poi vissuto a Alessandris e Roma verso al metà del III sec. d.C. Compose un’opera erudita dal titolo Deipnosophistai (“I dotti a convito”) dove i convitati intrecciano colloqui che danno modo all’autore di raccogliere un’ampia congerie di notizie di carattere enciclopedico. Tra queste figurano due lunghe descrizioni, oltre a notizie minori, del padiglione regale e del corteo festivo di Tolomeo II Philadelphos e della processione trionfale di Antioco IV Epiphanes, documenti di grande interesse per conoscere lo splendore delle corti ellenistiche e la profusione di suppellettili in metalli preziosi lavorati. L’autore fornisce inoltre la descrizione di una nave costruita per Ierone II di Siracusa dotata di un pavimento di mosaici. Altro 10 Sono infine numerose le fonti di età bizantina che ci danno informazioni talvolta assai utili, ma non in grado di contribuire alla valutazione dell’arte greca. Si ricordano inoltre le iscrizioni e i documenti. CAPITOLO V: LE SCOPERTE E LE GRANDI IMPRESE DI SCAVO Lo studio dell’arte antica è composto da conoscenza delle fonti scritte, conoscenza dei materiali reperiti dallo scavo e dal criterio metodologico che porti a giuste conclusioni storiche. Nel 1733 a Londra un gruppo di uomini dotati di mezzi di fortuna fondò la Società dei dilettanti (termine inteso nel senso di amatori d’arte) ed iniziarono dapprima a finanziare viaggi, poi ad accodarsi a spedizioni fatte dal governo inglese, specialmente in Asia Minore, con intenti colonialistici. Per le prime spedizioni in Grecia ed Asia Minore ricordiamo i nomi di Clarke, Dodwell e Cockerell. Si trattava di un’attività di scoperta, non di scavo, e spesso riuscivano a comprare dal governo turco pezzi di notevole bellezza. Dal 1738 al 1766 in Italia erano stati intrapresi gli scavi di Ercolano e dal 1748 quelli di Pompei, che misero in luce quello che era lo “stile pompeiano”. Una delle prime e più celebri acquisizioni di sculture greche nell’occidente europeo riguarda i marmi del Partenone e del tempio di Nike Apteros, legati all’artista Fidia. Lord Elgin fu inviato nel 1799 a Costantinopoli come ambasciatore e pare avesse l’intenzione di far eseguire disegni e calchi dei marmi del Partenone per insegnamento degli artisti. Fu probabilmente il cappellano dell’ambasciata a trasformare dunque la spedizione in una spoliazione. Tuttavia, non tutti i marmi furono distaccati dal monumento e molti frammenti frontonali furono recuperati in seguito. Mentre Elgin era prigioniero di Bonaparte, i marmi furono spediti in Inghilterra (alcuni naufragarono e furono recuperati più tardi). I marmi furono infine acquistati e portati al British Museum; le discussioni circa l’operato di Elgin non sono ancora chiuse poiché se da un lato è vero che l’esportazione di opere d’arte da loro luogo di origine è un atto lesivo, dall’altro senza questi trasferimenti la cultura del nostro tempo non si sarebbe arricchita di tante essenziali conoscenze e sarebbe stata diversa. Dopo l’immissione di questi marmi nel British Museum, dichiarati effettivamente di Fidia da Ennio Visconti, si accentuò l’interesse per l’arte greca. Nel 1812 furono portati a Londra i rilievi del tempio di Apollo a Bassae, rappresentanti una centauromachia. Nel 1811 venne condotta una spedizione all’isola di Egina dove furono scoperti i resti di un tempio le cui sculture frontonali vennero vendute a Lugi di Baviera; si tratta di una scoperta importante perché sono i primi armi che si conobbero del periodo arcaico e tale esperienza aiutò la cultura del tempo a distaccarsi dal gusto neoclassico (fiorirà, di lì a poco, la tendenza romantica verso i preraffaeliti e gli arcaici). 11 Nel 1822 furono intrapresi gli scavi di Selinunte i quali misero in luce i resti dei templi ed alcune metope (rilievi alternati a triglifi nel fregio dorico) che sono tra le più antiche conosciute. Nel 1860 vennero poi ripresi gli scavi di Pompei ad opera di Fiorelli, portando ad una documentazione sempre più certe circa la vita e i costumi del mondo romano, oltre a procurare una ineguagliabile quantità di pitture e mosaici. Venne scoperta la casa dei Vettii (la più ricca di dipinti), la villa di Boscoreale e, più tardi, la via dell’Abbondanza. A Pompei vennero alla luce molti monumenti di scultura, la maggior parte dei quali sono copie di originali greci, mentre di originali ellenistici si sono rinvenuti solo alcuni mosaici. La maggiore importanza per la storia dell’arte dei ritrovamenti pompeiani sta comunque nella pittura, poiché Pompei ed Ercolano sono tra i pochissimi centri che ci danno resti di pittura antica originale. Ad esempio, grazie agli studi sulla pittura di Pompei si sono potute rivedere teorie quella del Wickhoff che sosteneva che tutte le premesse di paesaggio e di sfondi prospettici fossero interpolazioni romane. Diversamente, si è visto che si tratta di elementi già presenti nella tradizione ellenistica. Nel 1809 furono eseguiti i primi scavi nel Foro Romano dove sono stati rinvenuti elementi importanti per la storia di Roma, più che monumenti artistici. Furono di grande importanza le scoperte fatte in Grecia dalla metà dell’800 al primo terzo nel 900. Nella seconda metà dell’800 si organizzarono le prime grandi spedizioni di scavo da parte di inglesi, tedeschi e francesi. I primi furono gli scavi di Samotracia diretti da Conze nel 1863 (si ricorda il ritrovamento della Nike di Samotracia). Al tempo stesso si iniziarono gli scavi ad Atene dove apparvero per la prima volta i vasi di stile geometrico, ponendo in luce i primordi dell’arte greca. Tale scoperta ha molto influenzato gli studi, poiché senza la tradizione dello stile geometrico non si sarebbe stati in grado di capire la formazione e lo sviluppo della statuaria del VI secolo. Lo stile geometrico si ricollega al geometrismo del vasellame preistorico della regione danubiana, ma le popolazioni greche ne fecero una creazione artistica, un vero e proprio stile sottoposto a regole: questa creazione è a fondamento di tutto lo sviluppo dell’arte greca del periodo arcaico. Nel 1875 si iniziarono gli scavi ad Olimpia con Ernst Curtius, operati facendo riferimento agli scritti di Pausania. Scoperte quali l’Hermes supposto di Prassitele, la Nike di Paionios e le numerose basi con firme di artisti aprirono una nuova fase alla conoscenza dell’arte greca di età classica. Si iniziarono contemporaneamente gli scavi ad Efeso principalmente ad opera degli inglesi e in seguito dagli austriaci. Si intraprese inoltre l’esplorazione di Pergamo. Ci si trova così davanti a tre grandi centri di carattere diversissimo  Olimpia > dal periodo arcaico al periodo romano  Efeso > dal VII secolo all’età tardo antica e bizantina 12 Gli scavi di fine 800 misero in luce tutti i frammenti dell’Acropoli che furono poi catalogati e pubblicati; tale lavoro si può considerare terminato con la pubblicazione del Payne del 1936. Quest’ultimo fece anche alcune scoperte importanti come, ad esempio, quella della perfetta corrispondenza tra un torso di kore proveniente dalla Francia meridionale e conservata a Lione e la parte inferiore di una statua frammentaria trovata nella colmata persiana (kore di Lione o Afrodite di Marsiglia). Il progresso negli studi, ma specialmente le scoperte di Payne, hanno dato un colpo alla tendenza “panionista” che riteneva di influenza ionica tutta la scultura di età arcaica trovata ad Atene, ponendo in evidenza che la scuola attica rappresenta il centro promotore di nuove invenzioni formali e di nuove problematiche artistiche. Oltre alla scoperta dell’Afrodite di Lione, contribuì in tal senso anche quella relativa alla testa Rampin, che quest’ultimo poté combinare con un torso di cavaliere dell’Acropoli, restituendo la più antica statua equestre della Grecia. Dopo che nell’800 e nella prima metà del 900 è avvenuta la scoperta di tutta la civiltà artistica della Grecia, si è posto il problema di individuare i grandi artisti dei quali parlano le fonti, ma si è visto che pochissime erano le opere di questi che si potevano avere negli originali. Moltissime erano invece le opere originali delle quali non si aveva notizia nelle fonti. Davanti a questa problematica, passa in secondo piano la ricostruzione delle grandi personalità artistiche tradizionali a favore della ricerca delle grandi linee di svolgimento dell’arte greca e l’individuazione di singole scuole formatesi nei vari centri dove la produzione artistica era più viva. Sebbene non conosciamo nessuna delle personalità maggiori dell’arte della Grecia in modo diretto, conosciamo largamente il tessuto connettivo che le univa, ovvero la produzione corrente delle maestranze artigiane direttamente influenzate dalle grandi personalità artistiche di un tempo. (p.95 es. scavi di Olimpia) Si può dire che dopo la Prima guerra mondiale lo studio della storia dell’arte antica entrò in una nuova fase. Si verificò una svolta nell’impostazione dei problemi legata a fattori quali la diffusione dello storicismo presso gli archeologi, la crisi generale della cultura e l’attenzione rivolta all’approfondimento di problemi posti dalle opere (scaturita dalla sosta all’attività di scavo imposta dalla guerra). Così, se l’800 era stato il secolo della ricerca sistematica e dell’ordinamento degli archivi del passato, il 900 ha visto l’inizio di un approfondimento di problemi, un continuo tentativo di intendere l’opera d’arte nei suoi valori intrinseci. CAPITOLO VI: RICERCHE TEORICHE E STORICISMO AGLI ALBORI DEL 900 A cavallo tra 800 e 900 troviamo la figura di Emanuel Loewy, archeologo austriaco che per primo cercò di riprendere quello che era stato uno dei motivi dell’effettiva grandezza di Winckelmann, ossi la ricerca attorno all’essenza stessa dell’arte, cioè attorno alle questioni fondamentali che 15 presiedono allo svolgimento dell’arte in genere e in particolare dell’arte greca. In altre parole, egli cercò di porre lo studio dell’arte antica sopra un fondamento teorico generale. I suoi due studi principali (La natura nell’arte greca più antica e Migrazioni tipologiche) toccano due punti essenziali della storia degli studi dell’arte: rapporto tra arte greca e il vero di natura e persistenza iconografica. Per quanto riguarda l’iconografia, si tratta di un elemento spesso poco considerato dagli archeologi, sebbene nell’arte antica sia invece fondamentale tener presente che il fondamento di quella produzione è prettamente artigiano. Nell’antichità l’artista è un artigiano, il quale è in grado di raggiungere una qualità elevata del lavoro grazie al patrimonio di tradizioni tecniche ed iconografiche che si è andato formando. Ogni artigiano di talento aggiungerà comunque delle proprie varianti che saranno poi riprese dai successori. In tal mondo, nel tempo si giunge ad innovazioni anche profonde. Prendendo l’esempio del kouros, vediamo come esso continui nell’arte arcaica essenzialmente invariato da un punto di vista iconografico, sebbene da un punto di vista di uniformità tipologica non vi sia un kouros uguale all’altro; il problema statuario matura nel corso dei secoli fino alla crisi che si rende manifesta con lo scultore attico Kritios, con il quale si apre la fase dello stile severo e ci si avvia poi verso la soluzione policletea (450-440). Finché esiste dunque una forte tradizione artigiana, la persistenza di schemi iconografici è fortissima. Quando si studia una certa rappresentazione bisogna dunque esaminare da dove proviene lo schema iconografico e cercarne i precedenti: solo dopo sarà possibile stabilire la posizione storica dell’opera e valutare il contributo personale dell’artista. In questo senso Loewy fu il primo a mettere in evidenza la persistenza degli schemi figurativi, mostrando inoltre come numerosi motivi dell’arte greca arcaica siano connessi con l’arte del Medio Oriente. È comunque importante tener presente la differenza tra schemi iconografici e forma/contenuto artistico nuovo, cosa che Loewy non fece. Per quanto riguarda invece la rappresentazione della realtà, ossia il modo nel quale l’immagine naturale viene trasformata in immagine artistica, abbiamo visto come Winckelmann avesse tentato una selezione del “più bello” da utilizzare come forma ideale che stesse al di sopra dell’aspetto contingente della natura. Sorse così la distinzione di una serie di tipi ideali che oggi riconosciamo ancora come tipologie iconografiche. A fine 800 la formula winckelmanniana subì una prima revisione in base alle tendenze positivistiche che ebbero eco anche negli studi di archeologia. Si ricorda il danese Lange che si occupò del rapporto tra arte greca e forma di natura e fu il primo ad osservare e a definire alcune delle leggi della concezione artistica del periodo più arcaico. Prima e più importante di queste leggi è quella della frontalità, che si manifesta nel fatto che qualsiasi immagine riprodotta subisce una sorta di schiacciamento, perde volume; risulta così una visione lineare e simmetrica della figura, per la quale una 16 linea che tagli verticalmente in due la figura separa il corpo in due parti uguali e simmetriche Da questi leggi Lange desumeva le caratteristiche che sono proprie dello stile arcaico: ad esempio, una figura è vista di profilo nelle gambe e di fronte nel torso. Convenzioni come questa sono particolarmente evidenti nell’arte egiziana, ed infatti i Greci inizialmente le assunsero da lì. Questo fatto creò l’equivoco per cui in passato si definiva “stile egiziano” lo stile arcaico. Fu Lange a notare che questa legge della frontalità domina qualsiasi arte primitiva e si ritrova in tutte le civiltà antiche (l’arte greca fu l’unica a superarla, scoprendo le regole dello scorcio). Lange ritenne la frontalità diretta conseguenza dell’incapacità di avvicinarsi al vero: di qui la necessità di tipizzare la varietà; tale ipotesi era strettamente legata alla tendenza positivistica empirica della seconda metà dell’800. Lange non si accorse però del fatto che tale frontalità e simmetria nell’arte greca era divenuta un altissimo stile. Giudicando la frontalità come elemento di incapacità si ribadiva la provvisorietà dell’arte arcaica, il suo carattere di stadio di preparazione all’arte classica, il quale era stato istituito da Winckelmann. Ci si precludeva così la comprensione e la valutazione storica corretta del periodo arcaico. Verso una migliore interpretazione si avviò Loewy, il quale capì che la frontalità arcaica non era dovuta ad incapacità, ma ad un determinato processo di concezione dell’atto artistico. Dimostrò che l’artista primitivo creava seguendo un ricordo, un’immagine mentale che gli presenta l’oggetto sotto l’aspetto più semplice e chiaramente leggibile, aspetto per cui esso si mostra nella sua massima estensione e nella sua forma più caratteristica. Questo il modo di comporre l’opera d’arte arcaica, il quale spiega perché si formino immagini in piano chiaramente definite da linee di contorno. Loewy comprese dunque che la concezione dell’arte arcaica era dovuta al particolare linguaggio del singolo artista e che era legata ad un determinato mondo e tempo: questo fu l’avvio allo sganciamento dalla concezione di evoluzione deterministica che considerava l’arte arcaica come preparazione all’arte classica. Della Seta riprese in seguito il problema del superamento della legge della frontalità nell’arte greca (che noi designamo con il passaggio arte arcaica > arte classica). Egli riteneva che la frontalità fosse stata superata con una maggiore conoscenza dell’anatomia ed impostò di conseguenza su di essa tutto lo sviluppo dell’arte greca, finendo così per cadere nell’equivoco di associare a quest’ultimo l’etichetta di “ricerca anatomica”. L’attività del Della Seta è concentrata nel volume Il nudo nell’arte, dove si passa in rivista tutta la scultura greca studiandola dal punto di vista della ricerca anatomica; l’opera non fu mai portata a compimento, forse perché egli stesso si rese conto che la sua visione non si adattava come criterio conduttore per una storia dell’arte. Se da un lato si ebbe senza dubbio un arricchimento di dettagli anatomici, dall’altro questi servirono essenzialmente a differenziare i piani nel 17 ellenistica, ma fu sviluppata e resa forma compositiva corrente durante l’età romana. Diversamente, Wickhoff vi vide un elemento del tutto nuovo, romano, strettamente connesso con il diverso punto di vista dal quale si pone lo spettatore. In Grecia lo spettatore è estraneo alla scena e vede da un punto esterno le figure che si muovono parallelo al fondo del rilievo, mentre in un caso come quello della colonna traiana lo spettatore si trova nello stesso spazio delle figure. Tale aspetto è definito da Wickhoff illusionismo ottico, effetto raggiunto mediante una visione “impressionistica”, caratteristica a suo dire più tipica dell’arte romana ed opposta alla tendenza plastica e disegnativa greca. Ciò che lo studioso non vide furono gli apporti vivi dell’ellenismo presenti nell’illusionismo spaziale della pittura pompeiana e che, cessati questi ultimi, la pittura romana presentava essenzialmente due tendenze: la rinuncia a collocare le immagini in uno sfondo oggettivato e spazialmente definito e l’esasperazione di una tecnica a macchia che è avvio all’astrazione e al simbolismo del segno. Dopo Wickhoff si cominciò a parlare di categorie dell’arte, in seguito definite dallo storico dell’arte Wolfflin attraverso l’analisi delle vicende dell’arte europea in una nomenclatura che rimase a lungo fondamentale (forma ottica, plastica, disegnativa, coloristica; forma aperta, forma chiusa). In questa nuova fase degli studi di arte antica avuta con la scuola viennese, si osserva come aumenti sempre più l’attenzione ai fatti formali. Ci si comincia a persuadere che attraverso la lettura della forma artistica sia possibile arrivare a stabilire una cronologia delle opere più esattamente che attraverso i documenti (oltre a prendere coscienza del fatto che è lecito arrivare a soluzioni critiche anche in contraddizione con quelle delle fonti letterarie antiche). Ci si pose dunque in modo autonomo il problema formale dell’opera d’arte, arrivando ad approfondire il fatto che ogni artista possiede una sorta di cifrario, ossia particolari secondari sempre uguali nelle sue opere. Questi ultimi possono aiutarci a ritrovare e determinare la paternità di un’opera, anche laddove manchino i documenti per stabilire il nome dell’artista. Tuttavia, tali particolari hanno solo valore pratico, non critico. Per quanto ogni ricerca sistematica necessiti di un linguaggio tecnico, è importante ricordare il pericolo che si corre nell’applicare certe categorie artistiche con sistematicità troppo rigida, ovvero quello di far consistere la storia dell’arte in un’operazione di incasellamento delle opere. Nel momento in cui le categorie artistiche del Wolfflin sono state applicate troppo severamente e senza più ricercare una connessione con la realtà storica della società, si è ripetuto il medesimo errore del metodo filologico: lo storico dell’arte ha creduto di poter limitare la propria attività a definire le categorie artistiche. La classificazione deve invece essere unicamente considerata come lavoro preliminare e preparatorio, il vero problema storico comincia dopo. Ciononostante, l’influenza della scuola di Vienna fu un avvicinarsi alle esigenze che lo storicismo aveva introdotto nella cultura europea e un 20 ampliarsi dell’orizzonte degli archeologi (prima esclusivamente classicistico) in quanto storici dell’arte antica. Oggi (lol) tra gli archeologi prevale l’interesse per una storia della produzione di opere d’arte come contributo alla storia della società di un tempo espressa nelle sue idee, possibilità economiche e rapporti sociali, che non per una storia dell’arte in quanto studio della forma artistica nel suo costruirsi e variare. CAPITOLO VII: PROBLEMI DI METODO Se si pensa che Winckelman non sapeva che quasi tutte le statue da lui studiate erano copie di età romane e, diversamente, ad oggi siamo stati in grado di datare, in base al solo stile, le sculture arcaiche di quinquennio in quinquennio, bisogna riconoscere che si è fatto un grande progresso. Tutto ciò si è ottenuto perché l’indagine stilistica si è affinata in conseguenza dell’impostazione teorica del fatto artistico, iniziata da Riegl e proseguita da Wickhoff e Wolfflin. Questa indagine in origine faceva astrazione dalla posizione cronologica e storica dell’opera, esaminandola solo nella sua qualità artistica e fissandone le caratteristiche formali. In ogni artista è possibile scoprire un processo di svolgimento, il quale si manifesta anche da una generazione all’altra e che vede al suo interno, nel suo svilupparsi, una logica: accade così che l’opera di una determinata personalità artistica ponga certi problemi e che, dopo questi, se ne aprano altri. Tuttavia, nell’arte greca non si è in grado di delineare tutto lo svolgimento dei singoli artisti, ma siamo invece in gradi di determinare il processo di sviluppo formale di un particolare periodo. Mediante lo studio formale dei caratteri stilistici, la storia dell’arte antica ha pertanto compiuti sviluppi significativi. È necessario menzionare il ruolo che l’estetica e la metodologia critica crociana ha giocato in questo sviluppo storico, sebbene essa non abbia influenzato in maniera eccessiva l’archeologia. In Italia la disciplina aveva avvertito ben poco l’influenza della scuola viennese e per niente quella di Wolfflin. Si era rimasti alla fase filologica e la definizione di una personalità artistica era stata particolarmente trascurata. Per rompere i residui dell’estetica winckelmanniana era necessario compiere una ricerca della personalità, ponendo in risalto il carattere autonomo di alcuni aspetti del fatto artistico. Ancor più fondamentale era cessare di accettare acriticamente i giudizi delle fonti antiche. Il nuovo scopo da raggiungere diventava quello di fare una storia dell’arte antica fondata su elementi critici in armonia con il movimento storicistico della cultura moderna e sostituire il nostro giudizio critico a quello delle fonti, di modo da poter ritrovare il contatto andato perduto con l’arte greca. In tutto ciò, l’aver tentato di inserire la storia dell’arte antica nella metodologia e nell’estetica crociana è stata una tappa indispensabile. 21 L’autore, pur inserendosi nella via tracciata da Croce, sottolinea come alcuni aspetti del lavoro di quest’ultimo risultassero a suo parere ardui da seguire fino in fondo. L’identità tra giudizio critico e fare storia risulta insostenibile davanti alla produzione artistica dell’antichità. Il far consistere il fine della ricerca storico- artistica nel determinare il grado di poeticità di un’opera mediante l’analisi del suo contenuto-forma si dimostra insufficiente di fronte al legame stretto che nell’arte antica appare tra opere d’arte e premesse politiche/sociali che ne determinano e dirigono la creazione. In ogni caso, Bandinelli ritiene che la metodologia crociana sia stata la più utile agli studi di archeologia poiché ha insegnato a superare alcuni pregiudizi e ad evidenziare certi fraintendimenti. ES. legato alla storia dell’archeologia tedesca che nell’800 era apparsa metodologicamente all’avanguardia e che, laddove non è stata più sorretta da una metodologia in grado di approfondire il fatto storico, si è ritrovata in una prospettiva che tende all’irrazionale. Buschor, archeologo tedesco, divise il cammino dell’arte in sei cicli, successivi e chiusi ciascuno in sé: in questo caso, comprendere storicamente l’opera significava incasellarla nel ciclo ad essa pertinente (p.132 i nomi dei periodi, secondo me useless). In questa costruzione ogni civiltà passa necessariamente attraverso i 6 cicli ed in uno di essi trova la sua più compiuta espressione. Tale irrazionalismo retto da razionalità logica è tipico di una delle tante costruzioni fatalistiche della storia in cui è caduta la cultura germanica. Il tentativo di Buschor rientra nell’indirizzo della scuola morfologico-culturale per il quale ogni civiltà esprime un determinato aspetto del mondo e l’uomo viene afferrato da determinati aspetti della esistenza ai quali egli allora dà forma. Tuttavia, nel lavoro di Buschor sono presenti anche singole osservazioni acute ed interessanti, il che fa risaltare ancor di più la manchevolezza della sua presentazione storicistica. Ad esempio, particolarmente interessante risulta l’osservazione per cui ad un certo punto l’arte greca, cessando la sua concezione religiosa diventa cosciente del proprio artifizio; si produce allora l’opera d’arte che serve ad ornare la casa, per il piacere di possedere un bell’oggetto. In ogni caso, qualsiasi brillante osservazione dello studioso diviene storicamente inefficace quando, come loro presupposto, si prende il fatto di appartenere ad un determinato ciclo. L’esempio è caratteristico per mostrare come uno studioso brillante, ma privo di un chiaro concetto della metodologia storiografica, possa perdersi in mitologemi di tipo pre-vichiano. Il merito maggiore dell’archeologia germanica resta in ogni caso quello di aver dato un ordine sistematico ai materiali sui quali si basano i nostri studi. Quando in Germania si è cercato di superare il periodo della scuola filologica è mancato agli studiosi il sussidio di un pensiero critico sulla metodologia della storia ed un’estetica non accademica. Il difetto di tali studi è pertanto stato quello di voler incasellare i fatti fondamentali della 22
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved