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Io, la Regina II. Maria Carolina d'Asburgo Lorena e il suo tempo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto integrale del manuale Io, la Regina II. Maria Carolina d'Asburgo Lorena e il suo tempo, per l'esame di storia moderna

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 29/11/2022

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Scarica Io, la Regina II. Maria Carolina d'Asburgo Lorena e il suo tempo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Giulio Sodano: Napoli e Vienna nel XIII secolo tra vicerè e una regina. Il Regno di Napoli e il complesso dominio degli Asburgo di Vienna hanno vissuto nel XIII secolo due stagioni nelle quali le relazioni si fecero assai intense: la prima tra il 1707 e 1734, la Spagna perse il controllo bisecolare su Napoli rivendicato dagli Asburgo viennesi. La seconda dal 1768 quando un personaggio della portata di Maria Carolina, dal carattere forte e volitivo divenne regina di Napoli influenzando l'atmosfera culturale ma anche quella politica soprattutto nel campo delle relazioni internazionali. Il regno grazie alle strategie di Maria Carolina fu sottratto definitivamente dalla tutela spagnola ed entrò in un sistema di alleanze austro inglese che sarebbe durato ben oltre l'esistenza della regina. Il governo austriaco è stato si potrebbe dire ignorato dalla Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce sebbene lo stesso studioso abruzzese avesse dedicato a quei decenni pagine importanti riguardo lo sviluppo culturale come snodo fondamentale per la formazione della classe intellettuale rappresentativa della nazione napoletana. Il devastante ruolo di Maria Carolina riguardo alla repressione del movimento filo giacobino e della rivoluzione del 1799, alle alleanze tra i Borbone e l'Austria nella prima metà dell'800 nel segno del trono e dell'altare, non hanno invogliato gli storici ad indagare su una relazione per la quale pesavano non pochi giudizi e pregiudizi. L’ideologia risorgimentale vede in Maria Carolina la peggiore nemica dei “patrioti”, proiettandosi anche sulla parentesi austriaca del 1707- 1734, epoca liquidata come di grandi speranze ma di scarse realizzazioni e di intenso sfruttamento fiscale straniero. Saverio Russo ha sottolineato che il trecentesimo anniversario dell’inizio del dominio austriaco non ha lasciato tracce di particolare rilievo a paragone di quanto è stato fatto per le celebrazioni del 1799 e dell’età napoleonica. Lo scarso interesse contrasta con gli studi che sono stati condotti sui rapporti Italia-Austria in altri contesti: molto diverso è stato l’andamento della storiografia dell’Italia settentrionale, soprattutto quella dell’aria orientale, la quale ha sempre nutrito interesse per la monarchia austriaca. Quali sono stati i campi di ricerca più battuti nel passato e quali sono le novità più rilevanti che si possono cogliere dalle tendenze più recenti. Nel volume che Russo e Guasti hanno dedicato al viceregno austriaco, Massafrà ha tracciato un quadro complessivo riguardo agli studi del secondo dopoguerra compiuti in quel periodo: la stagione più ricca e feconda di risultati della storiografia sul mezzogiorno della transizione dal sistema imperiale spagnolo alla monarchia di Carlo di Borbone è stata quella iniziata tra gli anni ‘50 e ‘60 del Novecento e culminata successivamente con la pubblicazione della poderosa Storia del Mezzogiorno di Galasso e Romeo. Questa storiografia ha tratto linfa vitale dalla battaglia che si combatteva tra i diversi schieramenti ideologici sul terreno delle idee, dei principi e dei valori della libertà di pensiero, della tolleranza, della laicità, della cultura e dello stato. Il Settecento appariva cruciale per la formazione dell’Italia moderna: focus riconosciuto nel tema del riformismo affrontato attraverso l’analisi del rapporto tra stato, chiesa e società. Gli storici seppure su posizioni diverse saldavano fortemente il loro impegno culturale all’impegno politico. Questo interesse volto al movimento riformista ha dato l’impulso alle ricerche su cultura e vita civile a Napoli con particolare attenzione al dibattito scientifico e filosofico. Della parentesi austriaca si celebravano gli avanzamenti della cultura giurisdizionale e del ceto civile di Pietro Giannone proprio perchè il movimento giurisdizionalista era considerato in piena sintonia con il processo ideologico che aveva portato all’unità italiana. Prende rilievo il riformismo relativo all’epoca di Maria Carolina. Venturi richiama l’attenzione all’elemento irrinunciabile relativo al momento riformatore. Ricuperati in una sua rassegna della fine degli anni ottanta dedicata alla storiografia italiana sul settecento scrive che “la ricerca sul settecento e prevalentemente rivolta verso l’illuminismo meridionale”. Questa tendenza di studi è stata influenzata dal magistero di Croce riguardo ad una storia intellettuale che aveva tanto affascinato i giovani studiosi che si erano formati tra gli ultimi anni del fascismo e del dopoguerra, segnati da tante difficoltà materiali ma anche da tante speranze di poter costruire un mezzogiorno migliore. Massafra dice che la notevole attenzione alla dimensione politica non ha limitato l’interesse per le questioni economiche che hanno evidenziato i limiti delle riforme austriache sia nel campo fiscale che quello bancario, nonché la resistenza strutturale al rinnovamento delle forze sociali e politiche dominanti. Gli studi economici infatti per il viceregno austriaco sono quelli che sono riusciti a fare più passi avanti grazie anche alle ricerche di Zilli e Bulgarelli sulle periferie del regno e sui gruppi di potere che dominavano la scena della finanza pubblica napoletana. Le ricerche del periodo possono ascriversi al binomio “cultura e riformismo”. Scarsa attenzione alle relazioni del mezzogiorno l’Italia-Austria nonostante storicamente i due paesi non erano mai stati così legati come in questo periodo per ragioni dinastiche. L’attenzione al tema del riformismo sulla fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta si è affievolita; è plausibile che questo calo di interesse sia da collegare al venire meno della tensione tra riformismo e rivoluzione dopo il 1989 e con la caduta del muro di Berlino. Da un lato si assiste ad un’improvvisa conversione riformatrice di ampi settori politici col risultato di un artificiosità del contenuto stesso del riformismo e un depotenziamento della sua carica etica. L’affermarsi dell'ultra liberalismo ha evidenziato anche i limiti dello stesso riformismo. Anche nella storiografia dell’Italia settentrionale si è consumata la crisi delle tematiche tradizionali dove invece il tema dell’assolutismo illuminato era stato strettamente connesso alle relazioni con il mondo asburgico. Anche gli studi italiani sulla storia dell’impero austriaco e della Germania nel corso degli anni ottanta vede una battuta d’arresto. Per Trampus anche in questo caso ciò è dovuto al venir meno dei caratteri forti ed etici e politici dei decenni precedenti. Proprio l’attenuazione degli obiettivi dell’unità europea ha determinato un declino degli ideali così come il declino del mito della mitteleuropea. Prende il sopravvento l’esigenza di trovare delle risposte ai problemi che ha posto la società italiana contemporanea. Spesso la reazione ai processi di europeizzazione ha provocato la crescita di attenzione ai fattori identitari delle singole culture locali, come se si imponesse una necessità di ricostruire in chiave psicologica le identità nazionali. La sensazione di essere privati dai confini materiali ha provocato la ricerca in chiave immateriale di uno spazio rassicurante. La storiografia del mezzogiorno non è indifferente alle tematiche identitarie prestando attenzione al loro intreccio con la dimensione politica sia sul piano sociale che su quello nazionale. Aurelio Musi: origine dell antispagnolismo che ebbe forte impulso proprio nell’epoca austriaca grazie all’opera di Doria contribuendo allo sviluppo del senso di “nazione napoletana”. Altri hanno percorso i tradizionali temi etico-politici: Storia del regno di Napoli di Galasso: grazie alla sensibilità dell’autore i temi etico-politici si incontrano e si fondono con originalità con le ricerche di più recente tendenza (VI tomo). Galasso aveva già sottolineato in diversi studi quanto il passaggio dall'anti culturalismo al giurisdizionalismo sia stato una premessa fondamentale per gli sviluppi del XVIII secolo. Galasso segna come gli anni del 1690-1710 siano da ritenere cruciali per questo passaggio. Pagine dell’opera sono dedicate a Giannone. Ancora nota che gli anni ‘20-’30 segnano il dischiudersi della cultura napoletana che realizza il suo salto di qualità attraverso rapporti intensi con la cultura italiana ed europea. Fondamentali a questo proposito sono i fenomeni culturali e la riflessione politica. L’esperienza arcadica fu accompagnata da una riflessione estetica. Il giudizio dello storico si sofferma sul limite di fondo della società meridionale che caratterizzò l’epoca austriaca: frammentazione delle forze locali nessuna delle quali fu in grado di esercitare un’efficace egemonia politica e di fungere da traino alle altre forze sociali. Venendo meno le tematiche legate al riformismo si sono sviluppati nuovi filoni di ricerca che hanno rinnovato i quadri di riferimento delle due epoche. Sempre citando il volume di Russo e Guasti è di personalità politica della regina in grado di percepire la situazione europea con non comuni doti di lettura, nonchè capace di proporre soluzioni di superamento della travagliata fase storica napoleonica in una chiave non meramente rivoluzionaria. Maria Carolina: tipiche formule delle regine della piena età moderna pur essendo a cavallo tra antico regime e restaurazione. Il filone storiografico relativo alle regine europee ha sottolineato come le spose dei sovrani attuassero un trasferimento culturale che comprendeva un ampio spettro di pratiche sociali attraverso abiti, alimenti, religiosità, musica, letteratura e arte. La corte era al centro di questi scambi che contribuiva a caratterizzarla per una cultura transnazionale. Il trasferimento era bidirezionale. Maria Carolina provò ad evitare una condizione di subordinazione dinastica a Vienna. Contribuisce alla maturazione dell’immagine di una monarchia che deve fare i conti con l’esigenza della conquista dell’opinione pubblica. Nella capitale asburgica nel corso del secolo attraverso le opere di Metastasio era stata propagandata l’esaltazione del sovrano come amante della gloria e del sacrificio a favore dei propri sudditi assimilati a figli diletti. Il modello metastasiano penetrò a Napoli proprio grazie alla figura della regina e al suo rapporto con Vienna. I due sovrani contribuirono alla diversificazione nel mondo musicale e teatrale del secondo settecento. Cotticelli: scambio epistolare tra Maria Carolina e la figlia Maria Teresa che evidenzia il ruolo che la regina ebbe nel determinare gli orientamenti del gusto e della cultura tanto a Napoli quanto a Vienna. Questo tipo di scambio si costituisce tra luoghi uguali e simmetrici. Cusumano: evidenzia come nei momenti più reazionari della regina emergesse la sua tendenza ad assumere compiti culturali repressivi. E’ lei a Palermo ad occuparsi dei libri da porre al rogo perchè pericolosi per la diffusione di idee sediziose oppure ad irrobustire un’immagine tradizionale della monarchia attraverso la beneficenza o il recupero alla causa regia del mondo ecclesiastico. Esportazione ad opera della coppia dei sovrani del modello dei siti reali napoletani con finalità o di riserve da caccia o produttive. E’ alla luce di questi fatti che Maria Carolina assume caratteri ricchi e complessi non evidenziati dalle comuni storiografie. Maria Carolina era tuttavia attiva anche sul versante politico: presente nel consiglio di governo del paese. Il confine tra politica e azione culturale è assente nelle monarchie, ma l’una è compenetrata nell’altra; non c’è una divisione tra potere alto e basso svolto dalla presenza femminile. Una storia culturale nel mezzogiorno è stata in alcuni casi praticata guardando al modello inglese di Burke dando però vita a modelli che ripropongono la storia moderna del regno di Napoli in chiave coloniale con il paradossale esito che dichiarando di voler combattere stereotipi finisce che ne creano altri. D’altro canto non si può liquidare una storiografia tradizionale per la quale non si può non rimanere ammirati per l’impegno civile profuso per decenni in un mezzogiorno di ben più ampia arretratezza di oggi. La storia intellettuale del movimento riformatore può essere rinnovata attraverso temi e prospettive di ricerca figlie del nostro tempo. Gli studi sulla nobiltà, sulla corte, sull’arte, drammaturgia e musica condotti con una visione multidisciplinare oggi sono territori di ricerca che hanno arricchito il panorama della storia del Mezzogiorno sia nell’epoca del viceregno austriaco sia nel periodo in cui Maria Carolina era regina. Il dialogo interdisciplinare tra la storia sociale e culturale in chiave socio-culturale permettono di esercitare una storiografia più libera dagli stereotipi e pregiudizi, tenendo insieme arte, società, politica e cultura. Mirella Vera Mafrici: Maria Carolina D’Asburgo-Lorena e la politica internazionale napoletana. La corte imperiale attribuiva grande importanza alle alleanze matrimoniali; alcune corone si affidavano alle armi per accrescerne l’egemonia; l’Austria pur non mettendo da parte le guerre si preoccupò di rafforzare le proprie strategie internazionali legando in una ragnatela coniugale l’Europa intrecciando i destini matrimoniali di arciduchi e arciduchesse con le più accreditate dinastie di vari stati. Nel 1765 era il re di Francia Luigi XV che parteggiava per un matrimonio con un’Asburgo e Maria Teresa fu pronta ad offrire sua figlia Maria Antonietta, nel 1767 invece era il re di Spagna Carlo III a chiedere per suo figlio Ferdinando la mano di una principessa asburgica. E il fatto che si andassero ad unire i Borbone con gli Asburgo rispondeva ad un preciso disegno dinastico: da una parte Carlo III consolidava la posizione internazionale del Mezzogiorno d’Italia tacitando le rivendicazioni austriache e dall’altro, collocando un arciduchessa a Napoli, Maria Teresa mirava ad acquisire vantaggi innegabili garantendosi una finestra sul Mediterraneo. Quando Ferdinando era diventato sovrano ad otto anni ad occuparsi degli affari di stato secondo le direttive da Madrid era il Consiglio di reggenza - corpo d’invalidi secondo Tanucci al quale era riservata la gestione della politica estera. L’uscita di minorità di Ferdinando a sedici anni nel 1767, la sostituzione del consiglio di Reggenza con il consiglio di Stato precedono la nomina di Tanucci a primo ministro di quello stesso anno e il matrimonio di Maria Carolina celebrato ad aprile del 1768. Erano dettagliate le istruzioni che Maria Carolina riceveva da sua madre: insistenza sui doveri religiosi, motivata probabilmente da un’insoddisfazione verso un compagno distratto e indifferente, i consigli anche di natura politica; le raccomandava un interessamento graduale per gli affari di Stato, il pieno accordo con suo marito, l’amicizia con il suocero il re di Spagna ma anche l’astensione dal gioco di creare favoriti e confidenti intorno a sè, l’adozione di una condotta risoluta e prudente che la portasse a non parlare sempre del nostro paese e non fare confronti tra le abitudini “nostre” con le “loro”. Le raccomandazioni influivano poco su Maria Carolina che finiva con il diventare di fatto la regina di Napoli e di Sicilia. Tanucci dice che la cattiva idea che Maria Teresa aveva di Ferdinando determinava una tentazione molto naturale a governare le Sicilie tramite la figlia sovrana. L’imperatrice provvede ad inserire una clausola nel contratto matrimoniale per cui quando Maria Carolina avrebbe partorito il primo figlio maschio sarebbe entrata a fare parte automaticamente del Consiglio di Stato. La regina dimostra di essere già da subito interessata a fare parte degli affari napoletani. Lo ricorda Tanucci a Carlo III: sull’imperizia e la distrazione del re la regina ha fondato il disegno di mettersi in mano il governo [...] il re stesso scappa a dire che così vuole la regina. Con il suo carattere volitivo e la sua vitalità culturale, Maria Carolina soggiogava Ferdinando che partecipava solo in modo marginale al governo di Stato non sopportandone gli impegni gravosi e astenendosi dedicandosi ad occupazioni varie. Preponderante nel regno era anche l’influenza di Tanucci, devoto suddito del regno e prezioso informatore del re Carlo III. Tra i coniugi a corte: conflittualità, pusillanimità del re, la sua difficoltà di opporsi alle decisioni della moglie (“mi piace la pace in casa e cerco di disturbarla quanto meno posso”). Tanucci dissentiva politicamente con Ferdinando e Maria Carolina. La questione dei gesuiti, espulsi dal regno nel 1767 veniva dibattuta nell’estate del 1771 dalla regina con il ministro e Ferdinando avrebbe forse voluto il loro ritorno ma non poteva agire essendo subordinato a Madrid. Molti era i disgustati contro la politica del ministro ed era evidente una rottura a livello politico napoletano in un contesto europeo dove il cauto indirizzo di Tanucci era ostacolato dalla regina che dopo la nascita del figlio maschio nel 1774 cercava di accelerare i suoi tempi riguardo la sua emancipazione dalla Spagna e dal ministro. Le modalità riguardo l’estromissione del Tanucci documentano un’orchestrazione abile da parte di Maria Carolina e della diplomazia viennese nel forzare attraverso la corrispondenza tra il Re e il padre, la mano di quest’ultimo nell’adoperare un’adeguata terminologia per acquisire un assenso in realtà mai dato. A rendere clamorosa l’estromissione del ministro aveva contribuito il processo contro la Massoneria da lui tenacemente contrastata e al contrario protetta dalla Regina, provenendo da una città e da una corte in cui la presenza della setta (massoneria) era tra le maggiori in Europa. L’interesse di Maria Carolina accentuava l’aspetto salottiero e mondano. La diffusione di una nuova ideologia anche tra aristocrazia, clero, nascente borghesia, intelletualità, personalità influenti della corte pervasi di spirito patriottico oggetto di stigmatizzazione da parte di Tanucci, era un indizio riguardo quelle che erano le nuove idee nell’Europa del settecento e dei fermenti di rinnovamento politico esistenti nella società napoletana. L’allontanamento di Tanucci determina l’avvento del governo politico personale della regina con inevitabili conseguenze nella politica estera: indipendenza dalla Spagna e avvicinamento all’Inghilterra, subordinazione alle potenze straniere, nomina di un nuovo ministro Beccadelli e Reggio. La politica nuova di Reggio era più in linea con il secolo dei Lumi e in sintonia con orientamenti e indirizzi del governo di Vienna e della Toscana; ciò rendeva il regnante più libero e più altiero non più all’ombra di re stranieri e potenti. Assecondava i desideri di Maria Carolina divenuta la speranza dei grandi, degli ambiziosi, degli onesti, del popolo. Già da novembre del 1776 la regina tendeva ad un ammodernamento dello stato aperto verso sostanziali e radicali riforme in un clima di dispotismo che non si era mai verificato nel regno. Ella era impaziente di regnare senza alcun ostacolo, non ascoltando quindi consigli, come ricorda anche Ferdinando al padre. Sin dagli inizi degli anni Ottanta la regina aveva quasi isolato ed esautorato il Segretario di Stato a vantaggio di Acton che venne chiamato a Napoli per riorganizzare la marina napoletana. Maria Carolina aveva individuato in Acton un uomo di grande esperienza in grado di rilanciare il giovane stato nello scenario internazionale, l’uomo in grado di farle credere che il re non ha bisogno di nessuno, nè della Spagna di Carlo III e tanto meno della Francia. Dominique Vivant de Non: Acton gode di una fiducia forse momentanea ma al momento illimitata. L’ascesa di Acton: egli aveva sfruttato la debolezza di Ferdinando e soprattutto l’ambizione e la megalomania di Carolina per rendersi indispensabile e prendere il sopravvento sui sovrani. A lei erano stati indirizzati molti memoriali e non solo: nelle cronache di Corte, la figlia di Maria Teresa dominava la scena napoletana, soprattutto quando aveva iniziato a partecipare alle riunioni del consiglio di stato esercitando un’influenza “preoccupante”. A Carolina i ministri sottoponevano le loro proposte, soprattutto Acton il quale, a detta del marchese di Breme, discuteva tutti i suoi piani con lei, passando con la regina numerose ore tanto che i pettegolezzi ne denunciano un amante riconosciuto. Lo stesso diceva di lei Hamilton considerato dalla regina come primo ministro di questo paese. Maria Carolina era fortemente antifrancese, i nemici, a suo avviso, della sua dinastia. Un obiettivo primario di Maria Carolina era l’incentivazione dei traffici, che Acton voleva rendere potenti attraverso la formazione di un esercito moderno e la costruzione di una grande flotta in grado di distruggere i barbareschi. Egli aveva ripreso l’idea avanzata da Tanucci di costruire una squadra ispano-napoletana per la difesa marittima del mezzogiorno ma aveva creato una flotta inadeguata per i compiti da assolvere e ben diversa dalle reali necessità del regno. Acton era arrivato a Napoli con un preciso piano strategico-politico: far acquisire all’Austria un potere marittimo nel tirreno facendole concepire l’idea di avere nel regno, e a spese di questo, una marina a sua disposizione; e vi era riuscito con il consenso della regina che demoliva i meccanismi costituzionali annullando la distinzione tra corte e governo e alternando motivi innovatori e istanze di chiaro spirito reazionario. Acton assecondava le sue opere che iniziano con lo smantellamento del vecchio edificio spagnolo, portando nella corte il suo libero spirito di avventura e di genialità fastosa intraprendendo una politica antifeudale e anticlericale sull’esempio dei fratelli. Gli anni Ottanta vedono il regno impegnato in vari tentativi di sviluppo del commercio. Maria Carolina appoggiava una potente dinastia di banchieri, Brentani di Genova che nel 1780 presentavano un progetto per la creazione di una compagnia privilegiata con un fondo azionario di 3000 ducati per risollevare l’economia meridionale, ma la proposta veniva ostacolata dal baronaggio e dalla borghesia. I progetti commerciali documentavano l’interesse della regina per l’incentivazione del commercio regnicolo: cura del naviglio mercantile con apertura di cantieri navali, il restauro dei porti, la fondazione di scuole per ufficiali e l’istituzione nel 1783 del tribunale dell’ammiraglio e del consolato. generale von Mack, tendeva ad estendere i domini napoletani a spese dello Stato pontificio. ma il piano Borbonico falliva miseramente.. Maria Carolina giungeva al ricatto pur di ottenere quello che voleva e la leggerezza dei governanti aveva fatto il gioco dell'Inghilterra: far apparire la corte borbonica la nemica implacabile della Francia, screditata agli occhi degli alleati soprattutto all'Austria mostrando nella debolezza dell'esercito il quale era costretto alla ritirata. A tutto questo segue l'abbandono della capitale da parte dei sovrani. Ferdinando era stato obbligato dagli inglesi a partire per non fare pace con la Francia; il desiderio di vendetta da cui era animata Maria Carolina e anche Ferdinando IV aveva rovinato tutto. La ignominiosa fuga a Palermo con i soldi dei Banchi, la distruzione della flotta voluta con sconcertante freddezza dal suo creatore: tutto era stato organizzato nei minimi particolari da Acton Lady Hamilton e Nelson, tanto da far intravedere al pauroso re la possibilità di un assassinio da parte dei Giacobini o del Popolo e all' impressionabile isterica Regina l'eventualità di una sorte simile a quella di sua sorella Maria Antonietta. Cinzia Recca: Le politiche matrimoniali di Maria Carolina d’Austria. La storiografia dell’ultimo decennio ha provato a considerare la figura della sovrana sotto una luce differente: l’immagine di mostro è stata riconsiderata alla luce di una diversa documentazione. Il diario di Maria Carolina ha fatto dedurre che fosse proprio lei il deus ex machina del regno di napoli in quanto essa si intratteneva quotidianamente con personaggi autorevoli e minori sia della corte napoletana che di altri regni europei. Quasi quotidianamente la regina scriveva ai suoi due fratelli: Leopoldo e Giuseppe II. Da queste fonti si avvalora l’idea del tentativo asburgico di ricondurre il regno di Napoli sotto la propria orbita attraverso l’operato della regina sul regno di Napoli. La storia che vede coinvolti i personaggi di Luigi XVII e Maria Antonietta si ripercuote quasi di riflesso sull’immagine dei sovrani del regno di Napoli. Nel 1799 i patrioti napoletani riproposero contro Maria Carolina le stesse accuse che erano state rivolte alla sorella. E’ in questi anni che si verifica la rottura tra la regina e le forze riformistiche napoletane e prese forma l’immagine di regina mostro che sarebbe perdurata nel corso dell’ottocento. La prospettiva risorgimentale avrebbe fatto proprio questo disegno della regina concentrando il discorso sui Borbone sul tema della contrapposizione tra corte e società napoletana. Le nuove fonti su Maria Carolina sono utili per superare i pregiudizi nazionali partendo dagli anni ottanta che nel regno di Napoli furono caratterizzati da un’azione politica di Carolina e di Acton così forte da indisporre Carlo III di Spagna il quale era preoccupato per suo figlio temendo che sarebbe stato costretto all’insubordinazione. I timori erano avvertiti anche dalla sovrana. In una lettera a Carlo III la regina sottolinea di essere moglie e madre e tra le sue parole è possibile avvertire una risolutezza nel mantenere la piena partecipazione alla vita del marito - re. E’ dello stesso anno sia l’affaire politico maturato contro Acton attuato dal ministro Tailleyrand il quale voleva ripristinare i rapporti con la Francia: la regina lo accusò pubblicamente di aver rubato dei documenti segreti dallo studio di Acton. In realtà si trattava di lettere compromettenti della sovrana che provano un ipotetico tradimento perpetrato sia da Acton tanto quanto da Maria Carolina. Si innescò una catena di paure e ricatti che sparse il panico tra le varie ambasciate del regno. Coinvolta in questo meccanismo politico che coinvolse anche la sua vita privata Carolina chiese aiuto ai fratelli. Leopoldo e Giuseppe II la sostennero mentre la sovrana iniziava ad attuare una politica decisamente filo-asburgica basata su accordi matrimoniali e supportata dall’invio presso la corte imperiale di Vienna di un diplomatico, Mastrilli. Maria Carolina intese rafforzare i rapporti di alleanza anche con l’Inghilterra. Essa desiderava rafforzare il regno attraverso alleanze con grandi potenze, inizialmente per neutralizzare l’influenza spagnola nella gestione della cosa pubblica ma poi per arginare l’ondata rivoluzionaria francese. Avvicinarsi all’Inghilterra si rivelò più utile al regno unito che non a quello di Napoli. Acton cercava di controbilanciare in Italia il crescente potere austriaco avvicinandosi all’inghilterra. Avendo come modello sua madre e riconoscendo l’efficacia della politica di accordi matrimoniali con le principali corti europee, la regina si preoccupò di organizzare matrimoni politicamente vantaggiosi sia per il suo regno che per i suoi figli. Famiglia e politica divennero inscindibili ed essa identificò gli interessi e le esigenze dei suoi figli con quelle diplomatiche del regno. In questo senso si legge il rapporto con suo fratello maggiore Giuseppe destinato a succedere alla madre nella guida dell’impero asburgico e della famiglia; in occasione della sua visita a Napoli egli cercò di capire il legame che vigeva tra sua sorella e suo marito il quale era molto innamorato della moglie, perfettamente conscia della sua crescente influenza. I carteggi tra Carolina e suo fratello imperatore dimostra che spesso chiedesse consigli a lui riguardo proposte e pareri e direttive che le giungevano dalla casa di Spagna e dai ministri inglesi al fine di non prendere decisioni contrarie agli interessi dell’austria. Leopoldo, stimato da Carolina stessa, nutriva fiducia nei confronti della sorella anche nella capacità di educare i propri figli. La sistemazione delle sue figlie era un oggetto molto presente nelle conversazioni con Leopoldo. Essa confessava: sistemare le mie figlie è una cosa che vedo con fatica [...] confidando in Dio e sperando che vada tutto per il meglio posso aspettare con più tranquillità vedendo che le mie figlie sono contente, tranquille e soddisfatte, senza alcuna ansia per il loro futuro”. Un’ansia crescente quindi arginata dal fratello che le suggeriva di essere paziente e di non prendere decisioni affrettate. La missiva successiva rivela come il fratello suggerisse alla regina le azioni politiche da interpretare riguardo a delle figure considerate pericolose: Generale Solis - “non ho mai compreso la necessità nè l’utilità di far venire questo generale col suo numero di seguiti per risanare il vostro settore militare [...] egli fosse di sicuro il peggio che la vostra situazione esigesse [...] sapevo che il generale non avesse una buona reputazione in Francia, che era odiato e considerato falso, intrigante e pericoloso e che per questa ragione il ministro di Francia l’ha inviata volentieri a Napoli per immischairvisi [...] imbroglioncello, intrigante, io avrei evitato di apostrofarlo in pubblico ad un ballo in quanto ciò ha significato compromettervi di fronte ad un uomo simile [...] ciò che vi consiglio e di non intromettervi nelle questioni militari nè nei progetti di Solis, ma di indirizzarle e protegere su ogni cosa l’amicizia e la fiducia del re. Si mostra peraltro dubbioso anche nei confronti di Acton mettendo in guardia la sorella riguardo la sua lealtà alla causa austriaca. In quegli stessi giorni l’imperatore Giuseppe manifestava le sue preoccupazioni al fratello Leopoldo riguardo l’eccessiva impulsività e talvolta la leggerezza dell’agire della sorella Carolina. Anche rafforzare il legame con la famiglia era un obiettivo di Maria Carolina la quale scrive al marchese del Gallo affinchè rendesse ciò possibile. Il ministro godeva di piena fiducia del sovrano che lo riconfermò nella carica di ambasciatore anche con il nuovo imperatore Leopoldo - egli gestiva ben tre trattative matrimoniali per conto della regina. Essa riuscì a destinare la primogenita Maria Teresa al nipote Francesco, erede al trono austriaco e la sua secondogenita Maria Luisa al nipote ferdinando con l’approvazione del fratello che era stato l’autore effettivo della fortunata strategia matrimoniale e che premeva per sposare Ferdinando prima di nominarlo granduca di Toscana. Per Maria Carolina si trattava di un desiderato doppio risultato: rafforzare i rapporti con Vienna e anticipare altre eventuali e ipotetiche proposte di alleanze matrimoniali con la corona d’Austria. A questo si aggiunge che il matrimonio di Maria Luisa aveva avvicinato la zona di influenza di Napoli a quella dello Stato della Chiesa, e ciò offrì a Maria Carolina l’opportunità di un’ulteriore alleanza per rafforzare i confini a nord del regno. Nel 1790 Maria insieme al marito accompagnò Leopoldo a Francoforte e a Budapest per la doppia incoronazione ad imperatore del sacro romano impero e re d’Ungheria e di Boemia; a corte ebbero modo di stabilire accordi interni inerenti le strategie politiche e militari da adottare contro la Francia in rivolta. Maria Carolina scelse di far schierare il regno nelle tre coalizioni che si susseguirono a partire dal 1793 fino al 1805. Vai furono gli incidenti diplomatici in quegli anni fra il regno di Napoli e la Francia derivanti spesso da decisioni tattiche della regina. Nonostante i consigli del Marchese Gallo, Carolina suggeriva di continuo proposte e strategie d’intervento alle altre monarchie al fine di arrestare l’avanzata di Napoleone. Continuò ad appoggiare l’Inghilterra che riteneva l’unica potenza militare capace di fermare l’avanzata francese nel mediterraneo. Un grave incidente diplomatico fu rappresentato dall’ingresso del regno di Napoli nella terza coalizione, avvenuto attraverso trattative segrete curate dalla regina e concluso a Napoli tra il ministro plenipotenziario di Russia e la corte napoletana contravvenendo l’accordo di neutralità con i francesi che tanto aveva impegnato il Gallo nelle trattative con Talleyrand. Dal momento che l’accordo con i russi prevedeva l’impiego di mezzi finanziari solo da parte di Ferdinando IV, si prospettava la possibilità che Napoli si costituisse una base di operazioni russa autonoma da quella inglese. Ma il ministro inglese Elliot non gradì affatto l’accordo, visto che l’Inghilterra era disposta a fornire ai russi ampi sussidi in cambio della loro piena subordinazione agli scopi di guerra inglesi. Elliot comprese che i russi avevano raggiunto con successo l’obiettivo di avere una loro base operativa nel mediterraneo. Con una sola mossa il regno di Napoli tradiva gli accordi con la Francia, allontanava gli inglesi e finanziava l’ingresso e la permanenza di un’altra potenza europea nell’Italia meridionale e nel mediterraneo. La regina però non trascurò la politica matrimoniale in ragione della quale, pressò il marchese de Gallo per occuparsi delle trattative per il matrimonio tra l’erede al trono Francesco e l’arciduchessa Maria Clementina con l’intenzione di legare ulteriormente le due corti da una parte, e dall’altra di garantire un valido alleato al futuro re. Le trattative si coronarono con successo attraverso la celebrazione effettiva del matrimonio ma Francesco si allontanò dalla madre per le pressioni esercitate dalla nuora. Propositi politici e familiari si conciliarono anche nelle successive trattative di matrimonio per le figlie Maria Cristina, Maria Amelia e Maria Antonia rispettivamente con i Savoia, gli Orleans e con la casa di Spagna (la prima non era bella come le altre sorelle maggiori e la regina volle tenerla con sè il più possibile. Visto poi il precipitare dei fatti, Carolina temeva di non poterle assicurare un futuro stabile e quindi decise di proporla in matrimonio). Maria Antonia fu la prima ad essere oggetti di trattative matrimoniali. Carolina desiderava destinare la figlia all’erede al trono spagnolo, nonostante l’antica ostilità espressa dall’avversione verso il ministro Tanucci, nonostante la posizione di neutralità assunta dalla Spagna nei confronti di Napoleone e nonostante le perplessità riguardanti il comportamento della regina Maria Luisa ritenuto scandaloso da più parti. Il principe Francesco rimase vedovo e Carolina pensò di farsi avanti proponendo il matrimonio di Francesco con l’infanta Maria Isabella. L’avvio e lo sviluppo delle trattative rappresentarono un grande sforzo per la regina e un ulteriore tentativo di riconciliazione con la Spagna. Maria Carolina non esitava a rammentare al figlio di evitare il pericolo di un ritorno all’antica servitù spagnola, mentre alla corte madrilena era costante la preoccupazione per la giovane infanta chiamata a vivere presso una corte in cui la regina dava scandalo per la sua condotta. Nel 1802 vennero celebrati i due matrimoni rafforzando legami a tratti provvisori tra le monarchie frastornate dalle armi napoleoniche ma con il contro altare di una dipendenza politica da austria e inghilterra che favorì l’indebolimento del regno in termini politici, economici, sociali e culturali. Maria Cristina sposò Carlo Felice di Savoia e Maria Amelia sposò il duca d’Orleans Luigi Filippo, futuro re dei francesi. Non si hanno testimonianze riguardo le motivazioni e le dinamiche che portarono alle trattative di tale matrimonio anche se lascia perplesso il fatto che una reazionaria come Maria Carolina, presentata vendicativa e spietata contro i nemici, sorella preferita della regina Maria Antonietta abbia concesso il matrimonio di sua figlia con un soggetto attivo della rivoluzione francese. Maria Teresa sarebbe salita al trono di Francia e proprio una figlia di Maria Carolina che aveva giurato odio eterno a quella nazione. Tuttavia ella diveniva regina dei francesi e non della Francia visto che il re Luigi Filippo aveva apportato un’innovazione costituzionale che legò la sovranità al popolo e non al monarca. Maria Carolina quindi attraverso banchetti. Ludovico Vanceslao 1/3 dell’anno lo trascorre a banchettare o in compagnia, situazioni conviviali, ufficiali, o presso casa sua o altri perché va interpretato in questo modo il dato secondo cui lui è assente (egli era in possesso anche di un casino a Pozzuoli dove trascorreva molte giornate in compagnia). Se è assente per più giorni poteva essere partito per un impegno politico, per capire l’amministrazione dei feudi. L’aristocrazia napoletana passava buona parte del suo tempo in situazioni di convivialità. Come aggregare i dati? Forse la cosa più opportuna è dividere e aggregare gli elenchi secondo dei gruppi di alimenti. Quanti sono i pasti quotidiani? I pasti erano tre ma molto diversi da quelli di oggi, colazione - pranzo (la “tavola”) – la cena. Nel corso del 700 c’è stato uno spostamento in avanti di tutti i ritmi quotidiani, perché si andava a dormire più tardi e ci si svegliava più tardi. Il pranzo era il pasto più abbondante, la cena frugale. Il quotidiano ricalca il modello alimentare di casa reale. Ferdinando IV mangiava pochissimo la sera. Lo stesso per Ludovico, immancabile era il vino. Le tisane servivano per agevolare la digestione. La colazione: il caffè era entrato nelle cucine già nel ‘600, e la cioccolata. Il caffè ha avuto un processo di legittimazione molto lento in quanto si credeva fosse tossico. Ludovico usava fare colazione con la cioccolata calda (diffusa in Europa nel corso della seconda metà del XVII secolo attraverso elites trasnazionali che ne fecero il simbolo di una noblità cosmopolita e un’icona della raffinatezza. Attorno al cioccolato si creò un piccolo mondo sociale con i propri costumi e usi che lo rese ambito di competenza e di espressione della propria distinzione e raffinatezza), lasciata raffreddare durante la giornata poteva consistere in uno spuntino. Assente il caffè. Ma la fonte ci rimanda ad alcuni giorni in cui era presente, questi erano quelli in cui o c’erano ospiti o banchetti. Il mattino, il caffè era stato già introdotto, è Ludovico che non lo beve. A partire dal Seicento lelit francesi avviarono una trasformazione del gusto che contaminò anche Spagna e Italia attraverso un lungo processo che arriverà fino al XVIII secolo. la Spagna Infatti vide l'ingresso della cucina francese ad opera di Filippo Quinto. Il nuovo gusto di corte costituì un modello emulato dalle classi più alte della società spagnola. Elisabetta Farnese seconda moglie di Filippo svolse un ruolo importante nel imprimere un carattere anche italiano al nuovo gusto. ancora una volta c'è una regina consorte che detta le nuove regole della tavola così come la corte di Napoli fa Maria Carolina imprimendo un carattere francese alla cucina. Il brodo di carne si preparava tutti i giorni, ed era di diversi tipi, serviva come base anche per le zuppe (quotidiana), non manca la cacciagione, la caccia è una pratica molto in uso presso la nobiltà, suo elemento caratterizzante. Ferdinando IV dona un cinghiale a Ludovico, apre la civiltà del “dono alimentare”. Le interiora non mancano mai. Le uova acquistate quotidianamente. Gli elenchi della spesa venivano scritti tutti i giorni, non si usavano fare scorte perché non esistevano i modi di conservazione di oggi. Quotidiana anche per farina, zucchero, il pesce, a seconda della stagione, molto utilizzato anche di grandissime dimensioni soprattutto in occasione di ricevimenti – “i rilievi” che dovevano contenere pietanze a base di proteine, spettacolari a vedere. “Cicinielli”, il novellame, i pesci piccolini: vi è un mercato nero intorno alla pesca perché pescare questi pesci era vietato se non per piccolissime parti dell’anno, anche le reti dovevano permettere a questi pesci di sfuggire per ritornare in mare a crescere. Era la nobiltà anche borbonica a forzare un mercato illegale del pesce; l'aristocrazia napoletana segnatamente filoborbonica si proponeva l'elusione delle norme: la continua domanda della nobiltà che non voleva farsi mancare le prelibatezze del mare da offrire agli ospiti in qualunque stagione dell'anno dovette costituire un’attraente incentivo per pescatori sempre al limite dell'indigenza. Latte e latticini: consumati ampiamente e molti piatti sono a base di creme fatte di latte, besciamelle, influenza francese molto presente, crostini fatti con ogni sorta di crema e anche la terminologia subisce l’influenza della lingua francese. “Porta a porta”: l’allevatore portava in giro la mucca, dalle case si usciva con le brocche e si faceva mungere la mucca fino a raggiungere il quantitativo necessario. La mozzarella non è ancora molto diffusa. Il parmigiano è riportato molto spesso, legato alla tradizione di oggi. Carlo I quando prese il trono di Napoli e veniva da Parma volle portare con sé il parmigiano che gli era tanto piaciuto. Trasformazione in “cacio reale” fatto con il latte di bufala, produzione locale. Tutti i latticini freschi erano consumati pochissimo. Carboidrati, alimento nutriente quotidiano, sotto varie forme: farina, paste fresche. Nel quotidiano si usano i maccheroni anche se considerato un pasto popolare, non ancora nobilitato ed infatti durante i ricevimenti non si presentavano mai, ma subiva un processo di nobilitazione tramite quella che era la presentazione del “timballo”. Riso e zucca, riso e verza, hanno mantenuto una tradizione fino ai giorni nostri. Le verdure più diffuse sono le insalate la sera. Si trasformava, non esiste il contorno di verdura, non rappresentativo della classe nobiliare. Entra in tutti i piatti ma nelle zuppe, nei timballi, nelle paste sfoglie. Piselli e fagiolini sono gli unici legumi, ma potrebbero averli considerati come verdure. I legumi sono considerati “cibo dei poveri”. Non ci sono neanche ortaggi che avranno una tradizione importante nella cultura napoletana: melanzane, peperoni e pomodori. Essi hanno subito un lungo processo di accettazioni considerati cibi tossici, introdotto dopo gli anni ’30 dell’800. Considerati anche sempre come cibo per i poveri. Le patate si introducono, dal francese pomi di terra questo aiuta allo sdoganamento di questo alimento, subiscono un processo di legittimazione e nobilitazioni introdotte dalla cucina francese. La frutta non manca mai, che documenta sia il gusto personale, sia le produzioni locali sia, la trasformazione della tavola. I dolcetti rientrano anche nell’uso quotidiano, Ludovico di pomeriggio mangia i biscotti con il caffè. La frutta può divenire dessert non mancando mai sulle tavole nobili. Annotazione sui grassi: non si cucina con l’olio di oliva, non esiste ma solo per condire a freddo le insalate. In cucina si usa il burro, rinvio aperto alla cucina francese. Anche il grasso animale viene utilizzato. Le bevande: vino (spesso unito alle pesche gialle, producendo una bevanda che va sotto il nome di percocata) e acqua. Negli elenchi non è riportato l’acquisto del vino, questo perché casa Loffredo si dedicò alla produzione del vino, avendo una propria linea, quindi nel quotidiano o anche nei banchetti veniva offerto il “vino della casa”. Ricorre l’uso di alcune particolarità: sorbetti e gelati. “Sciumone” – schiumone. Dopo la cena di sera. Un’abitudine primaverile è quella dell’aranciata così come in este era uso bere una limonata. Si fa spazio anche un’abitudine diversa dello stare a tavola (masticare senza fretta, mangiare in silenzio, consumare con moderazione cibi e bevande), arriva la moda dell’” apparecchiare la tavola” mettendovi sopra tutte le pietanze e i nobili si servono da soli, la servitù passava solo per le bevande. Maria Carolina e Ferdinando IV non facevano eccezione: le decorazioni artistiche ricoprivano buona parte del desco, in particolare il centro della tavola era occupato da un grande vaso o da un’alzata di porcellana di Capodimonte. Vi erano alzate di cristallo o di argento per offrire in bella mostra frutta e dessert. Si aggiungevano coppe di cristallo con pesciolini che nuotavano tra foglie rosa e gabbiette di uccelli. Tutti i sensi erano coinvolti, il viso, l’odorato e il gusto. Il cibo doveva essere un’esperienza di piacere estetico in cui prima ancora del palato era la vista ad essere colpita. Il gusto seguiva immediatamente dopo in una crescente celebrazione del piacere. E’ difficile pensare che i convitati mangiassero e finissero tutte le pietanze presentate ma ciò che restava andava a popolare le tavole della schiavitù. Caffè e liquori non si servono a tavola, ci si sposta in salotto – società della conversazione. Il cane era un’animale simbolo della nobiltà, rientrano nell’elenco della spesa i cibi per il cane. Lo stipendio del cuoco era in assoluto il più alto. Nadia Barrella: Cultura e potere: Maria Carolina e l’istituzione del “museo nel palazzo dei vecchi studi”. Il presente lavoro si propone di offrire una ricerca circa il ruolo che Maria Carolina ha potuto avere riguardo il processo di formazione del museo archeologico nazionale di Napoli. Quando la regina giunse a corte nel 1768 la capitale del regno ha due poli positivi notevoli che erano stati voluti da re Carlo: la galleria dei quadri a Capodimonte e il museo Ercolanese a Portici. Entrambi i musei sono interni alla casa del re, organizzati in base a regolamenti precisi e aperti al pubblico. Sono però poco fruibili e rispondono all’esigenza di testimoniare lo splendore del regno e del re in quanto persona. Nonostante entrambi i musei siano caratterizzati dal presupposto di voler dare vita ad uno spazio organizzato per presentare le opere in successione in modo ordinato e chiaramente leggibile, la proposta di Portici in particolar modo si contraddice venendo meno uno dei presupposti fondamentali del museo: larga libertà di accesso e la conseguente possibilità di ricerca, indipendente e concorrenziale, aperta agli specialisti di tutta l’Europa. L’antichità è al servizio del prestigio reale e la politica culturale di Tanucci Segretario di Stato e sovrintendente agli scavi, musei e belle arti, mira ad utilizzarne l’esposizione per apportare la fama della rarità nelle altre province. La partenza di Carlo per la Spagna non modifica la strategia di Tanucci che era rimasto a Napoli al fianco di Ferdinando IV. Nel 1767 il polo di portici e l’ampliamento del museo ercolanese appaiono come la risposta più adeguata circa il continuo accrescersi del materiale proveniente dall’area vesuviana e ancora nel 1768 pur avviandosi una riflessione riguardo lo spostamento della sede del museo ercolanese, Tanucci indica come posto il palazzo vecchio di Caserta dove si stava costruendo il nuovo palazzo reale. E’ utile considerare che dopo il 1767 Tanucci pur ipotizzando un’autonomia della residenza reale rispetto alle sale di esposizione tale da sottrarle all’esclusivo uso della sua famiglia e di consentirne a tutti la conoscenza, non riesce ad immaginare un superamento dell’idea reggia-museo. La cacciata dei Gesuiti nel 1767 ha rappresentato un momento importante per la città di Napoli proponendo una riorganizzazione nuova della città in generale e dei suoi luoghi di cultura. 1775: l’erede maschio consente a Maria Carolina un ruolo molto più forte nella gestione del regno e si stesso una rappresentazione dello sviluppo storico-artistico. A completare il quadro dei possibili modelli legati all’area tedesca va menzionata Maria Carolina con l’edificio che il Langravio Federico d’Assia, prince philosophe, inaugura a Kassel. Federico fa costruire un grande edificio monumentale in cui l’interesse a dichiarare visivamente la destinazione del palazzo poteva trovare la propria ragione nell’importanza, di natura politica oltre che culturale, che il prince attribuiva all’istituto del museo. Esso era la combinazione di una biblioteca e di un museo e fu aperto al pubblico per ore ma al piano superiore il Langravio aveva il suo studio privato, segno evidente di una fase di transizione. Kassel è il modello più vicino alla prima ipotesi di museo, ovvero matrice illuministica e dinastica insieme. Federico volle fare del museo di Kassel anche il protagonista dell’assetto urbano della sua città lasciando campeggiare l’edificio monumentale sulla Friedrichplatz (platea che si configura con il foro cittadino). Del museo di Kassel si è sempre sottolineata il legame che egli volle trattenere con l’istituzione, l'intitolazione Museo Federicianum. Il museo di Napoli in questi anni viene citato esclusivamente come il museo nel palazzo dei vecchi studi e le prime proposte di Schiantarelli non presentano alcuna intestazione. Anche la denominazione Real museo Borbonico è successivo alla restaurazione. In uno dei progetti di Schiantarelli, sul prospetto principale dell’istituto appare un’interessante dedica: Ferdinandus IV Palladi et Musis - elemento di riflessione il fatto che il progetto di Schiantarelli risalga al 1786, legato alla venuta di Heckert a Napoli ed al suo coinvolgimento nella riorganizzazione del museo. Si ritorna alla corte della regina, officina internazionale di artisti operanti nel regno e più in generale al network della massoneria in cui Maria Carolina giocò un ruolo chiave a cui aderirono gli unici artisti moderni della Napoli pre- rivoluzionaria: Tishbein e Hackert. Altra riflessione si lega alla dedica del museo a Pallade e alle muse. Nei dipinti e negli affreschi di questi anni, commissionati da o per Carolina, Pallade è una presenza molto frequente, soprattutto a Caserta. Pallade è dea delle arti, della guerra, della saggezza, essa e sul cavalletto posto alla destra del genio della pittura che ritrae Maria Carolina nell’affresco casertano di Desiderio de Angelis e un’imponente Minerva è alle spalle della regina in un’allegoria monocroma attribuita al pittore Fuger. I ramoscelli d’ulivo appaiono nelle mani di Maria Carolina. Fuger giunge a Napoli dopo aver dipinto nel 1779 l’apoteosi dell’imperatore Giuseppe II. Fuger ottiene poi l’incarico di affrescare la biblioteca di Maria Carolina. In questi grandi affreschi Minerva è ancora presente: in un'allegoria intorno al mito della fonte sacra dove Ippocrene (musa dell’arte poetica) invita Minerva a bere l’acqua da una coppa. L’iconografia è complessa e non del tutto risolta ma è stata immaginata un’allusione al rapporto tra il potere regio, a cui è associata Minerva e l’attività artistica. Il filo conduttore al di là degli affreschi è il ruolo della corte (o meglio della regina) nel rinascimento delle arti e il contributo determinante al risorgimento della civiltà che può avvenire solo attraverso lo studio e l’imitazione degli antichi. Maria Carolina restauratrice delle arti e allora la Pallade a cui viene dedicato il museo potrebbe rimandare a lei e la dedica potrebbe nascere da una proposta di Hackert. Grazie a Maria Carolina, Tishbein e Fuger avevano introdotto nel regno termini come neoclassico e moderno. In Hackert il concetto di accesso libero è accentuato e ampiamente ribadito e viene accantonata in questa sede l’idea di un istituto enciclopedico. Va prendendo forma grazie a queste istituzioni, il grande museo d’arte antica che unito alla biblioteca pubblica arriverà fino agli inizi del XIX secolo e che si avvicina ai grandi musei dinastici che i diversi componenti della Maison d’Autriche stavano aprendo in Europa. Matrice tedesca che si afferma grazie alle scelte di Maria Carolina nel regno. Schiantarelli con il suo progetto sembra voler approdare ad un linguaggio neoclassico in anticipo sulla cultura architettonica napoletana ma in linea con le scelte innovative che in campo pittorico effettuavano i nuovi pittori di corte. La fabbrica del museo avrà tempi lunghi, soprattutto per le vicende politiche che vide il regno. Immaginato come accessibile a tutti ma ancora strettamente legato alla casa reale, alla maggiordomia e quindi ancora caratterizzato dalla sopravvivenza del passato feudale dei musei e delle gallerie. Probabilmente, per il più grande istituto culturale della capitale si è pensato più a curare l’immagine fastosa che la sicura efficienza e che l’adesione a nuovi modelli sia nata da una concezione certamente illuminata ma autocratica nei metodi. Marcello Andria, Paola Zito: Narrativa e teatro nella shofelbibliotek della regina. 1602, officina di un oscuro tipografo della Champagne, provincia nordorientale della Francia, Nicolas Oudot I al quale viene l’idea geniale di prendere e stampare libretti e opuscoli didascalici e di narrativa dal gusto rétro, rivestiti di cartoncino azzurrognolo. Decennio dopo decennio la trama del catalogo suo e dei suoi successori si dipana irrimediabilmente; si tratta palesemente di testi deboli, spesso nel segno dell’anonimato, autentiche perle attinte ad una tradizione recente o meno che pur nella loro diversità, si rivelano abbastanza duttili per allinearsi ad uno stesso filo e rivestirsi della stessa stoffa, formando un torchon preziosissimo, venduto a basso prezzo. Ne appaiono sempre nuove reimpressioni, vede un pubblico immenso, eterogeneo per censo, livello intellettuale e sociale che si giova di queste letture con inesausto piacere. Contes bleus: della scelta cromatica si ignorano i motivi probabilmente utilizzata per rievocare i colori del tramonto. Erano ovunque, dagli scaffali di umili destinatari alla biblioteca di una regina. In questo caso si parla di due regine: Maria Antonietta ne dissimula la dubbia provenienza sostituendo l’umile legatura originaria con sete e velluti arricchiti da fermagli d’oro e d’argento. Maria Carolina invece li mostrava così com’erano, lasciando che nelle librerie di ben tre sale della reggia di Caserta figurassero i libri della sua Blaue Bibliothek. Schofelbibliothek fu definita la raccolta di visitatori tedeschi, nel corso del loro grand tour, dedicarono alla biblioteca della regina non più di un’occhiata fugace. Questo giudizio venne ribadito con maggiori cautele anche da Benedetto Croce che se ne occupò a più riprese negli anni trenta del 900. Non è affatto certo che la regina abbia letto tutti i libri di quella collezione di cui andava fiera visto che non sono rinvenute note, commenti, o osservazioni. Certo è che moltissimi se ne sono nutriti con passione, quotidianamente all’ora del tramonto. Selezionati accuratamente, di mese in mese questi prodotti escono dalle tipografie, parlando al pubblico in impaziente attesa di amori contrastati. La baronessa Hebenstreit (una donna, aristocratica vissuta nella capitale dell’editoria tedesca), nata a Lipsia nel 1752 è scomparsa nel 1819 contribuisce con il maggior numero di opere alla costruzione della raccolta reale. Essa rinuncia all’onor di fama pur di vedere la rapida circolazione dei suoi lavori. Con lo schermo di un velo che ne cela l’identità essa si presta ad un gioco di parole e inchiostri, di cui in breve diviene un'autentica protagonista, tanto da attrarre di recente l’attenzione degli storici della letteratura. Dopo di lei Caroline von Wobeser con la sua celebre Elisa, Sophie von la Roche, da Charlotte Smith abile artefice di trame epistolari tempestivamente tradotte dall’inglese provengono una ventina di testi che dai torchi tedeschi raggiungono la raccolta reale. I contributo maschili: prevedibilmente più numerosi. Senza citare i grandi come Goethe o Herder, personaggi che hanno partecipato alla raccolta sono Heinse, Karl von Grosse, Huber raffinato traduttore del francese e molti altri. Zauberromane ma soprattutto romanzi storici, che spaziano dall’antico Egitto e dall’antica Israele alla storia romana al XVI secolo alla guerra dei trent’anni e oltre, con la maggiore concentrazione nel basso medioevo, l’epoca sombre della Ritterzeit, templari compresi. Per quanto riguarda la testimonianza dei titoli, i protagonisti vedono alternarsi fantasmi e creature reali, aristocratici e aristocratiche ma anche borghesi, gente di origini più umili e persino briganti in coppia o singoli, che figurano in bella mostra sui frontespizi per richiamare l’attenzione del lettore. Le dediche sono rare e concise. Meno rari invece ma ben più significativi sono i messaggi che in italiano prendono il nome di “avviso al lettore”. Forse nomi inventati ma storie vere. Emerge chiaramente il profilo della serie, di una collana reale o virtuale, ansiosa di verosimiglianza e di attendibilità storica. Queste letture sono per chiunque sia disposto a farsi rapire dalla fascinazione del racconto. Ad un vasto pubblico vengono fornite in vario modo sobrie e sapienti indicazioni sulla natura del prodotto e sulla posologia ideale per assumerlo, in maniera che effonda la giusta dose di dipendenza nel consumatore e lo induca a collezionare. L’io autoriale intende confrontarsi con il suo Leser in modo franco e diretto dichiarando a chiare lettere “io scrivo perciò penso”. Le immagini, una per volume, sono collocate alla sinistra del frontespizio come una sorta di antiporta o subito dopo, costituiscono nel loro insieme un'autentica pinacoteca in miniatura dove al di là delle firme piuttosto sporadiche gli incisori rivelano senza possibilità di dubbio il loro non comune talento nel segno del gothic revival e altro. Esterni ed interni, uomini o donne, colti all’apice dell’azione, del dramma, della catarsi, rimandano alla sintesi dello specchio cartaceo l’epilogo del loro destino. La capacità introspettiva di restituire volti, sguardi, gesti, la puntuale sapienza prospettica, l’attenzione al minimo dettaglio, inducono a ritenere che ciascun fotogramma di per sè merita uno studio più specifico e dedicato. Se avessimo un teatro nazionale avremmo una nazione - Schiller nel 1784. Il teatro del XVIII è alla ricerca di una identità. I palcoscenici erano non numerosi e per lo più improvvisati nelle piazze o nelle osterie. Partendo dai moduli espressivi della fortunata e longeva forma artistica italiana le versioni autoctone mutuano gli aspetti della comicità più grossolana, fondata su lazzi volgari e adatta a soddisfare le modeste esigenze del pubblico popolare. Il primo tentativo di riforma importante si manifesta solo dopo il primo quarto del secolo quando Gottshed avvia una riflessione sulla necessità che non poteva più essere rimandata di costruire un maturo repertorio teatrale tedesco che sia in grado di emanciparsi da maniere esterofile e di percorrere vie autonome, rilanciando nel contempo la linea e la letteratura teatrale nazionale. Anche i migliori esempi offerti dagli italiani sono imperniati su una deleteria improvvisazione che svilisce il prodotto drammaturgico nella ripetizione formulare di dialoghi e situazioni finalizzati ad una spettacolarità facile. E’ necessario rivalutare il genere tragico che rappresentando le vicende e le passioni immortali di figure eroiche, può offrire ai monarchi esempi edificanti di grandezza morale, istituendo un legame virtuoso tra teatro e corte. Il programma di Gottshed trova accoglimento presso alcune tra le principali compagnie professionistiche quale quella di Neuber che promuoveva già una maggiore attenzione per il testo scritto. Dalla tragedie classique francese lo Sprechdrama deve derivare un’ispirazione e un’essenza ideale, sostanzialmente spirituale, fatta di movimenti e gesti ieratici, orientati per convenzione alla raffigurazione delle passioni e sentimenti elevati, quasi non umani: forme e modelli esemplari, allegorici, che per rimandare emozioni vere allo spettatore si affidano a pose plastiche facendo leva sulla modulazione della voce che non sulla mimica. Per l’attore tragico che voglia attingere l’incisività espressiva è sufficiente affidarsi alle leggi della retorica, all’arte della declamazione, e alla riproduzione di pose classiche. La tragedia si rifà ad una sfera di esistenza mitica che non ha bisogno di una particolare varietà tipologica. Si prevede un numero limitato di interpreti. Lo Sprechdrama è povero di azione e trova espressione compiuta nella parola, nella riproduzione formale che può essere assolta da un’arte per lo più declamatoria che fa leva sulla sensibilità dell’interprete tragico. Più complesso è il mondo della commedia naturalistica che nel mettere in scena ambienti e personaggi tratti dalla realtà quotidiana necessità delle capacità di imitazione: un’imitazione non pedissequa, non rozza o piatta ma che si basa sull’osservazione della realtà, sulla conoscenza attenta e profonda dell’umanità e sul filtro di un’autonoma fantasia creativa. L’artista vero non deve copiare ma animare lo studio con la forza del sentimento personale, con una mimica e una gestualità in grado di restituire situazioni e passioni, pregi e virtù affini a quelli del nella tarda età vicereale ad esempio. Fu tuttavia subito chiaro che se le fonti rinvenute integravano delle lacune o fornivano informazioni del tutto inedite sul panorama dello spettacolo napoletano, esse andavano lette con estrema cautela e con premura metodologica. La serie teatri del fondo di casa reale antica rispondeva ad un impianto normativo e gestionale inaugurato da Carlo e la sua corte e seguiva le evoluzioni di un regime governativo che conobbe parecchi assestamenti durante tutto il settecento: rifletteva un’attività ordinaria, dove ai ritmi delle stagioni regolari si sovrapponevano le varie circostanze del mestiere, da quelle economico - finanziarie a quelle pratiche e organizzative, non senza problemi di ordine pubblico e di indirizzo culturale. Quello che affiorava negli altri fondi costituiva l’eccezione nella norma, l’incepparsi di un meccanismo colto in un momento di crisi. Tra gli anni venti e trenta è presente un continuo avvicendamento negli appalti, indizio di problemi amministrativi di non facile soluzione o nel caso dei lunghi memoriali di uditori dell’esercito o funzionari di enti o di corte, chiamati a dirimere questioni delicate, tali da imprimere un nuovo corso alla gestione quotidiana. Non va dimenticata la asistematicità dei reperimenti o la lacunosità dei fondi. Alcune schede notarili contengono numerosi testi utilissimi per la storia di singole sale cittadine ma la serie fortunata può interrompersi se non si riesce ad identificare chi abbia rilevato la specifica incombenza di seguire pratiche di quel teatro o di quell’impresario. Convegno promosso dal centro di musica antica “Pietà dei turchini” dedicato al tema delle fonti d’archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra il XVI e XVIII secolo: intese allargare gli orizzonti di ricerca facendo interagire analisi su elementi poco noti tratti dai pubblici uffici con interventi mirati su alcuni prestigiosi archivi privati e soprattutto con gli sguardi che provenivano da altre latitudini su Napoli. Relazioni diplomatiche, campo esteso e complicato. Teatro e musica sono parte dell’educazione di ogni aristocratico e raccontare di artisti, spettacoli, committenze, può essere una forma di diletto personale come l’adempimento di un dovere imposto dai propri interlocutori vicino o lontani; ciò può costituire un momento essenziale di cronaca di una vita sociale e intellettuale e offre una chiave di lettura più sofisticata su un mondo che si osserva dall’interno e dall’esterno. I fondi dei ministri plenipotenziari raccolgono e trasmettono miriadi di informazioni e non è raro il caso che i funzionari si attivino su richiesta dei paesi d’origine per la promozione di un artista o per favorire determinati ingranaggi o per l’invio di materiali manoscritti e a stampa destinati a circolare in altre piazze o in altri contesti. A volte l’interesse di alcune relazioni internazionali si intensifica riflettendo l’evolversi dei rapporti politico diplomatici nel loro insieme - asse Napoli - Dresda quando il matrimonio di Carlo con Maria Amalia di Sassonia rinsaldò il legame tra le due corti e permise un dialogo culturale fitto, o alla ripresa dei contatti istituzionali con il mondo asburgico all’inizio degli anni cinquanta, al fitto dialogo con la Spagna del re Borbone padre di Ferdinando, all’irruzione dei modelli francesi nella seconda metà del Settecento o ancora ai legami privilegiati con l’austria di fine secolo. In un dialogo a più voci si rende necessaria una visione di insieme ma questo è un lavoro prezioso perchè da un lato riconferma la forte trama unitaria dello spettacolo di antico regime nell’intero continente, dall’altro consente di raccogliere le innumerevoli nuances poetiche, giuridiche, amministrative di ciascun ambito territoriale in una dialettica di analogie e differenze su cui occorrerebbe fare ancora più luce. Archivio storico del banco di Napoli - patrimonio locale di ampiezza e potenzialità impressionanti: largamente utilizzato dagli studiosi di storia dell’arte si è rivelato prezioso per la ricostruzione della vita dello spettacolo. Il primo sistematico lavoro rientra tra le “scommesse” sostenute da Degrada che presentò lo spoglio di tutte le notizie di argomento teatrale e musicale registrate per l’anno 1734: un numero altissimo di occorrenze tale da riproporre un’immagine particolarmente vivace della tarda stagione vicereale nonostante le tensioni che la attraversarono e da suggerire delle letture inedite giovandosi di un’intuizione importante tanto quanto inquietante e cioè che l’approccio tradizionale a quei materiali potesse in effetti non esaurire tutte le potenzialità informative di quelle fonti e anzi fornire risultati di modesta entità sia sul piano quantitativo che qualitativo. L’archivio ha suggerito nuove ipotesi di lettura corroborando alcune idee di fondo contro immagini tardo - romantiche dure a morire: esempio - il concetto di scuola napoletana affidato a ragioni stilistiche e compositive è sempre stato problematico, quindi l’humus cittadina si configura come un sistema produttivo stratificato dove esiste capacità di risposta differenziata ad una domanda presente ovunque e in vari modi, dalle case aristocratiche alle sale pubbliche e formarsi in questo contesto significa acquisire specificità. Per le sale minori la teoria dei libretti e delle partiture superstiti appare ben lontana dall’illustrare l’effettiva offerta di spettacolo. Se segue una filologia della ricezione che associa agli indubbi elementi di novità e di sperimentazione l’utilizzo di schemi narrativi e tipologie attoriali collaudate, al di fuori dei quali è impossibile intendere il rapido propagarsi a Napoli e in Europa di un genere che si affidava alla memoria viva degli spettatori di ogni centro. Convegno dedicato a Cimarosa: esperimenti che consentono di mettere a fuoco una serie di questioni metodologiche essenziali per un uso corretto delle polizze, ribadite anche al momento della pubblicazione dello spoglio dell’intera età pergolesiana. Nonostante la ricchezza dei dati non si deve perdere di vista l'ineliminabile asistematicità dei ritrovamenti: se si eccettua il servizio di tesoreria effettuato per conto della cappella reale e del monte dei musici, non era prescritto che i pagamenti avvenissero esclusivamente attraverso istituto di credito, così che, ricostruire la situazione economico-finanziaria di un’impresa teatrale andrebbe incontro ad inevitabili lacune da cui sarebbe inopportuno dedurre irregolarità. Nel 1745 il Barone di Livieri, nel suo duplice incarico di ispettore di San Carlo e del teatro di Corte si avvalse dei banchi per pagare attori e maestranze coinvolte soprattutto nei suoi spettacoli di palazzo. Questione fondamentale: le informazioni riguardano conti, contratti, versamenti ed è necessaria estrema cautela per risalire a problemi di ordine poetico o estetico a fronte di scelte lessicali, usi e costumi altrimenti non documentati a volte. La progressiva istituzionalizzazione del teatro e le incursioni negli anni settanta e ottanta incoraggiano a pensare che sarebbe utile procedere ad un’inquisizione a tappeto di tutti i dati desumibili dai giornali: un’impresa titanica ma che forse aiuterebbe a riscrivere la storia di un’arte cruciale per un regno giovane e ambizioso (signorelli, Mattei, Lorenzi). Il fervore della storicizzazione è un segno di disperata vitalità: la rilettura di questi monumenta secondo criteri filologici sensibili e agguerriti è un altro contributo essenziale al progresso delle conoscenze. Lo studio di Sigismondo solo nella sua interezza può rivelare il valore ad un tempo di cronaca. Necessità di cercare indizi anche laddove l’orizzonte della scena sembra lontano o almeno non esclusivo: nella corrispondenza di re Carlo, nei periodi scientifico-letterari o nel royal ennui di Maria Carolina dove è tutto da rivedere tra pubblico e privato in un’idea della regalità cui appartengono di diritto la partecipazione e il commento alla vita teatrale e la presenza sovrana scandisce o amplifica la risonanza degli eventi. Lettere che la regina scrisse alla primogenita Maria Teresa: ulteriore rilevante contributo alla ricostruzione di un milieu concreto e di un immaginario che serve a leggere il presente in uno sguardo metaforico che si fa sempre più nostalgico e sofferto man mano che l’età rivoluzionaria mette in crisi un antico sistema di valori. Talora assistere ad uno spettacolo apre una parentesi di vita familiare che compensa la sottile, invasiva, preoccupazione per il volgere degli eventi politici che catalizzano l’attenzione. Sono gli avvisi dei particuliers a suggerire un clima instabile e greve, soprattutto verso una presenza francese che veniva vissuta con disagio non attraverso un’aperta ostilità. E’ nelle lettere private che prendono corpo i fantasmi di una tragedia permanente e il teatro è ancora di più illusione/metafora di un ordine che va soccombendo (“figlia carissima è la sera di andare a teatro per sollevarmi non per soccombere alla pena che provo”). A Maria Teresa arrivano così i grandi rivolgimenti di una scena che si evolveva alla ricerca di un equilibrio tra tradizione e spinte innovatrici e gli echi di un tramonto politico che imponeva nuove ragioni all’opera, al ballo, alla prosa. Il fascino di queste testimonianze sta nel trascorrere dalla cronaca intrisa di commenti pensosi al dialogo privato che utilizza frammenti di un discorso teatrale per esprimere uno straordinario sentimento del tempo. Paologiovanni Maione: Facezie metastasiane per il diletto del mondo. Accademie e trattenimenti costellano la vita domestica di donne e uomini del diciottesimo secolo. I signori accolgono con squisita urbanità quei giovani ragguardevoli che si imponevano alla loro attenzione per qualità distinte mostrate all’interno delle istituzioni di formazione o si rendono generosi protettori di quelle creature che erano alla mercè di un sistema che solo grazie alla benevolenza delle classi maggiori poteva far maturare quella potenzialità in breve. Qui si cimentano i giovani ingegni dimostrando la propria vocazione e saggiando gli umori dei benigni astanti. Su questi palcoscenici si compie anche il tirocinio di Metastasio che si innalzerà al rango di poeta cesareo alla corte degli Asburgo. Il giovane romano nei suoi anni di apprendistato ha la possibilità di confrontarsi con piazze vivacissime. Roma e Napoli rappresentano modelli di indiscutibile prestigio e soprattutto erano sensibili ad accogliere qualsiasi tipo di sperimentazione. Negli anni del soggiorno partenopeo, il precoce letterato ha la fortuna di entrare in contatto con maestranze di ormai indiscusso prestigio internazionale, nonchè con artisti con i quali Metastasio stipulerà contratti artistici e affettivi destinati a durare nel tempo. Proficue furono le conoscenze avviate con l maestranze locali, e non appare sterile neanche la frequentazione con il genere della commedeja pe mmuseca che da poco si andava affermando negli spazi cittadini privati e pubblici e che avrà chiare ricadute sul suo operato. così com’è stato costruttivo lo studio dell’Arte avvenuto attraverso la fruizione delle performance e l’addottrinamento scaturito dalla lettura del trattato dell’abate Perrucci. Nel corso della vita di Metastasio il legame con Napoli è indissolubile così come la sua propensione alla scuola musicale che ai suoi occhi eccelleva al cospetto di qualsiasi altra: all’interno del suo epistolario non sono poche le critiche mosse ai musicisti di diversa estrazione armonica, appoggiando e caldeggiando tutta la categoria degli artisti formatisi nelle officine di Partenope. Il soggiorno napoletano è scandito nei primi anni venti dalla dilettevole scrittura di testi occasionali destinati a celebrare eventi domestici straordinari e ordinari dei blasonati protettori per poi invadere il sito reale prima di compiere l’assalto professionistico cimentandosi con la scena mercenaria di accomodatore. L’excursus segue un cerimoniale che rivela tra le pieghe un progetto assai ardito promosso dall’entourage napoletano: da una parte si può intravedere un lineare itinerario che parte dal “dilettantismo” per arrivare al “professionismo”, dall’altra si può evincere un sistema abbastanza consueto presso i patrizi cittadini di promuovere i nuovi linguaggi lentamente attraverso collaudi destinati ad un parterre esclusivo. La sperimentazione è affidata ai circuiti privati dove è possibile cimentarsi in piena autonomia senza dover sottostare alle rigide regole del mercato sebbene anche in queste zone franche, i tentacoli delle convenienze e inconvenienze facciano comunque capolino (i primi cimenti sono Angelica, Endimione, gli orti esperidi che permisero al futuro poeta di stringere dei legami artistici importanti con coloro che parteciparono alle esecuzioni). Sin dalla prima fase Metastasio appare impegnato in un progetto molto ambizioso fondato su una serie di soluzioni drammaturgiche che saranno la cifra distintiva della sua creatività. Le carte metastasiane appaiono ricchi scrigni, ornate e disegnate per un teatro che non era solo della mente ma già munite di una forte vocazione performativa. La dimensione rappresentativa impera nei progetti e l’agitato ingegno mostra una sensibilità spiccata di fornire invenzioni altamente efficaci. Nella silenziosa fase dell’allestimento poetico echeggia un virtuale impianto sonoro - tutto contribuisce alla vita del prodotto finale. Anche organizzata, una specie di ghironda in forma di chitarra che emetteva un suono non solo mediante le corde sfregate da una ruota impeciata con colofonia ma anche mediante una serie di minuscole canne d’organo rifornite d’aria da un apposito manticetto interno. Questo complesso strumento ebbe una certa considerazione presso gli ambienti altolocati napoletani e fu suonato anche dal sovrano Ferdinando IV. In una lettera di Hadrava al suo amico Schultesius è importante il dettaglio riguardante il perfezionamento della lira che suggerisce l’ipotesi che si possa trattare dell’applicazione sullo strumento di un registro ad ancia ad imitazione. Altro strumento presso la corte di Maria Carolina è un pianoforte di Walter suonato dalla regina stessa che confermando la sua competenza ne da anche giudizio positivo. La regina anche nei suoi diari, riferendosi ai pianoforti impiegati da lei e dalla principessa Maria Teresa usava sempre il termine “clavesin”. La presenza di un pianoforte Walter presso la corte di Napoli offre il varco a nuove considerazioni e percorsi di studio poichè il perfezionamento della meccanica viennese apre una nuova strada al progresso del pianoforte che accompagnerà definitivamente questo strumento al suo trionfo nell’ottocento. Intrigante rappresentazione di un concertino con vari strumenti - quadro di Foschini - che offre uno spaccato interessante, rivelatore di un variegato gusto musicale della nobiltà e degli ambienti diplomatici della corte partenopea: questa scena, la cui rarità è costituita soprattutto dall’eccezionale raffigurazione di un inequivocabile mandolino napoletano suonato da una gentildonna in ricchi abiti nobili, ritrae sullo sfondo quella che si può identificare con la villa del conte Firmian, ambasciatore austriaco, che tanto si adoperò per suggellare con un contratto di nozze un’alleanza con i borbone di Spagna, conclusosi dopo vari tentativi con il matrimonio di Carolina e Ferdinando. Rita Steblin: Joseph Deym, modellatore di cera - ceroplasta- e il legame artistico tra Vienna e Napoli nel 1790. Joseph Deym era tra i personaggi più affascinanti del XVIII secolo a Vienna. Egli fondò un museo che esponeva lavori di cera e vi invitò Mozart, Haydn e Beethoven a comporre musiche per lui. Egli diede forma alla maschera del viso di Mozart alla sua morte. Nel 1799 egli sposò la contessa ungherese Josephine Brunsvik (dopo la morte di Deym, la donna, vedova, fu ardentemente corteggiata da Beethoven - testimoniato dalle lettere appassionate che il compositore le scrisse dopo il 1804). Probabilmente Josephine è proprio l’amata immortale menzionata in una delle famose lettere di Beethoven. Alcuni dettagli importanti a livello biografico: Deym nato nel 1752, rimase figlio orfano di aristocratici e inizialmente fu allevato per una carriera militare: prima all'accademia imperiale in Vienna e poi in Wiener Neustadt (città della bassa Austria a sud di Vienna). All’età di 18 anni ha servito per sei anni nel reggimento della cavalleria ma fu poi arrestato a causa di condotte morali sbagliate e per debiti. Per il periodo successivo ci si deve rifare al “family romance” raccontato dalla sorella maggiore di Josephine, Therese Von Brunsvik e dal figlio di Deym stesso, Friedrich - le basi per l’enciclopedia di Constant von Wuzerbach riguardo Deym. Dopo l’arresto e dopo un duello in cui vide il suo nemico cadere, credendolo morto, Deym fu costretto ad andare via. Assunse il nome di Muller, arrivò in Olanda e per potersi procurare da vivere imparò a lavorare le sue abilità riguardo l’uso della cera che veniva lavorata per proporre ogni tipo di immagine. Il fatto che egli sin da subito acquisì successo fece in modo di ristabilire la sua reputazione e gli rese possibile viaggiare in Italia, a Napoli soprattutto la regina Maria Carolina fu lieta di supportarlo come sua compatriota e come artista. Tutto questo non è stato ancora effettivamente confermato. Ci sono alcuni errori anagrafici anche in riferimento al periodo in cui arrivò in Olanda. Il saggio si propone di fare chiarezza anche su questi aspetti attraverso analisi più accurate: alcuni documenti nell’archivio della città di Vienna provano senza dubbio che Deym sotto il nome di Muller viveva già a Vienna dal 1788. Anche gli annunci nel giornale viennese confermano la sua presenza nella città nel tardo 1780; ciò si collega al fatto che le statue dell’uomo fossero esposte in un appartamento a Kohlmarkt. Queste figure di cera erano state create con un materiale ad invenzione dell’artista con lo scopo di presentare una sorta di carne viva. Deym cambiava spesso indirizzo e luogo per esporre i suoi lavori. Spesso le figure di cera esposte nei musei di Deym esibivano un gusto erotico. Egli rappresentava anche figure reali o eroi militari. Deym aveva un talento geniale per quanto riguarda gli annunci promozionali: effetti speciali di illuminazione erano installati per la vista serale e gli ordini privati potevano essere mostrati o fino al busto o a figura intera in impostazioni dal vivo. Alcuni annunci rivelano che egli abbia vissuto a Versailles nel 1786 - due settimane prima che Luigi XVI fosse ghigliottinato, Muller annunciò che aveva appena creato una statua a figura intera dello sfortunato re in una forma simile a come “il signor Muller stesso avesse visto il pietoso re diverse volte a Versailles sette anni prima”. Questo è avvenuto quando anche la donna che noi conosciamo come Madame Tussauds aveva fatto residenza a Versailles facendo da insegnante in arte alla sorella di Luigi XVI. Probabilmente Versailles è stato il posto in cui Deym ha affinato alcune delle sue conoscenze riguardo a come lavorare la cera. Alcune delle sue creazioni sono sopravvissute. Altri busti possono essere associati al viaggio di Muller a Napoli nel 1793 e questo ci porta alla parte centrale del lavoro. PreBburger Zeitung: annuncia il viaggio imminente dell’artista per Napoli - egli aveva arricchito la sua galleria artistica aggiungendo l’intera famiglia imperiale. Posch aveva lavorato con Deym e ha spiegato il motivo per cui essi decisero di spostarsi a Napoli - nel 1790 insieme lavorarono alla rappresentazione delle immagini dei due monarchi (Francesco II che sarebbe stato incoronato come Imperatore del sacro romano impero e la sua seconda moglie e doppia cugina, Maria Teresa - figlia maggiore di Ferdinando IV e Maria Carolina) e dei loro bambini (Maria Luisa e Ferdinando). I lavoro soddisfò talmente tanto la loro richiesta che decisero di inviare queste figure come regalo a Napoli e che i due artisti stessi avrebbero dovuto condurle lì. Allo stesso tempo ebbero l’incarico di rappresentare l’intera famiglia imperiale una volta giunti a Napoli. Gli archivi di Casa Asburgo in Vienna conservano lettere indirizzate a Maria Teresa. Uno schedario che riporta la data del 1793 contiene una lettera che Joseph scrisse a Napoli il 4 Novembre descrivendo nei minimi particolari la felicissima reazione della famiglia reale alla sorpresa svelata una volta che le cere erano arrivate da Vienna - “la coppia reale era così sorpresa che a primo impatto stavano per scoppiare in lacrime. La regina trovo l’arciduchessa estremamente bella e dotata di una grande grazia tanto da chiedermi se effettivamente la bambina fosse così bella cosa che io non confermai, dicendo invece che la bambina dal vivo fosse ancora più bella di quanto io stesso non fossi riuscito a mostrare. La regina continua affermando che non ci sarebbe potuto essere un altro regalo al mondo che sarebbe stato apprezzato così tanto come quello. Comandò per me un’assistenza medica per i dolori che il viaggio fino a Napoli poteva avermi causato.Addirittura quella sera stessa affermò che avrebbe preferito restare con il gruppo di statue che erano diventare così care alla regina, piuttosto che andare a teatro”. Quest’ultimo dettaglio ci fa capire quanto la regina fosse critica riguardo alle produzioni teatrali. Tra le lettere dell’imperatrice Maria Teresa che riportava le reazioni al gruppo di statue a Napoli ce n’è una dalla dama di compagnia di sua madre, la signora Carolina Vivenzio, moglie del dottore personale di Maria Carolina. Essa descrive le figure di cera ammettendo di essere intimorita dalla loro presenza perchè sembrava fossero lì in carne ed ossa. Lettera di Maria Carolina a sua figlia: “non avrei mai potuto immaginare il sollievo di cui mi hai fatto dono attraverso il meraviglioso regalo [...]. Il gruppo di statue ha suscitato lacrime di tenerezza, più di quanto immagineresti e per questo ti benedico mia cara figlia”. La regina ammette di trovare conforto dopo la terribile notizia che l’aveva affranta riguardo la decapitazione di sua sorella Maria Antonietta. Successivamente Muller ebbe l’incarico di rappresentare la famiglia reale a Napoli così da poterla portare con sé a Vienna - probabilmente di questa commissione ancora oggi sopravvive il busto di Ferdinando IV a Vienna. Tra le lettere scritte a Napoli indirizzate a Maria Teresa sono stati ritrovati anche importanti collegamenti con la musica. Spesso Carolina Vivenzio si teneva in contatto con Maria Teresa inviandole frequenti messaggi, di cui, musica per Nina con il libretto affidato ad un corriere. Erano diverse le lettere a tema musicale che riportava i progressi che faceva la sorella di Maria Terese a Napoli. Ancora un’altra lettera della signora Vivenzio a Maria Teresa descrive il gruppo di cera fatto da Muller della famiglia reale a Napoli e che sarebbe stato spedito a Vienna affermando che nel vedere la rappresentazione di tutte le sorelle ad opera dell’artista, che aveva lavorato seguendo un’alta qualità, avrebbe provato un forte sentimento di gioia. Il fatto che Deym e Posch avessero potuto lavorare a stretto contatto con la famiglia reale a Napoli produsse delle sensazioni particolari a Vienna: egli ottenne dalla regina non solo il permesso di copiare le più rare e antiche statue ma soprattutto poteva smantellarle in modo da poterle duplicare in gesso. Inizialmente a Vienna nessuno volle credergli. Allo stesso modo egli aveva ereditato una grossa fortuna grazie alle sue competenze e ricevette il permesso di costruire gallerie e stanze sulle fortificazioni alla torre rossa, esistente ancora oggi. La popolarità del suo museo d’arte fu talmente grande che Deym entrò nelle grazie dell’imperatore Francesco II il quale era compiaciuto nel sapere che opere antiche bellissime e di ricchezza smisurata fossero installate nella sua città - il valore attribuito a Deym deve essere per questo motivo, due volte maggiore in quanto Francesco II non era particolarmente interessato alle arti ma pare avesse deciso di fare un’eccezione per questo artista. Wiener Zeitung nel 1795 riporta l’ordine dell’imperatore che commissionò la copia di alcune delle più rare e fini opere della galleria di Muller che sarebbero state esposte nell’accademia imperiale di Vienna per essere studiate. Questo rischio per certi versi redditizio diede a Deym l’idea di offrire delle copie alla potente imperatrice russa Caterina la grande. Il 13 aprile del 1796 il giornale di Vienna riporta che la ricca patronessa dell’arte aveva richiesto, attraverso l’invio della sua ambasciatrice Rasumowky a Vienna, che fosse fatta la copia di tutti i personaggi antichi della collezione di Muller per cui lo avrebbe pagato profumatamente. Nel 1796 Joseph assunse un architetto, Aman per disegnare il prospetto di una sua nuova galleria d’arte e negli archivi di Vienna questo esiste ancora oggi. Questo progetto e di conseguenza il palazzo fu terminato in meno di due anni e l’inaugurazione della nuova galleria d’arte vide luogo il giorno dell’onomastico dell’imperatore: 4 ottobre 1798. La costruzione rimandava ad un importante parte del paesaggio urbanistico di Vienna. Anche molto musicisti ebbero modo di esibirsi lì, tra cui Schubert e Beethoven. Deym incontrò sua moglie in quella occasione, quando sua madre, la contessa Anna Brunsvik portò le sue due figlie maggiori a VIenna per 18 giorni, includendo lezioni di pianoforte intense da parte di Beethoven. Nella loro prima serata in città esse visitarono la galleria di Muller e egli fu così attratto da Josephine tanto da decidere immediatamente di volerla sposare. La storia è stata divulgata poi da sua sorella. Prima di concedere sua figlia in matrimonio, la madre chiede a Deym di riconquistare il suo statuto aristocratico includendo il suo nome originario ed in più voleva che egli fosse premiato dal titolo di ciambellano reale. Deym fece richiesta all’imperatore Francesco II il 25 maggio 1799 e fu approvato sei giorni dopo. Il mese dopo si sposarono. Un anno dopo, la donna aveva già avuto un figlio e scrive a sua madre riguardo l’aver ospitato presso la propria dimora personaggi importanti quali gli Hamilton. Emma Hamilton era anche amica di Maria Carolina e nel 1799 diviene padrona di Nelson celebrato come un grande eroe per aver fermato l’avanzata francese. Deym probabilmente aveva fatto conoscenza di questi importanti personaggi quando aveva fatto soggiorno a Napoli presso la corte di Maria Carolina. produzione ed esposizione di quelle effigi non vincolate a particolari regolamenti cui attenersi. E’ l’effettiva somiglianza del ritratto ad essere al centro del racconto e a scatenare il rifiuto da parte dell’uomo e l’ipotetica furia del lazzaroni che potrebbero addirittura uccidere l’autore del dipinto. L’effige di Maria Carolina è considerata come un’immagine sacra, venerabile, la cui profanazione potrebbe provocare una sommossa popolare. - oltre alla considerazione estetica risiedente in quella bella dama vale la pena soffermarsi sui due aggettivi scelti dal pittore per descrivere il volto della sovrana: il primo è “maestoso” evocando delle sembianze altere che riassumono un’indole predisposta al comando e che incutono timore e rispetto in chi le guarda; il secondo è “austriaco” che rimanda al tipico volto degli Asburgo contraddistinto da una particolare forma ovale segnato da una prominenza mandibolare, nota come progenismo, riscontrabile nel corso dei secoli in molti membri della sua stessa casata. Quindi due aggettivi che si richiamano ad una caratteristica esteriore e ad una interiore testimoniando la sua attenzione alla fisionomia delle persone che incontrava e di cui realizzava ritratti. Tutto questo ci porta a dedurre che egli abbia realizzato dei ritratti della regina. E dal racconto si evince che egli ne possedesse più di uno, eseguiti proprio da lui. Maria Carolina era solita farsi ritrarre dagli artisti stranieri da lei stessa invitati a palazzo. Eppure ad oggi non si hanno rinvenimenti dei ritratti che Tischbein realizzò per la sovrana e quelle che potrebbero recare un suo sembiante sono composizioni di gruppo. 1792 - Battuta di caccia a Persano che presenta la figura del sovrano al centro della tela vittorioso, mentre mostra le prede catturate ad una serie di invitati. Nel gruppo di donne sugli spalti dovrebbe esserci anche Maria Carolina; quello che però va sottolineato, è che la figura della regina, al di là del fatto che sia rappresentata in una folla e che non sia facile da distinguere, non è collocata in risalto ma in secondo piano. Più intrigante è l’immagine della regina che compare nel doppio ritratto delle figlie realizzato in occasione del loro matrimonio: Maria Teresa di profilo sulla sinistra, Maria Luisa al centro che guarda complice la sorella mentre cinge con il braccio sinistro il busto della madre di cui pare svelare le sembianze con la mano destra. Qui è possibile cogliere le effettive fattezze di Maria Carolina. Il dipinto è una colta riflessione sulla pratica della copia, tanto nell’arte quanto nella vita; l’artista deve ispirarsi ai modelli classici così come una figlia destinata ad un matrimonio deve prendere a modello la propria madre, regina a sua volta. Copiando il busto della madre, la figlia Maria Teresa incarna entrambe le due funzioni: quella di artista e figlia devota. Maria Carolina è evocata attraverso il suo ritratto non soltanto quello in cera già realizzato ma anche quello che sta per essere tratteggiato dalla mano della figlia. Il duplice ruolo di madre e di regina è sotteso anche nel tenero gruppo di famiglia eseguito in occasione delle nozze della principessa Maria Teresa con il cugino. Di incerta attribuzione l’opera presenta le caratteristiche tipiche dei ritratti di Tischbein, a cominciare dall’utilizzo delle raffigurazioni di profilo e in particolare da uno specifico e ben riconoscibile modo di trattare le forme umane. E’ palese il legame con il doppio ritratto delle primogenite. Stringente è il confronto tra il volto di Maria Carolina e quello del busto che la raffigura come si evince dalla posa di tre quarti verso destra e dalla forma dell’ovale. Questo dipinto sembra anticipare le figurazioni del padre e del figlio che sarebbero comparse un paio di anni dopo nella grande tela della caccia a Persano. In questo dipinto il ruolo della regina risulta fulcro del nucleo domestico e della politica di rafforzamento dinastico, colei che in prima persona predispone e assicura un matrimonio regale ai propri figli. Più difficile è il discorso relativo ai ritratti singoli, perchè tutti quelli fin qui analizzati sono ritratti di gruppo. Bisogna affidarsi alle ipotesi attributive: l’unico dipinto della regina che si accosta al nome del pittore è sito nella reggia di Caserta ed è rimasto a lungo senza una precisa assegnazione. Dipinto di fattura pregevole nel quale la regina è presentata maestosamente vestita con un ambito perlaceo e fili di perle adornano i capelli, il collo e i polsi. Sono ben visibili nel dipinto i gigli, simbolo della casata borbonica. Eloquente è il gesto cui accenna con la mano sinistra, chiaro segnale di potere. Il linguaggio neoclassico che pervade l’opera sembra però appartenere ad un’altra mano tanto da pensare al nome di Kauffmann o di Fuger. Alla mano di Tischbein invece si può ricondurre un altro dipinto che presenta la regina in posa a tre quarti; molteplici aspetti fanno attribuire quest’opera a questa artista - la consonanza con gli abiti sfoggiati anche nella tela della caccia a Persano; una certa fissità dello sguardo della regina tipico di Tichbein. Ultimo aspetto da rivedere relativo al rapporto della regina con l’artista è la vicinanza di entrambi al mondo della massoneria. Tischbein fu iniziato nel 1778 durante il soggiorno berlinese alla loggia di san Giovanni e in seguito aderì a quella dell’ordine degli illuminati di Baviera, società segreta fondata nel 1776 alternativa alla massoneria e di cui facevano parte eminenti personalità del tempo. Durante il soggiorno romano egli fu sorvegliante della loggia che nel 1785 il vescovo luterano e filologo tedesco ma di origine danese Munter aveva fondato proclamandosi venerabile e di cui faceva parte anche Goethe. Essa ha influito sul modo di lavorare del pittore come testimonia il confronto tra due versioni de La forza dell’uomo. Molto si è scritto invece in relazione al rapporto della regina con il mondo massonico a partire da Benedetto Croce. Dopo l’editto antimassonico del 10 luglio del 1751 a nome di Carlo di Borbone, ne segue uno con la firma di Ferdinando IV nel 1775 con cui viene interdetta la libera muratoria e al seguito del quale il principe di Caramanico fu costretto all’abiura. Fu nel 1776 con l’allontanamento di Tanucci che il partito di Maria Carolina favorevole alla causa dei massoni andò al potere. In onore di questo traguardo la regina fece affrescare la terza sala della biblioteca palatina di Caserta con un ciclo di quattro opere tutte alludenti al sapere e alla conoscenza. Ella si indirizzò a Fuger. Quello più significativo è quello noto erroneamente con il nome di Scuola di Atene identificabile come allegoria filosofica o iniziazione massonica (ritratto di spalle con la tipica posa della gamba ad angolo retto, la parte del torace dove si trova il cuore scoperta e gli occhi bendati, circondato da una serie di figure allegoriche rappresentanti ciascuna le personificazioni delle scienze. La figura più emblematica rappresenterebbe pertanto la sapienza). Il dipinto reca un iniziazione massonica, cerimonia che doveva essere celata agli occhi dei più. Questa scelta evidenzia la volontà di celebrare da parte della regina la propria presenza e conquista di una posizione di prestigio. Anche a Napoli è presente una loggia degli illuminati con l’arrivo di Munter a Napoli - Philantropia - che tentava di attrarre coloro i quali, aperti a idee riformistiche, non si riconoscevano nella conduzione spiritistica e occultistica della gran loggia condotta da Naselli. Munter tornò a Roma dove era stato sostituito in sua assenza proprio da Tischbein. Egli avrebbe rappresentato a Napoli un punto di riferimento per la massoneria. Alla duchessa di Weimar fu dedicata la loggia Anna Amalia delle tre rose - la duchessa viene rappresentata a Pompei sulla tomba della sacerdotessa Mamia con il tempio di Iside sullo sfondo, dea egizia che è considerata una sorta di intermediaria tra i vivi e i morti e cara alla simbologia massonica. Un’altra interpretazione rimanda alla figura della sfinge per la presenza del bracciolo a forma di zampa di leone e al celebre enigma che poneva a chi vi si trovasse davanti. La presenza del bastone da passeggio ha spinto a ritenere che il dipinto fosse una riflessione sulla piena maturità della duchessa, impegnata nel suo grand tour all’età di cinquant’anni non più in età giovanile quindi come abitualmente accadeva un tempo. Quindi anche in un dipinto indirizzato alla regina si potrebbero cogliere dei riferimento massonici: pavimento a scacchiera, velo opposto al busto della regina. L’azione che compie Maria Luisa di scoprire le fattezze della madre richiama il disvelamento di una verità e di una conoscenza incarnate per l’appunto dai sembianti dell’augustea genitrice, non lontana iconograficamente e concettualmente dalla figura femminile in procinto di essere scoperta realizzata da Fuger. Maria Carolina incarna sapienza per le proprie figlie, esempio da seguire e imitare. Quadro dell’anatra conservato ed esposto nel palazzo reale di Caserta potrebbe celebrare il bipede caro all’iconografia massonica legato a Iside e al concetto di trasmigrazione dell’anima. Accostare volti umani a musi di animali . nell’anatra si percepisce lo sguardo fisso, profilo netto adottati anche per la duchessa di Weimar e per la primogenita. Il 3 novembre 1789 venne emanato un terzo editto che aboliva la massoneria nel regno ma questa volta anche la regina iniziò a prendere le distanze da quel mondo. La rivoluzione del 1799 rappresentò una cesura definitiva da quel mondo e la regina mise da parte i suoi interessi massonici, Tischbein andò via per sempre da Napoli. Javier Jordan de Urries de la Colina: La memoria visiva di Maria Carolina d’Austria in Spagna. Il 7 Aprile del 1768 Maria Carolina sposa Ferdinando di Borbone; la perseveranza di Carlo III aveva reso possibile la celebrazione del legame di suo figlio a nemmeno un anno di distanza dal fallimento della promessa di matrimonio precedente con Maria Giuseppina la quale morì improvvisamente; essa era sempre figlia di Maria Teresa d’Austria. Questo matrimonio andava ad unire maggiormente il legame tra la casata Borbone e quella Asburgica in quanto, quattro anni prima, una figlia di Carlo III, Maria Luisa, aveva sposato l’arciduca Leopoldo. Questi fidanzamenti consecutivi del re di Napoli con le due arciduchesse d’Austria ha portato con sè lo scambio di ritratti tra le due corti e allo stesso modo l’invio al re di Spagna delle effigi di Maria Carolina. Il museo di Prado conserva un ritratto anonimo di Maria Carolina: riccamente adornata di gioielli sui capelli, al collo e alle orecchie, con un vestito di corte azzurro e bianco, pizzo allo scollo ed alle maniche ed una stola di fiori poggiata sulle spalle. Probabilmente una copia di questo ritratto è servita per la realizzazione di quello conservato al palazzo reale di Caserta attribuito a Giuseppe Bonito. In questo quadro dalla forma ovale si ripete lo stesso modello, copiando fedelmente il volto di Madrid però allungando la figura fino ai fianchi permettendo di mostrare le braccia della regina e incorporando la corona reale e il manto simbolo della maestà che si sovrappone ad un prototipo sviluppato a Vienna prima del matrimonio. Tutti questi ritratti della regina hanno in comune il tratto della mandibola inferiore, ereditata da suo padre. Questa particolarità serve per la corretta identificazione delle sue effigi. Tuttavia, un suo ritratto di quando aveva dieci anni, di Lyotard si considera una rappresentazione della sorella di Maria Carolina, Maria Giovanna Gabriella. Il quadro del museo del Prado fu trasferito dal palazzo reale di Madrid per ordine del 1 dicembre del 1847 per formare nel museo reale una galleria di ritratti dei sovrani e della famiglia reale di Spagna. Un’altro quadro che si potrebbe attribuire alla persona di Andrès de la Calleja è sparito probabilmente andato distrutto durante la seconda guerra mondiale - per questo si può solo ipotizzare che il ritratto rappresentasse l’arciduchessa Maria Giuseppina, la promessa sposa precedente di Ferdinando. Laboratorio di: Johannes Thomas Edlen von Trattnern - sono state buttate via stampe che raffiguravano il re di Napoli con la sua promessa sposa precedente. Queste infatti non piacquero e lo stesso anno iniziarono nuovi lavori per altre stampe che rappresentassero la coppia reale migliorandone l’aspetto. Caratteristica importante riguardo la prima rappresentazione analizzata di Maria Carolina riguarda la sua posa, e soprattutto il suo portamento che dimostra una forte arroganza e alterigia da parte della sovrana. Quando arriva a Napoli si è potuto cominciare a lavorare ad un arazzo con il suo ritratto nella reale fabbrica di San Carlo; esso avrebbe dovuto essere esposto accanto a quello del re. Portano la firma di Duranti e sono esposti nel palazzo reale di Madrid. Maria Carolina è rappresentata è rappresentata a mezzo busto con il torso volto a sinistra e la testa dal lato opposto. Si rifà alla rappresentazione di Bonito, quindi la regina è adornata di gioielli, con il vestito bianco e azzurro. Mengs: rappresentò prima Maria Giuseppina e dopo la sua morte disegnò Maria Carolina; i suoi lavori
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