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Introduzione all'ergonomia cognitiva e usabilità, Sintesi del corso di Psicologia Cognitiva

Riassunto dei capitoli 1-6 del testo di Vandi e Nicoletti

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Scarica Introduzione all'ergonomia cognitiva e usabilità e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Cognitiva solo su Docsity! Analizzare la modellizzazione dell’esperienza d'uso dell’utente consiste nell’individuare, analizzare e misurare quali sono gli elementi che entrano in gioco nella dinamica d'uso. Sovrapposizione e contrarietà delle discipline quali l’ergonomia cognitiva e la psicologia cognitiva. Usabilità analizzata nel corso del libro secondo i seguenti aspetti: • oggetti e sistemi, per essere usabili, devono essere progettati secondo determinati criteri che prevedono caratteristiche specifiche che tengano conto di come opera l'utente potenziale • correzione che l'usabilità di un oggetto può subire dopo un'analisi delle incongruenze e criticità che limitano l'interazione con l'utente INTRODUZIONE L’ergonomia cognitiva studia l'interazione tra le capacità cognitive di un utente e il sistema che si trova a utilizzare → scopo: adattare i sistemi impiegati a bisogni, capacità e caratteristiche dell’utente. In sostanza l’ergonomia studia il funzionamento dei diversi processi cognitivi attualizzati in contesti applicativi, nei quali l'attività cognitiva supporta azioni che hanno come fine il raggiungimento di uno scopo. Esempio della guida: • aspetti dell’ergonomia fisica (che studia i rapporti fisici antropometrici tra uomo e ambiente circostante) sono la distanza tra schienale e volante, oppure le caratteristiche del sedile dell'auto • aspetti dell’ergonomia cognitiva (che studia come percepiamo, pensiamo e prendiamo decisioni) sono la rappresentazione delle informazioni ed icone sul display del cruscotto, riconoscibili in modo chiaro e in tempi brevi CAPITOLO 1. LA RIVOLUZIONE COGNITIVA: L’UOMO COME RISOLUTORE DI PROBLEMI Modello generale dell’azione orientata a uno scopo (human-computer interaction). Azione = processo di risoluzione dei problemi (problem solving), del quale si analizzano componenti e strategie. Risposta al modello comportamentista, il quale si concentrava solo sull’attività misurabile e osservabile → giudicava inconsistenti le ricerche mentaliste che si interessavano alle strategie di previsione, pianificazione e strutturazione dell’esperienza, contrapponendovi lo studio dei riflessi a livello del sistema nervoso centrale come reazione automatica agli stimoli ambientali → non c'è bisogno di interrogarsi su motivazioni e strategie che guidano un'azione. A partire dalla rivoluzione cognitiva, questo paradigma si inverte: l'azione osservabile è tenuta in considerazione solo se può fornire un accesso alle rappresentazioni interne adottate dai soggetti come guida all’azione → usabilità: cerca di spiegare che cosa renda alcuni sistemi più facili da usare rispetto ad altri + tali modelli spiegano l'azione umana, influenzando così il modo in cui i sistemi sono progettati. Di conseguenza, per l'usabilità, comprendere come gli utenti agiscono permette di analizzare come dovrebbero essere progettati i sistemi, in modo da sostenere così queste azioni e migliorarne dunque la facilità di interazione con l'utente. Newell e Simon nel 1972 ipotizzano l’identità tra cervello umano e calcolatore elettronico; invenzione del General Problem Solver (GPS), macchina ritenuta capace di gestire ogni problema. La macchina scompone i problemi in oggetti (input) a cui si applicano degli operatori per produrre altri oggetti (output). L'utente definisce gli oggetti che compongono il problema, lo scopo dell'azione e le operazioni di trasformazione che possono essere eseguite sugli oggetti. I principali sotto problemi in cui un compito è scomposto sono dunque problemi di trasformazione di un oggetto in un altro, e di applicazione di un operatore a un oggetto. Alla macchina è inoltre richiesto di risolvere il problema secondo il principio di sufficienza, misurando la soddisfazione in base alla differenza tra scopo desiderato e scopo raggiunto. Means-ends analysis euristica del GPS: punta a ridurre la distanza tra mondo esterno e rappresentazioni interne + distanza tra un oggetto dato e uno desiderato. Analizza così la rappresentazione interna dell’ambiente, in relazione al problema da risolvere e alle possibilità d’azione del soggetto + analizza contemporaneamente gli scopi, le funzioni necessarie per soddisfarli ed i mezzi che realizzano tali funzioni. Nel caso in cui l’operatore scelto non possa essere usato, posso provare un altro operatore oppure aprire un sotto problema. Limite del GPS era che poteva trattare solo problemi logico-matematici → cambio d'orizzonte nella disciplina, la quale inizia a occuparsi esclusivamente di sistemi esperti, utilizzati nella risoluzione di problemi specifici e che richiedono competenze specifiche. Big switch theory by Newell: gli esseri umani dispongono di un gran numero di esperti intercambiabili (switch) in base al problema da risolvere. Concetto di script by Abelson e Schank: insiemi strutturati di conoscenze specifiche che influiscono su disposizioni e attese che i soggetti hanno in relazione a un certo ambito d'azione, aka depositi di conoscenza applicati a situazioni specifiche, che definiscono azioni possibili ed eventi attesi. User centered design (UCD): modelli d’azione centrati sull’utente, visto come soggetto dotato di scopi, facoltà interpretative e attese; prendono in considerazione la possibilità d’errore. I principali autori che s’interessano a tale progettazione centrata sull’utente sono Norman, Laurel e Hutchins. Interfaccia = ciò che si trova in una posizione intermedia tra due diversi sistemi che interagiscono, ossia la superficie sulla quale due entità qualitativamente differenti si incontrano (punto di confine tra due sistemi differenti che ne consente la comunicazione). La funzione dell'interfaccia consiste nel riconoscere e tradurre le richieste che un sistema indirizza all'altro. L'utente riesce a persuadere il sistema attraverso l'interfaccia, e a intraprendere così l'azione che vorrebbe svolgere. Contro questa idea di interazione vista come un’azione mediata da un'interfaccia, l’user centered design sosteneva invece il primato dell'interfaccia all'interno di un sistema virtuale. Dato che la qualità dell'azione aumenta in maniera sostanziale quando l'utente non subisce vincoli imposti dal sistema, compito fondamentale del progettista è rimuovere questi vincoli; ciò significa trovare altri modi per dirigere l'azione, e fare in modo così che l'utente scelga liberamente il percorso d'azione più adatto all' interfaccia. Nuova concezione dell'ambiente d'azione, non più visto come qualcosa cui l'utente deve adattarsi attraverso catene di prove ed errori → si tiene in considerazione il ruolo attivo dell'interpretazione dell'ambiente da parte del soggetto. Norman criticherà molto quegli ambienti che, a causa di una cattiva progettazione, non permettono all'utente di crearsi un corretto modello mentale in grado di guidare la loro azione. Ipotesi che l'azione dell'utente sia data da un continuo learning by exploring. Lo user centered design critica l'idea per cui l'interazione utente-macchina punta a replicare il dialogo tra due persone fisiche → concetto di manipolazione diretta che porta a trattare le interfacce come ambienti altamente interattivi. Lo user centered design propone di attenersi a una visione dell'interfaccia come qualcosa su cui si può agire direttamente in quanto ha: 1) una rappresentazione continua dell'oggetto 2) azioni fisiche o pulsanti 3) operazione rapide e reversibili, il cui effetto sia immediatamente visibile sul soggetto d'azione Lo scambio comunicativo dal lato dell'interfaccia è progettato a partire dalle mosse previste dall'utente dell'interfaccia (modello di utente). L'interfaccia diviene così un'estensione delle possibilità d'azione dell'uomo, una protesi e non un oggetto indipendente con il quale dialogare. Criteri di valutazione di un’interfaccia: no impressione dell’utente di interagire con una superficie di mediazione + integrazione dell’interfaccia in un sistema di pratiche di azioni, bisogni e strumenti che la inglobano. cognitive per costruirsi un modello appropriato; cercherà invece di rintracciare somiglianze con ambienti a lui già noti, tenterà un’azione e, nel caso questa fallisca, sposterà la propria attenzione su un altro programma. Studi recenti dimostrano che la prima impressione dell'usabilità di un sistema è più difficile da modificare nel caso in cui sia negativa rispetto al caso in cui sia positiva (valutazione intuitiva di usabilità). I modelli mentali si costruiscono a partire dall’interpretazione di elementi superficiali di un sistema. Molti problemi di usabilità derivano dal fatto che gli utenti, anziché creare un modello mentale unico per ogni sistema, costruiscono il proprio basandosi su analogie superficiali con sistemi simili. Quando l'utente crea un modello mentale per comprendere il funzionamento di un sistema è influenzato da conoscenze esterne che entrano in conflitto con il modello di quel sistema. Esempio 1: ascensore. Sistema centrato sull’utente, per usarlo devo solo sapere ciò che voglio fare (in quanto la macchina reagisce in base al mio scopo). Il problema nasce dal fatto che questa struttura non è chiaramente espressa dall’ascensore: per gli utenti che sbagliano, il riferimento non è egocentrico, bensì macchina-centrico. Un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che i comandi fuori e dentro la cabina non possono essere interpretati allo stesso modo. Norman suggerisce: “se proprio ci deve essere un errore, sia almeno evidente come tale, in modo che serva a rivelare il vero modello dell'oggetto”. Problema del feedback (condizionerà ripetizioni future da parte degli utenti in errore). Un'altra fonte di confusione sono i tasti direzionali: nei sistemi informatici in generale i pulsanti direzionali delle interfacce servono a comandare il sistema in seguito a una decisione soggettiva. Come migliorare l'usabilità dell'ascensore: la cosa migliore da fare in caso di ambiguità sarebbe esplicitare il sistema di riferimento, oppure incentrare il sistema di comando sull’utente e sulle sue intenzioni. Esempio 2: caldaia. Icone simboliche di caldo e freddo; quello che l'utente si chiede è: caldo e freddo rispetto a cosa? Sistema oggetto centrico, centrato sul contesto d'uso, oppure egocentrico? L'efficacia del simbolo dipende dalla competenza dell'utente e dall'azione in corso; non si tratta solo di un problema di interpretazione di simboli ambigui, ma di un problema di comunicazione persona-macchina. Come migliorare l'usabilità della caldaia: bisogna chiedersi quali sono le abitudini degli utenti in altri contesti di interazione + nei casi in cui un’ambiguità è possibile il miglior modo per risolverla è renderla esplicita. Va dunque preso in considerazione il contesto interpretativo di tutti gli elementi che compongono un sistema (approccio top down); basterebbe aggiungere l'icona di una casa ai simboli di caldo e freddo. Esempio 3: bilancia self-service del supermercato. Cattiva usabilità data da conflitti tra il modello concettuale del sistema e i meccanismi percettivi di base dell’utente (principi di organizzazione percettiva); violare questi principi crea problemi all'utente poiché si ritrova a non poter adottare la logica proposta dal sistema (rottura di continuità che lo obbliga a cambiare strategia). Come migliorare l'usabilità della pulsantiera: adottando soluzioni in grado di aiutare l'utente a mantenere una logica coerente durante tutto il corso dell'azione. Quando si sceglie un modello mentale ci si deve assicurare che l'adozione da parte dell’utente non sia in conflitto con altre logiche che vengono a disturbare il modello dall'esterno, come ad esempio esperienze di sistemi simili o principi di organizzazione percettiva innati. Esempio 4: scheda elettorale. Conclusioni: - il modello mentale non è una rappresentazione statica di una scena, bensì l'insieme di attese e disposizioni all' azione con le quali un utente si prepara a utilizzare un oggetto o sistema - all'origine delle attese che costituiscono un modello mentale giocano un ruolo importante conoscenze di sistemi superficialmente simili → per migliorare l'usabilità di un sistema, il progettista deve prendere in considerazione possibili analogie con sistemi simili: dovrà renderle visibili e valorizzarle o, al contrario, adottare soluzioni che rendano chiaro il fatto che quel sistema non rispetta l'analogia suggerita - un sistema è tanto più efficace quanto più asseconda pratiche e abitudini culturali, nonché principi universali come quelli percettivi CAPITOLO 3: MODELLIZZAZIONE DELL’ESPERIENZA UTENTE. Analizzare la modellizzazione dell'esperienza d'uso dell'utente consiste nell’individuare, analizzare e misurare quali sono gli elementi che entrano in gioco nella dinamica d'uso. User experience (UX) = fa molta più attenzione al contesto dell'utente: quali sono le caratteristiche dell’utente che interagisce con il sistema? La user experience va oltre l'opposizione principiante/esperto e prende in considerazione conoscenze, competenze e aspettative dell’utente per prevedere come interagirà con il sistema. Contesto d'uso: come si sviluppa l'interazione? In che modo ciò che l'utente fa, prima e dopo l'interazione con il sistema, influisce su quest'ultima? L'obiettivo di modellizzare l'esperienza è quello di prendere in considerazione tali elementi di contesto nell’analisi dell'interazione, sia a fini analitici (descrivere l'interazione per poi migliorarla) sia predittivi (anticipare come si svolgerà l'interazione). Design thinking by Tim Brown: design inteso come modo di pensare la progettazione di un servizio. Un prodotto o servizio per avere successo deve essere desiderabile dal punto di vista umano (desirable), fattibile dal punto di vista tecnologico (feasible) e sostenibile dal punto di vista economico (viable). I tre aspetti sono necessari e nessuno in sé è sufficiente. L'utente è dunque al centro di ogni progetto. Schema di rappresentazione Double Diamond: lo schema alterna quattro fasi di divergenza e convergenza (Discover Define Develop Deliver): 1. la prima fase di divergenza è dedicata alla scoperta: si esplorano usi, problemi e necessità dell’utente 2. la prima fase di convergenza è dedicata alla definizione del problema su cui concentrarsi per la fase di design 3. la seconda fase di divergenza è dedicata allo sviluppo: generazione di idee e soluzioni che verranno prototipate 4. la seconda fase di convergenza è dedicata a implementare la soluzione Lean startup by Eric Ries: i prodotti a cui si riferisce sono interamente digitali (mondo delle imprese digitali della Sylicon Valley). Ogni processo deve essere finalizzato a creare un beneficio all'utente e ogni azione inutile deve essere eliminata dal processo. La principale differenza tra design thinking e il lean startup sta nel fatto che il processo del primo è sequenziale, mentre questo è ciclico e si riassume in Build Measure Learn: - Build → costruire una versione minima di un prodotto in modo da renderla il più rapidamente accessibile a un utente - Measure → osservare e misurare continuamente l'uso che l'utente fa del prodotto - Learn → apprendere dai dati raccolti per migliorare il servizio Questo ciclo per essere efficiente deve essere ripetuto il più rapidamente possibile fino a diventare continuo nei servizi digitali. Il progetto lean startup inizia con delle ipotesi che dovranno essere verificate attraverso l'esperienza, al contrario del design thinking, che inizia con una fase di ricerca priva di pregiudizi (tabula rasa, praticamente ahimè impossibile). Inoltre il design thinking privilegia lo studio e l'analisi, mentre il lean startup privilegia azione e apprendimento fondate sull’esperienza. Persona = serve a descrivere il profilo dell’utente ideale di un servizio; può riferirsi a più tipi di utenti potenziali, distinguendo per esempio in base a: nome, sesso, età, lavoro, obiettivi e aspirazioni, ciò che ama e odia, una frase che lo rappresenta. Nel design thinking la Persona è usata per fare riferimento all'utente per cui si sta progettando un servizio in modo da orientare la scelta delle funzionalità del sistema; inoltre, il fatto di descrivere gli utenti come se fossero persone realmente esistenti aiuta ricordarsi che si sta creando un servizio per qualcuno che esiste davvero. Nel lean startup si parla di Proto Persona per definire il prototipo di una persona teorica che serve a progettare un servizio, la cui esattezza sarà verificata in una fase successiva; la Persona funziona dunque come un prototipo e viene aggiornata o modificata tenendo conto dei risultati di ricerche e test (lavoro molto meno dettagliato). User journey = serve a mappare il percorso di quell’utente nell’uso di un servizio; documento che prende la forma di una linea del tempo che descrive le principali azioni svolte da un utente quando usa un servizio. Un elemento particolarmente importante sono i Paint Points (momenti difficili di un percorso d'uso che dovranno essere analizzati per poter essere rimossi o alleviati). Lo user journey permette di analizzare i molteplici aspetti dell’esperienza utente e rappresentarli su una linea temporale che può coprire un periodo di tempo ridotto o esteso → permette dunque di considerare l'esperienza nella sua globalità. Nel lean startup lo user journey è utilizzato in fase di progettazione per definire su quale pain point dell’esperienza ci si deve concentrare: importanza nello scegliere un solo problema vissuto dall’utente → sarà la soluzione di questo problema a determinare l'esistenza della startup, la ragione della sua stessa esistenza. Il lean startup utilizza lo user journey anche per definire il percorso d'uso prioritario del servizio e quali saranno le funzionalità più importanti da implementare nella prima versione di esso (MVP minimum viable product) = versione di un prodotto che permette di apprendere il più possibile sulle reali necessità dell'utente e sull'uso che farà del prodotto finale. Esempio 1: Zoom. User journey: la Persona (utente inesperto) riceve e clicca su un link, installa l'app o usa l'interfaccia web, partecipa e chiude la riunione. Introduzione di pain points per aumentare la sicurezza: per partecipare sono necessari il link, una password ed i partecipanti accedono ad una sala d'attesa (solo l'organizzatore può farli entrare) → la sicurezza viene priorizzata rispetto all' usabilità: il punto di forza della semplicità, col tempo diventa un pain point (facile accesso per tutti, si erano verificati scandali con intrusi). Pain points dei sistemi di videoconferenza: vedere solo la persona che sta parlando, interruzioni, sovrapposizioni, rumori di fondo. Zoom è particolarmente efficace, in quanto tutti i partecipanti sono visibili come se si fosse in presenza + la sincronizzazione audio-video è ottimizzata e, in caso di problemi di rete, tale sincronizzazione rimane. Altri pain points generali dei sistemi di videoconferenza: - è molto stancante partecipare ai meeting a causa della quantità di informazioni che dobbiamo processare (diversi contesti fisici dei partecipanti) - vedere continuamente il proprio volto è molto distraente - difficoltà nell’interpretare il linguaggio non verbale dei partecipanti - sovrapposizioni risposte-silenzi - interpretazione della direzione dello sguardo collante percettivo della metafora) → se la coerenza metaforica è basata su un insieme di tratti comuni a livello semantico, a livello grafico è importante che tale coerenza sia suggerita da elementi visivi (coerenza percettiva tra elementi funzionalmente simili). Metafora come strumento di apprendimento. TEC teoria della codifica degli eventi = gli automatismi sono associazioni tra stimoli e risposte che si formano quando, agendo ripetutamente su certe caratteristiche di un oggetto, emergono conseguenze simili (by Hommel). Gli eventi percepiti (stimoli) e gli eventi prodotti (risposte) sono rappresentati nella nostra mente; tali rappresentazioni interagiscono nel determinare percezione e azione (mutua influenza tra percezione e azione) → le azioni vengono rappresentate nel sistema cognitivo come intrinsecamente correlate alla rappresentazione del loro effetto sull'ambiente. Esempio 2: il pannello della metropolitana di Parigi. LED acceso corrisponde ad una fermata ancora da effettuare e LED spento ad una fermata già passata + LED intermittente = fermata attuale. Metafora del riempimento “up is more”: le zone vuote (cioè non illuminate) del percorso sono quelle ancora da raggiungere e che vengono riempite man mano. Come migliorare l'usabilità: invertire il simbolismo, oppure aggiungere una freccia al di sopra della mappa per indicare la direzione della metro (viene esplicitata la direzione in cui ci si sta muovendo). CAPITOLO 6: LA PIANIFICAZIONE. Pianificazione = attività attraverso cui rappresentiamo le azioni necessarie a raggiungere uno scopo; il piano è il risultato di questa attività ed è ciò che cerchiamo di mettere in pratica nell’azione. Secondo la teoria classica la costruzione del piano è un'attività mentale che comincia con la percezione del divario stato attuale del mondo VS il mio obiettivo; più in generale, ogni situazione che presenta uno stato attuale e uno stato-obiettivo differisce spazialmente e temporalmente. Miller, Galanter e Pribram hanno come obiettivo invertire il rapporto tra stimoli e risposte teorizzato dal Comportamentismo: nelle ricerche di Miller si parte dalla costruzione di una rappresentazione mentale di ciò che si vuole eseguire, e si indaga il modo in cui la risposta viene messa in pratica. Piano = è ogni processo gerarchico che può controllare l'ordine in cui deve essere eseguita una sequenza di operazioni; viene eseguito affrontando il passo successivo solo dopo aver completato quello precedente. Immagine = è tutta la conoscenza accumulata e organizzata che l'uomo ha di sé stesso e del suo mondo; serve come materiale per la costruzione di piani. Piani e immagini sono dunque complementari: una volta costruiti, i piani possono entrare a far parte della conoscenza dell’individuo, e quindi delle immagini che si può formare. Benché l'esecuzione di un piano consista nell’attenersi rigidamente ai passi che lo costituiscono, ciò non impedisce ai soggetti di impegnarsi in attività differenti dal piano predefinito → due aspetti del piano, uno generale e uno specifico. Secondo Miller, piano = sia la ragione per cui si intraprende un'azione, sia la serie di punti in successione più o meno flessibile che faranno ottenere quel cambiamento di stato. Suchman mantiene questa differenza, distinguendo però il piano dell'obiettivo (scopo dell’azione). Ciò che è fondamentale nel dialogo ma è assente nell’interazione con una macchina è la possibilità di spiegare e correggere i reciproci fraintendimenti, permettendo così di correggere l'azione nel corso dell'esecuzione. Suchman contrappone al modello di azione = esecuzione di un piano predeterminato, l'idea di piano in cui è cruciale il rapporto con l'informazione ambientale (rapporto piano-azione). L'azione diventa così il risultato dell'incontro tra un soggetto e le risorse presenti nell'ambiente nel quale agisce (relazione azione-contesto nel quale viene eseguita) → capacità di estrarre dall'ambiente gli elementi giudicati pertinenti all'azione. Teoria dell'azione situata: afferma che gli strumenti esterni che utilizzo per risolvere il mio problema + situazione materiale nella quale mi trovo influenzano in maniera significativa il modo in cui costruisco e poi eseguo il mio piano. Essenza della pianificazione sarà dunque l'esplorazione di soluzioni + interazione con gli elementi del mondo (framing del problema); tale teoria, in contesti dinamici, vuole dimostrare che la teoria classica descrive bene solo problemi affrontabili in laboratorio ma non reali. Problemi 1) passaggio dal mondo al piano (definizione di problema) e 2) passaggio dal piano al mondo (esecuzione del piano). Le due teorie si dimostrano complementari: la teoria classica ha il vantaggio della chiarezza argomentativa, ma non è in grado di rendere conto di situazioni dinamiche, mentre la teoria dell'azione situata analizza la specifica complessità di ogni situazione, mettendo però raramente in luce gli effetti più pratici di un cambio di prospettiva teorica. Utilità e semplicità sono le capacità dello strumento di inserirsi nei processi cognitivi dell’utente, facilitarli ed estenderne alla possibilità. Esempio 1: acquisto di un biglietto di viaggio online. Programma che corrisponde alla logica di pianificazione classica: prima si sceglie da dove si vuole partire e a che ora, e poi quando tornare. No interattività con gli elementi, tappe costruite secondo il modello TOTE test operate test exit. Come migliorare l’usabilità: sarebbe utile poter richiedere un biglietto in base all' orario di arrivo piuttosto che a quello di partenza + una loro visualizzazione contemporanea permetterebbe di scegliere in modo più efficace. Esempio 2: una ricetta. Il problema di molte guide all'azione è che i piani che descrivono assomigliano più a dei problem solved (resoconti narrativi circa lo svolgimento sequenziale di un'azione) anziché sostegni per l'attività situata di problem solving. Filtro per la selezione delle azioni pertinenti, che rischia però di escludere informazioni necessarie alla gestione dell'azione. Esempio 3: sistemi di geolocalizzazione. Facilita l'attività di pianificazione durante e non prima dell'azione; tre problemi: 1) disparità cognitiva tipica di tutti i sistemi che cercano di interpretare i piani dell’utente per assisterlo in tempo reale → disallineamento tra sistema e utente 2) problema di ridondanza e pertinenza: quante e quali informazioni fornire? → è possibile proporre diversi livelli di informazioni tematiche che l'utente seleziona a seconda del proprio interesse 3) asincronia nel funzionamento: quando e come adattarsi al cambiamento d'azione dell’utente? → utente e sistema non agiscono in sincronia Come migliorare l'usabilità: è preferibile privilegiare il punto di vista dell’utente piuttosto che quello del sistema; le interfacce in prima persona sono più a misura d'uomo.
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