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Invito al cinema di Kubrick, Sintesi del corso di Storia E Critica Del Cinema

Riassunto libro Invito al cinema di Kubrick

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 08/07/2020

AleScog20
AleScog20 🇮🇹

4.3

(15)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Invito al cinema di Kubrick e più Sintesi del corso in PDF di Storia E Critica Del Cinema solo su Docsity! INVITO AL CINEMA DI KUBRICK STANLEY KUBRICK – Stanley Kubrick nasce nel 1928 in un quartiere newyorkese, da famiglia ebrea di origine austriaca. All’età di 13 anni riceve in dono la sua prima macchina fotografica, e con il procedere degli studi è sempre più evidente la strada da intraprendere. All’età di 16 anni, un suo scatto viene notato: Kubrick viene assunto dalla rivista Look, con la quale rimarrà fino al 1950. Nel frattempo si appassiona all’arte dei fratelli Lumiere, diventando cinefilo accanito, frequentando le riunioni del Moma, partecipando alle proiezioni in tutta New York e leggendo teorici cinematografici come Ejzenstejn e Pudovkin. Dopo il primo matrimonio nel 1945, si trasferisce al Greenwich Village, dove fa la conoscenza di Alexander Singer, con cui nascono i primi esperimenti cinematografici. Con il suo appoggio, Kubrick lascia la rivista Look e inizia a lavorare per il giornale March of time, decidendo di realizzare dei cortometraggi, acquistati dalla RKO. Per le prime esperienze Kubrick provvede per autofinanziamento: troup di poche persone, budjet limitato, attori non professionisti. Con esse si fa notare nell’ambiente dei giovani registi, e inizia il sodalizio con James Harris: a questo punto si parla di cinema vero, ad alto budjet, mezzi adeguati e attori professionisti. I film girati da Kubrick diventano di portata sempre maggiore: tappa essenziale fu Orizzonti di gloria, per il quale fu richiesta la presenza dell’attore Kirk Douglas, ritenuta essenziale per la buona riuscita del film. Kubrick si rivela all’altezza del compito, attirando verso di sé la critica internazionale, soprattutto europea. Tra Orizzonti di Gloria e Lolita, il cinema attraversa il particolare momento in cui si cerca di stupire con kolossal tesi a contrastare la forte influenza della televisione. Allo stesso tempo si tenta di venire a capo dello studio system e si affermano i produttori indipendenti. A questo punto, Kubrick ed Harris ottengono i diritti di Lolita, e propongono allo stesso autore Nabokov di scrivere la sceneggiatura. Kubrick vi apporta importanti modifiche, mantenendo il 30% del testo originario. Il progetto suscita numerose polemiche per la moralità, che obbligano ad eliminare gli elementi più scabrosi, in particolare viene modificata l’età di Lolita. Per evitare rischi della censura, la produzione si sposta in Inghilterra, a mezz’ora da Londra: Kubrick non tornerà più in patria. Qui avviene la fine del sodalizio con Harris, e Kubrick procede da solo alla superproduzione di numerosi film di successo e ritrovandosi presto a scrivere personalmente anche le sceneggiature. Stanley Kubrick muore il 7 marzo 1999. LA CRITICA – Kubrick non è un autore di immediata comprensione, per cui l’apprezzamento delle sue opere necessitava tempo. Dopo un primo periodo di diffidenza verso l’opera di Kubrick, la critica americana inizia a considerarlo un giovane prodigio, l’Italia inizia a scrivere articoli su di lui a partire da Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria (1956- 1957). La critica non è particolarmente entusiasta del regista, poiché visto come portatore di messaggi politici progressisti. Dopo Lolita (1962), la critica si divide: da un lato quella americana, che l’accoglie favorevolmente, dall’altra quella italiana che sostiene un intento puramente commerciale. Il distacco della critica italiana si fa più intenso dopo Il dottor Stranamore (1964), ripiegandolo sulla categoria dell’ambiguità. La situazione inizia a cambiare dopo 2001: Odissea nello spazio, sul quale sono stati scritti una serie di libri di guida, di analisi e di conoscenza sulla sua realizzazione. A partire da questo momento il regista s guadagna la fama internazionale di autore degno di specifiche monografie. La critica italiana continua a rimanere fredda considerando i suoi film prodotti commerciali e addirittura di essere portatore di valori di violenza. Tuttavia è proprio in questo periodo che alcuni critici iniziano ad aprirsi nei confronti di Kubrick, considerando la sua filmografia degna di analisi: è i caso delle prime due monografie italiane di Ghezzi 1977 e Toffetti 1978, nelle quali vengono analizzati i singoli temi presenti nelle opere fino ad allora prodotte. Shining ottiene ufficialmente un buon riscontro anche all’interno della critica italiana. In ambito straniero, invece tre opere fondamentali analizzano Kubrick come autore-filosofo, capace di dare forma visiva e cinematografica ad ossessioni del pensiero contemporaneo. Importante su questo versante è anche la critica francese: Kubrick viene visto come il grande rappresentatore del cervello, e le analisi sui suoi film iniziano a ruotare attorno ad una serie di costanti: l’occhio, il modello, la dialettica interno-esterno, il labirinto. Alla fine del 1990 due opere, una italiana e una francese, portano all’immagine di Kubrick come teorico della visibilità cinematografica, che considera il cinema come macchina della conoscenza sensibile. Punto di svolta fu l’iniziativa della Biennale di Venezia in riferimento al Leone d’oro vinto da Kubrick: in varie città italiane si organizzano seminari tematici all’interno delle università. Per l’occasione, la Biennale pubblica un importante volume contenente una serie di interviste a Kubrick e recensioni ai suoi film. Dopo la morte dell’autore vi sono stati una serie notevole di interventi, sia riguardo i suoi film che riguardo l’autore. I film di Kubrick si inseriscono nei differenti generi del cinema americano classico: il war film, l gangster film, science fiction, il politico-sociologico, il kolossal storico, l’horror. Possiamo dunque prendere come riferimento i generi del cinema americano classico degli anni 40-50. Il sistema dei generi funziona come sistema di condizionamento delle aspettative dello spettatore, che può spere in anticipo in quali ambienti il film si svolgerà, quali saranno le trame rappresentate e quale sarà il grado di fiducia da prestare alle immagini. Possiamo inoltre considerare le 3 finalità perseguite: la continuità rappresentativa, l’uniformità delle scelte, la trasparenza del racconto. Kubrick riprende i caratteri dell’esperienza cinematografica classica, ma per sgretolarla dall’interno. Egli non interrompe questa esperienza, tuttavia lavora e modifica tali convenzioni. Prima di tutto, egli utilizza i generi tipici, ma esplorando le possibilità di deformazione degli stessi, fino al limite della loro riconoscibilità. Essi vengono intrecciati, combinati, corrotti, e da qui ne deriva lo spiazzamento delle aspettative dello spettatore e dunque un costante senso l’individuo non è in grado di prevedere o immaginare. Si può dire a questo punto che eterno protagonista dei film di Kubrick non è ciò che racconta, ma il raccontatore ed il modo in cui la narrazione viene rappresentata. 2. LA CRISI DEL CONTROLLO SULLO SPAZIO E SUL TEMPO Perfettamente al centro della rappresentazione della crisi sul controllo spazio-temporale vi è la figura del labirinto. Per Kubrick, questo elemento è la forma sensibile che esprime lo smarrimento del personaggio: esso non riesce più a rendersi conto delle strutture spaziali e temporali, e di conseguenza perde la capacità di calcolare le proprie posizioni e i propri percorsi al loro interno. Anche qui sono presenti i due principi di svuotamento e proliferazione. Lo spazio labirintico è svuotato nel senso che è privo di riferimenti, ed è al tempo stesso uno spazio eternamente uguale, ripetitivo all’infinito. L’assenza di punti di riferimento è essenzialmente resa tramite le decorazioni, che in un primo caso non esistono, creando un vuoto contenitore di azioni, in un secondo caso si ripetono sempre uguali senza dunque svolgere un ruolo orientante. Tipicamente, riassunto di tali caratteristiche e parallelo del labirinto, è il corridoio, che assume forme incontrollabili. Lo stesso tempo in Kubrick si fa labirintico: i personaggi non seguono una linearità ma una ripetività circolare, con cicli e ritorni. I personaggi sembrano condannati a ripetere le stesse azioni all’infinito, in un tempo spazializzato, ripercorribile, come quello del filosofo francese Bergson. Secondo questo processo, i personaggi appaiono vittime passive all’interno di un tempo e uno spazio che controllano l’andamento delle vicende. Essi diventano infatti soggetti attivi e antagonisti dei personaggi, entità semi- umane che assumono quasi volontà proprie. I luoghi dell’azione non sono così solo contenitori dei movimenti dei personaggi, ma soprattutto delle loro emozioni. A livello cinematografico, Kubrick inserisce i personaggi in uno spazio che inghiottisce e risucchia, e dal quale non è possibile uscire. Per quanto riguarda lo spettatore, Kubrick ci mette in condizione di osservare “dall’alto” le vicende, dandoci conoscenza della collocazione spaziale dei personaggi. Questo effetto è prodotto principalmente dall’uso di campi lunghi e lunghissimi che isolano i soggetti in uno spazio ampio, e dall’uso del carrello all’indietro che parte da un primo pino e poi si allontana abbandonando il personaggio nella sua immobilità. Siamo così in grado di guardare il tempo. 3. LA CRISI DEL CONTROLLO SULLA CONVIVENZA SOCIALE Kubrick tematizza la crisi del controllo sulle relazioni sociali come impossibilità di conciliare la convivenza civile con gli istinti di violenza e sessuali primordiali presenti in ogni individuo. Secondo l’autore vi sono quattro stadi tramite i quali emerge l’istintualità all’interno delle regole sociali. Al primo stadio, l’individuo appare domato, condizionato fortemente dalle convenzioni collettive. Ritroviamo questa condizione tra gli individui che seguono il galateo e le buone maniere nella relazione col prossimo. A questo stadio nessun ambito della vita sociale è minacciato dalla violenza. Ad un secondo stadio, la violenza sembra essere imbrigliata in una cornice di regole e convenzioni: l’individuo agisce incanalando la propria violenza e i propri istinti nel gioco e nel duello. Tramite essi il personaggio fa sfogo dei propri istinti pur rimanendo all’interno di una regolamentazione. Il gioco e il duello fanno infatti da ponte di passaggio per il terzo stadio. Esso consiste nella guerra, che è la più rigida situazione di regolamentazione della cieca follia del personaggio. È il luogo della manifestazione pura delle emozioni e dei comportamenti primordiali, e allo stesso tempo luogo ideale nel quale si può osservare dall’alto la condizione degli individui. Si giunge poi al quarto stadio, che è l’esplosione finale della violenza priva di regole, un punto di arrivo inevitabile. Dal punto di vista cinematografico, lo scoppio è rappresentato da Kubrick tramite la costruzione decentrata delle inquadrature, con distorsioni e anomale angolazioni della macchina da presa, e infine dal ralenti cinematografico, che amplifica la temporalità dei gesti violenti permettendo allo spettatore di analizzarli in modo quasi scientifico. GLI ESITI DELLA CRISI DELLA RAGIONE - Gli esiti della crisi della ragione sono due: uno oscuro e inquietante e uno diurno e positivo. 1. La crisi della ragione nelle sue varie forme porta all’annullamento dell’individuo, al suo risucchiamento all’interno di uno schema più grande, predefinito e incontrollabile. Quella dello spettatore, allo stesso modo, è un’esperienza di ipnosi, smarrimento e follia. La sala cinematografica si presenta come luogo in cui lo spettatore subisce la visione e accetta di far manipolare i propri sensi e i propri sentimenti. Questo effetto è dato da vari elementi, il più funzionale tra i quali l’uso della soggettiva cinematografica: lo sguardo dello spettatore viene fatto aderire in parte o in tutto con lo sguardo del personaggio, dunque lo spettatore lo accompagna in ogni azione. Tuttavia, per Kubrick vedere non si identifica nel fare, ma nel subire. Il risultato è che lo spettatore sente che quella che sta visionando è la sua reale condizione. 2. L’aspetto solare e risolutivo della crisi della ragione è presente soltanto in alcuni film: essa si configura come percorso di rigenerazione della conoscenza attraverso la percezione visiva. La crisi e lo spaesamento si risolvono in maniera positiva perché danno la possibilità allo spettatore di riscoprire i procedimenti di base del proprio agire, conoscere e pensare. La visione del film diventa la scoperta, mediante la coscienza del disorientamento, di che cosa significhi davvero guardare, imparare, sperimentare. Il cinema è così a tutti gli effetti un’educazione allo sguardo, che Kubrick impone allo spettatore. Questo concetto consiste nella “Teoria dell’occhio”: da un lato Kubrick punta all’annullamento del soggetto tramite una paralizzante passività visiva, dall’altro punta alla riscoperta delle condizioni elementari del percepire. La convinzione di Kubrick è infatti che il contatto con il mondo e la sua conoscenza è sempre, in primis, esperienza di annullamento. Occorre dunque passare attraverso l’essere risucchiati, con tutto il rischio e l’angoscia che comporta, per imparare a percepire e a conoscere in maniera nuova, e dunque guarire.
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