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Introduzione e Prima parte della Critica della facoltà di Giudizio, Appunti di Estetica

Appunti integrati con libro della Critica della facoltà di Giudizio (Introduzione e Prima parte)

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 03/04/2020

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Scarica Introduzione e Prima parte della Critica della facoltà di Giudizio e più Appunti in PDF di Estetica solo su Docsity! CRITICA DELLA FACOLTA’ DI GIUDIZIO INTRODUZIONE L’introduzione alla Critica della facoltà di giudizio è molto pensata, ben strutturata, ed è la seconda che Kant scrisse, la prima era più lunga. STRUTTURA SCHEMA E NOTA A FINE §9 Il significato dello schema è che i fenomeni della natura sono conformi a leggi, le opere d’arte sono conformi a una finalità – e per arte si intende “techne” nel senso più ampio del termine, anche come arte naturale, infatti, anche la natura ci appare espressione di una finalità – infine, la libertà è scopo finale dell’esistenza umana. La distinzione tra facoltà superiori (intelletto, giudizio, ragione) e facoltà inferiori (facoltà di conoscere, sentimento di piacere o dispiacere, facoltà di desiderare) è fatta non secondo un grado di maggiore e minore importanza, ma per il fatto che le facoltà inferiori sono facoltà empiriche, p.e. la facoltà di conoscere è legata all’esperienza, mentre le facoltà superiori presiedono a quelle inferiori, p.e. l’intelletto presiede alla facoltà di conoscere. Se procedesse come logico procederebbe secondo bipartizioni (principio di contraddizione: “a” o “non a”). Ma la logica trascendentale ha a che fare con un i contenuti della conoscenza, un condizionato, l’empiria, che è condizionata da un condizionato che è condizione di possibilità di questo condizionato. Io esperisco x, qual è la condizione di possibilità che rende possibile quest’esperienza? Ci sono varie condizioni di diverso tipo (p.e. sociali), ma per Kant esistono anche condizioni trascendentali di possibilità dell’esperienza, e vuole dimostrare come condizione e condizionato si uniscono nell’esperienza effettiva. Ci sono 9 paragrafi, 3 tricotomie. Primi tre paragrafi → Condizione → La filosofia in genere, sono sotto Secondi tre paragrafi → Condizionato → Il principio della facoltà di giudizio, il territorio del condizionato, l’esperienza Terzi tre paragrafi → Unione di condizione e condizionato §1. Della divisione della filosofia Riguarda doppiamente la condizione. XII. La filosofia è divisa in due tronconi: teoretica/naturale e pratica/morale. Questi due rami della filosofia devono avere principi differenti e concetti differenti: i concetti della filosofia teoretica, o filosofia della natura o filosofia teoretica o conoscenza, sono i concetti dell’intelletto, mentre il concetto della filosofia morale è la libertà. La filosofia come critica riguarda i principi (condizioni di possibilità degli oggetti) della filosofia teoretica e morale, ovvero l’applicazione dei loro concetti (concetti dell’intelletto e libertà) ai loro oggetti (fenomeni della natura e azioni morali). La libertà della filosofia morale è opposta al carattere necessario dei fenomeni naturali, essa, però, fa capo alla facoltà di desiderare (volontà) che presiede la ragion pratica. Ma “pratico” viene usato in maniera ambigua. La volontà, quindi la facoltà di desiderare, è una delle cause naturali, in quanto produce effetti secondo concetti. E’ praticamente possibile ciò che è effetto di una causa mediante un concetto, sia esso un concetto della natura o il concetto di libertà, quindi il pratico resta indeterminato. XIII. Quando si parla di concetti “tecnico-pratici”, “pratico” si riferisce alla filosofia teoretica, quando si parla di concetti “pratico-morali”, “pratico” fa riferimento alla filosofia morale. Tuttavia, il concetto della volontà, ovvero il concetto di libertà, e i concetti dei fenomeni della natura (meccanismi), ovvero i concetti dell’intelletto non vanno confusi. XIV. La filosofia teoretica ha come principi i principi puri dell’intelletto, chiamati “leggi”, regole di applicazione dei concetti dell’intelletto ai fenomeni naturali, mentre le regole pratiche non sono leggi, ma precetti, imperativi ipotetici, che riguardano, fa l’esempio Kant, l’arte (con “arte” si intendono i mestieri). XV. Questi precetti non avrebbero richiesto una sezione speciale della filosofia in generale, ovvero la filosofia morale, infatti sono regole che determinano un effetto che può essere compreso mediante concetti dell’intelletto, quindi i concetti della filosofia teoretica. Ma c’è un precetto morale che si fonda esclusivamente sulla libertà indipendentemente da cause esterne alla ragione. XVI. La legge morale o imperativo categorico è la legge che determina la nostra volontà, non prescrive un’azione determinata, e non è condizionata da fattori esterni. §2. Del dominio della filosofia in genere Condizione condizionata. XVII. Il campo dei concetti, determinato dal rapporto tra i loro oggetti e la facoltà conoscitiva, è indeterminato, perché posso mettere nel campo dei concetti anche gli oggetti che non posso conoscere, infatti i concetti si riferiscono agli oggetti solo in modo formale, gli oggetti non sono empiricamente determinati. Il territorio dei concetti è la parte del campo in cui la conoscenza è per noi possibile, secondo condizioni a priori, il territorio è l’esperienza. Il dominio dei concetti è la parte del territorio in cui i concetti sono legislativi, i concetti costituiscono l’esperienza. I concetti d’esperienza hanno il loro territorio, l’esperienza, in cui possiamo conoscere le cose, ma non hanno un loro dominio, perché non sono costitutivi di nulla – mentre i concetti dell’intelletto costituiscono l’esperienza come esperienza fenomenica – all’interno del territorio dell’esperienza, i concetti d’esperienza hanno solo “domicilium”, “dimora”. P.e. “rosso” è un concetto d’esperienza, ovvero un concetto ricavato dall’esperienza, e che quindi non è costitutivo. XVIII. I concetti dell’intelletto sono costitutivi dei fenomeni della natura, mentre la libertà e costitutiva delle azioni morali. Quindi due classi di concetti eterogenei sono costitutivi di due domini diversi (natura e azioni morali) ma convivono sullo stesso territorio, l’esperienza. Ciò è possibile perché i concetti della natura si riferiscono ad oggetti che possono essere conosciuti nella loro intuizione sensibile, quindi non in sé (fenomeni), mentre la libertà rimane al puro livello noumenico, infatti essa è solo un concetto, non può essere conosciuta nella sensibilità, quindi, i concetti della natura e il concetto di libertà sono indipendenti. La libertà è qualcosa che noi proviamo, infatti, abbiamo coscienza di fare scelte libere, benché siamo solo dei fenomeni soggetti a leggi meccaniche. Io, spazio-temporalmente, sono un fenomeno, però sono libera, la mia libertà non è influenzata in alcun modo dal fatto che io sia sottoposta a tanti fenomeni contingenti. Ho desideri che provengono dall’istinto, ma posso controllarli tramite la causalità diretta, p.e. “Ho fame, qualcuno ha più fame di me, decido di non mangiare e di dare il mio panino a quella persona” → quest’azione non è ascrivibile ad una causalità naturale, ma alla libertà, altrimenti le azioni morali non richiederebbero una filosofia morale, ma sarebbero riconducibili alla filosofia teoretica. La libertà è un concetto che non può essere conosciuto né dal punto di vista teorico né dal punto di vista pratico. XIX. Il dominio dei concetti di natura è il sensibile, mentre il dominio del concetto di libertà è il soprasensibile. Il soprasensibile ha un campo illimitato, contiene tutto ciò che si può pensare, anche se non conoscere, come la libertà, un fatto della ragione, un noumeno (oggetto considerato fuori dalle relazioni conoscitive con me). Non possiamo conoscere le cose in sé, ma possiamo pensare che esse esistano indipendentemente da noi, senza che noi le determiniamo, quindi fuori dallo spazio e dal tempo. Il soprasensibile è ciò che non si presta ai nostri sensi, possiamo pensare che esista, ma non possiamo conoscerlo. Quindi il soprasensibile ha un campo, ma non ha un territorio, né un dominio. Prima di organizzare il mondo in generi e specie, noi abbiamo iniziato a conoscere per “aggregati”, p.e. un bambino “ciuccia” un lenzuolo come se fosse ile seno della madre, anche se logicamente non è così. XXVII. Facoltà di giudizio riflettente La facoltà di giudizio riflettente non ha un principio empirico, perché l’esperienza è ciò che si costituisce grazie a questo principio (avremmo un circolo vizioso), invece esso è un principio che rende possibile il giudizio. Questo principio non è neanche un concetto, perché, se fosse tale, cioè, se lo si ricavasse dall’intelletto, allora sarebbe il principio della facoltà di giudizio determinante. Infine, esso non è neanche prescritto dalla natura, perché Kant, facendo la rivoluzione copernicana, afferma che sono gli oggetti a reggersi su di noi, e non il contrario, noi costruiamo il mondo, non si deve partire dagli oggetti nello studio della conoscenza. La rivoluzione copernicana, però, ha un limite: noi anticipiamo le categorie, lo spazio e il tempo, ma non i predicati, dobbiamo avere esperienza delle cose per avere una conoscenza. La nostra riflessione si regola sul modo in cui è fatto il mondo, non è il mondo ad ordinarsi sull’ordine che noi vogliamo. L’ordine è la presunzione senza cui non potrebbero esistere le leggi. Leggi universali→ PRINCIPI PURI DELL’INTELLETTO Leggi empiriche→ LEGGI SCIENTIFICHE. Dobbiamo pensare alla natura, nelle sue leggi, come se ci fosse stato un intelletto come il nostro che lo avesse ordinato in modo intelligibile per noi, ma Kant non afferma che nel mondo vi sia veramente questo ordine, altrimenti dovrebbe ammettere l’esistenza di un dio ordinatore a partire da tale ordine (tesi creazionista). Non esiste questo ordine, ma, l’idea di una natura intelligibile per noi è un’idea che serve alla facoltà di giudizio per poter riflettere (non per poter determinare). La facoltà di giudizio riflettente non è costitutiva, ma ci permette di anticipare un certo ordine della natura a livello estensivo, è come se le leggi empiriche si integrassero in un tutt’uno, la facoltà di giudizio deve dare a se stessa questo principio per prescrivere la conoscenza del mondo, non per determinarla, questo principio è un principio soggettivo, non nel senso di individuale, ma nel senso che esso riguarda l’indagine soggettiva. XXVIII. PRINCIPIO DELLA CONFORMITA’ FORMALE A SCOPI Dobbiamo pensare al principio della facoltà di giudizio riflettente come principio della conformità formale della natura a scopi. Il principio di conformità formale della natura a scopi è detto anche “finalità della natura”, non è un principio concettuale, ma noi cerchiamo il concetto di questo principio. Il concetto di un oggetto contiene la ragione della realtà di quell’oggetto, perciò si chiama scopo. Dobbiamo pensare alla natura come se essa fosse un oggetto fatto per uno scopo, anche se in realtà non è così, la natura non è finale di per sé, ma si mostra come se fosse conforme ad uno scopo. Dobbiamo pensare che ci sia un intelletto nella natura che contenga tutti gli scopi. Kant parla di “conformità a scopi secondo la sua forma”, “forma” serve ad indicare che Kant vuole dire che è “come se” ci fosse questa conformità a scopi, se K. non lo specificasse, allora, potremmo pensare che K. stia ammettendo l’esistenza reale di questo intelletto. Noi immaginiamo che la natura sia fatta con uno scopo, ma non possiamo attribuire un riferimento dei fenomeni naturali a scopi, casomai, siamo noi che diciamo che ci sia uno scopo nella natura, gli oggetti sembrano favorevoli alle mie facoltà conoscitive, ed è per questo, infine, che il principio della facoltà di giudizio riflettente è soggettivo. La conformità non è osservabile nei fenomeni, la relazione ad uno scopo non è una proprietà visibile dei fenomeni. Il giudizio formale ha due significati: 1) il materiale, ovvero il contenuto, di un giudizio dipende dal contesto; 2) il giudizio estetico, che non è basato sul contenuto o sull’intuizione sensibile di una cosa, ma sulla sua forma. P.e. possiamo dire di un oggetto che esso sia bello, seppure non funzioni; infatti, i giudizi estetici non sono motivati dalla volontà di raggiungere uno scopo, né sono mezzi per soddisfare un desiderio. → Vediamo la natura come un fine, ma non dobbiamo pensare che vi sia un “intelletto” che abbia predisposto gli oggetti a degli scopi, vediamo gli oggetti come se essi avessero uno scopo, ma non conosciamo il fondamento di questa necessità. Il principio di conformità formale a scopi, non è un principio concettuale, ma un principio che io ho “concettualizzato” come conformità della natura a scopi. Questo principio mi serve per formulare leggi empiriche, è come se noi dessimo prima questo principio a noi stessi per riflettere sulla natura. Probabilmente gli animali non cercano un ordine nella natura, forse essi rispondono solo a degli stimoli, invece, noi cerchiamo una regolarità nella natura perché mossi da questo principio. La conformità non è sostanziale, quando apprendo la natura la vedo conforme agli scopi della mia immaginazione. APPRENDERE=Immaginare, unificare le intuizioni non concettualmente, ma fare un’immagine delle intuizioni che si succedono nel tempo e nello spazio, e che devono essere unificate per dare stabilità alle rappresentazioni. Il principio di conformità pratica della natura a scopi, invece, è facile da intuire, sia nell’arte umana in generale (tèchne, non “arte bella”→ “arte” senza l’aggettivo “bella” fu usato nello stesso senso di “arte bella”, pur senza l’aggettivo, per la prima volta nel 1800 da Schelling, in base a quanto ci ha detto Tullio De Mauro) sia nell’arte dei costumi (etica). In entrambi questi campi mi presuppongo uno scopo e lo raggiungo. §5. Il principio della conformità formale della natura a scopi è un principio trascendentale della facoltà di giudizio. Doppiamente sotto il segno del condizionato. XXIX. Principio trascendentale→ Principio che rende possibile l’esperienza, es. “Ogni cambiamento ha la sua causa”. Principio metafisico→ Principio che permette di determinare a priori un oggetto il cui concetto è ricavato dall’esperienza, es. “Ogni cambiamento ha la sua causa esterna”. “Causa” è un concetto a priori, “causa esterna” è un concetto ricavato dall’esperienza. Le leggi fisiche hanno un grado di certezza inferiore rispetto a quello dei principi trascendentali, ma comunque sono ad un livello superiore rispetto all’esperienza. XXX. Il principio della facoltà di giudizio riflettente è trascendentale, non presuppone alcuna limitazione empirica, non vale solo per alcuni oggetti, ma è il principio di conformità formale a scopi di tutti gli oggetti della natura in generale. Il principio di conformità pratica a scopi, invece, è il principio di determinazione della volontà, e, poiché la volontà, o facoltà di desiderare, si occupa dell’oggetto il cui concetto è determinato empiricamente, allora, il principio di conformità pratica a scopi è un principio metafisico. Tuttavia, sia il principio di conformità formale a scopi, sia il principio di conformità pratica a scopi, non sono principi metafisici, ma principi trascendentali, poiché il legame tra il soggetto e l’oggetto empirico può essere stabilito a priori. XXXI. Il principio di conformità formale a scopi è trascendentale, non è ricavato dall’esperienza, e questo lo si può vedere dalle massime della facoltà di giudizio, massime che sono poste a fondamento dell’indagine della natura, e che non hanno altro scopo che quello di conoscere la natura, non in quanto tale, ma come somma di leggi empiriche. Kant elenca delle massime (le massime sono principi soggettivi dell’azione, che non pretendono di avere un valore universale). Questi principi non possono essere spiegati per via psicologica, poiché la psicologia è una scienza descrittiva di ciò che accade, ovvero di come funzionano effettivamente le facoltà conoscitive. Una spiegazione psicologica offre una realtà descrittiva, invece, questi principi hanno un valore di necessità, danno una realtà normativa. L’ultimo gruppo delle categorie kantiane è quello della modalità: reale, possibile, necessario. Es. A è B 1. Le cose stanno di fatto così→ Categoria della realtà→ è reale che A sia B 2. Le cose possono stare così→ Categoria della possibilità→ è possibile che A sia B 3. Le cose devono stare così→ Categoria della necessità→ è necessario che A sia B XXXII. Le “leggi universali” sono i principi puri dell’intelletto, dati dall’applicazione delle categorie ai fenomeni. Es. “Ogni mutamento ha la sua causa”, la facoltà di giudizio deve solo sussumere l’oggetto sotto il suo concetto, che in questo caso è l’ordinamento del tempo secondo la successione, ovvero la causalità, poiché causa ed effetto si succedono nel tempo, non accadono simultaneamente. Io posso riconoscere una causalità mediante i principi a priori dell’intelletto, ma è comunque necessaria un’intuizione sensibile per poter conoscere una determinata causalità. XXXIII. Le leggi empiriche sono contingenti, e sono contingenti l’unità della natura secondo leggi empiriche e la possibilità dell’unità dell’esperienza. Dobbiamo presupporre che ci sia una tale unità proprio per usare la facoltà di giudizio, non per attribuirla alla natura, le leggi empiriche sono contingenti, ma dobbiamo sperare che ci sia un’unità delle leggi empiriche, di cui non conosciamo il fondamento, per poter pensare che vi sia un’unità dell’esperienza. XXXIV. Se non pensassimo che vi sia questa unità, dovremmo aspettarci di tutto in ogni momento, il bisogno di questa unità è un bisogno non psicologico, ma trascendentale, la speranza in questa unità è necessaria per poter costruire la nostra conoscenza. Il problema dell’unità quindi è un problema epistemologico. Quest’unità è rappresentata dal principio di conformità formale della natura a scopi, detto anche “finalità della natura” e questo principio è trascendentale, come si vede dalle massime del giudizio, questo principio è un principio che diamo a noi stessi per poter riflettere sulla natura che, poiché è contingente, non sappiamo fino a che punto potrà rispondere alle nostre aspettative. “In vista di un’esperienza completamente intersoggettiva”→ Ci diamo l’universale come fine, compito. Secondo Kant, non ci rallegriamo nello stesso modo quando scopriamo che nelle figure geometriche ci sono delle leggi o corrispondenza, perché ce le abbiamo messe noi, invece, è come se la natura ci facesse un favore, ma non c’è nessuna ragione per cui le cose ci vengono incontro, dunque, noi ci rallegriamo solo per le cose contingenti. XXXV. Deduzione→ Legittimazione Analogia universale→ Delle analogie Kant parla nella parte della CRP dedicata ai Principi della ragion pura. Le analogie universali (dei concetti dell’intelletto) sono contrapposte alle analogie particolari (empiriche). Noi pensiamo che p.e. la legge di gravitazione universale di Newton sia necessaria, ma in realtà contiamo soltanto che lo sia, ma non possiamo dire con certezza perché sia necessaria. Generi e specie→ Noi presupponiamo che i fenomeni naturali non siano soltanto una nomenclatura, un elenco, ma che p.e. bovini, mammiferi etc. appartengano ad un genere più ampio (i mammiferi). XXXVI. La natura non si armonizza con la nostra facoltà di giudizio, ma noi presupponiamo che ci sia un’unità nella natura per poterci orientare in essa, l’intelletto non ha a che fare con questo compito. Il principio di conformità formale della natura a scopi non è stato posto da qualcuno, però, ma è comunque trascendentale, ed è un principio soggettivo, infatti fa riferimento alla nostra facoltà conoscitiva, è come se la facoltà conoscitiva del soggetto fosse lo scopo dell’organizzazione della natura, per questo, questo principio non è oggettivo. Kant è alla ricerca di fili conduttori, p.e. nella CRP la tavola dei giudizi è il filo conduttore per trovare la tavola delle categorie, nella natura, invece, il filo conduttore per dare unità alla natura è il principio della facoltà di giudizio riflettente. XXXVII. Il realismo di Kant Si può pensare che, malgrado i principi dell’intelletto e la forma spazio-temporale dei fenomeni, il materiale della natura possa essere così molteplice da non ritrovarci nella natura, da essere disorientati, quindi, pur avendo quel filo conduttore del quale si parlava nel paragrafo precedente, non avremmo alcun riscontro alle nostre attese nella natura. Abbiamo una presupposizione di senso, ma le cose comunque non tornano. XXXVIII. La facoltà di giudizio ha un principio a priori, soggettivo, che prescrive non alla natura (autonomia) ma a se stessa (eautonimia), indipendentemente dalle leggi di natura. messi in gioco sia le sensazioni sia i concetti, ma non c’è un concetto principale nei giudizi riflettenti, non c’è uno scopo. Comunque, io posso anche rifunzionalizzare l’apprensione di un oggetto a uno scopo, p.e. rinfunzionalizzare un quadro alla quantità. L’apprensione, ovvero l’unificazione delle sensazioni operata dall’immaginazione che si accorda con l’intelletto, non può non essere paragonata alla facoltà di giudizio riflettente. I concetti non sono esclusi, però essi non sono determinanti. Es. “Il fiore è bianco” “Bianco” è un concetto non è uno scopo. “Per la facoltà riflettente di giudizio”→ La prima cosa che faccio quando guardo una cosa è considerarla come qualcosa di particolare da cui partire per ricercare un universale, poi trovo che l’immaginazione e l’intelletto vanno d’accordo, sintomo di questo accordo è il piacere. Il sentimento di piacere o dispiacere è qualcosa che non posso predicare dell’oggetto, è puramente estetico. Il sentimento di piacere o dispiacere è la sensazione dell’accordo tra immaginazione e intelletto, questo sentimento è legato alla facoltà di giudizio riflettente, il cui principio non è un concetto, e che non produce alcuna conoscenza. Il bello non è qualcosa che si predica di un oggetto, si può dire che sono belli degli oggetti più svariati, non c’è una proprietà che giustifichi la bellezza di un oggetto. Il piacere è basato non sul contenuto (lo scopo, il concetto) ma sulla forma dell’oggetto (ciò che resta dopo aver fatto astrazione di un oggetto a partire dalla sensazione e dal concetto). Il giudizio estetico è un particolare tipo di giudizio riflettente, quindi il suo principio, di cui Kant va in cerca, è un principio a priori, che non è un concetto, né è ricavato dall’esperienza. Nella CG Kant si chiede se esista un altro principio oltre a quello della facoltà conoscitiva e a quello della facoltà di desiderare, un principio legato ad un intento, che, quando viene soddisfatto, produce il piacere. Se questo principio esiste, allora esiste anche il giudizio estetico, indipendente dalla sensazione e con un principio che non è un concetto, ma legato al bello, che è l’effetto del libero gioco di sensibilità e intelletto, in cui la conformità a scopi dell’oggetto è testimoniata dal piacere rispetto alla rappresentazione dell’oggetto. Il piacere è un sentimento così peculiare da attribuirgli necessità in linea di diritto, non di fatto: non è detto che sia veramente così. Il piacere ha un’universalità soggettiva, si estende a tutti i soggetti giudicanti. Il giudizio estetico ha un suo principio di determinazione, del principio di determinazione Kant aveva già parlato nella CRPR, affermando che possiamo dire che un’azione sia morale solo perché teoricamente abbiamo assicurato che sia possibile agire moralmente in base ad un principio di determinazione. Nella CG Kant sta cercando il principio di determinazione necessario affinché il giudizio estetico sia possibile in quanto tale, e non in quanto giudizio basato sul piacere nato dalla soddisfazione di un bisogno, o in quanto giudizio utile alla conoscenza, o in quanto giudizio morale. Il giudizio estetico lavora mediante i concetti, mira all’universalità non concettuale, ma basata sulla sensazione. “Le cui condizioni di possibilità della riflessione valgono universalmente a priori”→ Si fa riferimento a sensibilità e intelletto, che sono in rapporto nella conoscenza, e sono in gioco nel sentimento di piacere o dispiacere, legato al giudizio estetico. Se queste “condizioni” mirano all’oggetto, allora abbiamo un giudizio determinante, se esse mirano al concetto dell’oggetto, abbiamo un giudizio riflettente. Il piacere non si predica, è relativo al soggetto, non all’oggetto, ma c’è comunque una relazione tra questo sentimento e la conoscenza. Il punto di partenza di Kant era epistemologico: come avviene la conoscenza. Ci sono fenomeni naturali alla cui spiegazione non bastano i principi puri dell’intelletto, quindi Kant è alla ricerca di un altro principio. Il giudizio estetico lavora sì con i concetti, ma non è un concetto, ed esso è un particolare tipo di giudizio riflettente. Il giudizio determinante è legato alla necessità delle categorie, che si applicano inevitabilmente ai fenomeni, mentre il giudizio estetico è legato alla contingenza. La conoscenza è l’unione di immaginazione ed intelletto, essa avviene a partire dal particolare, ovvero da un’intuizione spazio-temporale, dopodiché, questa rappresentazione si accorda con l’intelletto. Ogni intuizione è determinata da un concetto, e viceversa, ogni concetto è determinato da un’intuizione. Se non fosse possibile accordare sensibilità ed intelletto, allora avremmo una sorta di “nomenclatura”. La possibilità di ordinare il mondo, ovvero, la possibilità che le leggi empiriche spieghino una serie di fenomeni è data dalla possibilità dell’accordo di sensibilità e intelletto, che permette di fare il giudizio estetico. Il mondo è contingente, gli oggetti della natura non sono stati costituiti da noi (matematica) o da qualcun altro (un intelletto divino) affinché fossero conformi alle nostre facoltà conoscitive. Le nostre facoltà conoscitive trovano un determinato oggetto conforme alle leggi empiriche con cui si spiega quell’oggetto, ma non sappiamo quale sia il fondamento di quelle leggi, non lo conosciamo. Abbiamo soltanto l’immaginazione che si rappresenta l’oggetto e l’intelletto che dà la legge alle rappresentazioni, l’intelletto dice “Questo oggetto ti deve poter piacere”. Nel giudizio estetico l’intelletto dà la regola all’immaginazione ma senza concetti. Il piacere è legato alle sensazioni di piacere o dolore è di tutti gli animali; il buono è legato a tutti gli esseri razionali, anche a quelli senza corpo (gli “angeli”); il bello è legato agli animali che sono anche razionali. Dio non sa che cos’è bello (a differenza di quanto diceva Leibniz), il bello non è qualcosa di metafisico, ma ha a che vedere con la contingenza del mondo, inoltre, Dio è pura razionalità, non animalità, quindi non può sapere che cosa sia il bello. XLVI. Il piacere può essere dovuto anche alla soddisfazione di un bisogno o di uno scopo p.e. la libertà, ma non è questo il tipo di piacere a cui è interessato Kant. Kant parla di “percezione riflessa”, quest’espressione segna la distanza tra l’estetica della CG e l’estetica trascendentale della CRP. Nell’estetica trascendentale la percezione era spazio-temporale, e legata ad una sensazione, invece, qui è la “percezione riflessa”, ovvero la percezione con “incapsulata” la riflessione, la percezione che non si accontenta di se stessa ma fa il confronto tra l’immaginazione e l’intelletto. Questo tipo di piacere non è suscitato da un concetto, quindi non può essere compreso mediante il concetto legato alla rappresentazione dell’oggetto, ma si lega a questa rappresentazione mediante una percezione riflessa. Il giudizio estetico, che è legato al piacere, non ha un’universalità oggettiva (come i giudizi determinanti), ma un’universalità soggettiva, ovvero, avanza la pretesa di valere per ciascun altro. Il giudizio estetico è strano perché non attribuisce una proprietà a un oggetto, ma un sentimento, e dire che un oggetto è bello è come predicare una qualità di quell’oggetto. Infine i giudizi estetici sono sempre singolari. XLVII. “Questa bottiglia è blu” è un giudizio empirico e contingente, può essere smentito da chiunque. “Questo oggetto è bello” non è un giudizio che si possa dire a priori, devo fare esperienza di quell’oggetto prima di poter dire che esso sia bello, e, essendo un giudizio empirico, ricerca un principio universale. Il giudizio estetico non è basato su un concetto empirico da universalizzare, ma su un sentimento. Il giudizio estetico “questo oggetto è bello” avanza la pretesa che quell’oggetto sia bello per tutti, il bello è legato alla rappresentazione di un oggetto come se fosse un predicato, ma non lo è. Il giudizio estetico esemplifica il principio dei giudizi riflettenti in genere, perché esso esemplifica l’accordo dell’immaginazione e dell’intelletto. Vi è dunque un collegamento tra estetica ed epistemologia. Per un giudizio conoscitivo riflettente le facoltà conoscitive hanno solo un uso regolativo, le facoltà conoscitive entrano in gioco alla ricerca di un concetto, a partire dall’esperienza, nel giudizio estetico, u particolare tipo di giudizio riflettente entrano in gioco le stesse condizioni di possibilità (sensibilità e intelletto), ma esse non sono orientate in vista di uno scopo. XLVIII. La conformità formale della natura a scopi significa che la natura, senza che io ne veda la necessità, si rivolge a me in modo che io ne veda l’unificabilità. Io rifletto sulla natura e la vedo ordinata rispetto ai miei scopi, la natura appare unificabile in modo vantaggioso per me, in modo che io sia legittimata a fare altre indagini. La conformità formale della natura a scopi riguarda non il concetto, il contenuto, lo scopo di un oggetto, ma la sua forma (ciò che rimane facendo astrazione dalla sensazione e dal concetto). Non vediamo né lo scopo né il piacere, essi sono impercettibili, però, se abbiamo l’apprensione dell’oggetto senza il concetto, il sentimento di piacere o dispiacere riguarda la conformità formale a scopi. Il giudizio estetico non è basato né sulla sensazione né sul concetto. Lo scopo non è un concetto, ma esso è legato al sentimento di piacere o dispiacere, sintomo dell’accordo tra sensibilità e intelletto. 1) Libero gioco di sensibilità e intelletto 2) Conformità formale a scopi 3) Sentimento di piacere o dispiacere Queste sono le tre facce del principio di determinazione del giudizio estetico. Il libero gioco delle facoltà conoscitive non è funzionale a un’esibizione adeguata di un concetto d’esperienza, ma lo è a produrre il sentimento di piacere o dispiacere, provato dal soggetto che, così, sente la legalità del rapporto sensibilità-intelletto senza che, però, l’intelletto dia la regola alla rappresentazione. Il sentimento di piacere o dispiacere non è il principio del giudizio estetico, ma è l’unico modo in cui questo principio si manifesta nel soggetto. Non siamo consci che stiamo usando questo principio (condizione del giudizio estetico). Alcuni che sembrano giudizi estetici in realtà non lo sono, in realtà essi hanno a che fare con qualcosa di idiosincratico, personale. I giudizi di gusto hanno richiesto una critica, c’è un principio a priori da indagare. Inizialmente, Kant non aveva individuato il nesso tra la facoltà di giudicare in genere (facoltà di giudizio riflettente, che, invece di applicare le categorie ai fenomeni, fa una riflessione) e la possibilità di un principio della facoltà di giudizio che si dà solo al giudizio di gusto e che non è un principio concettuale. Da un lato c’è il sentimento e dall’altro ci sono i concetti, il giudizio estetico ha a che fare con i concetti, ma i concetti non sono determinanti. Kant tenne anche corsi di antropologia pragmatica, ovvero la scienza che studia il comportamento degli uomini in società. IL SUBLIME Dapprima, di fronte a ciò che è sublime, si avverte dispiacere. Il dispiacere nasce dall’inadeguatezza della ragione ad avere un’immagine unitaria delle grandezze che la eccedono, l’immaginazione non ce la fa, “perde ciò che guadagna”, come un grande metro che si eleva verso il cielo, non se ne vede più la fine, quindi il dispiacere nasce dalla frustrazione. L’immaginazione è una facoltà sensibile, nel suo fallimento mi rendo conto di non essere solo un animale. L’immaginazione richiede alla ragione qualcosa che la ragione non può fare: totalizzare qualcosa che non è totalizzabile. Il piacere, invece, nasce dal fallimento della mia animalità. Il sublime matematico è legato alla grandezza, mentre quello dinamico è legato ai meccanismi della natura. Di fronte alle potenze della natura, che mi annienterebbero se io non fossi al sicuro (se fossi in balìa delle potenze della natura, perirei), ammiro questa forza, pur sapendo che la natura Nella CG necessità e libertà si incontrano. La facoltà di giudizio consente il passaggio dal modo di pensare secondo il principio di libertà al modo di pensare secondo i principi della natura. I due principi hanno due domini diversi ma lo stesso territorio dell’esperienza: dobbiamo poter sperare che le azioni libere si possano realizzare nella causalità dei fenomeni, dobbiamo rendere effettivo lo scopo finale, non necessariamente realizzarlo. SOPRASENSIBILE= Non attestabile con la sensibilità. Il soprasensibile può essere maneggiato con la facoltà di giudizio cercando nella natura un sistema, che il mondo fenomenico comunque non mi garantisce (i fenomeni potrebbero comunque essere una moltitudine disparata). “Libertà intenzionale”→ Fare ordine secondo un senso, ordine applicato alla natura. “Soprasensibile nel soggetto”→ Riconoscere in me una regola non formulabile, conosco me stessa sia come fenomeno (con i concetti e le intuizioni) sia come libertà (noumeno). Posso conoscere me e gli altri con la regola inesplicabile della facoltà di giudizio, p.e. dico che un quadro “va bene” collocato in una certa posizione, ma non c’è una regola che mi dice che quel quadro deve stare così, solo che così mi sembra bello. LV. SCOPO NATURALE= La natura può essere capita solo grazie a questo scopo. SCOPO ULTIMO= Scopo del quale non possiamo venirne a capo con un’analisi naturalistica, possiamo venirne a capo solo partendo da un certo punto di vista. Per esempio, possiamo dire che lo scopo ultimo sia l’uomo, in quanto esso è capace di porsi scopi più complessi degli altri animali, ma non è sempre detto che tali scopi siano morali, talvolta essi possono essere anche orribili. A tal proposito si parla di “cultura dell’abilità”, noi ci poniamo scopi complessi perché ne abbiamo bisogno, gli altri animali non lo fanno perché essi non necessitano di scopi complessi, loro si pongono scopi immediati, senza una progettazione futura, scopi funzionali alla loro vita. Noi non potremmo sopravvivere senza porci degli scopi complessi, perché non abbiamo risorse istintuali, abbiamo bisogno di cure etc. La “cultura della disciplina” invece ha a che fare con la moralità. SCOPO FINALE= Scopo che non ha bisogno di altri scopi. Scopo morale, ovvero l’unione di virtù e felicità, quindi il sommo bene. Per agire in vista dello scopo finale, dobbiamo agire tentando di essere moralmente degli di essere felici. Il giudizio estetico usa il soprasensibile ma non lo conosce. La ragione ha la libertà, concetto soprasensibile che presiede alle nostre azioni libere. Il giudizio estetico fa sì che i due principi eterogenei dell’intelletto e della ragione stiano sullo stesso territorio. Così posso realizzare nel mondo meccanicisticamente determinato della natura gli effetti della libertà. LVI. Se mettiamo nella facoltà di giudizio le sensazioni o i concetti (i comandamenti morali), allora abbiamo la facoltà di desiderare (la cui facoltà superiore è la ragione). LVII. Il compiacimento della ragione è l’unico ammesso come piacere del concetto, esso è il sentimento che proviamo quando rispettiamo la legge morale. Nella conoscenza della natura abbiamo bisogno del giudizio determinante per attribuire le proprietà oggettive ai fenomeni naturali, ma abbiamo bisogno come principio regolativo del principio di giudizio estetico, che ci spinge a ricercare una sistematicità nella natura. Il principio di conformità formale della natura a scopi è costitutivo del nostro sentimento di piacere o dispiacere ma non dei concetti, quindi la facoltà di giudizio non ha un dominio. Spontaneità→ Non deriva da latro Gioco→ Libertà DOTTRINA DEL METODO DEL GIUDIZIO TELEOLOGICO Pag. 84 Lo scopo finale è incondizionato, non fa parte della natura. Fine pag. 83 (nota) Il sommo bene non è l’aspirazione alla felicità, non perché la felicità non debba essere perseguita, ma perché è difficile essere felici, non sappiamo cosa sia la felicità, quando un desiderio è soddisfatto se ne presenta un altro etc. Il valore della vita non è la felicità (godimento dei piaceri) né uno scopo naturale, la natura può essere pensata come scopo solo se è rispettata come natura, quindi se miriamo al sommo bene. Ma prima dobbiamo chiederci se diamo valore alla natura, se rispettiamo la natura e gli altri. Il rispetto morale della natura parte dal rispetto di me stesso e degli altri. La religione non è un principio morale (eteronimia), ci deve essere prima una base morale (autonomia). Prima parte della Critica della facoltà di giudizio Critica della facoltà estetica di giudizio Prima sezione Analitica della facoltà estetica di giudizio Primo libro Analitica del bello Schopenhauer aveva detto che Kant aveva scritto un’opera importante perché fonda l’estetica, che doveva diventare un’idea separata dagli altri campi, ma Kant, per una mania di sistema, scrive quest’opera come una sorta di struttura a cui si aggiungono delle finestre cieche per avere una struttura armonica. Questa critica è sbagliata, perché in realtà Kant avrebbe voluto scrivere un’opera simmetrica, come dice nella prima Introduzione, in cui dà una descrizione della struttura dell’opera, ma poi la struttura è diversa. 1. Critica della facoltà estetica 2. Critica della facoltà teleologica Ciascuna parte però era divisa in due parti. 1. Bello 2. Sublime 3. Conformità interna a scopi 4. Conformità esterna a scopi Per ciascuna di queste ci sarebbero state due parti. 1. Analitica comprendente una esposizione e una deduzione 2. Dialettica Ci sarebbe stata una quantità di sotto-paragrafi. Non ci sarà una deduzione in due parti della conformità a scopi. Cade la deduzione del sublime, non necessaria. La dialettica sarà per tutto. L’alunno che corresse le bozze, trovandosi davanti la deduzione, dopo l’Analitica del bello e l’Analitica del sublime, pensò di farne il Terzo libro, ma Kant gli disse che non ci sarebbe stato un terzo libro. È strano. L’Analitica del bello è il Primo libro, divisa secondo le funzioni del giudizio: tavola dei giudizi o tavola delle categorie. Le categorie sono divise in quattro momenti, dati dalla tavola delle categorie, che è anche la tavola dei giudizi. Nella CRP introduce il concetto di deduzione trascendentale, che permette di passare dalla tavola dei giudizi alla tavola delle categorie. I giudizi sono: quantità, qualità, relazione, modalità. Anche le categorie hanno questi quattro momenti, ma le categorie sono diverse dai giudizi. Le categorie della qualità sono la sensazione, noi possiamo anticipare di una cosa che avrà un grado di sensazione. La tavola dei giudizi e la tavola dei concetti sono lo schema o il modo di organizzare ogni concetto filosofico, lui segue sempre questo schema, qui ricerca il principio della facoltà di giudizio, quindi è plausibile che faccia riferimento alla tavola dei giudizi. Nota 1 § 1 Le funzioni logiche di giudicare sono o i giudizi – spesso si usa il giudizio infinito “questo è non qualcosa” - o la sensazione e il sentimento (categorie). Nel secondo momento, della quantità, sembra far riferimento al giudizio, i giudizi sono singolari, particolari, universali. I giudizi estetici sono sia universali (universalmente soggettivi, tutti i giudicanti) ma singolari. Nel terzo, quello della relazione, probabilmente fa riferimento alle categorie, perché la conformità a scopi è una forma della causalità, categoria sotto il momento della relazione. Il quarto, modalità a che fare con la necessità, ha a che fare con aspetto logico dei giudizi no categorie. Struttura oscillante, difficoltà di trovare un principio trascendentale della facoltà di giudizio da questa struttura. Seconda difficoltà: non segue l’ordine della tavola dei giudizi o delle categorie, dove prima c’è la quantità, mentre qui la qualità viene prima. Nel 1790 “estetica” è una parola recente, non tradizionale, inventata nel ‘36, anche se essa aveva avuto molto successo, Kant dice qualcosa di completamente nuova. Le considerazioni della Scolastica tedesca (Baumgarten) non sono spariti e sono importanti nella concezione della bellezza. La mancanza di simmetrie è del metodo kantiano: partire da un’idea che si modifica nella ricerca, non applica un sistema, esso è uno strumento di ricerca. Primo momento del giudizio di gusto secondo la qualità. §1. Il giudizio di gusto è estetico. “Il giudizio di gusto è estetico”, importante, non è un concetto, anche se la filosofia è concettuale, non si può essere chiari fino in fondo, questo è un problema. Il bello è effetto del libero gioco dell’intelletto, ma qui dice che forse l’immaginazione è legata all’intelletto, siccome sta ricercando, usa “forse”, bisogna vedere se è così; nella nota dice che questo giudizio è legato all’intelletto, quindi non lo mette in dubbio veramente. Il giudizio di gusto è estetico, perché il suo principio di determinazione è soggettivo, soggettività particolare, in K. significa p.e. che le categorie sono soggettive fondante la possibilità dell’oggettività, ma qui è ineliminabilmente soggettivo. Principio di determinazione compare spesso qui e nella CRPR, nella CG è il principio trascendentale della facoltà di giudizio, costitutivo dei giudizi di gusto, ma regolativo nell’ambito della conoscenza. Principio strano: soggettivo, estetico. Il bello è il nostro modo di essere affettati da una rappresentazione in modo soggettivo e di cui possiamo avere conoscenza solo attraverso un sentimento di piacere o dispiacere, c’è una grande somiglianza tra “bello” e “rosso” come predicati, ma non dovremmo dire che p.e. il cane è bello, si fa un uso conoscitivo del bello, che conoscitivo non è, “bello” non è un concetto, anche se possiamo usarlo da un punto di vista conoscitivo p.e. “mi prendi il vaso bello”, c’è una convenzionalità tra due persone che si conoscono. “Bello” è strano, si presta a fraintendimenti, ma anche i concetti p.e. “rosso” si prestano a fraintendimenti. Sensazione, poi dirà che è conoscitiva, non estetica, in tedesco le espressioni sensazione e sentimento sono simili, p.e. in Sicilia si dice “il caffè è bello”, qui usa “sensazione” perché sta procedendo per approssimazioni. Estetica di Baumgarten→ bellezza=tipo di conoscenza confusa, oscura, “gnoseologia inferior”, sensazioni=concetti confusi (Leibniz). L’estetica di B. è il momento aurorale della conoscenza, la ragione è il momento della conoscenza piena (mezzogiorno). L’estetica razionalista fondata da Baumgarten→ dal punto di vista della ragione si può ricostruire la verità logica della verità estetica, la verità estetica è piacevole, anticipa qualcosa che non conosciamo, ma conosceremo. Leibniz→ matematica inconscia, non cogliamo quei rapporti matematici, li sentiamo, se fossimo matematici, coglieremmo la verità dei rapporti matematici, ma non lo siamo, perciò ne cogliamo solo la “veritas estetica”, menzogna gradevole, aurorale, annuncia in modo confuso la verità del mezzogiorno. Kant dice che la bellezza è proprio un’altra cosa, è la coscienza della rappresentazione di qualcosa con una sensazione di compiacimento (critica alla nozione gradualistica di sensazione e conoscenza). Pag.46 “Puro”→ Filosoficamente rilevante per giudicare. Il giudizio di gusto puro non è un obiettivo cui tendere ma, filosoficamente è rilevante sapere che è possibile fare un giudizio di gusto. Nell’universo dei possibili piaceri, se sappiamo che i piaceri sono tutti quelli, quello che avanza per metodo di residuo è il nostro, ma non possiamo determinarlo positivamente, possiamo determinarlo solo in modo infinito, ma solo se so che tutti i piaceri sono stati completati. Nel paragrafo terzo dell’Introduzione, infatti, Kant dice che ci sono solo queste tre facoltà, possibile completezza. §3. Il compiacimento per il piacevole è legato a un interesse. Il piacere come caratteristica di compiacimento (piacere comune non privato). K. deve spiegare quale universalità compete al giudizio di gusto, senza ricorrere ai concetti che la garantiscono, l’universalità garantita dai concetti non pone problemi, ma un giudizio che non ha un principio di determinazione concettuale che tipo di universalità potrà avere? Esso avrà un’universalità soggettiva, che non si estende a tutti gli oggetti di un certo tipo, esso non è una proprietà, e si estende a tutti i giudicanti, non di fatto, ma in linea di diritto: posso pretendere da ciascuno si accorderà con me sul principio di giudizio, non posso dire su che cosa, questo accordo è contingente, soggettivo. Nei Prolegomena dice che se la conoscenza si riferisce agli oggetti essa deve essere condivisibile con tutti i soggetti, pubblica, non privata. Se tutti i giudizi validi oggettivamente devono essere anche soggettivi, ci possono esse alcuni giudizi validi solo soggettivamente senza riferirsi agli oggetti? Sì, c’è qualcosa che si riferisce solo ai soggetti non all’oggetto, e anzi l’accordo intersoggettivo è necessario per avere un accordo oggettivo. La sensazione del piacere è cosa completamente diversa rispetto alla rappresentazione di un oggetto, che comunque chiamiamo sensazione, ma la prima è soggettiva, la seconda è oggettiva. La sensazione del piacere, inoltre, non concorre ad una conoscenza, questa sensazione viene chiamata sentimento, per distinguerla dalla rappresentazione dell’oggetto, ed è il sentimento con il quale l’oggetto viene considerato oggetto di compiacimento. Secondo momento del giudizio di gusto, cioè secondo la sua quantità. §6. Il bello è ciò che viene rappresentato, senza concetti, come oggetto di un compiacimento universale. ESPERIMENTO DEL VELO DI IGNORANZA Indizio che giudizio estetico sia universale è che esso sia disinteressato, senza interesse peculiare, si riferisce a tutti i soggetti facendo astrazione dalle loro peculiarità. John Rawls fa l’esperimento del velo di ignoranza: on una società idealmente giusta i cittadini si riuniscono e decidono le leggi senza sapere dove verranno assegnati nella società, ricchi, poveri, sordi, ciechi, chi in un posto, chi in un altro etc. Le leggi vengono fatte in modo disinteressato, è come se attingessi a un presupposto uguale per tutti, altrimenti vado contro me stesso, non per altruismo, ma per egoismo, ognuno deve essere equo e disinteressato. Se il giudizio di gusto è universale, prima di tutto siamo disinteressati a un oggetto peculiare, quindi attingeremo a delle facoltà universali in tutti i soggetti, e che funzionano nello stesso modo. (Argomento che sembra psicologico o trascendentale, ma non è convincente.) L’universalità non può provenire dai concetti, non ci può essere un passaggio dai concetti al sentimento di piacere o dispiacere. In Leibniz il “non so che” o bellezza era qualcosa che si identificava con dei concetti chiari e confusi, per K., invece, la bellezza non produrrebbe alcun sentimento se fosse un concetto, benché chiaro e confuso. Leibniz non riconosce una differenza qualitativa tra sensibilità e intelletto, per lui, la differenza tra sensibilità e intelletto sta nel fatto che la sensibilità ha concetti non compresi, se li distinguessimo, allora non avremmo più dei corpi, ma solo una distinzione concettuale. Per K. sensibilità e intelletto sono distinti, i sensi vengono dalla nostra “animalità”. “Di conseguenza al giudizio di gusto, con la coscienza dell’astrazione, in esso, da ogni interesse, deve aderire un’esigenza di validità per ciascuno, senza una universalità riferita ad oggetti, vale a dire: con esso deve essere legata un’esigenza di universalità soggettiva.” Universalità per ciascuno senza concetti. Il giudizio di gusto è sempre particolare p.e. “questa singola rosa è bella” non “qualche” o “tutte”, avrei dovuto cogliere una proprietà oggettiva della classe delle rose per formulare un giudizio particolare o universale, ma il bello non è una proprietà oggettiva, bensì la relazione che i soggetti hanno con l’oggetto nelle sue indefinite proprietà, c’è relazione con l’oggetto, che ha delle proprietà che lo rendono bello, ma io non posso riferire le proprietà che mi fanno dire che quell’oggetto è bello, o meglio, non le posso generalizzare, non le posso estendere a tutti gli oggetti di quella classe. Ci sono infinite proprietà che mi fanno dire che quell’oggetto è bello, e, trasferite su un altro oggetto, non lo renderebbero comunque bello come il primo. Il giudizio di gusto ha bisogno della sua ostensibilità, io devo poter dire che un oggetto mi piace, mentre nei giudizi oggettivi posso dire qualcosa di un oggetto pur senza vedere quell’oggetto, nell’arte, le cose uno deve vederle, un manuale può fare solo da guida per l’apprensione dell’oggetto, ma è necessario anche ammirarlo. Quando apprendiamo conoscenze concettuali, p.e. della fisica, non si devono ripetere gli esperimenti per poterle apprendere, è sufficiente studiarle. §7. Comparazione del bello con il piacevole e il buono in forza del suddetto carattere. Suddetto carattere=universalità soggettiva. Il piacevole è privato. Es. vino delle Canarie es. di un giudizio soggettivo è: “il vino delle Canarie è piacevole”, giudizio sul piacevole privato, non c’è discussione. Su un film, invece, per esempio, si discute, perché esso riguarda un modo di sentire la vita. Il valore della discussione, è per Kant una parola tecnica, diverso da disputare (discutere mediante prove, conoscenza scientifica, p.e. “questo è un quadrato”). La piacevolezza è soggettiva ed idiosincratica, è un sentimento privato, p.e. caldo/freddo, sul quale non si può discutere. Il sentimento del bello genera una discussione, regno della doxa in senso harendtiano, luogo in cui si discute in pubblico su cose che non possono essere decise in modo oggettivo, ma che meritano di essere discusse, è sbagliato dire “per me è bello”, se dico che qualcosa è bello, allora avanzo la pretesa che questo qualcosa sia bello per ciascuno, lo faccio di diritto, ma non posso dire che quel qualcosa sia di fatto bello: il giudizio di gusto è privato. Nel giudizio estetico c’è un elemento irriducibilmente privato, quello che si definisce bello si deve esperire, non si può delegare ad altri il giudizio di gusto, quello conoscitivo, invece, sì. Ma c’è anche un elemento pubblico nel giudizio di gusto, infatti, posso pretendere che un giudizio estetico sia universale, che quel qualcosa sia bello per chiunque altro, di diritto, a proposito del giudizio estetico, Kant parlerà di “dover poter”, il giudizio deve poter essere condiviso da ciascun altro, non è una necessità oggettiva, né c’è una costrizione, è la “necessità di una possibilità” l’universalità del giudizio estetico è la necessità di un diritto, riconosciuto, anche se non rispettato di fatto, se non ci fosse questa necessità “di diritto”, si annichilirebbe la differenza tra i vari piaceri. Ho la possibilità di far valere il diritto di arrivare a un accordo con ciascun altro sul giudizio estetico. Nella conoscenza la necessità del dover poter trovare un accordo è fondamentale, altrimenti ognuno rimarrebbe con le sue opinioni, mentre è necessaria una discussione. Pag.48 Kant se la prende con Hume: Hume considera il bello come se fosse una proprietà delle cose. È come se Kant dicesse a Hume: “non hai gusto, pretendo che tu ce l’abbia, suppongo che tu abbia la facoltà, ma non la usi, perché non vedi quello che apprezzo io”. “The standard of taste”→ Il piacere per Hume è indifferenziato, e Hume mette insieme tutti i sentimenti, caldo/freddo, gusto, bello etc., ognuno ha il suo sentimento, però dice che c’è differenza tra un poetastro qualsiasi e un vero poeta, dire questo è diverso da esprimere un giudizio sul cibo. Hume conclude dicendo che gli esperti, che hanno visto molte opere, ed hanno raffinato la delicatezza di gusto, quindi hanno una sensibilità più pura, non distorta da pregiudizi. Poi racconta la storia di Don Chisciotte, Sancho Panza dice che i suoi avi erano esperti di vino, lui se ne intende. Due esperti di vino davanti a una folla, uno dice che sa di cuoio e l’altro di ferro, vengono presi in giro, ma quando la botte viene girata, dentro c’è una chiave di ferro con una lingua di cuoio. Hume dice alla fine che c’è qualcosa di razionalistico qui, se potessimo vuotare la botte del bello, c’è un elemento naturalistico-causale (chiave cuoio), ma non possiamo vuotare la botte, problema dei qualia, troviamo i neuroni, ma il fatto di provare quel piacere non me lo dicono i neuroni. I poeti della delicacy del gusto, se anche gli esperti non vanno d’accordo, ci si affida al giudizio del tempo (ragione debole), l’idea è come quella “chi vince ha ragione”, ma non è sempre vero. La bellezza, per Kant, non è una questione di statistica, ma è una questione di responsabilità del singolo, che vuole il riconoscimento degli altri, ma non è detto che la ottenga, ci deve essere universalità soggettiva basata su altro da un concetto. §8. L’universalità del compiacimento è rappresentata in un giudizio di gusto solo come soggettiva. Non è interessante per il logico, perché il logico bada solo alla forma dei giudizi (singolari, particolari, universali), e il fatto che il giudizio di gusto è singolare non gli dice nulla, invece, questa cosa è interessante per il filosofo trascendentale, che bada non solo alla forma di validità logica del giudizio di gusto, ma anche al suo principio di determinazione, nel riferirsi al mondo, permettere un’esperienza, il filosofo trascendentale si rivolge agli essere umani, non alle pure intelligenze, a chi oltre alla logica ha sensibilità, e fa esperienza sensibile. Il giudizio di gusto fa scoprire l’unione tra estetica e epistemologia, che si trova nella CG. Il compito critico della CG è dettato non tanto dall’estetica, quanto dalla necessità di capire come funziona la nostra conoscenza. Kant distingue il gusto dei sensi (caldo, freddo, piacere di un cibo) dal gusto della riflessione, c’è un hapax, percezione riflessa, simile a gusto della riflessione, il gusto della lingua è una percezione, ma la percezione riflessa non si ferma a questa, ma ha dentro di se un momento riflessivo. Ciò richiama il giudizio riflettente, che va a ricercare un universale a partire dagli oggetti particolari, è un giudizio che si appella ai singoli soggetti e a tutti i soggetti presi insieme, che far valere in modo universale, non per mettere capo ad uno scopo conoscitivo (giudizio riflettente per la conoscenza), ma a qualcosa che ci riguarda ciascuno nella nostra singolarità, che può fare esperienza di questa singolarità estesa a tutti i ciascuno, c’è sempre un chi, sia dalla parte del soggetto, sia dalla parte dell’oggetto, le opere d’arte sono trattate quasi come dei soggetti. Es. “prato ridente”, nessuno immagina che il prato rida, ma lo personifichiamo, ne parliamo come se fosse un soggetto. Talvolta Kant parla di giudizio estetico per alludere al giudizio sul bello e sul sublime. Talvolta invece dice, come qui, che sono giudizi estetici sia il giudizio dei sensi e sia il giudizio di gusto, ma non è vero, perché in realtà il giudizio dei sensi riguarda il piacere, però, qui vengono definiti entrambi estetici in quanto riguardano l’aistesis (i sensi). Nel primo paragrafo del primo momento Kant dice che la qualità estetica riguarda il soggetto, quindi posso dire che i giudizi di sensazione sono estetici, ma possono diventare logici, p.e. “il tavolo è bianco”, giudizio estetico, ma può diventare logico, i giudizi che sono irriducibilmente estetici parlano del mio io, del mio sentimento di piacere e dispiacere, non possono diventare logici, però ci sono tanti tipi di piacere, bisogna trovare se c’è piacere diverso da piacevole dei sensi e dal piacevole del buono (della realizzazione di un’azione). Di fatto possiamo discordare dei nostri giudizi di gusto, ma discordiamo perché siamo d’accordo sul fatto che stiamo facendo un giudizio di gusto. Il disaccordo presuppone già un accordo, un sentimento comune, che poi si specifica in un accordo o no, ma al suo interno, questo accordo non ce l’abbiamo con gli animali, perché abbiamo modi di vivere diversi. Pag.51 Per quanto riguarda la quantità logica, i giudizi di gusto sono tutti singolari. La quantità estetica è l’universalità, ovvero i sentimenti di tutti i soggetti, ciascuno preso singolarmente, ma tutti. Non c’è conoscenza determinata o oggettiva se non presupponiamo quel rapporto solo soggettivo (la soggettività è necessaria affinché vi sia l’oggettività). Ci deve essere una condizione universale della conoscenza, conoscibilità, ma il sentimento di questa anticipazione è il sentimento dello stato dell’animo delle mie facoltà conoscitive, se le facoltà trovano l’ambiente ospitale, proviamo il bello, diciamo che è sensato bello non ostile, e questo sentimento di piacere è comune in linea di diritto. Quando diciamo che un oggetto è bello, noi stiamo dando una particolare configurazione a quest’accordo delle facoltà conoscitive, non determinato già concettualmente, e al sentimento che ne ricaviamo, sentimento di piacere: bello. Bello e sensato o praticabile sono sinonimi perché l’esperienza è sia il territorio dell’intelletto, sia il territorio della ragione, il mondo mi viene incontro, sembra che io possa realizzare i miei progetti. Il 9 e il 21 sono paragrafi in cui Kant anticipa la deduzione del giudizio estetico, essi sono legati dal fatto che sec momento riguarda la quantità del giudizio estetico, ovvero la sua peculiare universalità, e, se c’è universalità c’è anche necessità, e la necessità è trattata nel quarto momento, in particolare nel paragrafo 18, nel 21 e nel 22. La linea generale della giustificazione dell’universalità del giudizio di gusto è legare il principio di determinazione del giudizio di gusto alle facoltà conoscitive, immaginazione e intelletto si devono accordare soggettivamente, ma pubblicamente (intersoggettivamente) affinché vi sia conoscenza empirica, ma non producono con accordo indeterminato conoscenza empirica, perché nella conoscenza empirica c’è il concetto che determina l’intuizione e viceversa. Non possiamo giustificare l’universalità dei giudizi di gusto dicendo che siamo uguali, o che siamo tutti esseri umani, ma l’universalità è fondata a livello trascendentale, sulla relazione tra le facoltà conoscitive, e Kant dice che il giudizio estetico deve ess comunicabile universalmente, ma ciò che è comunicabile universalmente è la conoscenza, e non c’è conoscenza privata, essa sarebbe un’allucinazione, e la conoscenza oggettiva prevede un accordo con l’oggetto e tra i soggetti. Senza un riferimento oggettivo è necessario pensare questo accordo prima di un concetto determinato, altrimenti conosceremmo solo ciò che ogni concetto determina del reale, invece, possiamo vedere p.e. una bottiglia come un prodotto industriale, uno strumento per bere etc., invece, se le nostre facoltà conoscitive si accordassero con quel concetto determinato, allora, non avremmo delle nozioni di bottiglia nei suoi differenti usi e aspetti, l’oggetto sarebbe isolato dal contesto e dall’esperienza, connettere un oggetto all’esperienza significa considerarlo in tutte le varie proprietà, che nessun concetto coglie in quanto tale, noi schematizziamo un oggetto in tratti pertinenti che fanno sì che l’intuizione sensibile abbia p.e. il significato di bottiglia. Il giudizio riflettente sistema gli schemi empirici a seconda degli oggetti, altrimenti avremmo bisogno di una specie di elenco di nomi propri, e non potremmo significare nulla senza vedere una cosa, invece, noi generalizziamo in base all’isolamento di alcuni tratti pertinenti, che vengono rifunzionalizzati da noi in modo efficace. Questi tratti pertinenti presuppongono, però l’accordo soggettivo tra le facoltà conoscitive, che mettono in relazione ciò che è determinato e ciò che non lo è sull’orizzonte di tutte le percezioni che possiamo avere, sentire questo accordo è sentire l’armonizzarsi delle nostre facoltà conoscitive. Questo sentimento, che è principio di determinazione del giudizio estetico, è un principio regolativo, costitutivo del giudizio estetico, è il sentimento di piacere o dispiacere, e giustifica la legittimità del giudizio estetico, ma così Kant scopre che il principio della facoltà del giudizio è la condizione di ogni presa conoscitiva, anche se non conosciamo nulla con il giudizio estetico, con il giudizio estetico il soggetto non predica nulla degli oggetti, ma senza la predicabilità delle proprietà di un oggetto, la conoscenza non potrebbe spiegarsi. C’è un legame tra estetica ed epistemologia, ma l’arte e i giudizi estetici non sono conoscibili in quanto tali, essi sono condizione di possibilità della conoscenza, il principio della facoltà di giudizio predispone la conoscenza possibile. Pag.53 Il giudizio estetico precede il piacere per l’oggetto stesso, ma lo precede in senso non temporale, ma logico. Il giudizio estetico non è fondato sul piacere, ma sull’universalità delle condizioni soggettive di giudicare su un oggetto, quest’universalità permette di giudicare gli oggetti, quindi, permette di avere la conoscenza vera e propria, la conoscenza è qui considerata senza riferimento ad un oggetto. Quando diciamo che un oggetto è bello, non diciamo nulla di conoscitivo sull’oggetto, parliamo del nostro sentimento, generato dalle nostre facoltà conoscitive, che presiedono ad una conosce vera; su ciò si fonda l’universalità del giudizio di gusto, e non sul fatto che biologicamente siamo tutti uguali, l’universalità dei giudizi di gusto è una questione non di fatto ma di diritto. È un’osservazione ovvia dire che se ci piace una cosa, ci piace condividerla; dal punto di vista psicologico, la bellezza goduta da soli è menomata, ci arrabbiamo quando non riusciamo a comunicare ciò che ci piace ad altri, la bellezza è un effetto psicologico che non può avere fondazione di universalità (fondazione a livello trascendentale), ciò che è psicologico non è necessario, il bello è universale di diritto, non di fatto. I giudizi di gusto sono necessari (qui c’è un’anticipazione del quarto momento). Nessuna combinazione di caratteri oggettivi è la bellezza, gli oggetti belli dipendono da come essi sono conformi alle mie facoltà, essi hanno caratteristiche oggettive, ma non c’è una regola che ci dice come comporle, come esse vadano addizionate, messe insieme. Dopo averci dato un cenno sulla deduzione (la conoscenza dipende da delle condizioni, che sono date dalla facoltà del giudizio, e c’è bisogno di un accordo soggettivo prima ancora di uno oggettivo) siamo a un livello animale se facciamo un giudizio estetico, prima ancora di vedere se i giudizi estetici siano possibili (deduzione del giudizio estetico). Kant aveva detto che avrebbe riservato a “sensazione” il significato di sensazione del senso estetico, e che avrebbe usato “sentimento” per indicare lo stato d’animo sentito, però poi se ne scorda, e continua ad usare “sensazione”. Che tipo di coscienza abbiamo di questo accordo delle facoltà conoscitive del giudizio estetico? Esterna o interna? Se essa è interna, allora essa è frutto di un’attività intenzionale, ci poniamo un compito conoscitivo, e lo portiamo a termine, quindi abbiamo la soddisfazione, ma l’accordo delle facoltà conoscitive nel giudizio di gusto non è intenzionale, non ci poniamo il concetto a cui una cosa corrisponde. “Schematismo oggettivo” è un hapax, prima Kant aveva parlato di “schematismo trascendentale”, e lo schematismo oggettivo presuppone che vi sia uno schematismo soggettivo. Lo schematismo oggettivo o trascendentale è lo schematismo che riguarda il modo in cui noi costituiamo i fenomeni, non c’è intenzionalità, ma esso è automatico, anche se questo schematismo non dà piacere; anche quando Kant parla di “schematismo empirico” (par 59), comunque si tratta di uno schematismo oggettivo, dove, però, c’è un’attività intenzionale, quando ricerchiamo qualcosa e la troviamo, allora proviamo soddisfazione, ma non quale piacere che è proprio del giudizio estetico. Con il giudizio estetico, determiniamo un oggetto fino ad un certo punto, ma non vi attribuiamo dei predicati. Il sentimento del bello è un ravvivamento vitale. Il bello è un’attività indeterminata, ovvero, che non è determinata da un concetto che ci dice come determinare il rapporto delle nostre facoltà conoscitive, infatti, il gioco delle nostre facoltà conoscitive è libero, esso non è determinato. “Concorde”→ Al paragrafo 7 dell’introduzione Kant parla del piacere estetico, dicendo che noi con la percezione non vediamo gli scopi, ma dobbiamo avere un concetto, che è la proprietà relazionale dell’oggetto con lo scopo, ma se sentiamo, nell’apprensione dell’immaginazione, un piacere, senza un concetto determinato, allora ciò vuol dire che quell’oggetto ha uno scopo nei confronti delle nostre facoltà conoscitive. “Una conoscenza in genere”→ Conoscenza empirica, quale che sia l’oggetto di questa conoscenza. Un giudizio oggettivo può solo essere “pensato”, non “sentito”, il rapporto dell’oggetto con lo scopo può essere solo pensato ma non sentito, anche se ogni raggiungimento di uno scopo dà piacere, quindi, siamo abituati a trattare gli oggetti classificandoli in generi e specie senza provare alcun piacere, ma, una volta, abbiamo provato piacere a scoprire per la prima volta lo scopo di un oggetto. Questo rapporto, oggettivo, che può essere solo pensato, senza suscitare alcun sentimento di piacere o dispiacere, è stato possibile solo grazie alle condizioni di possibilità della conoscenza, ovvero grazie al giudizio di gusto, e anche se oggi non proviamo alcun piacere nel ricollegare gli oggetti a una causa, una volta dobbiamo aver sentito quel sentimento di piacere che è nato dal fatto di essere stati capaci di unificare la natura in classi: specie e generi. Per quanto riguarda la conoscenza oggettiva, posso solo pensarla, non sentirla; se conosciamo veramente dobbiamo conoscere quali sono le condizioni soggettive del conoscere, e esse devono essere armonizzate, l’accordo delle nostre facoltà conoscitive deve darci piacere, dobbiamo sentire esteticamente questo accordo; anche se le facoltà conoscitive entrano in gioco anche quando il nostro intelletto va a conoscere gli oggetti, in questo caso, non badiamo al sentimento di piacere o dispiacere del fatto che la natura ci venga incontro, ma badiamo al risultato della nostra ricerca. Con la conoscenza oggettiva il sentimento di piacere o dispiacere passa in secondo piano, e, se non c’è conoscenza, cioè se non produciamo oggetti determinati, ma sentiamo il rapporto delle nostre facoltà conoscitive, allora, abbiamo conoscenza estetica di questo rapporto, se è indeterminato il concetto dell’oggetto, quindi, se la nostra rappresentazione non ha a fondamento un concetto. L’anima è diversa dall’animo: l’anima è qualcosa di cui Kant parla p.e. nella CRP, più precisamente, nella dialettica; l’animo, invece, è il luogo in cui avviene il libero gioco delle facoltà conoscitive, il nostro senso interno, e non è qualcosa di sostanziale. Il giudizio estetico è universalmente soggettivo e necessariamente singolare. “Proporzionata disposizione all’accordo”→ Espressione ritrovata nel paragrafo 21, in cui Kant parla di disposizione, in tedesco viene usata una parola che significa “voce”, “va bene”, “atmosfera”, “stato d’animo”. “Disposizione” è usata anche da Heidegger per dire “tonalità emotiva”, ed essa riguarda l’accordo, la disposizione dell’animo, o una cosa che riguarda voce universale, questo è un termine molto denso; la disposizione di cui qui si parla è quella delle facoltà conoscitive, che avranno una proporzione a seconda degli oggetti che conosciamo, nel paragrafo 21, Kant parla di una proporzione ideale che riguarda le facoltà conoscitive nella loro interezza, che risuonano in modo armonico, e questa proporzione è quella del giudizio estetico. Il bello è soggettivo non nel senso di idiosincratico, ma nel senso che ogni essere umano ha la facoltà di giudizio, Kant ritorna sulla questione che l’universalità del giudizio di gusto è da cercare nelle condizioni di possibilità della conoscenza, il giudizio di gusto è un giudizio fondato sul sentimento del rapporto delle nostre facoltà senza un concetto determinato, e questa è la conoscenza estetica, che riguarda solo gli esseri umani (sensibilità + intelletto), quindi, essa non è né di Dio né degli animali. Terzo momento dei giudizi di gusto secondo la relazione degli scopi che in essi è presa in considerazione. §10. Della conformità a scopi in genere. Il terzo momento riguarda la categoria di relazione, ovvero, la relazione degli oggetti con gli scopi. Kant passa in rassegna la relazione a scopi, partendo dalla definizione di conformità a scopi in genere o finalità. Kant con “scopo” intende “concetto peculiare”. “Questo”→ Concetto. “Quello”→ Oggetto. Talvolta conoscere un oggetto non significa pensare all’oggetto, ma quell’oggetto si può conoscere solo come effetto di un concetto, quindi, per conoscere l’oggetto, dobbiamo conoscere il concetto, e cioè, pensare lo scopo. Quindi, per immaginare un artefatto, cioè una cosa da fare, se ne fa un concetto di quella cosa, p.e. uno scaffale è pensato per contenere libri, quindi, uno scaffale è progettato per un concetto o scopo, e dobbiamo agire in funzione della realizzazione di quell’oggetto: pensiamo ad uno scopo e troviamo il modo di realizzarlo, quindi, il concetto è la causa dell’oggetto. esplorare ciò che mi sembra bello, indugiare, ed ispezionarlo in tutte le sue possibili proprietà, cosi come accade con le opere d’arte. Mi soffermo di più su un’opera d’arte che mi piace, non vengo a capo del quadro, quel quadro ha talmente tante proprietà, che vi indugio sopra; allo stesso modo, quando ascolto una canzone, ed essa mi piace, la riascolto perché mi piace, anche se la so. Nelle attrattive, non c’è il principio di determinazione del giudizio di gusto, anche se le attrattive sono alla base dell’attenzione, che comunque richiede un indugio, le attrattive accompagnano solo il giudizio di gusto, ma nelle attrattive l’animo è passivo, gode piacevolmente. Le attrattive hanno a che fare con il fantasticare: nell’osservare il fuoco p.e. non diciamo “che bello”, ma rimaniamo incantati, anche se magari pensiamo a altro, ma il movimento del fuoco ci dà l’occasione di fantasticare, non giudichiamo bello il fuoco, ma prendiamo spunto, ci sono attrattive rispetto a cui non prestiamo attenzione §13. Il giudizio puro di gusto è indipendente dall’attrattiva e dall’emozione. “Il giudizio puro di gusto”→ Kant avrebbe fatto meglio a dire che il principio di determinazione del giudizio di gusto nella sua purezza è indipendente da attrattive ed emozioni; nei giudizi di gusto effettivamente entrano le attrattive e le emozioni, ma esse non sono il principio di determinazione del giudizio di gusto. Le attrattive e le emozioni entrano nel giudizio di gusto in misura da scalzare il principio di determinazione dei giudizi di gusto, ma in tal caso essi distruggono il giudizio di gusto, poiché l’attrattiva non è né universale né necessario, ma ha a che fare con la psicologia individuale o con il fatto di rispondere ai bisogni o alla piacevolezza. Dice Kant che uno ha un gusto poco raffinato se valuta una scultura o un dipinto in base al fatto che c’è l’oro, in base al fatto che sbrilluccica, che vale, è costoso. C’è una provocazione o riflessione acuta di Damien Hirst nel suo scheletro che per materiale valeva di più, la sua opera rappresentava un modo di giocare sul valore dell’arte contemporanea e sul suo valore commerciale, essa rappresenta un gusto barbarico. L’attrattiva partecipa al giudizio di gusto, quindi, nel fare coincidere l’attrattiva con il principio di determinazione della facoltà di giudizio, c’è qualcosa di vero, però, se questo è portato fino in fondo, allora si distrugge il giudizio di gusto nel suo fondamento, poiché il giudizio di gusto così smette di essere disinteressato. Nella vulgata Kant guarda solo all’opera d’arte e non è attratto dalle emozioni, ma questo non vero, infatti, esse si accompagnano sempre al giudizio di gusto, ma non devono sostituire il principio di determinazione del giudizio di gusto. §14. Delucidazione con esempi. Questa delucidazione ha dato a Kant più problemi nella vulgata del suo pensiero, mentre lui cercava di farsi capire con esempi semplici di attrattive, questo è stato preso come base per determinare le sue teorie, ma il giudizio di gusto non si caratterizza con gli esempi, non è oggettivo, ma gli esempi facilitanti fatti da Kant sono diventati ostacoli. I giudizi estetici sono empirici e puri, e nel paragrafo 1 del primo momento Kant usa “estetico” per indicare ciò che riguarda l’aistesis, alcuni giudizi possono essere attribuiti agli oggetti, e si dicono logici, quelli che non sono attribuibili agli oggetti sono soggettivi. Quindi qui Kant usa “giudizio estetico”, ma in realtà sta facendo riferimento al giudizio piacevole. L’ornamento è un supplemento del bello, il supplemento, però, è il vero fondamento del bello, lo costituisce. §15. Il giudizio di gusto è del tutto indipendente dal concetto della perfezione. La sensazione, le attrattive e le emozioni sostanziano il giudizio di gusto, ma essi non devono scansare il principio di determinazione del giudizio di gusto. Il concetto è un altro aspetto che sostanzia il giudizio di gusto, i concetti fanno parte del giudizio di gusto, il bello nasce dal libero gioco dell’immaginazione e dell’intelletto, ma, il rapporto tra l’immaginazione e l’intelletto determina anche la conoscenza degli oggetti, la perfezione ha a che vedere con il giudizio di gusto, essa è scopo cui la cosa deve corrispondere; nel terzo momento, la relazione a scopi soggettivi è della piacevolezza attrattiva, la relazione a scopi oggettivi è quella dei giudizi conoscitivi, la perfezione. Il giudizio di gusto puro nel suo fondamento è un giudizio senza scopi soggettivi o oggettivi, sia gli scopi soggettivi sia quelli oggettivi accompagnano il giudizio di gusto, ma non prevalgono sul suo principio, essi non sono il fondamento del giudizio di gusto, altrimenti il giudizio di gusto sarebbe un giudizio determinante, non un giudizio estetico. Kant entra in polemica con i razionalisti, in quanto la bellezza è, per i razionalisti, fondamentalmente un concetto che noi, esseri limitati, non sappiamo cogliere nella sua distinzione, ma ci accontentiamo soltanto di concetti chiari non confusi, di quel “non so che”, che solo la mente di Dio può cogliere. Per Kant non è così, il giudizio di gusto per lui è indipendente dal concetto della perfezione, l’idea di perfezione era stata promossa da un autore che Kant teneva costantemente presente nei suoi corsi, Baumgarten, il quale può essere considerato come il fondatore dell’estetica, o almeno lui è quello che ha inventato la parola “estetica”, il logos ha la logica, l’aistesis ha l’estetica, l’estetica è il massimo della conoscenza. Comunque, Kant non abbraccia le idee di Baumgarten. Nel paragrafo 7 dell’Introduzione, Kant dice che se ho conoscenza di ciò a cui una cosa serve, esso è uno scopo nella mia percezione. Es. se so che una bottiglia serve a contenere acqua, guardandola dico che essa corrisponde a quello scopo, se non l’ho mai vista, non so lo scopo, quindi dico che essa è bella o no, ma non posso dire che essa è perfetta senza avere lo scopo. Senza uno scopo non ho alcuna conoscenza relazionale, poiché la conoscenza relazionale deve passare per i concetti ed è proprio la conoscenza relazionale che mi consente di giudicare la perfezione o l’imperfezione di un oggetto, posso apprendere un oggetto e riferirlo al sentimento di piacere o dispiacere, se non so a che cosa serve quell’oggetto, ma so che è bello. La conformità a scopi del giudizio di gusto, però, è formale, non è materiale, né di sensazioni né di concetti. Kant distingue tra la perfezione qualitativa e la perfezione quantitativa. La perfezione qualitativa dipende dal fatto che, se noi vediamo un cavallo senza una zampa, diciamo che esso non è qualitativamente perfetto, poiché gli manca qualcosa. Nella qualità c’è una rispondenza ad un concetto della cosa che noi abbiamo posto, p.e. una libreria è qualitativamente bellissima, nel senso di essere funzionale, ovvero di contenere tanti libri, di essere solida. La bellezza di un oggetto non dipende né da un aspetto quantitativo né da un aspetto qualitativo, ma da un sentimento, anche se la perfezione si può accompagnare al giudizio estetico di un oggetto, comunque essa non è a fondamento della bellezza, per esempio posso dire che un cavallo senza gamba, anche se non è perfetto, è bello, mi piace, indipendentemente dalla perfezione, p.e. posso dire che è bellissimo un quadro su un cavallo ferito. Kant fa una distinzione con molte interpretazioni (sopravvalutata), tra la bellezza libera e la bellezza aderente, o pulchritudo vaga e pulchritudo aderens, la pulchritudo vaga, è quella libera, in cui non teniamo conto di ciò che la cosa deve essere, mentre la pulchritudo aderens è il contrario. Per esempio, di un fiore che ci pare bello non pensiamo che esso sia l’organo riproduttivo delle piante, ma diciamo che è bello. Per Walton esistono delle categorie estetiche, noi giudichiamo le cose liberamente, ma lo facciamo anche in base alle categorie cui le cose appartengono: se una commedia fa piangere, essa ha fallito, se una tragedia fa ridere, anche, ci sono dei parametri, e la stessa cosa è detta da Kant. La bellezza per Kant è libera, ma posso tener conto di ciò che una cosa deve essere, che la bellezza sia libera o aderente, dipende dai principi che metto in campo, dall’uso che faccio delle mie rappresentazioni. La bellezza può essere, per esempio, dire che un uomo è bello in base ad una considerazione statistica, ma la bellezza può essere anche data dal fatto che io vedo trasparire nella figura di una persona una qualità morale, e questo tipo di bellezza è proprio solo degli esseri umani, i quali hanno la moralità. Quarto momento del giudizio di gusto secondo la modalità del compiacimento per l’oggetto. Instabilità strutturali del testo I 4 momenti seguono tavola dei giudizi e delle categorie, ci sono 2 momenti riguardanti il contenuto (qualità e relazione) e 2, logici, riguardanti la forma del giudizio (quantità e modalità). Per quanto riguarda la qualità, il giudizio estetico è universale, ed è uno strano tipo di giudizio, poiché esso non ha l’universalità di un concetto, che comprende l’universalità degli oggetti. Per quanto riguarda la quantità, il giudizio estetico è sempre singolare, p.e. “questo quadro è bello”, usiamo “questo”, non “qualche” o “tutti”, e di ciò che è singolare non si dà scienza. Per quanto riguarda la modalità essi sono necessari, e devono esserlo (oltre al fatto di essere universali) per poter richiedere un principio trascendentale, formale, logico, della facoltà di giudizio. Possibile, reale e necessario sono le categorie della modalità. Qua siamo nella modalità, ed essa può essere intesa in modi diversi, p.e. la contingenza (anche seconda parte) che può significare cose diverse secondo relazione e modalità. Queste linee di indagine non sono guide rigide, ma guide che Kant usa per porsi delle domande. §18. Che cosa sia la modalità di un giudizio di gusto. Qualunque raggiungimento di uno scopo è possibile che sia associato con il sentimento del piacere, il piacevole è qualcosa che provoca realmente piacere in me, “realmente” riprende il primo momento, in cui c’è il problema della realtà del piacere del bello diverso da altri piaceri (buono e piacevole). Del bello SI PENSA che abbia un riferimento necessario al compiacimento, quando diciamo che una cosa è bella, abbiamo la pretesa che esso sia bello per tutti gli altri: la necessità del giudizio di gusto è una necessità “strana”, né oggettiva né pratica. Kant ripercorre i tre tipi di piacere: bello, piacevole e buono. Buono è qui inteso in senso tecnico, non morale. Il buono morale è il sentimento del rispetto, che nel 1786 Kant aveva attribuito a CRPR e alla Fondazione della metafisica dei costumi, esso è un sentimento che accompagna l’agire secondo la legge morale, sentimento a priori, ma diverso dal sentimento del giudizio estetico. Anche i giudizi morali sono sintetici a priori, perché hanno una necessità soggettiva e sono universali perché rispondono all’imperativo categorico. La necessità del giudizio estetico è esemplare. La regola del giudizio estetico è una regola che non si può presentare, non posso costringere qualcuno ad adottarla, non ho forza coercitiva come necessità conoscitiva, ma c’è comunque la necessità di un accordo. “Disposizione” all’accordo, ci deve essere una proporzione, è tra immaginazione e intelletto, rispetto a una rappresentazione, per avere una conoscenza, perché, senza proporzione (condizione soggettiva dell’oggetto), non avremmo conoscenza di un oggetto. Ci deve essere questa proporzione, perché senza essa, non avremmo conoscenza, perché senza proporzione come condizione, la conoscenza come effetto non potrebbe esistere. Quando diciamo che uno usa poco la ragione, come dice Baumgarten, l’uomo razionale è ragione intesa in senso oggettivo, l’uso che il singolo fa della ragione. L’uomo è razionabile, potrebbe fare uso della ragione, ma spesso non lo fa. La ragione è un rapporto tra forze, la conoscenza è manifestazione di queste forze che esprimono la vita. Le facoltà sono messe in moto, quindi il sentimento nato è soggettivo. Il rapporto tra sensibilità, immaginazione e intelletto, le facoltà della conoscenza, o forze, genera il sentimento del bello. Baumgarten nella Metafisica, in un’altra direzione argomentativa, è di ispirazione per Kant, che per insegnare usava questo manuale, quindi la pensava un po’ come lui. Paragrafo 649 Baumgarten parla di ingegno, chiamato kopf, testa. L’ingegno è la proporzione delle facoltà conoscitive, ed essa prende il nome dai conoscibili per cui è adatta quella proporzione: c’è un oggetto e c’è una maggiore o minore appropriatezza di proporzione per quell’oggetto, p.e. testa matematica, c’è comunque una disposizione all’accordo. Nel paragrafo successivo Baumgarten fa l’esempio della testa matematica, della testa storica etc. Poi, Baumgarten dice che il genio non è la forza dell’anima, e, per Baumgarten, la proporzione, che è la corrispondenza tra causa ed effetto, ovvero la causalità, essendo qui una proporzione interna, ha a che fare con la vita e con la vita conoscitiva. Inoltre, Baumgarten prima fa tutto un discorso sulla stupidità e fa una distinzione tra chi è torpido e chi è vitale, vegeto, quindi la proporzione ha a che fare con un ravvivamento. Kant dice che il genio non è forza dell’anima perché, se così fosse, non avrebbe un oggetto determinato, ma il genio è il principio di ravvivamento delle altre forze, quindi, il senso comune è un principio di ravvivamento, e la conoscenza come effetto è di questo tipo. Baumagerten parla di testa universale, propria di chi è capace di passare da una testa all’altra, il genio, che è capace di muoversi da una proporzione all’altra, il genio è capace di avere un ravvivamento delle forze conoscitive in genere. Kant usa diverse terminologie di Baumgarten per tutt’altro scopo, ma comunque in Kant la proporzione non è nell’oggetto, ma nel soggetto, essa è il rapporto delle nostre facoltà rispetto a un dato oggetto, e non è definita una regola. Kant sta parlando in genere e non sta parlando di giudizio estetico ma di conoscenza. Anche se è la conoscenza in genere, Kant si chiede se c’è un sentimento più favorevole, ma questo senso non è individuale. Logica non estetica. Unica cosa che fa pensare estetica è, proporzione sentimento, ma il sentimento è tener per vero, quello estetico è diverso da quello logico. Il senso comune è molto importante per Kant, anche a livello politico, ma soprattutto a livello estetico. Il giudizio di gusto per essere universale deve essere agganciato al modo rappresentativo conoscitivo. È la questione della verità, dell’oggetto, ma anche della verità dell’oggetto. Il bello è antinomico, sta sia nella forma, sia nell’occhio, e in nessuno dei due, è sia universale sia soggettivo. §22. La necessità dell’accordo universale, che è pensato in un giudizio di gusto, è una necessità soggettiva che viene rappresentata come oggettiva sotto la presupposizione di un senso comune. Il giudizio estetico è normativo. Il giudizio estetico è esemplare, fonda la normatività di una regola, Francesco Calvo scrisse un saggio sulla questione delle leggi che si istituiscono, basato su Aristotele, in particolare, sull’Etica Nicomachea. “Epicheia” è la capacità di adattarsi alle circostanze: le leggi non possono essere stabilite per ogni caso, non si possono stabilire regole per applicare regole (regresso all’infinito), bisogna usare la capacità di adattarsi al caso, poi il caso può diventare normativo. Hannah Arendt, nel parlare di “giudizio politico”, riprende Kant, esemplarità=normatività. Ciò che è universale e oggettivo deve essere sicuro, ma non si può essere sicuri di un sentimento. Peirce critica il criterio logico di Cartesio, dicendo che l’evidenza non può essere un criterio. Peirce conosce Kant. Norma=concordanza è oggettiva. La norma indeterminata di un senso comune è presupposta. Si deve poter presupporre, non c’è mai una fondazione ultima in Kant, non c’è mai un assoluto. Qui ancora non si ricerca questa voce universale, già nel paragrafo 8 se ne parlava, non c’è un punto definitivo. Nel paragrafo 21 si parlava della fondazione della presupponibilità del giudizio di gusto, e qui si confondono giudizio estetico e presupponibilità. C’è un principio più alto che ci impone di avere come norma questo principio, il gusto è una facoltà innata o che deve essere acquisita. Baumgarten: ci deve essere una proporzione, gli ingenia in senso lato sono ingenia universalia o ingenia superiori, geni, non una forza superiore. Una parte è innata nell’ingegno, una parte, invece, è favorita dall’habitus e rende più facile esercizio del genio, che può passare da una testa a un’altra. Il genio sta nel linguaggio, lo anticipa, non viene copiato ma viene limitato. C’è un dubbio sulla sussunzione, il gusto non è una facoltà originaria ma una facoltà fattizia, il dubbio non è risolto. Costituzione di una comunità di giudicanti, è un dovere costituire comunità di giudicanti effettive. Affermazione di Kant in cui egli sembra aver giustificato il senso comune: nel paragrafo 21 Kant si era chiesto se il senso comune può essere ammesso con ragione, alla fine dice che sì, e anzi esso è condizione di ogni logica che non sia scettica; poi dice che non sappiamo se il principio del gusto sia naturale o artificiale, è un po’ naturale e un po’ artificiale: se fosse artificiale, sarebbe culturale, ma è condizione della cultura, allora non può essere culturale, allora deve essere naturale, ma se fosse naturale, se non dovesse essere realizzato come dover essere (etica), allora tutto sarebbe sensato, è garantito come dovere ma non come riuscita. Condizione di cultura, che va costruita però, il mondo non ci viene incontro, però esso non è neanche solo prodotto culturalmente, perché la cultura è strettamente legata a questo senso comune (cultura di abitudine, capacità tecnica che non assicura lo sviluppo della cultura come civiltà, e della disciplina, quindi cultura morale). Nota generale alla prima sezione dell’Analitica “La libera conformità a leggi dell’immaginazione”→ Noi pensiamo che essere conformi a leggi, significhi non essere liberi, ma l’immaginazione gioca liberamente con l’intelletto, l’immaginazione non è sottoposta ad una regola determinata, ma l’intelletto le dà solo la legalità in genere, le dà una norma indeterminata. L’immaginazione riproduttiva ha una sua funzione, ha la funzione di riprodurre delle sensazioni, delle intuizioni nel tempo in modo che noi le possiamo unificare, e poi grazie al concetto conoscerle. “Immaginazione produttiva e spontanea in quanto autrice di forme arbitrarie di intuizioni possibili”→ Non associa quello che si presenta empiricamente, ma dà forma all’empiria. “In maniera arbitraria” ≠ ”qualsiasi”, ma vuol dire che l’immaginazione si conforma ad un oggetto qualsiasi, ma , dirà più avanti, essa trasforma la natura. Anche un’opera d’arte non inventa forme mai viste, anche perché nessuno crea nulla dal nulla, l’immaginazione è sempre legata a ciò che ho visto ed esperito, quando l’oggetto dato riceve una forma, quella forma non la si ritrova più nell’esperienza, ma essa è data dall’immaginazione. “Apprensione” dell’immaginazione: peculiare sintesi non concettuale. L’immaginazione nell’apprensione della forma dell’oggetto è legata alla forma dell’oggetto, non come nell’immaginare (fantasticare). Fine pag.79 Gli oggetti belli non sono belli in sé, ma la loro bellezza dipende dalle nostre facoltà conoscitive, dall’apprensione dell’immaginazione: nelle belle vedute, il bello è legato all’oggetto, ma l’oggetto è distinto dal bello, ciò che conta e che determina il bello, non è l’oggetto di per se stesso, ma la cosa importante è che l’oggetto definito bello metta in moto l’immaginazione, la quale, nel libero gioco con l’intelletto, suscita il bello. P.e. i quadri di Turner sono belli, ma il paesaggio non ci fa vedere qualcosa di bello, si tratta di nebbie, fumi, cose impalpabili. Continua Kant dicendo che nelle belle vedute (non nelle cose belle), l’immaginazione non è legata all’apprensione di un oggetto, ma a ciò che dà l’occasione di immaginare e di fantasticare. Del fuoco o dell’acqua non diciamo che siano belli o brutti, non abbiamo l’apprensione dell’oggetto che giudichiamo, ma le forme evanescenti che tengono in modo immaginazione sono ciò di cui godiamo anche pensando ad altro. Magari un oggetto mette in moto una regola anche se indeterminata, un’organizzazione che non si può addurre, invece, il fuoco e l’acqua sono piacevoli perché liberano l’immaginazione e la fanno vagare. Bello di natura Noi apprendiamo la natura, non la facciamo come se fosse un’opera d’arte, possiamo trovare nella natura oggetti che sono come li avremmo fatti noi arbitrariamente, a tal proposito Kant parla di “favore della natura”: è come se la natura fosse un’opera d’arte. “Conformità a leggi senza legge” = “Conformità a scopi senza scopo” La contraddizione cade: la conformità a leggi senza legge è necessaria, altrimenti la conformità a leggi della libertà determinata sarebbe contraddittoria; la conformità a leggi senza legge, scopo, o regola determinata è veramente la libertà. Non c’è come criterio di conformità una regola a cui aderire, la regola semmai siamo noi con il nostro sentimento di piacere o dispiacere. Figure geometriche regolari, nella tradizione platonica e leibniziana erano considerate belle, si parlava di bello intellettuale, ma in questo caso si trattava di una conformità a scopi con legge. “Facoltà di esibire”→ Immaginazione. Possiamo stupirci delle proprietà in una figura geometrica qualsiasi, ma quelle proprietà le abbiamo prodotte noi a priori, esibendole nell’intuizione, il sentimento provato in questo caso non è il piacere ma il compiacimento intellettuale. Nel caso della bellezza geometrica non c’è un’apprensione immediata, ma c’è la forma dell’utile, c’è il piacere legato all’ utile: le forme geometriche sono usate per misurare la distanza di un pianeta, è buono nel senso di utile. Kant fa esempi di figure sbilenche, o di pareti sbilenche, che non possono essere utilizzate. Tuttavia, p.e. un’aiuola irregolare, pur essendo sbilenca, ha qualcosa che intrattiene la mia immaginazione, ed è per questo che posso ritenerla più bella di un giardino regolare. Kant, nel paragrafo 6 dell’introduzione, aveva parlato del compiacimento legato alla soddisfazione di un intento. Intrattenimento= indugiare; io sento il tempo stesso non come forma dell’intuizione, a priori, ma nel senso di tempo interno, soggettivo. L’animo è vita, esso è il sentimento di sentirsi vita, non la vita in senso stretto, ma la vita legata al fatto che abbiamo il corpo. Kant non trascura il corpo, anzi, fa l’elogio di Epicuro, nella Dialettica della Ragion pratica tesi e antitesi fra cui trovare sintesi sono Epicuro (la mente non conta niente, quando muori tu non ci sei, quando ci sei la morte non c’è) e gli stoici( io sono di me stesso, non mi preoccupo degli altri, lo stoico ride quando il padrone gli sloga il braccio, cosa disumana, teoria che nasce dalla considerazione che è come se l’uomo fosse puro spirito senza corpo), l’animo, dice Kant è il sentimento vitale, senza di esso non ci sarebbe neppure la vita, ci sarebbe solo la coscienza di esistere, ma non il sentimento di esistenza. Deduzione dei giudizi estetici puri. §30. La deduzione dei giudizi estetici sugli oggetti della natura non può essere diretta a ciò che in essa diciamo sublime, ma solo al bello. Il giudizio di gusto, cioè sul bello (uno dei giudizi estetici con quello sul sublime). I giudizi di gusto hanno bisogno di una deduzione legittima, si esercitano sugli oggetti con una loro forma, appresi come tali “questo oggetto è bello” il sublime, invece, non ha un oggetto, p.e. tempesta, non giudico la tempesta, la tempesta è solo l’occasione che fa sì che la mia immaginazione collassi, il sublime è un sentimento, esso non ha bisogno di giudicare, no ha una relazione con l’oggetto, l’oggetto è solo il pretesto che uso, l’oggetto non viene da me interpretato. Per quanto riguarda l’apprensione di un oggetto sublime, esso è privo di una forma e non è conforme a scopi, non devo giustificare la conformità a scopi senza scopo nell’apprensione dell’immaginazione (come accadeva con il giudizio di gusto), perché qui non c’è alcuna conformità a scopi. La deduzione è richiesta solo dai giudizi di gusto sul bello, che ha relazione immediata con l’oggetto appreso dall’immaginazione. Non è l’oggetto che giudico come sublime, ma il sublime è il sentimento che provo dopo quello di dispiacere che mi aveva fatto sentire la mia inadeguatezza rispetto alla grandezza e alla potenza della natura, il sublime mi fa sentire il soprasensibile, mi fa sentire l’esigenza della mia ragione che si estende verso la totalità. §31. Del metodo della deduzione dei giudizi di gusto. Necessità esemplare nel giudizio di gusto. Universalità soggettiva. Vale la pretesa dell’universalità, ma non abbiamo la certezza dell’effettiva riuscita di questa pretesa, Io devo giustificare la legittimità della pretesa del giudizio estetico, che non si basa su concetti, ma che avanza la pretesa di un’oggettività simile a quella dei giudizi di conoscenza, universali e necessari. Nel giudizio estetico abbiamo un’universalità soggettiva, non dobbiamo estrarre precetti o regole ed estenderle agli oggetti della stessa specie, il bello non è un predicato dell’oggetto, e la sua necessità è solo esemplare, non è esplicitabile in una regola, però esso avanza la pretesa legittima di universalità e necessità, ha bisogno di deduzione. La natura qui non è considerata come insieme di oggetti dati in generale, come nella CRP, a priori, ma è considerata dal punto di vista della facoltà riflettente di giudicare. Che cosa posso conoscere? CRP Che cosa debbo fare? CRPR In che cosa posso sperare? CRPR Il giudizio estetico è un giudizio singolare, ciò che riguarda un oggetto, non alcuni o tutti. “Forma”, esclusa la materia, cioè concetti e sensazioni. Il compito della deduzione dei giudizi di gusto nasce dal fatto che io devo giustificare la facoltà di giudicare in genere, facoltà riflettente di giudicare (quella determinante come purezza si dà al livello trascendentale, e non distingue tra un fenomeno e l’altro o si dà nella sua concretezza insieme al giudizio riflettente, come un misto di universali già dati e particolari da comprendere sotto un universale non dato). “Autonomia” o “eautonomia” dare regola a se stessi, non prenderla da altri o da una statistica. Il giudizio di gusto ha un’universalità che si estende a tutti soggetti, il giudizio è “questo è brutto” non “tutti” o “nessuno”, ma “questo”. Il giudizio di gusto ha due peculiarità logiche: universalità e necessità, se astraiamo dal contenuto del giudizio di gusto (il sentimento di piacere), dobbiamo giustificare queste peculiarità, allora paragoniamo la forma del giudizio estetico a quella dei giudizi oggettivi. Il compito di Kant per la deduzione è quello di spiegare le due peculiarità del giudizio di gusto, il metodo è astrarre dai giudizi estetici il contenuto (sentimento) dal punto di vista logico, essi hanno la stessa forma dei giudizi conoscitivi (universalità e necessità), però l’universalità è soggettiva e la necessità è esemplare, e parliamo sempre di giudizi singolari. §32. Prima peculiarità del giudizio di gusto. L’accordo da parte di ciascuno è una proprietà irrinunciabile della conoscenza oggettiva. Kant deve escludere la piacevolezza per mettere in luce l’universalità del giudizio di gusto. Se il giudizio di gusto non è soggettivo, però, (Kant aveva escluso la piacevolezza) allora esso deve essere oggettivo, invece Kant cerca un terzo modo di giustificare la pretesa di validità dei giudizi soggettivi (ma non idiosincratici). Non è la nostra conoscenza a regolarsi sugli oggetti, ma sono gli oggetti a regolarsi sul nostro modo di apprenderli, questo era il cuore della questione sui giudizi sintetici a priori. Il problema del giudizio di gusto, infatti, rientrava nel problema di come fossero possibili i giudizi sintetici a priori, ovvero i giudizi che anticipavano il fatto, che non poteva essere ricavato analiticamente dal concetto dell’oggetto, ma che rientrava comunque costitutivamente nell’oggetto. “Da sé” autonomia. A priori è il principio della facoltà di giudizio non il giudizio. Un giudizio, inoltre, può anche non essere pronunciato, infatti, Wittgenstein dice che un vestito bello una persona se lo mette spesso, non c’è bisogno che dica che esso è bello, il giudizio estetico in questo caso è implicito. Quindi, il giudizio sul bello è implicito ogni qualvolta io scelgo una cosa e passo tanto tempo ad interpretarla, perché ciò vuol dire che essa è una cosa che io apprezzo. Kant fa l’esempio di un giovane poeta che cambia opinione per far piacere agli altri, ma senza condividere quell’opinione, esso si unisce al branco letterario. Poi, Kant dice che la facoltà di giudizio si è “affinata”, il che implica che la facoltà di giudizio sia naturale, ma che sia costruita culturalmente, va raffinata. L’eteronomia è sempre da escludere, in tutti i campi, anche la religione. Infatti, anche i comandamenti religiosi sono considerati indegni o insignificanti, perché, presi come comandamenti di una latra fonte, a cui la mia ragione non aderisce, e siamo nell’eteronimia, se, invece, la morale si concilia con la religione, allora va bene seguire i comandamenti va bene. La cultura è importante nel giudizio di gusto, un conto è seguire qualcosa o qualcuno, un conto è imitare, non si deve scimmiottare, ovvero fare come fanno gli esperti. Kant esalta l’autonomia, il fatto di ragionare con la propria testa, pensare autonomamente significa confrontarsi con i giudizi degli altri, anche con gli esempi del passato, ma non bisogna delegare la ragione e il nostro sentimento di piacere o dispiacere allo spirito di gruppo, questo sarebbe conformismo, il dissenso, invece, è fondamentale per il sapere comune. “Classico” deriva dalla classe dei patrizi romani, qui indica l’aristocrazia di scrittori Per quanto riguarda i matematici, invece, non è che essi non vadano considerati, e non li imitiamo, ma, semplicemente, quando apprendiamo le cose della matematica, apprendiamo processi, teoremi, dimostrazioni, che matematici prima di noi hanno scoperto come tali, non ricominciamo ogni volta da capo, dobbiamo capire p.e. quel teorema, e attingere alle stesse fonti che hanno permesso alle fonti in vari campi di scoprire ciò che hanno scoperto. Poi, Kant illustra la sua concezione di esempio. La religione è autonomia, altrimenti essa sarebbe superstizione. L’opera d’arte, per esempio, ha un forte senso di esemplarità, un esempio non è un concetto già enunciato, membro di una classe di concetti, l’esempio è qualcosa che non so cos’è, ma da cui traggo esempio p.e. imitatio Christi: Cristo non appartiene ad una classe di Cristi, non possiamo dare una definizione di Cristo, essa sarebbe qualcosa che mi definirebbe passivamente, dobbiamo pensare a Cristo per attingere alle sue possibilità, dobbiamo pensare a come avrebbe agito in tempi moderni e fare qualcosa di analogo per seguite il modello di Cristo. Nella conoscenza posso fare a meno di esempi e applicare direttamente le regole, anche se gli esempi aiutano, ma per il gusto non ho regole da imparare, ho solo gli esempi. §33. Seconda peculiarità del giudizio di gusto. Contrario di prima, ora è come se la facoltà del giudizio fosse puramente soggettiva. Non posso fare un giudizio di gusto in assenza della cosa, mentre nella conoscenza posso farlo: p.e. i giudizi di storia o della scienza naturale possono essere fatti in assenza di prove ostensibili; la conoscenza è trasmissibile, il sentimento di piacere o dispiacere no, devo vedere l’opera d’arte per dire se essa mi piace o no, Nessun argomento empirico o logico riesce a trasmettermi questo sentimento, non sono sufficienti né prove a priori né prove a posteriori, la bellezza si argomenta, ma non trova argomenti dimostrativi oggettivi. Batteux e Lessing era uomini colti, intelligenti, d’arte, Batteaux per primo ha parlato di sistema delle arti, possiamo citare anche tutte le loro regole, ma, se una cosa non mi piace, non mi piace. Il giudizio di gusto richiede la “prova dell’assaggio”, nel gusto uno mi può anche dire che una cosa sia buonissima, ma (da gusto a lingua) la soggettività è permanente, ed essa non può essere sostituita da un altro: i nostri gusti possono essere diversi. Dialogo a distanza con Hume, che scrive “The standard of the taste”, in cui c’è la “prova dell’assaggio”. Per dare un giudizio singolare, come è il giudizio di gusto, devo farlo io, in prima persona, non posso estendere ad altri soggetti una proprietà, perché il bello non è una proprietà di alcuni oggetti, nei giudizi di gusto non c’è alcuna trasmissione, a differenza dei giudizi di conoscenza. Dobbiamo salvare universalità e soggettività del giudizio di gusto, senza farle diventare esclusive, Kant, nell’idea di libero gioco di immaginazione e intelletto, mette l’idea che noi siamo immersi in un mondo di oggetti, con proprietà indefinite, e, anche io, che sono un soggetto distinto dagli oggetti, ma io distinguo gli oggetti solo dopo il proporzionamento delle mie facoltà conoscitive, quando metto in gioco un concetto preciso, quando lo apprendo immaginativamente, apprendo questo oggetto, p.e. un oggetto medico, ma il presupposto è che siamo in un mondo condiviso, c’è il sentimento comune di condividere il mondo di cui siamo parte e, lavorando su questo mondo, possiamo concepirci come soggetti e oggetti. §34. Non è possibile alcun principio oggettivo del gusto. Differenza tra norma e precetto, il giudizio di gusto è normativo, non prescrittivo, non ha precetti o prescrizioni, però, esso è universale e necessario. Il bello è comunque posto a parole mediante argomenti, quindi non è che gli argomenti non ci possano essere e che sia tutto empiria. C’è solo una regola che non si può addurre, ma faccio appello su di essa quando io, soggetto, rifletto sul mio sentimento di piacere o dispiacere. Riflettere significa ricondurre un particolare sotto una regola universale, nei giudizi conoscitivi è dato l’universale, nei giudizi di gusto, invece, devo riflettere su qualcosa di singolare, il sentimento di piacere o dispiacere, e devo trovare un universale, quindi non qualcosa di concreto, ma non si tratta neanche di una regola determinata, bensì una regola indeterminata. che è condizione di comunicabilità dello stato d’animo, il sentimento della vita, il rapporto delle facoltà della conoscenza, prima di ogni proporzione per una conoscenza specifica. Le due peculiarità del giudizio di gusto sono da un lato che è come se il giudizio fosse oggettivo e dall'altro che è come se esso fosse soggettivo, ma non è nessuno dei due, quindi, la deduzione dei giudizi estetici è una deduzione che Kant inserisce nel problema generale dell'impresa critica di come sono possibili i giudizi sintetici a priori, ma nel senso che quello che viene anticipato a priori dal soggetto non è il piacere che si ricava dopo aver visto un oggetto, ma la comunicabilità universale del piacere. §38. Deduzione dei giudizi di gusto. Deduzione vera e propria, breve, perché già preparata ampiamente nei paragrafi precedenti. “Conforma”→ Non è caratteristica dell'oggetto ma è un nostro modo di far uso delle facoltà senza dotarle, nel loro rapporto, di un contenuto, di una materia, in questo caso, né di una sensazione né di un concetto. Giudicare=universalità e necessità. La facoltà di giudizio non è legata né ai concetti né alle sensazioni. Il legame che Kant stringe tra la deduzione dei giudizi di gusto e le facoltà conoscitive per una conoscenza di oggetti empirici in genere è stretto. Kant fa equivalere quel piacere del bello, non del piacevole o del buono, che è l'effetto della conformità soggettiva a scopi della rappresentazione di un oggetto, al rapporto delle facoltà conoscitive nel giudizio di un oggetto sensibile in genere. Quel piacere è il sentimento della conformità formale a scopi senza uno scopo determinato, la conformità soggettiva a scopi o la conformità formale a scopi Nella nota Kant dice che fondamentale è dire che i soggetti sono uguale rispetto alle facoltà conoscitive, altrimenti ognuno vivrebbe solipsisticamente nel suo mondo e non comunicheremmo tra di noi, quindi, avrebbe ragione lo scetticismo, con l'unico problema che, se avesse ragione lo scetticismo, noi non ce lo potemmo dire: la comunicazione non avrebbe senso per noi. Nota: la deduzione dei giudizi estetici e di gusto si appoggia all’idea che la conoscenza sia universale, ma l’idea che la conoscenza sia universale, ovvero, comunicabile è resa possibile dall'accordarsi delle facoltà conoscitive senza un concetto determinato, prima di ogni conoscenza determinata, prima di ogni conoscenza (prima condizione di ogni conoscenza). Sensazioni e intelletto non sono i principi di determinazione della facoltà di giudizio, perché il principio della facoltà di giudizio non può essere un concetto, come è stato già dimostrato, e non possono esserlo neanche le sensazioni, poiché esse possono essere diverse in ciascuno di noi. Seppure sbagliamo a far valere come principio di determinazione un principio diverso da quello puramente formale, ciò non toglie che di diritto, non di fatto, la deduzione di kant resta valida. Nota Pag.127 La difficoltà che Kant aveva incontrato nella CRP, nella deduzione trascendentale, era quella di dimostrare come i nostri concetti a priori si accordassero con gli oggetti, mentre per la sensazione era stato facile, perché la sensazione implica essere affetti dal reale, era difficile dimostrare come i concetti potessero dare una struttura al reale, e questo era stato il compito della deduzione trascendentale delle categorie. La deduzione della CG, invece, è più facile perché qui non c’è il problema della costituzione degli oggetti dell’esperienza, non dobbiamo dimostrare che un concetto formi gli oggetti dell’esperienza, e ci possiamo sbagliare nei fatti, ma il problema qui è quello di riconoscere la validità in linea di diritto della facoltà di giudizio. È difficile fare la deduzione dei giudizi estetici, perché il principio della facoltà di giudizio non è dimostrabile, e ci si può ingannare, perché non c'è una verifica empirica, dal momento che questo accordo non è la sussunzione sotto un concetto, verificabile nell’ispezione dell’oggetto, non possiamo dire “ecco la bellezza” come “ecco il rosso”, la bellezza non è una proprietà oggettiva. I giudizi di gusto sono intersoggettivi, pubblici, e riguardano un sentimento che abbiamo in comune e che dobbiamo poter aver in comune, se la conoscenza è possibile. “Sensazione”→ Termine generico, dovrebbe essere riservato al sentimento e al bello. Se dico che un tavolo è di tot gradi, ma non è vero, non metto in dubbio il mondo oggettivo, non metto in dubbio la legittimità della conoscenza, mi sono solo sbagliato, allo stesso modo, se non mi riferisco al principio della facoltà di giudizio in modo giusto (cosa non verificabile), ciò non inficia sulla legittimità del giudizio di gusto. §39. Della comunicabilità di una sensazione. Kant ripete la questione della comunicabilità di una sensazione (termine generico, cosa che dovrebbe essere riservata al piacevole) Kant vuole spiegare quando la sensazione è comunicabile nei 4 casi: il piacevole, il buono, il sublime e il bello. Per quanto riguarda il piacevole, la sua comunicabilità non è per niente garantita, sia perché posso sentire o no l'odore della rosa (magari il mio senso dell’olfatto è attutito), sia perché non so come l'altro sente l'odore della rosa. La comunicabilità è garantita bel buono perché c'è un concetto che ne garantisce la comunicabilità, il rapporto con piacere non è immediato, ma lo è nel soddisfacimento dello scopo, ogni intento realizzato porta con se il piacere. Il sublime garantisce la comunicabilità, ma presuppone una cultura morale (la coscienza è una destinazione soprasensibile), ma la cultura morale non è presente in tutti Il piacere per il bello non è il piacere del godimento (piacevole), né il piacere di un’attività in accordo con leggi (buono utile o morale), né il piacere della contemplazione ragionante secondo idee (sublime), ma è un piacere della semplice riflessione. L’apprensione è la sintesi dell’oggetto mediante l’immaginazione, prima che intervenga l’intelletto “Più comune esperienza”→ Mediante l’analisi dei giudizi estetici, ovvero i giudizi del bello e del buono, le condizioni che Kant mette in luce sono valevoli anche per la più comune esperienza. Gadamer in “Verità e metodo” sosteneva come altri, ma in modo autorevole, che Kant avesse separato la tradizione umanistica di Vico etc., legata al senso comune, a qualcosa di sociale, comunitario, e l’avesse messa in una sfera separata, creando la coscienza estetica, l’estetismo, separato dalla vita. Ma le cose non stanno così, Kant ci ripete anche qui che non vuole separare l’esperienza del bello, ma vuole mettere a fuoco, in maniera separata dai principi pratici e empirici, il principio del giudicare estetico, che rende possibile ogni modo di giudicare, anche se, quando valuto la conformità a scopi formale di una situazione nei confronti delle facoltà soggettive, si parla di estetica quotidiana, poiché non identifico opere d’arte o cose eccelse, ma dico solo che le cose vanno bene, non mi urtano, sono a mio agio, in una condizione favorevole, rispetto alla conoscenza di oggetti dati in genere. Rispetto alla questione sulla bellezza artistica, che si pone come cosa diversa dall’esperienza quotidiana, essa viene affrontata quando Kant parla di “arte bella”, di idee estetiche, del genio etc., finora parlava di arredamento, giardini, stanza etc., che non ci sembrano male ma di cui non stiamo in “contemplazione religiosa”. L’immaginazione e l’intelletto entrano in gioco per un concetto empirico nel caso della conoscenza. “Armonia”→ Libera conformità a scopi. “Proporzione”→ Ripresa da Baumgarten, nel paragrafo 21 ma già accennata anche nel paragrafo 9. “Comune e sano intelletto”→ Analizzato nel paragrafo 49. Questa condizione dei giudizi estetici, per esempio dire che qualcosa sia bello o sia brutto, deve essere la condizione per il comune e sano intelletto, che è legittimo presuppore ci sia in un essere umano, come diceva Cartesio. Cavell, negli anni 60, riferito a Kant, diceva in che caso un interlocutore si può definire affidabile, facendo un esempio sul disaccordo kantiano: io dico che una cosa è bella e un altro mi dice che quella cosa è brutta, quindi, non siamo d’accordo, ma quell’interlocutore è affidabile, comunichiamo. Qui si conclude la deduzione, essa è concentrata in questi 10 capitoli (dal 30), e sembra essere una deduzione che non possa essere mai conclusa, così la pensa Kant, la ritroviamo prima (paragrafo 9 e paragrafo 21), poi, nella dialettica, dice “se siamo sulla via giusta”, quindi la dialettica non è conclusa, e forse non può essere conclusa perché questo principio è originariamente naturale, ma va anche coltivato. §40. Del gusto come di una specie di sensus communis. Digressione sul criticismo. Kant riprende il tema del comune sano intelletto e del contributo che a questo intelletto danno sia la facoltà di giudizio, sia l'intelletto stesso e la ragione. Anche noi parliamo di senso della giustizia, della verità, del decoro etc., ma non di senso del gusto, bensì di propensione al gusto. Parliamo spesso di senso di verità etc. usando “senso”, che ha una “meravigliosa ambiguità”: da una parte il senso riguarda i sensi, la sensibilità umana, e, dall'altro, esso riguarda il significato, lo scopo, e non è legato ai sensi. In questo caso, si guarda più al risultato, anche a proposito di un bambino parliamo di senso della giustizia, se per esempio egli si è ribellato a un’azione ingiusta, ma, cose come la giustizia non derivano dai sensi. “Sensus communis”→ Il senso comune è come il precipitato o il residuo della conoscenza motivata, della conoscenza vera e propria. Tutti i proverbi p.e. hanno ragione, a volte, e fanno parte del senso comune, come p.e. anche le chiacchiere da bar, questa è un’accezione di senso comune nel senso di senso “vulgare”, non verificato ed esaminato, quindi molto comune. C’è un’altra accezione a cui Kant tiene, diversa da questa, ovvero senso comune come un senso che abbiamo in comune e che condividiamo. Nel paragrafo 21 Kant si era chiesto se fosse ragionevole ammettere un senso comune? Ora dice di sì, che è ragionevole. Kant allude alle 3 massime che sta per esporre. Capoverso successivo: 1. pensare da sé; 2. pensare mettendosi al posto di ciascun altro; 3. pensare sempre in accordo con se stessi. Facoltà di giudicare che nella sua riflessione (autonoma, prima massima) che riguardo nel pensiero al modo rappresentativo di ogni altro (seconda massima) per mettere a fronte, per così dire, il suo giudizio con la ragione umana nel suo complesso e con ci sfuggire a un’illusione che, sulla base di condizioni soggettive private che potrebbero essere tenute facilmente per oggettive, avrebbe un’influenza svantaggiosa sul giudizio (terza massima). La prima massima è la massima che, come dirà tra poco, è dell'intelletto, Kant definisce l’Illuminismo come lo stadio in cui la ragione umana è uscita dallo stato di minorità in cui la ragione si trova a causa di se stessa, cioè incapacità di pensare con la propria mente, autonomamente, autos nomos, dandosi la regola prendendola dal pensiero, non da Con il paragrafo 39 finisce la deduzione dei giudizi estetici, ma Kant non dice mai quando finisce, l’argomento della comunicabilità di un sentimento, ovvero, l’argomento della deduzione, ritorna anche qui. Kant dice che la conoscenza consiste nell'armonizzarsi dell'immaginazione e dell'intelletto, nella sussunzione dell’esperienza sotto un concetto determinato. La coscienza estetica è diversa dalla coscienza in generale, essa è la coscienza non di esistere, ma di sentirsi vivi. “Dovere”→ Questione che sembra rimandare al paragrafo 22 (artificialità e naturalità), perché il fatto che sia sì una condizione originaria ma che richieda una sua coltivazione, rimanda a sua storicità e ad un dovere etico, Kant, dopo aver messo al sicuro il principio di determinazione del giudizio di gusto avendo dimostrato che il principio di gusto è puro (se non ha dentro di se sensazioni e concetti), dice che questo principio si può legare dopo ad interessi, ma non è sentito immediatamente in vista di un interesse, grazie al fatto che io ho interesse e provi piacere nel soddisfarlo, ma il fatto che si associ ad un interesse è del tutto accettabile. Nei paragrafi 41 e 42, Kant analizza che tipo di interesse si può associare al giudizio di gusto, una volta che il principio del giudizio di gusto è stato messo al riparo. §41. Dell’interesse empirico per il bello. Kant analizza due tipi di interesse. Il primo è quello legato alla socialità o società. Se qualcuno fosse solo su isola deserta, dice Kant, non ornerebbe la sua capanna, Kant vuole dire che, dal punto di vista empirico e psicologico, io voglio condividere questo piacere, non solo lo status, voglio far vedere a qualcun altro come è bella la mia capanna. Il primo tipo di piacere, quindi, è legato al bisogno ed alla capacità di comunicare questo bisogno con altri. Questo piacere non richiede la comunità (condizione trascendentale a priori, possibilità di comunicare), cosa diversa dalla comunicazione (cosa di fatto), condizione a livello empirico, questo piacere interessa la comunicazione: io voglio comunicare veramente, non a livello trascendentale, il mio piacere. Diletto = piacevole Qui c’è, però, un salto in una dimensione di diritto, ad una comunicabilità universale (idea). Nel passo seguente, dopo l’idea di comunicazione che parte dal piacevole, nella quale l’idea di parentela con la moralità è dubbia, Kant afferma che serve un interesse diverso, intellettuale, per il bello, interesse di cui parla al paragrafo 42, stabilendo una mediazione e una continuità nei fatti, e non nei principi, tra bello e buono. Il punto principale del paragrafo, oltre al principio di determinazione del piacere, già assodato, è un interesse di tipo morale, che si aggiunge al piacere in alcuni casi, legati al bello naturale, non al bello artistico, l’apprezzamento della natura è indice di un uomo buono, ma anche il bello artistico ha legami con la moralità. Per quanto riguarda il bello artistico, Kant non parla ancora di “arti belle”, ma forse egli qui fa riferimento al soddisfacimento di uno scopo, di uno scopo che pertiene all’arte umana. Tuttavia, se un oggetto fa qualcosa che mi piace, ma quell’oggetto è stato costruito per piacermi, quindi esso è stato costruito con un’intenzionalità, allora io non mi stupisco più del fatto che quell’oggetto mi piaccia, ciò che mi sorprende e che mi fa ammirare la natura, da un punto di vista morale, sulla base di un apprezzamento estetico è che essa non è stata progettata da nessuno, ma sembra che essa lo sia stata, questo piacere non me lo dà il bello artistico. Ma, nell’arte bella, non tutto dipende da chi fa l’opera, bensì vi rientra la natura del soggetto, quindi, non solo le intenzioni dell’autore, ma anche l’elemento naturale. §42. Dell’interesse intellettuale per il bello. Gli artisti spesso sono egocentrici, narcisisti, capricciosi etc., quindi potrebbe sembrare strano che al sentimento del bello si associ un elemento morale. Qui (“ora […] anima buona”) Kant limita il piacere disinteressato alla natura, poi lo estenderà anche all’arte. Il bello suscita un interesse immediato, non mediato da un oggetto, il piacere è il rispetto dell’esistenza delle cose diverse da noi, naturali (il farro non lo rovino, per esempio, non per mangiarlo, ma per rispetto). Così come il sublime richiede la solitudine, la richiede anche l’interesse morale per il bello, che è il contrario dell’interesse empirico per il bello. L’interesse morale per il bello è l’interesse per l’esistenza della cosa, è un interesse disinteressato per i propri scopi, ma un interesse immediato per la natura. Pag.136 Vanta interesse empirico per le cose belle. “Flusso i pensieri…” La caratteristica delle idee estetiche è che esse non sono dei concetti, ma (come si dice a paragrafo 49) esse sono rappresentazioni dell’immaginazione che danno occasione di pensare molto senza che nessun pensiero determinato sia loro adeguato, ho delle rappresentazioni dell’immaginazione, che costringe il mio pensiero ad allargarsi, a produrre concetti senza che essi possano mai arrivare a esaurire l’immaginazione. Se veniamo a capo di qualcosa, non abbiamo più nulla da pensare di quella cosa. Se un’opera d’arte o una rappresentazione della natura è esteticamente provocante, essa dà da pensare, arresta la mia attenzione, non ne vengo capo, essa è una rappresentazione immaginativa troppo ricca rispetto ad un concetto determinato che posso produrre per capirla; torno sempre alla stessa cosa perché non l’ho esaurita, c’è un nucleo denso che non riesco a classificare, che eccede l’intelletto e ne estende i concetti, si costringe l’intelletto a pensare ad una serie infinita di concetti che l’intelletto non riesce a concepire. “L’intelletto ha una grana troppo grossa rispetto a quella densa e fine del bello.” Ci sono troppe proporzioni nel bello da poter essere affermate in forma linguistica. È questo uno dei motivi per cui è difficile scrivere bene di arte e poesia senza mai essere retorici, vuoti e prevaricanti. Il rispetto è l’unico sentimento a priori morale, e si tratta del rispetto per il comandamento morale dentro di me. Le idee della ragione non possono avere una realtà oggettiva, esse sono dei concetti di totalità, incondizionato, nella realtà incontriamo solo il condizionato, il limite, non la totalità. Il problema della CG è realizzare nel mondo condizionato i nostri piani morali, le nostre azioni con un’origine incondizionata, dobbiamo poter immaginare che le idee della ragione possano essere realizzate nella realtà oggettiva. Le idee della ragione sono idee che aspirano alla totalità, per esempio, il concetto di Dio, che è diverso dall’idea di un libro p.e. Di Dio non posso dimostrare l’esistenza, non posso dire nulla di Dio per conoscerlo, ma forse posso dire qualcosa per pensarlo meglio. Per pensare meglio un’idea di qualcosa di condizionato, devo dare a quel qualcosa una realtà simbolica. Dobbiamo poter sperare che le idee che abbiamo oggettivamente, quindi in astratto, si possano realizzare nel mondo della natura, non libero, e, quando il sentimento estetico, legato al bello, trova in natura qualcosa di bello, che va incontro alle sue facoltà, nonostante esso non sia stato disegnato da qualcuno (il sentimento estetico non dipende da un concetto, ma è il segno dell’accordo tra il mondo naturale ed il mondo della libertà), l’interesse morale per il bello è così ravvivato, come se nel bello vedessimo realizzate le idee morali, come se fosse a vantaggio della nostra moralità, anche se non è cosi, come se vedessimo traccia del favore della natura nei nostri confronti, non solo fenomenici ma anche noumenici (noi vogliamo la libertà). C’è un legame tra il piacere disinteressato e la bellezza naturale: la natura ci piace perché non è stata costruita da noi. È come se, quando ammiriamo la natura, ci sembrasse che essa non sia così com’è casualmente, ma essa si rivolgesse a noi. Pag.138 Per così dire Come se la natura ci parlasse (la vista e l’udito sono sensi privilegiati perché ci consentono di avere una distanza dalle cose, rispetto a odorato, tatto e gusto, che invece, secondo Kant, ci coinvolgono). Non sappiamo nulla delle intenzioni della natura, ma il canto degli uccelli sembra fatto per le nostre orecchie. Arthur Danto prende questo passo della CG e rovescia quello che dice Kant, dicendo che è l’opposto, a Danto non interessa l’usignolo vero, la natura, ma l’imitazione dell’usignolo, l’estetica della natura è per lui diversa dall’arte, perché ha a che fare con i concetti. In Kant ci sono 2 estetiche, l’estetica della natura e l’estetica dell’arte. Non è brutto ciò che viene imitato, secondo Kant, ma se ci dobbiamo stupire dal punto di vista morale (della realizzazione di azioni in mondo non libero), ci stupiamo solo della bellezza della natura. Se l’usignolo vero ci piace, per esempio, esso è un segno della natura per dire che essa è accogliente verso le nostre facoltà, è come se la natura ci parlasse. §43. Dell’arte in generale. Parte dedicata all’arte, indagata fino alla Dialettica, fino al paragrafo 55. Kant distingue tra l’arte in generale, come techne, e l’arte bella, e dice che l’arte si distingue dalla natura, dalla scienza e dal mestiere, e spiega questa triplice divisione. “Fatto a regola d’arte”→ Nella natura abbiamo cause ed effetti, non un’azione vera e propria, in questo caso si usa “agere”. Mentre “facere” è usato per indicare l’azione di un artista che fa un’opera d’arte. Quindi agere significa produrre effetti, ed è proprio della natura, mentre facere significa mettere capo ad un’opera d’arte, ed è proprio dell’artista. K parla di istinto, oggi non se ne parla più, Kant si distingue da Cartesio, e, in generale, dal materialismo, che vede negli esseri umani macchine, La Mettrie aveva parlato p.e. dell’uomo macchina, Cartesio chiamava il corpo umano “res extensa”. Gli animali, invece, per Kant, hanno delle rappresentazioni, in base alle quali agiscono, esse non sono razionali perché noi non siamo autorizzati a dire che le api abbiano un arbitrio, una scelta, e Kant dice che gli animali non sono macchine ma non sono neanche liberi, essi fanno arte per analogia, ma non fanno arte in senso proprio. Pensare e conoscere per analogia sono modi euristici di usare l’analogia, ma non vanno confusi. Gli animali hanno in comune con noi la sensibilità, ma non la ragione. Poi, Kant dice che le api producono attraverso l’istinto. Poi Kant definirà il genio, il genio artistico è tale che, attraverso lui, la natura dà la regola all’arte, la natura, però, è diversa dalla natura del genio artistico: la natura dà la regola all’arte del genio artistico, e non viceversa, la natura del genio artistico è la natura del soggetto che riguarda le sue capacità soprasensibili, il genio non è come l’ape, a cui la natura dà le sue capacità. “Potere saper fare”→ Camper aveva criticato Kant, e Kant dice che Camper conosce sì le regole di fare una scarpa, ma non la sa fare, quindi non basta sapere una regola per saperla poi applicare. Nota: un funambolo sta in equilibrio, sappiamo perché egli lo riesce a fare, nell’arte il saper fare implica un elemento di non sapere, le arti, infatti, ci spingono nell’ignoto. Per esempio, in inglese ci sono due accezioni di “sapere”: 1. sapere proposizionale, “know that”; 2. sapere non proposizionale, “know how”. L’arte è distinta dal mestiere, l’arte mercenaria è una forma d’arte che mira al guadagno, quindi non un’arte libera, quella liberale, invece, non ha guadagno, essa è libera. facoltà conoscitive, che il soggetto non può controllare, il soprasensibile è tutto ciò che mi appartiene senza che io lo possa controllare, ma in maniera conforme a scopi. L’arte estetica è arte bella quando nell’arte estetica rientra qualcosa di non intenzionale, ma conforme a scopi, che si può trovare sia nell’arte sia nella natura, nell’arte bella entra la natura del soggetto, formata non da risorse concettuali ne sensibili, ma dal soprasensibile, nel quale le capacità cognitive non sono ristrette ad un compito pragmatico, concettualmente determinato, ma sono libere, quindi è come se mettessimo in gioco tutto noi stessi. Il dissenso con l’altro nell’arte non è distaccato, ci viene da pensare che uno che non ammette che sia bello qualcosa che a noi piace, non abbia capito nulla della vita. L’arte è qualcosa di profondo e individuale che coinvolge tutta la nostra visione del mondo, e se qualcuno resta indifferente rispetto a qualcosa che ci piace, per noi è qualcosa di molto grave. Il bello riguarda non solo il sapere, l’educazione, ma tutto di una persona, l’accordo sul bello è come se implicasse l’accordo su un’infinità di altre cose “Ars celare artem” implica un’azione che è intenzionale, ma che deve parere inintenzionale. Ci sono espressioni che sembrano ricondurre Kant a questo motto, ma alla fine Kant dice che serve una regola nell’esecuzione, una puntualità, però l’arte non deve essere l’illustrazione di queste regole. Se mi piace un’opera d’arte è anche grazie alla tecnica, ma essa è secondaria. §46. L’arte bella è arte del genio. Definizione convenzionale, non può essere che l’arte dà la regola alla natura, un concetto dà la regola all’artista Pag.178 Facoltà dei concetti in genere è l’intelletto nella sua interezza. La natura del soggetto è il sostrato soprasensibile di tutte le sue facoltà, il sostrato non è qualcosa di incomprensibile, ma è ciò che non può essere mostrato sensibilmente, le nostre facoltà non possono essere dimostrate o esibite nella loro totalità in nessuna esperienza concreta, c'è quindi un sostrato soprasensibile, la totalità di ciò che il soggetto mette in gioco, a dimostrazione che quando Kant scrive che l'arte è bella, e che sappiamo che è arte ma deve sembrare natura, non sta dicendo che dobbiamo nascondere l’arte, così l’oggetto sembra natura, ma sta dicendo che il soggetto mette in gioco la sua natura, cioè il suo sostrato soprasensibile. Kant dice che il genio è una regola innata che dà la regola all’arte, ma la regola non è l’idea platonica innata, che il soggetto dovrebbe imitare, perché la regola è un sostrato sensibile, una regola che non si può addurre, ma si può solo esemplificare o in un prodotto del bello o in un giudizio sul bello. Le belle arti non sono arti semplicemente in quanto si distinguono dalla natura o dal mestiere. Per fare qualcosa devo presentarmi il prodotto come possibile, cioè come prodotto che presuppone delle regole e dei concetti. Io devo rappresentarmi questo prodotto come possibile ma non posso mettere a fondamento del mio produrre arte bella, come suo principio di determinazione, un concetto del modo in cui il prodotto sia possibile, cioè la pura tecnica, anche se devo sapere, se voglio fare un’opera d’arte, come si fa. Ma se parliamo di arte bella non basta mettere a fondamento dell’arte bella il concetto di come essa sia possibile, non è la regola artistica che dà la regola alla natura, ma è la natura che dà la regola all’arte, non è un concetto il fondamento dell’arte. Il genio è definito in 4 punti: 1) è il talento di produrre ciò per cui non si può dare una regola determinata, alla base dell’arte non ci può essere un concetto determinato, il genio non deve seguire pedissequamente una regola determinata; 2) il genio deve essere originale, ma deve creare qualcosa di sensato, l’originale può essere anche insensato unsein, non senso, in generale. Ma il genio artistico è un genio che ha una sua regolatezza, perché la sregolatezza può essere originale, ma l’originalità sregolata non riesce a darsi una regola neanche del senso comune, quindi questo tipo di originalità non riesce ad essere comunicabile, fallisce nella sua comunicazione. Il fare artistico è un modo di spingere ai suoi limiti i confini del senso, sfidare il senso comune, che si è consolidato, e spingersi oltre, spingersi nell’ignoto, verso ciò che non è conosciuto. C'è un rischio: se mi spingo troppo oltre, posso cadere nel vuoto, quindi posso forzare i limiti del senso comune non allargandolo ma cadendo nel vuoto. 3) Il genio fa affidamento alla natura del soggetto, di cui il soggetto stesso non è padrone. Anche il soggetto, genio, si pone degli scopi, ma se si ponesse solo degli scopi e li realizzasse, produrrebbe oggetti di arte meccanica, realizzerebbe un concetto. Ci deve essere, quindi, sì un’intenzione di produrre qualcosa, ma dopodiché il genio deve intervenire in ogni suo gesto e in ogni suo giudizio la natura del soggetto; l’improvvisazione è possibile solo in quanto si sono interiorizzate regole che vanno applicate sull’occasione giusta. Devo essere preparatissimo per improvvisare. Kant si rifà alla mitologia: è come se dentro di noi ci fosse un demone, genius, coscienza supplementare che mi guida e mi dice cosa devo fare, il genio è metafora della natura del soggetto. 4) Secondo Kant, lo scienziato non ha bisogno del genio. Il genio è un punto controverso, Kant dirà che Newton era uno scienziato ma non un genio, perché, dopo aver fatto la sua scoperta, Newton può insegnarla a chiunque, una legge, in generale, può essere studiata e sperimentata da chiunque. Invece, non posso dire come ho fatto un’opera d’arte, in modo che poi qualcuno poi lo ripeta. §47. Delucidazione e conferma della suddetta definizione di genio. Il genio è un talento, il genio non sa esso stesso da dove vengano le sue idee, non le controlla, la natura prescrive una regola, non alla scienza, ma all’arte. Nel paragrafo 47, Kant, nonostante ne ammiri l’intelligenza, dice che nessuno scienziato può essere chiamato genio, perché ciò che scopre il genio, può essere trasmesso, un artista, invece, non lo consente. Si può parlare di progresso scientifico, infatti, ma non esiste il progresso artistico, le opere d’arte sono studiate nella loro singolarità, ma non costituiscono una storia dell’arte. Una volta acquisito un sapere, quello diviene trasmissibile, anche se una scoperta non è immediatamente traducibile in legge. §48. Del rapporto del genio con il gusto. Nel paragrafo 48 si pongono la questione del rapporto genio/gusto e la questione del disgusto. Se il gusto ed il genio entrano in conflitto, chi ha la meglio? Il genio, benché esso sia originale, deve essere esemplare, altrimenti il genio produce un non senso originale, il gusto è il modo in cui l’opera del genio viene trasmessa universalmente, l’esemplarità del genio. Il gusto deve spuntare le ali al genio, non nel senso che il genio deve essere conformista, ma è una questione di riuscita o meno della comunicabilità del genio, che passa attraverso le opere. Il genio non è una persona, ma un rapporto delle facoltà. Il genio, forzando i limiti del senso comune, può andare oltre i limiti della comprensione e cadere fuori dai limiti del senso comune, e non essere riconosciuto, infatti, il genio può essere apprezzato dopo. Le opere artistiche di Duchamp, per esempio, presentate nel ‘700 non avrebbero fatto discutere nessuno, perché all’epoca non si credeva che un orinatoio avrebbe potuto far discutere sull’arte. La questione del disgusto è più interessante. *Quinto capoverso del paragrafo 48* “Bellamente”. All’inizio di questo capitolo, Kant aveva dato una definizione che discrimina la bellezza naturale dalla bellezza dell’arte. La bellezza dell’arte è la bella rappresentazione di qualcosa, mentre, la bellezza naturale è la bellezza di quello che troviamo nella realtà. La bellezza naturale non è solo la bellezza della natura, ma anche la bellezza di qualcosa che non si candida ad una rappresentazione, che non ha un titolo, ma è una cosa bella. Se quello stesso oggetto che ci sembra bello fosse in una galleria, allora, io sarei chiamata a chiedermi a cosa quell’oggetto si riferisce, di cosa è rappresentazione, quindi, non è la fisicità dell’oggetto di design che mi interpella, ma una bella rappresentazione, il titolo dato ad un oggetto è un riferimento a qualcosa, come la propaganda politica o la comunicazione umana etc. Se definisco bello un oggetto, allora, ciò significa che quell’oggetto riesce nel suo intento di farmi sentire qualcosa, di darmi da pensare. Già Aristotele diceva che la mimesis, p.e. la rappresentazione teatrale, può mettere sulla scena cose che nella realtà ci farebbero orrore, un oggetto è bello perché rappresenta “bellamente”, cioè, in modo perspicace, denso di significato, qualcosa che nella realtà vorremmo che non accadesse. Per Kant il giudizio di gusto si esercita su qualsiasi cosa. Qui, Kant dice che l’opera d’arte può descrivere ogni cosa, anche le cose che ci farebbero orrore, tramite l’opera d’arte, apprezziamo anche le cose non belle. Per Kant, non esiste una classe di oggetti disgustosi di cui non si può fare arte. Se noi abbiamo il disgusto nella vita reale, e se la rappresentazione artistica è così realistica da farci dimenticare che essa non è reale, ma si impone come qualcosa che viene incontro al godimento, allora, essa è qualcosa di piacevole, non di bello, allora, la rappresentazione artistica è impossibile, e non riusciamo a stabilire una distanza dalla cosa, distanza che ci permette di considerare qualcosa come una rappresentazione artistica. Non c’è una categoria di opere disgustose, il disgusto è qualcosa legato alla sensibilità individuale o storica, di una società, non c’è una categoria già stabilita di cose disgustose. §49. Delle facoltà dell’animo che costituiscono il genio. Kant introduce delle nozioni, in questo paragrafo, la principale è quella delle idee estetiche. Prima, Kant aveva dato una definizione provvisoria del genio, poi ne aveva indicato delle proprietà, ora si dedica a spiegare quali facoltà dell’animo costituiscono il bello. Spirito=Geist. Spesso usiamo “bello” in senso estetico, ma c’è differenza tra dire che questa stanza è bella o che la quinta di Beethoven è un capolavoro, non paragoneremmo mai queste bellezze. Kant riprende una distinzione che era propria della letteratura del “non so che”, contro le estetiche razionalistiche, che dicevano che le cose belle dovevano rispettare delle regole. Kant non parla del non so che, un’idea di Leibniz, che nelle sue opere dice che le cose belle hanno il non so che, la loro vitalità, qualcosa che ci muove, rientrano in concetti chiari ma confusi, ovvero, che la cosa bella ci piace chiaramente, anche se non sappiamo perché. Anche il non so che, se ci fosse una mente infinita, dice Kant, ci direbbe quali regole presiedono a questa opera, che noi come umani cogliamo solo come un non so che. Il non so che è una nozione usata, in senso teologico, anche da Tommaso, che dice che dentro di noi c’è il non so che, ovvero, Dio. L’immaginazione è creativa, e mette in moto la ragione: sulla base di un’idea, immagino un cane che nessun concetto dell’intelletto esaurisce, allora, metto in moto i concetti della ragione. C’è il libero gioco dell’immaginazione e dell’intelletto, non c’è un’intuizione che viene sussunta sotto un concetto, ma sono messi in gioco tutto l’intelletto e tutta la ragione. Riconosco cosa concreta, che mette in moto l’indeterminazione del concetto, e l’immaginazione dà luogo all’estensione del concetto in maniera illimitata. Esibizione=Schema empirico. Gli attributi estetici sono come le risonanze: ho il concetto di cane, lo riconosco, ci sono attributi estetici che me lo fanno percepire come morte, questi attributi non sono le idee estetiche, ma sono qualcosa che si distribuisce sull’oggetto non in maniera unitaria. “Parentela” rimanda alle famiglie di Wittgenstein, una famiglia non è una classe, infatti, in una classe ci sono delle condizioni sufficienti per entrare a farne parte. “Famiglia” rimanda ad una serie di fili, che si connettono e danno unità alla famiglia, questi fili, dice Wittgenstein, sono intrecciati e si interrompono, ma la corda è solida. L’idea estetica è così, è come una famiglia, formata da tanti fili, ma nessun filo percorre a fondo tutta l’idea. La famiglia, per Wittgenstein, ha tanti tratti che si tramandano, ma questi tratti non si tramandano a tutti i componenti di una famiglia, c’è un’aria di famiglia, ma ci sono tratti vaghi che aleggiano, Kant insiste sulla parentela. Gli attributi non sono l’idea estetica, ma la danno. Garroni spiega la relazione tra determinato ed indeterminato, e dice che forse ogni opera d’arte è una siepe leopardiana: ho qualcosa di determinato, una siepe, ma questa nasconde un campo sterminato di significati. Rappresentazioni parziali=Attributi estetici. Non sappiamo quale concetto è rappresentato, lo andiamo a cercare via via. Conosciamo un concetto e l’immaginazione intuisce. Tuttavia, dal punto di vista estetico, l’immaginazione è libera, c’è l’intenzione, ma l’immaginazione è libera creatrice, in obbedienza a quel concetto, ma non in modo ricercato, l’immaginazione produce qualcosa che non posso enunciare, il genio non sa cosa fa. L’intelletto è più astratto e più arido, l’immaginazione, in modo non ricercato, fa emergere una copiosa materia, che l’intelletto, prima, non prendeva in considerazione, questa materia non serve per la conoscenza, per metterla in corrispondenza con un concetto determinato, ma per vivificare le facoltà, quindi, questa materia è anche conoscitiva. Se dò all’intelletto della materia, materia che fa estendere l’intelletto, la materia ha effetti sulla conoscenza, cambia la nostra visione della realtà, nonostante noi non siamo intenzionati a conoscere. Qui troviamo una trattazione più pregnante del genio. Non riusciamo a cogliere il rapporto tra immaginazione ed intelletto, c’è una regola, ma non la possiamo addurre. Indovinare, treffen, che può voler dire incontrare, fare centro, esso è un verbo molto accuratamente scelto da Kant, infatti, noi troviamo la cosa giusta con la creatività, la dobbiamo indovinare. La scelta giusta è la conclusione che nessun precetto mi può dare. L’idea estetica essere comunicata, altrimenti il genio non trasmetterebbe ciò che ha fatto, quindi, il gusto deve avere la preminenza sul genio, altrimenti nessuno capirebbe il genio. Indicibile=Senza un concetto determinato corrispondente, mi fa dire tante cose, ma non quelle che mettono a tacere l’immaginazione. L’idea estetica è il lavoro del libero schematismo, che non mette in gioco un tratto di un oggetto per riconoscerlo, ma mette in gioco tutti i tratti di un oggetto, nel gioco rapido e fugace di immaginazione ed intelletto, devo prendere ciò che mi permette di comunicare agli altri ciò che non può essere conosciuto. Giudizio riflettente=Dischiudere una nuova regola. Faccio una cosa particolare, e nel giudizio di gusto trovo la regola del rapporto immaginazione/intelletto, che devo mettere a punto io stessa, non c’è un precetto che regola questo rapporto. L’esibizione è un’operazione dell’immaginazione, mentre, l’intelletto espone. L’esibizione non è intenzionale, non è una ricerca, altrimenti ci sarebbe una conformità a scopi con uno scopo, ma l’opera d’arte deve sembrare naturale: deve avere in sé la natura del soggetto, deve avere la conformità a scopi senza uno scopo. Proporzione e disposizione sono due cose di cui Kant parla al paragrafo 21, in cui si cercava di giustificare il senso comune come principio del giudizio di gusto. L’opera d’arte contiene l’indicibile al massimo grado, ma, anche se si tratta di una cosa banale, per esempio, “più su, più giù” nel posizionare un quadro, ci sono sempre la proporzione e la disposizione, c’è sempre lo stesso meccanismo, la produzione e la ricezione sono simili. La natura è soprasensibile, indeterminata. Non abbiamo un’attrezzatura istintuale, geneticamente predisposta a rispondere in questo o quel modo a degli stimoli, quindi dobbiamo supplire a questo deficit di risposte con l’insicurezza dell’indeterminatezza, ma anche con la sua creatività. Il gioco di determinatezza o indeterminatezza riguarda sia le opere d’arte e la natura, sia l’essere umano. C’è dinamicità, ma c’è un’armonia conforme a scopi nel dissidio, nella dinamicità del rapporto immaginazione/intelletto: all’interno di una conformità a scopi, c’è un’armonia tesa, dinamica, non statica, c’è un reciproco sorpasso della sensibilità e dei concetti, che rilanciano un compito senza fine. Il materiale dell’immaginazione spinge l’intelletto ad estendersi, pur sena ricoprire tutta l’immaginazione. L’opera d’arte non è un’idea estetica, ma la sua espressione, attraverso un medium, il materiale. L’artista blocca sempre la sorgente dell’artisticità, cercando di cogliere e dar vita a un’opera in senso ampio, in grado di suscitare in chi la guarda l’attivarsi delle idee estetiche, ma l’opera non è l’idea estetica, perché l’opera è estetica. Dopo Kant tenta, è un tentativo che si deve fare, pur senza fondamento ineluttabile, di fare un sistema delle arti, a partire dalla constatazione che abbiamo parola, gesto, suono, e su questa base distingue pittura, oratoria, scultura etc. Fa delle considerazioni interessanti, la musica non si capisce se è espressione di idee estetiche o del piacevole, delle sensazioni… §50. Del legame del gusto con il genio nei prodotti dell’arte bella. Kant ripete qualcosa del 49, dicendo che “Ai fini della bellezza non è richiesto […] adattare l’immaginazione all’intelletto.” Se dovessimo decidere tra genio e gusto, due facce di una stessa facoltà. Anche il genio deve operare all’interno di una disposizione e di una proporzione, all’interno di un senso comune. Se il genio si pone al di fuori del senso comune, non come conformismo, ma come comunicabilità di ciò che è espresso, cade nel non senso. Il gusto deve spuntare le ali al genio, il gusto è la disciplina del genio, lo rende pulito, ma gli dà una guida di fin dove può spingersi per estendere i limiti del senso comune. Il sentimento di conformità a scopi è la sensatezza dell’esistenza, quindi, il genio può spingere i limiti del senso comune estendendo esteticamente i concetti e il nostro sentimento, fin dove non lo sappiamo a priori dobbiamo sperimentarlo rischiando di cadere nel non senso. Dopo questi paragrafi, Kant affronta il sistema delle arti. Kant fa una distinzione molto bella tra retorica e poesia. La retorica è un gioco, anche se sembra un’attività seria, infatti, essa è un gioco manipolatorio, che ci tratta come marionette, ed è da condannare, non perché è retorica, ma perché essa ci priva della nostra libertà, carattere proprio del compiacimento estetico, non dobbiamo essere ricattabili sentimentalmente. Alcuni film ci commuovono, ma sono orrendi, e noi lo sappiamo, cioè sono retorici, premono sui tasti giusti a cui siamo soggetti in quanto animali, e ci manipolano in questo modo. Retorica in ambito giudiziario, politico. Invece, la poesia nasce come un gioco, ma poi si rivela seria. Seconda sezione della Critica della facoltà estetica di giudizio Dialettica della facoltà estetica di giudizio §55. Qui siamo nella sezione della Dialettica della facoltà estetica di giudizio. La dialettica di cui qui si parla non è la dialettica dei giudizi effettivi, ma una dialettica che riguarda il principio della facoltà di giudizio: è un’antinomia dei principi che Kant vuole comporre non risolvere. Come tutte antinomie, tesi e antitesi sono vere ma si contraddicono, dobbiamo comporla, capire perché c’è una parvenza che si presenta ogni volta, ma ogni volta può essere risolta. §56. Rappresentazione dell’antinomia del gusto. Kant parte dal linguaggio comune. “Il silenzio di Kant sul linguaggio” è un libro di De Mauro di cui alcune pagine sono contestabili, si accusa Kant di considerare il linguaggio come qualcosa di non fondamentale per il pensiero, tutto starebbe nella mente, invece non è così. Kant pensa che, senza il linguaggio, noi non sapremmo pensare, i sordomuti non pensano. Kant è molto attento al linguaggio comune, ai luoghi comuni, ai proverbi, alle massime. Parte dal primo luogo comune. “Ciascuno ha il suo gusto proprio” è qualcosa che sentiamo ripetere in continuazione da tutti. La dialettica riguarda i principi. “Sul gusto non si può disputare” è il secondo luogo comune. Disputare è diverso da discutere. Il disputare riguarda la possibilità di fornire prove della giustezza del proprio asserto, il discutere, invece, avviene su una materia su cui ha senso discutere, vogliamo l’accordo dell’altro, la validità intersoggettiva, ma non possiamo portare prove di tipo logico, le prove ci possono essere, ma non stabiliscono la validità della nostra asserzione. Tra questi due luoghi comuni, dice Kant, manca una proposizione, non entrata in uso come proverbio, ma sta nella mente di ciascuno: “Sul gusto si può discutere sebbene non disputare”. Questa è la struttura dell’antinomia, in breve. Kant, per far vedere che la tesi e l’antitesi che sta per enunciare non si contraddicono necessariamente, deve dare due significati diversi alla parola “concetto”: 1) Determinato, e quindi oggettivo; 2) indeterminato e quindi non può avere un’intuizione corrispondente empirica, e quindi non è oggettivo. La speranza è la pretesa legittima di potersi accordare. il soprasensibile, l'artista può trovare il modo di restituire analogicamente qualcosa che è interno e che non può essere altrimenti espresso. Da leggere la nota. §59. Della bellezza come simbolo della moralità. Questi capitoli hanno fatto discutere, perché Kant ha detto che ci sono 3 facoltà, con 3 principi, e che la facoltà di giudizio è la facoltà di mezzo, ma ora dice che la bellezza è simbolo della moralità. Che significa “simbolo”? *Pag.180 ultimo capoverso* Tre caratterizzazioni del soprasensibile. La bellezza è simbolo della moralità, in modo analogico, solo pensato, non inferito etc. Già l’inizio di questo capoverso ha fatto molto discutere, perché Kant, nei paragrafi 9, 21, 30, aveva fatto la deduzione dei giudizi estetici, ora, alla fine del giudizio estetico, dice “se si concede […] sulla strada giusta”, questo accade perché la deduzione del giudizio di gusto non è mai completa, la facoltà del giudizio estetico è sempre antinomica. Nel paragrafo 22, Kant dice non sappiamo se il principio della facoltà di giudizio è un principio naturale e originario o artificiale costruito, è tutte e due, abbiamo come condizione di possibilità di questo principio che esso sia originario e naturale, ma lo dobbiamo costruire e coltivare. 1) Il soprasensibile come cosa in sé. Noi, sensibilmente, conosciamo il mondo così com’è, cioè, come fenomeno, poi, sapendo che abbiamo forme dell'intuizione spazio-temporali, legate ai sensi, non possiamo dire com'è il mondo in sé, non possiamo dire com’è il mondo senza il nostro rapporto con il mondo, ma possiamo pensare questa cosa, aiutandoci a relativizzare il nostro punto di vista, pensando a come vedono il mondo gli altri animali, che hanno mondi tutti diversi. La cosa in sé non si può conoscere, ma pensare. 2) Il soprasensibile come qualcosa, che, benché non possiamo determinarlo ci sorprende, perché la natura, nella sua contingenza, si rapporta a noi secondo una conformità a scopi secondo le nostre facoltà. 3) Il soprasensibile è inteso come libertà, come fatto della ragione: io sono libera dalle determinazioni sensibili, benché io sia anche un essere sensibile, io posso dire di no ai condizionamenti sensibili. Qui torna il problema della possibilità di realizzare i miei scopi in un mondo del tutto indifferente ai miei scopi, che, invece, si presenta a noi con favore, noi riusciamo ad agire anche moralmente, in un mondo che ci potrebbe negare la realizzabilità dei nostri scopi. Dire che la bellezza può essere trattata come simbolo della moralità, viste le 3 accezioni del soprasensibile, è come dire che il secondo soprasensibile sia simbolo del terzo, cioè, che la conformità a scopi della natura, come principio soprasensibile, sia simbolo della libertà morale. Il simbolo è qualcosa che rimanda a relazioni di tipo analogico, non c’è un’identità, ma l’una e l’altra cosa condividono alcuni predicati, posso fare analogie, ma non dico che le due cose siano identiche. *Ritornando al paragrafo 59* Kant comincia distinguendo 3 tipi di schemi, come non aveva mai fatto. Se non abbiamo un’intuizione corrispondente, il concetto non ha realtà, non ha significato empirico, non ha un referente. Gli schemi empirici sono chiamati esempi. Es. di schema empirico fatto da Hohenegger e Garroni. Vedo un ornitorinco e gli dò un nome proprio, ne vedo 2, 3, 4, e vedo dei tratti evidenti, delle proprietà comuni, allora gli dò un nome che riguarda tutti gli ornitorinchi, creo un nome comune, e quindi, un genere o una specie. Gli schemi empirici sono la mia capacità di cogliere aspetti, di mettere insieme nell’immaginazione quegli aspetti, di riferirmi ad una cosa comune che riguarda delle proprietà, e dare un nome comune, non una nomenclatura. Gli schemi sono quelli della prima Critica, ovvero le determinazioni del tempo secondo la categoria che metto in gioco. Se i concetti sono empirici, gli schemi sono esempi, se i concetti sono intellettuali, gli schemi sono veri e propri schemi. Ad alcune idee non è possibile dare un’intuizione adeguata, p.e. Dio o le idee estetiche. Ipotiposi→ figura retorica che Kant usa per dare un nome al terzo schematismo, lo schematismo simbolico, quello che dà significato alle idee, non dandovi un’intuizione schematica propria, come agli altri concetti, ma esibendoli in qualche modo, p.e. la cappella Sistina, un’espressione materiale dello schematismo simbolico, non lo schematismo stesso, che è qualcosa di interno, lo devo esprimere, devo dargli corpo. Subjectio sub adspectum=Presentazione alla vista. Lo schematismo è il principio dell’intelletto: se ho un concetto, l’intelletto mi dà a priori l’intuizione corrispondente. L’esibizione simbolica non è limitata solo alla ragione, il concetto della ragione è Dio, l’esibizione è il dio della cappella Sistina, anche qui non dò l’intuizione vera e propria di Dio, però, posso prendere un’altra intuizione, e, usando lo stesso procedimento dello schematismo, dare un’esibizione, usare un altro contenuto, solo analogicamente, che condivide delle proprietà con l’intuizione che ci vorrebbe, ma solo analogamente, l’esibizione è solo pensata, non lo faccio per inferenza, altrimenti conoscerei almeno qualche caratteristica di Dio, ma non lo conosco, è solo un’analogia. Kant fa l’esempio del concetto di stato, che può essere autoritario o non autoritario, ma poi fa anche l’esempio delle parole della filosofia, come sostanza, dipendere, derivare, che sono ipotiposi, non sono schemi, ma simboli: la sostanza è ciò che c’è sotto, la filosofia è fatta di analogie, di metafore. Quando diciamo fondamento, non stiamo indicando propriamente qualcosa, ma stiamo pensando grazie all’intuizione simbolica, dando per analogia ciò che ci permette di pensare il pensiero, la filosofia. Io dò forma al mio pensiero, come dice Vico, noi abbiamo più vicino il corpo, p.e. dicevamo che la calamita è innamorata del ferro, poi il fenomeno è stato spiegato con il magnetismo, io, per capire il mondo, trasferisco al mondo delle proprietà del corpo. La scuola di De Mauro pensava che Vico fosse un genio e che Kant non capisse nulla, ma questo non è vero, infatti, nello schematismo, per la prima volta, si capisce la semantica, dò un nome comune, non al referente, ma ad un insieme di tratti che mi permettono di indicare una cosa. “Per una semantica trascendentale “=Libro in cui si dice che la semantica si può spiegare sulla base dello schematismo trascendentale. La filosofia delle forme simboliche di Cassirer è inconcepibile senza uno schematismo, la filosofia e le scienze cognitive contemporanee non riescono a fare a meno dello schematismo. Polemica con Leibniz sul significato da dare a simbolico. Il simbolico è il modo di dare un significato ai concetti, simbolico è, in questo senso, sinonimo di intuitivo, i logici, come Leibniz, parlavano di simboli come segni convenzionali, come segni algebrici, Kant no. Caratterismi: a, x, b… Io, per capire l’italiano, devo conoscere un codice, il fatto di dire albero e non arbor dipende da tratti morfologici dell’italiano, ma tra “albero” e l’albero non c’è somiglianza analogica-intuitiva, c’è questa somiglianza con le espressioni onomatopeiche p.e., ma il simbolico ha a che fare con i tratti intuitivi del mondo, ogni significato è riconducibile al rapporto che abbiamo col mondo, per esempio, Locke, vedeva che c’era una differenza per quanto riguarda, per esempio, la giustizia, il governo, la legalità etc., tutte le parole istituzionali, quindi, p.e. impiegato, in queste parole è difficile dire qual è il legame con la percezione, in realtà ci sono analogie su analogie. Garroni fa l’esempio del capo di governo, non basta una sola analogia per capire il ruolo del primo ministro, ma c’è tutta una serie di analogie, forse a partire dal maschio alfa, abbiamo un riferimento non più attivo nella nostra coscienza, grazie a cui si sono formate le parole con un riferimento remoto alla percezione, ma una percezione c’è, altrimenti ci sarebbero solo etichette che dobbiamo saper usare perché abbiamo stabilito così. Lo stato monarchico è come un corpo animato, perché retto da leggi popolari interne. Lo stato monarchico, però, può essere un macchinario, se è retto da una singola volontà, un singolo motore, e non c’è vita dalle altre parti, esso è come un mulino a braccia, ci servono altre mediazioni, altre analogie per arrivare allo stato monarchico, però, il tratto è quello di avere un unico motore, un unico sovrano senza leggi popolari, dall’altra parte c’è sì un sovrano, ma ci sono anche le leggi, gli organi hanno la loro vita. Da una parte c’è una testa che muove il mulino, che dà ordini, gli altri spingono le braccia, dall’altra parte c’è un organismo. Non posso dare l’intuizione sensibile di uno stato, ma solo dei simboli. Prima Kant ha cercato di spiegare tre modi in cui i concetti possono avere significato: i concetti empirici con gli esempi, i concetti trascendentali con gli schemi veri e propri, i concetti della ragione, ma anche del nostro linguaggio, come “stato” mediante lo schematismo simbolico, per analogia, non per intuizione diretta. Il bello è simbolo del bene morale. Ci sono 3 accezioni del soprasensibile, come abbiamo letto, dire che il bello è il simbolo della moralità, significa che il secondo soprasensibile può simboleggiare, essere il punto di riferimento, l’esibizione analogica, del bene morale. La conformità formale della natura a scopi significa che quando diciamo che qualcosa è bello, intendiamo dire che quel qualcosa è sensato, conforme agli scopi delle nostre facoltà del sentire, è come se la nostra libertà avesse disegnato la natura in modo tale che essa sia adatta al nostro stile di vita, alla nostra esibizione della moralità, come se la nostra libertà potesse essere esibita nella natura, in realtà, anche se questo non può essere vero, è come se lo fosse, è così solo analogicamente. Se abbiamo a che fare con una realtà favorevole, allora possiamo trattare la natura come se essa fosse il risultato di un disegno fatto a nostro favore, ma non lo è, il bello non è uguale alla morale. Gli artisti sono immorali, ma l’apprezzamento per la natura senza un utile è segno di una moralità, è come se noi, o meglio, la nostra parte morale, avesse la capacità di esibire nella natura se stessa, cosa che non è possibile in senso proprio. Intellegibile=Soprasensibile. La libertà e la facoltà di giudicare, ma anche l’intelletto, si armonizzano, la facoltà di giudizio è mediatrice, se noi avessimo un mondo determinato e meccanico da un lato, e il mondo delle intenzioni, buono, dall’altro, quest’ultimo sarebbe impotente, non ci sarebbe armonia. La facoltà di giudizio, in quanto conformità formale della natura a scopi, esibizione delle idee morali, media anche con l’intelletto.
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