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INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL LINGUAGGIO, Appunti di Linguistica

Riassunti dei capitoli 1, 2, 4, 5, 7, 8, 10, 11 del libro 'le lingue e il linguaggio' di Graffi e Scalise

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 17/04/2023

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Scarica INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL LINGUAGGIO e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! Che cos’è il linguaggio? La linguistica, il linguaggio e i linguaggi → La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio umano, detto anche naturale. Tutti i vari tipi di linguaggio, oltre a quello citato, come quello degli animali, delle immagini, dei fiori, dei media, ecc. hanno un elemento in comune: possiedono un sistema di comunicazione, capace di trasmettere informazioni da un individuo, detto emittente, ad un altro, detto ricevente o destinatario. I linguaggi citati possono essere identici nella loro funzione, ma non nella loro struttura. Infatti si sostiene che solo la specie umana ha la capacità di acquisire il linguaggio umano. Studio scientifico: 1) Formulazioni di ipotesi generali che rendano ragione di una moltiplicità di fattori particolari → qualsiasi scienza si trova davanti a una grande varietà fenomeni diversi 2) Formulazione di tali ipotesi in modo chiaro e controllabile → il discorso scientifico deve essere formulato in termini definiti in modo esplicito e fondarsi su esperimenti ripetibili; soltanto il rispetto di questi criteri permette il “controllo pubblico”. La linguistica è una disciplina descrittiva: il suo scopo non è indicare “ciò che si deve o non si deve dire”, ma spiegare quel che si dice. L’indicazione delle forme “buone”, “meno buone” o “decisamente da evitare” è il compito della grammatica normativa, che indica quali convenzioni seguire se si vuole adottare un certo tipo di comportamento in un determinato gruppo sociale. Al contrario, la linguistica ha un fine conoscitivo, vuole spiegare in base a delle leggi generali il comportamento linguistico degli esseri umani e investigare i meccanismi su di essi. Caratteristiche proprie del linguaggio umano → Il linguaggio umano è discreto (gli altri tipi di linguaggio sono continui) → i suoi elementi si distinguono per l’esistenza di limiti ben definiti. Per esempio → in italiano, i suoni [p] e [b], oppure [t] e [d] hanno un effetto di contrasto netto: patto vuol dire una cosa diversa da batto, e tardo una cosa diversa da dardo; non esistono entità intermedie, nella mente del parlante e dell’ascoltatore, tra p e b oppure tra t e d. Le parole citate, ciascuna delle quali ha un significato, sono formate da entità più piccole, detti fonemi, come “b” “p” “a” ecc. nessuna delle quali ha un significato, ma, se scambiata con un’altra, ha la possibilità di tradurre un significato diverso. Da questo esempio si può dedurre che il linguaggio umano è in grado di formare un numero altissimo di segni, cioè entità dotate di significante e significato, mediante un numero limitato di fonemi che non hanno significato, ma solo la capacità di distinguere i significati → questo fenomeno è chiamato doppia articolazione Nella lingua umana, si creano continuamente parole nuove, quindi non costituisce un insieme finito di segni. Si fa uso, nella quotidianità, di frasi nuove, create sul momento → questo fenomeno è chiamato ricorsività, che permette di costruire frasi sempre nuove, inserendo un’altra frase, e in quest’ultima un'ulteriore nuova frase, e così via. Per esempio: 1) Maria mi ha colpito 2) I ragazzi dicono che Maria mi ha colpito: 3) I vicini credono che i ragazzi dicano che Maria mi ha colpito 4) I Rossi sostengono che i vicini credono che i ragazzi dicano che Maria mi ha colpito Se nella frase 1 utilizzassimo un verbo come dire, possiamo trasformare la frase in un’altra complessa, cioè costituita da una frase principale (i ragazzi dicono) e da una frase dipendente (che Maria mi ha colpito). Si può trasformare l’intera frase in una dipendente da un verbo come credere. Se facciamo dipendere la frase da un verbo come sostenere, la frase risulta ancora più complessa. Dunque, si può notare che utilizzando un verbo opportuno, il processo potrebbe continuare all’infinito. Un altro modo per formare frasi complesse di lunghezza indefinita è ricorrere all’uso della congiunzione e: - Giorgio corre - Giorgio corre e grida - Giorgia corre e grida e suda - Giorgio corre e grida e suda e inciampa Il linguaggio umano è un sistema altamente specializzato, dotato di proprietà specifiche, nel doppio senso di specifiche del sistema, cioè possedute da esso solo, e specifiche della specie, cioè possedute dalla sola specie umana. Quindi, le caratteristiche del linguaggio umano sono: 1) La discretezza 2) La doppia articolazione 3) La ricorsività Vi sono altri tipi di linguaggi, aventi le stesse proprietà, ma sono diversi in base alla dipendenza della struttura → i linguaggi dell’informatica. Per esempio: - La donna che i ragazzi dicono che mi ha colpito è Maria Il verbo della frase dipendente è ha colpito, che si accorda con il nome singolare donna e che ne è separato da una lunga sequenza di parole (che i ragazzi dicono che mi); il nome ragazzi è molto più vicino al verbo ha colpito che non il nome di donna, eppure, se trasformassimo ha colpito in hanno colpito, per accordarlo al plurale ragazzi, otterremo una frase ‘non ben formata’ o ‘agrammaticale’. - La donna che i ragazzi dicono che mi hanno colpito è Maria Occorre tenere presente che la linguistica non è una disciplina normativa, ma descrittiva: quindi ‘agrammaticale’ non significa ‘scorretto’, bensì 'mal-formato per il parlante nativo di una determinata lingua’. - a sua volta B può diventare un parlante e associare significati ai suoni, produrre un atto di fonazione che giungerà ad A e così via Parole = esecuzione linguistica realizzata da un individuo, è un atto individuale (es: A che produce dei suoni), è attuazione, realizzazione → gli individui comunicano attraverso atti di parole → ma un individuo non possiede tutta la lingua, per esempio il parlante italiano non possiede tutta la lingua italiana → l'italiano sta al di fuori degli individui, preesiste agli individui e sopravviverà agli individui (es: latino e greco sono sopravvissuti) Langue = lingua della collettività, sociale ed astratta, è una potenzialità, un sistema astratto di riferimento collettivo → l'individuo può realizzare atti di parole ma non può da solo modificare la langue → è necessaria affinché gli atti di parole siano intellegibili Gli esseri umani comunicano attraverso atti di parole, ma il fondamento di questi atti è nella langue, perché è essa il sistema di riferimento collettivo. Roman Jakobson - codice e messaggio: Esempio → il codice Morse ( = sistema che trasmette lettere, segni di punteggiatura e numeri per mezzo di codici a intermittenza; venne inventato nel 1835 dall'americano Samuel Morse; è stato il primo sistema moderno di trasmissione a distanza di messaggi) Tale codice è costituito da due unità soltanto: il punto e la linea → sulla base di queste si possono costruire diversi messaggi …_ _ _ … → ‘SOS’ (save our souls) _ _ . _ _ . _ _ _ → ‘mano’ Codice: insieme di potenzialità, è astratto Messaggio: viene costruito sulla base delle unità fornite dal codice, è un atto concreto Noam Chomsky - competenza ed esecuzione Competenza → è tutto ciò che un individuo sa della propria lingua per poter parlare come parla e per poter capire come capisce; per lo più sono conoscenze inconsapevoli (fonologica, morfologica, sintattica, semantica) Esecuzione → è un atto di realizzazione, dunque è concreto Esecuzione = parole Competenza ≠ langue Langue → sociale e trascendente Competenza → individuale ed ha sede nella mente dell’individuo Competenza fonologica → Un parlante italiano sa che [a, p, m, f, u] sono suoni dell'italiano, ma suoni come [pf] (tedesco Pferd "cavallo") o il primo suono dello spagnolo José, o il suono iniziale dell'inglese thing non fanno parte della sua lingua. - Sa anche quali sono le combinazioni di suono che formano parole e quali no (albero, *labero, *beralo…). - Sa anche che se una parola italiana ha all'inizio tre consonanti consecutive la prima deve essere [s] (es: scrittore, *dcrittore). - Sa che per fare il plurale di amico cambia automaticamente il suono [k] nel suono [tʃ] di amici. - Cambia automaticamente l'accento da amìco ad amichévole - Cancella automaticamente la o da Milano a milanese - Sa dividere le parole in sillabe… Competenza morfologica → è la competenza relativa alle parole della lingua del parlante Il parlante italiano sa che di norma le parole finiscono per vocale - Sa che due parole in tutto uguali tranne che per l'accento hanno significati diversi - Conosce il vocabolario della propria lingua - Sa distinguere le parole della propria lingua da forme che non sono della propria lingua - Sa distinguere tra parole possibili ma non esistenti (es: buna, lopa) e parole non possibili (es: prtakr, drorlerj) - Sa formare parole complesse a partire da parole semplici (es: molle → mollemente) e sa che non e sempre possibile applicare lo stesso meccanismo (es: verde → *verdamente) - Sa che alla parola uomo si possono aggiungere molti dei cosiddetti suffissi valutativi, ma non ad una parola come fiammifero Es: omone, ometto, omino, omaccio *fiammiferone, *fiammiferetto, *fiammiferino, *fiammiferaccio - Sa che ad una stessa parola si possono applicare sia suffissi che prefissi (es: abile → disabile → disabilità) - Sa costruire un composto, e sanno che non si possono costruire a partire da parole qualsiasi Esempio: uomo scimmia, *uomo bottiglia - Sa che i due termini di un composto italiano non si possono invertire liberamente (es: grattacapo → *capogratta) o che a un composto non si possono applicare liberamente suffissi diminutivi (es: pescecane → *pescecanino) Competenza sintattica → Il parlante sa formare vari tipi di frase, anche subordinate di n grado Esempio: Mia madre mi ha detto che Maria ha scritto a Gianni dicendo che non avrebbe voluto più vederlo A partire da un tipo di frase sa farla passare in un'altra categoria fraseologica Esempio: La passione di Samuele è il disegno È il disegno la passione di Samuele? Qual è la passione di Samuele? - Sa che certe operazioni sintattiche sono possibili solo su certe strutture frasali Esempio: La gente che va al mare ama il sole (relativa restrittiva) → La gente che va al mare che ama il sole tornerà abbronzata Luca, che va al mare, ama il sole → *Luca, che va al mare, che ama il sole, tornerà abbronzato Competenza semantica → Il parlante di una lingua sa riconoscere il significato delle parole e delle frasi e sa istituire molte relazioni semantiche tra parole come le relazioni di sinonimia (es: avaro, spilorcio ; numeroso, molteplice) Ma intuiscono che la sinonimia completa non esiste Esempio: numerosi studenti parteciparono alla manifestazione *molteplici studenti parteciparono alla manifestazione - Riconoscono un'antonimia (= l'espressione del contrario) → es: grasso / magro, bianco / nero - Sa distinguere diversi tipi di ambiguità → ambiguità lessicale, riguarda il diverso significato che le parole possono avere nel contesto (esempio: cane inteso come animale o come quello della pistola) → ambiguità sintattica, frasi e sintagmi possono avere più significati (es: Carla discute la relazione con Roberto) - Sa che ci sono determinati rapporti tra parole (es: l'articolo lo si può riferire a gnomo ma non a tavolo) La grammatica dei parlanti → insieme di conoscenze che sono immagazzinate nella mente; viene costruita attraverso un complicato equilibrio di fattori innati biologicamente e di esperienze acquisite all’interno della comunità linguistica d’origine. Per esempio: Il bambino non è esposto alle regole della lingua ma solo ai dati, dunque costruisce una grammatica a partire dai dati (dati linguistici primari) Una lingua non realizza tutte le possibilità → La lingua è un codice, costituito da due livelli: - le unità di base - le regole che combinano le unità più piccole di base per creare unità più grandi e complesse (rientra nella competenza del parlante, che non è solo conoscenza delle parole della lingua, ma anche le regole che combinano le parole) Le lingue del mondo non sfruttano mai tutte le possibilità né a livello di unità né a livello di regole → ogni lingua fa delle scelte - A livello del lessico → esempio: dati i suoni [s-o-l-e] secondo alcune regole dell'italiano possono essere combinati solo in alcuni modi: Le funzioni della lingua Le componenti necessarie per un atto di comunicazione linguistica sono sei (secondo Jakobson): 1) parlante → nozioni intuitive 2) riferente → ciò cui l’atto linguistico rimanda, la realtà extra linguistica 3) messaggio → concreto 4) canale → è l’aria, se due persone comunicano nel normale dei modi, oppure una linea telefonica o l’acqua supponendo forme di comunicazioni particolari 5) codice → astratto 6) ascoltatore → nozioni intuitive A ciascuna di queste componenti, corrisponde una funzione linguistica: 1) emotiva → riguarda il parlante e si realizza quando quest’ultimo esprime stati d’animo (poesia lirica → genere letterario che più corrisponde alla funzione emotiva) 2) referenziale → funzione informativa, neutra (il treno parte alle sei) 3) poetica → più complessa; il messaggio che il parlante invia all’ascoltatore è costruito in modo tale da costringere l’ascoltatore a ritornare sul messaggio stesso per apprezzarne il modo in cui è formulato 4) fàtica → controllare se il canale è aperto e funziona regolarmente (mi senti? mi ascolti?) 5) metalinguistica → il codice viene utilizzato per parlare del codice stesso 6) conativa o direttiva → si realizza sotto forma di comando o di esortazione rivolti all’ascoltatore perché modifichi il suo comportamento (non sputare per terra) I suoni delle lingue: fonetica e fonologia Un suono è un fatto fisico, misurabile che un essere umano è in grado di produrre grazie all’apparato fonatorio. Di tutti i suoni che si producono, solo una piccola parte fa parte di una lingua in senso stretto. Ogni lingua ha un suo inventario di suoni che funzionano linguisticamente (fonemi), applicando regole proprie per combinare insieme questi suoni e parole che si formano. Fonetica articolatoria → disciplina che studia la produzione dei suoni - Fonetica acustica: studia la natura fisica del suono e la sua propagazione attraverso l’aria; - Fonetica uditiva o percettiva: studia l’aspetto della ricezione del suono da parte dell’ascoltatore Quel che segue è basato sulla fonetica articolatoria L’apparato fonatorio Un suono è prodotto dall’aria che viene emessa dai polmoni, sale lungo la trachea, attraversa la laringe (all’altezza del pomo d’Adamo), sede delle corde vocali. Dopo aver superato la faringe, l’aria giunge alla cavità orale e da qui fuoriesce dalla bocca. La cavità nasale può essere esclusa o attivata tramite l’innalzamento del velo palatino → se questo si sposta all’indietro chiudendo la comunicazione tra faringe e cavità nasale, l’aria fuoriesce solo dalla bocca e avremo suoni orali; se il velo palatino resta inerte, l’aria fuoriesce anche dalla cavità nasale e avremo suoni nasali. Classificazione dei suoni → sono necessari tre parametri: - Modo di articolazione → i vari organi della fonazione come labbra, lingua e velo palatino possono essere posizionati in modi diversi nella produzione del suono - Punto di articolazione → punto in cui il flusso d’aria per produrre un suono può essere modificato in diverse zone dell’apparato vocale - Sonorità → è data dalle vibrazioni delle corde vocali Se vibrano: suono sonoro; Se non vibrano: suono sordo Classi di suoni → i suoni possono essere classificati in tre classi maggiori: - consonanti - vocali - semiconsonanti o approssimanti La distinzione tra le consonanti e le vocali si fonda su un fatto articolatorio. Vocali → nella loro produzione, l’aria fuoriesce liberamente e non incontra ostacoli; sono inoltre normalmente sempre sonore; la cavità orale è massimamente aperta per [a] e massimamente chiusa per [i] o [u]. Consonanti → nella loro produzione, l’aria o viene momentaneamente bloccata, come nel caso di [b], o deve attraversare una fessura molto stretta, come nel caso di [f]; possono essere sia sorde che sonore. Le semiconsonanti condividono proprietà sia delle vocali (la loro articolazione), sia delle consonanti (non possono costituire il nucleo di una sillaba) - Vocali, semiconsonanti, liquide e nasali formano la classe delle sonoranti → sono tutte sonore e il flusso d’aria necessario per produrle fuoriesce dalla cavità orale liberamente - Tutti i suoni non sonoranti si chiamano ostruenti → il flusso d’aria necessario per produrle incontra ostacoli di varia natura I suoni dell’italiano - i suoni tra parentesi sono ‘variabili combinatorie’ - se in una casella ci sono due suoni, quello a sinistra è sordo, quello a destra sonoro - se in una casella c’è un solo suono, è sonoro Le vocali alte e medio alte sono dette chiuse o semichiuse Le vocali basse e medio basse sono dette semiaperte o aperte Combinazioni di suoni → le consonanti possono combinarsi insieme e formare dei nessi consonantici che sono però soggetti a restrizioni Per esempio: [pr], [tr], [fr] sono nessi consonantici possibili in italiano (prendere, treno, francese), ma [fts], [gv] no. Vi è inoltre differenza tra combinazioni possibili in posizione iniziale di parola e in posizione interna di parola Per esempio: [p+r] è una combinazione possibile sia in posizione iniziale (prendi) che in posizione interna (apri); [r+p] è possibile in posizione interna di parola (arpa). In italiano se una parola inizia con tre consonanti, la prima deve essere una [s]: strano, sbrodolarsi La combinazione di vocali e approssimanti in una medesima sillaba dà luogo ai dittonghi che possono essere ascendenti (approssimante seguita da vocale accentata → fienile, piacere, questo, quasi) o discendenti (vocale accentata seguita da un’altra vocale → ai, noi, cauto, euro) Esistono anche i trittonghi come ad esempio miei. Le combinazioni di due vocali appartenenti a sillabe diverse danno luogo ad uno iato (follia, idea, beato) Suoni e grafia → In italiano si possono rilevare diverse incoerenze del sistema grafico: 1. due simboli diversi per un solo suono → cuore/quando [k] 2. due suoni diversi scritti con lo stesso simbolo → sera/rosa [s] - [z] ; razza/mezzo [ts] - [dz] ; cera/cara [ʧ] - [k] 3. due simboli per un solo suono (1c) e tre simboli per un solo suono (2c) 1c. legno gn per [ɲ] - esci sc per [ʃ] - egli gl per [ʎ] - che ch per [k] - maghe gh per [g] - mangia gi per [ʤ] - mancia ci per [ʧ] 2c. aglio gli per [ʎ] - sciocco sci per [ʃ] Di seguito, lo schema delle diverse incoerente grafiche (riferimento a pag. 84 del manuale) Trascrizione fonetica → I suoni possono essere semplici [t, d, k, tf, dz], o geminati [tt, dd, kk, dzdz] → si noti che la lunghezza delle affricate può anche essere resa raddoppiando solo il primo simbolo, come per esempio [ddz]; la lunghezza (anche vocalica) si indica con un segno diacritico simile ai due punti e dunque gli stessi suoni possono essere trascritti come [t:, d:, k:, d:z] Il simbolo IPA per l'accento è ['] e si colloca prima della sillaba accentata, e dunque parole come casa, lampione, intimità si trascriveranno nel modo seguente: ['kaza], [lam'pjone], [intimi'ta]. Sui monosillabi l'accento può non essere segnato ([ma], [se]). Si ricordi infine che in IPA non esistono maiuscole e dunque Carlotta, Genoveffa e Asdrubale si trascriveranno come [kar'lot:a), [dzeno' vef:a] e [az'drubale]; dato che non si segnano nemmeno gli apostrofi l'amico si trascriverà [la' miko]. Esempio di un sonetto di Dante Confini Nelle trascrizioni può essere importante indicare vari tipi di confine: sillaba, morfema e parola. Mentre le nozioni di sillaba e di parola sono nozioni con un ampio contenuto intuitivo (pe, lu, stra, spin sono sillabe e ieri, ottobre, virtù sono parole), il morfema è una unità che si ricava attraverso analisi specifiche → è l'unità più piccola dotata di significato in una lingua e dunque parole come veloce-mente, bar-ista sono costituite da due morfemi, mentre in-abil-ità, in-civil-mente sono costituite da tre morfemi. → Il confine di sillaba viene di norma rappresentato con un punto (.) Dunque alcune delle parole italiane citate hanno la seguente divisione in sillabe: 1. ie.ri, ot.to.bre, vir.tù, ve.lo.ce.men.te, i.na.bi.li.tà → Il confine di morfema è rappresentato con il simbolo (+). La divisione in morfemi non coincide, come si vede, con quella in sillabe: 2. ieri, ottobre, virtù, veloce+mente, bar+ista, in+abil+ità → Il confine di parola, rappresentato con il simbolo (#), marca l'inizio e la fine della parola: 3. #ieri# , #ottobre#, #virtù#, #velocemente#, #barista#, #inabilità# Abitualmente si segna solo il confine che interessa la discussione in corso, ma nulla impedisce che si marchino contemporaneamente due o più confini: 4. 1 #ot.to.bre# 2 #bar+ista# In 1 sottolinea che si tratta di una parola costituita da tre sillabe, in 2 che si tratta di una parola costituita da due morfemi. I confini servono anche per la formulazione delle regole fonologiche. Fonetica e fonologia → la fonetica si occupa dell’aspetto fisico dei suoni e la sua unità di studio è il fono → la fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni e la sua unità di studio è il fonema FONOLOGIA (riferimento alla pag. 87 del manuale) Cerca di scoprire: 1) quali sono i fonemi di una data lingua; se cioè a una differenza di suono corrisponde una differenza di significato Per esempio → in (a) alla differenza di suono [I]-[r] corrisponde una differenza di significato, nel secondo caso, (b), alla differenza di suono [r]-[R] non corrisponde una differenza di significato a. [kalo] - [karo] b. [karo] - [kaRo] 2) come i suoni si combinano insieme in italiano ci sono suoni come [t] e [r], ma mentre alcune combinazioni di questi suoni sono ammesse (a), altre non lo sono (b): a. [tr], [rt] b. *[ʃr], *[ʃt] 3) come i suoni si modificano in combinazione - rema - [R]ema La [r] alveolare e la [R] uvulare in italiano possono essere suoni intercambiabili, però lo scambio non dà luogo a due parole con significato diverso. I due suoni non sono due fonemi diversi ma due varianti (libere) di un solo fonema. Terza regola «Quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi sono due varianti combinatorie dello stesso fonema». - naso - ancora ['nazo] - ['aŋkora] La [n] alveolare di naso e la [ŋ] velare di ancora non possono ricorrere nelle medesime posizioni (la [ŋ] velare si trova solo e soltanto prima di consonante velare e la nasale alveolare mai davanti a consonante velare) e dunque non sono due fonemi diversi ma varianti (combinatorie) dello stesso fonema. La linguistica statunitense ha utilizzato invece le nozioni di distribuzione contrastiva e distribuzione complementare → Se due foni possono comparire nello stesso contesto dando però luogo a due parole di senso diverso, allora questi due foni sono in distribuzione contrastiva e sono realizzazioni di due fonemi diversi (in ambito fonologico, possono quindi produrre una opposizione e una coppia minima) Esempio: in italiano, /t/ e /p/ sono in distribuzione contrastiva, infatti possono distinguere significati (ossia hanno valore contrastivo) in parole come /ˈtatto/ tatto e /ˈpatto/ patto. → Se due foni non possono mai ricorrere nello stesso contesto, ma il fono X ricorre in una certa serie di contesti ed il fono Y ricorre in un'altra serie di contesti, allora i foni sono in distribuzione complementare → se questi due foni sono foneticamente simili, rappresentano due allofoni dello stesso fonema. Esempio: in italiano, i foni nasali [n], [ŋ] [ɱ] e [m] in posizione anteconsonantica sono allofoni dello stesso fonema /n/, poiché si trovano in distribuzione complementare. Il fono [n] (e solo [n]) si trova sempre davanti a dentale (Giandomenico [dʒando'meniko]), mentre davanti a velari si potrà avere solo il fono [ŋ] (Gianguido [dʒaŋ'gwido]), davanti a labiodentali solo [ɱ] (Gianfranco [dʒaɱ'fraŋko]) e davanti a bilabiali solo [m] (Giampiero [dʒam'pjɛro]). Allofoni → è una realizzazione fonetica (o fono) che in una determinata lingua non ha carattere distintivo, ma si trova a essere in distribuzione complementare con gli altri allofoni dello stesso fonema. Sinonimo di "allofono" sono "variante combinatoria" e "variante di posizione". → in italiano un esempio lampante è rappresentato dal fonema /n/, che possiede ben quattro allofoni. Se si considerano, per esempio, le parole naso, conca e anfibio, in ognuna di esse il fonema /n/ è realizzato in realtà utilizzando foni diversi. Il primo è effettivamente [n] (nasale alveolare), mentre gli altri sono realizzati rispettivamente , [ŋ] (nasale velare), [ɱ] (nasale labiodentale). Tabella riassuntiva su come si possono realizzare due suoni (foneticamente simili) Tratti distintivi → Ogni elemento linguistico si differenzia dagli altri per una serie di scelte binarie di tipo sì/no (+, -) Consonanti Vocali Regole fonologiche (riferimento a pag. 96 del manuale) → Una regola fonologica collega una rappresentazione astratta (fonematica) a una rappresentazione concreta (fonetica) → è un’istruzione a cambiare una data unità con un’altra unità in un determinato contesto Il formato tipico delle regole fonologiche è: A → B / ___C («A» diventa «B» nel contesto C») Fenomeni fonologici → fenomeni di cambiamento a cui possono essere soggetti i fonemi delle lingue per motivazioni di carattere combinatorio e contestuale. Ogni parlante ha memorizzato un lessico, in cui le parole sono memorizzate con un certa rappresentazione fonologica, detta rappresentazione soggiacente, perché da questa rappresentazione derivano le realizzazioni concrete. Fra rappresentazione soggiacente e realizzazione concreta intervengono delle condizioni e delle regole che condizionano e descrivono la loro relazione. La rappresentazione fonologica soggiacente può quindi subire fenomeni di cambiamento, che per l'appunto saranno per lo più il risultato dell'interazione articolatoria nella catena del parlato, oppure derivati dalla struttura fonologica, dall'interazione fra i sistemi della lingua, cioè fra i livelli di analisi: in particolare l'interazione tra fonologia e morfologia. Alcuni fenomeni infatti possono essere visti e studiati dai due punti di vista, che sono così interrelati che, spesso, si è creato un punto di vista detto 'morfo-fonologico (o morfofonemico). → Una parola come 'elettrico' ha una rappresentazione soggiacente /e'lettriko/. Togliamo la /o/ finale che rappresenta un'unità di tipo grammaticale con il valore di numero 'singolare'. Resta /e'lettrik-/. A questa base si può aggiungere un'altra unità grammaticale con la quale formare una nuova parola. Tali unità si denominano 'suffissi'. Aggiungiamo il suffisso -ità, la cui rappresentazione fonologica è /-i'ta/. L'unione /e'lettrik+i'ta/ produce it. 'elettricità'. Foneticamente 'elettricità' è ca. [elettriʧi'ta]. La base /e'lettrik/ ha perso l'accento e la [k] finale si è mutata in [ʧ]. - Si badi che [ʧ] e [k] sono entrambi fonemi dell'italiano. Infatti il pronome interrogativo 'chi' ([ki]) differisce dal pronome 'ci' ([ʧi]) per il fonema iniziale, così come le parole 'cina' e 'china' (fate la trascr. fonetica). Abbiamo visto però esempi più immediati, come quello del fonema /s/ in it., che ha una realizzazione [+son], cioè sonora, se precede una consonante [+son], sorda invece [-son], se precede una consonante [-son]. Quest'ultimo è un caso più facile da capire in quanto non è condizionato dall'incontro di morfemi diversi → il caso di «rebus difficile»: tale espressione di solito è pronunciata in una catena fonetica continua, ['rebusdif'fiʧile], dove la /s/ è immediatamente seguita da una consonante [+son], ma non diventa [z]. Dobbiamo quindi rappresentare il confine morfemico di parola: useremo il segno '#', ['rebus#dif'fiʧile]. */> a) se si tratta di un gruppo che ricorre anche all’inizio di una parola italiana, tut to il gruppo fa parte della stessa sillaba (ne costituisce l’attacco), insieme con la vocale successiva: a-pri-le, co-pri-re (come pri-ma); o-spi-te (come spi-na); a-spro, a-stro (come spre-co, stra-no); b) se il gruppo nell’insieme non ricorre all’inizio di una parola italiana, le conso nanti vengono divise tra le due sillabe: on-da, ar-co, cam-po, en-tro, tec-ni-ca, ab-di-ca-re, ecc. (dato che non esistono nella nostra lingua parole che cominciano con nd-, re-, ecc.); - le consonanti o i gruppi di consonanti in fine di parola (ciò capita con le parole prese in prestito da altre lingue) fanno sillaba con la vocale precedente: sport è parola di una sillaba; stan-dard, re-cord sono di due sillabe; - ovviamente i digrammi e trigrammi (eh, gh, gn, gli, ecc.) non si dividono mai tra sillabe diverse. Infine si nota: - le sillabe che finiscono in vocale (e cioè non hanno la coda) si dicono aperte (o libere), quelle che finisco no in consonante (e cioè hanno la coda) si dicono chiuse (o implicate); - le parole di una sola sillaba (anche se di una sola vocale) si chiamano monosil labi (dal greco mònos ‘unico’); quelle di più sillabe, polisillabi (dal greco polys ‘mol to’), ma queste poi si dividono in bisillabi, trisillabi, quadrisillabi, ecc. Fatti soprasegmentali → La parola [kane] è costituita da quattro segmenti (o fonemi) → /k/ /a/ /n/ /e/ → la fonologia basata sui segmenti è di tipo segmentale Vi sono però fenomeni fonologici che non possono essere attribuiti ad un segmento o che lo oltrepassano → soprasegmentali, ovvero lunghezza, accento, intonazione e tono Lunghezza → relativa alla durata temporale con cui vengono realizzati i suoni In certe lingue la lunghezza ha valore distintivo: → In italiano, la lunghezza vocalica non è distintiva - non ci sono due parole con significati diversi che si differenziano solo per la presenza di una vocale lunga o breve → In italiano, la lunghezza consonantica è distintiva: fato ~ fatto, pale ~ palle, pena ~ penna, caro ~ carro Accento → proprietà delle sillabe e non dei singoli segmenti - può essere contrastivo, come in italiano: ['aŋkora] / [aŋ'kora] ['kapito] / [ka'pito] / [kapi'to] ['kapitano] / [kapi'tano] / [kapita'no] Pur essendo un fenomeno soprasegmentale, possiamo considerare l’accento come un «fonema» speciale - una parola può avere più accenti → in capostazione vi è un accento primario sulla o di stazione e un accento secondario sulla a di capo Intonazione → l’altezza dei suoni non è uniforme. Ci sono «picchi» e «avvallamenti» che producono un effetto sonoro chiamato intonazione - è chiamata anche melodia, curva melodica o contorno intonativo L’intonazione ha grande rilevanza sintattica in italiano: frasi dichiarative Piermarco diverte gli amici con le sue storie incredibili → (curva melodica con andamento finale discendente) frasi interrogative Diverte gli amici con le sue storie incredibili Piermarco? Piermarco [pausa] diverte gli amici con le sue storie incredibili? → (curva melodica con andamento finale ascendente) Tono → Una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse - In italiano a queste differenti pronunce non corrisponde un cambiamento di significato Vi sono lingue invece dove la differenza di «altezza» di pronuncia corrispondono variazioni di significato (sono le lingue tonali) - In cinese mandarino, nonchè lingua tonale o a toni, una sillaba può essere realizzata con quattro toni diversi e a ogni tono può corrispondere un significato diverso La struttura delle parole - Morfologia Lo studio delle parole e delle varie forme che la parola può assumere è la morfologia. Le parole possono essere - semplici, non hanno struttura interna [capo] - complesse → parole derivate (prefissate [ex-capo]. o suffissate [capetto]) o parole composte [capostazione] che hanno struttura interna Sia le parole semplici che le parole complesse sono flesse (per genere, numero…) La nozione di parola → le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei parlanti, ma ciò che conta come “parola” in una lingua, non è detto che valga anche per le altre lingue Esempio → nel confronto italiano - latino si osserva che a due parole dell’italiano corrisponde sempre una sola parola del latino italiano latino il ragazzo puer ha dato dedit una rosa rosam Un criterio operativo abbastanza efficace è considerare “parola” quelle unità al cui interno non si può inserire dell’altro materiale linguistico Esempio → l’espressione italiana tu senti e in latino sentis sono rispettivamente costituite da una parola in latino e due in italiano e in quest’ultima si può inserire del materiale linguistico (tu lo senti, tu oggi non senti), mentre non si può inserire alcunché all’interno di quella latina. Tema, radice e forma di citazione → il verbo amare è una forma di citazione, chiamata anche lemma, che sono poste nelle entrate del dizionario italiano. Tale forma è la rappresentante di tutte le forme flesse che il verbo amare può avere (amo, ama, amate, amavamo, amasti, amando, ecc.). Per l’italiano: - la forma di citazione del verbo è quella dell’infinito (amare) - la forma di citazione del nome è il maschile/femminile singolare (viso/favola e non visi/favole) - la forma di citazione dell’aggettivo è sempre il maschile singolare (per gli aggettivi a quattro uscite) o la forma unica di maschile/femminile per gli aggettivi a due uscite (bello, felice e non bella, belli, belle o felici) La differenza tra un dizionario e un testo è che in quest’ultimo compaiono forme flesse (vedemmo i primi capolavori degli impressionisti), mentre per il primo compaiono forme di citazioni o lemmi (vedere, il, primo, capolavoro, degli, impressionisti) → l’operazione che riporta una forma flessa al suo lemma è detta lemmatizzazione (amavo → amare, avremmo cucinato → cucinare, scaffali → scaffale, famose → famose) Per il verbo, bisogna distinguere tra tema e radice tema forma di citazione radice vocale tematica amare am a temere tem e sentire sent i Classi di parole → le parole di una lingua sono state raggruppate in parti del discorso o categorie lessicali Le parti del discorso sono il nome, il verbo, l’aggettivo, il pronome, l’articolo, la preposizione, l’avverbio, la congiunzione, l’interiezione ● Le classi di parole variabili → i nomi, i verbi, gli aggettivi, gli articoli e i pronomi ● Le classi di parole invariabili → gli avverbi, le preposizioni, le congiunzioni, e le interiezioni ● Le classi di parole aperte → quelle a cui si possono sempre aggiungere nuovi membri: nomi, verbi, aggettivi, avverbi ● Le classi di parole chiuse → quelle formate da un numero finito di membri che non può essere aumentato: articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni Queste tre realizzazioni sono condizionate dal contesto, ovvero il seguente: Caso di allomorfia in italiano la distribuzione dell’articolo maschile, il e lo - i e gli: -prima di vocale -prima di s+Cons -prima del suono ‘sc’ in sciocchi -prima della ‘gn’ in gnomi Flessione, derivazione, composizione → processi morfologici più comuni Derivazione → raggruppa tre processi e consta dell’aggiunta di una forma legata (affisso) ad una forma libera - se l’affisso si aggiunge a sinistra della parola, allora l’affisso sarà prefisso e il processo si chiamerà prefissazione (marito → ex-marito) - se l’affisso si aggiunge a destra della parola, allora l’affisso sarà suffisso e il processo si chiamerà suffissazione (dolce → dolcemente) - se l’affisso si aggiunge nel mezzo della parola, allora l’affisso sarà un infisso e il processo si chiamerà infissazione (kuhbil → kuhkabil : ‘coltello’ → ‘del coltello’) I suffissi dell’italiano → suffissi deverbali: suffissi che formano nomi da verbi, definiti nomi d’azione o deverbali astratti che in certi casi si concretizzano diventando nomi risultato nomi deverbali astratti nomi risultato -zione ammirazione, inibizione costruzione -ata camminata aranciata -ura andatura frittura -mento giuramento arredamento → suffissi che formano nomi agentivi e a volte strumentali agentivi strumentali -aio giornalaio -ista giornalista -tore colonizzatore contatore -ino postino colino → suffissi valutativi, formati dai diminutivi, accrescitivi, peggiorativi, vezzeggiativi… -ino; -one; -accio; -otto; -ucolo; -astro; ecc. | prefissi dell’italiano (41) a-/an- ante- anti-! anti? arci- auto- avan- circum- cis- 1+++++++ 2 VI+++t+t+t+++tt+t++++t+1+++1+++1++4+1 + 1++++++! ++++++ VLFPP+P+++1+1+[+t+t+t+t1+t+t+t+++ db I + ++++++++4+1 1++++t+t+t+t+t+tt+t+t/! + V. Pre+N Pre+A Pre+V - asimmetria a-politico + anteguerra antelucano — anteporre - antitarlo antigovernativo . + anticamera antidatato antivedere — arcivescovo arcinoto — . + autobiografia autosufficiente autoconvincersi - avanguardia 4 i % circumterrestre circumnavigare La cisalpino . + coinquilino coassiale coabitare + condirettore connazionale convivere + controcanto controfattuale controbattere di deumidificare + disarmonia disabile disfare — exmoglie / - extrasistole extralucido di immettere — . inesperienza incapace — infrastruttura infrarosso + interregno internazionale intercorrere A intramolecolare intraprendere + ipermercato iperattivo ipernutrire + ipoalimentazione. ipocalorico iponutrirsi — macroeconomia - maxischermo — megaconcerto — metalinguaggio —metagiuridico - microclima — miniappartamento - multistrato multidimensionale - neofenpazione neoclassico + oltretomba oltremarino oltrepassare - paleografia paleocristiano — parastato paramilitare - plurilingue — Pluricentrico - poliambulatorio policentrico + postmoderno postdatare + preguerra prematrimoniale prevedere - proaborto proamericano + ridiscutere + retrobottega retroattivo retrodatare + sblocco . sfortunato sbalzare — semicerchio semideserto + sopraddote sopraesposto sopraeccitare + sovraccarico sovrastrutturale sovrapporre + sottocommissione sottostimato sottoutilizzare * stragrande stravedere + subappalto subalpino subaffittare + superburocrate supermodesto supervisionare + survoltaggio surreale surriscaldare + transcodifica transalpino transfondere - ultrasuono ultravioletto viceré Composti dell’italiano Testa in composizione → Normalmente, un composto ha la stessa categoria lessicale e tratti di sottocategoria di uno dei suoi costituenti: diremo che questo costituente è la TESTA del composto Test «È UN»: - camposanto «È UN» Nome perché campo è Nome (categoria) - camposanto «È UN» tipo di campo, non un tipo di santo (semantica) In alcune lingue la testa dei composti può essere identificata «posizionalmente» In inglese la testa è «a destra» A + N = N black-board lett. ‘nera asse, lavagna’ P + N = N overdose ‘overdose’ V + N = N rattlesnake ‘serpente a sonagli’ N + A = A honey-sweet ‘dolce come il miele’ In italiano la situazione è più complessa: N + N pescecane testa a sinistra N + A camposanto testa a sinistra A + N gentiluomo testa a destra N + N terremoto testa a destra N + N scuolabus testa a destra Ma sincronicamente i composti italiani hanno di norma la testa a sinistra Classificazione dei composti (schematizzato) Composti subordinati → la relazione grammaticale tra i due costituenti è che uno è l’oggetto dell’altro (es: portalettere) Composti coordinati → la relazione grammaticale tra i due costituenti è di coordinazione (es: sordomuto) Composti attributivi → la relazione grammaticale tra i due costituenti è che uno è attributo dell’altro (es: cassaforte, pellerossa, viaggio lampo) - Ciascuno di questi può essere endocentrico o esocentrico I composti che hanno una testa sono endocentrici, ma non tutti i composti ce l’hanno (composti esocentrici): - [[dormi]V+[veglia]V]N - [[porta]V+[lettere]N]N - [[senza]P+[tetto]N]N - [[pelle]N+[rossa]A]N I composti di coordinazione sono formati da due costituenti possibili teste, sia categorialmente sia semanticamente - [[cassa]N+[panca]N]N - [[agro]A+[dolce]A]A Altri tipi di composti Composti neoclassici → formati da due forme legate di origine per lo più greca o latina (es: logopedista, parricida, fonologia) Spesso chiamati confissi →composti molto produttivi e inclini a formare parole nuove (parole con suffisso –logo) Composti incorporanti → derivano da un sintagma costituito da un verbo seguito da SN sogg, il nome incorporato è oggetto del verbo → horseride “andare a cavallo”, babysit “fare la babysitter” Composti sintagmatici → es: a [pipe and slipper] husband, an [ate too much] headache, a [floor of birdcage] taste Composti reduplicati → fuggifuggi, leccalecca Composti troncati → composti formati per troncamento del primo costituente → es italiano: confcommercio, confindustria Flessione → aggiunge alla parola di base informazioni relative a genere, numero, caso, tempo, modo, diatesi, persona → la morfologia dà luogo a forme flesse di parola che esprimono oltre che un significato lessicale, anche uno o più significati grammaticali → è realizzata tramite morfemi legati che si aggiungono a basi che necessitano di determinati marche grammaticali per esempio: Morfologia come ‘processo’ → una categoria lessicale, per esempio un verbo, può o nascere come tale, oppure può diventare verbo attraverso vari processi: Esistono quindi diverse modalità che possono portare alla categoria verbo: questo è l’aspetto dinamico della morfologia. Per esempio → la parola indubitabilmente è stata costruita attraverso una serie di processi, ognuno dei quali ha portato ad una categoria: Verbo → Aggettivo → Aggettivo → Avverbio Linguistica - Capitoli n. 7,8,10, 11 Capitolo 7, La combinazione delle parole: sintassi La sintassi studia i principi in base ai quali le parole delle varie lingue possono combinarsi in certi modi e non in altri. Tali combinazioni possono essere frasi oppure gruppi di parole di tipo non frasale. Le combinazioni possono essere ben formate oppure no indipendentemente dal senso delle parole stesse, ma dire ‘frase’ o ‘combinazione di parole’ non è la stessa cosa, perché esistono sia combinazioni di parole che comprendono più frasi (discorsi o testi), sia che comprendono più frasi (gruppi di parole o sintagmi). La valenza→ i verbi hanno bisogno di essere accompagnati da un numero determinato di altri elementi perché la frase sia ben formata, quindi hanno una valenza verbale. Gli elementi che sono richiesti obbligatoriamente dai vari verbi sono detti argomenti. verbi avalenti (o zero valenti): verbi che non sono accompagnati da alcun argomento (a questa classe appartengono verbi meteorologici come piovere) verbi monovalenti: sono i tradizionali verbi intransitivi come camminare, parlare, morire, arrivare, partire (Gianni parla→ Gianni è l’unico argomento) verbi bivalenti: sono i tradizionali verbi transitivi come catturare, compiere, favorire, lanciare, piantare verbi trivalenti: sono verbi cosiddetti ‘di dire’ e ‘di dare’ Vi sono elementi facoltativi detti circostanziali che si distinguono dall’argomento non solo dalla loro non obbligatorietà, ma per una maggiore mobilità posizionale: infatti possono presentarsi in posizioni diverse all’interno della frase senza che quest'ultima divenga agrammaticale. In una frase italiana sono presenti: il verbo, il numero di argomenti che esso richiede in base alla sua valenza, e uno o più circostanziali. I gruppi di parole (o sintagmi)→ La funzione di argomento o di circostanza può essere svolta indifferentemente da una parola sola o da un gruppo di parole. Esistono criteri che permettono di individuare questi gruppi di parole. - movimento: le parole che fanno parte di uno stesso gruppo si spostano insieme all'interno della frase→ per esempio nella frase: “a mezzanotte il poliziotto catturò il ladro”, "a mezzanotte" è un gruppo di parole e non posso dire: "*Mezzanotte, il poliziotto catturò il ladro a" - enunciabilità in isolamento: dato un contesto opportuno, le parole che formano il gruppo possono essere pronunciate da sole→ per esempio, nella domanda "Chi ha catturato il ladro?", una risposta grammaticale è "il poliziotto". - coordinabilità: parte dal presupposto che le parole appartengono a classi diverse e che quindi non tutte le parole di qualunque classe sono intercambiabili l'una con l'altra→ per esempio non posso dire " *a mezzanotte e il poliziotto catturò il ladro". "a mezzanotte " e "il poliziotto" non sono coordinabili perché appartengono a due tipi diversi di gruppi di parole. "A mezzanotte" è costruito intorno ad una proposizione "a", mentre "il poliziotto" è costruito intorno a un nome, "poliziotto"→ l'elemento che svolge la funzione di "a" in "a mezzanotte" e di "poliziotto" in "il poliziotto" è chiamato testa del gruppo di parole. I gruppi come "a mezzanotte", visto che la loro testa è una preposizione, sono detti sintagmi preposizionali (sigla: SP) e i gruppi come "il poliziotto", visto che lo loro testa è un nome, sono chiamati sintagmi nominali (sigla: SN). Altri tipi di sintagmi sono: - sintagmi verbali (sigla: SV)→ esempio: "legge il giornale" - sintagmi aggettivali (sigla: SA)→ esempio: "molto buono". La struttura interna dei sintagmi è rappresentata con i diagrammi ad albero chiamati anche indicatori sintagmatici: Art. = articolo, N = nome, V = verbo, P = preposizione Questi diagrammi sono utili per rappresentare la struttura gerarchica delle frasi. Si può usare anche la rappresentazione detta a parentesi etichettate. Quindi posso rappresentare→ [SV [V catturò V] [SN [Art.il Art.] [N ladro N] SN] SV] La rappresentazione della struttura sintagmatica permette di disambiguare strutture ambigue. I sintagmi sono i costituenti della frase, che possono essere costituiti da altri sintagmi, fino alle singole parole, che sono i costituenti ultimi della sintassi. I sintagmi più semplici sono quelli costituiti dalla sola testa, che è l'unico elemento la cui presenza è necessaria. Dal punto di vista della struttura sintagmatica, due frasi come "Gianni passeggia" e "il figlio di mio cugino attraversa la strada con calma" sono perfettamente identiche perché entrambe costituite da un sintagma nominale e da un sintagma verbale. Gli indicatori sintagmatici e lo schema X-barra 1) "Gianni legge questi libri" 2) "La lettura di questi libri migliora la mente" In 2) SN è molto più complesso di quello in 1). I SV, invece, sono costituiti in modo analogo, cioè da un V e da un SN. In generale quando il verbo è bivalente è la testa di un SV che contiene almeno un SN, che possiamo chiamare complemento oggetto. Il soggetto di 2) è un SN che contiene un altro SN e un SP, che è costituito dalla preposizione "di" e da un altro SN. - L' SN "questi libri" è lo stesso che funge da complemento oggetto nel SV di 1). - SN "questi libri" è il complemento del N "lettura" in 2) come è il complemento del V "leggere" in 1) Questa è un'importante analogia tra la struttura dei SV e quella dei SN, la cui testa è un nome, come "lettura", derivato da un verbo, come "leggere". Tuttavia in 2) non si riesce a rappresentare bene il fatto che "questi libri" è il complemento di "lettura", allo stesso modo in cui "questi libri" è complemento di "legge" in 1). Il complemento è presente in tutti e quattro i tipi di sintagmi che abbiamo esaminato: SN, SV, SP, SA. - Dipendenza: le frasi possono essere principali o dipendenti - Modalità: le frasi possono essere dichiarative, interrogative, imperative ed esclamative. La distinzione è di tipo puramente sintattico e può non coincidere con il valore semantico o pragmatico. Ci sono due tipi fondamentali di frase interrogativa: -Le interrogative "si-no" che richiedono solo una risposta si o no -le interrogative wh-, la cui sigla è ricavata dalle lettere iniziali dei pronomi interrogativi dell'inglese; queste ultime richiedono di specificare una determinata persona, cosa…→ per esempio: chi è partito? - Il punto di vista della polarità distingue le frasi affermative delle frasi negative. - Il punto di vista della diatesi distingue invece frasi attive delle frasi passive. - Il punto di vista della segmentazione oppone due tipi di frasi come le seguenti: 1) non avevo mai letto questo libro 2) questo libro, non l'avevo mai letto L'elemento "questo libro" (2) è collocato nella prima posizione ed è separato dal resto della frase con una pausa. La seconda frase è dunque divisa in due segmenti→ questo caso è un esempio di frase segmentata detta dislocata a sinistra. Un altro tipo di frase segmentata è per esempio: "Gianni ho visto ieri, non Paolo". Questa è una frase focalizzata, perché la parola Gianni è pronunciata con un innalzamento di tono. Ci sono poi le frasi a tema sospeso, dislocate a destra e scisse. La caratteristica delle frasi segmentate è che un determinato sintagma si trova in una posizione messa in rilievo rispetto agli altri. Ovviamente una frase non è solo dichiarativa, o solo principale, o solo affermativa... ma appartiene ad un determinato tipo per ciascuno dei vari punti di vista. Per ciascuno dei punti di vista discussi ora esiste una corrispondenza sistematica tra frasi di un determinato tipo e frasi di un determinato altro: per esempio alla dichiarativa corrisponde un interrogativa sì-no, che differisce dalla dichiarativa soltanto per l'intonazione→ a questo tipo di corrispondenza sistematica tra frasi di tipo diverso si dà il nome di trasformazioni. Le corrispondenze tra frasi attive e frasi passive sono che: - il complemento oggetto della frase attiva è il soggetto alla corrispondente passiva - il soggetto della frase attiva non deve essere espresso obbligatoriamente nella fase passiva e, se è espresso, assume sempre la forma di un sintagma preposizionale la cui testa è "da". Nelle frasi interrogative wh-, un argomento del verbo non compare nella stessa posizione della dichiarativa corrispondente, ma all'inizio della frase. Se una frase interrogativa è complessa ha l'effetto che un argomento può trovarsi in una frase semplice diversa da quella in cui si trova il verbo a cui è collegato. 1) Mario ha comprato il giornale→ La prima frase è semplice e se vogliamo porre una domanda su che cosa ha comprato Mario avremo l'interrogativa wh-: "cosa ha comprato Mario?" in cui il secondo argomento del verbo "comprare" è rappresentato dal pronome interrogativo "cosa". 2) Gianni mi ha detto che Mario ha comprato il giornale→ La seconda invece è una frase complessa e la frase interrogativa corrispondente è: "cosa ha detto Gianni che Mario ha comprato?"→ Qui il verbo “comprare” si trova nella frase dipendente Non c'è limite alla distanza, alla quale si possono trovare il pronome interrogativo e il verbo cui esso è collegato nella interrogativa wh-. Si possono creare frasi come: "cosa ha detto Gianni che Pietro crede che Mario abbia comprato?"→ Frasi come questa però difficilmente ricorreranno nell'esecuzione, ma appartengono alla competenza dei parlanti italiani. Queste frasi sono costruibili in base al meccanismo della ricorsività. Secondo Chomsky, ad un determinato livello, quello astratto, i vari sintagmi si troverebbero in determinate posizioni e, successivamente, si muoverebbero nella posizione in cui concretamente li percepiamo. Si parla di movimento e di livello di rappresentazione. Nella frase seguente il simbolo "t" indica la posizione di "cosa", prima di tale spostamento e l'indice "i" sottoscritto a "cosa" e a "t" indica che i due elementi sono collegati l'uno all'altro: cosai ha detto Gianni e Pietro crede che Mario abbia comprato ti? Il movimento appare limitato, nel senso che può trovare degli ostacoli lungo il suo percorso. Per esempio considerando due frasi come: - Pietro crede che invaderanno quel paese - Pietro ha l'opinione che invaderanno quel paese Le frasi interrogative wh- corrispondenti sono: - quale paesei Pietro crede che invaderanno ti? - *quale paesei Pietro ha l'opinione che invaderanno ti? La seconda frase è agrammaticale. Il nome "opinione", al contrario del verbo "credere", blocca il movimento del sintagma "quel paese" dalla sua posizione nel livello astratto a quella nel livello concreto. Se ci troviamo di fronte a frasi dipendenti, che rappresentano degli argomenti del verbo della frase principale, parliamo di frasi dipendenti argomentali. Esistono però, oltre agli argomenti, i circostanziali, quindi avremo anche frasi dipendenti circostanziali. Esistono alcuni tipi di frasi circostanziale: temporale→ esempio: quando Gianni è arrivato, Maria era già partita da un pezzo; causale, finale, consecutiva, condizionale, concessiva e comparativa. I circostanziali sono facoltativi. Vediamo ora di esaminare i tipi possibili di frasi argomentati: - frasi come "che Paolo abbia mentito" sono chiamate oggettive o completive. Esistono anche alcuni tipi di nomi che possono avere degli argomenti, per esempio nomi come “fatto”, “idea” in frasi come "il fatto che i soldati si siano comportati così..." La frase posta in corsivo è una frase completiva nominale. - Frasi come "che la terra giri intorno al sole" in frasi come " che la terra giri intorno al sole è noto da molto tempo" sono dette frasi soggettive. - un ultimo tipo di frasi dipendenti argomentali è costituito dalle cosiddette interrogative indirette: "Gianni non sa chi partirà domani" Oltre alle dipendenti argomentali e circostanziali esistono le frasi relative, che possono essere restrittive→ esempio: gli studenti che non si sono iscritti all'appello non possono sostenere l'esame; appositive→ esempio: Gianni, che non si è iscritto all'appello, non può sostenere l'esame. Nel primo caso, infatti, si indica solo il sottoinsieme di quelli che non si sono iscritti; nel secondo si aggiungono alcune informazioni sul conto di Gianni. Spesso, è difficile distinguere tra relative e completive nominali→ Per identificare la distinzione, si fanno considerazioni derivanti dalla teoria della valenza: una frase relativa si distingue da una completiva nominale, perché l'elemento che la introduce svolge anche la funzione di argomento del verbo della frase relativa stessa. Le frasi poi possono anche essere esplicite o implicite: le esplicite sono le frasi dipendenti che contengono un verbo di modo finito; le implicite sono quelle che contengono un verbo di modo non finito. Per molto tempo si è pensato che la frase fosse una categoria priva di testa, o esocentrica, al contrario degli altri tipi di sintagmi che sono invece dotati di testa, endocentrici. Da poco tempo si è cominciato però a proporre una struttura endocentrica anche per le frasi. Il punto di partenza è che la testa della frase sia la flessione del verbo→ ciò può sembrare strano anche perché già sappiamo che né il predicato né il soggetto possono essere la testa della frase. Tuttavia si deve distinguere il contenuto lessicale del verbo della sua flessione. Il contenuto lessicale di un verbo come passeggiare è che si tratta di un verbo monovalente che significa camminare lentamente... ed è identico per qualunque modo, tempo ecc. La flessione invece è identica per qualunque altro tipo di verbo sia esso monovalente, bivalente o trivalente. Il verbo ad un livello astratto è disgiunto dalla flessione quindi: la flessione è un morfema libero a livello astratto, mentre è un morfema legato a livello concreto! Una frase come: "Gianni passeggia" la posso rappresentare così: in 1) e 3) il nome che nel sintagma nominale era al genitivo è il soggetto, in 2) e 4) è l'oggetto diretto: nel primo caso si parla di genitivo soggettivo, nel secondo di genitivo oggettivo. Occorre distinguere tra tempo in senso cronologico [presente, passato e futuro) e tempo in senso grammaticale. Non c'è corrispondenza assoluta tra il tempo cronologico e il tempo grammaticale→ Ad esempio in “sarà pur vero quello che mi hai raccontato ma io lo ritengo incredibile”, il futuro grammaticale “sarà” non si riferisce a qualcosa che deve ancora accadere. Una frase come "Gianni è partito" contiene un'espressione di tempo, che può essere enunciata in un determinato momento cronologico: lo chiameremo momento dell'enunciazione. Il momento dell'enunciazione è sempre il presente (in senso cronologico). Al tempo stesso, la frase ci dice che un determinato evento è avvenuto in un momento diverso da quello dell'enunciazione: lo chiameremo momento dell'evento. Il momento dell'evento in " Gianni è partito" è anteriore rispetto al presente. In determinate frasi viene indicato anche un momento di riferimento diverso dal momento dell'enunciazione e da quello dell'evento. Ad esempio: - quando Gianni era già partito da tempo, Pietro finalmente arrivò il verbo della frase dipendente indica un evento anteriore al momento di riferimento, che è quello del verbo della frase principale. Il concetto di momento di riferimento permette di distinguere il futuro anteriore dal futuro semplice, perché il primo dei due tempi fa entrare in gioco un momento di riferimento. La categoria dell'aspetto ci permette di distinguere fra tre tempi del passato: l'imperfetto, il passato prossimo e il passato remoto. Si parla di aspetto imperfettivo per l'imperfetto e per il passato prossimo e remoto si parla di aspetto perfettivo, cioè compiuto. In una frase come: "l'anno scorso, Gianni scriveva un libro" io non so se il libro è stato terminato, mentre se dico "l'anno scorso, Gianni ha scritto/scrisse un libro" so che il libro è stato terminato. Il passato prossimo descrive un evento passato, i cui effetti sussistono ancora nel presente; il passato remoto descrive un evento passato che non ha più alcun rapporto con il presente → Si dice quindi che il passato prossimo è compiuto mentre il passato remoto è aoristico. Il modo è l'espressione dell'atteggiamento del parlante rispetto all'evento descritto dal verbo: per esempio l'indicativo esprime la pura e semplice constatazione di un fatto. Ci sono poi i modi non finiti: infinito, participio e gerundio. La finitezza consiste nel fatto che mentre l'indicativo, il congiuntivo e il condizionale distinguono tre persone e due numeri, questa distinzione non esiste per i modi non finiti. La scelta del modo e del tempo della frase dipendente è determinata dal verbo della frase principale. Questi fenomeni sono noti con il termine latino di consecutio temporum. Si distingue infine tra discorso diretto e discorso indiretto. Capitolo 8: semantica e pragmatica Allo studio del significato delle espressioni linguistiche, sì dal nome di semantica; allo studio del loro uso, si dà il nome di pragmatica. E’ importante la nozione di verità: comprendere il significato di una frase, è comprendere la condizione in cui essa risulta vera; comprendere il significato di una parola, è comprendere il contributo che essa dà alle condizioni di verità di una frase. Le frasi sono descrizioni di frammenti della realtà, se sono vere, mentre non descrivono nulla, se sono false. La definizione del significato, basata sulla nozione di verità, può andare bene sia per le dichiarative ma anche per le interrogative e le imperative. Ma il significato non è solo un rapporto tra linguaggio e realtà→ il primo problema è dato dalla mancanza di corrispondenza globale tra i significati delle varie lingue: ad esempio la parola inglese "wood" può significare sia "legno" che "bosco". Non esistono comunque lingue più precise di altre, ma ogni lingua si riferisce alla realtà in modo diverso! Esistono delle relazioni tra espressioni linguistiche che qualunque parlante nativo di una determinata lingua può cogliere senza alcun bisogno di far entrare in gioco il rapporto tra lingua e realtà→ Per esempio un parlante dell'italiano sa che la frase "Gianni è scapolo" equivale alla frase "Gianni non è sposato" e se si dice "Gianni è scapolo, ma è sposato" si cade in contraddizione, e tutto questo anche senza sapere se nella realtà Gianni è effettivamente sposato oppure no. L'esempio tra "scapolo" e "non sposato" è una relazione di sinonimia. Se, invece, per esempio io non sono in grado di riconoscere un airone cinerino, tuttavia posso dire con grande sicurezza una frase vera come "l'airone cinerino è un animale". La relazione tra "airone cinerino" e "animale" è di iponimia. Inoltre, io posso utilizzare le espressioni linguistiche in modo non letterale: ad esempio se un locandiere mi dice "vuole uscire?" perché mi comporto in modo maleducato, certamente se rispondo "si" dovrò anche uscire. La frase è usata in senso non letterale: ha cioè la forma di una domanda, ma è un modo sfumato di esprimere un ordine! Le lingue naturali possono usare frasi in senso letterale o non letterale: queste possibilità sono un esempio di fenomeno pragmatico. Se io dico " il gatto è un animale domestico" con la parola "gatto" mi riferisco ai gatti in quanto specie, ma se dico "il gatto dorme sulla poltrona" mi riferisco a un gatto determinato. Nel primo caso la parola gatto si riferisce ad una specie, nell'altro a un singolo individuo. La parola inglese "wood" esprime il significato di due parole italiane distinte "legno" e "bosco" e la parola italiana "dita" esprime il significato di due parole inglesi distinte "fingers" e "toes". La realtà è la stessa, ma il modo in cui le due lingue ce la presentano è diverso. Una stessa realtà può essere presentata in modo diverso anche all'interno di una sola lingua→ Ad esempio, la città indicata dal nome "Roma" è la stessa di quella indicata dal sintagma "la capitale d'Italia": tuttavia queste espressioni non sono sempre intercambiabili, infatti non posso dire "Roma è Roma", mentre se dico "Roma è la capitale d'Italia" ho un importante informazione. È necessario distinguere tra la realtà indicata dal linguaggio e il modo in cui tale realtà è indicata, cioè in questo caso tra la città di Roma e le due espressioni "Roma" e "la capitale d'Italia". Il modo di indicare la realtà mediante espressioni del linguaggio è chiamato significato, mentre la realtà denotata da queste espressioni è chiamata riferimento o denotazione (denotazione che riguarda l'uso del lessema in quanto tale e riferimento che riguarda l'uso del lessema in una frase determinata). Le diverse lingue possono riferirsi all'identica realtà, esprimendo i significati in modo diverso. Un grande problema è quello di cercare di capire quale realtà sia denotata da parole come "ippogrifo" o da nomi astratti come "deduzione" o da parole come "e", "o". Una prima soluzione è pensare che queste parole abbiano solo significato, ma non denotazione e riferimento: sono comprese solo dalle connessioni che intrattengono con altre parole. Un'altra soluzione considera che il nostro linguaggio non si riferisce solo agli oggetti del mondo reale, ma anche a una pluralità di mondi possibili→ per esempio "ippogrifo". Per quanto riguarda invece le parole astratte, il nostro linguaggio si comporta come se esse avessero lo stesso tipo di riferimento delle parole concrete. Alcuni lessemi hanno la proprietà di essere ambigui, cioè di poter avere più di un significato → Ad esempio, una parola come "esecuzione" ha due significati "realizzazione di un'opera" e "messa in atto della pena di morte"; la parola "vite" può significare "pianta dell'uva" o "chiodo filettato"→ Questi esempi presentano due ambiguità diverse: nel caso di “esecuzione” c'è una certa relazione tra i due valori del sintagma, infatti l'esecuzione di una condanna a morte è sempre la realizzazione di un atto, un'opera; nel caso di vite, invece, ci si riferisce a due entità molto diverse. L'ambiguità di lessemi, come esecuzione, rappresenta un caso di polisemia, mentre l'ambiguità di lessemi, come vite, rappresenta un caso di omonimia. Un lessema polisemico presenta più significati, ma tutti collegati l'uno all'altro in qualche modo. Quando i significati che il termine in questione può assumere sono molto vicini l'uno all'altro, ma sono comunque diversi il dizionario li esplicita. Questa diversità è causata dalle diverse combinazioni sintattiche in cui alcune classi di parole possono ricorrere. Un esempio di questo tipo di polisemia: - Gianni si è dimenticato di aver chiuso la porta [l'ha chiusa) - Gianni si è dimenticato di chiudere la porta [non l'ha chiusa) Il significato di “dimenticare” è simile, ma non identico: nel primo esempio, la frase dipendente "di aver chiuso la porta" comunica fattività. Alcuni verbi comunicano una presupposizione di esistenza, se sono seguiti da determinati complementi: - Gianni ha cotto le uova - Gianni ha cotto una frittata nella prima, le uova esistevano anche prima che Gianni le cuocesse; nella seconda Gianni, cuocendo, ha prodotto qualcosa di nuovo. - Gianni dice che Francesco lo ha ingannato - Gianni dice che Francesco ha ingannato solo se stesso I pronomi che queste due frasi contengono appartengono a due categorie diverse: "lo" è pronome personale, "se stesso" è un pronome riflessivo. Quindi una pronome personale non può essere legato entro la frase semplice in cui si trova, mentre un pronome riflessivo deve essere legato. L'uso del linguaggio umano consiste nell'esecuzione di determinati atti: - locutori: pronunciare determinati sintagmi o parole - proposizionali: fare riferimento a determinate entità e predicazione di proprietà in merito ad esse - illocutori: per constatazioni, ordini, consigli... - perlocutori: cercare di produrre un determinato effetto sul nostro interlocutore ad esempio fargli compiere un'azione In ogni atto linguistico, tutti questi tipi di atti sono compresenti. L’unico tipo di atto che non si realizza sempre è quello proposizionale, infatti esistono espressioni che non sono predicative→ per esempio "Gianni!", "Ahi!" Vi sono relazioni diverse tra questi tipi di atti→ Ad esempio: uno stesso atto illocutorio può corrispondere ad atti proposizionali diversi: dicendo "Gianni ha telefonato" o "la terra è rotonda" compio due atti proposizionali diversi, perché diversi sono i miei riferimenti e le proprietà che predico di essi, ma il mio atto illocutorio è identico, cioè in entrambi i casi un'asserzione. Uno stesso atto proposizionale può comparire in diversi atti illocutori ecc... Performativi→ un tipo particolare di atti illocutori sono quelli con i verbi performativi→ esempio: “prometto di partire”, “questa corte dichiara l'imputato innocente”, “mi scuso di essermi comportato così”→ con questi verbi non mi limito a parlare, ma compio un'azione → ad esempio nella prima frase quella di promettere. L'uso performativo non è confinato ai verbi→ ad esempio "Rigore!", detto da un arbitro di calcio, modifica l'andamento della partita. Perché l'enunciazione di una frase abbia un effetto performativo non è sufficiente che tale frase contenga verbi come promettere. Se tali verbi sono usati al passato il loro valore cambia→ esempio: “ieri ho promesso a Paolo di partire”→ In questo caso il verbo descrive un determinato atto compiuto dal soggetto della frase→ Si parla di uso constatativo In linguaggio naturale può essere usato non letteralmente. Secondo Grice, la conversazione è regolata da massime, raggruppate in quattro categorie: quantità, qualità, relazione e modalità. ● Quantità: fornisce l'informazione necessaria, né troppa né troppo poca ● Qualità: sii veritiero ● Relazione: sii pertinente, fornisci soltanto informazioni pertinenti alla conversazione ● Modalità: evita ambiguità, sii breve e ordinato A volte si violano alcune di queste massime, perché il parlante non ha usato espressioni nel loro significato letterale, ma ha voluto trasmettere un altro significato. Si realizza così una implicatura conversazionale. Non si usa il termine implicazione, perché non sempre le implicazioni della nostra conversazione nel linguaggio naturale corrispondono a quelle che i logici definiscono implicazioni. Se io dico "qualche studente ha superato l'esame" entra in gioco la massima della quantità. Ma se io sapessi che in realtà tutti gli studenti hanno superato l'esame e nonostante ciò dicessi che "qualche" studente l'ha superato violerei tale massima, non fornirei l'informazione necessaria. Il mio interlocutore, che pensa che io parli seguendo le massime, trae l'implicatura che qualche studente non ha superato l'esame. Mi sto comportando in modo inappropriato dal punto di vista pragmatico. Supponiamo che Gianni, di cui mi fidavo molto, mi abbia giocato un brutto tiro. Parlando della faccenda con una terza persona, che conosce la situazione, dico: "Ah, Gianni è davvero un amico!". In questo caso ho violato la massima della qualità, perché non sono stato veritiero, ma la conversazione funziona perché io ho trasmesso l'implicatura che ciò che dico non va inteso nel suo significato letterale→ questo è un caso di un uso retorico o figurato del linguaggio: la figura in questione è quella dell'ironia. Capitolo 10: linguistica storica La spiegazione che vedeva la nascita della varietà delle lingue dall'episodio della torre di Babele, a partire dall'ebraico, continuò fino al Rinascimento. È con l'inizio del '800, però, che lo studio della parentela genealogica delle lingue e del loro mutamento nel tempo assume l'aspetto che lo caratterizza ancora oggi. Si parla di linguistica storica. Si iniziò a distinguere tra lingue originarie e origine del linguaggio. Si iniziò a studiare le parole delle lingue originarie ricostruendole sulla base della comparazione delle lingue da esse derivate. Non si studiava più l'origine del linguaggio e ciò è sancito dall'atto di fondazione della Società Linguistica di Parigi nel 1866. (Oggi si pensa che l'origine del linguaggio sia dovuta all'aumento del peso del cervello nell’homo sapiens.) Non esistono lingue più primitive di altre. La linguistica storica del '800 rinunciava a qualsiasi ipotesi catastrofista per spiegare il mutamento linguistico→ [ad esempio Flavio Biondo nel '400 pensava che l'italiano fosse nato per effetto delle invasioni barbariche, mentre Leonardo Bruni pensava che italiano fosse sempre esistito). Dante aveva già individuato la causa dei cambiamenti linguistici nel semplice scorrere del tempo. In effetti è così: ogni generazione apprende la propria lingua dalla generazione precedente, ma agisce sulla lingua stessa. Queste differenze si notano a distanza di secoli. Il metodo comparativo: si confrontano le lingue per scoprire se sono genealogicamente apparentate. Bisogna stare attenti a non cadere in errore, se due lingue hanno qualche parola che si somiglia, infatti, non significa che siano apparentate, può trattarsi semplicemente di un fenomeno di prestito. Si deve limitare il confronto tra due lingue a quelle parti del vocabolario di una lingua che sono native. Tra queste parti possiamo scegliere le parole indicanti, ad esempio i nomi di parentela come "padre". Per applicare il metodo comparativo, si devono individuare una serie di corrispondenze sistematiche tra fonemi e morfemi in determinate lingue, ossia che a determinati fonemi e morfemi in una lingua corrispondono determinati altri fonemi e morfemi in un'altra lingua. Ciò significa che due parole corrispondenti in due lingue possono essere anche formate da fonemi tutti diversi, e quindi avere un aspetto molto diverso, eppure avere la stessa etimologia. Per dimostrare l'esistenza di queste corrispondenze si deve mostrare che esse non si limitano ad una parola sola, ma si estendono ad altre parole del "vocabolario nativo". Si deve anche ricostruire il cammino che ha portato dalla parola nella lingua originaria alla parola nelle due lingue apparentate. La comparazione tra due lingue richiede quindi di ripercorrerne la storia→ Per questo si parla di linguistica storico-comparativa. Il procedimento permette di stabilire qual è l'antenato comune più vicino di determinate lingue, nonché gli antenati più remoti. Se non è attestata, si può anche ricostruire la lingua originaria sulla base della comparazione tra le lingue. Per le lingue germaniche si parla di proto-germanico, per esempio. Da ricordare bene che la comparazione non si effettua tra parole, ma tra fonemi o morfemi di lingue diverse. Per lingue non attestate come il proto-germanico si deve tener presente che ogni ricostruzione linguistica è un'ipotesi. Dal confronto di lingue più strettamente apparentate si ricostruisce una lingua originaria. La comparazione dei vari gruppi linguistici ci permette poi di ricostruire la lingua originaria dell'intera famiglia, per esempio l’indoeuropeo. L'immagine della famiglia linguistica indoeuropea ha la forma di un albero genealogico. I propugnatori della nozione di legge fonetica, i Neogrammatici, all'inizio del 1900 sostenevano che il mutamento fonetico era privo di eccezioni, e quindi in quanto tale soggetto a leggi, ma nella misura in cui procede meccanicamente. Essi quindi riconoscevano tutte le eccezioni alle leggi fonetiche, ma riconoscevano anche che il procedere meccanico dei mutamenti veniva spesso a interferire con altri fattori. Le eccezioni alle leggi fonetiche si possono distinguere in due grandi gruppi: 1 Nel primo collochiamo le eccezioni dovute all'effetto di altri fattori, rispetto alla legge fonetica in questione, dell'aspetto fonetico assunto dalla parola che ha subito il mutamento. Nel 1876 Verner formulò questa legge: nel passaggio dall'indoeuropeo alle lingue germaniche, le occlusive sorde diventano prima fricative sorde; tali fricative sorde, oltre all'originaria fricativa indoeuropea /s/, diventano sonore se l'accento le segue, mentre rimangono sorde se l'accento le precede. L'eccezione alla legge di Grimm è spiegabile come effetto dell'intervento di un'altra legge. L'effetto di un'altra legge spiega anche le eccezioni al mutamento del sistema vocalico dal latino all'italiano, ossia il fatto che dal latino "lingua" per esempio abbiamo l'italiano "lingua" senza trasformazione della /i/ breve latina in /e/. Questo fenomeno è detto anafonesi: la /e/ tonica italiana si è trasformata in /i/ davanti a nasale velare e a laterale palatale. Ciò si è verificato solo nel toscano. Anche il contesto fonetico può interferire con l'effetto di una legge fonetica. Analogia→ questo fenomeno crea forme nuove sul modello di forme esistenti. Gli effetti sembrano creare eccezioni alle leggi fonetiche. Si rappresenta una creazione analogica come risultato dell'applicazione di una proporzione. Per esempio: parlare : parlatore = sviolinare : x il "quarto proporzionale" x è la forma “sviolinatore”. Capita spesso che una forma costruita per analogia entri in concorrenza con un'altra forma derivata da un mutamento fonetico regolare. In italiano, per esempio, la desinenza della prima persona singolare dell'imperfetto indicativo è -o. Ma dovrebbe essere -a. La -o si è formata per analogia con la desinenza della prima persona del presente, che è in -o, appunto. Contaminazione: a differenza dell'analogia non è riscrivibile secondo lo schema del quarto proporzionale; nasce quando gli elementi che costituiscono una forma si mescolano a quelli di un'altra forma→ Per esempio la parola italiana greve è da ricondurre a una forma latina *greve(m) sviluppatasi per contaminazione di grave(m) "grave" con leve(m) "lieve". Assimilazione: factum>fatto Dissimilazione: arborem>albero Metatesi: crocodilus>coccodrillo Aplologia: lat. stipendium da *stipi-pendium, composto da stips "piccola moneta" e pendere "pagare" 2 Nel secondo gruppo di fenomeni abbiamo l'introduzione in una lingua di parole nuove per effetto del contatto con altre lingue. Una parola può entrare in una lingua per il prestito da un dialetto molto simile ad essa. I prestiti possono esserci tra due lingue sullo stesso piano, tra una lingua morta e una lingua parlata e tra un dialetto e una lingua standard. Un fenomeno che riguarda i rapporti tra il latino e l'italiano è quello dei cosiddetti allotropi, cioè due parole italiane derivate dalla stessa parola latina, ma entrate nella lingua italiana per due vie diverse, ossia per mutamento fonetico regolare e per prestito. Si parla di "derivazione popolare" e "derivazione dotta". Non tutte le parole di una lingua sono conformi alle leggi fonetiche. Le leggi fonetiche hanno una validità limitata nel tempo e nello spazio per cui non possono essere paragonate alle leggi delle scienze naturali. Le leggi fonetiche sono delle determinazioni di corrispondenze sistematiche tra suoni in fasi storiche diverse di una stessa lingua. Mutamento morfologico→ il fenomeno dell'analogia è uno dei meccanismi fondamentali di mutamento morfologico per la nascita di parole nuove. Il fenomeno della retroformazione è quello per cui una determinata parola sembra essere la base di una parola derivata, mentre in realtà il processo è il contrario: la parola apparentemente derivata è quella base, mentre quella apparentemente base è quella derivata→ in italiano, per esempio, "arrivo" deriva da "arrivare" e non viceversa. Il fenomeno della grammaticalizzazione fa sì che un determinato lessema venga a trasformarsi in un morfema legato→ Per esempio gli avverbi in -mente; -mente è l'ablativo della parola latina "mens" e il latino "sincera mente" significava "con mente sincera". Lentamente la parola "mente" ha cominciato ad essere percepita come un suffisso aggiunto. Il fenomeno della ricategorizzazione riguarda il passaggio dal sistema dei generi del latino a quello dell'italiano→ l'italiano possiede solo due generi, i nomi neutri sono diventati maschili. Mutamento sintattico→ anche la formazione del passato prossimo romanzo può essere considerata un caso di grammaticalizzazione: il verbo latino "habere" ha assunto un valore equivalente a quello di un puro morfema grammaticale, cioè quello di indicare il passato. Il morfema "ho" in "ho cantato" è libero. Nel VI secolo d.C. troviamo costruzioni che vanno verso il passato prossimo. Gli articoli italiani si sono formati con il fenomeno della ricategorizzazione. Infatti questi derivano da espressioni che in latino appartenevano ad altre categorie→ “illum” e “illam” erano pronomi dimostrativi che hanno dato origine agli articoli determinativi il, lo, la... “unum” e “unam” erano dei numerali in principio. Un mutamento sintattico verificatosi nella storia della lingua inglese riguarda i verbi modali come ad esempio can/could→ Questi verbi in una frase interrogativa o negativa assumono la stessa funzione che, con altri verbi, assume il verbo "to do". Il verbi modali si comportano come i verbi ausiliari inglesi. Nel latino classico l'ordine prevalente era quello con il verbo dopo il complemento oggetto. Il latino è dunque una lingua OV. L'italiano è una lingua VO. Il latino però non manifesta in modo netto tutte le caratteristiche del tipo OV e quindi non si potrebbe parlare di un completo cambiamento tipologico realizzato nel mutamento sintattico dal latino all'italiano. Tuttavia, in termini almeno di rafforzamento dell'ordine VO, un simile cambiamento non può essere negato. Mutamento lessicale e semantico→ un mutamento semantico è un mutamento nel modo di indicare la realtà→ per esempio la parola latina "plebs" indicava inizialmente la "popolazione" e, successivamente, diventando l'italiano “pieve”, ha cominciato ad indicare il gruppo di fedeli che facevano capo ad una chiesa rurale, e poi è passata a indicare la chiesa rurale stessa. Per indicare la popolazione si è ricorsi al termine "plebe" di origine dotta. Un primo tipo di mutamento semantico è il restringimento del significato di una parola→ in latino "fortuna" significava "sorte" in generale, poi ha assunto il significato più ristretto di "buona sorte". Il fenomeno contrario è l'ampliamento di significato→ Il latino "caballus" che significava "cavallo da lavoro" è poi passato ad indicare il cavallo in generale, soppiantando "equus". Un mutamento semantico per metafora è il caso dell'italiano “capire”, che deriva dal latino “capere”, il cui significato originario è "afferrare concretamente" e poi "afferrare con la mente", “capire” appunto. Un mutamento semantico per metonimia è quello dal latino bucca(m) [guancia) al significato di "bocca". La metonimia è la creazione di nuovo significato per contiguità con quello precedente. Un caso di sineddoche (una parte per il tutto) è quello dell'inglese "stove" che significa "stufa", ma che deriva da una parola che significava "stanza riscaldata". Un caso di iperbole, cioè passaggio da un significato più forte a uno più debole, è quello del francese ètonner ("stupire") che deriva dal latino *extonare cioè "colpire con il tuono". La litote è il passaggio da un significato più debole ad uno più forte. Il significato di una parola può anche mutare per degenerazione o per innalzamento→ Per esempio l'italiano "facchino" deriva probabilmente da un termine arabo che degenerando passò ad indicare "portatore di pesi”. L'innalzamento può essere compiono una sovraestensione semantica ricorrendo alla parola più familiare piuttosto che ricercare quello adatto nel proprio lessico mentale. Lo sviluppo della morfosintassi→ Dai dodici ai diciotto mesi il bambino enuncia parole singole, ma a funzione di vere e proprie frasi: sono accompagnate da intonazione e sono prodotte con un’intenzione comunicativa precisa. Questa è la fase olofrastica. Dopo un anno e mezzo il bambino conosce circa cinquanta parole e comincia a fare le prime combinazioni, solitamente di due parole prive di elementi grammaticali. Questa fase è detta telegrafica. Non sono però prive di struttura, cioè relazioni grammaticali come soggetto-predicato [Radford, 1990]. La struttura funzionale della frase è già presente nella grammatica del bambino quando comincia a produrre le prime frasi. I bambini seguono uno sviluppo morfologico e sintattico prevedibile e non di passiva ripetizione. Lo sviluppo della pragmatica→ Tra i ventiquattro e trentasei mesi il linguaggio di un bambino sembra assomigliare a quello di un adulto. Gli aspetti pragmatici del linguaggio richiedono un maggior tempo di acquisizione e, l’educazione, viene insegnata. La seconda lingua Il periodo critico→ Esiste una finestra temporale per l’acquisizione del linguaggio. È dimostrato che c’è una relazione diretta tra l’età di esposizione alla lingua e la competenza linguistica. Il periodo critico della L1 si aggira attorno ai cinque anni di età, mentre la L2 intorno al periodo della pubertà. Lo sviluppo della seconda lingua→Il processo di apprendimento della L2 non è uguale alla L1. • Il punto di partenza Il bambino è dotato di istinto del linguaggio, che si pensa essere una pro-grammatica (o grammatica universale), un insieme di conoscenze istintive. Lo stato iniziale della L2 è: (a) la L1, (b) la grammatica universale, (c) la grammatica universale mediata da L1. Avendo la L1 come punto di partenza, ci si aspetta errori di interferenza nell’apprendimento della L2, dove le regole grammaticali di L1 vengono trasferire impropriamente a L2. Se chi impara L2 ripartisse dallo stato di proto-grammatica universale, gli errori sarebbero di sviluppo. • I progressi: le interlingue L’apprendente procede verso L2 (anche detta lingua obiettivo) per sistemi successivi, cioè l’interlingua: i passi compiuti sono lingue provvisorie, sbagliate, ma sintomo positivo di un’elaborazione grammaticale. Anche chi impara L2 in uno stadio successivo al periodo critico, dimostra di sapere e capire più di quanto dica. Gli studi sull’apprendimento di L2, simili a quelli che vengono utilizzati sui bambini ma con il ricorso ai dati di intuizione in cui si chiede all’apprendente di esprimer giudizi espliciti sulla grammaticalità o la varietà di alcune frasi per verificare il loro status nella sua interlingua. Ne è emerso che: (a) anche per L2 esiste un ordine naturale di acquisizione di parole e morfemi grammaticali, (b) presenta la povertà dello stimolo, cioè gli apprendenti sanno cose sulla L2 che non possono aver tratto da L1 né hanno potuto apprendere per evidenza diretta o insegnamento esplicito. Imparare due lingue insieme: il bilinguismo→ Uno studio ha dimostrato che i bilingui hanno vantaggi cognitivi sui monolingui. L’ipotesi del sistema linguistico unitario, che ipotizza che il bambino bilingue passi attraverso una fase unitaria, cioè in cui confonde le due lingue prima di differenziarle, è falsa. Grazie al paradigma della suzione non nutritiva, si sa che il bambino ha una straordinaria sensibilità acustica che gli permette di distinguere lingue anche molto simili. Pertanto, tenere le lingue separate, è un passo facile e immediato. Lo sviluppo degli equivalenti procede di parallelo con lo sviluppo del lessico, e fin dallo stadio olofrastico il bambino mostra di lavorare nelle due direzioni.
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