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Introduzione alla sociologia - Ambrogio Sant’Ambrogio, Sintesi del corso di Sociologia

Capitolo 1-2-3 (Comte e la società industriale, Tocqueville e la società democratica, Marx e la critica al capitalismo)

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 08/11/2019

giulia-livanu
giulia-livanu 🇮🇹

4.3

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Scarica Introduzione alla sociologia - Ambrogio Sant’Ambrogio e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! 1.Comte e la società industriale BIOGRAFIA E OPERE Auguste Comte nasce a Montpellier nel 1798, in una famiglia cattolica e monarchica.Frequenta l’Ecole polytechnique e diventa il segretario di Saint-Simon.La rottura fra i due è causata dall’appropriazione da parte di Simon del primo importante lavoro di Comte.Inizia nella propria casa le lezioni del corso di filosofia positiva e nel 1845 conosce Clotilde de Vaux, di cui si innamora.In seguito alla sua morte Comte le dedica un vero e proprio culto.Successivamente proclama la religione dell’umanità e fonda la società positivista.Nel 1851 pubblica il primo volume del “sistema di politica positiva” ed è convinto che prima del 1860 predicherà il positivismo a Notre-Dame come l’unica religione reale e completa. Comte è il profeta di una nuova società, che egli vede profilarsi in sostituzione del vecchio ordine sociale.I conflitti e le contraddizioni che egli scorge sono per lui la conseguenza delle tensioni prodotte dal cambiamento in atto, del fatto che il vecchio sistema non è tramontato e il nuovo fatica ad avanzare.La vittoria di quest’ultimo è inevitabile, ma può essere accelerata o ritardata.Egli ritiene che il nuovo tipo sociale sia migliore del precedente e che anzi costituisca il vero e proprio punto d’arrivo dell’intera storia dell’umanità. Per favorirne l’affermazione, occorre dunque adoperarsi per una profonda e radicale riforma intellettuale, di cui gli scienziati naturali devono farsi portatori.Non basta la rivoluzione politica, non basta il sovvertimento dell’ordine se non è accompagnato da un cambiamento più profondo, che tocchi la coscienza di ognuno e il modo di pensare collettivo.La vera riforma non è politica (illuministi), ma è sociale e culturale: occorre cambiare la testa alla gente. IL METODO Secondo Comte, la natura umana è caratterizzata da tre dimensioni: Intellettuale- Pratica- Morale- L’ordine sociale si ha quando queste tre dimensioni hanno caratteristiche armonizzabili, così che non si creino tensioni tra l’uno e l’altro.Senza ordine sociale regnano caos e disordine:l’uomo non è in sintonia con se stesso, non riesce a dispiegare compiutamente la propria attività e realizzare la sua natura. L’ordine sociale è la condizione essenziale perché si dia equilibrio e perché l’individuo possa realizzarsi. Al contrario, i tempi di cambiamento sociale, sono infausti e problematici:la dimensione intellettuale non è detto sia in sintonia con quella pratica e morale.Per questo motivo è importante la funzione dell’intellettuale e del riformatore, in quanto indica a tutti quel futuro di progresso che ancora non tutti vedono. L’intellettuale coglie ciò che gli altri non vedono perché ha la possibilità di produrre e di possedere un sapere vero e indubitabile, la cui forza è fuori discussione e che solo l’ignoranza può contenere e disinnescare. Qual’è la natura di questo sapere? Si tratta di un sapere vero perché scientifico e poiché riguarda anche la natura dei rapporti sociali implica la formazione e lo sviluppo di una scienza sociale nuova: la sociologia. Comte è il primo a usare questo termine. Esiste un sapere scientifico, l’unico sapere vero, che si acquisisce attraverso l’osservazione e la generalizzazione.Per Comte, l’uomo come individuo non è oggetto alla scienza:in quanto essere vivente viene studiato dalla biologia, in quanto essere sociale, dalla sociologia. Comte critica il metodo comparativo, in quanto per lui non ha alcun senso comparare, ad esempio, l’impero romano con quello napoleonico senza una teoria precedente dell’evoluzione storica.Osservazione e generalizzazione devono perciò andare di pari passo. Secondo lui, l’umanità ha condotto e conduce, una lunga lotta per spiegare e controllare la natura.Questa lotta ha al suo centro la capacità, che volta a volta l’uomo sviluppa, di conoscere la realtà esterna: il sapere è la base della spiegazione del funzionamento della natura e ne rende possibile il controllo.Ecco perché per Comte, l’attività intellettuale è quella centrale: quella pratica e morale sono la conseguenza dello stadio di sviluppo dalla ragione umana.Ogni sapere umano deve essere sintetico e universale, occorre cioè che si sviluppi un sistema concettuale riguardante la totalità dei fenomeni, che ci consenta di capirli abbastanza da organizzare coerentemente ed efficacemente le nostre vite. LA LEGGE DEI TRE STADI Nella storia umana sono rintracciabili tre forme di ordine sociale, tre modi organizzati di coordinare attività intellettuale, pratica e morale, nella quale identifica le grandi tappe dell’evoluzione umana: Stadio teologico- Stadio metafisico- Stadio positivo- Protagonista della storia non è l’uomo singolo, ma l’umanità.Passando da uno stadio all’altro, l’umanità migliora e completa se stessa poiché migliora la sua capacità di spiegare e controllare la natura.Fondamentale è quindi lo sviluppo di un controllo razionale sul mondo, che possa consentire una prassi egualmente razionale ed efficace. Questo sapere è un sapere che progressivamente diventa riflessivo, cioè consapevole delle sue possibilità.Esso è allora in grado di esercitarsi non solo nei confronti della natura, ma anche rispetto ai rapporti sociali: la sociologia permette una spiegazione e un controllo razionale dell’ordine sociale. Consente la possibilità di una società razionale, cioè oggetto essa stessa di un sapere scientifico e, perciò di un controllo consapevole. La scienza sociale è l’ultimo dei saperi a divenire scientifico perché il suo oggetto di osservazione, cioè l’uomo e la sua storia, è particolarmente complesso e sfuggente. STADIO TEOLOGICO È un prodotto dell’istinto e del sentimento ed è basato sulla religione e sulla conoscenza della realtà che essa fornisce. Esso può essere distinto in tre fasi: Animismo => Le forze della natura sono viste come espressione di una forza analoga a quella dell’uomo, ma assai più potente. Si tratta di un primo tentativo di comprendere la realtà, in cui l’uomo proietta se stesso sulla natura. Qui la condizione umana è caratterizzata da una totale subordinazione alla realtà esterna, senza possibilità alcuna di cambiamento. - Politeismo => Gli uomini cercano cause interne alle forze naturali, raffigurandole in un Pantheon di dei, ognuno dei quali controlla una classe di fenomeni (es.il Dio del sole è la causa dei fenomeni solari).Il politeismo rende quindi possibile una qualche forma di intervento sulla realtà, anche perché il volere degli dei è comprensibile, prevedibile e, a volte, modificabile. - Monoteismo => L’uomo organizza un ordine divino più strutturato e coerente, rappresentato da un cosmo ordinato perché creato da una sola volontà, che agisce non più capricciosamente, ma sulla base di leggi da Dio stesso prodotte.L’ordine intellettuale religioso influenza quindi non solo la prassi umana e le modalità con cui essa si rende possibile, ma anche l’attività morale, la capacità cioè di distinguere il giusto dall’ingiusto, il lecito dall’illecito. - Lo stadio teologico instaura quindi un ordine coerente fra le tre diverse attività fondamentali dell’uomo. STADIO METAFISICO Non ha divisioni intermedie. È caratterizzato da un sapere critico nei confronti della teologia.Si basa sulla critica e non sull’osservazione, ed è perciò incapace di costituire un vero e proprio ordine sociale.È quindi in sostanza una fase di transizione dallo stadio teologico a quello positivo. Prima fase = Produce spiegazioni logiche delle forze della natura, ma le considera sempre un prodotto di Dio- Seconda fase = Sostituisce a Dio con il concetto stesso di natura, intesa come realtà ultima, caratterizzata da proprie leggi interne, che connette tra di loro tutti fenomeni. - Lo stadio metafisico è importante perché sviluppa le capacità di astrazione già utilizzate nelle fasi politeiste e monoteiste dello stadio teologico, che poi arriveranno alla loro affermazione in quello positivo. STADIO POSITIVO È caratterizzato dal pieno dispiegamento del metodo dell’osservazione: ora la generalizzazione viene fatta a partire da cose osservate, non più in riferimento a cose assolute, ma a cose relative. La scienza dello stadio positivo è la base di un’attività pratica caratterizzata dalla tecnica, più efficace rispetto al passato, della sua capacità di controllare il mondo esterno.Qui vengono anche a sintesi le tensioni tra ordine e progresso, se lo stadio teologico era caratterizzato da un ordine senza progresso e quello metafisico da progresso senza ordine, solo nell’ultimo stadio è possibile un ordine che sostenga il progresso dell’umanità. Le idee fondamentali del positivismo sono per Comte: le scienze sono destinate a superare e sostituire la teologia e la metafisica- il vero sapere passa attraverso l’osservazione e la generalizzazione- la conoscenza di cose non osservabili non è possibile- Il sapere sintetico (capace di fornire una spiegazione della totalità dei fenomeni osservabili) fornito dalla scienza è la base di un controllo razionale della natura e della società. - LA RELIGIONE DELL’UMANITÀ Secondo Comte la nuova società è scientifica e industriale, mentre quella ancora esistente è teologica e militare. In quest’ultima, sacerdoti e militari sono le figure dominanti, figure che saranno sostituite da quelle degli scienziati e degli industriali. Lo scienziato sostituirà il sacerdote in quanto il sapere scientifico soppianterà quello religioso.- Il lavoro invece sostituirà la guerra.- Infatti, nello stadio teologico la lotta tra uomo e natura assume la forma di una lotta tra gli uomini stessi, come conseguenza della molteplicità di religioni presenti e dell’universale divisione che tormenta il genere umano. Ma se la scienza sostituisce la religione allora davanti a un sapere universale e universalmente condiviso spariranno tutte le divisioni e l’umanità potrà finalmente riconciliarsi con se stessa. La guerra diventerà inutile: la centralità dell’attività militare sarà soppiantata da quella del lavoro. Le classi improduttive e oziose, come il clero e la nobiltà, saranno sostituite da classi laboriose, gli imprenditori e le maestranze. Egli pensa che alla religione si sostituirà una nuova religione positiva, basata sulla fede dimostrabile, perché razionale, ma anche essa dotata di una propria dottrina positiva, di una regola morale e di un sistema di culti, gestito da una vera e propria chiesa positiva.Questa religione deve essere il fondamento del nuovo ordine industriale, deve cioè essere in grado di fornire adesso una base culturale unificante.Essa ha dei propri sacramenti e gli scienziati sono i nuovi sacerdoti e Comte è il sommo sacerdote di questa nuova religione. Al cuore di questa religione laica c’è la venerazione dell’umanità, con cui si porta a compimento il processo di progressiva presa di possesso della natura esterna e della realtà interna dell’uomo, nei suoi aspetti razionali, pratici e morali. Ora non esistono più dei o vuote leggi astratte, ma la sintesi del progresso conoscitivo sta nella realizzazione della comune appartenenza al genere umano, in un’umanità pacificata e consapevole. La nuova religione dell’umanità si sarebbe dovuta diffondere dalla Francia al mondo intero, una volta avvenuto il passaggio dall’ordine teologico a quello positivo.Il culto dell’umanità è la risposta non relativistica al processo di relativizzazione che la scienza opera nei confronti degli antichi dei e delle vecchie credenze: la divinizzazione dell’uomo colma il vuoto lasciato dalla scomparsa di Dio. L’ordine sociale deve avere anche un fondamento etico, capace di andare incontro alla natura morale, e non solo razionale e pratica dell’uomo: a questa regola generale non può sfuggire neppure la società positiva. Anch’essa si regge solo se fornisce una soluzione coerente alle tre esigenze fondamentali dell’uomo. Comte distingue tra: Dinamica sociale => Riguarda le condizioni di esistenza del movimento (progresso)- Statica sociale => Riguarda le condizioni di esistenza di una società (ordine) - Comte sostiene che l’unità di base della società è la famiglia e non l’individuo, poiché, quest’ultimo non può essere oggetto di osservazione scientifica. Egli pensa che l’uomo è naturalmente socievole, ed è perciò contrario all’idea di contratto sociale. La famiglia è il luogo primo e naturale dove si estrinseca tale socievolezza. Essa è un’unione fondata sugli affetti, è ha perciò una natura morale e non intellettuale. Al contrario la società non è un’unione, ma la cooperazione basata sulla divisione del lavoro, e perciò la natura intellettuale è solo in seconda battuta morale. Senza la divisione del lavoro c’è un agglomeramento di famiglie e non una società.La natura della società consiste perciò nella capacità di coordinare, cioè di governare tale cooperazione. Via via che le società diventano più ampie e complesse, tale compito diventa sempre più gravoso e importante.Nel futuro ci sarà sempre più bisogno di un governo consapevole e illuminato, capace di pianificare e coordinare un ordine sociale via via più complesso e articolato. UMANITÀ O SOCIETÀ? Comte è contrario al dogma del libero mercato e del non intervento statale. La società è organizzazione razionale e lo sarà soprattutto la società positiva. Comte è ostile anche a ogni sommossa (popolare, operaia o democratica). Il vero cambiamento deve coinvolgere la società nel suo complesso e non la sfera politica e dello Stato. In Comte il concetto di società, una volta che identificato con quello di ordine sociale, tende a sostituire anche la nozione di società civile, legata a quella di Stato e alla dialettica reciproca tra le due dimensioni.Profeticamente pare voler quindi superare anche l’idea stessa di società nella quale scompaiono tutte le divisioni (politiche, culturali e nazionali) che non siano funzionali, legate alla divisione e organizzazione del lavoro. L’avvento di quest’ultima non sarà però sicuramente nel nome di una religione positivista. 2.Tocqueville e la società democratica BIOGRAFIA E OPERE Tocqueville anche se di famiglia aristocratica, non è un nostalgico del passato e della monarchia: è piuttosto un sostenitore convinto della Repubblica, che considera la forma politica di un inevitabile processo di affermazione dell’eguaglianza, e quindi della democrazia. La democrazia è, secondo lui, l’essenza del mondo moderno e la sua caratteristica sociologica fondamentale è l’assenza di una struttura ereditaria gerarchica, assenza che vede realizzata in America. Secondo lui la democrazia se osservata con realismo e disincanto, porta con sé vantaggi e svantaggi. Compito dello studioso e del politico è mettere in luce entrambi, in modo che si possano perseguire i primi ed evitare i secondi. IL METODO Tocqueville è il maestro del metodo comparativo.Una qualunque forma di organizzazione sociale non costituisce un modello astratto, indipendente dalle contingenze storiche e sociali. Diventa quindi fondamentale la comparazione tra concrete realtà, diverse per genere, al fine di mettere in luce l’origine della loro diversità.In Francia, repubblica e democrazia assumono caratteristiche specifiche rispetto all’America, perché diverse sono le esperienze storiche dei due paesi, ma soprattutto a causa delle diverse basi sociali che li caratterizzano. Si può scoprire qualcosa rispetto alla Repubblica e alla democrazia, e al loro funzionamento, solo confrontando le modalità con cui esse si realizzano concretamente in contesti diversi. Solo dopo un’attenta osservazione che coinvolga le istituzione e il loro funzionamento, la vita dei cittadini e i loro consumi, il livello di partecipazione alla vita pubblica, la diffusione delle associazione e dei giornali, lo sviluppo dell’attività economica e della cultura, è possibile identificare alcune caratteristiche generali e alcune possibili tendenze evolutive. Anche queste ultime però non sono mai senza alternative:il futuro non è mai predeterminato e una qualsiasi organizzazione sociale non è mai del tutto positiva o negativa. Non si tratta cioè di difendere a spada tratta il passato aristocratico o il futuro democratico, ma piuttosto dimostrare perché l’evoluzione sociale tende a favorire una tendenza piuttosto che un’altra, cercando allo stesso tempo di dimostrare come questa stessa tendenza non sia senza ambiguità: il futuro dipende sempre solo dalle scelte concrete di ciascuno davanti alle alternative che la realtà sociale impone. Il modo con cui egli concepisce il rapporto tra analisi scientifica e agire politico sembra riecheggiare il tema della avalutatività (=caratteristica che conferisce scientificità alle discipline stoico-sociali). Solo lo sguardo dello studioso, che si stacca dalle passioni del presente riesce a spingersi più in là di quel domani a cui guarda il politico. Quando analizza la democrazia non la considera semplicemente un regime politico bensì una forma di organizzazione sociale: ciò che conta sono i rapporti sociali concreti e le relazioni in cui si incarnano. La sua analisi della società e del resto tipicamente sociologica e non politologica. Dietro la struttura politica, bisogna perciò guardare alla forma dei rapporti sociali e alle credenze su cui questi rapporti si basano. Il problema centrale non è quindi quello del legame politico, ma quello del legame sociale e della forma che esso assume. La Repubblica in America non è una mera forma politica, bensì il risultato di una struttura sociale democratica ed egualitaria che può svilupparsi adeguatamente, in modo lento e tranquillo perché immune dei conflitti e delle rivoluzioni che caratterizzarono le repubbliche europee. Si tratta di vedere quali sono le condizioni sociali che rendono possibile tale sviluppo e se esse sono esportabili anche nella travagliata Europa. I strumenti usati per le sue indagini sono le interviste con esperti, analisi di dati statistici disponibili, l’osservazione partecipante, l’analisi di documenti, la lettura di studi di tipo storico e teorico sulle zone osservate al fine di elaborare le sue osservazioni e le sue teorie.Si tratta di forme di ricerca empirica (metodi qualitativi d’indagine per la sociologia). DEMOCRAZIA E MODERNITÀ Tocqueville ha una particolare attenzione per l’America e individua tutti gli elementi che sono da considerare positivamente (la pace, la repubblica, diritti alla proprietà privata) e negativamente (rivoluzioni, sommosse, anarchia, dispotismo): la democrazia riesce a garantire i primi e a scongiurare i secondi. Perciò la democrazia, e quindi l’America, è il regime a cui guardare con interesse anche se con occhio sempre attento e critico. La caratteristica essenziale della democrazia è l’eguaglianzama non necessariamente la libertà. Essere socialmente eguali non può significare dunque essere ne intellettualmente eguali ne economicamente eguali, poiché entrambe le cose sono impossibili. L’eguaglianza è eguaglianza delle opportunità: una società democratica è quella ove non esistono gerarchie codificate, naturali o definitivamente acquisite. Ogni posizione nella società deve essere potenzialmente accessibile a tutti. Non si tratta di un’eguaglianza di fatto ma di una generalizzata aspettativa di eguaglianza anch‘essa non esente da pericoli. L’eguaglianza ha perciò a che vedere con la struttura sociale: implica un profondo stravolgimento della società aristocratica del passato, della loro organizzazione interna, delle relazioni sociali che in esse dominavano. Quindi l’eguaglianza è eguaglianza tra individui, occorre cioè liberare gli uomini dalla rete di relazioni gerarchiche in cui nel passato erano avviluppati, perché solo così si possono ottenere individui e solo gli individui all’opportunità. L’oggetto principale del cambiamento sono: Le società aristocratiche => sono gerarchiche- Ognuno è incasellato in un posto fisso entro una gerarchia sociale che può essere raffigurata come una grande catena. La mobilità sociale è qui minima. La stabilità gerarchica è inoltre garantita da quella territoriale: gli uomini non si muovono, non viaggiano e intere generazioni conducono la loro esistenza nel medesimo luogo. Sommando l’assenza di mobilità verticale e di mobilità orizzontale, si ha che uomini di generazioni diverse conducono la stessa forma di vita, nello stesso territorio, se non nella stessa casa: ciò fa di loro dei contemporanei, perché ognuno può facilmente immaginare la vita dei propri avi e quella dei propri discendenti. Le società democratiche => sono egualitarie e individualiste. - L’essenza della democrazia sta nella rottura della catena, cioè nella messa in discussione definitiva del ruoli gerarchici: quando la catena si rompe, otteniamo anelli tutti uguali tra di loro.La piramide sociale crolla e svanisce.Tutto ciò non avviene ovviamente di colpo ma è il risultato di un lungo processo di trasformazione sociale che coincide con l’avvento e l‘affermazione della modernità. La democrazia è quindi il segno, e il risultato, di una forte discontinuità storica: essa ricostituisce l’associazione umana su fondamenta nuove. La prima fase decisiva del cambiamento sociale sta dunque nella rottura della gerarchia, nella messa in discussione dell’ascrittività dei ruoli sociali.Qui emerge la differenza tra l’esperienza americana e quella europea: la società americana nasce democratica e si forma a partire da individui, facendo nascere così anche il più classico mito americano, quello del ”Self made Man”: dove non esistono gerarchie, prendono piede l’eguaglianza delle opportunità e l’idea che ognuno abbia il suo destino nelle proprie mani. La mobilità sociale è massima ed esistono prima gli individui e poi la società. All’inizio ci sono solo individui isolati, i quali costruiscono mano a mano le loro relazioni sociali, le loro istituzioni (dal basso). La partecipazione politica in Europa è il risultato di una conquista conflittuale e mai completa, mentre in America è un dato di partenza. La transizione dell’aristocrazia alla democrazia è segnata da un conflitto profondo e lacerante tra le classi sociali. La divisione interna alla società è tale che sembra contrapporre mondi inconciliabili, il cui conflitto può essere risolto solo con il successo di alcuni e la rovina di altri. In questa situazione, il cambiamento assume una veste così radicale che non sembra esserci più nulla. L’America nasce democratica e la società americana è il risultato della partecipazione civica e politica di individui che si sentono cittadini perché liberati dalle catene di ruoli predefiniti.L’Europa, al contrario, può diventare democratica attraverso un radicale conflitto sociale che li rende individui e, di conseguenza, cittadini. In America la democrazia è fuori discussione, in Europa è oggetto di conflitto.Secondo Tocqueville due enormi pericoli che possono rallentare il processo di democratizzazione o persino frenarlo sono: la mancanza di lungimiranza politica => costringe gli attori sociali alla tattica del giorno per giorno; - l’aspirazione rivoluzionaria => l’idea utopica che si possa plasmare il mondo a partire da un principe astratto, che spinge gli attori sociali verso un conflitto radicale e tra le braccia della controrivoluzione e della conservazione. - In entrambi i casi non si aiuta la democrazia: da un lato per una mancanza e dall’altro per un eccesso di fede. Un altro punto centrale dell’analisi di Tocqueville è il rapporto tra democrazia e religione.Egli si domanda infatti se gli individui moderni, liberati dalle catene del passato, si liberano allo stesso tempo anche della fede religiosa e se la religione, appunto, può essere considerata espressione massima di quelle catene. La risposta positiva a entrambe le domande è tipica dell’illuminazione francese, che però Tocqueville non condivide affatto.Secondo lui non solo la fede non sparisce, ma la democrazia ha bisogno della religione. Tocqueville accetta il cambiamento democratico, ma è preoccupato da una via rivoluzionaria alla democrazia, che considera controproducente oltre che destabilizzante.Per questo è colpito positivamente dall’America dove si ama il mutamento, ma si temono le rivoluzioni. Un’altra domanda che Tocqueville si pone riguarda il mantenimento della democrazia, ovvero se questo sistema sociale è immune da pericoli. La risposta è anche qua negativa: minacce alla democrazia ci saranno sempre, indipendentemente dal modo in cui si è giunti alla democrazia.Tali minacce nascono tutte dalla tensione che si crea tra eguaglianza e libertà, infatti la democrazia pur coincidendo con l’eguaglianza, non è detto che coincida anche con la libertà. Così come è possibile la libertà democratica è altrettanto possibile il dispotismo democratico. I popoli democratici hanno quindi davanti e se un‘alternativa radicale tra due possibili esiti della loro forma sociale: il primo => capace di coordinare il desiderio di eguaglianza e lo spirito di libertà;- il secondo => in nome del desiderio di eguaglianza rinuncia allo spirito di libertà.- LIBERTÀ E PARTECIPAZIONE Primo rischio della democrazia. Quella democratica è una società egualitaria basata sull’individuo.Al suo interno non esistono gerarchie innate, ma ognuno ha la possibilità di emergere e di realizzarsi. Nasce però un problema: nei secoli aristocratici, gli uomini erano legati tra di loro da una struttura gerarchica.Il far parte della medesima catena di rapporti creava un legame tra di loro.Ora gli anelli si sono staccati e non c’è più niente che li leghi reciprocamente: “l’uguaglianza pone gli uomini fianco a fianco, senza un legame comune che li unisca”. Ognuno in quanto individuo è solo e indifferente nei confronti della Cosa pubblica: il desiderio di eguaglianza attenua il senso di appartenenza all’insieme, a una collettività. Ognuno è portato a mettere se stesso al centro della propria visione delle cose. La fine della gerarchia libera appetiti egualitari, soprattutto di tipo economico, perché le differenze sociali perdono la loro giustificazione. Il primo rischio democratico è quindi quello dell’indifferenza verso la cosa pubblica, proprio perché viene meno il senso di appartenenza a una realtà superiore a quella meramente individuale. Secondo rischio della democrazia. L’eguaglianza spinge all’uniformità. La struttura gerarchica tipica dei secoli aristocratici organizzava le diversità sociali dando ad esse un senso e un ruolo preciso. Le classi sociali erano tra loro diverse e complementari: ognuno ricopriva il proprio ruolo e la propria funzione all’interno della società. Ora l’eguaglianza non è più in grado di dare un senso di diversità. Le classi si confondono tra di loro, venendo a comporre un grande ceto medio indifferenziato, dominato da un tenore di vita anch’esso medio e dalla logica di una nuova quotidianità mediocre. Laddove prima, attraverso la gestione della diversità, emergeva la qualità, ora, nell’indifferenziazione generale, si afferma sempre di più la logica della qualità del numero: alla fine domina e si impone l’opinione pubblica. Paradossalmente quindi, proprio nella società basata sull’individuo, si corre il rischio del massimo conformismo: l’opinione individuale non riesce a emergere, schiacciata dal conformismo dell’opinione pubblica. Il secondo rischio e perciò il venir meno della diversità. Terzo rischio della democrazia Infine, se nei secoli passati la struttura sociale, legando i ceti tra di loro, vincolava l’esercizio stesso del potere, ora quest’ultimo ha la possibilità di esercitarsi senza ostacoli. Lascia quindi il potere nella situazione di non avere nessuno capace di contrapporsi ad adesso. L’individuo da solo non ha ovviamente la forza di controllare il potere e tanto meno lo può fare la massa degli individui, che diventa piuttosto la base di un potere dispotico sconosciuto ai secoli passati.Il terzo e più grave pericolo è quindi quello di un potere senza limiti, prodotto da una passione senza limiti per l’eguaglianza. I tre rischi insiti alla democrazia sono tutti legati agli effetti sociali dell’eguaglianza, che produce essenzialmente una minore attenzione per la libertà. Il problema è rendere possibile una democrazia fondata sull’equilibrio tra libertà ed uguaglianza. Se così non avvenisse, il rischio sarebbe quello di un nuovo dispotismo. Il dispotismo è il prodotto dell’indifferenza, dell’egualitarismo e della concentrazione del potere: della fine della libertà e diritti (= governo esercitato da una sola persona/gruppo in modo assolutistico senza alcun rispetto per la legge. L’alternativa è quindi tra l’essere eguali perché tutti hanno gli stessi diritti oppure perché nessuno li possiede, tra un’eguaglianza nella libertà e una nella tirannide. Sul piano politico bisogna distinguere tra la tirannide e l’arbitrio: Tirannide non arbitraria => si esercita attraverso le leggi: fascismo e nazismo.Tipica dei secoli democratici ed egualitari. - L’arbitrio => può essere esercitato anche nell’interesse dei governati e quindi non è tirannico. Tipica dei secoli aristocratici e gerarchici. - MODALITÀ CON LA QUALE GLI AMERICANI SALVAGUARDANDO LA DEMOCRAZIA I modi con cui gli americani riescono a salvaguardare la libertà nella democrazia sono svariati, ma i principali coinvolgono direttamente la sfera sociale e culturale. Essi sono: la presenza della religione- il livello di partecipazione e di associazionismo presente nella società civile- il ruolo dei giornali nella formazione dell’opinione pubblica- Il problema è quello della possibilità che si possa costituire una società civile ricca e articolata, indipendente dal potere politico, capace di far sentire la propria voce attraverso la partecipazione diretta dei cittadini alle più svariate questioni che li riguardano direttamente. Solo così l’individuo non è meramente individuo, evita di cadere nella totale indifferenzziazzione che potrebbe farne un individuo-massa, isolato, senza legami e facile preda delle lusinghe del potere.L’articolazione delle appartenenze dentro le associazioni, consente di articolare meglio gli interessi e di collegare meglio l’utilità individuale e quella collettiva: il singolo individuo è capace di vedere che il suo personale tornaconto non è del tutto svincolato da quello dei suoi simili, o perlomeno di una parte di loro, di quelli con i quali si associa per obbiettivi comune. Il puro interesse diventa così interesse bene inteso, cioè un interesse non egoista, bensì virtuoso. Naturalmente, questo è possibile solo perché gli individui partecipano a una grande quantità di associazioni civili, tese al raggiungimento di obiettivi che vanno dai più piccoli problemi della vita quotidiana a prospettive di respiro nazionale generale. Proprio questo alto tasso di partecipazione consente loro di guardare al di là del proprio naso. Di articolare un sistema di diversità che rende l’eguaglianza compatibile con la libertà. Fondamentale perciò è il ruolo dei giornali o dei mass-media: essi sono la voce delle associazioni, il loro megafono sociale, uno strumento fondamentale per contrastare la formazione di un’opinione pubblica standardizzata e omologata. Le associazioni costituiscono quel terreno di partecipazione che consente di costruire, tra il singolo e lo Stato, una società civile intermedia ricca e articolata, capace di trasformare gli individui in cittadini. La religione invece fornisce l’humus generale dell’intera collettività, quell’insieme di valori in cui essa crede anche aldilà delle divisioni che caratterizzano la società civile.Essa costituisce un limite al potere sovrano, che non può andare al di là e contro queste credenze generali condivise.Gli americani sono liberi, quindi, perche credono: la loro democrazia non è fragile perché fondata sul sentimento di appartenenza collettiva che viene vissuto come irrinunciabile (moneta americana porto stampato il motto “in God se trust” => quel we sta per ogni americano, non per il sistema finanziario o i grandi cartelli economici). Tocqueville ritiene che il dispotismo è impossibile in una società ove sia presente la religione, perché la regione e il dispotismo svolgono la stessa funzione, anche se in modi diversi.Agnosticismo e relativismo sono quindi particolarmente pericolose per la democrazia, ma non per il dispotismo. Associazioni, stampa e religione costituiscono così gli antidoti messi a punto dagli americani contro il rischio della tirannide democratica.Alla base della democrazia c’è la partecipazione: la coesione sociale democratica nasce sempre da un’esperienza condivisa. E la partecipazione è un rito che deve essere quotidianamente alimentato e mantenuto: la qualità della democrazia si gioca tutto attraverso la qualità della partecipazione. VIRTÙ CIVICHE O TIRANNIA? “Se il potere assoluto venisse di nuovo a stabilirsi tra i popoli democratici dell’Europa, non dubito che prenderebbe una nuova forma e che si mostrerebbe sotto aspetti sconosciuti ai nostri padri”. “Ai nostri giorni, in cui tutte le classi finiscono per confondersi, in cui l’individuo scopare sempre più nella folla e si perde facilmente nell’oscurità comune chi può dire dove si arresterebbero le esigenze di chi governa e la condiscendenza di chi, debole, deve obbedire?” “Non bisognerebbe, allora, considerare lo sviluppo graduale delle istituzioni e dei costumi democratici, non come migliore, ma come il solo mezzo che ci resta per essere ancora liberi? E, senza preferire il governo democratico, non si sarebbe forse disposti ad adottarlo come il rimedio migliore applicabile e più onesto che si possa opporre ai mali presenti nella società?” Il vero Tocqueville è: Aristocratico => non ha una particolare predilezione per la democrazia.- Sociologo => sa che la democrazia nella società moderna non ha alternative e comporta una sfida terribile tre le esigenze della libertà e quelle dell’uguaglianza. - Uomo d’azione => fa la sua scelta: la Repubblica democratica, basata su libertà ed eguaglianza è la via che deve essere perseguita. - “Non scorgete che, da ogni parte, le fedi fanno posto ragionamenti e i sentimenti ai calcoli? Se in mezzo a questo universale scardinamento, non giungete a legare l’idea dei diritti all’interesse personale, che si offre come il solo punto immobile nel cuore umano, che cosa vi resterà dunque per governare il mondo, se non la paura?” Per noi contemporanei la società moderna è sempre più ragionamento e calcoli e sempre meno fede e sentimenti.Si apre così una sola alternativa, quella tra la forza ragionevole di diritti e la forza irragionevole della paura. Scegliere tra le due è scegliere tra libertà democratica e tirannide democratica. Attraverso Comte e Tocqueville abbiamo visto due aspetti importanti del cambiamento sociale impresso dalla modernità: Comte => sottolinea la dimensione culturale, il passaggio dalla centralità della religione a quella della scienza (aspetto culturale/religioso) - Tocqueville => ipotizza l’aspetto politico, il passaggio dall’aristocrazia alla democrazia (aspetto politico/sociale)- Entrambi vedono queste profonde trasformazioni da sociologi, all’interno cioè di processi che riguardano la società nel suo complesso. Marx => (aspetto economico).- 3.Marx e la critica al capitalismo BIOGRAFIA E OPERE Il marxismo, così come si sviluppa negli anni dopo la morte di Marx, è frutto dell’azione di Engels più che dello stesso Marx. Marx dedica la sua opera di studioso all’analisi dei processi di formazione, di sviluppo e di affermazione della società borghese moderna. Egli intende il suo lavoro di scienziato sociale sempre e solo come analisi critica dell’economia borghese e del suo funzionamento.Marx è essenzialmente uno scienziato critico: tutta la complessità del suo pensiero sta nell’ambivalenza e nella continua tensione tra la carica critica e utopica della sua formazione giovanile e il rigore dello studioso maturo.Egli appare ai suoi innumerevoli seguaci come colui che ha dato una base scientifica all’utopia comunista, all’idea di una società nuova e giusta.Probabilmente nessun pensatore nell’intera storia dell’umanità ha cambiato il mondo quanto Marx: le sue dottrine hanno unito e diviso intere generazioni di studiosi; hanno mantenuto viva l’idea di uguaglianza e di giustizia sociale, portando linfa a movimenti, associazioni e partiti in quasi ogni angolo del pianeta; hanno costituito la dottrina di riferimento di formazioni statali che hanno fatto del marxismo un avere propria ideologia di Stato.È perciò fondamentale separare Marx dal marxismo ed i marxisti: Marx è essenzialmente uno studioso critico del capitalismo moderno. Per lui la società moderna è capitalista, cioè segnata dal grado enorme di sviluppo che in essa raggiungono le forze produttive. Questo fatto costituisce uno straordinario traguardo per la storia dell’umanità e la possibilità di notevole sviluppo delle sue potenzialità, che si realizza solo attraverso la critica al capitalismo stesso. IL METODO La sfida che il pensiero di Marx pone alle scienze sociali è quella di essere uno scienziato critico. Il problema centrale che Marx si pone è di individuare il rapporto che c’è tra oggettività del sapere scientifico e critica sociale, se l’una esclude l’altra o se sono compatibili. Le scienze naturali tendono a mettere in luce la natura e il funzionamento della realtà naturale, identificandone le leggi fondamentali. Qui non c’è nessuno spazio alla critica, perché non c’è uno spazio di intervento sulla natura dell’oggetto.La scienza critica altre forme di sapere (la religione, il mito) mostrando la loro falsità in nome di una conoscenza oggettiva e razionale, ma non critica l’oggetto studiato. Marx al contrario, sostiene che la scienza della società implica la critica sia di altri saperi non scientifici sia della società stessa. La critica si esercita verso altre forme di conoscenza e verso ciò che si studia: è una critica del metodo e dell’oggetto.Egli non pensa che così facendo si abbandoni il carattere scientifico dell’analisi: egli vuole mettere in luce la legge evolutiva della società umana (Darwin). Allo stesso tempo, ritiene che, una volta identificata tale legge evolutiva, si possa solo ostacolare o incoraggiare l’evoluzione: non si può più essere neutrali. La scienza toglie la buona fede: finché non si conosce come funziona la società e la storia, si può ancora pensare, ad esempio, che Dio esiste, che i borghesi fanno gli interessi di tutti, che lo stato democratico è la forma politica migliore, ma una volta in possesso di un sapere vero e oggettivo sul funzionamento della storia e della società capitalistica, non ci si può più sottrarre: si può prendere posizione per la conservazione dello status quo oppure, contribuire all’evoluzione sociale verso la metà ulteriore, che è allo stesso tempo necessaria e frutto dell’azione umana: Necessaria = perché risponde alla logica di sviluppo della storia- Frutto dell’azione umana = perché la storia non può essere altro che il risultato di ciò che gli uomini fanno e vogliono. - Marx è critico perché scienziato: il sapere scientifico impone di essere critici, cioè di diventare attori consapevoli, obnubilati da falsi saperi. Oggettività e critica sono non solo compatibili, ma fanno parte dello stesso progetto scientifico. Le contraddizioni presenti nel pensiero di Marx sono quella tra determinismo e volontarismo, tra legge e libertà. In un certo senso, potremmo dividere la storia umana in due fasi: la prima = nella quale le leggi evolutive operano senza che l’uomo ne sia consapevole;- la seconda = nella quale appare all’uomo la vera natura della sua vita sociale ed egli può o meno assecondarne lo sviluppo. - Senza vero sapere non c’è libertà: quando l’uomo è dominato dai miti o dalla religione, egli non è libero. La sua azione nella storia è mossa da falsi sapere. Solo attraverso la scienza egli solleva il velo di oscurità dentro cui era avvolto e coglie la vera natura delle relazioni sociali. Egli ora è libero di realizzare la sua natura, che è quella, appunto, colta dalla scienza, oppure può difendere il presente così com’è, in nome di interessi personali, di proprie posizioni di potere, tutte cose che verrebbero cancellate nella società futura. Su queste divisioni fondamentali, e sulla scelta che ne consegue ne consegue la storia dell’uomo: particolare => tende a conservare il proprio potere - universale => chi, non avendo nulla da perdere, vuole e sceglie il cambiamento, assecondando così la legge di movimento della società umana. - La storia è quindi il risultato di una tensione continua tra particolare e universale, che consente all’universale di realizzarsi attraverso i particolari. Ecco che si spiega così il senso in cui scienza e utopia possono incontrarsi: la scienza mostra come si possa essere scienziati proprio perché si sceglie di stare dalla parte di chi soffre. La società giusta e quella vera coincidono, perché le leggi scientifiche di movimento della società portano alla realizzazione di un mondo senza interessi particolari, dove si dispiega l’essere umano nella sua essenza universale. Marx lega la visione utopica di una società giusta alla critica scientifica del capitalismo: da una parte abbiamo una visione etico-filosofica dell’uomo e della vita sociale, che si sostanzia nel concetto di critica sociale; - dall’altra uno studio scientifico del funzionamento economico del capitalismo. - Gli strumenti con cui Marx da voce a queste due esigenze sono la dialettica di Hegel e l’economia politica di Adam Smith, entrambe sottoposte a una critica che le riformula e le rinnova. LA CONCEZIONE DELL’UOMO NELLA STORIA Secondo Marx, l’uomo è un “ente generico” in quanto si coglie come genere, cioè come uomo e, di conseguenza, come ente universale e però libero. Questa è la differenza fondamentale con l’animale: l’uomo è consapevole del suo appartenere alla specie. La sua esistenza, con le caratteristiche che la contraddistinguono, sono solo un modo con cui egli sente di poter realizzare la sua universale essenza di uomo. Per Marx, l’esistenza è un mezzo dell’essenza: ognuno di noi realizza la propria comune essenza “uomo” attraverso la sua diversa esistenza. In questo caso, ciascuno di noi è libero: la libertà è data dalla consapevolezza dell’apertura di una distanza tra essenza ed esistenza. L’animale è solo la sua attività vitale e non si distingue da essa: nell’uomo, l’attività vitale è mezzo della realizzazione della sua essenza.Questo però significa che l’uomo non può realizzare se stesso da solo: la realizzazione dell’individuo implica quella di una ogni altro individuo, quella del genere. Un uomo non può essere felice da solo. Se così accadesse avremmo la cessione definitiva tra esistenza ed essenza: l’uomo tradirebbe la sua essenza in nome della sua esistenza, non si coglierebbe più come genere, ma come singolo. Così facendo, anche il particolare negherebbe se stesso, la sua universalità. Naturalmente, la realizzazione di ognuno e di tutti non è qualcosa di dato, ma ha bisogno di un processo di progressiva presa di consapevolezza: la storia umana è storia di questo processo, nel quale la tensione ta esistenza ed essenza, ta interesse particolare e aspirazione all’universale realizzazione, si concretizza in forme via via diverse. L'uomo realizza consapevolmente se stesso attraverso la sua attività, in sostanza attraverso il suo lavoro. Si tratta di un'idea estremamente moderna. Nell'antichità classica, il lavoro è tipico degli schiavi e delle donne: se l'uomo vuole essere veramente tale, deve emanciparsi dal lavoro, che accomuna gli uomini alle bestie, per dedicarsi alla vita della città (polis). Anche nel medioevo persiste l'idea della superiorità della vita contemplativa su quell'attiva. Al contrario, la centralità del lavoro emerge prepotentemente con lo sviluppo della modernità. Ma è importante ricordare come per Brunelleschi la cupola di Santa Maria del Fiore non sia altro che il modo con cui egli realizza il proprio essere umano in quanto individuo specifico: per lui l'arte non è più solo un'attività ad maiorem Dei gloriam ,ma il modo di estrinsecare la propria più vera e profonda individualità e umanità. Per Marx, il lavoro implica un estraniazione: l'essenza dell'uomo si realizza oggettivandosi, diventando altro da sé. Attraverso il lavoro, l'uomo produce oggetti in cui riconosce se stesso perché sono prodotti del suo lavoro, cioè della propria essenza. Senza alienazione non c'è realizzazione: l'essenza diventa consapevole solo oggettivandosi in qualcosa che le si contrappone. L'oggetto prodotto, nella sua oggettività, è altro dal produttore. La storia dell'uomo è la storia, assai travagliata, della sua progressiva realizzazione come universalità, cioè come ente generico. Egli, oggettivandosi con il suo lavoro, produce un'entità che gli si contrappone, che gli appare come dotata di una realtà oggettiva, anche se è un suo prodotto. Le varie società umane non sono altro che questo: sono le forme con cui l'uomo si relaziona con gli altri uomini per estrinsecare la sua essenza. La storia dell'uomo è così la storia dei modi con cui l'uomo produce, e l'evoluzione storica non è altro che l'evoluzione di questi modi di produzione. Se un marziano atterrasse sulla terra e volesse capire a quale stadio di sviluppo sta la civiltà umana nella società che sta osservando, e se questo marziano fosse un marxista e non volesse perdere troppo tempo, andrebbe subito a vedere com'è organizzata la produzione. Marx distingue così una struttura economica da una sovrastruttura pensando che è la prima che determina la seconda. L'essere sociale determina la coscienza dell'uomo. La formula di Marx chiarisce come l'oggetto prodotto possa determinare il suo produttore. L'uomo produce la società ed è la società che poi lo determina. La storia dell'uomo è così la storia della sua alienazione nella società, in forme sociali che, determinandolo, nascondono e negano la sua libertà, cioè la capacità di realizzare se stesso insieme agli altri. Qui Marx riprende la teoria di Rousseau, secondo cui la società di per sé è negazione dell'uomo, della sua essenza. Marx però va oltre Rousseau: Innanzitutto, ritiene che l'alienazione umana dentro la storia è inevitabile se l'uomo vuole diventare pienamente consapevole di sé. - In secondo luogo, ritiene possibile una via d'uscita dalla storia: quest'ultima è allora il lungo cammino con cui quell'uomo, alienandosi, progressivamente realizza se stesso, fino alla costruzione di una società nella quale egli può realizzare compiutamente se stesso, la sua natura umana, la sua essenza, la sua libertà. Una società nella quale la realizzazione del singolo implica quella di tutti. - Per capire questo effetto occorre vedere come l'uomo organizza la sua attività produttiva. Secondo Marx, ogni stadio dello sviluppo storico, cioè ognimodo di produzione, è caratterizzato da uno specifico grado di sviluppo delle forze di produzione. Le forze di produzione sono determinate da condizioni materiali. Egli identifica quattro modi di produzione, cioè quattro tipi di società: Tribale- Antica- Feudale- Capitalista. - Ognuna è caratterizzata da uno specifico sviluppo delle forze di produzione, che è estremamente basso nelle prime e raggiunge il suo apice nel capitalismo. Il cambiamento delle forze di produzione è la precondizione del cambiamento sociale in generale: lo sviluppo della tecnica, e prima ancora della scienza, sono il motore nascosto dello sviluppo umano. Occorre però anche che qualcuno si faccia promotore attivo di questo cambiamento. Protagonisti della storia, per Marx, sono le classi sociali, cioè la forma con cui gli uomini organizzano le loro relazioni dentro le attività produttive. Solo alla fine della storia le classi spariranno e le relazioni umane saranno finalmente naturali. Le classi sociali si distinguono tra loro a seconda della posizione che assumono all'interno del processo di produzione. Nel momento in cui si sviluppano nuove forze di produzione, i vecchi rapporti di produzione iniziano a scricchiolare, perché incapaci di sostenere l'impatto delle nuove tecniche. Si forma allora una nuova classe sociale (classe dominante), che fa proprio queste nuove possibilità e che tende a contrapporsi alla classe dominante. La classe antagonista prende coscienza della sua situazione, sviluppa una coscienza di classe che ne fa una protagonista attiva e consapevole del processo storico. Solo così le tensioni tra classe dominante e classe dominata possono portare a un conflitto potenzialmente rivoluzionario: quest'ultimo, attraverso un sovvertimento dell'ordine sociale, inaugura la nuova fase dello sviluppo dell'umanità, caratterizzata da uno stadio più evoluto della produzione e della civiltà. La storia è allora come si legge nel fulminante inizio del Manifesto del Partito Comunista. Il materialismo storico è allora il risultato dell'uso del metodo dialettico hegeliano per spiegare la dinamica sociale: si passa da una fase all'altra della storia attraverso il conflitto rivoluzionario tra classi contrapposte. Alla fine del processo, una classe sociale che rappresenta insieme se stessa e l'umanità in generale potrà compiere il balzo finale fuori dalla storia, realizzando l'utopia di una completa realizzazione dell'uomo. Questa classe è il proletariato, la classe antagonista della borghesia, e l'utopia realizzata è il comunismo. TUTTO CIÒ CHE È SOLIDO SI DISSOLVE NELL’ARIA La borghesia per prima ha mostrato che cosa possa l'attività umana. La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali. "Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento e eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte le precedenti". Qui si celebra la borghesia, si canta una vera e propria ode alla sua capacità di fare cose che nessuno prima ha mai osato pensare e fare: dove prima c'erano solo stabilità e conservazione, adesso regnano trasformazione e mutamento. Questo cambiamento coinvolge progressivamente tutto il globo terrestre e a una portata universale. La borghesia realizza un salto decisivo nel processo di universalizzazione presenza nella storia umana, attraverso un cambiamento che si fa profondo sia intensivamente sia estensivamente. La storia europea diventa storia mondiale. Il cambiamento della struttura determina un cambiamento profondo anche dei modi di pensare, della sovrastruttura. Non c'è più nulla in cui credere, le vecchie credenze vengono superate e le nuove neppure fanno in tempo a consolidarsi. Così svaniscono i vecchi e desueti ordinamenti sociali, perché vengono meno le loro basi culturali. Per Marx, "la critica della religione è il presupposto di ogni critica" perché essa costituisce quella forza che più di tutte nasconde all'uomo la sua vera essenza, proiettandola in un essere superiore. Essa è alienazione al suo massimo grado. Marx pensa che la forza di Dio è quella che l'uomo toglie a se stesso. Quanto più l'uomo è debole, tanto più Dio è potente. La borghesia, dissolvendo tutte le vecchie credenze, contribuisce al processo di chiarificazione del rapporto tra uomo e natura e tra uomo e uomo. Emerge qui il rapporto stretto tra borghesia e Illuminismo: incessante sviluppo delle forze produttive e porta con sé l'incessante critica alla false credenze del passato, dai miti e alla religione. Secondo Marx, il dominio economico e di una classe sulle altre ha bisogno di un parallelo dominio culturale. La critica, quindi, deve esercitarsi sia sulla struttura che sulla sovrastruttura: da una parte, occorre sostenere il progressivo sviluppo delle forze produttive, così da liberare l'attività vitale umana; dall'altra, bisogna sviluppare la progressiva liberazione del pensiero da tutte le false credenze passate. Per Marx, occorre allora criticare, dopo la religione, anche l'ideologia borghese, quella sovrastruttura culturale che, nasconde il dominio borghese. Si tratta di un'ideologia che assume vesti e forme politiche che investe il rapporto tra Stato e società civile. In estrema sintesi: secondo Hegel, la società civile è luogo della divisione tra i soggetti sociali che la compongono, ognuno è portatore di propri specifici interessi. Perciò l'unità, impossibile a questo livello, è conseguibile solo attraverso lo Stato. La critica di Marx è radicale: Hegel crea una fittizia universalità per nascondere i reali rapporti di forza presenti nella società. Occorre guardare allora, dietro la falsa universalità dello Stato, ai reali rapporti di forza dentro la società civile dove si può trovare il dominio borghese. La critica a Hegel è la critica lo Stato liberale borghese: attraverso la formula parlamentare, la borghesia crea una falsa e neutrale universalità che le consente di fatto di continuare il suo dominio. La politica, la religione, la filosofia ecc. Sono tutte ideologie funzionali alla classe dominante, dal momento che nascondono, dietro false razionalizzazioni, i reali rapporti di classe. Compito essenziale del marxismo e allora smascherare tutte le ideologie (in primis quella borghese) così da far emergere un pensiero vero, capace di realizzare il progetto illuminista. Dietro le apparenze ideologiche, occorre cogliere la vera realtà delle cose. LA TEORIA DELLO SVILUPPO Per Marx, il capitalismo realizza una realtà dove tutto viene rovesciato nel suo contrario. Il lavoro stesso viene alienato, in un duplice senso: da un lato, il lavoro implica un'alienazione nell'oggetto prodotto, dall'altro, nel capitalismo, soggetto diventa merce e da qui sottratto al suo produttore. Il lavoro diventa esso stesso una merce. Per il proletario, l'essenza è un mezzo dell'esistenza. Egli è costretto a vendere il suo lavoro sul mercato come una qualsiasi altra merce e il suo lavoro è sottoposto alle regole del mercato. Secondo Marx è possibile distinguere due modi di concepire il valore di una merce: il valore d'uso e il valore di scambio. Il primo è l'utilità di una cosa; il secondo è il rapporto quantitativo con cui le merci sono scambiate tra di loro. Da un lato c'è un elemento qualitativo, dall'altro un elemento quantitativo. Lo scambio delle merci e finalizzato E alla realizzazione delle utilità e avviene nella forma M-D-M'. Il senso dello scambio è perciò quello di vendere frutta (M) e con il denaro ottenuto (D) acquistare carne(M'). Il denaro è il mezzo dello scambio, mentre i valori d'uso sono il fine. In questa forma di scambio c'è così un corretto rapporto tra qualità e quantità: la prima è il fine, la seconda il mezzo. Il capitalismo è invece quella forma sociale che trasforma il denaro in capitale. Nel ciclo capitalista il denaro non è più un mezzo dello scambio bensì il suo fine. Ecco perché ora lo scambio non è più dominato da una logica qualitativa ma da una quantitativa. Il denaro diviene capitale quando da mezzo diventa fine dello scambio. Esso sta all'inizio e alla fine di un processo in questo lo scopo è quello di ottenere più denaro di quello anticipato. Il capitalista non è un mastro Don Gesualdo del denaro: egli deve investire il capitale per poterlo valorizzare, cioè per aumentarne il valore. Come possibile la valorizzazione del capitale? Tutto lo sforzo di Marx sta nel rispondere scientificamente a questa domanda: poiché nulla si crea e nulla si distrugge, ciò che si ottiene in più alla fine deve essere il risultato di un furto che il capitalista compie nei confronti di qualcun altro. Qual è il valore di una merce? Secondo Marx, il valore di una merce è dato dalla quantità di del lavoro socialmente necessario per produrla. Non ci può essere altra fonte di valore che non sia il lavoro. Il lavoro assume però forme assai eterogenee: ma in entrambe le situazioni storiche possiamo distinguere tra lavoro generico e lavoro specializzato. Come si fa a misurare il valore prodotto dal lavoro se ho tante diverse forme di lavoro?Marx pensa che si possa ridurre tutte queste differenze a un unico denominatore comune che chiama lavoro astratto. Esso è la mera capacità lavorativa dell'uomo in quanto ente generico e adesso si possono riportare tutte le forme di lavoro concreto. Il valore di una merce sarà perciò determinato dalla quantità di lavoro astratto socialmente necessario per produrla. Se il lavoro impiegato nel processo produttivo venisse retribuito esattamente per ciò che ha prodotto, verrebbe meno la possibilità per il capitalista di ottenere del denaro in più. La valorizzazione del capitale avviene attraverso una remunerazione incompleta del lavoro operaio. Il capitalista è però abile nel mascherare questo vero e proprio furto. Egli acquista dall'operaio la sua capacità di lavorare e poi lo impiega a suo piacimento. Marx chiama questa generica capacità di lavoro forza lavoro. Il concetto riporta l'idea marxiana per cui nel capitalismo anche il lavoro diventa una merce che il capitalista acquista e usa a suo piacimento. Acquistando la forza lavoro attraverso un salario, il capitalista acquista l'ente generico del lavoratore e lo usa come crede, sicuramente per una quantità di ore tale che produca un valore superiore al valore contenuto nel salario stesso. Se quest'ultimo prendesse consapevolezza del furto che avviene a suo danno, e se rifiutasse di essere comprato come una merce, potrebbe mettere le premesse di un radicale cambiamento sociale. Il primo libro del Capitale ha lo scopo di mostrare scientificamente come avviene la valorizzazione del capitale, come cioè il capitalista riesce a trarre un plus valore del capitale anticipato. Un grave problema però aleggia su tutta la dimostrazione. Il valore della merce prodotta coincide con l'effettivo prezzo con cui viene venduta? Emergono qui i due problemi. Il primo ha che vedere con il rapporto tra domanda e offerta di merci. La domanda, in regime capitalista, non è pianificata e quindi potrebbe essere superiore o inferiore alla quantità prodotta. Non è detto che il prezzo coincida con il valore. Marx sembra poter far fronte a questo problema sostenendo che la concorrenza farà in modo che le merci possono essere vendute a un prezzo che corrisponde al loro effettivo valore. Il secondo problema però è ancora più serio. Esso ha a che vedere con la produzione delle merci. Se il valore è prodotto dal lavoro, dobbiamo presupporre che le tecniche di produzione siano del tutto irrilevanti. In realtà il valore prodotto dipende dal lavoro, ma anche dalle tecniche di produzione impiegate. Dobbiamo concludere che tutta la teoria del valore/ lavoro, secondo cui il lavoro di una merce è legato alla quantità di lavoro necessario per produrla, è sbagliata o non è in grado di spiegare i prezzi di produzione delle merci. Se il capitalismo è una realtà sotto sopra, che dietro l'apparenza dei prezzi nasconde la realtà del valore, allora si può dire che la realtà non spiega l'apparenza e appare ancora più irreale di quest'ultima. È possibile spiegare i prezzi di produzione con la teoria del valore di Marx? Alla fine, dopo una disperata difesa della teoria del valore/ lavoro, la conclusione è drastica e irrevocabile: no. L'intento marxiano era quello di dimostrare l'esistenza dello sfruttamento capitalistico attraverso la misurazione oggettiva basata sulla quantità di lavoro incorporato nelle merci. LA TEORIA DELLO SVILUPPO Un'altra parte importante del lavoro di Marx riguarda i processi di nascita, sviluppo e affermazione del capitalismo. Per Marx, il capitalismo si basa su un'originaria spoliazione effettuata nei primi borghesi nei confronti di milioni di contadini e piccoli artigiani, costretti ad abbandonare le loro proprietà e le loro residenze per diventare manodopera a basso costo nelle prime grandi città industriali. Si tratta di quello che Marx chiama processo di accumulazione originaria, che consente la formazione di un capitale da investire nell'attività produttiva industriale. Ora vediamo delle caratteristiche tipiche del processo di sviluppo del capitalismo messa in luce da Marx. La prima ha a che vedere con il processo di concentrazione del capitale: si passa da una situazione di libera concorrenza tra imprenditori, a una di tipo oligopolistico per poi arrivare la formazione di veri e propri monopoli industriali. A Marx lascia supporre che questo processo di concentrazione del capitale spingerà un numero sempre più alto di soggetti e di classi sociali nell'inedia. La seconda riguarda l'emergere di una classe di manager industriali, che costituisce un indicatore più evidente di una progressiva scissione tra proprietà e controllo dei mezzi di produzione. Le società per azioni "sono l'annullamento dell'industria privata capitalistica sulla base del sistema capitalistico stesso e distruggono l'industria privata a misura che esse si ingrandiscono e invadano nuove sfere di produzione consentendo così la formazione del capitale finanziario". Marx descrive fenomeni che sono oggi sotto gli occhi di tutti. Un'altra caratteristica dell'economia capitalistica e il suo carattere irrazionale e anarchico. Essa è incompatibile con qualsiasi forma di pianificazione e organizzazione della produzione. La logica dominante è solo quella della valorizzazione del capitale, non quella della soddisfazione di bisogni concreti. Proprio per questo motivo, l'economia capitalistica è esposta crisi economiche ricorrenti. Un aspetto caratteristico è paradossale del capitalismo sono le crisi di sovrapproduzione. La situazione è irreale: mentre sistemi economici per i capitalisti non riuscivano a risolvere il problema della carenza di cibo ora abbiamo un sistema produttivo che produce più bene di quanto si sia in grado di consumare. L'aspetto fondamentale dello sviluppo capitalistico è però il processo di universalizzazione, che agisce a tutti livelli e non solo a quello economico. Nel capitalismo tutto diventa una merce. Il processo di valorizzazione del capitale non si arresta davanti a nulla. È emblematico di questo processo è la riduzione del lavoro (e quindi dell'uomo) a merce, anche esso posto sul mercato come tutte le altre merci. I mercati locali diventano sempre più un unico mercato mondiale, che non ha più confini se non quelli stessi del globo. In questo modo si produce una universalizzazione dei rapporti umani. Per la prima volta si può parlare di umanità in senso reale, intesa come effettiva messa in contatto reciproco di tutto il genere umano. La sfida della globalizzazione sta nella possibilità di un'emancipazione della logica economica capitalistica che rende possibile un'umanità non dominata dalla valorizzazione del capitale. L’UTOPISTA LIBERATO DALLO SCIENZIATO Abbiamo visto le enormi questioni sollevate dall'imponente impianto teorico marxiano. Esso tende a rendere conciliabili aspetti che difficilmente lo sono. Più di ogni altro pensatore, Marx ha stupito interpretazioni più o meno corrette e fuorvianti, che ne hanno fatto, il liberatore dell'umanità e l'ideologo di terribili dittature, un profeta è uno scienziato, un utopista e un realista, un rivoluzionario è un democratico ecc. Alla nostra sensibilità di contemporanei, una volta criticate definitivamente la sua teoria economica dei prezzi e la sua filosofia della storia, appaiono forse sempre attuali almeno due aspetti del suo pensiero: l'analisi dei processi di sviluppo del capitalismo, la carica critica contenuta nel suo utopismo giovanile. La concezione che Marx ha dell'uomo implica una fondamentale socialità: in quanto ente generico, l'uomo è potenzialmente consapevole di essere parte di un insieme più ampio, che è il suo genere. Libertà ed eguaglianza appaiono strettamente connesse. La scissione tra esistenza e essenza può essere colmata solo se tutte le esistenze sono allo stesso modo libere di auto realizzarsi in quanto tali. Possiamo allora dire che se la storia, è determinato dallo sviluppo delle forze economiche, dall'altro è mossa da un senso universale di giustizia, che è la sola vizio nella natura dell'uomo ed ha fondato sullo scarto che esiste tra il potenziale umano contenuto nella sua natura e la specifica realtà sociale. Questo scarto produce l'idea di una società giusta. Si tratta di un'idea di giustizia che si concretizza storicamente in tante diverse morali particolari, ognuna delle quali appare ideologica dal punto di vista di quella successiva. La morale è una regola di condotta per le società non liberate. Marx vede nell'utilitarismo la forma più compiuta della morale borghese. Come scrivono Marx ed Engels, << lo spiritualismo commette la stupidità di fondere tutte le molteplici relazioni tra gli uomini nell'unica relazione di utilità>>. Al contrario, l'etica universale non ha una base utilitaristica, ma aspira alla piena realizzazione dell'uomo. Diventa così evidente la sua portata universale: la base antropologica su cui è collocata rende possibile la criticare tutte le ingiustizie. Essa contiene un potenziale deliberazione che è a disposizione dei soggetti sociali tra loro molto diversi. Si può forse allora dire che dimenticati i portici intellettuale della dialettica e hegeliana e affossate dal loro stesso bisogno di rigore le analisi scientifiche di teoria economica, rimane per noi contemporanei ancora aperta una domanda, dalla semplice formulazione ma dalla problematica risposta: quella capitalistica è una società giusta? Con il pensiero di Comte e, Tocqueville e Marx, la sociologia definisce un proprio originale campo di analisi, costituito dalla nuova e complessa interazione tra la dimensione culturale, politica ed economica che caratterizza la società moderna. INTRODUZIONE ALLA SOCIOLOGIA venerdì 18 ottobre 2019 09:02
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