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Introduzione alla semiotica del testo - Gianfranco Marrone, Sintesi del corso di Semiotica

Riassunto del libro "Introduzione alla semiotica del testo" di Gianfranco Marrone

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 26/10/2021

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Marta_25 🇮🇹

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Scarica Introduzione alla semiotica del testo - Gianfranco Marrone e più Sintesi del corso in PDF di Semiotica solo su Docsity! INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DEL TESTO GIANFRANCO MARRONE Introduzione Preoccupandosi di rintracciare le forme con cui le diverse culture si dotano di un senso umano e sociale, suo oggetto di studio sono i testi. (poesia, immagine, film, Per parlare del mondo e riempirlo di senso gli uomini utilizzano ciò che trovano a loro disposizione: i luoghi in cui decidono di abitare, i cibi che usano per nutrirsi, i vestiti per coprirsi, ... Dal punto di vista semiotico, il testo non è una cosa tangibile, bensì una relazione fra tale cosa e un qualche contenuto articolato che si incarica di rendere presente, facendone cogliere il portato cognitivo, la dimensione pratica e affettiva, il valore sociale. I testi con i quali ci si trova più ad interagire sono quelli linguistici, poiché legati alla forma di comunicazione verbale che la specie umana ha deciso di privilegiare per veicolare la maggior parte dei propri messaggi espliciti, e che ha perciò acquisito nel corso della storia occidentale un ruolo di primo piano. Il campo d’azione dell’espressione, comunicazione e significazione umana è però straordinariamente più ampio della dimensione linguistica. Uno degli strumenti che le varie società usano per rappresentare sé stesse, le proprie gerarchie interne, i propri sistemi di valori è per esempio quello dello spazio. La semiotica parte dall’assunto che i testi non siano altro che i diversi meccanismi formali grazie ai quali le culture esistono e resistono, parlandosi e modificandosi di continuo. Alcuni di essi sono ritenuti tali, mentre altri vengono usati inconsapevolmente e in tal modo, agendo in profondità, finiscono per essere ancor più importanti dei primi. Gli uomini sicuramente gestiscono il senso parlando tra loro e sono consapevoli di questo, ma parallelamente costruiscono molti altri sistemi di sensi (mangiare, abbigliarsi, ...) non riconosciuti come tali, finendo per essere ripensati in chiave strumentale, funzionalista, banalmente pratica. Prima ancora che studiare i sistemi di segni, la semiotica deve dunque rintracciane l’esistenza, additarne la portata, svelarne i meccanismi segreti. Rispetto a discipline come la linguistica o la teoria letteraria (da cui prende spunti, modelli descrittivi e apparati metodologici), che studiano entità testuali riconosciute, la semiotica ha un dominio d’indagine molto più ampio che coincide con le culture. (1) Il suo valore metodologico deriva dal fatto che per essa qualsiasi fenomeno umano e sociale è reinterpretabile come un testo. (2) Le varie culture tendono però spesso a nascondere tale valenza testuale, da cui il suo valore critico. ® Relazioni interne tra la semiotica del testo e altri campi della scienza del senso e della significazione (semiotica generale): quest’ultima assume stili di pensiero ripresi dalla tradizione filosofica-linguistica, mentre la prima rivendica il suo carattere maggiormente operativo (misurando il valore dei propri modelli in funzione della loro capacità descrittiva ed esplicativa, interpretativa e critica). ® Tra semiotica del testo e sociosemiotica non si danno differenze di principio. La prima esporta progressivamente i propri modelli d’analisi, resi operativi a partire da occorrenze testuali che il senso comune è più portato a riconoscere come tali, verso tutte quelle altre occorrenze testuali alle quali invece di solito viene riconosciuto il ruolo di contesti. [contesto è ciò che non è necessario agli scopi dell’analisi] ® Relazione tra semiotica del testo e semiotica della cultura: se le culture sono semiosfere, ossia luoghi di diffusione e d’incrocio fra testi, persino i modelli culturali più ampi e astratti sono interpretabili come testi. Per ragioni di contingenza pratica, poi, dei primi finisce per occuparsi chi studia il testo e dei secondi chi studia le culture. Un fenomeno viene studiato solo se ha un valore di significazione, un senso umano e sociale. Essendo che la semiotica non parla di cose ma di relazioni, va rifiutato qualsiasi atteggiamento ontologico verso la cosiddetta realtà (ontologia = studio dell’essere in quanto tale). Si da sempre e comunque ammantata di senso, pregna di significazione umana e sociale, senza la quale non solo non sarebbe analizzabile e valutabile, ma nemmeno percepibile, comprensibile. I Principi di base 1. Emergenze storiche, filiazioni plurali La semiotica del testo nasce nel corso del Novecento ed interessa l’intero ambito delle scienze umane. Ha fatto propri alcuni principi di fondo sulla base dei quali queste scienze hanno costruito la loro ragion d’essere. Alcuni di questi sono: - L’importanza della dimensione linguistica e comunicativa nella sfera sociale. - Il precetto strutturalista della primarietà delle relazioni sui termini (correlato all’idea per cui ogni entità ha valore solo se messa in rapporto con le altre entità del medesimo sistema). - Il principio della pertinenza, per cui i rapporti tra gli elementi possono variare a seconda del punto di vista dal quale li si osserva. - L'’ipotesi di uno strato profondo a ogni manifestazione empirica dei fenomeni socio-culturali che ne spieghi le logiche soggiacenti, le regole di combinazione, ... Le scienze umane, a differenza di quelle fisiche e matematiche, possono vantare un proprio rigore epistemologico perché vanno alla ricerca del modo in cui il senso umano e sociale si manifesta e si trasforma, ossia dei testi della cultura. Il cammino per giungere a questa autonomia epistemologica è stato lungo e per certi versi non è ancora terminato. La semiotica ha contribuito non poco, arrivando a proporsi come metodologia l’enunciatario, attanti astratti che possono essere trasformati in attori. Tra emittente ed enunciatore, così come tra destinatario ed enunciatario, le relazioni sono biunivoche, perché se pure i secondi sono simulacri dei primi, molto spesso sono invece proprio loro a determinarli. È l’immagine del pubblico nelle trasmissioni televisive a determinare i comportamenti ricettivi dell’audience. Ivi compresa la possibilità di un ribaltamento di posizioni, di modo che è la prassi di consumo a costituire il senso dei testi. ® Intertestualità e traduzione Il testo vive all'interno di una semiosfera, una rete intricatissima di testi tutti in collegamento tra di loro (intertestualità). Ogni testo contiene citazioni, biglietti d’invito per leggere altri testi. La relazione tra un testo ed un altro è costitutiva per l’identità di entrambi. Vive inoltre nella sua capacità di essere tradotto in altri testi. 3. Principio di pertinenza La semiotica del testo non studia oggetti, cose, realtà date ma relazioni, strutture, sistemi. Secondo il principio della pertinenza ogni singolo elemento dipende dagli altri con cui interagisce, ed è solo la loro interazione a costituire la significazione, il senso articolato, culturalmente valido. Una semplice lettera dell’alfabeto significa tutto e niente, perché il suo senso cambia moltissimo a seconda del contesto in cui è inserita, del testo che la pone come elemento in una rete di relazioni. È questa la pertinenza, la scelta del punto di vista attraverso cui si considerano gli elementi. L’analisi del testo è una procedura rigorosa atta a rintracciare l’intreccio di pertinenze che costituiscono una determinata configurazione di senso, la gerarchia delle domande che occorre fare al testo per svisceramne le articolazioni. 4. Principio generativo Il principio della parafrasi afferma che qualsiasi oggetto semiotico può essere espanso o contratto a seconda dei casi, delle esigenze specifiche, degli obiettivi comunicativi, delle strategie in cui è inserito Nel caso di un racconto, ad esempio, posso riassumerlo in una singola frase (“Ulisse torna a Itaca”), oppure dilungarmi in un intero poema epico (e scrivo l'Odissea). I livelli di senso di un testo sono i vari modi possibili in cui esso può essere parafrasato, dal modo più semplice e astratto a quello più complesso e concreto. Ciò che probabilmente a un determinato livello non si coglie diviene chiaro in un altro, più chiaro in un altro ancora, finché, quando gli obiettivi descrittivi sono raggiunti, l’analisi si conclude. Per questo si parla di percorso generativo. Il testo è pensato come una pasta sfoglia, composto quindi di strati giustapposti. Scopo dell’analisi è quello di ricostruire la gerarchia dei livelli sottostanti. A tale scopo ci si serve del modello del percorso generativo del senso. Secondo questo il senso presente in un testo è articolato in significazione sulla base di livelli di pertinenza collocati a vari piani di profondità, in ordine crescente di complessità e di concretezza. Quelli profondi sono astratti e semplici, i superficiali più concreti e complessi. * Illivello profondo del percorso è quello delle strutture narrative, suddivise in due strati: - Strato fondamentale (più profondo) = nel quadrato semiotico la significazione prende corpo a partire da relazioni semplici di contrarietà, contraddizione e complementarità. - Strato antropomorfo (più superficiale) = la significazione si arricchisce di programmi narrativi, nei quali interagiscono attanti e modalità. Questo livello prende in considerazione le invarianti semiotiche, ossia quei fenomeni riscontrabili in ogni testo (ad esempio, opposizioni quali vita/morte o natura/cultura possono essere ritrovate in profondità a qualsiasi configurazione di senso). * Illivello superiore è quello delle strutture discorsive. Le relazioni, i valori, gli attanti e le modalità vengono arricchiti sia da attori, spazi e tempi (componente sintattica), sia da temi e figure (componente semantica). L’enunciazione o messa in discorso delle strutture narrative porta a variazioni semiotiche, ossia dei vari tipi di discorso (letterario, pubblicitario, giornalistico, ...) che circolano nelle varie culture. * È però grazie al meccanismo della testualizzazione che i discorsi ricevono quelle sostanze espressive che permettono loro di manifestarsi e concretizzarsi in veri e propri testi. Così, ad esempio, il discorso pubblicitario sarà uno spot (se trasmesso in tv o al cinema), un annuncio a stampa (se presente in un giornale), un comunicato (se trasmesso in radio) etc. Questo modello non intende presentare l’effettiva costruzione di un determinato testo, ma soltanto ipotizzare il simulacro teorico di questa costruzione potenziale. Un musicista, al momento di comporre una sinfonia, non ipotizza dapprima le relazioni profonde tra elementi semantici puri, poi i valori, poi gli attanti e le modalità, ..., e solo alla fine vi mette le note e le melodie. Ovviamente la compone tutta in una volta. È semmai l’analisi semiotica che, dovendo mostrare quali sono gli elementi di quella sinfonia e le relazioni che intrattengono, compie a ritroso il percorso che il senso viene ipotizzato seguire al momento della sua generazione (dalla testualità verso i livelli più profondi). 5. Testo e cultura Questo modello ci permette di capire la ragione tecnica per cui un testo può contenere al suo interno un’intera cultura o comunque può costituire un aiuto per ricostruirla. Infatti man mano che si scende verso livelli più profondi del percorso si incontrano configurazioni culturali più ampie. Una poesia, un’area urbana o un sito internet sembrano essere oggetti chiusi, la cui significazione particolare viene circoscritta entro confini più o meno ristretti. In realtà sono manifestazioni specifiche di configurazioni antropologiche molto più ampie. Anche un divano non è solo un oggetto per sedersi, ma la manifestazione estetica di un discorso sociale sul modo di stare in salotto, di interagire con gli altri, di fare arredamento accoppiandosi con altri oggetti di mobilio etc. Piuttosto che limitarsi ad adeguare i testi ai contesti, cercando in questi le spiegazioni dei primi, il problema diviene quello di ricostruire modelli antropologici molto ampi a partire da analisi testuali molto minute. Fra testo e contesto c’è una gerarchia variabile di relazioni, perché ciò che è testo può diventare contesto secondo una diversa prospettiva culturale (un componimento poetico che diviene il modello per un’altra produzione), ciò che appartiene ad un genere col tempo può essere ripensato in un altro. E così via. Il testo della cultura è sia il singolo testo che una cultura produce al suo interno sia la testualità intera di quella cultura. Sono le culture a modellizzare il mondo, generando un metameccanismo che distribuisce le sue emergenze ora in testi ora in anti-testi. Ogni testo emana la sua aurea di contesto e anche se viene allontanato dal suo contesto originario, ne produce un altro (un crocifisso portato via da una chiesa, in cui valeva come oggetto religioso, genera un nuovo luogo, il museo, in cui vale come opera d’arte). Crea la propria esteriorità in funzione del significato globale di cui esso è portatore, entra in dialogo col suo esterno, come un edificio che col suo stile dà un senso agli altri che gli stanno intorno in una strada, per analogia o per contrasto. I Principio della narratività 1. Narrazione e narratività Non bisogna confondere narrazione e narratività ® La narrazione riguarda tutti quei prodotti testuali che, nella nostra e in altre possibili culture, vengono intesi come racconti (fiabe, leggende, novelle, ...) o che raccontano storie (romanzi, poemi epici, ma anche film, opere teatrali, ...). Si tratta di una nozione intuitiva, concreta e cangiante nel tempo e nello spazio, la quale si usa nel linguaggio comune per designare le opere come narrative o non narrative. * La narratività, invece, concerne quelle caratteristiche costanti, essenziali, formali e astratte del racconto che si ritrovano sia in questi prodotti testuali, che in qualsiasi tipo di discorso anche apparentemente molto lontano e diverso dai racconti propriamente detti: un trattato di filosofia, un’opera pittorica, l'architettura di un edificio, un’immagine pubblicitaria, una città, ... È una categoria astratta e tendenzialmente stabile, costruita all’interno del metalinguaggio della semiotica come ipotesi interpretativa per descrivere la struttura profonda di ogni manifestazione culturale. Fra i due fenomeni c’è parziale sovrapposizione: c’è narratività in ogni narrazione, ma non sempre narrazione dove c’è narratività. La struttura narrativa del testo garantisce il potere significativo e l’efficacia comunicativa, contribuisce in maniera determinante alla costruzione di quella fiducia di fondo fra enunciatore ed enunciatario senza la quale nessuna testualità ha ragion d’essere. 2. Strutture elementari della significazione che si compie all’interno di qualsiasi fenomeno culturale o esperienza vissuta. È l’organizzazione basilare di ogni processo semiotico di produzione e circolazione del senso. A dare senso al mondo sono le trasformazioni che vi accadono. Niente acquista significato se non viene in qualche modo paragonato a ciò che era prima, ciò che potrà diventare, a qualche altra cosa che potrebbe stare al suo posto. Il senso, prima ancora di essere significato concettuale, è direzionalità, progettualità e cambiamento. Le strutture narrative possono essere descritte secondo due diverse pertinenze del percorso generativo del senso: * quella, più astratta, dove si costruiscono le categorie semantiche, articolate per differenza interna nel guadrato semiotico — livello fondamentale - abbozzo di racconto - il senso si costruisce grazie alle tre relazioni (contrarietà, contraddizione, complementarietà) e alle due operazioni (negazione e affermazione) degli universi di senso bisogna introdurne la dimensione dinamica. Accanto alle relazioni (paradigmatiche), occorre porre due operazioni (sintagmatiche): Negazione: / a Operazione che porta da un termine al suo contraddittorio (in obliquo). Affermazione: non si — S2 / non Ss; — si Operazione che porta da un termine al suo complementare (in verticale). Il quadrato semiotico da un lato genera i termini a partire dalle relazioni (suo momento statico) e dall’altro permette i passaggi da un termine all’altro (garantendo la descrizione di una dinamicità interna alle categorie semantiche e agli universi di senso). Esso costituisce e articola i valori all’interno di un testo e abbozza la tensione verso e tra questi valori, in modo da ipotizzare un universo in costante trasformazione interna. Per quanto riguarda la categoria semantica che articola l’opposizione fondamentale tra natura e cultura, il quadrato non solo dà conto delle possibili relazioni bi x attraverso cui ogni formazione sociale si costituisce Natura Cultura # | O | | generando la propria specifica alterità naturale, ma prospetta anche possibili percorsi mediante cui queste formazioni sociali possono essere prodotte: - ora negando lo stato di natura (natura —> non natura) e affermando quello di cultura (non natura + cultura) x Mito = itinerario che afferma la cultura Non cultura Non natura - ora al contrario prospettando ritorni verso il naturale (cultura + non cultura, non cultura — natura) Ecologia = itinerario che dalla cultura ci porta alla dimensione del nostro riconoscimento come soggetti che si posizionano all’interno dell’universo della natura. Ci si dirige verso quel termine che si considera positivo (valore da raggiungere) allontanandosi da quell’altro che si considera negativo (un disvalore). L’operazione di valorizzazione del mondo è nello stesso tempo intrinsecamente logica e potenzialmente narrativa. Il modello del quadrato semiotico è la descrizione in nuce dei processi narrativi: se la narratività è generazione del senso tramite trasformazione, questa trasformazione è già presente nel passaggio che va da un termine al suo contrario tramite la sua preventiva negazione. Per questo la logica narrativa (forma primaria della nostra esperienza concreta) collide con la logica aristotelica. Se infatti per quest’ultima è basilare il principio di non contraddizione (o a o non a), per la prima, invece, la contraddizione (ripensato sotto forma di negazione) è l’anima di ogni storia, il motore di ogni attribuzione di significato. Il senso nasce dalla negazione. Un neonato dà senso al mondo circostante quando inizia a percepire negazioni: per lui hanno significato l’assenza di cibo o della madre, mentre la loro presenza non ha nessun significato. Termine complesso e termine neutro Oltre ai sèmi sin qui prospettati (si, s., non si, non s©), detti termini di prima generazione, è possibile pensare ad altri sèmi, detti termini di ted seconda generazione, che si costituiscono Maschio n Femmina quando i termini contrari trovano forme di convergenza. x Così, in un quadrato semiotico che articola la 7 categoria della sessualità all’interno di un 2 orizzonte culturale mitico, l’unione di maschile a N sini Non femmina Non maschio e femminile genera il termine ermafrodita, mentre l’unione di non femminile e non maschile genera il termine angelo. Nel primo caso si tratta di una figura dotata di una doppia sessualità, gli angeli, invece, sono doppi senza sessualità. Il termine che riunisce i sèmi contrari viene detto complesso, mentre quello che riunisce i sub- contrari viene detto neutro. Laddove il primo costituisce un arricchimento di senso, se non un ritorno verso una specie di indistinto originario (un po’ come l’ermafrodita, per Platone, precedeva la distinzione fra sessi), il secondo sfuma invece spesso verso il non senso, l'indifferenza semantica (negare entrambi i termini di un’opposizione comporta spesso l’elisione dell’intera categoria semantica). L’antica retorica chiamava i termini complessi ossimori e spiegava così espressioni come il giovane-vecchio. Ma già la lingua comune è piena di questo tipo di termini. Tiepido è per esempio la neutralizzazione dell’opposizione fra non caldo e non freddo, indica qualcosa che non è né caldo né freddo. E se i miti sono una riserva inesauribile di termini complessi (semidei, animali/uomini, ...), il discorso mediatico ne fa un grande uso, cercando, tramite questi, di conciliare proprietà che comunemente vengono socialmente percepite come opposte (economico vs elegante). Dietro ogni termine complesso si nasconde un termine neutro: qualcosa che viene proposto come economico e al contempo elegante finisce facilmente per essere né l’uno né l’altro. Costituzione delle assiologie Il quadrato semiotico ha un altro ruolo: quello di produrre assiologie, cioè sistemi di valori. Per far sì che questo accada occorre che i termini acquistino un peso ora positivo ora negativo. Questo peso varia a seconda delle culture, degli universi di discorso, delle forme di vita o dei singoli testi in cui la categoria viene utilizzata. Rispetto al sistema di segnalazione del lutto, ad esempio, sappiamo che il termine pertinente nelle culture occidentali è il nero (valorizzato dunque negativamente, perché indice della morte), mentre in certe culture orientali è il bianco (che acquista, per la medesima ragione, valore negativo). Ciò che ci consente di dare un peso positivo o negativo ai termini è la categoria timica (prima attribuzione di significato che noi diamo al mondo), la quale va sovrapposta al quadrato semiotico rappresentante l’articolazione logica di una qualsiasi categoria semantica. La categoria timica distribuisce ai vari termini s l’opposizione euforia vs disforia. L’omologazione fra il su n sèma euforia e un certo termine produrrà una Sianco DE valorizzazione positiva (+); mentre l’omologazione tra il S î sèma disforia e un altro termine produrrà una “x va valorizzazione negativa (-). All’interno degli universi semantici, dei contesti sociali, ... certi valori sociali (giustizia, benessere, ...) o certi valori individuali (eros, affermazione di sé, ...) vengono generati a partire dal modo in cui le categorie semantiche entro cui abitano vengono messe in racconto, cioè dal modo in cui questi valori entrano in relazione con i termini contrari, contraddittori e complementari all’interno di specifici quadrati considerati come pertinenti. La categoria timica è un semantismo spontaneo legato al modo in cui l’uomo percepisce sé stesso (propriocezione) e l’ambiente immediatamente circostante attraverso sensazioni. Prima ancora di capire se il mondo è importante, utile, interessante per noi, cogliamo innanzitutto il fatto che esso (cose, persone, luoghi, situazioni) può procurarci fastidio o piacere, essendo disforici o euforici. È la riflessione cognitiva che trasforma poi l’attrattiva in interesse e la ripulsa in disinteresse. La differenza tra strumentalità ed estetica, cognizione e piacere (tra ambienti che possono servire e ambienti in cui ci si trova bene), è fondamentale per la costruzione di molte configurazioni culturali, che giocano quasi l’intera loro esistenza al confine fra decisioni razionali ed esperienze affettive. Espandendo l’opposizione fra i contrari euforia e disforia se ne ricavano la non euforia e la non Diaforia disforia, come anche i termini complesso (diaforia) e Euforîa Disforia neutro (adiaforia). Questi ultimi due permettono di spiegare QI: l’esistenza di pulsioni verso qualcosa o qualcuno minime, non ancora distinte in positive e negative (attrazioni e repulsioni). Spesso i media lavorano per ottenere questo tipo di effetto, mirano ad attirare la nostra attenzione. Toscani, nella comunicazione Benetton, produceva situazioni di choc percettivo e cognitivo, una sorta di Non disforia Non euforia sospensione momentanea dell’attribuzione di valore (in Gera nome di una diaforia pura). Dividendo il pubblico, ma, in ogni caso, producendo notorietà e successo. 3. Elementi di grammatica narrativa Ricondurre la narratività alle operazioni del quadrato semiotico, negazione e affermazione, è riduttivo. Accade molto spesso che i racconti descrivano certi contenuti e si chiudano invece sui contenuti opposti. Si dice in questi casi che il racconto è il passaggio da un contenuto invertito (che sta all’inizio) a un contenuto posto (che sta alla fine). In tal modo il messaggio del racconto non sta né all’inizio né alla fine, ma nel passaggio dall’uno all’altro, ossia nel processo di trasformazione. A livello antropomorfo, il racconto si configura come una successione non casuale di trasformazioni di stati, dove sono in gioco soggetti, oggetti e valori, che mira a un qualche risultato finale. Con stato si intende una relazione di congiunzione o di disgiunzione tra due attanti narrativi, un Soggetto e un Oggetto (attanti di base, sempre presenti all’interno del racconto). Le trasformazioni sono da intendere come il passaggio da una congiunzione ad una disgiunzione o viceversa — trasformazione disgiuntiva/congiuntiva. Il racconto è omologo alla frase: c’è un processo (fare) e alcuni protagonisti di questo processo (essere), più alcuni elementi accessori (altri processi, altri attanti). Precisazioni: Il Soggetto e l’Oggetto (individui o cose) sono termini, e in quanto tali esistono, si definiscono, si costituiscono soltanto nella loro relazione reciproca. Non può esserci l’uno senza l’altro. Il Soggetto è quell’elemento narrativo che è congiunto o disgiunto con l’Oggetto. L’Oggetto è quell’altro elemento narrativo che è dato nella sua congiunzione o disgiunzione con il Soggetto. Entrambi sono attanti, elementi sintattici attraverso cui si articolano e prendono corpo le forze semantiche in campo in un determinato racconto. Nessuna soggettività (individuale o collettiva, sociale o istituzionale) esiste senza una qualche intenzionalità, un dirigersi verso qualcosa a essa esterna. Allo stesso modo, nell’universo del senso non si dà alcuna oggettività esteriore a sé stante, estranea a noi, ma è un elemento che è tale sempre per un soggetto. Si danno nel racconto due tipi di Soggetto: un Soggetto operatore che mette in atto le trasformazioni e un Soggetto di stato che è congiunto o disgiunto dall’Oggetto. Gli incastri tra programmi possono essere i più vari e raggiungere forme molto sofisticate di complessità, dove la sospensione del PN di base comporta l’innesco di una serie di PN d’uso, completati i quali è possibile tornare al PN di base e portarlo a termine. Accade spesso che si cerchi di mettere in moto PN di base senza passare dai PN d’uso (agendo senza essere competenti) oppure, viceversa, che i PN di base vengano abbandonati a favore di puri programmi d’uso. Di frequente vogliamo oggetti inutili, ci dotiamo di competenze che non ci servono e poi, una volta congiunti con esse, ci mettiamo a fare cose che prima non ci interessavano, di cui prima non sentivamo il bisogno. Si tratta del problema della sovrapposizione fra desideri e bisogni, della nascita più o meno indotta dei primi a discapito dei secondi, della manipolazione delle coscienze che trasforma i cittadini in consumatori. Ma da dove provengono questi desideri? È un terzo attante, il Destinante, che, provenendo da una dimensione altra, trascendente rispetto all’universo narrativo dato, trasmette al Soggetto i valori di cui egli è portatore, gli conferisce la prima modalità necessaria per passare all’azione. Il Soggetto non è mai un individuo singolo, ma si configura da principio come essere-nel-mondo che, prima di cominciare il suo percorso narrativo di costruzione o di trasformazione della propria identità, vive relazioni (ora polemiche ora contrattuali) con altri soggetti sociali, che gli forniscono doveri e voleri. C'è sempre, volenti o nolenti, qualcuno che è il nostro destinante: sia esso un’entità divina, un’istituzione, una comunità, una star dello spettacolo, un partito politico, una marca, ... Se il racconto è una struttura chiusa (con un inizio, uno svolgimento e una fine), la figura del Destinante lo tiene in qualche modo dischiuso e in contatto con un universo semantico altro. Se nell’Oggetto sono sempre inscritti dei valori soggettivi, tali valori arrivano al Soggetto dall’esterno, di modo che ogni racconto è in perenne e necessario collegamento con altri racconti, con altre storie. E le relazioni tra l’universo narrativo dato e l’universo trascendente vengono interamente gestite dal Destinante, figura trait d’union fra ambienti e contesti diversi, colui che all’inizio conferisce al Soggetto i valori in gioco e alla fine giudica l’operato di questo sulla base degli stessi valori. È dunque sia mandante che giudice (intesi come attanti e quindi rappresentabili con lo stesso attore o con due diversi) —- Destinante manipolatore e giudicatore La figura del Destinante è ancora più importante di quella del Soggetto, poiché non solo da lui dipendono i valori che il Soggetto si incarica di raggiungere, ma anche e soprattutto il peso sociale di questi valori, la loro valenza, il valore dei valori (giudizio sul valore). Avere un buon Destinante è essere già in una buona posizione. Esserne privi è un forte svantaggio. Lo sanno bene gli uomini politici, che pongono ora il Popolo, ora la Chiesa, ora la Comunità europea, come loro Destinanti, trasferendo indirettamente su sé stessi l’autorità (o l’autorevolezza) che da quelle realtà molto spesso proviene. E lo sanno bene le marche, anch’esse preoccupate di dotarsi di Destinanti più o meno gloriosi, mitici, accettabili e pronte, a loro volta, a proporsi come Destinanti per i loro potenziali consumatori. 5. Schema narrativo canonico Lo schema narrativo canonico è un modello a quattro tappe che è supposto essere adoperabile per ogni aspetto della narratività. Contratto Prova qualificante Prova decisiva Prova glorificante Manipolazione Competenza Perfomance Sanzione Contratto fra Acquisizione da parte Scontro fra Soggetto Giudizio sull'operato Destinante e Soggetto | del Soggetto della e Antisoggetto (fare) del Soggetto da parte ‘sui valori in gioco capacità di agire del Destinante (dovere e voler-fare) (potere e saper-fare) Momento cognitivo Momento pragmatico Momento pragmatico Momento cognitivo Il momento centrale di ogni struttura narrativa è quello della Performance, l’atto che, se riuscito, porta alla trasformazione narrativa e che dunque consente un passaggio da uno stato iniziale (spesso negativo) ad un secondo stato (spesso positivo). Nelle fiabe questo momento spesso corrisponde a ciò che i folkloristi chiamo Funzione Lotta e i mitologi Prova Decisiva, poiché comporta un incontro-scontro con un Antisoggetto che all’interno del medesimo racconto porta avanti un programma narrativo opposto. Si tratta di una messa alla prova delle capacità del Soggetto (del suo potere e saper-fare) di contro alle capacità di cui a sua volta viene dotato l’ Antisoggetto. Ma, più profondamente, si tratta di una sorta di verifica della tenuta sociale dei suoi valori, della loro valenza, rispetto ai valori opposti di cui è portatore l’ Antisoggetto. L’azione della performance (corrispondente all’esito del PN di base) deve essere preceduta da altre azioni (articolate nel PN d’uso), consistenti nell’acquisizione delle competenze necessarie (potere e saper-fare) per svolgere la performance (Competenza). Nelle fiabe questo momento viene spesso messo in scena come Fornitura, spesso sotto forma di Dono, di quel mezzo magico che consente all’eroe di risolvere il Danneggiamento iniziale. Nei miti si tratta della celebre Prova qualificante grazie alla quale l’eroe entra in possesso degli oggetti, delle informazioni o degli alleati che gli permetteranno di acquisire poteri straordinari. Tale acquisizione non è quasi mai pacifica. Se talvolta il mezzo magico è frutto di un Dono o è prevista la presenza di un Aiutante, molto più spesso c’è una prova da superare, uno sforzo da compiere rispetto ad un Oppositore, ovvero un altro attante narrativo che ostacola il compiersi del programma d’uso. I due momenti pragmatici dello schema narrativo (Competenza e Performance), quelli dove si collocano le azioni, sono incorniciati da due momenti cognitivi, dove è in gioco la questione dei valori narrativi. Il primo di questi è quello della Manipolazione, in cui il Destinante e il Soggetto stipulano un contratto sulla base del quale il Soggetto acquisisce un volere o un dovere. Il conferimento del dovere è più facile poiché deriva dall’uso della forza o dalla rivendicazione di una qualche autorità legata alle gerarchie sociali preesistenti, ma è al tempo stesso più labile, poiché all’autorità ci si può sempre ribellare. Il conferimento del volere è molto più delicato, poiché comporta una procedura di persuasione, un vero e proprio convincimento circa la validità di un determinato sistema di valori. È per questo che il momento della manipolazione è anche molto spesso quello del contratto, di quell’accordo fiduciario implicito tale per cui il Soggetto, per aderire ai valori del Destinante, deve in primo luogo avere fiducia in quel che il Destinante gli dice e gli promette. Una volta ottenuta la fiducia, stipulato il contratto, la manipolazione sarà molto più efficace. Non c’è più un’autorità che s'impone, ma semmai un valore assunto, un sistema di valori fatto proprio, in nome del quale si agisce (e si patisce) fieramente, euforicamente. Il secondo elemento cognitivo dello schema narrativo canonico è quello della Sanzione, momento finale del racconto in cui il Soggetto, operata la performance, si ripresenta al cospetto del Destinante e sottopone al suo giudizio il proprio operato. Se la sanzione è positiva (corrispondente cioè ai valori concordati nel contratto iniziale) l’eroe verrà trasformato, se è negativa ripiomberà nell’anonimato tipico dei non-soggetti. Nelle fiabe si tratta della cosiddetta Funzione Nozze, momento in cui l’eroe, tornato a casa, intraprende uno scontro con un falso eroe che pretende di prendere il suo posto, in modo tale da mostrare al popolo d’essere stato proprio lui a sconfiggere l’antagonista, da essere riconosciuto come eroe a tutti gli effetti, ottenendo infine una ricompensa che lo trasforma. Nei miti questo momento viene detto Prova Glorificante, poiché in esso l’eroe mitico, esaurita la sua ricerca, deve compiere quelle nuove fatiche che possono dargli gloria e con essa l’istituzionalizzazione della sua avvenuta trasformazione. La sanzione è il momento in cui si tirano le somme di quanto è accaduto. È un giudizio sulla performance attuata dal soggetto, ma più a monte sulla competenza che ha acquisito e indirettamente sul suo sistema di valori. Quel che torna in gioco è il contratto stipulato all’inizio, sulla base del quale il Soggetto avrebbe dritto ad una ricompensa per la missione ben svolta. Ancora una volta è la figura del Destinante ad emergere in tutta la sua importanza. È il Destinante a darci un destino, ad assicurarci il senso profondo di tutte quelle azioni che possono far sistema all’interno di una narrazione ben compiuta. Alcune fondamentali precisazioni: Il modello dello schema narrativo canonico si colloca ad un livello di pertinenza del senso molto profondo. Ciò significa che non tutti i momenti dello schema devono essere necessariamente presenti in un testo che si vuole interpretare come un racconto così come in una specifica esperienza vissuta. In molte storie, ad esempio, il momento della manipolazione non viene raccontato ma emerge indirettamente dalle azioni compiute dall’eroe, dalle ragioni che lo portano ad intraprendere determinati programmi, ad identificare in certi personaggi i propri nemici e in certi altri i propri amici. In altre storie a non venire raccontata è invece la performance: se in un certo film vediamo che un personaggio si è dotato di una spada che rende invincibili, non è necessario che nella scena successiva ce lo si mostri mentre la usa contro il cattivo, in quanto sappiamo già che vincerà e possiamo passare direttamente alla sanzione. Per questo motivo la narrazione è una forma di argomentazione mascherata: apparentemente racconto solo una storia, tralasciandone alcuni aspetti, ma questi aspetti li ho occultati, non realmente omessi. Se mostro un qualcuno che s’inebria nel mangiare un certo gelato di una certa marca, apparentemente sto mostrando solo il momento positivo del consumo del bene, in effetti sto alludendo alle capacità produttive di quella marca, alla sua competenza nel procurare piacere. Ma come è possibile questa operazione mentale che ci permette di ricostruire a partire da un singolo frammento l’intero racconto? attraverso quale tipo di ragionamento si passa dalla variante singola al modello invariante unico? Una volta stabilita l'appartenenza del modello alla cultura di riferimento dell’interprete, va detto che la possibilità di ricostruire a partire da un momento dello schema tutti gli altri è data soltanto per presupposizione. Si può cioè andare all’indietro nello schema, ma non in avanti per implicazione. Infatti, se il compimento di una performance presuppone l’acquisizione 7. Logiche dell’affetto Il modo d’essere relativo all’identità di un soggetto o di un’atmosfera è la processualità interna e la conseguente articolazione degli stati di congiunzione e di disgiunzione tra soggetto e oggetto. Questi stati narrativi non hanno nulla di statico; allo stesso modo per cui gli stati d’animo sono sommovimenti interiori della psiche, modulazioni affettive, che si configurano come una sorta di ricarica motivazionale profonda che rilancia i programmi narrativi conferendo nuovo vigore ai sistemi di valori. Bisogna ridefinire la narratività come un processo orientato di trasformazione di azioni e passioni dove ogni azione genera una passione e viceversa ogni passione provoca un'azione. Il senso umano e sociale viene prodotto con attività cognitive, comportamenti culturalmente codificati, ma anche a partire dall’affettività che fa riferimento continuo alla realtà somatica. Viene neutralizzata l’opposizione fra ragione e passione e con essa quella fra azione e passione (tale per cui la passione è la conseguenza di un’azione subita, una sorta di passivazione del soggetto che viene dominato controvoglia dal mondo). La dimensione passionale è da una parte linguisticamente e culturalmente determinata e dall’altra possiede uno strato profondo che precede la sua stessa organizzazione linguistica e culturale. Ci sono passioni senza nome. Semioticamente la passione è un effetto di senso del discorso. Sia perché i vari discorsi producono, sollecitano o trasformano le emozioni di produttore e pubblico. Sia perché l’idea stessa di affettività è la risultante finale di una serie di meccanismi semiotici. Se infatti la categoria timica è la base di ogni processo passionale, altrettanto importanti sono i giochi e gli incastri modali (la gelosia ha in sé un voler-sapere, l’ostinazione è un voler-fare che si innesta un non-poter-fare). Altri fenomeni che producono effetto di senso passionale sono la temporalità (la nostalgia è una passione del passato come la speranza lo è dell’avvenire), l’ aspettualità (ci sono passioni istantanee come l’orrore e passioni durative come l'angoscia), la tensione (si pensi a opposizioni come teso- disteso, raccolto-rilassato), l’intensità (che genera un coinvolgimento emotivo più o meno forte) ed il ritmo (un cambiamento di calore o di suono veicola effetti passionali evidenti). Questi si intrecciano fra loro e dal loro intersecarsi gli affetti nascono e si modificano. Ogni determinata passione è l’esito di questi possibili montaggi fra fenomeni semiotici diversi. 8. Percorso passionale canonico Il meccanismo della passione è dinamico e processuale. Così come lo schema narrativo canonico, anche i processi affettivi fanno riferimento a un loro percorso canonico costituito da tre tappe fondamentali (Composizione, Sensibilizzazione, Moralizzazione), la seconda delle quali a sua volta divisa in tre parti (Disposizione, Patemizzazione, Emozione). Secondo questo modello ogni situazione passionale può essere inserita in uno di questi cinque momenti, i quali costituiscono una sorta di crescendo (dai semplici e indefinibili umori ad un catalogo etico, variabile nel tempo e nello spazio, dei vizi e delle virtù). Una passione è una serie articolata di tappe dal diverso valore semantico (per esempio la collera è l’esito di un’attesa frustrata verso l’azione di qualcuno su cui si era riposta fiducia e che non si vuole perdonare). - = in questo primo momento si manifesta una predisposizione del soggetto ad accedere al percorso passionale sulla base di un attante costituente. Nel caso di una passione come l’avarizia la costituzione consiste in quella sorta di generico attaccamento alle cose che un soggetto, per ragioni diverse, può avere acquisito dall’ambiente in cui vive che lo ha influenzato. Non si tratta di vere e proprie passioni ma di propensioni patemiche. È quindi il regno specifico di quelle che abbiamo chiamato passioni senza nome e soprattutto senza soggetto singolo in cui vi è una specie di atteggiamento umorale collettivo. - sencibilizzazione = la disposizione affettiva diviene passione propriamente detta. L’attaccamento alle cose, ad esempio, viene inteso come specifica avarizia. - La prima tappa è la disposizione dove il soggetto acquista le capacità necessarie per disporre il proprio animo ad appassionarsi in un modo anziché in un altro. L’avaro organizza la sua generica inclinazione come non-voler-essere disgiunto dai propri beni. - La seconda tappa è la patemizzazione, vera e propria performance passionale. L’avaro trasforma immaginariamente il valore dei propri beni mettendo in moto un programma per la loro strenua difesa. - La terza tappa è l’emozione, conseguenza della passione sul corpo del soggetto, manifestazione somatica dell’affetto che tende a trasformare la corporeità o può farla agire direttamente (rossori, balbuzie, tremiti, ...). Il corpo diviene veicolo di significazione e di comunicazione. La conseguenza della passione realizzata sul soggetto appassionato è la perdita del controllo individuale, irrazionale, l’uscire fuori di testa. Questa porta al pubblico oltraggio o in ogni caso a un esporsi involontario del soggetto rispetto al teatro del mondo. - Moralizzazione = i dispositivi passionali che hanno preso forma e si sono palesati vengono posti al vaglio di una regola sociale che tende a configurarsi come norma etica. Un attante valutatore che opera secondo il principio classico della misura, decide circa l'eccesso o l’insufficienza di una determinata passione rispetto a determinate direttive sociali. La passione diviene vizio o virtù. Ritornando all’avarizia, ad esempio, è per merito della moralizzazione che si distinguerà la parsimonia dalla tirchieria, laddove la prima viene socialmente accettata mentre la seconda rifiutata. Importanti chiarimenti: Nonostante ci si trovi di fronte ad uno schema, la passione è un processo dinamico. Lo scopo dell’analisi è quello di sfuggire alle stereotipie linguistiche e discorsive, spiegandone le procedure costruttive. In secondo luogo l’elaborazione dello schema passionale risente dello schema narrativo. Costituzione e moralizzazione rimandano a manipolazione e sanzione, i tre momenti della sensibilizzazione riprendono il doppio momento della competenza e della performance. Ciò costituisce un pregio perché sottolinea il carattere dinamico della passione (in analogia a quello del racconto) e ribadisce la necessaria mescolanza di azione e passione, della dimensione pragmatica con quella passionale. Le mansioni dei diversi attanti presenti nel percorso passionale canonico (attante costituente, soggetto appassionato, attante valutatore) vengono ricoperte dal medesimo attore o più attori si incaricano di rendere la medesima funzione attanziale. Posso essere il moralizzatore di me stesso, così come posso avere un’ingente schiera di costituenti (parenti, amici, ...). Inoltre non è detto che tutti i momenti del percorso debbano essere presenti nella superficie del testo e debbano seguirne lo svolgimento lineare. L'importanza di questo schema sta nel fatto che è sufficiente reperire (in superficie) anche soltanto uno dei momenti del percorso per poter ricostruire (in profondità) tutti gli altri. È significativo vedere quali elementi del percorso vengano manifestati alla superficie e quali invece occultati alla profondità, in modo da ricostruire una dialettica dell’implicito e dell’esplicito. 9. Forme di vita Lo schema canonico nasce per progressiva generalizzazione di un genere narrativo preciso, la fiaba russa, dunque di un prodotto culturale geograficamente e temporalmente circoscritto. Alla base vi è una concezione culturale molto precisa, tendente a valorizzare l’azione a discapito della passione, l’istituzione piuttosto che il sentimento, il fare rispetto all’essere. Concezione che, sebbene certi prodotti di massa sembrano riprendere e amplificare, è molto parziale, anche e soprattutto alla luce delle molteplici e complesse trasformazioni geopolitiche e socioculturali della società e del mondo attuale. Lo schema narrativo canonico è insomma un modello da ridimensionare, eliminando da esso l’aura di universalità. È un buon punto di partenza per spiegare alcuni meccanismi di produzione del significato, ma non è l’unico possibile. A tale modello vanno progressivamente aggiunti tutta una serie di altri modelli che rendono conto di fenomeni sociosemiotici più complessi e più fini che la semplice successione delle sue quattro tappe standard non riesce a spiegare. Alle soggettività di tipo progettuale, basate su decisioni controllate cognitivamente, si accostano altre forme di soggettività e d’esperienza, più interessate all’affettività, o all’espressività estetica, alla cura e all’esibizione del corpo, ... Si tratta di forme di vita anche molto diverse fra loro, ma tutte probabilmente riconducibili ad una deformazione coerente dei modelli standard del vivere Deformazione che può più o meno stabilizzarsi, entrare nell’uso comune, fare sistema e divenire fonte di negoziazione nell’arena sociale. Un esempio: una giovane lancia un guanto in una fossa di leoni, promettendo il proprio amore al cavaliere che va a recuperarlo. Un cavaliere accetta la sfida, affronta la prova, restituisce il guanto, ma rifiuta l’amore della fanciulla e s’allontana solitario. Il gesto inaspettato è un’assoluta negazione della logica narrativa per cui un soggetto si sottopone ad una prova per congiungersi con il proprio oggetto di valore. Qui ad essere valorizzata è l’azione priva di utilità e per questo dotata di un notevole peso etico: le fanciulle non dovrebbero concedersi così, e i veri cavalieri non dovrebbero conquistarle grazie alla loro destrezza in battaglia. È l’intero sistema di valori in gioco che finisce per essere capovolto. Il meccanismo antropologico della reciprocità sociale, basato sul nesso costitutivo dono/controdono, viene ad assottigliarsi fino a scomparire del tutto. L’apparato categoriale della semiotica narrativa prende in carico, oltre agli schemi canonici, le loro variazioni socio-culturali (persino individuali), mostrando il nesso molto stretto fra i modi di consumo di un bene o di un servizio e le corrispondenti forme di vita assunte ed esibite dai soggetti in gioco. Prende un caffè richiama tutta una concezione dell’esistenza, un’organizzazione del tempo, e una loro correlativa teatralizzazione. C’è chi lo beve come accompagnamento alle varie attività della giornata e chi, invece, lo usa per interrompere tali attività. C'è anche chi trangugia il caffè in gran fretta e chi, viceversa, si lascia andare all’assaporamento di una particolare miscela in modo occasionale. Senza l’esibizione dei propri personali modi di deformazione coerente dei codici sociali questi non potrebbero di fatto esistere, funzionare. Il dandy è un individuo che ha un certo disprezzo di fondo per le persone ed il mondo circostante, a patto di metterlo provocatoriamente in mostra, di recitare pedissequamente la propria parte di antipatico dinnanzi alla gente che pure guarda dall’alto in basso. Da una parte, la componente teatrale mette in collegamento etica ed estetica: sollecitato dal gesto inaspettato, lo spettatore preso dalla meraviglia ripensa ai propri valori, li confronta con quelli dell’altro, finendo per riformulare la valenza sociale comune. Da un’altra parte, il gesto esibito si autorappresenta come parte di un tutto. Allo stesso modo un piccolo gesto, il dettaglio d’una azione, ... possono manifestare l’intera forma di vita di chi, assumendoli, li esibisce pubblicamente e dunque il sistema di valori a partire dal quale si organizzano le pratiche quotidiane d’esistenza, le scelte di vita, i gusti, le decisioni, ... Un modo di vestire è un modo di vivere. La procedura semiotica su cui si basa la forma di vita è dunque l’alternanza dialettica tra condensazione ed espansione, fra figure espresse localmente e configurazioni globali che le sussumono facendole significare, fra piccoli gesti carichi di potenziale espressività e sistemi di senso che ne permettono la realizzazione semantica. Per esserci forma di vita, occorre che un di mediazione tra langue e parole che si manifesta nel concreto atto comunicativo, ma che in qualche modo è previsto dalla lingua. L’apparato formale dell’enunciazione permette il sorgere della soggettività, il suo costituirsi mediante la lingua e soltanto attraverso essa. Anche le relazioni intersoggettive dipendono dal modo in cui le situazioni del discorso fanno ricorso ai codici linguistici che le prevedono. Se dico “ti ordino di aprire la finestra” mi pongo come qualcuno che può permettersi di da un ordine e costruisco il mio destinatario come qualcuno che può riceverlo: creo una gerarchia sociale. Austin riteneva che le condizioni della comunicazione siano la misura della felicità o dell’infelicità di un atto linguistico. Benveniste, al contrario, pensa che sia l’enunciato linguistico a produrre le corrette condizioni di enunciazione che lo rendono efficace. L’enunciazione non è soltanto un fenomeno linguistico, ma più in generale un fatto semiotico. La pittura, ad esempio, attraverso un complesso sistema di sguardi e di gesti, ha i suoi modi specifici di dire “io” e “tu”, inscrivendo il pittore e lo spettatore all’interno delle proprie opere. Anche una città, organizzando i suoi spazi in funzione dei processi sociali che la attraversano, costruisce un’immagine di sé stessa, della propria storia, dei valori che intende proporre a chi, abitandola, tende a costruirne un simulacro. Da qui la necessità di una semiotica che riprenda dalla filosofia e dalla linguistica una serie di osservazioni al fine di renderle operative per l’analisi di qualsiasi tipo di testo. Semioticamente ogni enunciato presuppone un’enunciazione. Il soggetto dell’enunciazione può essere segnalato esplicitamente (con un pronome di prima persona, rappresentazione del pittore in una tela, ...) oppure ogni traccia della produzione enunciativa viene nascosta (“egli” linguistico, figure di profilo in pittura, ...) di modo che l’enunciato appaia sospeso nel nulla, privo di ogni riferimento a chi lo ha prodotto e dunque proiettato verso la realtà che tende a rappresentare. È possibile così ricostruire nel corso dell’analisi dell’enunciato, oltre alle strutture semantiche del messaggio, anche le strutture enunciative che l’hanno costruito. Esso è il risultato di un primo atto fondativo implicito chiamato débrayage, dove entrano in gioco le tre fondamentali categorie dell’attore, del tempo e dello spazio (passando dal livello della narratività quello della discorsività). Si tratta di un débrayage enunciazionale quando il soggetto dell’enunciazione è un “io” che parla in un “ora” e in un “qui” e l’enunciato riproduce al suo interno queste tre figure. Se invece le nega, fondandosi quindi su un “non-io”, un “non ora” e un “non qui” avremo un débrayage enunciativo. L’esordio delle fiabe (“c’era una volta in un paese lontano un re”) è l’esito più tipico di un débrayage enunciativo. Certe forme di autobiografia, raccontando al presente 1’“io” che scrive, sono un esempio di débrayage enunciazionale. Una volta installate le categorie dell’attore, del tempo e dello spazio all’interno dell’enunciato, queste possono essere modificate. Possono verificarsi casi di ulteriori débrayage oppure casi di embrayage, cioè di ritorno indietro a figure precedenti. Nel caso del telegiornale, l’emittente televisiva passa la parola (modificando talvolta spazio e tempo) al conduttore, che a sua volta la passa all’inviato, che spesso la passa all’intervistato, in una serie di débrayage progressivi e di conseguenti embrayage verso l’istanza enunciativa di partenza. L’enunciazione è un’istanza presupposta all’enunciato perché è interpretabile come forma d’azione. Un enunciato ha al suo interno delle marche (io/non-io, ora/non-ora, qui/non-qui) che rinviano all’Enunciatore (simulacro testuale di chi lo ha prodotto) e all’Enunciatario (simulacro testuale di colui al quale si rivolge). Laddove Austin distingueva tra enunciati constativi ed enunciati performativi, per la semiotica invece qualsiasi enunciato linguistico è un atto semiotico: anche constatare uno stato del mondo è una forma d’azione che ha precisi effetti sull’enunciatario e che presuppone certe determinate intenzioni dell’enunciatore. Il constativo è quel tipo di enunciato che, attraverso un débrayage enunciativo, nasconde la propria enunciazione. Un enunciato come “la terra è rotonda” è un prodotto che ha precedentemente cancellato il débrayage necessario per costruirlo, ossia qualcosa come “io, qui e ora, dico che) la terra è tonda”. Se l’enunciazione è un’azione, che in quanto tale si inserisce in una serie di azioni precedenti e successive, essa può essere interpretata mediante i modelli narrativi. Parlare è un dar luogo a un’azione in cui un Soggetto Operatore (Enunciatore) congiunge un Soggetto di stato (Enunciatario) con un Oggetto (il messaggio), il quale vale per il valore che porta inscritto al suo interno. Per cui l’Enunciatore non è soltanto un Soggetto Operatore ma anche il Destinante manipolatore che inscrive il valore ‘verità’ (o ‘bellezza’, ‘appropriatezza’, etc.) nell’Oggetto-messaggio proponendo all’Enunciatario. Quest'ultimo non è solo un Soggetto di stato ma anche un Destinante giudicatore, cioè colui che valuta il valore ‘verità’, accettandolo o rifiutandolo. Conseguenze: - L’Enunciatore e l’Enunciatario non sono le persone reali che emettono e recepiscono il messaggio (gli attori effettivi della comunicazione), bensì i loro simulacri testuali (attanti) e perciò possono essere variamente attorializzati. Essendo la comunicazione uno scambio, i ruoli di Enunciatore ed Enunciatario si alternano tra attori che nel corso di una conversazione restano fisicamente gli stessi. Non c’è quasi mai una corrispondenza biunivoca tra attanti e attori. Un’intera rete televisiva (con i suoi apparati di uomini e tecnologie), all’interno di una certa trasmissione assume il ruolo dell’Enunciatore, unico dal punto di vista testuale, e l’intero pubblico televisivo è un Enunciatario, anch’esso testualmente unico. Inoltre i ruoli narrativi del Soggetto operatore e del Destinante manipolatore (dal lato dell’enunciatore) e del Soggetto di stato e Destinante giudicatore (dal lato delle enunciatario) possono essere impersonati da un unico attore (come in certi telegiornali in cui il conduttore è anche portatore dei valori in gioco) o da molteplici (come in quei quotidiani inglesi in cui si tende a distinguere nettamente notizia e commento). - In quanto attanti, Enunciatore ed Enunciatario sono forme di soggettività variamente caricate di valori modali (volere, dovere, sapere, potere). Attraverso i carichi modali che li contraddistinguono entrano in relazione fra loro. Una cosa è parlare ad un pubblico dotato di un dovere (per es. nel discorso didattico), un’altra cosa è invece rivolgersi ad un destinatario dotato di un volere (per es. nel discorso giornalistico). - L’idea che Enunciatore ed Enunciatario, oltre ad essere soggetti pragmatici (Soggetto operatore e di stato), siano soggetti cognitivi (Destinanti manipolatore e giudicatore), introduce nello scambio comunicativo, prima dell’azione propriamente detta, il momento del contratto (accordo sui valori che nel corso del racconto entreranno in gioco, sui ruoli dei soggetti che opereranno e sulla loro eventuale gerarchia). Questo può essere presupposto dal testo stesso, stipulato volta per volta insieme al farsi del testo oppure trasformato una o più volte all’interno del testo stesso. Ne consegue che il criterio di verità o falsità di un enunciato non è dato tanto dalla sua relazione di maggiore o minore adeguatezza alla realtà esterna di cui esso predica qualcosa (relazione referenziale), ma dalla relazione interna all’enunciato stesso tra Enunciatore ed Enunciatario, che possono trovare un accordo più o meno profondo sulla verità di quanto si scambiano nel processo comunicativo (relazione comunicativa). La verità non è l’effetto di una rappresentazione ma l’esito di una relazione intersoggettiva. 3. Efficienza ed efficacia Non bisogna confondere l’emittente e il destinatario (attori empirici) con l’Enunciatore e l’Enunciatario (simulacri all’interno del discorso). Quest’ultimi, al momento dell’analisi, vanno individuati, esplicitati, ricostruiti, al fine di comprendere il tipo di patto comunicativo entro cui si dà l’intero processo discorsivo. Intendere l’Enunciatore e l’Enunciatario come rappresentanti dei concreti attori comunicativi entro il testo vuol dire però non comprenderne la portata. Il discorso si dota di queste due figure non soltanto per tenere in memoria i momenti della sua produzione e ricezione, ma di più per porli in essere, per fare del processo enunciativo una strategia comunicativa. Nelle strategie i simulacri dei soggetti in gioco sono forze in campo: Soggetto e Antisoggetto per potersi combattere o mettersi d'accordo si dotano di una propria immagine da mostrare all’altro e parallelamente si costruiscono ognuno un’immagine dell’altro. Questi simulacri funzionano come vere e proprie armi contro il nemico. Analogamente, nelle strategie comunicative, per poter interagire, emittente e destinatario devono in primo luogo mettersi d’accordo sui valori della comunicazione. Si dotano allora di simulacri di sé e dell’altro, in modo da usarli come armi persuasive l’uno contro l’altro. Il patto comunicativo che risulta da questa doppia immagine strategica degli attori comunicativi entro l’enunciato (efficienza discorsiva interna) sarà funzione dell’efficacia comunicativa finale (sia essa cognitiva, passionale, pragmatica o somatica). Sono l’enunciatore e l’enunciatario a svolgere concretamente l’azione comunicativa. Costruiscono il senso dell’enunciato, lo dotano di valore, lo propongono come tale nell’arena sociale. Emittente e destinatario sono semplici terminali di tali azioni. Enunciatore ed enunciatario sono delle sorta di istruzioni per l’uso del discorso inserite all’interno dei testi che quel discorso manifestano. Ci dicono il genere testuale entro cui l’enunciato va inserito, ci dotano della necessaria carica passionale per fruirlo, ci forniscono il sistema di valori per apprezzarlo e giudicarlo, prefigurano le trasformazioni somatiche che esso provoca. Senza per questo deterministicamente prospettare una situazione comunicativa a senso unico. L’enunciatario è da intendere come una proposta di senso che il destinatario può più o meno accettare, più o meno rifiutare. Ogni comunicazione è una forma di conversazione. C'è un circolo virtuoso fra costruzione dei patti comunicativi ed efficacia. Da una parte la stipula del patto è condizione alla buona riuscita del processo comunicativo/significativo, d’altra parte la fiducia che l’Enunciatario pone nell’Enunciatore e il conseguente patto fra questi due attanti non è preliminare. Non c’è un momento iniziale di contratto da cui prende avvio il discorso. È nel corso del processo comunicativo concreto che tale patto viene stipulato, anzi ri-stipulato, riaffermato o modificato, ricaricato di senso oppure di altri significati e altri valori, a partire dalle situazioni socio-comunicative in cui ci si trova. 4. Strategie del sapere Qualsiasi testo tende a costruire al suo interno la configurazione cognitiva complessa che chiamiamo “notizia” o “ipotesi teorica” o “messaggio”, dotandola di determinate caratteristiche e offrendola all’ Enunciatario. Si costituiscono così una serie di procedure specifiche del discorso atte a costruire il sapere trasmesso o (per usare una formula della teoria letteraria) a regolare il flusso di informazione testuale. Il punto di vista in semiotica è la categoria interpretativa generale per analizzare la dimensione cognitiva di testi non solo letterari. Il soggetto dell’enunciazione, oltre ad essere un attante pragmatico, cioè qualcuno che fa, dovendo scambiare un Oggetto che è un messaggio, deve contenere al suo interno un attante cognitivo, ossia qualcuno che sa. Come esistono un Enunciatore di testi prodotti dall’Enunciatore solo alcuni arriveranno e saranno recepiti come tali dall’Enunciatario. Il punto di vista del produttore e quello del pubblico non coincidono. Congerie e configurazioni testuali vengono negoziate e rinegoziate di continuo, ore trovando forme convenienti di accordo ora innescando conflitti. La questione della costituzione formale della testualità e quella della costituzione discorsiva della serie testuale divengono la medesima: di modo che testo e intertesto, distinti a priori, derivando dai medesimi processi comunicativi di costituzione e di circolazione, sono da intendere a posteriori come una medesima cosa. A monte una campagna pubblicitaria sarà composta da una serie di spot, annunci stampa, cartellonistica, ..., ognuno dei quali è un testo conchiuso che, mettendosi in relazione con gli altri, assume una precisa significazione. Ma, a valle, non tutti questi testi arrivano a destinazione: cosa che inevitabilmente modificherà la significazione di ciascuno di essi. Comprendere i confini del testo è comprenderne i legami con altri testi. E, viceversa, stabilire legami fra testi è determinare la fisionomia di ciascuno di essi Il problema diviene quello della costruzione del mantenimento della coerenza discorsiva a partire da testi di tipo e natura molto diversi. I testi che contribuiscono alla manifestazione del discorso possono adottare le stesse materie dell’espressione (spesso mescolate fra loro in sincretismi variegati, come ad esempio canzoni o audio-visivi) e in questo caso le forme di coerenza saranno intrasemiotiche. Ma possono far ricorso a differenti materie dell’espressione (nonché a media diversi), esigendo forme di coerenza più complesse e delicate, che dipendono da vere e proprie traduzioni intersemiotiche (o intermediatiche). Come quando occorre far combaciare il senso di uno spot con quello di un negozio con quello di un prodotto con quello di un evento promozionale etc. Uno dei modi più efficaci di produrre e mantenere una coerenza discorsiva a partire da testi di natura sostanziale e mediatica diversa è quello di serbare in superficie, non solo gli stessi valori profondi, ma anche il medesimo patto comunicativo. Un’istituzione pubblica o un’azienda privata, dovendosi esprimere con mezzi e linguaggi diversi, e parlare di cose anche abbastanza diverse, per costruire e mantenere la propria identità lavorano sul livello enunciativo, ponendosi in testi diversi come il medesimo soggetto comunicativo. Una forma molto diversa di coerenza è quella di tipo estetico-estesico: ora visiva ora derivata da altri modi sensoriali del corpo (olfatto, gusto, udito, ...), e in ogni caso legata al piano dell’espressione e ai suoi eventuali esiti significativi di tipo secondario e indotto. È il corpo che si fa carico della discorsività, dove l’identità ora passa dell’attivazione del senso somatico. A metà strada fra queste due c'è la coerenza prettamente discorsiva, scandita dalla batteria di categorie semantiche (temi e figure) e sintattiche (attori, spazi, tempi) nonché dalle molteplici configurazioni che le loro possibili combinazioni possono creare. Il tema di un discorso è la concretizzazione dei valori narrativi sottostanti, a sua volta ulteriormente concretizzato da una serie di figure del mondo che lo rendono esperibile. Figure che si strutturano tra loro in totalità ora partitive (accumulo paratattico di immagini collegate da un medesimo principio semantico: da “albero”, figure come “pino”, “quercia”, ...) ora integrali (configurazioni semantiche articolate internamente da una qualche sintassi: a partire da “pranzo della festa”, figure come “posate d’argento”, “servizi di porcellana”, ...). Questo nesso semantico tra temi e figure viene costruito grazie al fatto che, in una configurazione discorsiva, si istituiscono connessione e dipendenze fra attori (concretizzazione degli attanti), spazi e tempi (concretizzazioni dei programmi narrativi). La coerenza del discorso viene costruita orizzontalmente (grazie alla compresenza entro un medesimo pacchetto testuale di figure appartenenti ora ad una ora all’altra forma di totalità figurativa, nonché alla ricorrenza in esse degli stessi attori, spazi e tempi) e verticalmente (grazie alla progressiva concretizzazione di una storia astratta). 6. Temie figure Di solito si pensa che i termini linguistici abbiano un significato letterale (il significato proprio, quello che rinvia alla cosa che rappresenta) ed uno figurato (un significato aggiunto dal singolo parlante o scrivente, che non rinvia al referente reale ma indica qualcos’altro, e talvolta diventa d’uso comune dando luogo a cliché o stereotipi). C'è da una parte il significato razionale del segno, costruito stabilmente dalla lingua comune, e dall’altra il suo significato poetico, dettato dall’immaginazione creatrice o costruito ad hoc per estendere, in occasioni comunicative specifiche, le potenzialità della lingua. Questa visione della semantica è stata ampiamente superata. Il significato dei termini non ha nulla di stabile ma si trasforma nel corso del tempo. Ciò che viene illustrato nei dizionari è dunque soltanto lo spaccato di una situazione sincronica della lingua, che mette fra parentesi la sua evoluzione diacronica. In secondo luogo, il significato linguistico non è un concetto, qualcosa di unitario di tipo cognitivo-razionale ma un composto di entità di natura diversa, sia di tipo logico, sia di tipo visivo e sensoriale. In terzo luogo, non esiste un significato legato a un solo e unico termine. Occorre pensare il significato delle parole in relazione a una significazione di tipo configurazionale, legata ai testi. Questa significazione ha al suo interno elementi di vario genere: - di tipo interocettivo, ossia entità astratte costruite intellettivamente (opposizioni cosa/evento, processo/sistema, etc.) - di tipo esterocettivo, ossia entità figurative ricostruite attraverso i sensi (alto/basso, volume/superficie, etc.) - di tipo propriocettivo, ossia entità somatiche che articolano la categoria timica (che oppone l’euforia alla disforia). Gli elementi che contribuiscono alla costruzione della significazione non sono dunque di tipo intellettuale, privi di contatto con la realtà esterna, ma spesso riprendono di questa realtà le qualità sensibili (qualità che il soggetto percepisce mediante i propri sensi rendendole significanti). Opposizioni come destra/sinistra, dolce/amaro, ..., che nel mondo di tutti i giorni sono per noi già significative, vengono utilizzate dai vari sistemi di significazione per costruire il proprio piano del contenuto (creando l’interrelazione tra le macrosemiotiche della lingua e del mondo). Nel percorso generativo del senso, al livello della componente semantica delle strutture discorsive, i valori prodotti a livello del quadrato semiotico e le articolazioni narrative del livello antropomorfo, attraverso la mediazione del soggetto dell’enunciazione, vengono tematizzati e raffigurati, ulteriormente arricchiti di contenuti sia di tipo astratto, sia di tipo figurativo. Una struttura narrativa in cui un attante Soggetto andrà alla ricerca di un Oggetto in cui è inscritto il valore “libertà”, e in cui scatteranno modalità come il volere e il poter-fare, viene manifestata a livello della semantica del discorso attraverso una serie virtuale di possibili temi. Se si tratta di un discorso di tipo giornalistico, ad esempio, scatteranno temi politici (federalismo, autonomia dei partiti etc.), sociali (eguaglianza tra classi, razze, religioni, etc.), economici (diritto alle pensioni, lotta all’inflazione, etc.) e simili. La tematizzazione è la ricopertura semantica delle strutture narrative attraverso la selezione di una serie di temi possibili. Ogni tema, a sua volta, può essere raffigurato in modi diversi. La ricerca della libertà tematizzata come federalismo può richiamare figure come camicie e bandiere verdi, o come le stelle e le strisce. Ci sono temi che si collegano automaticamente con certe figure (ad esempio l’arresto di un latitante richiamerà volanti della polizia che sfrecciano per strade affollate) in modo da creare veri e propri stereotipi discorsivi. I giornali sono pieni di questo genere di accoppiamenti fissi tra temi e figure, di simboli figurati diventati stereotipi, anche sulla base di un immaginario mediatico diffuso, tratto ora dal cinema ora dalla televisione ora dalla pubblicità. Se il tema fa da cerniera tra la semantica narrativa e la sua resa figurativa, le figure costituiscono uno dei gradini più alti del percorso generativo del senso (quel livello di significazione dove la concretezza del mondo si presenta in tutta la sua varietà e la sua complessità). In quanto già significanti nel mondo sociale, le figure non sono mai neutre. Occorre fare i conti con quello che già significano nella miriade di testi in cui vengono utilizzate. Un esempio: se per manifestare il tema del federalismo seleziono le figure delle stelle e delle strisce, sto facendo riferimento al federalismo degli Stati Uniti, ma sto anche necessariamente tirando in causa tutto ciò che gli Stati Uniti possono esprimere e tutto ciò che le stelle di per sé e le strisce di per sé possono a loro volta palesare. La relazione tra temi e figure va in entrambe le direzioni. Se da un lato il tema è una realtà semantica astratta che viene figurativizzata, arricchita di senso attraverso una batteria di figure, le figure a loro volta sono portatrici di temi diversi. Quelli che a livello delle strutture narrative potevamo considerare elementi accessori della storia, riconsiderati a livello discorsivo non sono per nulla ininfluenti nella costruzione semantica complessiva della storia stessa. Gli ornati (figure retoriche) del discorso non sono da considerare orpelli aggiuntivi a concetti astratti che funzionano di per sé, ma elementi costitutivi del discorso. Il livello retorico del discorso si distribuisce su tutto il testo. Le parabole sono metafore narrative, racconti che metaforizzano altri racconti, storie in cui il livello tematico argomentativo e quello figurativo-poetico si incastrano l'uno nell'altro. In generale la figuratività tende a staccarsi dalla sua base tematica e rendersi relativamente autonoma, producendo vere e proprie argomentazioni figurative che doppiano il testo con significazioni ulteriori. Il livello della figuratività non deve essere confuso con il piano dell’espressione dei linguaggi visivi, ma rientra nel piano del contenuto. Una cosa sono le figure del mondo, che concretizzano possibili temi o ne sono portatrici, un’altra le immagini che concretizzano quelle figure attraverso il ricorso a una precisa sostanza dell’espressione quale la visualità. Nulla toglie che la figuratività possa essere resa mediante le parole (o attraverso la musica, es. funzione commentativa di certe colonne sonore nei film d’azione). All’interno della semantica discorsiva esistono diversi sotto-livelli di figuratività, ordinati gerarchicamente, a densità figurativa crescente: 1- livello figurale (dove pochi formanti figurativi cominciano a ricoprire la tematizzazione precedente) 2- livello figurativo (dove appaiono le prime figure compiute del mondo) 3- livello iconico (dove tali figure vengono arricchite di dettagli sempre più minuziosi) La distinzione tra livello tematico e livello figurativo e, all’interno di quest’ultimo, la separazione fra i sottolivelli figurale, figurativo ed iconico, permettono di abbozzare una tipologia dei discorsi basata su criteri semantici formali. Si danno discorsi dove viene privilegiata la componente tematica (molta argomentazione filosofica) e discorsi in cui è la componente figurativa a giocare il ruolo primario (molta letteratura). All’interno di questi ultimi andranno distinti tipi di discorso dove prevale una figuratività tenue, da altri in cui viene sviluppata l’iconicità. In quest’ultimo caso il INTRODUZIONE ALLA SEMIOTICA DEL TESTO GIANFRANCO MARRONE Introduzione Preoccupandosi di rintracciare le forme con cui le diverse culture si dotano di un senso umano e sociale, suo oggetto di studio sono i testi. (poesia, immagine, film, Per parlare del mondo e riempirlo di senso gli uomini utilizzano ciò che trovano a loro disposizione: i luoghi in cui decidono di abitare, i cibi che usano per nutrirsi, i vestiti per coprirsi, ... Dal punto di vista semiotico, il testo non è una cosa tangibile, bensì una relazione fra tale cosa e un qualche contenuto articolato che si incarica di rendere presente, facendone cogliere il portato cognitivo, la dimensione pratica e affettiva, il valore sociale. I testi con i quali ci si trova più ad interagire sono quelli linguistici, poiché legati alla forma di comunicazione verbale che la specie umana ha deciso di privilegiare per veicolare la maggior parte dei propri messaggi espliciti, e che ha perciò acquisito nel corso della storia occidentale un ruolo di primo piano. Il campo d’azione dell’espressione, comunicazione e significazione umana è però straordinariamente più ampio della dimensione linguistica. Uno degli strumenti che le varie società usano per rappresentare sé stesse, le proprie gerarchie interne, i propri sistemi di valori è per esempio quello dello spazio. La semiotica parte dall’assunto che i testi non siano altro che i diversi meccanismi formali grazie ai quali le culture esistono e resistono, parlandosi e modificandosi di continuo. Alcuni di essi sono ritenuti tali, mentre altri vengono usati inconsapevolmente e in tal modo, agendo in profondità, finiscono per essere ancor più importanti dei primi. Gli uomini sicuramente gestiscono il senso parlando tra loro e sono consapevoli di questo, ma parallelamente costruiscono molti altri sistemi di sensi (mangiare, abbigliarsi, ...) non riconosciuti come tali, finendo per essere ripensati in chiave strumentale, funzionalista, banalmente pratica. Prima ancora che studiare i sistemi di segni, la semiotica deve dunque rintracciane l’esistenza, additarne la portata, svelarne i meccanismi segreti. Rispetto a discipline come la linguistica o la teoria letteraria (da cui prende spunti, modelli descrittivi e apparati metodologici), che studiano entità testuali riconosciute, la semiotica ha un dominio d’indagine molto più ampio che coincide con le culture. (1) Il suo valore metodologico deriva dal fatto che per essa qualsiasi fenomeno umano e sociale è reinterpretabile come un testo. (2) Le varie culture tendono però spesso a nascondere tale valenza testuale, da cui il suo valore critico. ® Relazioni interne tra la semiotica del testo e altri campi della scienza del senso e della significazione (semiotica generale): quest’ultima assume stili di pensiero ripresi dalla tradizione filosofica-linguistica, mentre la prima rivendica il suo carattere maggiormente operativo (misurando il valore dei propri modelli in funzione della loro capacità descrittiva ed esplicativa, interpretativa e critica). ® Tra semiotica del testo e sociosemiotica non si danno differenze di principio. La prima esporta progressivamente i propri modelli d’analisi, resi operativi a partire da occorrenze testuali che il senso comune è più portato a riconoscere come tali, verso tutte quelle altre occorrenze testuali alle quali invece di solito viene riconosciuto il ruolo di contesti. [contesto è ciò che non è necessario agli scopi dell’analisi] ® Relazione tra semiotica del testo e semiotica della cultura: se le culture sono semiosfere, ossia luoghi di diffusione e d’incrocio fra testi, persino i modelli culturali più ampi e astratti sono interpretabili come testi. Per ragioni di contingenza pratica, poi, dei primi finisce per occuparsi chi studia il testo e dei secondi chi studia le culture. Un fenomeno viene studiato solo se ha un valore di significazione, un senso umano e sociale. Essendo che la semiotica non parla di cose ma di relazioni, va rifiutato qualsiasi atteggiamento ontologico verso la cosiddetta realtà (ontologia = studio dell’essere in quanto tale). Si da sempre e comunque ammantata di senso, pregna di significazione umana e sociale, senza la quale non solo non sarebbe analizzabile e valutabile, ma nemmeno percepibile, comprensibile. I Principi di base 1. Emergenze storiche, filiazioni plurali La semiotica del testo nasce nel corso del Novecento ed interessa l’intero ambito delle scienze umane. Ha fatto propri alcuni principi di fondo sulla base dei quali queste scienze hanno costruito la loro ragion d’essere. Alcuni di questi sono: - L’importanza della dimensione linguistica e comunicativa nella sfera sociale. - Il precetto strutturalista della primarietà delle relazioni sui termini (correlato all’idea per cui ogni entità ha valore solo se messa in rapporto con le altre entità del medesimo sistema). - Il principio della pertinenza, per cui i rapporti tra gli elementi possono variare a seconda del punto di vista dal quale li si osserva. - L'’ipotesi di uno strato profondo a ogni manifestazione empirica dei fenomeni socio-culturali che ne spieghi le logiche soggiacenti, le regole di combinazione, ... Le scienze umane, a differenza di quelle fisiche e matematiche, possono vantare un proprio rigore epistemologico perché vanno alla ricerca del modo in cui il senso umano e sociale si manifesta e si trasforma, ossia dei testi della cultura. Il cammino per giungere a questa autonomia epistemologica è stato lungo e per certi versi non è ancora terminato. La semiotica ha contribuito non poco, arrivando a proporsi come metodologia l’enunciatario, attanti astratti che possono essere trasformati in attori. Tra emittente ed enunciatore, così come tra destinatario ed enunciatario, le relazioni sono biunivoche, perché se pure i secondi sono simulacri dei primi, molto spesso sono invece proprio loro a determinarli. È l’immagine del pubblico nelle trasmissioni televisive a determinare i comportamenti ricettivi dell’audience. Ivi compresa la possibilità di un ribaltamento di posizioni, di modo che è la prassi di consumo a costituire il senso dei testi. ® Intertestualità e traduzione Il testo vive all'interno di una semiosfera, una rete intricatissima di testi tutti in collegamento tra di loro (intertestualità). Ogni testo contiene citazioni, biglietti d’invito per leggere altri testi. La relazione tra un testo ed un altro è costitutiva per l’identità di entrambi. Vive inoltre nella sua capacità di essere tradotto in altri testi. 3. Principio di pertinenza La semiotica del testo non studia oggetti, cose, realtà date ma relazioni, strutture, sistemi. Secondo il principio della pertinenza ogni singolo elemento dipende dagli altri con cui interagisce, ed è solo la loro interazione a costituire la significazione, il senso articolato, culturalmente valido. Una semplice lettera dell’alfabeto significa tutto e niente, perché il suo senso cambia moltissimo a seconda del contesto in cui è inserita, del testo che la pone come elemento in una rete di relazioni. È questa la pertinenza, la scelta del punto di vista attraverso cui si considerano gli elementi. L’analisi del testo è una procedura rigorosa atta a rintracciare l’intreccio di pertinenze che costituiscono una determinata configurazione di senso, la gerarchia delle domande che occorre fare al testo per svisceramne le articolazioni. 4. Principio generativo Il principio della parafrasi afferma che qualsiasi oggetto semiotico può essere espanso o contratto a seconda dei casi, delle esigenze specifiche, degli obiettivi comunicativi, delle strategie in cui è inserito Nel caso di un racconto, ad esempio, posso riassumerlo in una singola frase (“Ulisse torna a Itaca”), oppure dilungarmi in un intero poema epico (e scrivo l'Odissea). I livelli di senso di un testo sono i vari modi possibili in cui esso può essere parafrasato, dal modo più semplice e astratto a quello più complesso e concreto. Ciò che probabilmente a un determinato livello non si coglie diviene chiaro in un altro, più chiaro in un altro ancora, finché, quando gli obiettivi descrittivi sono raggiunti, l’analisi si conclude. Per questo si parla di percorso generativo. Il testo è pensato come una pasta sfoglia, composto quindi di strati giustapposti. Scopo dell’analisi è quello di ricostruire la gerarchia dei livelli sottostanti. A tale scopo ci si serve del modello del percorso generativo del senso. Secondo questo il senso presente in un testo è articolato in significazione sulla base di livelli di pertinenza collocati a vari piani di profondità, in ordine crescente di complessità e di concretezza. Quelli profondi sono astratti e semplici, i superficiali più concreti e complessi. * Illivello profondo del percorso è quello delle strutture narrative, suddivise in due strati: - Strato fondamentale (più profondo) = nel quadrato semiotico la significazione prende corpo a partire da relazioni semplici di contrarietà, contraddizione e complementarità. - Strato antropomorfo (più superficiale) = la significazione si arricchisce di programmi narrativi, nei quali interagiscono attanti e modalità. Questo livello prende in considerazione le invarianti semiotiche, ossia quei fenomeni riscontrabili in ogni testo (ad esempio, opposizioni quali vita/morte o natura/cultura possono essere ritrovate in profondità a qualsiasi configurazione di senso). * Illivello superiore è quello delle strutture discorsive. Le relazioni, i valori, gli attanti e le modalità vengono arricchiti sia da attori, spazi e tempi (componente sintattica), sia da temi e figure (componente semantica). L’enunciazione o messa in discorso delle strutture narrative porta a variazioni semiotiche, ossia dei vari tipi di discorso (letterario, pubblicitario, giornalistico, ...) che circolano nelle varie culture. * È però grazie al meccanismo della testualizzazione che i discorsi ricevono quelle sostanze espressive che permettono loro di manifestarsi e concretizzarsi in veri e propri testi. Così, ad esempio, il discorso pubblicitario sarà uno spot (se trasmesso in tv o al cinema), un annuncio a stampa (se presente in un giornale), un comunicato (se trasmesso in radio) etc. Questo modello non intende presentare l’effettiva costruzione di un determinato testo, ma soltanto ipotizzare il simulacro teorico di questa costruzione potenziale. Un musicista, al momento di comporre una sinfonia, non ipotizza dapprima le relazioni profonde tra elementi semantici puri, poi i valori, poi gli attanti e le modalità, ..., e solo alla fine vi mette le note e le melodie. Ovviamente la compone tutta in una volta. È semmai l’analisi semiotica che, dovendo mostrare quali sono gli elementi di quella sinfonia e le relazioni che intrattengono, compie a ritroso il percorso che il senso viene ipotizzato seguire al momento della sua generazione (dalla testualità verso i livelli più profondi). 5. Testo e cultura Questo modello ci permette di capire la ragione tecnica per cui un testo può contenere al suo interno un’intera cultura o comunque può costituire un aiuto per ricostruirla. Infatti man mano che si scende verso livelli più profondi del percorso si incontrano configurazioni culturali più ampie. Una poesia, un’area urbana o un sito internet sembrano essere oggetti chiusi, la cui significazione particolare viene circoscritta entro confini più o meno ristretti. In realtà sono manifestazioni specifiche di configurazioni antropologiche molto più ampie. Anche un divano non è solo un oggetto per sedersi, ma la manifestazione estetica di un discorso sociale sul modo di stare in salotto, di interagire con gli altri, di fare arredamento accoppiandosi con altri oggetti di mobilio etc. Piuttosto che limitarsi ad adeguare i testi ai contesti, cercando in questi le spiegazioni dei primi, il problema diviene quello di ricostruire modelli antropologici molto ampi a partire da analisi testuali molto minute. Fra testo e contesto c’è una gerarchia variabile di relazioni, perché ciò che è testo può diventare contesto secondo una diversa prospettiva culturale (un componimento poetico che diviene il modello per un’altra produzione), ciò che appartiene ad un genere col tempo può essere ripensato in un altro. E così via. Il testo della cultura è sia il singolo testo che una cultura produce al suo interno sia la testualità intera di quella cultura. Sono le culture a modellizzare il mondo, generando un metameccanismo che distribuisce le sue emergenze ora in testi ora in anti-testi. Ogni testo emana la sua aurea di contesto e anche se viene allontanato dal suo contesto originario, ne produce un altro (un crocifisso portato via da una chiesa, in cui valeva come oggetto religioso, genera un nuovo luogo, il museo, in cui vale come opera d’arte). Crea la propria esteriorità in funzione del significato globale di cui esso è portatore, entra in dialogo col suo esterno, come un edificio che col suo stile dà un senso agli altri che gli stanno intorno in una strada, per analogia o per contrasto. I Principio della narratività 1. Narrazione e narratività Non bisogna confondere narrazione e narratività ® La narrazione riguarda tutti quei prodotti testuali che, nella nostra e in altre possibili culture, vengono intesi come racconti (fiabe, leggende, novelle, ...) o che raccontano storie (romanzi, poemi epici, ma anche film, opere teatrali, ...). Si tratta di una nozione intuitiva, concreta e cangiante nel tempo e nello spazio, la quale si usa nel linguaggio comune per designare le opere come narrative o non narrative. * La narratività, invece, concerne quelle caratteristiche costanti, essenziali, formali e astratte del racconto che si ritrovano sia in questi prodotti testuali, che in qualsiasi tipo di discorso anche apparentemente molto lontano e diverso dai racconti propriamente detti: un trattato di filosofia, un’opera pittorica, l'architettura di un edificio, un’immagine pubblicitaria, una città, ... È una categoria astratta e tendenzialmente stabile, costruita all’interno del metalinguaggio della semiotica come ipotesi interpretativa per descrivere la struttura profonda di ogni manifestazione culturale. Fra i due fenomeni c’è parziale sovrapposizione: c’è narratività in ogni narrazione, ma non sempre narrazione dove c’è narratività. La struttura narrativa del testo garantisce il potere significativo e l’efficacia comunicativa, contribuisce in maniera determinante alla costruzione di quella fiducia di fondo fra enunciatore ed enunciatario senza la quale nessuna testualità ha ragion d’essere. 2. Strutture elementari della significazione che si compie all’interno di qualsiasi fenomeno culturale o esperienza vissuta. È l’organizzazione basilare di ogni processo semiotico di produzione e circolazione del senso. A dare senso al mondo sono le trasformazioni che vi accadono. Niente acquista significato se non viene in qualche modo paragonato a ciò che era prima, ciò che potrà diventare, a qualche altra cosa che potrebbe stare al suo posto. Il senso, prima ancora di essere significato concettuale, è direzionalità, progettualità e cambiamento. Le strutture narrative possono essere descritte secondo due diverse pertinenze del percorso generativo del senso: * quella, più astratta, dove si costruiscono le categorie semantiche, articolate per differenza interna nel guadrato semiotico — livello fondamentale - abbozzo di racconto - il senso si costruisce grazie alle tre relazioni (contrarietà, contraddizione, complementarietà) e alle due operazioni (negazione e affermazione) degli universi di senso bisogna introdurne la dimensione dinamica. Accanto alle relazioni (paradigmatiche), occorre porre due operazioni (sintagmatiche): Negazione: / a Operazione che porta da un termine al suo contraddittorio (in obliquo). Affermazione: non si — S2 / non Ss; — si Operazione che porta da un termine al suo complementare (in verticale). Il quadrato semiotico da un lato genera i termini a partire dalle relazioni (suo momento statico) e dall’altro permette i passaggi da un termine all’altro (garantendo la descrizione di una dinamicità interna alle categorie semantiche e agli universi di senso). Esso costituisce e articola i valori all’interno di un testo e abbozza la tensione verso e tra questi valori, in modo da ipotizzare un universo in costante trasformazione interna. Per quanto riguarda la categoria semantica che articola l’opposizione fondamentale tra natura e cultura, il quadrato non solo dà conto delle possibili relazioni bi x attraverso cui ogni formazione sociale si costituisce Natura Cultura # | O | | generando la propria specifica alterità naturale, ma prospetta anche possibili percorsi mediante cui queste formazioni sociali possono essere prodotte: - ora negando lo stato di natura (natura —> non natura) e affermando quello di cultura (non natura + cultura) x Mito = itinerario che afferma la cultura Non cultura Non natura - ora al contrario prospettando ritorni verso il naturale (cultura + non cultura, non cultura — natura) Ecologia = itinerario che dalla cultura ci porta alla dimensione del nostro riconoscimento come soggetti che si posizionano all’interno dell’universo della natura. Ci si dirige verso quel termine che si considera positivo (valore da raggiungere) allontanandosi da quell’altro che si considera negativo (un disvalore). L’operazione di valorizzazione del mondo è nello stesso tempo intrinsecamente logica e potenzialmente narrativa. Il modello del quadrato semiotico è la descrizione in nuce dei processi narrativi: se la narratività è generazione del senso tramite trasformazione, questa trasformazione è già presente nel passaggio che va da un termine al suo contrario tramite la sua preventiva negazione. Per questo la logica narrativa (forma primaria della nostra esperienza concreta) collide con la logica aristotelica. Se infatti per quest’ultima è basilare il principio di non contraddizione (o a o non a), per la prima, invece, la contraddizione (ripensato sotto forma di negazione) è l’anima di ogni storia, il motore di ogni attribuzione di significato. Il senso nasce dalla negazione. Un neonato dà senso al mondo circostante quando inizia a percepire negazioni: per lui hanno significato l’assenza di cibo o della madre, mentre la loro presenza non ha nessun significato. Termine complesso e termine neutro Oltre ai sèmi sin qui prospettati (si, s., non si, non s©), detti termini di prima generazione, è possibile pensare ad altri sèmi, detti termini di ted seconda generazione, che si costituiscono Maschio n Femmina quando i termini contrari trovano forme di convergenza. x Così, in un quadrato semiotico che articola la 7 categoria della sessualità all’interno di un 2 orizzonte culturale mitico, l’unione di maschile a N sini Non femmina Non maschio e femminile genera il termine ermafrodita, mentre l’unione di non femminile e non maschile genera il termine angelo. Nel primo caso si tratta di una figura dotata di una doppia sessualità, gli angeli, invece, sono doppi senza sessualità. Il termine che riunisce i sèmi contrari viene detto complesso, mentre quello che riunisce i sub- contrari viene detto neutro. Laddove il primo costituisce un arricchimento di senso, se non un ritorno verso una specie di indistinto originario (un po’ come l’ermafrodita, per Platone, precedeva la distinzione fra sessi), il secondo sfuma invece spesso verso il non senso, l'indifferenza semantica (negare entrambi i termini di un’opposizione comporta spesso l’elisione dell’intera categoria semantica). L’antica retorica chiamava i termini complessi ossimori e spiegava così espressioni come il giovane-vecchio. Ma già la lingua comune è piena di questo tipo di termini. Tiepido è per esempio la neutralizzazione dell’opposizione fra non caldo e non freddo, indica qualcosa che non è né caldo né freddo. E se i miti sono una riserva inesauribile di termini complessi (semidei, animali/uomini, ...), il discorso mediatico ne fa un grande uso, cercando, tramite questi, di conciliare proprietà che comunemente vengono socialmente percepite come opposte (economico vs elegante). Dietro ogni termine complesso si nasconde un termine neutro: qualcosa che viene proposto come economico e al contempo elegante finisce facilmente per essere né l’uno né l’altro. Costituzione delle assiologie Il quadrato semiotico ha un altro ruolo: quello di produrre assiologie, cioè sistemi di valori. Per far sì che questo accada occorre che i termini acquistino un peso ora positivo ora negativo. Questo peso varia a seconda delle culture, degli universi di discorso, delle forme di vita o dei singoli testi in cui la categoria viene utilizzata. Rispetto al sistema di segnalazione del lutto, ad esempio, sappiamo che il termine pertinente nelle culture occidentali è il nero (valorizzato dunque negativamente, perché indice della morte), mentre in certe culture orientali è il bianco (che acquista, per la medesima ragione, valore negativo). Ciò che ci consente di dare un peso positivo o negativo ai termini è la categoria timica (prima attribuzione di significato che noi diamo al mondo), la quale va sovrapposta al quadrato semiotico rappresentante l’articolazione logica di una qualsiasi categoria semantica. La categoria timica distribuisce ai vari termini s l’opposizione euforia vs disforia. L’omologazione fra il su n sèma euforia e un certo termine produrrà una Sianco DE valorizzazione positiva (+); mentre l’omologazione tra il S î sèma disforia e un altro termine produrrà una “x va valorizzazione negativa (-). All’interno degli universi semantici, dei contesti sociali, ... certi valori sociali (giustizia, benessere, ...) o certi valori individuali (eros, affermazione di sé, ...) vengono generati a partire dal modo in cui le categorie semantiche entro cui abitano vengono messe in racconto, cioè dal modo in cui questi valori entrano in relazione con i termini contrari, contraddittori e complementari all’interno di specifici quadrati considerati come pertinenti. La categoria timica è un semantismo spontaneo legato al modo in cui l’uomo percepisce sé stesso (propriocezione) e l’ambiente immediatamente circostante attraverso sensazioni. Prima ancora di capire se il mondo è importante, utile, interessante per noi, cogliamo innanzitutto il fatto che esso (cose, persone, luoghi, situazioni) può procurarci fastidio o piacere, essendo disforici o euforici. È la riflessione cognitiva che trasforma poi l’attrattiva in interesse e la ripulsa in disinteresse. La differenza tra strumentalità ed estetica, cognizione e piacere (tra ambienti che possono servire e ambienti in cui ci si trova bene), è fondamentale per la costruzione di molte configurazioni culturali, che giocano quasi l’intera loro esistenza al confine fra decisioni razionali ed esperienze affettive. Espandendo l’opposizione fra i contrari euforia e disforia se ne ricavano la non euforia e la non Diaforia disforia, come anche i termini complesso (diaforia) e Euforîa Disforia neutro (adiaforia). Questi ultimi due permettono di spiegare QI: l’esistenza di pulsioni verso qualcosa o qualcuno minime, non ancora distinte in positive e negative (attrazioni e repulsioni). Spesso i media lavorano per ottenere questo tipo di effetto, mirano ad attirare la nostra attenzione. Toscani, nella comunicazione Benetton, produceva situazioni di choc percettivo e cognitivo, una sorta di Non disforia Non euforia sospensione momentanea dell’attribuzione di valore (in Gera nome di una diaforia pura). Dividendo il pubblico, ma, in ogni caso, producendo notorietà e successo. 3. Elementi di grammatica narrativa Ricondurre la narratività alle operazioni del quadrato semiotico, negazione e affermazione, è riduttivo. Accade molto spesso che i racconti descrivano certi contenuti e si chiudano invece sui contenuti opposti. Si dice in questi casi che il racconto è il passaggio da un contenuto invertito (che sta all’inizio) a un contenuto posto (che sta alla fine). In tal modo il messaggio del racconto non sta né all’inizio né alla fine, ma nel passaggio dall’uno all’altro, ossia nel processo di trasformazione. A livello antropomorfo, il racconto si configura come una successione non casuale di trasformazioni di stati, dove sono in gioco soggetti, oggetti e valori, che mira a un qualche risultato finale. Con stato si intende una relazione di congiunzione o di disgiunzione tra due attanti narrativi, un Soggetto e un Oggetto (attanti di base, sempre presenti all’interno del racconto). Le trasformazioni sono da intendere come il passaggio da una congiunzione ad una disgiunzione o viceversa — trasformazione disgiuntiva/congiuntiva. Il racconto è omologo alla frase: c’è un processo (fare) e alcuni protagonisti di questo processo (essere), più alcuni elementi accessori (altri processi, altri attanti). Precisazioni: Il Soggetto e l’Oggetto (individui o cose) sono termini, e in quanto tali esistono, si definiscono, si costituiscono soltanto nella loro relazione reciproca. Non può esserci l’uno senza l’altro. Il Soggetto è quell’elemento narrativo che è congiunto o disgiunto con l’Oggetto. L’Oggetto è quell’altro elemento narrativo che è dato nella sua congiunzione o disgiunzione con il Soggetto. Entrambi sono attanti, elementi sintattici attraverso cui si articolano e prendono corpo le forze semantiche in campo in un determinato racconto. Nessuna soggettività (individuale o collettiva, sociale o istituzionale) esiste senza una qualche intenzionalità, un dirigersi verso qualcosa a essa esterna. Allo stesso modo, nell’universo del senso non si dà alcuna oggettività esteriore a sé stante, estranea a noi, ma è un elemento che è tale sempre per un soggetto. Si danno nel racconto due tipi di Soggetto: un Soggetto operatore che mette in atto le trasformazioni e un Soggetto di stato che è congiunto o disgiunto dall’Oggetto. Gli incastri tra programmi possono essere i più vari e raggiungere forme molto sofisticate di complessità, dove la sospensione del PN di base comporta l’innesco di una serie di PN d’uso, completati i quali è possibile tornare al PN di base e portarlo a termine. Accade spesso che si cerchi di mettere in moto PN di base senza passare dai PN d’uso (agendo senza essere competenti) oppure, viceversa, che i PN di base vengano abbandonati a favore di puri programmi d’uso. Di frequente vogliamo oggetti inutili, ci dotiamo di competenze che non ci servono e poi, una volta congiunti con esse, ci mettiamo a fare cose che prima non ci interessavano, di cui prima non sentivamo il bisogno. Si tratta del problema della sovrapposizione fra desideri e bisogni, della nascita più o meno indotta dei primi a discapito dei secondi, della manipolazione delle coscienze che trasforma i cittadini in consumatori. Ma da dove provengono questi desideri? È un terzo attante, il Destinante, che, provenendo da una dimensione altra, trascendente rispetto all’universo narrativo dato, trasmette al Soggetto i valori di cui egli è portatore, gli conferisce la prima modalità necessaria per passare all’azione. Il Soggetto non è mai un individuo singolo, ma si configura da principio come essere-nel-mondo che, prima di cominciare il suo percorso narrativo di costruzione o di trasformazione della propria identità, vive relazioni (ora polemiche ora contrattuali) con altri soggetti sociali, che gli forniscono doveri e voleri. C'è sempre, volenti o nolenti, qualcuno che è il nostro destinante: sia esso un’entità divina, un’istituzione, una comunità, una star dello spettacolo, un partito politico, una marca, ... Se il racconto è una struttura chiusa (con un inizio, uno svolgimento e una fine), la figura del Destinante lo tiene in qualche modo dischiuso e in contatto con un universo semantico altro. Se nell’Oggetto sono sempre inscritti dei valori soggettivi, tali valori arrivano al Soggetto dall’esterno, di modo che ogni racconto è in perenne e necessario collegamento con altri racconti, con altre storie. E le relazioni tra l’universo narrativo dato e l’universo trascendente vengono interamente gestite dal Destinante, figura trait d’union fra ambienti e contesti diversi, colui che all’inizio conferisce al Soggetto i valori in gioco e alla fine giudica l’operato di questo sulla base degli stessi valori. È dunque sia mandante che giudice (intesi come attanti e quindi rappresentabili con lo stesso attore o con due diversi) —- Destinante manipolatore e giudicatore La figura del Destinante è ancora più importante di quella del Soggetto, poiché non solo da lui dipendono i valori che il Soggetto si incarica di raggiungere, ma anche e soprattutto il peso sociale di questi valori, la loro valenza, il valore dei valori (giudizio sul valore). Avere un buon Destinante è essere già in una buona posizione. Esserne privi è un forte svantaggio. Lo sanno bene gli uomini politici, che pongono ora il Popolo, ora la Chiesa, ora la Comunità europea, come loro Destinanti, trasferendo indirettamente su sé stessi l’autorità (o l’autorevolezza) che da quelle realtà molto spesso proviene. E lo sanno bene le marche, anch’esse preoccupate di dotarsi di Destinanti più o meno gloriosi, mitici, accettabili e pronte, a loro volta, a proporsi come Destinanti per i loro potenziali consumatori. 5. Schema narrativo canonico Lo schema narrativo canonico è un modello a quattro tappe che è supposto essere adoperabile per ogni aspetto della narratività. Contratto Prova qualificante Prova decisiva Prova glorificante Manipolazione Competenza Perfomance Sanzione Contratto fra Acquisizione da parte Scontro fra Soggetto Giudizio sull'operato Destinante e Soggetto | del Soggetto della e Antisoggetto (fare) del Soggetto da parte ‘sui valori in gioco capacità di agire del Destinante (dovere e voler-fare) (potere e saper-fare) Momento cognitivo Momento pragmatico Momento pragmatico Momento cognitivo Il momento centrale di ogni struttura narrativa è quello della Performance, l’atto che, se riuscito, porta alla trasformazione narrativa e che dunque consente un passaggio da uno stato iniziale (spesso negativo) ad un secondo stato (spesso positivo). Nelle fiabe questo momento spesso corrisponde a ciò che i folkloristi chiamo Funzione Lotta e i mitologi Prova Decisiva, poiché comporta un incontro-scontro con un Antisoggetto che all’interno del medesimo racconto porta avanti un programma narrativo opposto. Si tratta di una messa alla prova delle capacità del Soggetto (del suo potere e saper-fare) di contro alle capacità di cui a sua volta viene dotato l’ Antisoggetto. Ma, più profondamente, si tratta di una sorta di verifica della tenuta sociale dei suoi valori, della loro valenza, rispetto ai valori opposti di cui è portatore l’ Antisoggetto. L’azione della performance (corrispondente all’esito del PN di base) deve essere preceduta da altre azioni (articolate nel PN d’uso), consistenti nell’acquisizione delle competenze necessarie (potere e saper-fare) per svolgere la performance (Competenza). Nelle fiabe questo momento viene spesso messo in scena come Fornitura, spesso sotto forma di Dono, di quel mezzo magico che consente all’eroe di risolvere il Danneggiamento iniziale. Nei miti si tratta della celebre Prova qualificante grazie alla quale l’eroe entra in possesso degli oggetti, delle informazioni o degli alleati che gli permetteranno di acquisire poteri straordinari. Tale acquisizione non è quasi mai pacifica. Se talvolta il mezzo magico è frutto di un Dono o è prevista la presenza di un Aiutante, molto più spesso c’è una prova da superare, uno sforzo da compiere rispetto ad un Oppositore, ovvero un altro attante narrativo che ostacola il compiersi del programma d’uso. I due momenti pragmatici dello schema narrativo (Competenza e Performance), quelli dove si collocano le azioni, sono incorniciati da due momenti cognitivi, dove è in gioco la questione dei valori narrativi. Il primo di questi è quello della Manipolazione, in cui il Destinante e il Soggetto stipulano un contratto sulla base del quale il Soggetto acquisisce un volere o un dovere. Il conferimento del dovere è più facile poiché deriva dall’uso della forza o dalla rivendicazione di una qualche autorità legata alle gerarchie sociali preesistenti, ma è al tempo stesso più labile, poiché all’autorità ci si può sempre ribellare. Il conferimento del volere è molto più delicato, poiché comporta una procedura di persuasione, un vero e proprio convincimento circa la validità di un determinato sistema di valori. È per questo che il momento della manipolazione è anche molto spesso quello del contratto, di quell’accordo fiduciario implicito tale per cui il Soggetto, per aderire ai valori del Destinante, deve in primo luogo avere fiducia in quel che il Destinante gli dice e gli promette. Una volta ottenuta la fiducia, stipulato il contratto, la manipolazione sarà molto più efficace. Non c’è più un’autorità che s'impone, ma semmai un valore assunto, un sistema di valori fatto proprio, in nome del quale si agisce (e si patisce) fieramente, euforicamente. Il secondo elemento cognitivo dello schema narrativo canonico è quello della Sanzione, momento finale del racconto in cui il Soggetto, operata la performance, si ripresenta al cospetto del Destinante e sottopone al suo giudizio il proprio operato. Se la sanzione è positiva (corrispondente cioè ai valori concordati nel contratto iniziale) l’eroe verrà trasformato, se è negativa ripiomberà nell’anonimato tipico dei non-soggetti. Nelle fiabe si tratta della cosiddetta Funzione Nozze, momento in cui l’eroe, tornato a casa, intraprende uno scontro con un falso eroe che pretende di prendere il suo posto, in modo tale da mostrare al popolo d’essere stato proprio lui a sconfiggere l’antagonista, da essere riconosciuto come eroe a tutti gli effetti, ottenendo infine una ricompensa che lo trasforma. Nei miti questo momento viene detto Prova Glorificante, poiché in esso l’eroe mitico, esaurita la sua ricerca, deve compiere quelle nuove fatiche che possono dargli gloria e con essa l’istituzionalizzazione della sua avvenuta trasformazione. La sanzione è il momento in cui si tirano le somme di quanto è accaduto. È un giudizio sulla performance attuata dal soggetto, ma più a monte sulla competenza che ha acquisito e indirettamente sul suo sistema di valori. Quel che torna in gioco è il contratto stipulato all’inizio, sulla base del quale il Soggetto avrebbe dritto ad una ricompensa per la missione ben svolta. Ancora una volta è la figura del Destinante ad emergere in tutta la sua importanza. È il Destinante a darci un destino, ad assicurarci il senso profondo di tutte quelle azioni che possono far sistema all’interno di una narrazione ben compiuta. Alcune fondamentali precisazioni: Il modello dello schema narrativo canonico si colloca ad un livello di pertinenza del senso molto profondo. Ciò significa che non tutti i momenti dello schema devono essere necessariamente presenti in un testo che si vuole interpretare come un racconto così come in una specifica esperienza vissuta. In molte storie, ad esempio, il momento della manipolazione non viene raccontato ma emerge indirettamente dalle azioni compiute dall’eroe, dalle ragioni che lo portano ad intraprendere determinati programmi, ad identificare in certi personaggi i propri nemici e in certi altri i propri amici. In altre storie a non venire raccontata è invece la performance: se in un certo film vediamo che un personaggio si è dotato di una spada che rende invincibili, non è necessario che nella scena successiva ce lo si mostri mentre la usa contro il cattivo, in quanto sappiamo già che vincerà e possiamo passare direttamente alla sanzione. Per questo motivo la narrazione è una forma di argomentazione mascherata: apparentemente racconto solo una storia, tralasciandone alcuni aspetti, ma questi aspetti li ho occultati, non realmente omessi. Se mostro un qualcuno che s’inebria nel mangiare un certo gelato di una certa marca, apparentemente sto mostrando solo il momento positivo del consumo del bene, in effetti sto alludendo alle capacità produttive di quella marca, alla sua competenza nel procurare piacere. Ma come è possibile questa operazione mentale che ci permette di ricostruire a partire da un singolo frammento l’intero racconto? attraverso quale tipo di ragionamento si passa dalla variante singola al modello invariante unico? Una volta stabilita l'appartenenza del modello alla cultura di riferimento dell’interprete, va detto che la possibilità di ricostruire a partire da un momento dello schema tutti gli altri è data soltanto per presupposizione. Si può cioè andare all’indietro nello schema, ma non in avanti per implicazione. Infatti, se il compimento di una performance presuppone l’acquisizione 7. Logiche dell’affetto Il modo d’essere relativo all’identità di un soggetto o di un’atmosfera è la processualità interna e la conseguente articolazione degli stati di congiunzione e di disgiunzione tra soggetto e oggetto. Questi stati narrativi non hanno nulla di statico; allo stesso modo per cui gli stati d’animo sono sommovimenti interiori della psiche, modulazioni affettive, che si configurano come una sorta di ricarica motivazionale profonda che rilancia i programmi narrativi conferendo nuovo vigore ai sistemi di valori. Bisogna ridefinire la narratività come un processo orientato di trasformazione di azioni e passioni dove ogni azione genera una passione e viceversa ogni passione provoca un'azione. Il senso umano e sociale viene prodotto con attività cognitive, comportamenti culturalmente codificati, ma anche a partire dall’affettività che fa riferimento continuo alla realtà somatica. Viene neutralizzata l’opposizione fra ragione e passione e con essa quella fra azione e passione (tale per cui la passione è la conseguenza di un’azione subita, una sorta di passivazione del soggetto che viene dominato controvoglia dal mondo). La dimensione passionale è da una parte linguisticamente e culturalmente determinata e dall’altra possiede uno strato profondo che precede la sua stessa organizzazione linguistica e culturale. Ci sono passioni senza nome. Semioticamente la passione è un effetto di senso del discorso. Sia perché i vari discorsi producono, sollecitano o trasformano le emozioni di produttore e pubblico. Sia perché l’idea stessa di affettività è la risultante finale di una serie di meccanismi semiotici. Se infatti la categoria timica è la base di ogni processo passionale, altrettanto importanti sono i giochi e gli incastri modali (la gelosia ha in sé un voler-sapere, l’ostinazione è un voler-fare che si innesta un non-poter-fare). Altri fenomeni che producono effetto di senso passionale sono la temporalità (la nostalgia è una passione del passato come la speranza lo è dell’avvenire), l’ aspettualità (ci sono passioni istantanee come l’orrore e passioni durative come l'angoscia), la tensione (si pensi a opposizioni come teso- disteso, raccolto-rilassato), l’intensità (che genera un coinvolgimento emotivo più o meno forte) ed il ritmo (un cambiamento di calore o di suono veicola effetti passionali evidenti). Questi si intrecciano fra loro e dal loro intersecarsi gli affetti nascono e si modificano. Ogni determinata passione è l’esito di questi possibili montaggi fra fenomeni semiotici diversi. 8. Percorso passionale canonico Il meccanismo della passione è dinamico e processuale. Così come lo schema narrativo canonico, anche i processi affettivi fanno riferimento a un loro percorso canonico costituito da tre tappe fondamentali (Composizione, Sensibilizzazione, Moralizzazione), la seconda delle quali a sua volta divisa in tre parti (Disposizione, Patemizzazione, Emozione). Secondo questo modello ogni situazione passionale può essere inserita in uno di questi cinque momenti, i quali costituiscono una sorta di crescendo (dai semplici e indefinibili umori ad un catalogo etico, variabile nel tempo e nello spazio, dei vizi e delle virtù). Una passione è una serie articolata di tappe dal diverso valore semantico (per esempio la collera è l’esito di un’attesa frustrata verso l’azione di qualcuno su cui si era riposta fiducia e che non si vuole perdonare). - = in questo primo momento si manifesta una predisposizione del soggetto ad accedere al percorso passionale sulla base di un attante costituente. Nel caso di una passione come l’avarizia la costituzione consiste in quella sorta di generico attaccamento alle cose che un soggetto, per ragioni diverse, può avere acquisito dall’ambiente in cui vive che lo ha influenzato. Non si tratta di vere e proprie passioni ma di propensioni patemiche. È quindi il regno specifico di quelle che abbiamo chiamato passioni senza nome e soprattutto senza soggetto singolo in cui vi è una specie di atteggiamento umorale collettivo. - sencibilizzazione = la disposizione affettiva diviene passione propriamente detta. L’attaccamento alle cose, ad esempio, viene inteso come specifica avarizia. - La prima tappa è la disposizione dove il soggetto acquista le capacità necessarie per disporre il proprio animo ad appassionarsi in un modo anziché in un altro. L’avaro organizza la sua generica inclinazione come non-voler-essere disgiunto dai propri beni. - La seconda tappa è la patemizzazione, vera e propria performance passionale. L’avaro trasforma immaginariamente il valore dei propri beni mettendo in moto un programma per la loro strenua difesa. - La terza tappa è l’emozione, conseguenza della passione sul corpo del soggetto, manifestazione somatica dell’affetto che tende a trasformare la corporeità o può farla agire direttamente (rossori, balbuzie, tremiti, ...). Il corpo diviene veicolo di significazione e di comunicazione. La conseguenza della passione realizzata sul soggetto appassionato è la perdita del controllo individuale, irrazionale, l’uscire fuori di testa. Questa porta al pubblico oltraggio o in ogni caso a un esporsi involontario del soggetto rispetto al teatro del mondo. - Moralizzazione = i dispositivi passionali che hanno preso forma e si sono palesati vengono posti al vaglio di una regola sociale che tende a configurarsi come norma etica. Un attante valutatore che opera secondo il principio classico della misura, decide circa l'eccesso o l’insufficienza di una determinata passione rispetto a determinate direttive sociali. La passione diviene vizio o virtù. Ritornando all’avarizia, ad esempio, è per merito della moralizzazione che si distinguerà la parsimonia dalla tirchieria, laddove la prima viene socialmente accettata mentre la seconda rifiutata. Importanti chiarimenti: Nonostante ci si trovi di fronte ad uno schema, la passione è un processo dinamico. Lo scopo dell’analisi è quello di sfuggire alle stereotipie linguistiche e discorsive, spiegandone le procedure costruttive. In secondo luogo l’elaborazione dello schema passionale risente dello schema narrativo. Costituzione e moralizzazione rimandano a manipolazione e sanzione, i tre momenti della sensibilizzazione riprendono il doppio momento della competenza e della performance. Ciò costituisce un pregio perché sottolinea il carattere dinamico della passione (in analogia a quello del racconto) e ribadisce la necessaria mescolanza di azione e passione, della dimensione pragmatica con quella passionale. Le mansioni dei diversi attanti presenti nel percorso passionale canonico (attante costituente, soggetto appassionato, attante valutatore) vengono ricoperte dal medesimo attore o più attori si incaricano di rendere la medesima funzione attanziale. Posso essere il moralizzatore di me stesso, così come posso avere un’ingente schiera di costituenti (parenti, amici, ...). Inoltre non è detto che tutti i momenti del percorso debbano essere presenti nella superficie del testo e debbano seguirne lo svolgimento lineare. L'importanza di questo schema sta nel fatto che è sufficiente reperire (in superficie) anche soltanto uno dei momenti del percorso per poter ricostruire (in profondità) tutti gli altri. È significativo vedere quali elementi del percorso vengano manifestati alla superficie e quali invece occultati alla profondità, in modo da ricostruire una dialettica dell’implicito e dell’esplicito. 9. Forme di vita Lo schema canonico nasce per progressiva generalizzazione di un genere narrativo preciso, la fiaba russa, dunque di un prodotto culturale geograficamente e temporalmente circoscritto. Alla base vi è una concezione culturale molto precisa, tendente a valorizzare l’azione a discapito della passione, l’istituzione piuttosto che il sentimento, il fare rispetto all’essere. Concezione che, sebbene certi prodotti di massa sembrano riprendere e amplificare, è molto parziale, anche e soprattutto alla luce delle molteplici e complesse trasformazioni geopolitiche e socioculturali della società e del mondo attuale. Lo schema narrativo canonico è insomma un modello da ridimensionare, eliminando da esso l’aura di universalità. È un buon punto di partenza per spiegare alcuni meccanismi di produzione del significato, ma non è l’unico possibile. A tale modello vanno progressivamente aggiunti tutta una serie di altri modelli che rendono conto di fenomeni sociosemiotici più complessi e più fini che la semplice successione delle sue quattro tappe standard non riesce a spiegare. Alle soggettività di tipo progettuale, basate su decisioni controllate cognitivamente, si accostano altre forme di soggettività e d’esperienza, più interessate all’affettività, o all’espressività estetica, alla cura e all’esibizione del corpo, ... Si tratta di forme di vita anche molto diverse fra loro, ma tutte probabilmente riconducibili ad una deformazione coerente dei modelli standard del vivere Deformazione che può più o meno stabilizzarsi, entrare nell’uso comune, fare sistema e divenire fonte di negoziazione nell’arena sociale. Un esempio: una giovane lancia un guanto in una fossa di leoni, promettendo il proprio amore al cavaliere che va a recuperarlo. Un cavaliere accetta la sfida, affronta la prova, restituisce il guanto, ma rifiuta l’amore della fanciulla e s’allontana solitario. Il gesto inaspettato è un’assoluta negazione della logica narrativa per cui un soggetto si sottopone ad una prova per congiungersi con il proprio oggetto di valore. Qui ad essere valorizzata è l’azione priva di utilità e per questo dotata di un notevole peso etico: le fanciulle non dovrebbero concedersi così, e i veri cavalieri non dovrebbero conquistarle grazie alla loro destrezza in battaglia. È l’intero sistema di valori in gioco che finisce per essere capovolto. Il meccanismo antropologico della reciprocità sociale, basato sul nesso costitutivo dono/controdono, viene ad assottigliarsi fino a scomparire del tutto. L’apparato categoriale della semiotica narrativa prende in carico, oltre agli schemi canonici, le loro variazioni socio-culturali (persino individuali), mostrando il nesso molto stretto fra i modi di consumo di un bene o di un servizio e le corrispondenti forme di vita assunte ed esibite dai soggetti in gioco. Prende un caffè richiama tutta una concezione dell’esistenza, un’organizzazione del tempo, e una loro correlativa teatralizzazione. C’è chi lo beve come accompagnamento alle varie attività della giornata e chi, invece, lo usa per interrompere tali attività. C'è anche chi trangugia il caffè in gran fretta e chi, viceversa, si lascia andare all’assaporamento di una particolare miscela in modo occasionale. Senza l’esibizione dei propri personali modi di deformazione coerente dei codici sociali questi non potrebbero di fatto esistere, funzionare. Il dandy è un individuo che ha un certo disprezzo di fondo per le persone ed il mondo circostante, a patto di metterlo provocatoriamente in mostra, di recitare pedissequamente la propria parte di antipatico dinnanzi alla gente che pure guarda dall’alto in basso. Da una parte, la componente teatrale mette in collegamento etica ed estetica: sollecitato dal gesto inaspettato, lo spettatore preso dalla meraviglia ripensa ai propri valori, li confronta con quelli dell’altro, finendo per riformulare la valenza sociale comune. Da un’altra parte, il gesto esibito si autorappresenta come parte di un tutto. Allo stesso modo un piccolo gesto, il dettaglio d’una azione, ... possono manifestare l’intera forma di vita di chi, assumendoli, li esibisce pubblicamente e dunque il sistema di valori a partire dal quale si organizzano le pratiche quotidiane d’esistenza, le scelte di vita, i gusti, le decisioni, ... Un modo di vestire è un modo di vivere. La procedura semiotica su cui si basa la forma di vita è dunque l’alternanza dialettica tra condensazione ed espansione, fra figure espresse localmente e configurazioni globali che le sussumono facendole significare, fra piccoli gesti carichi di potenziale espressività e sistemi di senso che ne permettono la realizzazione semantica. Per esserci forma di vita, occorre che un di mediazione tra langue e parole che si manifesta nel concreto atto comunicativo, ma che in qualche modo è previsto dalla lingua. L’apparato formale dell’enunciazione permette il sorgere della soggettività, il suo costituirsi mediante la lingua e soltanto attraverso essa. Anche le relazioni intersoggettive dipendono dal modo in cui le situazioni del discorso fanno ricorso ai codici linguistici che le prevedono. Se dico “ti ordino di aprire la finestra” mi pongo come qualcuno che può permettersi di da un ordine e costruisco il mio destinatario come qualcuno che può riceverlo: creo una gerarchia sociale. Austin riteneva che le condizioni della comunicazione siano la misura della felicità o dell’infelicità di un atto linguistico. Benveniste, al contrario, pensa che sia l’enunciato linguistico a produrre le corrette condizioni di enunciazione che lo rendono efficace. L’enunciazione non è soltanto un fenomeno linguistico, ma più in generale un fatto semiotico. La pittura, ad esempio, attraverso un complesso sistema di sguardi e di gesti, ha i suoi modi specifici di dire “io” e “tu”, inscrivendo il pittore e lo spettatore all’interno delle proprie opere. Anche una città, organizzando i suoi spazi in funzione dei processi sociali che la attraversano, costruisce un’immagine di sé stessa, della propria storia, dei valori che intende proporre a chi, abitandola, tende a costruirne un simulacro. Da qui la necessità di una semiotica che riprenda dalla filosofia e dalla linguistica una serie di osservazioni al fine di renderle operative per l’analisi di qualsiasi tipo di testo. Semioticamente ogni enunciato presuppone un’enunciazione. Il soggetto dell’enunciazione può essere segnalato esplicitamente (con un pronome di prima persona, rappresentazione del pittore in una tela, ...) oppure ogni traccia della produzione enunciativa viene nascosta (“egli” linguistico, figure di profilo in pittura, ...) di modo che l’enunciato appaia sospeso nel nulla, privo di ogni riferimento a chi lo ha prodotto e dunque proiettato verso la realtà che tende a rappresentare. È possibile così ricostruire nel corso dell’analisi dell’enunciato, oltre alle strutture semantiche del messaggio, anche le strutture enunciative che l’hanno costruito. Esso è il risultato di un primo atto fondativo implicito chiamato débrayage, dove entrano in gioco le tre fondamentali categorie dell’attore, del tempo e dello spazio (passando dal livello della narratività quello della discorsività). Si tratta di un débrayage enunciazionale quando il soggetto dell’enunciazione è un “io” che parla in un “ora” e in un “qui” e l’enunciato riproduce al suo interno queste tre figure. Se invece le nega, fondandosi quindi su un “non-io”, un “non ora” e un “non qui” avremo un débrayage enunciativo. L’esordio delle fiabe (“c’era una volta in un paese lontano un re”) è l’esito più tipico di un débrayage enunciativo. Certe forme di autobiografia, raccontando al presente 1’“io” che scrive, sono un esempio di débrayage enunciazionale. Una volta installate le categorie dell’attore, del tempo e dello spazio all’interno dell’enunciato, queste possono essere modificate. Possono verificarsi casi di ulteriori débrayage oppure casi di embrayage, cioè di ritorno indietro a figure precedenti. Nel caso del telegiornale, l’emittente televisiva passa la parola (modificando talvolta spazio e tempo) al conduttore, che a sua volta la passa all’inviato, che spesso la passa all’intervistato, in una serie di débrayage progressivi e di conseguenti embrayage verso l’istanza enunciativa di partenza. L’enunciazione è un’istanza presupposta all’enunciato perché è interpretabile come forma d’azione. Un enunciato ha al suo interno delle marche (io/non-io, ora/non-ora, qui/non-qui) che rinviano all’Enunciatore (simulacro testuale di chi lo ha prodotto) e all’Enunciatario (simulacro testuale di colui al quale si rivolge). Laddove Austin distingueva tra enunciati constativi ed enunciati performativi, per la semiotica invece qualsiasi enunciato linguistico è un atto semiotico: anche constatare uno stato del mondo è una forma d’azione che ha precisi effetti sull’enunciatario e che presuppone certe determinate intenzioni dell’enunciatore. Il constativo è quel tipo di enunciato che, attraverso un débrayage enunciativo, nasconde la propria enunciazione. Un enunciato come “la terra è rotonda” è un prodotto che ha precedentemente cancellato il débrayage necessario per costruirlo, ossia qualcosa come “io, qui e ora, dico che) la terra è tonda”. Se l’enunciazione è un’azione, che in quanto tale si inserisce in una serie di azioni precedenti e successive, essa può essere interpretata mediante i modelli narrativi. Parlare è un dar luogo a un’azione in cui un Soggetto Operatore (Enunciatore) congiunge un Soggetto di stato (Enunciatario) con un Oggetto (il messaggio), il quale vale per il valore che porta inscritto al suo interno. Per cui l’Enunciatore non è soltanto un Soggetto Operatore ma anche il Destinante manipolatore che inscrive il valore ‘verità’ (o ‘bellezza’, ‘appropriatezza’, etc.) nell’Oggetto-messaggio proponendo all’Enunciatario. Quest'ultimo non è solo un Soggetto di stato ma anche un Destinante giudicatore, cioè colui che valuta il valore ‘verità’, accettandolo o rifiutandolo. Conseguenze: - L’Enunciatore e l’Enunciatario non sono le persone reali che emettono e recepiscono il messaggio (gli attori effettivi della comunicazione), bensì i loro simulacri testuali (attanti) e perciò possono essere variamente attorializzati. Essendo la comunicazione uno scambio, i ruoli di Enunciatore ed Enunciatario si alternano tra attori che nel corso di una conversazione restano fisicamente gli stessi. Non c’è quasi mai una corrispondenza biunivoca tra attanti e attori. Un’intera rete televisiva (con i suoi apparati di uomini e tecnologie), all’interno di una certa trasmissione assume il ruolo dell’Enunciatore, unico dal punto di vista testuale, e l’intero pubblico televisivo è un Enunciatario, anch’esso testualmente unico. Inoltre i ruoli narrativi del Soggetto operatore e del Destinante manipolatore (dal lato dell’enunciatore) e del Soggetto di stato e Destinante giudicatore (dal lato delle enunciatario) possono essere impersonati da un unico attore (come in certi telegiornali in cui il conduttore è anche portatore dei valori in gioco) o da molteplici (come in quei quotidiani inglesi in cui si tende a distinguere nettamente notizia e commento). - In quanto attanti, Enunciatore ed Enunciatario sono forme di soggettività variamente caricate di valori modali (volere, dovere, sapere, potere). Attraverso i carichi modali che li contraddistinguono entrano in relazione fra loro. Una cosa è parlare ad un pubblico dotato di un dovere (per es. nel discorso didattico), un’altra cosa è invece rivolgersi ad un destinatario dotato di un volere (per es. nel discorso giornalistico). - L’idea che Enunciatore ed Enunciatario, oltre ad essere soggetti pragmatici (Soggetto operatore e di stato), siano soggetti cognitivi (Destinanti manipolatore e giudicatore), introduce nello scambio comunicativo, prima dell’azione propriamente detta, il momento del contratto (accordo sui valori che nel corso del racconto entreranno in gioco, sui ruoli dei soggetti che opereranno e sulla loro eventuale gerarchia). Questo può essere presupposto dal testo stesso, stipulato volta per volta insieme al farsi del testo oppure trasformato una o più volte all’interno del testo stesso. Ne consegue che il criterio di verità o falsità di un enunciato non è dato tanto dalla sua relazione di maggiore o minore adeguatezza alla realtà esterna di cui esso predica qualcosa (relazione referenziale), ma dalla relazione interna all’enunciato stesso tra Enunciatore ed Enunciatario, che possono trovare un accordo più o meno profondo sulla verità di quanto si scambiano nel processo comunicativo (relazione comunicativa). La verità non è l’effetto di una rappresentazione ma l’esito di una relazione intersoggettiva. 3. Efficienza ed efficacia Non bisogna confondere l’emittente e il destinatario (attori empirici) con l’Enunciatore e l’Enunciatario (simulacri all’interno del discorso). Quest’ultimi, al momento dell’analisi, vanno individuati, esplicitati, ricostruiti, al fine di comprendere il tipo di patto comunicativo entro cui si dà l’intero processo discorsivo. Intendere l’Enunciatore e l’Enunciatario come rappresentanti dei concreti attori comunicativi entro il testo vuol dire però non comprenderne la portata. Il discorso si dota di queste due figure non soltanto per tenere in memoria i momenti della sua produzione e ricezione, ma di più per porli in essere, per fare del processo enunciativo una strategia comunicativa. Nelle strategie i simulacri dei soggetti in gioco sono forze in campo: Soggetto e Antisoggetto per potersi combattere o mettersi d'accordo si dotano di una propria immagine da mostrare all’altro e parallelamente si costruiscono ognuno un’immagine dell’altro. Questi simulacri funzionano come vere e proprie armi contro il nemico. Analogamente, nelle strategie comunicative, per poter interagire, emittente e destinatario devono in primo luogo mettersi d’accordo sui valori della comunicazione. Si dotano allora di simulacri di sé e dell’altro, in modo da usarli come armi persuasive l’uno contro l’altro. Il patto comunicativo che risulta da questa doppia immagine strategica degli attori comunicativi entro l’enunciato (efficienza discorsiva interna) sarà funzione dell’efficacia comunicativa finale (sia essa cognitiva, passionale, pragmatica o somatica). Sono l’enunciatore e l’enunciatario a svolgere concretamente l’azione comunicativa. Costruiscono il senso dell’enunciato, lo dotano di valore, lo propongono come tale nell’arena sociale. Emittente e destinatario sono semplici terminali di tali azioni. Enunciatore ed enunciatario sono delle sorta di istruzioni per l’uso del discorso inserite all’interno dei testi che quel discorso manifestano. Ci dicono il genere testuale entro cui l’enunciato va inserito, ci dotano della necessaria carica passionale per fruirlo, ci forniscono il sistema di valori per apprezzarlo e giudicarlo, prefigurano le trasformazioni somatiche che esso provoca. Senza per questo deterministicamente prospettare una situazione comunicativa a senso unico. L’enunciatario è da intendere come una proposta di senso che il destinatario può più o meno accettare, più o meno rifiutare. Ogni comunicazione è una forma di conversazione. C'è un circolo virtuoso fra costruzione dei patti comunicativi ed efficacia. Da una parte la stipula del patto è condizione alla buona riuscita del processo comunicativo/significativo, d’altra parte la fiducia che l’Enunciatario pone nell’Enunciatore e il conseguente patto fra questi due attanti non è preliminare. Non c’è un momento iniziale di contratto da cui prende avvio il discorso. È nel corso del processo comunicativo concreto che tale patto viene stipulato, anzi ri-stipulato, riaffermato o modificato, ricaricato di senso oppure di altri significati e altri valori, a partire dalle situazioni socio-comunicative in cui ci si trova. 4. Strategie del sapere Qualsiasi testo tende a costruire al suo interno la configurazione cognitiva complessa che chiamiamo “notizia” o “ipotesi teorica” o “messaggio”, dotandola di determinate caratteristiche e offrendola all’ Enunciatario. Si costituiscono così una serie di procedure specifiche del discorso atte a costruire il sapere trasmesso o (per usare una formula della teoria letteraria) a regolare il flusso di informazione testuale. Il punto di vista in semiotica è la categoria interpretativa generale per analizzare la dimensione cognitiva di testi non solo letterari. Il soggetto dell’enunciazione, oltre ad essere un attante pragmatico, cioè qualcuno che fa, dovendo scambiare un Oggetto che è un messaggio, deve contenere al suo interno un attante cognitivo, ossia qualcuno che sa. Come esistono un Enunciatore di testi prodotti dall’Enunciatore solo alcuni arriveranno e saranno recepiti come tali dall’Enunciatario. Il punto di vista del produttore e quello del pubblico non coincidono. Congerie e configurazioni testuali vengono negoziate e rinegoziate di continuo, ore trovando forme convenienti di accordo ora innescando conflitti. La questione della costituzione formale della testualità e quella della costituzione discorsiva della serie testuale divengono la medesima: di modo che testo e intertesto, distinti a priori, derivando dai medesimi processi comunicativi di costituzione e di circolazione, sono da intendere a posteriori come una medesima cosa. A monte una campagna pubblicitaria sarà composta da una serie di spot, annunci stampa, cartellonistica, ..., ognuno dei quali è un testo conchiuso che, mettendosi in relazione con gli altri, assume una precisa significazione. Ma, a valle, non tutti questi testi arrivano a destinazione: cosa che inevitabilmente modificherà la significazione di ciascuno di essi. Comprendere i confini del testo è comprenderne i legami con altri testi. E, viceversa, stabilire legami fra testi è determinare la fisionomia di ciascuno di essi Il problema diviene quello della costruzione del mantenimento della coerenza discorsiva a partire da testi di tipo e natura molto diversi. I testi che contribuiscono alla manifestazione del discorso possono adottare le stesse materie dell’espressione (spesso mescolate fra loro in sincretismi variegati, come ad esempio canzoni o audio-visivi) e in questo caso le forme di coerenza saranno intrasemiotiche. Ma possono far ricorso a differenti materie dell’espressione (nonché a media diversi), esigendo forme di coerenza più complesse e delicate, che dipendono da vere e proprie traduzioni intersemiotiche (o intermediatiche). Come quando occorre far combaciare il senso di uno spot con quello di un negozio con quello di un prodotto con quello di un evento promozionale etc. Uno dei modi più efficaci di produrre e mantenere una coerenza discorsiva a partire da testi di natura sostanziale e mediatica diversa è quello di serbare in superficie, non solo gli stessi valori profondi, ma anche il medesimo patto comunicativo. Un’istituzione pubblica o un’azienda privata, dovendosi esprimere con mezzi e linguaggi diversi, e parlare di cose anche abbastanza diverse, per costruire e mantenere la propria identità lavorano sul livello enunciativo, ponendosi in testi diversi come il medesimo soggetto comunicativo. Una forma molto diversa di coerenza è quella di tipo estetico-estesico: ora visiva ora derivata da altri modi sensoriali del corpo (olfatto, gusto, udito, ...), e in ogni caso legata al piano dell’espressione e ai suoi eventuali esiti significativi di tipo secondario e indotto. È il corpo che si fa carico della discorsività, dove l’identità ora passa dell’attivazione del senso somatico. A metà strada fra queste due c'è la coerenza prettamente discorsiva, scandita dalla batteria di categorie semantiche (temi e figure) e sintattiche (attori, spazi, tempi) nonché dalle molteplici configurazioni che le loro possibili combinazioni possono creare. Il tema di un discorso è la concretizzazione dei valori narrativi sottostanti, a sua volta ulteriormente concretizzato da una serie di figure del mondo che lo rendono esperibile. Figure che si strutturano tra loro in totalità ora partitive (accumulo paratattico di immagini collegate da un medesimo principio semantico: da “albero”, figure come “pino”, “quercia”, ...) ora integrali (configurazioni semantiche articolate internamente da una qualche sintassi: a partire da “pranzo della festa”, figure come “posate d’argento”, “servizi di porcellana”, ...). Questo nesso semantico tra temi e figure viene costruito grazie al fatto che, in una configurazione discorsiva, si istituiscono connessione e dipendenze fra attori (concretizzazione degli attanti), spazi e tempi (concretizzazioni dei programmi narrativi). La coerenza del discorso viene costruita orizzontalmente (grazie alla compresenza entro un medesimo pacchetto testuale di figure appartenenti ora ad una ora all’altra forma di totalità figurativa, nonché alla ricorrenza in esse degli stessi attori, spazi e tempi) e verticalmente (grazie alla progressiva concretizzazione di una storia astratta). 6. Temie figure Di solito si pensa che i termini linguistici abbiano un significato letterale (il significato proprio, quello che rinvia alla cosa che rappresenta) ed uno figurato (un significato aggiunto dal singolo parlante o scrivente, che non rinvia al referente reale ma indica qualcos’altro, e talvolta diventa d’uso comune dando luogo a cliché o stereotipi). C'è da una parte il significato razionale del segno, costruito stabilmente dalla lingua comune, e dall’altra il suo significato poetico, dettato dall’immaginazione creatrice o costruito ad hoc per estendere, in occasioni comunicative specifiche, le potenzialità della lingua. Questa visione della semantica è stata ampiamente superata. Il significato dei termini non ha nulla di stabile ma si trasforma nel corso del tempo. Ciò che viene illustrato nei dizionari è dunque soltanto lo spaccato di una situazione sincronica della lingua, che mette fra parentesi la sua evoluzione diacronica. In secondo luogo, il significato linguistico non è un concetto, qualcosa di unitario di tipo cognitivo-razionale ma un composto di entità di natura diversa, sia di tipo logico, sia di tipo visivo e sensoriale. In terzo luogo, non esiste un significato legato a un solo e unico termine. Occorre pensare il significato delle parole in relazione a una significazione di tipo configurazionale, legata ai testi. Questa significazione ha al suo interno elementi di vario genere: - di tipo interocettivo, ossia entità astratte costruite intellettivamente (opposizioni cosa/evento, processo/sistema, etc.) - di tipo esterocettivo, ossia entità figurative ricostruite attraverso i sensi (alto/basso, volume/superficie, etc.) - di tipo propriocettivo, ossia entità somatiche che articolano la categoria timica (che oppone l’euforia alla disforia). Gli elementi che contribuiscono alla costruzione della significazione non sono dunque di tipo intellettuale, privi di contatto con la realtà esterna, ma spesso riprendono di questa realtà le qualità sensibili (qualità che il soggetto percepisce mediante i propri sensi rendendole significanti). Opposizioni come destra/sinistra, dolce/amaro, ..., che nel mondo di tutti i giorni sono per noi già significative, vengono utilizzate dai vari sistemi di significazione per costruire il proprio piano del contenuto (creando l’interrelazione tra le macrosemiotiche della lingua e del mondo). Nel percorso generativo del senso, al livello della componente semantica delle strutture discorsive, i valori prodotti a livello del quadrato semiotico e le articolazioni narrative del livello antropomorfo, attraverso la mediazione del soggetto dell’enunciazione, vengono tematizzati e raffigurati, ulteriormente arricchiti di contenuti sia di tipo astratto, sia di tipo figurativo. Una struttura narrativa in cui un attante Soggetto andrà alla ricerca di un Oggetto in cui è inscritto il valore “libertà”, e in cui scatteranno modalità come il volere e il poter-fare, viene manifestata a livello della semantica del discorso attraverso una serie virtuale di possibili temi. Se si tratta di un discorso di tipo giornalistico, ad esempio, scatteranno temi politici (federalismo, autonomia dei partiti etc.), sociali (eguaglianza tra classi, razze, religioni, etc.), economici (diritto alle pensioni, lotta all’inflazione, etc.) e simili. La tematizzazione è la ricopertura semantica delle strutture narrative attraverso la selezione di una serie di temi possibili. Ogni tema, a sua volta, può essere raffigurato in modi diversi. La ricerca della libertà tematizzata come federalismo può richiamare figure come camicie e bandiere verdi, o come le stelle e le strisce. Ci sono temi che si collegano automaticamente con certe figure (ad esempio l’arresto di un latitante richiamerà volanti della polizia che sfrecciano per strade affollate) in modo da creare veri e propri stereotipi discorsivi. I giornali sono pieni di questo genere di accoppiamenti fissi tra temi e figure, di simboli figurati diventati stereotipi, anche sulla base di un immaginario mediatico diffuso, tratto ora dal cinema ora dalla televisione ora dalla pubblicità. Se il tema fa da cerniera tra la semantica narrativa e la sua resa figurativa, le figure costituiscono uno dei gradini più alti del percorso generativo del senso (quel livello di significazione dove la concretezza del mondo si presenta in tutta la sua varietà e la sua complessità). In quanto già significanti nel mondo sociale, le figure non sono mai neutre. Occorre fare i conti con quello che già significano nella miriade di testi in cui vengono utilizzate. Un esempio: se per manifestare il tema del federalismo seleziono le figure delle stelle e delle strisce, sto facendo riferimento al federalismo degli Stati Uniti, ma sto anche necessariamente tirando in causa tutto ciò che gli Stati Uniti possono esprimere e tutto ciò che le stelle di per sé e le strisce di per sé possono a loro volta palesare. La relazione tra temi e figure va in entrambe le direzioni. Se da un lato il tema è una realtà semantica astratta che viene figurativizzata, arricchita di senso attraverso una batteria di figure, le figure a loro volta sono portatrici di temi diversi. Quelli che a livello delle strutture narrative potevamo considerare elementi accessori della storia, riconsiderati a livello discorsivo non sono per nulla ininfluenti nella costruzione semantica complessiva della storia stessa. Gli ornati (figure retoriche) del discorso non sono da considerare orpelli aggiuntivi a concetti astratti che funzionano di per sé, ma elementi costitutivi del discorso. Il livello retorico del discorso si distribuisce su tutto il testo. Le parabole sono metafore narrative, racconti che metaforizzano altri racconti, storie in cui il livello tematico argomentativo e quello figurativo-poetico si incastrano l'uno nell'altro. In generale la figuratività tende a staccarsi dalla sua base tematica e rendersi relativamente autonoma, producendo vere e proprie argomentazioni figurative che doppiano il testo con significazioni ulteriori. Il livello della figuratività non deve essere confuso con il piano dell’espressione dei linguaggi visivi, ma rientra nel piano del contenuto. Una cosa sono le figure del mondo, che concretizzano possibili temi o ne sono portatrici, un’altra le immagini che concretizzano quelle figure attraverso il ricorso a una precisa sostanza dell’espressione quale la visualità. Nulla toglie che la figuratività possa essere resa mediante le parole (o attraverso la musica, es. funzione commentativa di certe colonne sonore nei film d’azione). All’interno della semantica discorsiva esistono diversi sotto-livelli di figuratività, ordinati gerarchicamente, a densità figurativa crescente: 1- livello figurale (dove pochi formanti figurativi cominciano a ricoprire la tematizzazione precedente) 2- livello figurativo (dove appaiono le prime figure compiute del mondo) 3- livello iconico (dove tali figure vengono arricchite di dettagli sempre più minuziosi) La distinzione tra livello tematico e livello figurativo e, all’interno di quest’ultimo, la separazione fra i sottolivelli figurale, figurativo ed iconico, permettono di abbozzare una tipologia dei discorsi basata su criteri semantici formali. Si danno discorsi dove viene privilegiata la componente tematica (molta argomentazione filosofica) e discorsi in cui è la componente figurativa a giocare il ruolo primario (molta letteratura). All’interno di questi ultimi andranno distinti tipi di discorso dove prevale una figuratività tenue, da altri in cui viene sviluppata l’iconicità. In quest’ultimo caso il l’analogia “scuro : chiaro = disforia : euforia”), la figura asimmetrica e quella simmetrica (che ridicono a loro modo del medesimo passaggio dalla disforia all’euforia). I formanti figurativi (simboli culturali, contorno delle figure) e i formanti plastici (colori, posizione delle figure nel foglio, linee e forme), nella semplicità dell’annuncio, non sono gli stessi. Due osservazioni: - Innanzitutto, il piano plastico dell’immagine non è affatto il piano dell’espressione della sua figuratività, ma un linguaggio secondo dotato di una propria espressione e di propri contenuti, che si sovrappone a (e spesso si nasconde sotto) quello figurativo. Se così non fosse, non potremmo garantirci la possibilità di dare un senso (e soprattutto di spiegarne l’articolazione) alle immagini della pittura astratta, le quali non hanno un piano figurativo, pur avendo un senso: senso che è il solo linguaggio plastico a garantire. - In secondo luogo, il piano plastico dell’immagine non agisce sulla base di elementi singoli di tipo simbolico (come può accadere a livello figurativo, dove la posizione yoga della donna è segno culturalmente definito), ma funziona attraverso le analogie, ossia attraverso la procedura semiotica definita semisimbolismo. Si ha semisimbolismo quando si istituisce una specie di piccolo codice, di modo che almeno due elementi contrari del piano dell’espressione entrano in correlazione con almeno due elementi contrari su quello del contenuto. La foto seppiata significa passato perché generalmente le foto non seppiate significano presente (o almeno non passato). Nel caso dello spot che alterna un cromatismo in bianco/nero con uno a colori, quel che produce il senso è la relazione semisimbolica fra i cromatismi presenti nel medesimo testo e i significati di cui ciascuno di essi è portatore. Dal punto di vista dell’analisi semiotica, ricostruire semisimbolismi vuol dire sia aggirare il ricatto dei simbolismi culturalmente determinati e dunque passibili di inversioni semantiche (il nero è colore del lutto o dell’eleganza?), sia fuoriuscire dalla vaghezza delle connotazioni, dipendenti unicamente da chi soggettivamente le nota, se e quando le nota. 3. Argomentazioni figurative Se il livello tematico della semantica discorsiva comporta una certa dose di astrazione e ha a che fare soprattutto con la cognizione, con l’interpretazione concettuale, il figurativo è la sua concretizzazione. La figuratività è quel livello del senso che prende in carico la percezione umana e sociale del mondo, in primo luogo di tipo visivo, ma poi anche riguardante l’intero apparato sensoriale e somatico. Il modo in cui i temi vengono raffigurati varia da cultura a cultura, da epoca a epoca, da testo a testo. L’apparato figurativo che ricopre i temi astratti non ha nulla di generalizzabile, dipende da un processo percettivo che è l’esito di una griglia di lettura proiettata da ogni cultura sul mondo dell’esperienza, per renderlo al tempo stesso percepibile e significativo (significativo perché percepibile, percepibile perché significativo). La percezione, in questa prospettiva, è legata al modo in cui ogni soggetto che percepisce è situato in un certo ambiente sociale, culturale, storico. La visione dipende, esattamente come la lingua, da una serie di codici sociali che la trascendono e che sono tanto arbitrari quanto condivisi. La costituzione di una figura, poniamo “casa”, deriva da ciò che preventivamente intendiamo per casa (un antro buio, una capanna di frasche, un parallelepipedo con tetto a spiovente, etc.). È l’esito di quest’incontro preliminare fra un pacchetto organizzato di tratti percettivi ed un pacchetto organizzato di tratti semantici. Le immagini non rappresentano le cose, ma le nostre idee delle cose. Se la figuratività implica una certa dose di realismo (per cui diciamo che le immagini imitano la realtà, la riproducono), tale effetto mimetico deriva da una specie di accordo sociale su quel che la realtà è, su ciò che in essa è significativo e sui modi convenzionali per rendere questa significatività. Da quando la prospettiva centrale è diventato il modo abituale di rappresentare lo spazio, per noi le immagini che usano questa procedura sono realistiche, mentre quelle che non la usano sono percepite come strane, irrealistiche, mal fatte e perciò false. Durer rappresentava i rinoceronti con le scaglie non perché nella sua epoca non conoscessero i rinoceronti reali, ma semplicemente perché riprendeva una tradizione pittorica secolare in cui i rinoceronti venivano rappresentati secondo quel modello figurativo. Per far sì che le sue incisioni potessero essere considerate realistiche, aveva bisogno di farle aderire a un modello culturale, non a un animale reale. Ovviamente, l’effetto mimetico è volta per volta differente, sia sulla base delle variazioni culturali, sia sulla base della fattura dell'immagine. Generalmente, più un testo visivo è ricco di tratti visivi che rendono conto dei dettagli della figura, più quel testo è considerato realistico. E viceversa, meno un testo è dettagliato, meno è realistico. Una circonferenza, in sé, è una circonferenza e nient'altro; ma se progressivamente disegniamo al suo esterno e al suo interno una serie di tratti, essa diverrà ora un sole ora una palla ora un viso ora tante altre figure possibili. Viceversa, se progressivamente eliminiamo dall’immagine di un viso i suoi tratti interni, resterà una figura circolare, dunque non più un’immagine figurativa ma un’altra tendenzialmente astratta. Il livello figurativo del discorso prevede una sorta di scala graduale che va da un massimo di figurazione ad un massimo di astrazione, passando da una serie di gradi intermedi. La teoria semiotica ha proposto di soffermarsi su tre distinti sottolivelli della figuratività: -. figurale = pochi formanti figurativi cominciano ad essere tratteggiati senza ancora assumere configurazioni ben riconoscibili - figurativo = divengono riconoscibili precise figure del mondo della nostra esperienza - iconico = queste figure vengono arricchite da dettagli sempre più minuziosi, sino ad imporre un’interpretazione canonica della figura Una cosa è un parallelepipedo, un’altra è una scatola, un’altra ancora un forziere. La differenza fra le immagini non sta nelle cose che esse rappresentano, nei loro referenti presunti empirici, ma nella loro diversa densità figurativa, che fa vedere allo spettatore cose diverse. La figuratività non è presente esclusivamente nelle immagini ma in qualsiasi altro sistema semiotico, ivi compreso il linguaggio verbale. Nella costituzione del piano dei significati verbali è sempre presente una componente visiva, i cosiddetti sèmi figurativi, che contribuiscono alla produzione degli effetti di senso delle parole, non appena queste vengono inserite nei loro concreti contesti linguistici. Posso dire “pantaloni” — figuralità, “indumento che riveste il corpo...” (definizione del dizionario) -— figuratività, oppure parlare di un tipo preciso di pantaloni, descriverne lo stile, la provenienza, le fasi di produzione, etc. — iconicità. Anche qui, più si carica una descrizione verbale di tratti figurativi, più si rende visibile un oggetto (ricorrendo a quella procedura che la retorica classica chiamava ipotiposi), più si tende a produrre effetti di realismo nell’enunciatario. Questi sottolivelli spesso dipendono dal tipo di sguardo, culturalmente situato, che si proietta sulla medesima immagine. In un certo quadro uno spettatore può percepire la figura di una donna, mentre un altro, cogliendone gli elementi iconografici (il velo azzurro, l’aureola, ...), vi scoprirà più specificatamente una Madonna, e un altro ancora, attivando il significato intrinseco, vi riconoscerà la Madonna del Cardellino. Il primo sguardo è semplicemente ingenuo, non collegato ai codici di riconoscimento dell’immagine che ne fanno, nell’esempio in questione, un’immagine sacra. Vi sono dunque una serie di casi in cui emerge una sorta di indecidibilità di principio su ciò che è rappresentato nell’immagine, permettendone di fatto una doppia lettura. Ne deriva anche un uso comico delle immagini, come in questa vignetta, che rende possibile una doppia lettura della linea sullo sfondo, ora come montagne, ora come grafico delle vendite. Difficile stabilire che cosa venga prima a livello percettivo. Dipende da una scelta percettiva individuale. A noi interessa il fatto che la possibilità di tale switch percettivo sia data dai due sottolivelli coinvolti: uno propriamente figurativo (in cui leggiamo le montagne), un altro figurale (il grafico). È quindi possibile sganciare la figuratività della sua base semantica profonda, rendendola autonoma e usandola per instaurare ragionamenti figurativi, forme argomentative che non passano per le procedure standard della logica (deduzione, induzione, abduzione) ma per giochi percettivi, per rimandi ora figurali ora figurativi ora iconici fra più immagini, o anche all’interno della medesima immagine. Spesso si accostano due figure perché hanno un tratto figurale in comune, e in tal modo si suggerisce che esse abbiano in comune anche il significato, almeno da una determinata prospettiva. Nell’annuncio pubblicitario riprodotto la donna e la boccetta di profumo hanno la medesima forma. La boccetta, inoltre è vestita con la stessa guepière della donna. In qualche modo essa è dunque la donna, oppure, che è lo stesso, è la donna ad essere come il profumo. Entrambi sono Oggetti di valore: la donna per il marinaio a cui si mostra, la boccetta per la donna che ne fa uso. 4. Il linguaggio plastico Nei giochi che si instaurano fra i sottolivelli del campo figurativo emergono delle vere e proprie forme argomentative indicibili verbalmente quanto estremamente chiare all’osservatore: nascoste a chi non sa o non vuol vedere, palesi invece per chi vuol andare oltre il velo delle apparenze. A dispetto di chi si ostina a ribadire il carattere di immediatezza comunicativa delle immagini, la semiotica insiste sul fatto che esse insinuano più che dire, suggeriscono più che dichiarare, nascondono più che svelare, argomentano più che rappresentare. Convocando uno sguardo attento e attivo, è l’attività cognitiva che esse finiscono in effetti per convocare. Tutto ciò diventa più evidente se si passa dall'esame della componente figurativa a quello della componente plastica. Il plastico è un linguaggio secondo che si sovrappone a quello figurativo, in parte appoggiandosi a esso, in parte articolando la materia espressiva dell'immagine per dar luogo a formanti specifici incaricati di veicolare significati originali. Tra le categorie pertinenti alla costruzione del linguaggio plastico dobbiamo ricordare: - eidetiche = quelle che hanno a che fare con le linee e le forme - cromatiche = quelle che riguardano i colori - topologiche = quelle che concernono la posizione delle figure rispetto allo spazio del supporto impiegato — non vanno confuse con la spazialità rappresentata a livello figurativo, la quale riguarda la questione dei diversi piani dell'immagine, dunque del nesso figura/sfondo e della prospettiva. A queste tre categorie vanno aggiunte: - laluce = intreccia una questione di colori con una di forme è innanzitutto un corpo che, prendendo posizione nello spazio e nel tempo, determina in modi volta per volta diversi sé stesso e ogni sua mondana alterità. Si ipotizza così che il corpo sia responsabile, oltre che della discorsività, anche della semiosi: è a partire dalle prese di posizione corporea che si determina qualcosa come un’esterocettività e un’interocettività, un’espressione e un contenuto. 6. Sinestesie La questione che si pone è quella di predisporre modelli d’analisi che mettano in collegamento sensorialità e testualità. Da una parte la testualità non riguarda solo ciò che nella nostra lingua e cultura si intende normalmente come testo, ma include situazioni ed esperienze concrete. D'altro canto, sensorialità e corporeità non possono essere ridotte alle forme testuali canoniche. Esse richiedono modelli d’analisi semiotica al tempo stesso specifici (perché elaborati a partire dalla particolare maniera in cui il corpo e la percezione accedono al senso) e generali (perché in qualche modo retroattivi rispetto alle testualità canoniche). La differenza di principio fra corpo rappresentato (a livello dell’enunciato) e corpo rappresentante (a livello dell’enunciazione) è molto difficile da cogliere. Spesso si dà il caso di corpi parlati (o raffigurati) a partire da corpi parlanti (o raffiguranti), i quali a loro volta iscrivono le loro tracce nell’enunciato, nel corpo di cui stanno in qualche modo parlando (o raffigurando). La semiotica ha provato ad elaborare un modello di analisi testuale relativo alla corporeità, la cosiddetta topica somatica, una sorta di matrice che stabilisce una tipologia di modi del sensibile, all’interno del quale trovano spazio, oltre ad una ridistribuzione dei cinque sensi, anche processi generalmente esclusi dall’apparato percettivo, come la sensomotricità o i movimenti intimi delle viscere. Questa matrice parte dal presupposto che il corpo sensibile vada distinto in corpo proprio (a partire da cui si produce una percezione del Sé) e carne (sorta di istanza di referenza intima che determina qualcosa come un Me). Entrambi hanno un interno ed un esterno, nonché una zona di confine, un involucro che separa e al tempo stesso mette in comunicazione, grazie alle sue svariate porosità, ciò che sta dentro con ciò che sta fuori. La percezione sensoriale (che è percezione concomitante del mondo e di sé) è un doppio processo che va dall’esterno verso l’interno, o dall’interno verso l’esterno. È per questa ragione che l’olfatto, legandosi al processo della respirazione, non solo tende a portare verso l’interno ciò che sta fuori dal corpo, ma viene usato nelle varie culture per semantizzare la vita e la morte, finendo per avere relazioni molto strette con l’universo del sacro. Ed è per la medesima ragione che nelle culture primitive il processo della digestione e quello della cucina (assimilabili nel campo del gusto) vengono pensati come analoghi. La cucina è la trasformazione culturale dei cibi come la digestione lo è dal punto di vista naturale. Lo schema rende conto di questo genere di processi che possono essere ritrovati nei vari testi. Ogni modo della sensibilità si instaura una specifica sintassi figurativa, un’articolazione formale dei suoi specifici processi che può essere investita da sostanze diverse, dando luogo a effetti sinestetici più o meno mascherati, creativi, naturalizzati. Se un sapore può essere ridetto visivamente, olfattivamente e tattilmente (si pensi al complesso lessico enologico), se una serie di suoni possono essere intesi come serie cromatiche è perché i modi del gusto o dell’udito hanno ognuno una sintassi figurativa che viene investita ora da sostanze visive, olfattive e tattili, ora da sostanze cromatiche. La sinestesia non è una semplicemente la rappresentazione esteriore di un senso attraverso un altro, ma il riuso di una forma sintattica attraverso altre sostanze sensoriali. Spesso è stata intesa come una sovrapposizione percettiva di tratti espressivi e tratti semici (intensità di un odore — intensità di un colore). Passando da un’analisi per tratti elementari a un esame che contempli interi segmenti discorsivi, il ventaglio delle possibilità sia amplia e si precisa. Tutto ciò che nelle pubblicità dei profumi si leggeva in termini di pura evocazione di atmosfere riceve una nuova luce. Quel che va osservato non sono le figure in sé e ciò che queste produrrebbero in termini di sensazioni nell’enunciatario, ma le loro forme profonde, i loro tratti figurali e plastici. Sono queste forme che permettono la traduzione testuale fra sensi diversi, rendendo possibile dire un profumo attraverso un’immagine, veicolarne il senso tramite la visualità. I processi olfattivi prevedono la presenza non solo del corpo che percepisce l’odore (bersaglio) ma anche di quello che lo emette (sorgente). Questi due corpi, entrando in una qualche relazione, intrecciano due tipi di sintassi. Dal lato del corpo-bersaglio, l’odore arriva progressivamente o improvvisamente all’interno di un processo (l’effluvio) che prevede tre fasi: l'emanazione (da cui la questione di rintracciare la provenienza), la diffusione (da cui la circostanza di uno spazio riempito più o meno esaustivamente, l’alone), la penetrazione (nel doppio senso di qualcosa che entra dentro il corpo e del corpo che entra dentro l’alone). Queste fasi possono essere tutte presenti o alcune possono essere ricostruite per presupposizione. Dal lato del corpo-sorgente, un odore prevede un corpo che emette certi odori sulla base del suo stato organico: da cui la nascita di un odore, la sua degradazione e la sua decomposizione finale. Se è un odore è fresco, è perché in qualche modo il corpo che lo emette si trova al momento della sua nascita. L’intreccio di queste due sintassi dà luogo alle specifiche esperienze olfattive e alle loro relative traduzioni sinestetiche. Da cui lo schema: bersaglio effluvio Impronta Sorgente corpo che organica Corpo percepito percepisce penetrazione - diffusione - emanazione | nascita degradazione decomposizione In queste esperienze si pongono questioni relative allo spazio (luogo di nascita e di emanazione, spazio di diffusione dell’alone, punto di arrivo, ...) e al tempo (puntualità, durata, stabilizzazione), con tutte le sovrapposizioni possibili (un odore ‘di rinchiuso’ è un odore che sta in un luogo per molto tempo). Ne viene fuori un’ampia serie di storie (la seduzione è una negoziazione continua fra emanazione e penetrazione...), ma soprattutto un enorme numero di raffigurazioni visive. Basti pensare al ricco universo delle pubblicità dei profumi, zeppo di elementi figurativi come nuvole, bagliori, capelli al vento, acqua e liquidi vari, ..., per accorgersi che si tratta di trasposizioni sul piano figurale di aloni, effluvi, penetrazioni, diffusioni, emanazioni. 7. Spazio e soggettività La questione del corpo non è legata soltanto alla sfera della sensorialità, ma coinvolge molti altri fenomeni semiotici, tra cui il senso dello spazio. Il corpo ha un nesso costitutivo con la spazialità: acquista consistenza e senso grazie alla sua collocazione in un determinato spazio e al tempo stesso contribuisce a dare senso a tali luoghi. Intesi semioticamente, lo spazio e il soggetto si costruiscono uno rispetto all'altro e il tramite grazie a cui ciò avviene è proprio il corpo, nella sua doppia natura di elemento situato in uno spazio ed estensione spaziale (contenuto e contenente). Dal punto di vista dell’analisi della significazione umana e sociale, lo spazio è un sistema e un processo di significazione, un insieme strutturato di cose e di vuoti che parlano d'altro da sé, che parlano alla società della società e delle sue articolazioni, istituzioni e mutamenti. La spazialità è una serie di strutturazioni di estensioni in presupposizione reciproca con una serie di strutture di significato, culturalmente e storicamente determinate. Così, non ha ragione d’essere l'opposizione concettuale fra spazio oggettivo e soggettivo, né quella fra spazio funzionale e simbolico. La soggettività è un qualcosa al tempo stesso di presoggettivo (corporeo) e intersoggettivo (sociale). Non è precostruita, né tantomeno statica. La prospettiva semiotica, nell’occuparsi di luoghi e città, negozi e appartamenti, etc., si identifica con quella del fruitore, del corpo-soggetto che percorre questi spazi, li subisce o li trasforma, ci si installa o li sfugge. Fra la predeterminazione progettuale di un luogo e il suo significato ci sta in mezzo la riappropriazione individuale e collettiva di quel luogo, la sua messa in discorso. Per quanto si cerchi di prevedere il destino sociale di uno spazio, si provi ad orientare il comportamento serie d’azioni e passioni (posso accettare l’invito a guardare e entrare ma posso anche rifiutarlo, posso sbirciare all’interno, posso sentirmi già dentro, posso percepire una resistenza, posso persino specchiarmi). Da cui la possibilità di una semiotica delle vetrine, le quali non sono semplici soglie, ma macchine produttrici di senso soggettivo e intersoggettivo, dispositivi di arredo urbano, processi di seduzione o di adescamento del consumatore. 8. La presa estetica Resta da esaminare il problema dell’eventuale relazione fra i processi sensoriali e somatici (estetici o estesici) e quegli altri fenomeni che ricadono sotto il dominio dell’arte, della bellezza o dell’esperienza estetica. Si tratta cioè dei nessi tra sensorialità e arte, bellezza e corporeità. Dal punto di vista della semiotica del testo (analisi critica di ogni processo sociale e fenomeno culturale) occorre mettere tra parentesi il problema dell’attribuzione dei valori artistici a certi particolari testi (le cosiddette opere d’arte), diversi da cultura a cultura, da epoca storica ad epoca storica, a seconda dei criteri usati per definirli come tali. Occorre semmai studiare i modi in cui in processi sensoriali e somatici vengono testualizzati, inseriti in una qualche configurazione di senso e perciò dotati di specifica significazione, talvolta sovradeterminata come artistica. E se e come, in alcuni di quei testi considerati opere d’arte, funzionino questi processi di testualizzazione, al punto da poter essere considerati come modelli discorsivi. Il corpo, dal punto di vista semiotico, è qualcosa che precede e al tempo stesso trascende l’individualità: è presoggestivo e intersoggettivo. Analogamente i sensi non sono il punto di partenza della relazione conoscitiva tra soggetto e oggetto, ma emergono solo se si riesce a mettere da parte quelle griglie percettive che orientano cognitivamente e pragmaticamente la percezione, dando loro potenzialità espressive nuove. La presa estetica è quel momento non predicabile attraverso codici culturali stabilizzati in cui la sensorialità riemerge, trasformando radicalmente la cognizione, la soggettività e l’intersoggettività. Di cosa si tratta? Per spiegarlo occorre ricordare due punti. 1. Presenza delle figuratività nel piano del contenuto dei linguaggi. Il significato ha natura sia concettuale che sensibile. La sensibilità non si dà soltanto sul piano dell’espressione significante ma anche su quello del contenuto significato. Per questa ragione occuparsi di sensibilità e di corpo implica occuparsi di semantica. 2. La relazione fra plastico e figurativo. Il plastico, su cui si fonda gran parte della significazione visiva, è quel qualcosa che si percepisce in un secondo momento, quando si mettono fra parentesi le figure del mondo e si fornisce una nuova formazione della sostanza espressiva: non più figure, ma tratti grafici, contrasti di colore, posizioni e dimensioni delle masse nel supporto etc. Il plastico è una specie di visione altra del mondo, che richiede abilità non comuni, prerogativa molto spesso degli artisti o degli stupidi. Gli artisti hanno una sensibilità particolare: vedono il plastico laddove tutti percepiscono il figurativo. Vale non solo per la visione ma per qualsiasi processo sensoriale che oltrepassa le griglie percettive comuni e fa emergere altre dimensioni del senso: nell’olfatto, nell’udito, nel gusto, ... Questa abilità particolare che potremmo chiamare competenza plastica è presente in modi variabili in ciascuno di noi e contribuisce alla costituzione della soggettività, la quale è sempre frutto di una qualche trasformazione. La presa estetica è la trasformazione non narrativa dell’esperienza, la costituzione corporea della soggettività. I testi sono quelle configurazioni di senso dove una serie di fenomeni, fra cui quelli corporei, acquistano o cambiano un certo ruolo, assumendo un qualche significato. La sensorialità in questo modo emerge direttamente nei modi in cui si presenta culturalmente, ossia testualmente. 9. Guizzo finale - “Il seno nudo”, tratto dalla serie Palomar di Italo Calvino — Calvino descrive il difficile incontro tra il filosofico protagonista del libro e una donna distesa al sole a seno nudo sulla spiaggia. Di fronte a quest'evento, insignificante ma imbarazzante, il protagonista si pone diversi problemi etici ed ideologici. Uno degli sguardi scelti da Palomar per mirare la donna è un buon esempio di presa estetica. Il testo racconta un processo di conversione dalla vista al tatto, lo sguardo si trova a sfiorare la donna, la quale finisce per andare via indispettita. Questo evento comporta una profonda trasformazione sia di Palomar sia della donna: entrambi perdono la propria identità, divengono rispettivamente puro sguardo e puro seno. Il protagonista si rifiuta di totalizzare l’esperienza del mondo circostante, di racchiudere cose ed eventi entro sistemi di concetti o prospettive interpretative. Per certi versi mette in pratica il precetto fenomenologico per cui la realtà si ricostruisce attraverso la progressiva elaborazione immaginaria dei successivi punti di vista che di essa si riesce ad assumere. Egli parte da un’osservazione o da una sensazione, e a poco a poco le trasforma elaborando tutte le loro possibili sfaccettature. Al momento di tirare le fila, però, si perde nelle innumerevoli possibilità che gli sono state offerte e preferisce rinchiudersi in un silenzio. Oscilla tra quattro modi di guardare la donna e quattro modi di rielaborarlo cognitivamente. A ogni azione somatica succede un’azione cognitiva, in un ritmo crescente che solo la fuga finale della donna riesce a bloccare. 1- Adesione blanda e parziale ad un senso comune portatore di una generica etica della discrezione. 2- Sostituisce al senso comune la propria personale mediazione. Passa nuovamente dinanzi alla bagnante e tiene lo sguardo fisso davanti a sé. 3- Una mediazione ulteriore. Inserendo il seno tra le cose del mondo, finisce per trattarlo alla stregua di una cosa e reitera il pregiudizio sessista che fa della donna un semplice oggetto. Fa il modo che, appena il petto entra nel suo campo visivo, si noti una discontinuità, uno scarto, un guizzo. Apprezzamento estetico di ordine tattile. 4- Egli vuole far esprimere al suo sguardo un incoraggiamento disinteressato verso il cambiamento di costumi. La donna, come Palomar, non ha rielaborato cognitivamente l’elemento estetico e sfugge il viavai di un perdigiorno, oppure l’ha perfettamente l’elaborato e sfugge proprio il satiro. Lo stereotipo ha subissato le intenzioni più illuminate del signor Palomar, lasciandogli una vaga nostalgia per l’accaduto e un netto sentore d’imperfezione umana e sociale.
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