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INTRODUZIONE ALLA STORIA MEDIEVALE - ALBERTONI,COLLAVINI, LAZZARI 2 EDIZIONE, Sintesi del corso di Storia Medievale

RIASSUNTO DETTAGLIATO DELL'UTIMA EDIZIONE (CIOE' LA SECONDA) DEL MANUALE DI INTRODUZIONE ALLA STORIA MEDIEVALE CON COPERTINA VERDE SCURO.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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alessia7880 🇮🇹

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Scarica INTRODUZIONE ALLA STORIA MEDIEVALE - ALBERTONI,COLLAVINI, LAZZARI 2 EDIZIONE e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! -RIASSUNTO- INTRODUZIONE ALLA STORIA MEDIEVALE PRIMA PARTE <I CARATTERI DELLA STORIA MEDIEVALE> cap. 1 L’ETA’ MEDIEVALE: SPAZIO, TEMPO, PERIODIZZAZIONI “Periodizzare” significa individuare nel flusso del tempo momenti di frattura e fasi più omogenee. 1. UNA PARENTESI NEGATIVA Il termine “medioevo”si diffonde a partire da alcune opere storiche composte tra il Quattrocento e i Seicento, a indicare il periodo che separava quei secoli dall’impero romano e dell’età classica. La cultura umanistica volle porsi in diretta continuità con quella classica; il millennio intercorso apparve come un tempo intermedio - un medio “evo” -. 2. PENSARE IL TEMPO, PENSARE LA STORIA Due possibili concezioni del tempo, una lineare e una ciclica. L’idea ciclica del tempo nasce da una visione naturalistica; una visione lineare del tempo è invece quella che deriva prima di tutto dalle grandi religioni monoteistiche. L’incarnazione per il cristianesimo ha portato a strutturare il tempo in una cronologia lineare. Questa distinzione è importante dal nostro punto di vista, esche ci permette di comprendere quanto la visione del medioevo in età umanistica fosse profondamente diversa dalle elaborazioni avviate soprattutto a partire dall’illuminismo. Per gli umanisti del XV secolo la nozione di medioevo rimanda ad un’ idea di rinascita. 3. DETERMINARE GLI SPAZI Si pone però anche un problema di spazi: dato che la periodizzazione è un’opera interpretativa, ovviamente essa non può proiettarsi in un modo omogeneo sulla storia universale. In particolare, la nozione di medioevo nasce in riferimento all’Europa occidentale. L’idea di medioevo si forma in riferimento a questo spazio di civiltà, ed è solo per l’Europa occidentale che possiamo riflettere sull’utilità di tale idea per comprendere il passato. È chiaro quindi che ci troviamo di fronte a una lunga rielaborazione dell’eredità romana, con una cronologia affine a quella del medioevo occidentale; ma è chiaro che i meccanismi politici, culturali ed economici del mondo bizantino sono profondamente diversi, per quanto entrino in interferenza con le dinamiche occidentali. L’uso della nozione di medioevo per altri spazi di civiltà nasce più che altro da affinità formali, senza alcun reale nesso storico. 4. INIZIO E FINE DEL MEDIEVO La consolidata manualistica italiana individua l’inizio del medioevo nel 476, con la cosiddetta caduta dell’impero romano d’occidente. Molte altre date sono state preposte come momento di inizio del medievo. Il 313 è l’anno in cui l’imperatore Costantino concesse la libertà di culto ai cristiani; nel 324 lo stesso imperatore rifondò la città di Bisanzio, che con il nuovo nome di Costantinopoli divenne presto la seconda capitale dell’impero. Ognuna di queste date è stata proposta come l’inizio del medioevo e ognuna riflette un modello interpretativo diverso, letture che hanno via via individuato, come fattore principale del mutamento, i fattori religiosi, la rottura dell’unità politica del Mediterraneo romano, il crollo elle frontiere militari e della sicurezza romana. Non esiste una data assolutamente giusta o una data assolutamente sbagliata: esiste solo un uso sbagliato delle date, perché sarebbe fuorviante pensare che un singolo avvenimento possa mutare le strutture complessive del vivere associato, fino a segnare l’inizio di una nuova epoca. È importante quindi non sopravvalutare le date che sono mnemonicamente utili, ma non ne deve essere esagerata l’importanza. Alcune scelte appaiono più fondate e altre meno; è quanto meno incoerente affermare che il medioevo inizia nel 476 e termina nel 1492. È contraddittorio perché esprime una lettura della storia che non appare sorretta da un quadro interpretativo coerente. 5. NEGARE IL MEDIOEVO L’idea di medioevo si presenta quindi come una nozione sfuggente, dai confini e dai connotati difficili da individuare. Nel corso della seconda metà del Novecento hanno trovato spazio crescente alcune nuove linee di ricerca incentrate su aspetti della vita umana le cui evoluzioni faticano a rientrare nella scansione cronologica espressa nell’idea di medioevo. Studiosi come Jacques Le Goff o Massimo Montanari hanno perciò preso atto dell’impossibilità di creare una periodizzazione di valore onnicomprensivo e su questa base hanno di fatto negato l’utilità della nozione di medioevo come strumento di periodizzazione. 6. PERIODIZZARE IL MEDIOEVO Un gruppo di secoli ampio come il millennio medievale pone di per sé un problema di periodizzazione. Dobbiamo chiederci dunque con quali ritmi cambiano le forme del vivere associato, della produzione, dello scambio, della spiritualità, e verificare se questi diversi mutamenti delineano ritmi e cronologie in qualche modo convergenti. Da questo punto di vista si possono individuare fasi di alto valore periodizzante. Tra i secoli IV e VI molti aspetti della vita umana si trasformano, assumendo connotati destinati a lunga fortuna.cambiarono le fedi religiosi, dominanti, la distribuzione dei popoli in Europa e nel Mediterraneo, i sistemi politici, le forme della circolazione economica. un’analoga articolazione nel mutamento si individua alla fine del medioevo, in quella fase storica che negli ultimi decenni ha attirato sempre più l’attenzione degli storici. Fu un processo non solo politico ma di consolidamento delle gerarchie sociali e di trasformazione del territorio, organizzato in quadri via via più ampi e definiti. Si delineano quindi complessivamente due lunghi fasi plurisecolari, dotate di una proprio fisionomia riconoscibile, al cui interno vediamo convergere mutamenti strutturali di natura diversa che segnano i funzionamenti dell’Europa occidentale per i secoli seguenti. Le articolazioni interne nel medioevo si sono tradotte in ulteriori scansioni e periodizzazioni interne. La pratica della ricerca ha però progressivamente cambiato le prospettive e ha avvicinato i modelli di periodizzazione italiani e francesi a quelli anglosassoni e tedeschi. In particolare, negli ultimi anni si è data un’importanza crescente ai secoli centrali del medioevo, visti non tanto come un momento di transizione tra l’alto e il basso medioevo, ma come periodo dai funzionamenti specifici, che non possono essere ridotti né a un semplice declino dell’ordine carolingio, né alla preparazione delle successive dominazioni regie (in Francia) e comunali (in Italia). 7. CHE COS’E’ IL MEDIOEVO? testi scritti hanno assunto importanza strutture edilizie, sepolture, manufatti, relitti navali, resti umani animali e botanici, per fare solo qualche sempio. La valorizzazione dela dato archeologico rimanda al tentativo di individuare nuove tipologie di fonti in vista dell’apertura di nuovi campi nella ricerca storica. 1. LE TENDENZE DELL’ARCHEOLOGIA MEDIEVALE Nel più generale processo di rinnovamento delle fonti storiche, il caso delle fonti materiali è più complesso, perché la loro valorizzazione è coincisa con la nascita di una nuova disciplina, l’archeologia medievale. Per affermarsi, essa ha compiuto un duplice processo di distinzione, sia rispetto alla storia che da ragioni cronologiche. Quanto al primo aspetto, un passaggio decisivo è consistito nel rifiuto da parte dell’archeologia del ruolo di scienza subalterna o ausiliaria alla storia. Da qui deriva il maggior rilievo attribuito all’archeologia dall’alto rispetto a quella del basso medioevo, o a quella delle aree povere di testi scritti, rispetto a quelle delle aree più documentate. Quest’idea del rapporto diseguale tra le due discipline non è più scientificamente sostenibile, ma persiste inerzialmente nel senso comune. Nell’affermazione dell’autonomo statuto scientifico dell’archeologia medievale ha avuto un ruolo decisivo la corrente nota come New Archaeology. Questo orientamento cercava nella geografia e nelle scienze sociali ed ecologiche i propri fondamenti epistemologici, perché voleva essere una scienza esatta. Quanto alle tecniche d’indagine, l’archeologia, garantisce grandi quantità di informazioni. Nei decenni suasivi il processualismo è stato criticato da studiosi di vario orientamento, che si è soliti chiamare post-processualisti. Le loro posizioni sono varie e complesse, ma si può dire che a essere discussa è soprattutto l’idea dell’oggettività delle fonti materiali. I post-processualisti insistono poi sul fatto che ogni oggetto, non svolge solo una funzione, ma parla anche un linguaggio, comunica qualcosa, per esempio attraverso la sua forma e la sua decorazione. Oggi i due approcci convivono nella ricerca archeologica ed elementi del post- processualismo sono fatti propri anche da chi continua a studiare le reti insiediative e le forme di produzione e di scambio di beni e prodotti per ricostruire le economie medievali. Descritti a grandi linee gli orientamenti dell’archeologia medievale, faremo un paio di esempi del contributo offerto alla revisione di importanti temi della storia medievale dalle fonti di materiai e dalla riflessione teorica loro connessa, anche per suggerire che è soprattutto l’integrazione di testi scritti e fonti materiali a far avanzare di più la comprensione del passato. 2. SEPOLTURE E CORREDI Le sepolture con corredo furono tra le prime fonti materiali usate dagli storici del medioevo. All’interno di un’interpretazione consolidata, si studiavano i corredi funerari, ritenuti indicatori oggettivi dell’identità etnica dei sepolti e degli orizzonti culturali dei vari popoli: essi permettevano inoltre di seguire le migrazioni e lo stanziamento dei barbari nell’impero. Per esempio, desumendo da fonti scritte, non correttamente interpretate, che l’occupazione longobarda era avvenuta creando una serie di guarnigioni sul territorio, s’indagava le necropoli dell’Italia centro-settentrionale della fine del secolo VI e inizi del VII, in cerca di corredi longobardi, confrontandoli con quelli della Pannoia e delle altre regioni Europee. Nel contesto del ripensamento delle identità etniche e della rilettura delle narrazioni sulle origini dei popoli barbarici e grazie alle istanze della corrente post-processualista, i corredi sono oggi interpretati in modo del tutto diverso. Del resto, una sepoltura come quella del re franco Childerico, padre di Clodoveo, ha restituito oggetti che si ispirano alla cultura franca e a modelli provenienti dalle steppe, insieme con oggetti romani. Ancor più importante per potersi servire dei reperti funerari per studiare la società del primo medioevo è stata la presa coscienza del fatto che i corredi non sono indicatori oggettivi di identità, etniche o meno, e di status, ma oggetti cerimoniali. La sepoltura dei corredi, infatti, avveniva alla fine di una cerimonia pubblica e serviva si a commemorare il defunto, ma ancor più a rinegoziare la posizione degli eredi all’interno della comunità in un momento di difficoltà; perciò un ricco corredo può rimandare ad una famiglia ricca e potente, sia a una impegnata in un consumo rituale di risorse per difendere una posizione di potere minacciata. Anche la scomparsa dei corredi non è ormai più collegata soltanto alla scristianizzazione delle cerimonie funebri delle popolazioni dei reni romano-barbarici, ma anche alla stabilizzazione del potere di aristocrazie ed élite locali. Le nuove élite preferirono una diversa strategia per sottolineare la loro eminenza sociale. 3. CASTELLI E VILLAGGI Le fonti materiali possono essere trattate quantitativamente, la loro distribuzione nello spazio e nel tempo è più omogenea di quella delle fonti scritte e consistono in oggetti con caratteristiche precise e non in parole che a tali caratteristiche rimandono. È il caso dell’incastellamento, il fenomeno che cambiò radicalmente le campagne e la società del Lazio a cavallo dei Mille. Prima di questa rivoluzione esse mostravano continuità con il mondo antico: insediamento sparso in pianura e deboli identità comunitarie. La concentrazione della popolazione nei castelli trasformò radicalmente la maglia insediati, cancellando case sparse e villaggi aperti, rafforzò il controllo dei fondatori sulla popolazione e si accompagnò a una riorganizzazione degli spazi agrari. Questa concentrazione fu decisiva anche per lo sviluppo di nuove identità di villaggio. Toubert rielaborava cosi il modello della nascita della signoria rurale creato da un altro importante medievista francese, George Duby. La signoria è un dato immateriale, difficle, se non impossibile, da cogliere attraverso l’indicatore archeologico, ma non è cosi per il castello. L’incastellamento fu un fenomeno generale e rivoluzionario. Gli archeologi si concentrarono perciò innanzitutto su due aspetti: l’eventuale sopravvivenza dell’insediamento sparso e dei villaggi di pianura e la presenza di insediamenti più antichi al di sotto dei castelli pieno medievali. Ancor più importanti della revisione della cronologia della comparsa dei castelli, infatti, è un altro contributo dell’archeologia: la costatazione che con il medesimo nome furono indicate realtà molto diverse tra loro. Poteva trattarsi di dimore signorili o di villaggi fortificati. Ciascuna di queste realtà richiedeva risorse economiche molto diverse, rimandava a diversi rapporti tra signori e contadini e aveva funzioni sociali ed economiche del tutto differenti. Connettere le diverse tipologie di castello ai proprietari attestati dalle fonti scritte e alla stori delle famiglie e della proprietà fondiaria ha permesso di capire ancora meglio gli insediamenti e le forme di potere nelle campagne del pieno medioevo. Il fatto che tra i secoli X e XI possedere un castello fosse diventato indispensabile per essere aristocratici spiega anche perché l’incrocio di fonti scritte e materiali permetta di notare che lo stesso oggetto, una casa signorile con magazzini e altre infrastrutture, circondata da un terrapieno e/o da una palizzata, sia definito nelle fonti scritte prima Curtis e cioè azienda agraria, poi castello . Persino nel caso del castello la spiegazione e l’interpretazione dell’oggetto scaturisce da un processo cognitivo non scontato. Ogni fonte materiale, viene costruita dallo studioso e non è oggettiva, come del resto avviene per ogni testo scritto. Fonti scritte e fonti materiai, anche quando riguardano il medesimo oggetto, ne mostrano sempre aspetti differenti, il che del resto è vero anche per le diverse tipologie di fonti materiali e scritte, dato che esse sono assai articolate al proprio interno: è questa diversità che arricchisce la nostra comprensione storica, stimolandoci a restituire le sfumature e le articolazioni del passato, invitandoci a porre sempre nuove domande alle testimonianze. Cap. 4 REGNI E IMPERI Benché il potere regio non fosse ugualmente forte in tutte le regioni dell’Europa, la maggior parte della sua popolazione visse nel medioevo sotto un re, di cui almeno formalmente, riconosceva la giurisdizione. 1. LA REGALITA’ MEDIEVALE La regalità dei regni romani barbarici fu il risultato della combinazione di aspetti tipici del principato imperiale romano, quali la centralità del diritto e il principio della territorialità del potere, con altri tipici invece delle realtà barbariche, quale l’enfasi posta sul ruolo militare del capo e il suo legame con il popolo. La novità costituita dal potere regio nei primi secoli del medioevo implicò una sua relativa sperimentalità. In questa prima fase prevalse la ricerca di soluzioni sollecitate dalla necessità e dai problemi contingenti e solo lentamente le caratteristiche proprie del potere regio si cristallizzarono e si formalizzarono, dando vita a un modello istituzionalmente ben definito. Il re esercitava in primo luogo il suo potere su un popolo e non su un territorio. Nell’alto Medievo la successione regia non era ordinata e regolata per legge, come in epoche più tarde, ma era un processo negoziabile, aperto ad esiti diversi. Il sangue regio costituiva indubbiamente un forte elemento legittimante. La competizione fra le aristocrazie, per eleggere il nuovo re dava luogo a conflitti e a congiure. In questa situazione, alcuni re, per garantire la successione al figlio da loro prescelto, lo associarono al regno. Il ruolo dell’aristocrazia non era tuttavia solo politico. Il re infatti in primo luogo un aristocratico, era parte dell’aristocrazia e ne condivideva comportamenti e valori. Sebbene fosse il sovrano di tutto il suo popolo, il re era più strettamente legato all’elitè di cui doveva rispettare i privilegi tradizionali. 2. IL RE TRA IL SACRO E LA LEGGE Un elemento cruciale per comprendere il potere monarchico è la sacralizzazione della figura regia. Le cerimonie erano fondamentali per affermare il carisma del re agli occhi dei sudditi. Non si trattava di semplice forma, ma di autentica sostanza. La consacrazione del re davanti ad un pubblico che comprendeva spesso anche sudditi di più umile condizione, esprimeva il consenso della comunità politica del regno. Nel secolo XII le pratiche di legittimazione della regalità subirono una decisiva trasformazione, grazie alla riscoperta del diritto romano e in particolare, del diritto giustinianeo, con la sua concezione assoluta del potere monarchico. La nuova scienza della giurisprudenza fornì ai sovrani strumenti innovativi per rivendicare prerogative e diritti sui sudditi. Il medievista tedesco Ernst Kantorowicz, interpretò questo 4. LA SVOLTA DEL SECOLO XI La riforma carolingia aveva cercato di ricondurre i monasteri ad assetti comuni, grazie all’imposizione a tutti del rispetto della medesima regola, quella benedettina, cosi come si dispose durante il concilio di Aquisgrana dell’817. Questo sforzo organizzativo produsse risultati strutturali durevoli, ma, durante il secolo X, la progressiva affermazione di poteri dinastici su base locale sottrasse al controllo regio ed episcopale sia l’esazione delle decime, sia la cura d’anime che entrarono a far parte delle prerogative proprio dei poteri signorili. Numerosi movimenti pur segnati da vicende e caratteri diversi, mostravano però alcuni elementi in comune: rifiuto della sessualità, pratiche di digiuno, ritiro dal mondo. Come nelle comunità cristiane orientali dei primissimi secoli dell’era cristiana, si andava di nuovo alla ricerca di uomini santi, che potessero essere guide spirituali e carismatiche: chiaro segno che, sia le chiese, sia i monasteri non erano più ritenuti tramiti credibili sulla via del perfezionamento individuale. 5. ORTODOSSIA ED ERESIA Alcuni dei movimenti spirituali del secolo XI confluirono in fondazioni monastiche regolari: il caso più emblematico è quello dell’abbazia di Ciˆteaux che fu all’origine dell’ordine cistercense. Il monastero conobbe un enorme successo pochi anni dopo. I Cistercensi proponevano invece un ritorno a una grande semplicità: vestiti di bianco, si dedicarono soprattutto al dissodamento di terre nuove da mettere a coltura e la loro rinnovata spiritualità fece si che l’ordine si espandesse in tutta Europa, sempre grazie al sistema dei priorati. Un rinnovamento, il loro, che restava dunque all’interno dei margini segnati dall’obbedienza alle gerarchie ecclesiastiche. La nuova struttura gerarchica che aveva assunto la chiesa dopo la riforma permise ai vertici ecclesiastici di bollare come eretici tutto quei movimenti che si ponevano al di fuori dell’obbedienza romana, anche nel caso in cui, come avvenne per il movimento valdese, la disobbedienza consisteva soltanto nella pretesa di voler predicare il Vangelo. 6. UN PAUPERISMO ORTODOSSO: GLI ORDINI MENDICANTI La chiesa, a partire dal IV concilio lateranense del 1215 provvide ad organizzare una struttura capillare sul territorio dedicata alla cura delle anime: la parrocchia divenne il centro di questo sistema che fece scomparire le pieve e i diritti delle chiese private. Nella società laica del XIII secolo però una società caratterizzata da diseguaglianze sociali sempre più vistose e racchiuse, per di più, nei confini delle medesime mura urbane, continuavano a trovare spazio i motivi del pauperismo, del rifiuto del mondo, el richiamo al modello evangelico di vita. Esemplare e notissima, in questo senso, è la vicenda di Francesco d Assisi, che nacque da una famiglia di ricchi mercanti e che negli anni della sua giovinezza aderì ai comportamenti e ai modelli culturali del gruppo dei milites urbani per poi giungere, attraverso un confronto fra le sue condizioni di vita e quelle degli ultimi, a rinunciare alle proprie ricchezze e a intraprendere un’esistenza dedicata l’assistenza di poveri e malati. L’ordine dei Minori, detto poi francescano, non fu il solo movimento pauperistico a diventare un ordine monastico della chiesa in quei decenni. Una predicazione che invitava alla confessione, alla pace durante le lotte di fazione, alla condanna dell’usura che affamava i ceti più deboli e che, insieme, aggrediva gli eretici, coloro che cioè manifestavano esigenze non dissimili ma fuori dall’ormai ben definito alveo dell’ortodossia canonica; eretici contro i quali Minori e Predicatori, soprattutto, furono incaricati di assumere una funzione inquisitoriale. cap. 6 LE CITTA’ 1. CITTA’ DI PIETRA, CITTA’ DI UOMINI Durante la sua lunga vita, il vescovo di Siviglia, Isidoro, scrisse una monumentale enciclopedia, in venti libri, le Etimologie, nella quale si proponeva di descrivere le origini dei nomi e, attraverso tali origini, spesso frutto di ardite invenzioni filologiche, di raccogliere tutti i saperi del mondo classico, un mondo che, insieme alla sua cultura, si stava allora rapidamente trasformando e rischiava in breve di diventare comprensibile a pochi. 2. LA CITTA’ VESCOVILE Nel mondo mediterraneo le città avevano avuto precise funzioni di coordinamento del territorio, sia dal punto di vista politico-amministrativo, sia dal punto di vista produttivo e commerciale. Le grandi vie consolari, insieme con le rotte costiere, avevano costituito una sorta di rete infrastrutturale di cui le città costituivano i nodi funzionali. Alcune città durante il secolo IV furono completamente abbandonate, la maggior parte subì invece una profonda trasformazione che non impedì una sostanziale continuità dell’insediamento. Lo spazio racchiuso dalle mura urbane dei secoli IV-V fu molto limitato rispetto agli spazi che aveva occupato la fondazione romana: la crisi demografica di quei secoli ridusse il numero degli abitanti delle città, che si concentrarono in spazi molto ristretti. Comunità urbana e comunità religiosa insieme furono il prodotto di una profonda trasformazione che portò il concetto di pubblico a coincidere con quello religioso. 3.LE CITTA’ CHE NASCONO NEL MILLE Nelle aree europee più settentrionali, la vicenda urbana appare molto diversa. Le città nacquero solo a partire dal secolo XI, in coincidenza con un lungo periodo di espansione demografica ed economica, destinato a durare per almeno tre secoli. Nacquero seguendo ciascuna un percorso peculiare, ma tali percorsi si possono descrivere sulla base di due diverse modalità: l’associazione di più poli insediativi sorti spontaneamente in prossimità reciproca, oppure una precisa iniziativa di fondazione da parte di principi o regnanti. Nel primo caso, la crescita demografica e l’aumento della produzione agricola avevano aperto a un numero notevole di individui la possibilità di svolgere attività diverse dall’agricoltura, successivamente anche in area mediterranea si formarono città nuove, insediamenti cioè che non erano stati precedentemente urbanizzati dai romani. La promozione di fondazione ex novo fu un’iniziativa portata avanti da autorità signorili e principesche che diede origine a città quali Friburgo e Berna, sorte nel secolo XII. In modo indipendente dal processo di formazione urbana si riconobbero nuove formazioni che si espressero attraverso attraverso giuramenti collettivi che dettavano regole condivise di appartenenza. 4.LA CRESCITA DELLE CITTA’ DI ORIGINE ROMANA A partire dal secolo XII, l’espansione delle città e l’incremento della loro popolazione sono fenomeni comuni a tutta l’Europa, indipendentemente dalla loro origine. Fu una crescita spontanea, anche se gestita razionalmente dai monasteri urbani che riconvertivano in tal modo le loro terre a uso residenziale. La scelta di ricostruire cinta andando a cingere i popolosi borghi che si trovavano fuori dalle mura tardoantiche manifesta una precisa volontà di inclusione all’interno della cittadinanza di una numerosa e nuova popolazione. 5. LA FORZA MOTRICE ENTRA IN CITTA’ Le città europee nate fra i secoli XI e XII erano state polifunzionali e policentriche. Nate per fondazione, erano state costituite sulla base di una precisa funzione da svolgere, in genere quella di centro mercato. Gli importanti lavori di canalizzazione idrica risposero a quella di portare all’interno delle città la forza motrice dell’acqua. Le opere di canalizzazione crearono, grazie a opportuni dislivelli, la possibilità di costruire all’interna all’interna della cerchia urbana mulini che consentivano, insieme con la pulitura dei cereali, anche la movimentazione delle prime macchine. La posizione dei canali all’interno delle cinte murarie determinò nuove forme di “azzonamento” urbano: i ceti produttivi furono spinti a costruire case e opifici nelle aree a ridosso delle acque. 6. PIAZZE E PALAZZI PUBBLICI Durante tutto il secolo XII le magistrature comunali avevano trovato sede presso chiese urbane, delle quali utilizzavano piazza, chiostri e aula per le riunioni delle assemblee e per l’esercito delle funzioni consolari. Fu solo dopo la pace di Costanza del 1183 e con la trasformazione podestarile degli istituti comunali che si cominciarono progettare e a realizzare sedi proprie delle magistrature urbane. La realizzazione delle piazze e dei palazzi comportò’ l’acquisto, prima, e la demolizione, poi, di numerosi edifici, case, botteghe, chiese. L’impegno economico fu enorme. Sull’habitat urbano incise in maniera simbolica e materiale anche la costruzione della torre campanaria: la campana, vera voce ufficiale del comune e delle sue magistrature. 7. CASTELLI URBANI: LE CITTA’ SOGGETTE La presenza di strutture fortificate all’interno degli impianti urbani era piuttosto comune nelle città europee nate dalla fusione, appunto, di un castrum con altri centri insediativi. Nel momento in cui si affermarono i comuni e con la costruzione delle nuove cinte murarie queste fortificazioni scomparvero. Diversa era invece la realtà dei centri urbani del Sud Italia dove si erano affermati i normanni. Nelle città che invece erano già state sedi di poteri principeschi, i normanni posero la loro sede al di fuori dell’impianto urbano. Cap. 7 SIGNORIA E FEUDALISMO 1. FEUDALISMO: UN CONCETTO DA STORICIZZARE Nel secolo XVIII, grandi intellettuali come Montesquieu guardavano al proprio presente, alla permanenza di diritti signorili frammentati e dispersi, e identificavano tutto ciò con il feudalesimo, seguendo il lessico diffuso nella loro quindi l’esito di precedenti negoziati. Le assemblee generali non si limitavano a organizzare le campagne militari o le norme relative a varie questioni. Esse erano anche il luogo nel quale il ruolo centrale del re era posto in evidenza attraverso lo scambio di doni. 3.LA RISOLUZIONE DEI CONFLITTI: SOTTOMISSIONE, ONORE, GRAZIA REGIA La convocazione di assemblee generali del regno non venne meno dopo la fine dell’impero carolingio. Ciò avveniva per lo più tramite il rituale della deditio era alla base di una concezione “consensuale” e “graziale” del potere regio, ispirato alla figura di Cristo, che doveva essere in grado di mantenere la pace mediante l’accordo e il consenso dei grandi del regno, perdonando e “ recuperando” gli avversari. “Vicario di Dio”, il re era innanzitutto il supremo giudice implacabile contro i “malvagi”. La deditio non ledeva la sfera dell’onore, al contrario di altre cerimonie di sottomissione, in ogni caso sempre finalizzate alla “pacificazioe”. Ovunque il contesto politico nel quale queste assemblee erano collocate era ormai molto lontano da quello dell’età carolingia. 4. GIURAMENTI INDIVIDUALI E COLLETTIVI Una delle assemblee generali d’età carolingia più studiate e dibattute è sicuramente quella che si tenne a Compiègne. Il racconto è molto importante perché mette bene in evidenza la rilevanza del giuramento nelle pratiche politiche e nelle fedeltà medievali. In una società nella quale l’uso della scrittura era assai limitato, la stipulazione orale di legami e contratti personali o politici aveva bisogno di cerimonie o riti pubblici dal chiaro significato simbolico. Si poteva giurare per molti motivi, non era panico solo per consolidare con un gesto dal valore sacrale i rapporti tra singole persone. Esso poteva essere usato politicamente per consolidare un rapporto gerarchico. In età carolingia, infatti, il giuramento di fedeltà era uno degli strumenti principali sia nella creazione di legai si “alleanza” asimmetrica tra sovrani o potenti di livello diverso, sia per legare al sovrano in modo indelebile tutti coloro che vivevano all’interno di un regno. In età post-carolingia venne meno la capacità dei re di chiedere giuramenti di fedeltà collettiva. Cap. 9 LA GUERRA 1. GLI ESERCITI DI POPOLO NELL’ALTO MEDIOEVO E LA LORO CRISI L’epoca delle cosiddette “invasioni barbariche” segnò in Europa la fine graduale dell’organizzazione militare romana. Le popolazione che si stanziarono su suolo dell’impero in questa fase avevano spesso alle spalle periodi più o meno lunghi di attività come ausiliari dell’armata romana. Si impose in tal modo un modello di superiorità sociale nel quale il possesso della terra. L’attitudine bellica e la reinterpretazione di tradizioni militari barbariche e romane si integravano. In questo contesto, la divisione tra liberi possessori fondiari e ceti subalterni si esprimeva anche in termini militari. Questi guerrieri, a differenza dei piccoli proprietari, potevano assentarsi dalle proprie terre per diversi mesi all’anno, il che ampliava considerevolmente il raggio delle operazioni militari dell’esercito regio. La guerra divenne un’attività che coinvolgeva gruppi più limitati e specializzati, mentre il suo ruolo nella definizione della superiorità sociale si precisò e si qualificò ulteriormente: si passò allora dalla connessione tra partecipazione all’attività militare e appartenenza all’ampio gruppo dei liberi possessori fondiari, a quella tra esercizio della guerra e appartenenza all’aristocrazia. 2. L’ETA’ DEI CAVALIERI (SECOLI XI-XII) La militarizzazione delle èlite si consolidò nel quadro del processo di localizzazione e frammentazione del potere successivo al secolo X, il cui esito più evidente fu lo sviluppo della signoria rurale. La guerra divenne una realtà endemica, che consisteva soprattutto in conflitti armati a bassa intesità, poco sanguinosi. La centralità della cavalleria nella pratica bellica fu favorita in questo periodo dalla diffusa adozione dell’uso della staffa e dallo sviluppo di tecniche come la carica lancia in resta, che resero devastante l’urto delle masse di cavalieri. Nei secoli centrali del medioevo, il legame tra attività bellica e preminenza sociale si fece sempre più stretto: essere in grado di combattere a cavallo divenne il principale segno di situazione sociale e anche il canale privilegiato per i percorsi di mobilità sociale. Se all’interno del gruppo cavalleresco permanevano forti differenze di ricchezza e di status, esistevano una condivisione di valori e un prestigio sociale collettivo che si riflettevano anche sugli elementi più deboli, distanziandoli dalle masse contadine. 3.L’AFFERMAZIONE DELLE FANTERIE (SECOLI XIII-XV) Il tardo medioevo vide importanti trasformazioni della precedente organizzazione militare. Dall’inizio del Duecento si assistette infatti a un processo di appropriazione di risorse e pratiche militari da parte delle monarchie e delle altre formazioni statuali, con una crescente centralizzazione dell’attività bellica. Questo processo si accompagnò a una rivoluzione tecnologica e organizzativa in ambito bellico. Anche per i cavalieri lo sviluppo delle armi da lancio rese necessarie costose modifiche dell’equipaggiamento: si passo dalle semplici cotte di maglia alle più sofisticate e protettive armature a piastre. Gli ultimi decenni del medioevo videro cosi emergere corpi di fanteria ben organizzati e altamente disciplinati, i nuovi reparti di punta dei grandi eserciti monarchici. Si ponevano in tal modo le promesse della rivoluzione militare europea della prima età moderna, uno dei fattori chiave della dilatazione su scala mondiale delle monarchie occidentali. 4.VERSO LA STATALIZZAZIONE DELLA VIOLENZA ORGANIZZATA La perdita di centralità della cavalleria non significò tuttavia una sua marginalizzazione. Alla trasformazione degli eserciti si associò un crescente controllo della pratica quotidiana della violenza da parte degli ufficiale e dei legittimi rappresentati del potere centrale. Un esempio di questa tendenza sono gli statuti elaborati dai “comuni di popolo” italiani a partire dalla fine del duecento, nei quali questo sforzo risulta particolarmente visibile. Ciò suscitò ovviamente resistenze nella società, che avevano fatto dell’autonoma capacità di esercizio della violenza uno dei tratti costitutivi della propria identità. cap. 10 UOMINI E DONNE, PARENTELE E AFFINITA’ 1. L’IDENTITA’ DI GENERE: UNA COSTRUZIONE CULTURALE La mediazione che le fonti scritte impongono fra noi e il passato rende possibile ricostruire non tanto che cosa significava concretamente essere maschi e femmine nei primi secoli del medioevo, ma piuttosto quali erano i modelli attraverso i quali gli intellettuali dell’epoca interpretavano i ruoli di uomini e donne. Il “vero uomo” era colui che era in grado di assumersi anche il dovere della protezione. Alle donne che appartenevano al gruppo dei potenti venivano proposte qualità non dissimili da quelli maschili: anch’esse erano tenute infatti alla generosità e alla condivisione e non erano esenti dal dovere della forza d’animo e del coraggio. Anche nella sfera più intima, le differenze fra i modelli di comportamento proposte ai due generi non appaiono dissonanti. 2. LA COPPIA MATRIMONIALE Il quadro proposto fin qui mostra come non ci fosse una specifica attenzione a distinguere i comportamenti eticamente leciti sulla base del genere. Anche se nelle leggi romano-barbariche la distinzione più significativa non è quella fra uomini e donne, ma quella fra liberi e servi. Le leggi prevedevano esplicitamente l’obbligo di creare una base patrimoniale per ogni donna libera che potesse garantirle l’indipendenza economica nel caso di vedovanza. Il patrimonio femminile era composto dalla dote ricevuta dal padre e dal datario che la sposa riceveva dal marito, in genere una quota parte del patrimonio dell’uomo. 3. LA STRUTTURA DELLE PARENTELE ALLARGATE La costituzione di un nuovo patrimonio condiviso è testimonianza esplicita della centralità della coppia coniugale. La coppia non era necessariamente monogama e indissolubile nei primi secoli del medioevo. Il patrimonio della coppia era destinato a tutti i figli, maschi e femmine, legittimi e illegittimi, anche se in quote più ridotte. 4.FUNZIONE RIPRODUTTIVA E LAVORO Dei larghi strati inferiori della società, di quegli uomini e di quelle donne che non avevano beni di cui disporre e, quindi, nessuna necessità di stipulare contratti matrimoniali, le fonti scritte parlano molto meno. Ma gli scavi archeologici, specialmente l’archeologia funeraria, riescono a restituire dati importanti. La vicinanza o meno al luogo di culto pare indicare infatti una maggiore o minore importanza nella scala sociale del defunto. Una gerarchia sociale specifica che attribuisce maggior valore alle fasi produttive e riproduttive dell’esistenza. Una gerarchia sociale che, in altri casi, faceva uso dei corredi funebri come segni di distinzione. Il valore primario attribuito alle donne in questo contesto è dunque quello connesso alla capacità generativa. 5.I NUOVI MODELLI DEL PIENO MEDIOEVO Dal secolo XI, in conseguenza del luogo e complesso fenomeno della riforma della chiesa portò ad insistere di più sulla distinzione fra maschile e femminile. L’imposizione del celibato al clero passò anche attraverso la ripresa delle immagini misogine elaborate da una parte dei padri della chiesa. Nelle rappresentazioni letterarie e artistiche il genere femminile fu connesso inscindibilmente alla carnalità e all’irrazionalità, mentre il genere maschile alla spiritualità e alla razionalità. L’imposizione del celibato al clero, inoltre, contribuì alla definizione di un terzo genere, quello degli uomini casti, che doveva manifestare la sua alterità rispetto sia al maschile, sia al femminile: potevano essere solo maschi, biologicamente, ma dovevano rinunciare alla sessualità e alla violenza. dei prigionieri. La pratica fu unanimamente condannata, fino a divenire uno stereotipo di malvagità: vendere un servo, infatti, non era illecito, anzi, la negoziabilità era un tratto tipico della condizione servile, ma farlo al di fuori del mondo franco era inaccettabile, perché essere servi in occidente era ormai qualcosa di profondamente diverso dall’essere schiavi nell’islam. 4. DALLA SEVITU’ ALLA DIPENDENZA SIGNORILE (SECOLI X-XII) La crisi delle istituzioni carolinge è la fine dell’espansione militare Franca spazzarono via fattori che avevano favorito la separazione tra pauperes e servi. Si ebbe allora un radicale mutamento nei modi di descrivere l’ordine sociale. Nonostante la diffusione e il rilievo delle forme di dipendenza personale, nell’alto medioevo la società era immaginata come distinta in liberi e servi. Dal secolo x Si affermo gradualmente una nuova rappresentazione che divideva gli uomini in 3 gruppi: clero, Cavalieri e contadini. La tripartizione della società era un’ideologia non solo semplifica va una realtà ben più complessa, ma tra le possibili distinzioni selezionava quella funzionale ad affermare e legittimare il potere politico e sociale del gruppo dominante. La varietà delle condizioni personali ulteriormente accentuata degli istituti giuridici impegnati per dare spessore legale ha rapporti dapprima solo informali quando la Signoria si stabilizzò nel corso del secolo XII: Furono inventati nuovi istituti oppure furono usati istituti precedenti eri adattando lì alle pratiche di dominio locali. Più in generale la nazione di servitù rimanevo un elemento importante nella dialettica tra signorie dipendenti. Dobbiamo precisare che il patrimonio dei contadini era formato da terre ricevuto in conduzione da proprietari e da beni in piena proprietà così affermare la dipendenza personale nella sua forma più intensa, cioè la servitù, consentiva di controllare tassare quei patrimoni. Quindi nel gioco sociale del mondo signorile, servitù e libertà rimanevano fondamentali. 5. IL TARDO MEDIOEVO Tranne casi eccezionali la Signoria rimase a lungo la struttura di base delle campagne europee. Contemporaneamente l’alleanza tra ceti urbani e aristocrazie generalizzo’ dapprima tutti i dipendenti e poi tutti a i contadini venne dato il marchio d’infamia e gli stereotipi tipici della servitù altomedievale: inferiorità morale e fisica, rozzezza, lavoro e dipendenza come meritata pena per espiare peccati o colpe storiche; mancanza di piena umanità. Questa circostanza aiuta a spiegare le rivolte contadine del tardo medioevo e della prima età moderna. cap. 12 ARISTOCRAZIE E NOBILTA’ 1. ARISTOCRAZIA E NOBILTÀ: DUE TERMINI PER DUE REALTÀ DIFFERENTI Aristocrazie nobiltà sono due realtà diverse. In uno dei suoi libri, La società feudale, Marc Bloch richiamò un principio di base ancora oggi condiviso dalla maggior parte degli storici ricordando come non si possa definire col termine nobiltà qualsiasi élite. In pratica era necessario che vantaggi sociali ed eredità fossero riconosciuti come fondamento della “nobiltà di diritto”. 2. COSA SIGNIFICA ESSERE “NOBILI” NELL’ALTO MEDIOEVO? Benché storici oggi preferiscano usare il termine aristocrazia per definire le élite altomedievali non dobbiamo dimenticare che il termine nobilis compare spesso nelle fonti dei secoli precedenti il Mille. La gradazione della Nobilitas era determinata da vari fattori nei quali convivevano elementi di tradizioni giuridiche e sociali diverse, come eterogenea era nei vari regni romano-barbarici la composizione etnica e familiare dei detentori del potere. Posto in un ordine gerarchico, Il nobilis doveva cercare di conservare o migliorare la propria posizione attraverso successi militari, la costante capacità di distribuire risorse ai suoi dipendenti e soprattutto con l’acquisizione di cariche pubbliche o ecclesiastiche. Gli aristocratici del primo medioevo si caratterizzavano per una particolare ostentazione della loro religiosità. Tutti questi elementi contribuirono a definire in gran parte dell’europa carolingia un’aristocrazia relativamente omogenea. 3. RE, NOBILITAS, BELLATORES. I diversi livelli dell’aristocrazia non vennero meno in età post-carolingia e la nobilitas rimase in gran parte dell’Europa una categoria sociale molto variegata al suo interno. I re post carolingi per lungo tempo si posero in un rapporto dialettico con le famiglie che avevano condiviso la comune appartenenza aristocratica. In una situazione politica instabile, spesso caratterizzata da dure lotte per l’acquisizione del titolo regio, la vicinanza al re non fu più una carta vincente e in alcuni casi poteva diventare pericolosa. In questo contesto, in molte campagne europee si affermò una nuova polarizzazione sociale all’interno degli uomini liberi, anch’essa messa in risalto per la prima volta da Georges Duby. Essa prevedeva una distinzione sempre più marcata tra coloro che portavano le armi e coloro che non le portavano. 4. TRA NOBILTA’ E NON NOBILTA’ Come abbiamo ricordato per garantire una proiezione nel futuro dei loro beni e poteri, i gruppi familiari aristocratici, gradualmente privilegiarono la discendenza patrilineare. In tal modo si vennero a definire le dinastie mobiliari in cui la nobilitas diveniva sempre più una caratteristica “biologica” prima che etica e sociale. In tale prospettiva le famiglie che si erano affermate localmente svilupparono una forma di autocoscienza: non solo assunsero un nome collettivo, ma elaborarono narrazioni sulla loro origine e altri simboli collettivi, cioè una sorta di insegna che trasmetteva l’identità familiare. Al contrario di quanto ipotizzata da Marc Bloch la definizione di una nobiltà di diritto non fu generalizzata. Acconto ai nobili di diritto, agirono sempre gruppi sociali o figure che appartenevano a élite diverse a stampo nobiliare. cap. 13 MONETA E SCAMBIO 1. L’ALTO MEDIOEVO La formazione dei regni romano barbarici dal secolo V non comportò la scomparsa del sistema monetario tardoromano. I re barbari continuarono a coniare monete d’oro. La coniazione di monete di rame e d’argento fu invece molto bassa. Nei primi decenni del secolo VII, quindi, l’economia europea era scarsamente monetarizzata. Difatti la prima fioritura economica del medioevo riguardò soltanto alcune specifiche area europee e il suo motore fu il cuore del Regno Franco, la regione compresa tra la Loira e il Reno. Il denaro per la verità era una moneta piuttosto pesante non adatta al commercio al dettaglio. Tale tipo di commercio minuto tuttavia era tipico soprattutto dell’ambiente urbano. La coniazione del denaro raggiunse il culmine in epoca carolingia. Gli storici hanno dibattuto a lungo sulle cause di questa fioritura economica che sono, come sempre, complesse. La regione tra la Loira e il Reno fu fortemente caratterizzata dalla presenza di un’aristocrazia molto ricca. La disponibilità d’argento permetteva alle autorità pubbliche di coniare più moneta e aumentare così le proprie entrate. In età carolingia, in ogni caso, questi fenomeni coinvolsero poche specifiche aree europee soprattutto il cuore del Regno Franco. Tuttavia il motore principale della crescita economica medievale, la crescita demografica, in mancanza di drammatici sconvolgimenti e di epidemie su larga scala proseguì certo informa lenta e graduale, ma con importanti effetti cumulativi sul lungo periodo. La crescita delle città aumentò il numero di persone che non lavoravano direttamente la terra e dovevano dunque ricorrere al mercato per procurarsi il cibo. Non bisogna tuttavia esagerare il livello di monetarizzazione e l’incidenza degli scambi commerciali nell’economia del secolo. Le uniche regioni in cui la moneta era disponibile in abbondanza erano la Sassonia e la Renania. Nel resto d’Europa la moneta rimaneva scarsa e il suo uso doveva essere ancora eccezionale. 2. LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE Fino alla fine del secolo XI Le accelerazioni della lenta crescita medievale furono limitate nel tempo e soprattutto nello spazio poiché coinvolsero solo alcune aree. La crescita demografica accelerò notevolmente tra gli ultimi decenni del secolo XII e la metà e la metà del XIII. La proliferazione dei mercati e l’intensificarsi degli scambi furono accompagnati, sostenuti e irrorati da un aumento della moneta circolante. Peter Spufford spiega il fenomeno con la scoperta e lo sfruttamento di grandi giacimenti d’argento in tutta Europa. Il Duecento fu caratterizzato da una forte inflazione, visibile attraverso un aumento notevole del prezzo della terra e dei beni di prima necessità, prima fra tutti i cereali. Il massiccio incremento della moneta circolante può avere anch’esso contribuito all’aumento dell’inflazione. Così a causa dell’inflazione nel 200 il denaro valeva realmente poco. Ciò incoraggiò ulteriormente la diffusione della moneta che era ormai coniata in una miriade di zecche controllata da signori. Questo quadro trionfalistico di crescita va comunque ridimensionato. La proliferazione dei mercati rurali e la commercializzazione nelle campagne non erano determinate tanto o soltanto dal desiderio di cavalcare la congiuntura positiva, quanto dal fatto che molti contadini non coltivavano abbastanza terra. Certo per alcuni commercializzazione significava maggiore opportunità. Ma la conseguenza più rilevante di questo fenomeno fu la crescente dipendenza dal mercato di una fetta sempre più ampia della popolazione delle città è anche delle campagne. Abbiamo parlato sin’ora soltanto degli scambi a breve e medio distanza perché gli scambi a lunga distanza ebbero allungo un’incidenza molto scarsa sull’economia medievale. Ad esempio i panni del nord venivano venduti soprattutto alle fiere della Champagne, il ciclo fieristico più importante del Duecento. Lungo l’asse Inghilterra-Fiandre-fiere della Champagne-Italia del nord/Genova, il commercio raggiunse un tale livello quantitativo da determinare una serie di trasformazioni qualitative nel modo di condurre gli affari. Così nella seconda metà del secolo XIII l’espansione del commercio a sé merita il diritto longobardo. L’editto promulgato da Rotari nel 643 fu aggiornato dei suoi successori. Sin dall’insieme di norme più antiche il diritto longobardo presenta disposizioni di diritto privato in materia di proprietà, matrimonio e diritti femminili. Un altro settore di grande interesse, nella normativa longobarda, è quello processuale. L’amministrazione della giustizia è l’aria in cui maggiormente si avverte la distanza della mentalità giuridica barbarica da quella romana. Differivano in primo luogo le finalità del processo che serviva a restaurare la pace messa a repentaglio da un conflitto. La continua invocazione di Dio proiettava le prove in un universo irrazionale indipendente dalla volontà umana. Diversamente dal mondo romano le azioni umane non erano valutate solo secondo metro terreno ma anche in vista di un giudizio nell’aldilà. 3. IL DIRITTO IN EPOCA CAROLINGIA Le conquiste carolinge non comportarono mai la soppressione dei diritti propri dei ragni assoggettati. Le dimensioni sconfina te dell’impero carolingio virgola che aveva assorbito numerosi popoli e regni, rendevano impossibile imporre un diritto unico ed esclusivo. I provvedimenti dei sovrani carolingi furono chiamati capitolari, un termine che testimonia all’intreccio esistente tra gerarchie ecclesiastiche e potere Regio. Al gran numero di capitolari si affianca una quantità quasi pari destinati al mondo ecclesiastico. Le chiese non avevano quindi un diritto esclusivo. 4. GLI IUDICES NELL’ALTO MEDIOEVO: TRA PRESTIGIO SOCIALE E COMPETENZE PROFESSIONALI. L’attivismo carolingio in campo legislativo si accompagnò al desiderio di una gestione centralizzata della giustizia. Da un lato, infatti, iudex è un appellativo utilizzato nell’Europa altomedievale per disegnare la funzione di chi si trova giudicare. Nella medesima epoca vi è tuttavia un uso diverso del termine che continua a rimandare aspecifiche competenze professionali. Le numerose figure di iudices che si moltiplicarono durante e dopo il regno di Carlo Magno, possedevano competenze più specializzate e una familiarità nuova con formulari giuridici e manuali di procedure. La prima caratteristica che li distinguerà dal resto della società era proprio quella di saper leggere e scrivere. Questa metamorfosi delle funzioni del giudice altomedievale ne trasfigurò per secoli l’identità professionale. Identità mista di iudex et notarius sopravvisse anche dopo la rinascita delle scuole di diritto e che non spezzarono il coinvolgimento dei giudici in compiti di scrittura di tipo notarile: un fenomeno evidente ancora nel basso medioevo. 1. NASCITA DELLE SCUOLE DI DIRITTO La scuola specialistica di Pavia costituì un precedente importante: alle soglie del secolo XII cominciò a diffondersi l’esigenza di una formazione tecnica nel campo del diritto e dunque di scuole dove apprendere tali competenze. Si tratta di una novità significativa. Il collasso delle competenze culturale verificatosi a partire dal secolo VI confinò alle scuole ecclesiastiche la trasmissione delle capacità di leggere e scrivere. Un ricorso più intenso al diritto si registra partire dal secolo XI: Nell’ambito del conflitto fra Gregorio VII ed Enrico IV, sia i sostenitori del pontefice sia quelli dell’Imperatore impiegarono argomenti giuridici per legittimare le proprie rivendicazioni ideologiche. Nei decenni successivi, la più netta separazione del mondo spirituale da quello laico e la nova linea di demarcazione da ciò che fu ritenuto sacro e tutto il resto, determinò un fenomeno nuovo: la nascita di un diritto esclusivo della chiesa. In Italia essa portò alla nascita di una scuola di stampo teologico-giuridico. Per quanto riguarda il diritto secolare esso non viaggiò più a rimorchio di altre discipline ma furono recuperate opere scomparse da secoli. Così il corpus iuris civilis di Giustiniano divenne oggetto di un lavoro di studio finalizzato alla ricostruzione del dettato letterale delle sezioni che lo componevano. 1. IL DIRITTO DIVIENE UNA NUOVA SCIENZA EUROPEA La riscoperta del diritto Giustiniano divenne presto un fenomeno europeo. I testi del corpus iuris crearono categorie di pensiero innovative tra i giuristi medievali e spinsero ad un inquadramento nuovo dei rapporti esistenti. Proprio per questo, crebbe la domanda di esperti e si moltiplicarono i centri di studi specialistici. La mobilità dei docenti segnò profondamente la realtà universitaria medievale e fu allo stesso tempo la causa e l’effetto di una circolarità di temi e discussioni giuridiche riproposte fino all’età moderna. 2. NUOVA SCIENZA, NUOVI GIURISTI: IL TRAMONTO DI UN CETO UNITARIO L’esempio per eccellenza di iuria propria è costituito in Italia dagli statuti comunali che cominciarono ad essere realizzate per fissare l’insieme dei diritti e dei privilegi urbani ai quali in nessun modo l’imperatore doveva attentare. La rinascita degli studi giustinianei avviò la graduale stabilizzazione delle scuole e si tradusse in un uso più coerente dei titoli professionali. Tra duecento e trecento le biografie dei giuristi sono costellate di responsabilità di nomine di cariche prestigiose. PARTE SECONDA <CESURE E TORNANTI> Cap. 16 380. IMPERO ROMANO E CRISTIANESIMO 1. LA SCELTA DI COSTANTINO L’impero romano era sempre stato un mondo di ampia tolleranza religiosa. La religiosità del mondo romano era molto articolata e trovano ampio spazio diverse fedi salvifiche, forme religiose che avevano incontrato un successo crescente durante l’epoca del principato e della sua crisi. Le cose cambiarono durante il secolo III: crebbe l’intolleranza nei confronti dei culti che non erano compatibili con forme di omaggio. Il periodo più intenso delle persecuzioni contro i cristiani si ebbe tra la fine del secolo III e l’inizio del IV. Una svolta venne sancita dall’editto di Milano a cui l’imperatore Costantino aggiunse la libertà di culto dando vita a un impero dove erano ammesse tutte le forme di religione. 2. IL CONCILIO DI NICEA Il concilio di Nicea ha un importanza fondamentale nella storia del Cristianesimo perché in quella sede si volle risolvere la questione che raccontava la vita di Gesù. Se Gesù veniva considerato vero Dio si andava a perdere la connotazione monoteistica del cristianesimo, se invece non si attribuiva la sostanza divina veniva meno la forza salvifica della nuova religione. La principale decisione del concilio fu la condanna dell’Arianesimo: chiunque comunque professava interpretazioni ideologiche doverse da quelle nicete diventava eretico. Costantino fu un grande riformatore in quanto aveva identificato nella fede cristiana un importante collante sociale. Le comunità cristiane che si raccoglievano intorno al vescovo erano orinate secondo una struttura gerarchica e quindi poteva funzionare come una nuova forma religiosa a supporto di un ideologia imperiale. 3. VESCOVI, PATRIARCHI E CONCILI Nel 380 i vescovi diventarono un riferimento nelle società urbane che coincidevano con le comunità civili. Il concilio di Nicea aveva riunito tutti i vescovi dell’impero e Costantino aveva assegnato loro la facoltà di decidere vincolando tutte le comunità cristiane e i fedeli. Con Nicea nasceva il concilio detto anche Sinodo, che da quel momento divenne un momento di incontro importante per la struttura ecclesiastica. Solo a partire dal secolo XI nacque la chiesa universale sotto la guida di un solo capo, il vescovo di Roma. 4. LA CRISTIANIZZAZIONE DEI BARBARI Anche dopo il concilio di Nicea, il cristianesimo rimase nei territori dell’impero una religione dalle molteplici forme. La persecuzione contro l’Arianesimo sancita da Nicea, si arrestava all’imes e non poteva incidere fra i barbari che si convertirono al cristianesimo secondo la forma ariana. Completamente diversa fu la cristianizzazione dei franchi che avvenne nei territori della Gallia Romana, che avvenne quando il re Clodoveo convocò il concilio di Orleans dove si riunirono i vescovi della Gallia. Nel regno dei Franchi tuttavia la cristianizzazione fu una prerogativa dell’èlite. Nell’Irlanda si originò un movimento autonomo di evangelizzazione che ebbe come protagonista il monaco Colombano. 5. DOPO NICEA: NUOVE DISPUTE E CONTRASTI IDEOLOGICI L concilio di Nicea aveva offerto una versione teologica unitaria del cristianesimo ma ad Antiochia ed Alessandria furono elaborate nuove interpretazioni della figura di Gesù. Ad Antiochia il patriarca Nestorio volle intenderlo come figura solo umana mentre ad Alessandria si venerava il Cristo con la sola natura divina: le due concezioni entrarono presto in scontro. L’imperatore d’oriente Marciano convocò nel 451 un concilio a Calcedonia ma nemmeno questo riuscì a porre fine ai contrasti. Cap. 17 L’INIZIO DEL MEDIOEVO O TRASFORMAZIONE DEL MONDO ANTICO? 1. BARBARI E L’ETNOGENESI Si è molto discusso sulle cause della caduta dell’Impero Romano e non si è giunti a una conclusione specifica. La domanda maggiore fu decidere se i barbari uccisero la civiltà antica o le infusero nuova linfa. Le risposte a queste domande se pur diverse avevano un’idea condivisa fondata sulla comparazione della romanità e del germanesimo. Recentemente questo dualismo è stato analizzato e messo in discussione partendo dalla concezione che i popoli non sono entità naturali, ma prodotti culturali che si evolgono nel tempo: molti degli elementi che vanno a costituire l’identità affondano le radici nella storia di uno specifico gruppo di uomini. A partire dall’inizio dell’era cristiana i popoli barbarici si formarono attraverso il contatto con Roma. Così molti barbari furono accolti nell’esercito romano. Chi intraprendeva questa carriera al termine aveva due possibilità: restare nell’impero o tornare nelle terre d’origine. I barbari presero cosi a definirsi e immaginarsi con i nomi di popolo con cui li definivano i romani e ricorsero agli stereotipi creati su di loro per elaborare i miti delle origini. 2. L’IMPERO E I BARBARI La ricchezza dell’impero romano era concentrata in oriente, anche per questo il principale fronte militare rimase quello persiano: i barbari non erano un nemico mortale ma tutto cambiò quando i ribelli uccisero ad Adrianopoli l’imperatore. Nella prima metà del secolo V la crescente minaccia degli Unni fu la principale preoccupazione dell’impero facendo si che gruppi di barbari potessero a lungo agire indisturbati. Di conseguenza larga parte dell’impero d’occidente era attraversato o Le conquiste militari di Giustiniano non portarono ad una rifondazione di un duraturo impero romano. La conquista più fragile fu la penisola italiana: la popolazione italica non oppose resistenza all’arrivo e all’espansione dei longobardi nel 568, i quali inizialmente non occuparono la costa adriatica e gran parte dell’italia centrale e meridionale. Questi territori furono riorganizzati e sottoposti sotto ad un governatore con sede a Ravenna che era a capo dell’Esarcato e coordinava i ducati. Ai sarchi e i duchi erano assegnati i poteri civili e militari. Si posero così le basi per una militarizzazione del territorio che fu gradualmente esteso a tutto l’impero. 4. DA IMPERO ROMANO D’ORIENTE A IMPERO BIZANTINO La nuova articolazione dell’impero aveva tra le sue ragioni l’irruzione di nuovi antagonisti come gli Avari, i Bulgari e le popolazioni slave. Furono però i persiani all’inizio del VII sec a conquistare Gerusalemme e poi ad assediare invano Costantinopoli. Agli inizi del secolo VIII la stessa Costantinopoli fu assediata per due anni dagli arabi. L’impero romano d’oriente era divenuto una potenza a carattere regionale trasformandosi cosi in un vero e proprio impero bizantino. Cap. 20 I LONGOBARDI E LA FRAMMENTAZIONE POLITICA DEL TERRITORIO 1.CHI ERANO I LONGOBARDI Secondo Paolo Diacono i Longobardi erano gli abitanti della penisola italiana, di condizione libera, appartenenti al regno, che partecipavano alle sue istituzione nelle forme consone alla loro condizione giuridica e sociale. Secondo il racconto di Paolo sarebbe stato proprio un generale bizantino caduto in disgrazia ad aver chiamato nella penisola i longobardi. In questo contesto Alboino mise insieme un esercito sufficiente a mangiare in cerca di fortuna verso l’italia. 2. LA CONQUISTA E LA FRATTURA DELL’UNITA’ POLITICA DELLA PENISOLA L’esercito guidato dal Alboino ebbe un piano di conquista disordinato e che quindi non trovò una resistenza strutturata da parte dei bizantini che governavano una penisola stremata dal ventennio della guerra greco-gotica. I bizantini riuscirono cosi a conservare due nuclei territoriali compatti: il ducato di Roma e l’attuale Romagna. Questa conformazione segnò una profonda frattura nell’unità politico-territoriale della penisola. Rimasero bizantine la laguna veneta e le coste pugliesi, calabre e campane. 3. IL REGNO LONGOBARDO E LE SUE STRUTTURE Una volontà politica di coordinamento tra i diversi gruppi che si erano stanziati a macchia di leopardo in tutta la penisola emerse nella capacità di eleggere un re. Dal 584 , dopo l’elezione del re Autari, la successione da un re all’altro fu regolare. Sessant’anni dopo lìelezione di Autari, fu emanato l’edictum: una raccolta di leggi scritte. L’editto mostraun regno che aveva una capitale stabile, Pavia, non era praticata una tassazione diretta e il regno si sosteneva con tasse indirette. Quando giunsero nella penisola italiana i singoli longobardi avevano credenze religiose diverse. Fu solo in coincidenza con il consolidamento del potere regio che l’unità religiosa dei sudditi divenne una questione rilevante. La regina Teodolinda avviò un dialogo importante con la chiesa di Roma per il consolidamento di un integrazione che però non andò a buon fine: nel 653 il re Ariperto vietò il culto ariano nel regno. 4. SOCIETA’ ED ECONOMIA La popolazione del regno aveva condizione giuridica differente: i libri godevano di pieno diritto ed erano piccoli proprietari tenuti a prestare servizio militare e a partecipare alle assemblee pubbliche. Gli aldi erano uomini dalla condizione giuridica intermedia. I servi infine non godevano di alcun diritto. Rimane molto discusso il problema della coesistenza di due diritti nel regno. 5. IL REGNO DI LIUTPRANDO Il lungo legno di Liutprando fu l’apogeo della vicenda longobarda. Egli approfittò delle difficoltà dell’impero bizantino per avviare un’azione di conquista dei territorio dell’Esarcato. Obiettivo di Liutprando era ottenere la sottomissione formale dei duchi di Spoleto e Benevento. Ottenuto e giunto a roma il re depose in San Pietro, davanti al papa, le insegne reali come atto di collaborazione. 6. GLI ULTIMI RE Liutprando non aveva torto infatti quando il suo successore Astolfo riuscì a conquistare Ravenna il papa chiese aiuto ai Franchi. Il successore di Astolfo, Desiderio, era un uomo nuovo che divenuto re provò a rendersi indipendente dal protettorato Franco e con i matrimoni delle figlie consolidò i confini del regno. Tale rafforzamento si affiancò però a gravi crisi interne della chiesa di Roma. La morte di Carlo Manno spezzò le basi della politica di desiderio, in quanto Carlo restituì la figlia a Desiderio e sposò una donna sveva ed ebbe pieno appoggio da papa Adriano I. cap. 21 L’EGIRA. L’AFFERMAZIONE DELL’ISLAM E IL MONDO MEDITERRANEO. 1.LA NASCITA DELL’ISLAM l’Islam nacque all’inizio del secolo VII e posa il suo fondamento su 5 pilastri: 1.LA PROFESSIONE DI FEDE 2.LA PREGHIERA RECITATA 5 VOLTE AL GIORNO 3.L’ELEMOSINA OBBLIGATORIA 4.IL DIGIUNO NEL MESE DI RAMADAN 5.IL PELLEGRINAGGIO ALLA MECCA da compiersi almeno una volta nella vita La predicazione di Muhammad conobbe un successo immediato e diede vita a un nuovo tipo di comunità: la summa, che si pone come comunità politica. Muhammed morì nel 632 e in questo contesto va collocata l’elaborazione del concetto di Jahid (sforzo per migliorare se stessi sulla via di Dio). 2. L’ETA’ DELLE CONQUISTE La morte di Muhammad comportò l’elezione del primo califfo, Abu Bakr compagno e suocero di Muhammad. L’impero bizantino scontò le tensioni politiche-religiose che lo attraversavano e le penetrazioni musulmane in Africa Settentrionale portarono alla conquista e alla sottomissione e islamizzazione delle tribù dell’Africa Settentrionale. 1.I CONFLITTI INTERNI AL MONDO ISLAMICO Il processo di espansione e conquista non fu frenato dai conflitti politici e religiosi sorti all’interno della comunità islamica alla morte di Muhammad che divamparono quando nel 632 Alì aveva rivendicato il diritto di accedere al califfato ma le sue pretese erano state respinte a favore di altri candidati. Nacque così il partito Alì, da cui ha origine la corrente sciita deell’islam. Dopo la sconfitta di Alì, il vincitore Mu’awiya, riuscì ad imporre nuove regole alla comunità politica. Il suo regime fu rovesciato nel 750 da una rivolta capitanata dalla famiglia sunnita degli Abbasidi che trasferirono la capitale a Bagdad. 4. LE CONSEGUENZE DELL’ESPANSIONE ISLAMICA L’espansione islamica riguardò territori economicamente prosperi. La rapidissima sottomissione delle province più ricche bizantine fornì ai conquistatori una burocrazia di formazione imperiale che portò a una profonda ridefinizione del panorama etnico- linguistico e religioso dei territori conquistati. Il processo di arabizzazione e di islamizzazione della società raggiunse il culmine nel secolo IX. cap. 22 I FRANCHI, CARLO MAGNO E IL RITORNO DELL’IMPERO IN OCCIDENTE 1.IL COLPO DI STATO DEL 751 Il regno dei Franchi era stato governato per quasi III secoli dai Merovingi che avevano adottato una strategia matrimoniale come pratica per non consolidare alleanze con i gruppi aristocratici del regno, rafforzando il loro potere. Sin dalla metà del secondo VIII gli esponenti del clan dei pipiniti erano maestri di palazzo, cioè bracci destri dei re. A partire da questa carica Grimoaldo aveva tentato un colpo di stato, facendo incoronare re suo figlio ma l’aristocrazia non aveva tollerato e i due furono giustiziati. Questo fallimento indebolì il clan dei pipiniti e il figlio di Carlo Martello nel 751 depose l’ultimo re Merovingio e fu eletto re con l’appoggio dei vescovi e il consenso del papa. 2. LE CONQUISTE MILITARI DI CARLO MAGNO Pipino cominciò una serie di campagne per consolidare l’autorità regia in Aquitania e Provenza. Fu poi Carlo Magno dal 762 a riprendere le linee espansive e a condurle a un pieno successo. Nel 774 Carlo si proclamò re dei Franchi e dei Longobardi. Nel 788 conquistò la Baviera e nel nord dell’attuale Germania condusse battaglie militari contro i Sassoni per almeno 30 anni conquistando l’intera Germania. In direzione sud- ovest i successi militari di Carlo appaiono più sfumati. Estranei al dominio Franco restarono l’Emirato di Cordova e il Regno Cristiano delle Asturie. 3. GOVERNARE L’IMPERO Il giorno di Natale dell’800 papa Leone III incoronò Carlo come grande e pacifico imperatore romano, coronato da Dio: si riconosceva così un re in Occidente che doveva assoggettare i territori conquistati alla fede cristiana. A questo seguì una fase di consolidamento dei poteri carolingi che organizzarono i possedimenti cercando di dare un ordinamento unitari e coerente. Le aree di confine furono organizzate in Più a nord si affermò la grande Moravia, il principato slavo già ricordato parlando degli ungari. Attorno al mille, anche il vasto ducato di Polonia, faceva parte della medesima sfera di influenza e i possedimenti della Polonia diventavano parte di un ampio principato esteso su un territorio che dal lago di Ladoga procedeva verso sud. 4. DAI VICHINGHI AI NORMANNI I russi di Chiev facevano parte dei popoli scandinavi, definiti vichinghi. L’area scandinava era rimasta estranea agli sviluppi politici dell’occidente europeo fino alla fine del secolo VIII ma successivamente le società vichinghe diedero vita ad un regno stabile in Danimarca e attorno al 965 i re danesi furono i primi re vichinghi a convertirsi al cristianesimo romano. 5. MUSULMANI NEL MARE DEI ROMANI I vichinghi non si limitarono ad incursione sulle coste dell’Europa settentrionale. Il Mediterraneo fu concepito da punto di vista arabo-musulmano come una frontiera da presidiare e difendere contro possibili attacchi e come punto per una propagazione dell’islam che però non fu unitaria in quanto l’emirato di Cordova era rimasto a guida omayyade. La conquista della Sicilia si portasse per diversi decenni. cap. 26 LA CRESCITA ECONOMICA DEL PIENO MEDIOEVO 1.CRESCITA DEMOGRAFICA E DISSODAMENTI La depressione economica nei secoli V e Vi seguita da una crisi demografica colpì soprattutto le campagne, da qui il sistema curtense e la signoria introdussero incentivi alla produzione dovuti alla rinnovata capacità dei potenti di coordinare e controllare il lavoro contadino e di appropriarsi di quote più rilevanti del surplus. 2. DIVISIONE DEL LAVORO E COMMERCIALIZZAZIONE Nel pieno medievo la popolazione divenne così numerosa da dominare l’ambiente e produrre borghi e città. Così in tempi e modi diversi, da villaggio a villaggio e da regione a regione, a un certo punto fu raggiunta una soglia critica di popolazione e ricchezza che permise la comparsa di nuovi mestieri. Non tutti i villaggi però se lo potevano permettere cosi si attuò la divisione del lavoro che aumento la produttività e la qualità dei prodotti. 3. PERCHE’ LA CRESCITA NON SI ARRESTA? CONTADINI E CAVALIERI Se la crescita pieno medievale derivò dal ciclo costituito da crescita demografica non ci si spiega come mai essa continuò fino a fine 200 e il motivo per il quale questo aumento non spinse i contadini verso terre meno produttive. Le ragioni furono diverse e la mobilità dei contadini non sfruttò il diverso passo della crescita demografica e la vecchia Europa carolingia si espande verso nord est ovest e sud. Inoltre lo sviluppo signorile aveva privatizzato molti diritti pubblici facendone fonti di reddito. 4. CITTA’ E SCAMBI L’idea di città fu un eredità romana che decollò grazie al monopolio di alcune funzioni e servizi economini, politici e sociali. Le città si svilupparono a partire dalle campagne. Va comunque precisato che la crescita aveva arricchito molti ma aveva aumentato a dismisura i numeri dei poveri. CAP. 27 ORDINAMENTO SIGNORILE 1.TERRE, POTERI LOCALI, RETI DI FEDELTA’ La concentrazione del potere nelle mani dei più ricchi è un dato comune a moltissime realtà storiche. Tra i secoli X e XI ogni villaggio seguì una propria peculiare vicenda. In un economia a base agraria e priva di un prelievo fiscale come quella altomedievale, la ricchezza consisteva prima di tutto nella proprietà e nel possesso di terra. Questa ricchezza fondiaria assunse maggiore peso quando i grandi proprietari costruirono un castello inoltre in tutta l’Europa carolingia la convergenza di ricchezza e capacità militare permise la creazione di poteri signorili locali. 2. TRA DUCHI E RE : IL REGBO TEUTONICO La stabilità del regno di Germania derivava dell'equilibrio tra i duchi che con la mediazione dei vescovi capo di sedi episcopali particolarmente prestigiose detenevano il potere di scegliere il re, una carica fondamentale ma con evidenti tendenze dinastiche. Così per esempio dal 919 al 1002, la carica regia si era trasmessa all’interno della casa di Sassonia da Enrico I sino a Ottone III. 3. IL REGNO ITALICO E LA LONTANANZA DEGLI IMPERATORI Rilevante in questa prospettiva fu l’atto edictum de beneficiis. Questo è un testo eccezzionale, infatti tra il secolo X e XI i genere gli imperatori non erano in grado di emanare legge di valore generale e dovevano limitarsi a concedere o a riconoscere diritti o privilegi. L’edictum con le sue norme riconosce un ormai diffusa prassi di ereditarietà dei benefici della società aristocratica. 4. FRANCIA E INGHLITERRA INTORNO AL MILLE L’orientamento dinastico nel regno di Francia aveva visto una lunga rotta del potere regio in cui erano a tratti tornati in gioco gli ultimi discendenti dei carolingi. Diversa era la realtà inglese, i re anglosassoni avevano superato la fortissima frammentazione naturale dei secoli precedenti e le procedure di successione erano fluide ed indefinite. In questa situazione prevalse Guglielmo il conquistatore che segnò l’unione dinastica di Normandia e Inghilterra. CAP. 28 LA NUOVA CHIESA OCCIDENTALE 1.L’ELEZIONE DEL PAPA E L’IMPERO Dopo la morte di Carlo il grosso I papi furono allora scelti prevalentemente Dalle file dell'aristocrazia romana e ravennate. Negli anni successivi la disposizione ottoniana per una reale efficacia solo quando l'imperatore riuscì a esercitare un concreto controllo, politico e militare, sulla città. 2. LA CHIESA IMPERIALE La morte precoce di Ottone terzo segno il fallimento del suo programma politico. Così a partire dalla metà del secolo 11º, Enrico III riprese con forza la politica imperiale nell'elezione del Papa. Nei 10 anni successivi l'imperatore nominò papi di origine germanica che coniugarono le idee della riforma imperiale con quella del primato romano. 3. LA RIFORMA ROMANA, UN NUOVO PRIMATO E LO SCISMA. Il papà godeva fine dei secoli Iv e V di un primato morale sugli altri vescovi, almeno in Occidente. Fu in questo contesto che maturò il cosiddetto Grande scisma, e cioè la separazione della Chiesa occidentale da quella orientale. 4. GREGORIO VII Nel 1073 fu eletto papa Ildebrando di Soana, già in precedenza un grande protagonista del dibattito riformatore di quegli anni, che prese il nome di Gregorio VII. Segnava così un cambiamento nel mondo ecclesiastico occidentale, perché metteva fine al modello di organizzazione per affermare un modello gerarchico in cui il Papa diventa il vertice assoluto della Chiesa e i vescovi suoi subordinati. 5. LA SEPARAZIONE FRA LAICI ED ECCLESIASTICI Nell’alto medioevo era molto diffusa la presenza di uomini che avevano preso gli ordini minori, il diacono per esempio, e che vivevano come i laici. Fu solo a partire dalla riforma ecclesiastica di Gregorio settimo che fu proibito in maniera assoluta ai preti di sposarsi, così come fu espressamente vietato ai vescovi di convivere con una donna e di avere dei figli. 6. LA LOTTA PER LE INVESTITURE Nel 1705 Gregorio settimo vietò le investitura ecclesiastiche da parte dei laici. Lo scontro si allargava così dalla questione delle investiture al più generale problema della primazia papale imperiale sull’insieme dalla società cristiana. Raggiunta la parte interna, nelle 1080, Enrico Quarto riunì un nuovo concilio che elesse un papa alternativo a Gregorio settimo: il vescovo di Ravenna Guiberto. 7. IL CONCORDATO WORMS Nelle 1110 Pasquale secondo E IL nuovo imperatore, Enrico V, avevano raggiunto un primo accordo, che prevedeva la rinuncia del Papa all'esercizio Delle regalie, in cambio della rinuncia dell'imperatore a intervenire nelle investiture vescovili. Cap. 29 L’ESPANSIONE OCCIDENTALE NEL MEDITERRANEO 1.LA RECONQUISTA Le guerre condotte nell'arco di più secoli dai re cristiani di Asturia e Leon, Navarra e Aragona per la conquista dei territori iberici sotto la dominazione musulmana furono definite dagli storici spagnoli d’età moderna come riconquista. Verso il 1000 l'emirato omayyade collassò. L'interruzione delle scorrerie islamiche e la crescita demografica avviarono il ripopolamento della frontiera. Lentamente e senza un processo lineare, aree sempre più ampie della penisola furono ripopolate da occidentali, acculturate alle pratiche franche. 2. LE CITTA’ COSTIERE E IL CONTROLLO DEL MEDITERRANEO Agli inizi del secolo 11º, il controllo della Sicilia delle Baleari, delle coste iberiche e nord africane, permetteva alle flotte islamiche un dominio di fatto sul Mediterraneo occidentale. Dati i condizionamenti tecnologici climatici, la navigazione mediterranea avveniva in forma di cabotaggio, cioè lungo costa. Per mano di diversi gruppi di cavalieri, non interessati in primo luogo ai commerci, furono tolti all'Islam a Bisanzio la Sicilia. Le imbarcazioni che portavano merci potevano facilmente diventare Navi da corsa. 3. LA PRIMA CROCIATA In questo contesto va collocata l'esperienza della prima crociata. La conquista consolidata da contingenti pisani E genovesi, giunti autonomamente via mare, che aiutarono I crociati ad assoggettare le Città costiere, aprendo una linea di rifornimento di risorse uomini. Imprevisto e clamoroso successo di questa spedizione fece la fortuna dal movimento crociato. 4. LE ALTRE CROCIATE Lo spostamento delle crociate verso Bisanzio l'Egitto nel secolo 13º non si spiega coN la decadenza degli ideali originari: già nel 1107 Boemondio d’Antiochia aveva organizzato una fallimentare spedizione Terra conquistare Costantinopoli. Cap. 33 LA MONARCHIA PAPALE 1.IL PAPATO NEL SECOLO XII La riforma del secolo 11º aveva mutato il ruolo di clero e papato nella cristianità occidentale. Due lunghi scismi opposero Innocenzo II ad Anacleto II E poi Alessandro III a più antipapi; quest'ultimo scisma fu collegato alla ripresa della lotta tra papato e impero. La curia romana si impose allora come tribunale in grado di risolvere le dispute più diverse. Il ritorno a Roma di Clemente III ebbe una ricaduta sul collegio cardinalizio. 2. L’APOGEO DELLA MONARCHIA PAPALE: INNOCENZO III La congiuntura politica favorevole di cui godette Innocenzo III gli permise di ampliare il suo potere se la Chiesa E nell'intero Occidente. Innocenzo intervenne anche nella successione imperiale. Altrettanto strategica per Innocenzo III fu la riforma della chiesa, un obiettivo tanto condiviso quanto generico. Questa azione fu coronata dal concilio ecumenico che riprese l'esempio di quelli che avevano celebrato il trionfo degli ortodossi. 3. IL PAPATO NELLA PRIMA META’ DEL DUECENTO Gli straordinari successi Innocenzo III furono frutto di circostanza eccezionale. Sei nuovi scenari politici ridussero la capacità dei pontefici di proporsi come guide politiche dell’occidente, continuò invece il rafforzamento della monarchia papale nella sua dimensione di governo della Chiesa E di dominio territoriale in Italia centrale. 4. DISSENSO RELIGIOSO E FORME DI DISCIPLINAMENTO L'attenzione della Chiesa riformata al disciplinamento dell'esperienza religiosa di chierici e laici ai costumi del clero ne rendeva la presenza sociale sempre più invasiva. A maestri e puri era imposto un arduo stile di vita. Ben diversi furono i gruppi che contestarono la chiesa in nome dele recupero di ideali evangelici: chiedevano una più o meno drastica rinuncia a temporalità e ricchezza; uno stile di vita povero e austero; più attenzione a umili E diseredati; un impegno pastorale la Dove esso era più urgente, come in città. Francesco d'Assisi I sei compagni costituirono uno dei tanti movimenti evangelici laici attivi in Italia centrale, che esprimevano istanze pauperistiche. cap. 34 LE MONARCHIE EUROPEE 1.BOUVINES: FRANCIA E INGHILTERRA Nel 1214 la battaglia di Bouvines vide fronteggiarsi il re francese Filippo Augusto e l'imperatore Ottone IV. Il lento processo di rafforzamento dell'autorità regia, iniziato in Francia nei primi decenni del secolo XII, giunse dunque a piena maturazione in questa fase. Le conseguenze di Bouvines furono molto significativa anche per il regno inglese. Si decisero anche le sorti della successione l'impero. La battaglia di Bouvines non fu l'unico scontro militare dei primi decenni del duecento. 2. LAS NAVAS DE TOLOSA: LE MONARCHIE IBERICHE Nel 1212, a Las Navas de Tolosa, l'alleanza dei regni cristiani della Spagna settentrionale sconfisse gli Almohadi, una potente dinastia berbera chiave estese il suo potere dal dal Maghreb a tutta la Spagna islamica, riunificandola e infliggendo pesanti rovesci ai sovrani cristiani. 3. MURET: IL MIDI FRANCESE E L’ARAGONA La terza battaglia cruciale di questo periodo fu quella di Muret, combattuta nel sud della Francia nel 1213. La loro presenza si giustificava col fatto che pochi anni prima, nel 1208, papa Innocenzo III aveva bandito una crociata contro gli eretici catari. Lo scontro tra l'esercito crociato E quelle degli aragonesi E dei loro alleati locali, Avvenuto a poca distanza da Tolosa, si concluse con una totale vittoria dei crociati E con la morte in battaglia di Pietro II. 4. TECNICHE DI GOVERNO E ASSETTI COSTITUZIONALI. L'inizio del duecento non segna solo uno spartiacque per quanto riguarda gli assetti politico territoriali. Si tratta anche di una fase cruciale per ciò che riguarda lo sviluppo delle tecniche di governo. Il 200 si caratterizza per il perfezionamento di questi sistemi E la loro sistematica applicazione su vasta scala. La Francia fornisce in questo senso un esempio prezioso. Inoltre, in alcune realtà come Inghilterra E le monarchie iberiche, in questa fase prese avvio la convocazione più o meno regolare via assemblee rappresentative della società politica del regno, con cui la corona si doveva confrontare. CAP. 35 L’EUROPA DI FRONTE AI MONGOLI. 1.L’ESPANSIONE MONGOLA: DALLE STEPPE ALL’IMPERO All'inizio del secolo XIII, Temugin, il capo di una piccola tribù dell'attuale Mongolia, Riuscì a unire, dopo numerosi conflitti, una serie di popolazioni nomade attive nell’Asia nord-orientale, ai confini dell'impero cinese. Negli anni 20 del 200 I mongoli iniziarono le prime incursioni aldilà degli Urali, in Europa orientale. Per capire la devastante portata di questi eventi che, per quanto riguarda l'Ungheria, le stime più prudenti calcolano, nell'unico anno dell'occupazione mongola, la perdita di poco meno di un quinto della popolazione, mentre quelle più pessimista stimano una perdita della metà, oltre enormi danni materiali; questo in uno dei territori toccati solo marginalmente dall'espansione mongola. 2. IL KHANATO DELL’ORDA D’ORO E LA RUSSIA Gran parte dell'odierna Russia occidentale non fu sottoposta al diretto governo dell’Orda d’Oro, ma fu ridotta a una condizione di tributaria del khanato. Il crollo del khanato Kipchak unitario Pose fine alla dipendenza di Mosca dai tatari. 3.NUOVI PROTAGONISTI: ORDINE TEUTONICO E LITUANIA L'intervento mongolo alterò gli equilibri consolidati anche nell'area non soggetta direttamente o indirettamente al suo controllo. Non bisogna però pensare un inevitabilità della conquista e della colonizzazione dell'area. Anche il regno di Polonia approfittò della disgregazione della Russia di Kiev, acquisendo alcuni importanti territori. 4. L’OCCIDENTE E I MONGOLI Come già detto, l'espansione mongola si spinse fino ai confini dell'Europa occidentale. Queste iniziative religiose diplomatiche contribuirono ad allargare gli orizzonti dell'Europa. Indispensabile condizione di questi transiti era il mantenimento di quella che è stata definita pax mongolica, cioè l'incontrastato dominio mongolo che, dalle steppe russe, arrivata alle coste del Mar della Cina. CAP. 36 I COMUNI DI POPOLO 1.CAVALIERI E CITTADINI A cavallo fra i secoli XII E XIII, le società cittadine dei comuni italiani vissero una profonda trasformazione politica. Il termine popolo nelle fonti scritte duecentesche non indica mai l'intera cittadinanza determina spesso la parte politica che coordinava i vertici di quei gruppi economicamente produttivi, che per lungo tempo erano stati esclusi dalla gestione politica del comune. Il popolo era insomma la forma politicamente organizzata di tutti coloro che non appartenevano al gruppo dei milite E che intendeva rappresentare istanze e interessi diametralmente contrapposti a quelli dei loro antagonisti. 2. POPOLO, ISTITUZIONI, CONSIGLI Il popolo esprimeva rivendicazione di diverso genere, che però, tutta insieme, andavano a costituire un sistema di valori di regole di convivenza civile profondamente alternativo al costume aristocratico. Il popolo chiedeva certezze sulle regole emanate. 3. LO SCONTRO CON FEDERICO II E I GOVERNI DI POPOLO Quando Federico II morì, nel 1250, appena un anno dopo la sconfitta di Fossalta, in numerosi città si affermarono regimi popolari, fatto che indirettamente conferma il ruolo della politica imperiale nell'ostacolare l'affermazione del popolo. Comparvero solo allora le magistrature caratterizzate da regimi popolari, Cioè il capitano del Popolo con un collegio di anziani o priori. 4. SIGNORIE E DOVERNI DI POPOLO. Durante la fase di conflitto con Federico II, in alcune città la parte filoimperiale aveva promosso alcuni signori rurali ad assumere un ruolo dominante all'interno di quei comuni urbani, ruolo che mantennero anche dopo la morte dell'imperatore. Alcune aree di più forte tradizione signorile erano state dominate più o meno direttamente da Federico II. La signoria cittadina non fu insomma un’evoluzione, O involuzione, del Comune di popolo: fu invece la forma di governo originale. Gli ultimi decenni del 200 mostrano così che, indipendentemente dalla distinzione tra città signorili e città rete a comune, l’azione del popolo aveva cambiato per sempre il modo di fare e, soprattutto, di pensare la politica. 5. GUELFI E GHIBELLINI I conflitti violenti caratteristici della società cittadina di fine Duecento sono stati interpretati a lungo dalla storiografia come degenerazione di un pacifico sistema democratico che in realtà non era mai esistito. In un estremo tentativo di disciplinare le forme della lotta politica, alcuni regimi popolari emanarono provvedimenti detti antimagnatizi, perché si rivolgevano contro i magnati, una nuova categoria sociale, non ben definita, ma che rimandava a una preminenza economica e politica modellata sugli stili di vita dei milites. CAP. 37 ANGIOINI E ARAGONESI NEL SUD ITALIA 1.CARLO I D’ANGIO’ RE DI SICILIA Il 26 febbraio 1266 le truppe di Carlo d’Angiò sconfissero nei pressi di Benevento l'esercito di figlio naturale di Federico II, Manfredi, che fu ucciso battaglia. Tra le altre cose, il Papa impose a Carlo un impegno formale a non intervenire nei conflitti interni alle città comunali del Nord. Carlo porta avanti anche altri ambiziosi progetti espansionistici. Egli realtà ereditata di progetti non dalla dinastia francese a cui apparteneva ma dagli avevi. 2. LA RIVOLTA DEL VESPRO E LE SUE CONSEGUENZE Gli ambiziosi progetti di Carlo subirono un grave colpo nel 1282. La ribellione, in ogni caso, nacque come una rivolta urbana, E mantenne questo carattere anche in seguito. La totale chiusura del Papa spinse i siciliani ad accettare le profferte di Pietro III Gli eventi successivi alla morte di Carlo IV dimostrano che la bolla d'oro non aveva risolto I problemi legati alla natura elettiva dell'impero. Sigismondo di Lussemburgo, l'ultimo di questa casata a cingere la corona imperiale, tentò con molta decisione di rilanciare il prestigio del titolo imperiale in Europa. Ma dopo la morte di Sigismondo, E fino alla partecipazione di Massimiliano I d'Asburgo alle guerre d'Italia negli anni 90 del quattrocento, il re dei romani si disinteressarono di fatto della politica italiana. CAP. 41 DA AVIGNONE AL CONCILIARISMO: LA CHIESA ALLA FINE DEL MEDIOEVO 1.IL TRASFERIMENTO DELLA CURIA PAPALE AD AVIGNONE Il papato avignonese ha goduto a lungo di cattiva stampa ed è stato spesso rappresentato come un epoca di grave decadenza. Il rafforzamento del potere papale e delle sue aspirazioni universali Durante il trecento aveva creato tensioni con i regni nazionali, in particolare con il regno di Francia che aveva a capo il pontefice Bonifacio VIII. Nel suo corso del pontificato, entro in duro conflitto con il re di Francia Filippo IV il Bello, in particolare su una questione cruciale in quegli anni di costose guerre per l'affermazione dei poteri monarchici. Dove brevissimo pontificato di Benedetto XI, L'elezione al soglio pontificio dell’arcivescovo di Bordeaux Bertrand de Got, che scelse il nome di Clemente V, non fu il risultato dell'imposizione del re di Francia, come si è a volte sostenuto, ma l'esito di un faticoso compromesso fra le due fazioni, filo e anti- bonifaciana, in cui si era spaccato il collegio cardinalizio. 2. IL PAPATO AVIGNONESE Furono i suoi successori a trasformare Avignone nella residenza papale. Nei documenti, comunque, la curia non cessò mai di definirsi romana. L'aspetto forse più rilevante del periodo avignonese fu il forte sviluppo della fiscalità papale. Quello avignonese fu dunque un papato forte. Tuttavia le risorse del papato non erano assorbite se non in minima parte dal pur dispendioso stile di vita della corte. 3. IL GRANDE SCISMA D’OCCIDENTE Come si è detto, fu Gregorio XI, nel 1377, a riportare il papato da Roma. Dopo l'elezione di Clemente VII si costituirono quindi curie papali, con due sedi, due collegio cardinalizio, due distinte macchine burocratiche e fiscali. I papi di rame di Avignone si lanciarono in ambiziose campagne acquisti. 4. IL CONCILIARISMO E I GRANDI CONCILI DI PISA E DI COSTANZA Lo sisma ebbe ampia risonanza, soprattutto dalle persone colte. Fu in questo clima di fervida discussione e in piena consonanza con le teorie conciliaristiche, che nel 1408 alcuni cardinali distaccatisi dall'obbedienza di entrambi papi allora in carica, Benedetto 13º e Gregorio 12º, Convocarono un concilio a Pisa da tenersi l'anno successivo. Il consiglio si aprì il 25 marzo marzo1409 e fu molto partecipato. Il concilio di Costanza fu convocato da Giovanni XXIII, che era succeduto nell'obbedienza pisana ad Alessandro V. Seguendo le indicazioni del concilio di Costanza, Martino V convocò il concilio per il 1423 E poi un secondo, che si aprì a Basilea, nel luglio 1431, solo dopo la sua morte. La storiografia ritiene che la conclusione del concilio di Basilea abbia segnato la fine del conciliarismo e l' inizio della fase di restaurazione del potere papale anche se non ci fu, in realtà, un ritorno alle condizioni di quella che, Vista dal punto di vista del centralismo papale, può essere considerata una sorta di età dell'oro, la frase avignonese. CAP. 41 I TURCHI E L’EUROPA ORIENTALE 1.L’AVVIO DELL'ESPANSIONE OTTOMANA La conquista turca di Costantinopoli del 1453 fu esito di dinamiche storiche iniziate alla fine del trecento nell'Anatolia nord-occidentale, Dove l’emiro ‘Othaman I si rese indipendente dai sultani selgiuchidi. Fu proprio da Nicea che nel 1261 partì la riconquista bizantina di Costantinopoli. Consolidare dapprima la loro posizione in Tracia, negli ultimi decenni del trecento gli ottomani riuscirono a espandersi in Grecia e nei Balcani a danno di alcuni regni che nelle strutture politiche, amministrative, culturali e religiose emulavano la tradizione bizantina. 2. LA CADUTA DELL'IMPERO BIZANTINO L'espansione ottomana in una prima fase non desto allarme tre sovrani occidentali, Mossi da scarsa solidarietà nei confronti dei bizantini e dei regni scismatici balcanici di religione Greco ortodossa. Alla fine del trecento la caduta dell'impero bizantino sembrava dunque imminente, ma fu impedita dall'irruzione in Anatolia dall'esercito del condottiero mongolo Tamerlano, che aveva costituito un ampio dominio esteso dell'India settentrionale al Turkestan. Il nuovo clima culturale fu caratterizzato dall'affermazione dell'umanesimo E dalla riscoperta della cultura greca antica. Preso atto che, nonostante i proclami e gli appelli papali, impero bizantino era politicamente e militarmente isolato, il sultano Maometto II nella primavera del 1453 si volse all'attacco di Costantinopoli. L'assedio si concluse il 29 maggio: dopo più di 1000 anni, l'impero bizantino non c'era più. 3. NUOVE EGEMONIE NELL’EUROPA ORIENTALE: IL PRINCIPATO DI MOSCOVA Caduta Costantinopoli, l'eredità del mondo bizantino fu incentrata sulla città di Mosca, sede del metropolita ortodosso a cui facevano riferimento i fedeli della zona. Furono così poste le basi per la rappresentazione di Mosca come terza Roma, secondo una concezione ulteriormente sviluppata nel secolo successivo. 4. IL REGNO POLONIA-LITUANIA In tutt'altro contesto va collocata, invece, l'affermazione dell'altra grande forza egemonica dell'oriente europeo quattrocentesco, il regno di Polonia Lituania. Ladislao irruppe in un complesso scacchiere politico, quale si riflettevano i più ampi conflitti per l'egemonia su vaste regioni d’europa. Consolidata con questa vittoria la propria posizione, Ladislao V trasmise ai suoi successori un regno sicuramente eterogeneo, ma coeso. cap. 43 NUOVI EQUILIBRI POLITICI IN EUROPA 1.IN ITALIA: STATI REGIONALI E RICERCA DELL’EQUILIBRIO Tra la fine del trecento e i primi decenni del secolo successivo si affermò il potere sulla terraferma della Repubblica di Venezia. Venezia arrivò a controllare buona parte dell'Italia orientale. L'organizzazione degli Stati quattrocenteschi, fu il risultato di una continua sperimentazione, alla ricerca di soluzioni ai problemi contingenti, fossero questi di natura amministrativa, fiscale o politica. Pure in un contesto segnato in modo sempre più netto dalla semplificazione del panorama politico E dal consolidamento degli Stati regionali, continuavano a esistere entità minori, variamente legate da vincoli di fedeltà e subordinazione alle formazioni dominanti. La pace di Lodi fu seguita l'anno successivo da un accordo promosso dal papato, noto come lega italica. 2. OLTALPE: IL RAFFORZAMENTO DEL POTERE MONARCHICO Nelle monarchie dell'Europa occidentale, il periodo fra tre e quattrocento era stato denso di conflitti. L’aumento della fiscalità non costituì solo un aggravio, ma si tradusse anche in una nuova capacità dello Stato di ridistribuire risorse economiche. 3. LA FRANCIA FRA FRAMMENTAZIONE POLITICA E RIUNIFICAZIONE Quarant'anni prima della conquista di Granada, gli equilibri politici europei si erano già consolidati, dopo la conclusione del lunghissimo conflitto, noto come guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra. La Francia era lo stato più potente d’Europa. Intorno al 1430, durante il regno di Carlo VII, superato il momento di massimo successo degli inglesi, le sorti del conflitto volsero in modo decisivo e irreversibile a favore dei francesi. 4. L’INGHILTERRA TRA AMBIZIONI CONTINENTALI E GUERRA CIVILE Il regno d'Inghilterra non fu direttamente toccato dagli eventi bellici. La catastrofica fine del conflitto in Francia si riflesse pesantemente sulla monarchia inglese, gravemente indebolita dalla sconfitta militare. Un effetto non secondario di questo scontro sanguinoso fu l'estinzione di molti Casati dell'alta nobiltà inglese. 5. I REGNI IBERICI TRA CRISI INTERNE E PROCESSI DI INTEGRAZIONE Se la Francia fu indubbiamente l'area dell'Europa occidentale più pesantemente coinvolta nella crisi connessa la guerra dei cent'anni, Anche penisola iberica, pur all'interno di un quadro politico più stabile, Sperimentò un periodo complesso travagliato, Segnato da sempre crescenti difficoltà nel rapporto tra potere regio e società locali. Dalla seconda metà del secolo XV, dopo alcuni timidi tentativi effettuati nel secolo precedente, Presero avvio in modo sempre più sistematico le esplorazioni atlantiche promosse dai re di Castiglia e, soprattutto, del Portogallo, ormai tagliato fuori da possibili orizzonti di espansione sul continente.
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