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io la regina: Maria carolina d'asburgo lorena, Dispense di Storia Moderna

raccolta di saggi di storia pubblicata dal prof. Giulio Sodano

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 09/12/2019

giusy5678
giusy5678 🇮🇹

4.3

(50)

46 documenti

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Scarica io la regina: Maria carolina d'asburgo lorena e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! a cura di Giulio Sodano e Giulio Brevetti Io , l a R eg in a. M ar ia C ar ol in a d’ A sb u rg o- Lo re n a 33 33 Io, la Regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena tra politica, fede, arte e cultura Collana diretta da Rossella Cancila 21. Orazio Cancila, Nascita di una città. Castelbuono nel secolo XVI, 2013, pp. 902 22. Claudio Maddalena, I bastoni del re. I marescialli di Francia durante la successione spagnola, 2013, pp. 323 23. Storia e attualità della Corte dei conti Atti del Convegno di studi Palermo, 29 novembre 2012, 2013, pp. 200 24. Rossella Cancila, Autorità sovrana e potere feudale nella Sicilia moderna, 2013, pp. 306 25. Fabio D’angelo, Caltanissetta: baroni e vassalli in uno stato feudale (secc. XVI- XVII), 2013, pp. 318 26. Jean-André Cancellieri, Vannina Marchi van Cauwelaert (éds), Villes portuaires de Méditerranée occidentale au Moyen Âge Îles et continents, XIIe-XVe siècles, 2015, pp. 306 27. Rossella Cancila, Aurelio Musi (a cura di), Feudalesimi nel Mediterraneo moderno, 2015, pp. VIII, 608 28. Alessandra Mastrodonato, La norma inefficace. Le corporazioni napoletane tra teoria e prassi nei secoli dell’età moderna, 2016, pp. VII, 337 29. Patrizia Sardina, Il monastero di Santa Caterina e la città di Palermo (secoli XIV e XV), 2016, pp. XIV, 310 30. Orazio Cancila, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619) 2016, pp. 500 31. Istituzioni ecclesiastiche e potere regio nel Mediterraneo medievale. Scritti per Salvatore Fodale, a cura di P. Sardina, D. Santoro, M.A. Russo, 2016, pp. 216 32. Minna Rozen, The Mediterranean in the Seventeenth Century: Captives, Pirates and Ransomers, 2016, pp. 154 33. Giulio Sodano, Giulio Brevetti (a cura di), Io, la Regina. Maria Carolina d’Asburgo- Lorena tra politica, fede, arte e cultura, 2016, pp. 308 Collana diretta da Orazio Cancila 1. Antonino Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), 2006, pp. 560 2. Antonino Giuffrida, La Sicilia e l’Ordine di Malta (1529-1550). La centralità della periferia mediterranea, 2006, pp. 244 3. Domenico Ligresti, Sicilia aperta (secoli XV-XVII). Mobilità di uomini e idee nella Sicilia spagnola, 2006, pp. 409 4. Rossella Cancila (a cura di), Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII), 2007, pp. 714 5. Matteo Di Figlia, Alfredo Cucco. Storia di un federale, 2007, pp. 261 6. Geltrude Macrì, I conti della città. Le carte dei razionali dell’università di Palermo (secoli XVI-XIX), 2007, pp. 242 7. Salvatore Fodale, I Quaterni del Sigillo della Cancelleria del Regno di Sicilia (1394-1396), 2008, pp. 163 8. Fabrizio D’Avenia, Nobiltà allo specchio. Ordine di Malta e mobilità sociale nella Sicilia moderna, 2009, pp. 406 9. Daniele Palermo, Sicilia 1647. Voci, esempi, modelli di rivolta, 2009, pp. 360 10. Valentina Favarò, La modernizzazione militare nella Sicilia di Filippo II, 2009, pp. 288 11. Henri Bresc, Una stagione in Sicilia, a cura di M. Pacifico, 2010, pp. 792 12. Orazio Cancila, Castelbuono medievale e i Ventimiglia, 2010, pp. 280 13. Vita Russo, Il fenomeno confraternale a Palermo (secc. XIV-XV), 2010, pp. 338 14. Amelia Crisantino, Introduzione agli “Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820” di Michele Amari, 2010, pp. 360 15. Michele Amari, Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 1820, 2010, pp. 800 16. Studi storici dedicati a Orazio Cancila, a cura di A. Giuffrida, F. D’Avenia, D. Palermo, 2011, pp. XVIII, 1620 17. Scritti per Laura Sciascia, a cura di M. Pacifico, M.A. Russo, D. Santoro, P. Sardina, 2011, pp. 912 18. Antonino Giuffrida, Le reti del credito nella Sicilia moderna, 2011, pp. 288 19. Aurelio Musi, Maria Anna Noto (a cura di), Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell’Italia meridionale, 2011, pp. 448 20. Mario Monaldi, Il tempo avaro ogni cosa fracassa, a cura di R. Staccini, 2012, pp. 206 I testi sono consultabili (e scaricabili in edizione integrale) nella sezione Quaderni del nostro sito (www.mediterranearicerchestoriche.it) INTRODUZIONE 33 Quaderni – Mediterranea - ricerche storiche ISSN 1828-1818 Collana diretta da Rossella Cancila Comitato scientifico: Marcella Aglietti, Walter Barberis, Orazio Cancila, Pietro Corrao, Aurelio Musi, Elisa Novi Chavarria, Walter Panciera, Alessandro Pastore, Luis Ribot García, Angelantonio Spagnoletti, Mario Tosti In formato digitale i Quaderni sono reperibili sul sito www.mediterranearicerchestoriche.it A stampa sono disponibili presso la NDF (www.newdigitalfrontiers.com), che ne cura la distribuzione: selezionare la voce "Mediterranea" nella sezione "Collaborazioni Editoriali" Potere femminile - Regno di Napoli - committenza reale. Women's power - Kingdom of Naples - royal patronage. 2016 © Associazione no profit “Mediterranea” - Palermo ISBN 978-88-99487-46-1 (a stampa) ISBN 978-88-99487-42-3 (online) Nel dicembre 2014, il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli ha organizzato una giornata seminariale dedicata a Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, in occasione del bicentenario della morte. Tale giornata non è nata dalla facile propensione al “revisionismo” di marca neoborbonica che va tanto di moda negli ultimi anni. Maria Carolina fu, resta e resterà senza appello la principale autrice dell’ascesa al patibolo della “meglio gioventù” del Regno di cui il destino l’aveva chiamata a esser regina. Fu l’incarnazione di tutte le contraddizioni e dei li- miti della stagione dell’assolutismo illuminato, del riformismo set- tecentesco, che tanto contribuì allo sviluppo della civiltà europea, ma che rimase bloccato in gran parte dei suoi progetti di rinnova- mento, rendendo “inevitabile” la svolta rivoluzionaria di fine secolo a cui Maria Carolina assistette come non impassibile testimone. Pur tuttavia, ciò non rende il personaggio storico meno meritevole di approfondimenti, proprio perché coloro che vissero, con le loro contraddizioni, in epoche dai forti contrasti, sfidano gli storici a non indulgere in facili semplificazioni della vita. Conoscere e com- prendere non significano giustificare, ma dar conto della comples- sità del divenire storico. Attraverso percorsi pluridisciplinari, il titolo della giornata di studi – Io, la Regina – ha voluto rievocare quel ruolo di sovrana che Maria Carolina, più di ogni altra regina del Regno, ricoprì, segnando un’epoca. Con tale titolo, da un lato si è voluto sottoline- are il fatto che Maria Carolina sia stata, nel bene e nel male, la vera grande regina del Regno di Napoli, con un protagonismo politico che altre non ebbero; dall’altro lato si è voluto richiamare in modo incisivo la dimensione della regalità dell’età moderna. La costru- zione di quella maschile è stata ribadita dalla storiografia attraver- so la figura di Filippo II che firmava i suoi atti con «Yo, el rey». E pur tuttavia va considerato che con l’imperiosa firma «Yo, la reina» furono siglate le disposizioni testamentarie di Isabella di Castiglia, a prova evidente che alla formazione di quella regalità concorse in modo rilevante la componente femminile delle case reali. La figura di Maria Carolina è stata ricordata tra le donne che occuparono il ruolo di regine, regine consorti, reggenti nell’Euro- IntroduzioneIntroduzione VIIVI pa dell’età moderna. A tal proposito, si è sottolineato come il suo matrimonio fosse imposto da motivi politici e quanto fosse stato all’inizio molto infelice, a causa della convivenza con un uomo che lei trovava «bruttissimo». La grande Maria Teresa non esitò a sot- tolineare che dovere delle donne fosse quello di essere sottomesse ai mariti, «alle loro volontà e perfino ai loro capricci, se innocenti»1. Si tratta, in realtà, di raccomandazioni tradizionali, peraltro ben presenti nella società napoletana, se si pensa che già nel Rinasci- mento aragonese personaggi come Giovanni Pontano o Diomede Carafa raccomandavano che le virtù delle nobildonne dovessero essere obbedienza e sottomissione. Nella tradizione meridionale c’era altresì quanto sottolineato da Scipione Ammirato nel Delle famiglie nobili napoletane, pubblicato tra il 1577 e il 1580, e cioè il rilievo di illustri esempi di donne dotate di cultura e capaci di diri- gere la famiglia anche politicamente2. E infatti, nonostante gli inviti alla sottomissione sia da parte della famiglia sia di una lunga tra- dizione, Maria Carolina riuscì a sostituire il marito nella direzione di numerosi affari di Stato, fino a divenire l’organizzatrice in Sicilia della resistenza antinapoleonica. Inevitabile è il confronto tra le due sorelle – Carlotta e Antonia – entrambe travolte dalla rivolu- zione francese, ma mentre la seconda è stata ampiamente – forse troppo ampiamente – rivisitata storiograficamente, fino a farne in alcuni casi un’eroina, l’immagine della sovrana di Napoli necessita ancora di una riflessione. Questo volume raccoglie e aggiorna gli studi presentati e le riflessioni scaturite in quella giornata seminariale, assieme ad al- tri contributi che amiche e amici hanno voluto offrire. I saggi che seguiranno, di argomenti diversi e di lunghezza variabile, sono di autori provenienti da università e istituzioni differenti che hanno dunque accolto con entusiasmo e generosità l’invito a soffermarsi e a riflettere, dalla loro prospettiva, su un personaggio comples- so e ancora oggi poco presente negli studi scientifici in un’ottica multidisciplinare, affrontando così aspetti disparati legati a questa regina: Sodano riflette sul potere delle donne in antico regime, con particolare attenzione alla costruzione della regalità femminile nei 1 C. Casanova, Regine per caso. Donne al governo in età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2014, pp. 183-85. 2 Cfr. M.A. Visceglia, Il bisogno di eternità. I comportamenti aristocratici a Napo- li in età moderna, Guida, Napoli, 1998, pp. 141-174. secoli dell’età moderna; Cirillo si sofferma sulle riforme politiche del Regno borbonico; Novi Chavarria affronta il rapporto della so- vrana con la fede mediato dalla figura del confessore; Del Mastro quello con l’Antico e gli scavi di Ercolano; Cotticelli e Maione quello con il teatro, la musica e in generale col mondo dello spettacolo; Zito l’amore per i libri e per la sua biblioteca; de Martini quello per l’oreficeria; Baumgartner quello con Vienna, sua culla e tomba; Brevetti quello con la propria immagine, e dunque con l’iconografia pittorica ufficiale. Ad animare dall’inizio questo progetto non è soltanto la varietà degli interessi, ma anche il proposito di studi non schiacciati tutti su Napoli e sugli anni del Regno, alla ricerca di una prospettiva più europea e legata a doppio filo con la patria d’origine. Nata e culla- ta nella corte viennese, Maria Carolina guarda costantemente alla sua terra. «Sii una tedesca nel tuo cuore, e nella rettitudine della mente; in tutto ciò che non ha importanza, invece, ma non in quel che è male, devi sembrare napoletana»3: questo le raccomanda sua madre Maria Teresa in una delle tante lettere della fitta corrispon- denza segnata non solo da note affettive, ma da consigli politici. E in effetti tale resterà Maria Carolina, che negli ultimi mesi di vita ritornerà come ospite indesiderato e scomodo nella sua corte d’ori- gine, dove percepirà il cambiamento ormai intercorso nell’Europa del tempo e dunque anche nel suo paese natale. Tale amara con- sapevolezza affiora in alcune lucidissime ed elegiache righe scritte poche settimane prima di morire alla figlia Cristina, regina consor- te di Sardegna: Non può più commuovermi niente su questa terra. Il giorno in cui fui cacciata dalla Sicilia come una donna di teatro… decise del mio destino… La mia vita in questo mondo è finita… Non sono oggetto di interesse che per poche vecchie signore, che escono solo per vedere l’ultima figlia vivente di Maria Teresa… Il Prater è bellissimo e tutto verde, ma per me non c’è più niente di attraente4. Maria Carolina visse negli anni della situazione di scacco in cui si venne a trovare l’esperienza dell’assolutismo illuminato con l’irruzione sulla scena europea del tumultuoso movimento della 3 Lettera dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria a sua figlia Maria Carolina, riportata in H. Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825), Giunti, Firenze, 1999, p. 147. 4 Lettera di Maria Carolina a sua figlia Maria Cristina, ivi, p. 703. IntroduzioneVIII rivoluzione. Nella recente biografia del Metternich di Luigi Mascilli Migliorini colpisce un passaggio da cui risulta quanto Maria Ca- rolina fosse consapevole che l’ondata di guerre a seguito della ri- voluzione stava dando una nuova forma all’Europa5. Era infatti la fine della Societé des princes, come titola il bel libro di Lucien Bély, società alla quale le regine avevano tanto contribuito proprio attra- verso le loro relazioni internazionali. La riflessione che si è condot- ta su Maria Carolina ci pone quindi domande a cui forse varrà la pena di rispondere in studi e lavori successivi che ci si augura di intraprendere e fare intraprendere: la sua visione fu quella di una sorda opposizione, di un “andar contro” o quella di “attraversare” la rivoluzione come fecero altri personaggi più lungimiranti? Quali reciproche influenze si ebbero, per la sua presenza, tra la corte viennese e quella napoletana? Quanto davvero determinante il suo ruolo nella diffusione degli ideali massonici nel Regno e quanto questi – che in alcuni saggi del volume emergono talvolta netti, tal- volta più sfumatamente – sono stati importanti, se non decisivi, nel suo pensiero e nella sua politica? Come e quanto hanno pesato nel Regno le sue scelte in campo artistico, culturale e nelle forme della socialità? Quale capacità e quale ruolo ebbe infine nell’imprimere alla corte borbonica un proprio stile? I curatori colgono l’occasione della pubblicazione di questo vo- lume per ringraziare Rosanna Cioffi della sensibilità nell’aver so- stenuto l’organizzazione della giornata seminariale che fu da lei presieduta. Si ringraziano altresì il professore Andreas Gottsmann e l’Istituto Storico Austriaco di Roma per l’interesse manifestato a sostegno dell’iniziativa scientifica. Giulio Sodano, Giulio Brevetti 5 L. Mascilli Migliorini, Metternich. L’artefice dell’Europa nata dal Congresso di Vienna, Salerno editrice, Roma, 2014, pp. 36-37. IO, LA REGINA MARIA CAROLINA D’ASBURGO-LORENA TRA POLITICA, FEDE, ARTE E CULTURA Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 76 storia generale. Il genere era invece un modo per indicare le costru- zioni culturali all’origine delle idee che avevano identificato i ruoli delle donne e degli uomini, una categoria costitutiva delle relazioni sociali: si indicava come compito della storia l’operatività del gene- re nel passato9. Era una presa di distanza anche della riduzione del genere, come per alcuni casi era avvenuto, a donna e femmini- lità10. La Scott ha poi successivamente sottolineato che sebbene nella teoria si fosse affermato che sex si riferisse alle categorie biologiche e gender a quelle culturali e sociali, di fatto i tentativi di emendare il termine gender da connotazioni naturali e promuoverne lo status di termine indicante la costruzione sociale avevano ancora difficoltà ad affermarsi dopo diversi lustri dall’introduzione della categoria. Tutto ciò, a giudizio della storica americana, confermava ancora di più la confusione e la difficoltà di distinzione tra i due termini11. Gli studiosi della storia delle donne sono stati dunque spin- ti a interrogarsi specificamente sul problema dell’identità, che si definisce nell’incontro con il diverso da sé. È questo il motivo per il quale, seppur in numero minore, con la gender history hanno preso quota anche saggi sulla mascolinità12. Per l’Italia, recentemente Elena Brambilla ha definito la storia di genere «in chiave non aggiuntiva e marginale, ma pienamente integrata nel solco della storia generale, secondo il variare del nes- so universale, ancora tutto da studiare tra i ruoli maschili e femmi- nili». E ancora più avanti: «come storia di genere e non di sessi, sto- ria della costruzione sociale delle identità maschili e femminili»13. Con il numero del 1989 di «Memoria» il genere era entrato a far parte pienamente dell’interesse della storiografia italiana14. La ri- 9 Il saggio della Scott era apparso in «The American Historical Review», 15, 91 (1986 ), con il titolo originale Gender: a useful category of historical analysis. In Italia il saggio esce col titolo Il genere: un’utile categoria di analisi storica, «Rivista di storia contemporanea», XVI, 4 (1987), pp. 560-586. Si fa qui riferimento alla versio- ne stampata nel volume J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., pp. 31-63. 10 Cfr. G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa: un innesto riuscito, in G. Calvi (a cura di) Innesti cit., pp. 149-173. 11 Si veda il saggio della Scott del 1999 in J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., pp. 65-66. 12 S. D’Cruze, Venuta dal freddo: i quindici anni di «Gender&History», in M. Palazzi, I. Porciani (a cura di), Storiche di ieri e di oggi. Dalle autrici dell’Ottocento alle riviste di storia delle donne, Viella, Roma, 2004, pp. 180-184. Si veda anche G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa cit., pp. 149-173. 13 E. Brambilla, La scienza al femminile: gli studi nordamericani, in Ead., A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia cit., p. 80. 14 Cfr. G. Calvi, Chiavi di lettura, introduzione a Ead. (a cura di), Innesti cit., pp. IX-X. vista era infatti nata programmaticamente per praticare la gender history: nel suo primo numero era stato esplicitamente scritto che il suo obiettivo era «una storia delle relazioni tra uomini e donne, tra sessi e mentalità, tra forme istituzionali e forme culturali»15. Per le curatrici del primo numero la storia di genere doveva contempla- re una visione storiografica per la quale donne e uomini sono attori in una società dual-gender e pertanto quella di genere sarebbe una storiografia più attenta della storia delle donne alla dimensione della società e ai suoi mutamenti16. Anche per la redazione della ri- vista la categoria di gender offriva la via d’uscita dalla definizione di “innata essenza femminile” che imprigionava l’identità femminile delle donne in una condizione immutabile, determinata dal sesso. Numerosi e vari sono stati i giudizi sull’impatto nella storio- grafia italiana della storia di genere, che ha avuto un’articolazione propria e distante per numerosi aspetti dalla storiografia anglosas- sone. Tiziana Plebani, ad esempio, ha sottolineato che nella nostra penisola si è preferito dislocare l’attenzione e il punto di osserva- zione dal potere e dalle istituzioni, alla ricerca di pratiche sociali e culturali, incrociando la storia della cultura materiale17. È stato poi sottolineato che la storia di genere non è riportabile a un unico canone storiografico, ma che esistono una pluralità di approcci. In realtà il gender è di frequente diventata una voce alla moda, che in alcuni casi non ha fatto altro che riproporre il vecchio modo della “storia delle donne”. Come più volte è stato sostenuto, la ca- tegoria ha ricevuto un’accoglienza spesso fraintesa, continuando a far coincidere “condizione femminile” con “genere”, tralasciando la nozione relazionale che era proprio il punto di forza della gender history, e continuando quindi, in alcuni casi, pur dichiarando di fare storia di genere, a scrivere una storia delle donne separate. Si è detto che la gender history nel migliore dei casi è stata accolta nel nostro paese come un portato della storia sociale, nel peggio- re come una variabile meno pericolosa della storia delle donne, e cioè come una storia che non escludesse gli uomini18. Proprio privilegiando la microstoria, la ricerca italiana ha di fatto operato con 15 Si veda in proposito A. Groppi, L’esperienza di «Memoria» fra invenzione e innovazione, in M. Palazzi, I. Porciani (a cura di), Storiche di ieri e di oggi, cit., p. 243. 16 A. Jacobson Schutte, Introduction cit. p. 15. 17 Cfr. T. Plebani, La ricerca italiana di genere su cultura femminile e Illuminismo, in E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia cit., 140. 18 Cfr. I. Fazio, Introduzione cit., p. 11. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 98 poche distinzioni tra genere e storia delle donne, utilizzando in modo pragmatico le differenze dei ruoli sessuali19. D’altra parte, tutto ciò non è accaduto esclusivamente per la storiografia italiana: come ebbe a sot- tolineare Aurelio Musi, la stessa Storia delle Donne pubblicata dalla La- terza in realtà oscillava tra una storia separata delle donne e una storia delle donne in cui le relazioni costituivano il quadro di riferimento20. Il dato, però, che a mio giudizio è stato più caratterizzante è che prevalentemente la storiografia italiana che ha accolto le suggestioni della gender history, ha preferito restare ancorata all’epistemologia classica, recependo scarsamente la tendenza statunitense al decostru- zionismo21. Come ha evidenziato Giulia Calvi, nell’impostazione origi- naria di «Memoria» si sovrapponevano soggettività e genere, peccando di un certo semplicismo, e si sottolineava il carattere della soggettivi- tà come costruzione sociale e culturale, mentre nella storiografia delle scienze sociali proprio le categorie di soggetto e genere tendevano a escludersi reciprocamente. La stessa Scott, d’altra parte, aveva ribadito che la categoria di gender era un modo per fare riferimento alle origini esclusivamente sociali della identità soggettiva di uomo e donna, tanto da non necessariamente includere la sessualità stessa: il gender può includere il sesso, ma senza esserne determinato22. Quella sovrappo- sizione di soggettività e genere, tuttavia, ha sottolineato la Calvi, aveva la sua ragion d’essere, perché rispondeva al peculiare carattere della ricerca italiana, che si è tenuta lontana dal decostruzionismo e dallo scetticismo epistemologico della gender history statunitense23. Quella sovrapposizione operata dalla rivista ha dato invece vita a un posizione storiografica che è stata ampiamente diffusa in Italia24. L’elaborazione della categoria gender era infatti nata in con- nessione al decostruzionismo25 e strettamente legata all’esigenza di una riscrittura della storia generale. Se la women’s history negli 19 G. Calvi, Chiavi di lettura cit., p. XVII. 20 A. Musi, Donne, potere e politica, in M.R. Pelizzari (a cura di), Le donne e la storia. Problemi di metodo e confronti storiografici, Esi, Napoli, 1995, p. 183. 21 G. Calvi, Chiavi di lettura cit., pp. X-XI. 22 Cfr. J.W. Scott, Il genere: un’utile categoria cit., p. 36. 23 G. Calvi, Chiavi di lettura cit., p. X. 24 Ivi, pp. IX-X. 25 Sui richiami espliciti al decostruzionismo e a Derrida da parte della Scott, si veda I. Fazio, Introduzione cit., p. 11. La stessa Scott in un saggio più recente del 2008, ha ricordato come le sue indicazioni storiografiche nascessero dalle suggestioni prove- nienti dalla storia, ma anche dalla letteratura post-strutturalista, partendo dal proble- ma che le differenze di sesso non erano determinate per natura, ma stabilite attraverso il linguaggio. Per l’intervento si veda J.W. Scott, Genere, politica, storia cit., p. 94. anni ’70 si era connotata per l’esigenza di aggiungere nuovi capitoli alla storia generale – si pensi ai manuali scolastici, con i discutibili riquadri dedicati al lavoro femminile, alla condizione delle lavora- trici, alle streghe e alle eretiche, ecc. –, la nuova gender history ha posto il problema della rifondazione delle tradizionali cronologie. La domanda di Joan Kelly del 1977 sull’esistenza o meno di un Rinascimento per le donne26 era una sfida proprio in tale direzione e non era casuale che al centro di quella provocazione ci fosse pro- prio il Rinascimento, in quanto svolta periodizzante della storiogra- fia tradizionale “maschilista” nella fondazione di quella modernità così al centro delle critiche di parte delle storiche femministe. In quella domanda era insito l’ambizioso progetto di poter riformulare e “riscrivere” le categorie tradizionali della periodizzazione: le ce- sure storiche erano state le stesse per gli uomini e le donne? Era possibile leggere il passato in termini di differenza sessuale? Le cesure cronologiche rilevanti da considerare non erano più quelle che avevano determinato cambiamenti in un “generico universale”, bensì quelle che avevano prodotto radicali modifiche nelle relazioni tra i sessi27. Insomma, i mutamenti di rilievo della storia da cercare e a cui attribuire valori periodizzanti universali erano quelli che se- gnavano il mutamento della relazione tra uomo e donna e non più quelli nella storia dell’“umanità”. È stato, tuttavia, notato che, nel giro, di pochi anni proprio la capa- cità assegnata alla gender history di ridisegnare una nuova periodizza- zione è stata ampiamente ridimensionata28. Gli appelli alla destruttu- razione della storia come comparivano ancora agli inizi degli anni ’9029, a me sembrano, col procedere delle ricerche, che si siano andati dissol- 26 Cfr. J. Kelly-Gadol, Did women have a Renaissance?, in R. Bridenthal, C. Koonz (a cura di), Becoming visible: Women in European History, Houghton Mifflin, Boston, 1977, pp. 175-201. 27 Alcuni esempi nelle conclusioni del saggio di C. Dauphin, A. Farge et alii, Culture et poivoir des femmes: essai d’historiographie, «Annales ESC», 41, 2 (1986), pp. 290-291. 28 Cfr. T. Detti, Tra storia delle donne e “storia generale”: le avventure della periodizzazione, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., pp. 293-307. 29 Un forte impegno alla destrutturazione emergeva nel volume di L. Capo- bianco (a cura di), Donne tra memoria e Storia cit. Nell’introduzione la curatrice in- vitava a una programmatica destrutturazione della storia che rendesse evidente le modalità del processo di maschilizzazione della disciplina e perché fossero riportate tradizioni femminili di pari dignità a quelle maschili. In realtà, quindi, non è che poi fosse sempre esplicito il richiamo alla dimensione relazionale della gender history. Nel saggio della F. Collin, Storia e memoria. La marca e la traccia, si parla di una storia delle donne per la quale «non vi è costruzione a partire da una tabula rasa, ma piuttosto decostruzione e ricostruzione». Ivi, p. 38. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 1110 vendo e si può dire che la destrutturazione sia stata molto proclamata, soprattutto negli anni delle origini, ma di fatto assai poco praticata senza produrre significativi risultati storiografici. Non che in Italia fossero state assenti proposte più fortemente connotate dal decostruzionismo, nate soprattutto dalle suggestioni offerte dal mondo degli studi letterari. Ilaria Porciani, ad esem- pio, ha posto esplicitamente l’esigenza di rivisitare la storia “deco- struendola”. Probabilmente non è un caso che una proposta fedele al decostruzionismo sia venuta da una studiosa che ha avuto in- teressi legati soprattutto alla critica letteraria e alla pratica scrit- toria della donna nell’Ottocento, campi, a giudizio della Porciani, lungamente rimasti poco rinnovati nella metodologia della ricerca storica, in quanto dominati dai paradigmi storicisti e marxisti30. La ricerca, tuttavia, ha evidenziato che le categorie periodiz- zanti si sono dimostrate impossibili da superare, proprio a parti- re da quella di Rinascimento. Da questo punto di vista rilevante è stato il contributo degli studi religiosi, particolarmente fecondi tanto che tra storia delle donne e storia religiosa si è parlato di un «innesto riuscito»31. La vita religiosa, paradossalmente ritenuta dalla storiografia del primo femminismo un campo assolutamente al maschile, si è rivelata un campo nel quale è invece emerso che le donne poterono giocare un ruolo attivo, e per il quale maggiormen- te sono state a disposizioni degli storici le fonti per una ricostruzio- ne delle forme del loro protagonismo. Come tuttavia ha sottolineato Galasso, l’attenzione verso la dimensione femminile della storia re- ligiosa non è derivata tanto dagli studi di genere, ma da un precoce interesse della storia socio-religiosa nel suo complesso32. È stato un filone di ricerca, peraltro, particolarmente fortunato nell’ambito della storiografia sul Mezzogiorno d’Italia, soprattutto al riguardo del mondo dei monasteri femminili, dei legami che persistevano tra monache e famiglie d’origine, del ruolo svolto dagli istituti di perfe- zione nell’ambito della società del tempo33. Il terreno della clausura 30 I. Porciani, Storiche italiane e storia nazionale, in Ead, M. Palazzi, (a cura di), Storiche di ieri e di oggi cit., p. 63. 31 Cfr. G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa: un innesto riuscito, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., pp. 149-173. 32 G. Galasso, L’esperienza religiosa delle donne, in Id., A Valerio (a cura di), Donne e religione a Napoli. Secoli XVI-XVIII, Franco Angeli, Milano, 2001, pp. 14-15. 33 Per quanto riguarda la vita religiosa al femminile nel Mezzogiorno, si rinvia al volume citato nella precedente nota. Per il Mezzogiorno molto precoce è stato lo studio dei monasteri femminili con C. Russo, I monasteri femminili a Napoli nel secolo XVII, femminile nell’età moderna si è dimostrato fertile per documentare adeguatamente come non si possa ridurre la storia del monache- simo a una visione di donne vittime passive del potere patriarcale e della supervisione maschile, ma, per contro, come le monache abbiano partecipato a un sistema religioso dual-gender34. Proprio dall’angolo visuale del vissuto religioso le cronologie tradizionali sono risultate fondamentali: Gabriella Zarri ha sottolineato che il tentativo di fare a meno del rilievo di una svolta periodizzante come il Concilio di Trento è ben presto naufragato e che gli studi di ge- nere nella storia religiosa dell’età moderna hanno anzi evidenziato l’irrinunciabilità delle categorie storiografiche tradizionali. Per la Zarri il peso che il Concilio di Trento ebbe nella vita quotidiana delle monache, ad esempio, non è da porre in dubbio35. Una via italiana quindi molto peculiare al gender si è affer- mata nei lavori storici italiani, e non poche sono le differenze con la gender history di marca anglosassone, così come d’altra parte si può accennare all’esistenza di una via francese. La storiografia d’oltralpe è stata attenta agli sviluppi della storia al femminile e il dibattito suscitato dall’uscita alle stampe della storia delle donne di Duby-Perrot si è coagulato intorno alle riviste «Penelope» e «Clio». Anche la storiografia francese ha quindi superato la dicotomia di una storia tra una maggioranza di donne vittime e una minoranza di donne ribelli, così come il binomio dominazione maschile – op- pressione femminile. Integrando gli apporti metodologici e concet- tuali e della nozione di gender si è voluto procedere a una storia relazionale uomo-donna. La collana Histoire de femme en Occident ha quindi negli anni ’90 rappresentato il gender alla francese, se- condo diverse linee: la scelta della lunga durata; la presenza di autori donne e uomini; pluralità di approcci. «Clio», pur program- Federiciana, Napoli, 1979. Per lo stesso filone di studi si veda il successivo E. Novi Cha- varria, Monache e Gentildonne. Un labile confine, Franco Angeli, Milano, 2001. 34 Cfr. A. Jacobson Schutte, Introduction cit., p. 15, ma poi si vedano P. Renée Baernstein, The nuns of early modern Italy: new directions in anglophone scholar- ship e G. Zarri, Gli studi italiani sui monasteri femminili e le loro culture: una rasse- gna, in E. Brambilla, A. Jacobson Schutte (a cura di), La storia di genere in Italia in età moderna cit., pp. 21-42 e pp. 43-65. 35 G. Zarri, Storia delle donne e storia religiosa cit., pp. 149-171. Nello stesso volume Roberto Rusconi ha sottolineato che se è un dato consolidato che la storia delle donne non possa essere separata dalla storia generale, a maggior ragione non può esserci una storia religiosa femminile separata da una storia religiosa generale. Cfr. R. Rusconi, La storia religiosa “al femminile” e la vita religiosa delle donne, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., p. 177. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 1716 relazioni di potere. La fondazione della rivista non ha implicato il rifiuto della storia delle donne, ma ha ribadito che le vite delle donne e degli uomini sono in relazioni storicamente determinate e articolate secondo rapporti di potere51. In Italia un momento di svolta viene riconosciuto con il con- vegno Ragnatele di rapporti del 1986, nel quale le curatrici ebbero modo di insistere sull’esigenza di dismettere la visione del rapporto delle donne col potere attraverso la lente distorcente della passi- vità femminile di fronte al dominio maschile. Proprio in quell’oc- casione si propose l’introduzione della categoria di patronage, che avrebbe avuto molta fortuna storiografica52. Si sono quindi mol- tiplicate le ricerche sui poteri informali delle donne, attraverso le forme della sociabilità femminile o mediante rapporti di scambio e di patronage. Puntuali e approfondite investigazioni, compiute grazie ad un’ampia analisi di fonti private come testamenti e atti notarili hanno individuato donne mecenati particolarmente attive nelle committenze artistiche di chiese, conventi e palazzi, tanto da porre l’esigenza di coniare il termine di matronage per individuare più specificamente le committenze artistiche femminili53. Una cre- scente attenzione si è prestata “ai giochi di squadra” che maschi e femmine all’interno della famiglia svolgevano per conseguire ri- sultati vantaggiosi per la stessa famiglia54. Ancora una volta è sta- to poi evidenziato quanto proprio il Rinascimento in realtà abbia rappresentato un momento di espansione degli spazi delle donne, grazie all’aumento delle potenzialità gestionali dei patrimoni priva- ti, nonché dello stesso potere pubblico, poiché alcune donne dovet- tero assumere ruoli “formali” di governo, a causa dell’assenza dei loro mariti impegnati nelle numerose guerre. A questo proposito le curatrici di un convegno sui poteri delle donne, non hanno esitato a rispondere positivamente alla nota domanda di Joan Kelly se ci fosse stato un Rinascimento per le donne55. 51 S. D’Cruze, Venuta dal freddo cit., pp. 180-184. 52 Cfr. L. Ferrante, M. Palazzi, G. Pomata, Introduzione cit., pp. 8-10. 53 Cfr. S.F. Matthews-Greco, G. Zarri, Premessa a Committenza artistica femmini- le, «Quaderni Storici», 104/2 (2000), pp. 283-294. Più recente è il termine maternage, che indica una dimensione più sociale, rivolta soprattutto alle istituzioni religiose. 54 A partire dal saggio di R. Ago, Giochi di squadra: uomini e donne nelle fa- miglie nobili del XVII secolo, in M.A. Visceglia (a cura di), Signori, patrizi, cavalieri nell’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 256-264. 55 L. Arcangeli, S. Peyronel, Premessa cit., p. 16. Particolarmente attiva nella storia del rapporto tra donna e potere va segnalata la Fondazione Valerio, che, nata soprattutto intorno a problematiche religiose, ha successivamente sviluppato un vivo e proficuo interesse per il tema del potere all’interno delle comunità religiose. Il Regno di Napoli, caratterizzato dalla presenza di sovrane consorti e di vere regine, si è inoltre dimostrato un cam- po fecondo per ricerche sull’influenza delle donne, sulle strutture della monarchia e sulla cultura della corte. È stato quindi varato un progetto che riflettesse sul ruolo svolto dalle regine e viceregine nel Regno di Napoli e che ha portato a compimento diverse pub- blicazioni che hanno contribuito a leggere la storia napoletana da un punto di vista inedito, attraverso l’intreccio tra ruolo politico, diplomatico, economico e religioso56. 3. La regalità femminile: peculiarità e cronologie La trattatistica politica dell’età moderna, per lo più misogina, ha disconosciuto alle regine riserbo e pudore, dipingendole come don- ne che si impossessavano del potere in modo subdolo. Un termine era stato forgiato in Francia per indicare la malaugurata situazione delle donne al potere: “tomber en quenouille”, cadere nella confu- sione e nel disordine. La comunicazione politica maschile, nonché le trasposizioni letterarie nel secolo XVI e in quelli successivi, hanno oscurato molto a lungo le donne di potere, impedendo di riconoscere una capacità autonoma di azione politica. Le uniche varianti posi- tive erano la trasfigurazione di alcune in esseri superiori al proprio sesso, la donna quindi virile, oppure la donna pietosa e santa57. 56 I volumi pubblicati sono i seguenti: M. Gaglione, Donne e potere a Napoli. Le sovrane angioine, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009; M. Mafrici (a cura di), All’om- bra della corte. Donne e potere nella Napoli borbonica (1734-1860), Fridericiana Edi- trice Universitaria, Napoli, 2010; Ead. (a cura di), Alla corte napoletana. Donna e potere dall’età aragonese al viceregno austriaco. 1442-1734, Fridericiana Editrice Universitaria, Napoli, 2012. Va precisato che l’attività della fondazione Valerio viene a cadere su un terreno ampiamente dissodato nei decenni precedenti, grazie a una lunga tradizione di studi storici sulla vita religiosa e sui rapporti di interazione tra vita ecclesiastica e potere politico, tradizione nata soprattutto intorno alla scuola di Giuseppe Galasso e Carla Russo. Per motivi di spazio editoriale si evita di elencare una notevolissima e lunga bibliografia, ma tra i lavori sul rapporto tra donne e potere a Napoli, giova però quantomeno citare E. Novi Chavarria, Sacro, pubblico e provato. Donne nei secoli XV-XVIII, Guida, Napoli, 2009. 57 Cfr. C. Casanova, Regine per caso cit., p. 59 e p. IX. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 1918 Tutto ciò ha pesato lungamente sulla tradizione storiografi- ca che ha dovuto liberarsi in primo luogo delle letture stereoti- pizzanti sulle donne. Sebbene la regalità fosse stata riconosciuta come un concetto cardine e una categoria centrale nella storia del potere dell’Europa moderna, per molto tempo sono state trascu- rate le ricerche sulla dimensione teorica e politica della regalità femminile e la dimensione del potere esercitato in prima persona dalle regine sui iuris o per matrimonio, in contrasto con nume- rosi studi dedicati ai significati politici, simbolici e religiosi del- la regalità maschile58. Le indagini più recenti sulle relazioni tra donna e potere hanno, però, evidenziato come, per far funzionare gli ingranaggi della monarchia, i ruoli maschili e femminili si in- tegrassero e completassero e come le donne avessero capacità di sostenere conflitti, di animare resistenze e promuovere istituzioni. Focalizzare quindi l’attenzione sul ruolo delle donne come attrici del mecenatismo, delle pratiche devozionali e delle relazioni con le istituzioni ecclesiastiche fa apparire più intellegibile il gioco com- plesso della costruzione dell’identità delle dinastie e l’appartenenza a un comune “sistema europeo delle corti”59. Proprio gli studi sulle corti hanno ricevuto un’ulteriore spinta anche grazie alle ricerche di genere svolte sulle regine, evidenziando l’esistenza di una rete familiare che, attraverso i ruoli di genere, favoriva la riproduzione biologica e politica della dinastia60. Come è stato acutamente sot- tolineato, gli attributi del cortigiano di successo sono quelli che nell’età moderna erano classificati come abilità tipiche delle donne: dissimulazione, apparenza, flessibilità, accomodamento, educazio- ne61. Storiografie nazionali fino a tempo fa impermeabili tanto al tema della corte quanto al ruolo delle donne hanno dovuto fare i conti con quegli studi. Quella sulla Prussia, ad esempio, incentrata tradizionalmente sulla nascita dello stato prussiano e sullo svilup- po della burocrazia, aveva tenuto in scarsa considerazione la vita di corte fino a tempi recenti, quando invece è apparso molto più evidente il ruolo delle regine consorti: proprio perché Federico II si 58 Cfr. M.A. Visceglia, Riti di corte e simboli della regalità, Salerno editrice, Roma, 2009, p. 158; C. Casanova, Regine per caso cit., pp. XIV-XV. 59 M.A. Visceglia, Riti di corte cit., p. 207. 60 Cfr. G. Calvi, Introduction a Ead (a cura di), Women Rulers in Europe. Agen- cy. Practice and the Representation of Political Powers (XII-XVIII), European Univer- sity Institute, Firenze, 2008, p. 1. 61 Cfr. J. Duindam, Myths of power. N. Elias and the Early Modern European Court, Amsterdam University press, Amsterdam, 1995, p. 15. teneva lontano dalla corte, alla moglie spettava l’incombenza della sua organizzazione, che prevedeva una serie di rilevanti funzioni a partire dal ricevimento di ambasciatori e principi stranieri62. Addi- rittura la “maschilissima” Roma dei pontefici ha rivelato non solo l’esistenza del potere informale delle donne nipoti dei papi, ma an- che la presenza di alcune corti al femminile63. Ritengo che tuttavia sia sempre necessaria l’avvertenza di non ridurre la regalità fem- minile a un capitolo aggiuntivo della storia della monarchia, ma che gli studi abbiano come fine la comprensione della costruzione della regalità nel suo complesso. Da questo punto di vista sono fondamentali i libri di Lucien Bély e Fanny Cosandey: il primo, introducendo un approccio da antropologia culturale nello studio delle dinastie, ha prestato una particolare attenzione all’intera ge- rarchia del potere fatta sia dagli uomini che dalle donne, delle quali peraltro ha particolarmente analizzato l’educazione64; la seconda ha superato per la Francia l’analisi dei cerimoniali di corte incen- trata esclusivamente sugli uomini, focalizzando l’attenzione inve- ce sul coinvolgimento delle regine nei rituali monarchici, nonché sul valore ai fini della pace dei loro matrimoni65. È in quest’ottica dell’“intero” che è necessario ricostruire quanto ciascuna regina o consorte espresse un profondo senso di sé, della propria composita appartenenza e identità, un personale stile di potere66. Così come non vanno trascurate le asimmetrie che possono essersi verificate a 62 Cfr. T. Biskup, The hidden queen: Elisabeth Christine of Prussia and Hoen- zollern queenship in the Eighteenth century, in C. Campbell Orr (a cura di), Queen- ship in Europe 1660-1815. The role of the conosorts, Cambridge University Press, Cambridge, 2004, pp. 300-321. 63 Sulla figura di Olimpia Maidalchini cognata di Innocenzo X è più volte tor- nata M. D’Amelia, per la quale si rimanda almeno a La nuova Agrippina. Olimpia Maidalchini Pamphilij e la tirannide femminile nell’immaginario politico del Seicento, in F. Cantù (a cura di), I linguaggi del potere nell’età barocca, 2. Donne e sfera pub- blica, Viella, Roma, 2009, pp. 45-95. Per le corti romane al femminile si veda M. Caffiero, Sovrane nella Roma dei papi. Cerimoniali femminili, ruoli politici e modelli religiosi, ivi, pp. 97-123. 64 L. Bély, La société des princes, XVIe-XVIIIe siècle, Fayard, Paris, 1999. 65 Di F. Cosandey è fondamentale De lance en quenouille. La place de la reine dans l’État moderne (14e-17e siècles), «Annales ESC», 4 (1997), pp. 799-820. Si ri- manda inoltre a La reine de France. Symbol et pouvoir XVe-XVIIIe siècle, Gallimard, Paris, 2000, e al libro in collaborazione con I. Poutrin, Monarchies espagnole et française 1550-1714, Atlande, Neully, 2001. 66 Sono aspetti sottolineati, a proposito delle donne Medici, da A. Contini, Il ritorno delle donne nel sistema di corte: linguaggi, appartenenze dinastiche e forma- zione, in G. Calvi, R. Spinelli (a cura di), Le donne Medici nel sistema europeo delle corti. XVI-XVIII secolo, Polistampa, Firenze, 2008, p. 5. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 2120 favore di regine consorti per le debolezze dei propri mariti: sono state spesso le inabilità politiche a seguito della debolezza o della instabi- lità mentale dei sovrani a dare la possibilità di costruire corti fem- minili autonome e attive nella gestione del potere67. Specificamen- te legata alla gender history è l’indicazione stimolante che si coglie nell’introduzione a un voluminoso libro sulle regine europee, nella quale Campbell Orr ha sottolineato come l’interesse verso costoro non nasca per la loro semplice biografia, ma intorno al loro ruolo di queenship: le regine non vanno studiate come isolate, ma attra- verso una connessione alla dimensione dinastica. Lo studio della corte vista attraverso l’angolo visuale delle regine può risultare più produttivo per una conoscenza dei meccanismi del potere68. Inoltre, a mio giudizio, un aspetto che resta a tutt’oggi completamente da definire è non solo cosa potessero fare le regine, ma cosa a esse fosse assolutamente impedito di fare, da cosa rimanessero sempre separate nella gestione del potere, in quali aspetti del potere, seb- bene regine, non potessero entrare. Tanto per usare un elemento paradossale: non mi risulta che alcuna sovrana abbia mai pensato di poter emanare una legge che mettesse in discussione la succes- sione maschile al trono. Sulla scia delle suggestioni della Zemon Davis di delineare uno stile muliebre di governo, alcune ricerche hanno cercato di cogliere le specificità della condizione regale al femminile rispetto a quella maschile. Indicative sono le annotazioni di Fanny Cosandey: men- tre il sovrano era irrigidito dalla fissità iconica della regalità, le donne reggenti e consorti non godettero di una tale sacralizzazione 67 Si pensi al caso all’inizio dell’età moderna di Renata di Francia. La storio- grafia ha insistito sul potere di Maria Carolina generato dalla debolezza caratteriale di Ferdinando IV, tuttavia il caso non va eccessivamente enfatizzato. Per il Sette- cento, casi tra debolezza di carattere e vera e propria instabilità mentale sono quelli dei coniugi di Elisabetta Farnese e Barbara di Braganza. Grazie all’inettitudine e all’instabilità mentale del proprio marito, Caterina II riuscì a impadronirsi del po- tere. Non va d’altra parte considerata come automatica la possibilità delle regine di poter assumere la guida dello stato in caso di insanità mentale del re: si pensi al triste caso di Carolina Matilde, regina di Danimarca e sposa di Cristiano VII. Ma anche per la Danimarca a assumere rilievo politico fu una donna, la regina vedova Giuliana Maria Brunswick-Lüneburg, che pur imponendo suo figlio come reggente, esautorando Carolina Matilde, non riuscì a portarlo sul trono. 68 C. Campbell Orr, Introduction, a Ead., (a cura di), Queenship in Europe cit., pp. 1 sgg. Si veda inoltre G. Calvi, Introducition a Women rulers cit., p. 8. Per la Spagna e il Portogallo si veda J. Martínez Millán, M.P. Maraçal Lourenço (a cura di), Las Relaciones Discretas entre la Monarquías Hispana y Portuguesa: las Casas de la Reinas (siglos XV-XIX), voll. I-III, Polifemo, Madrid, 2008. del potere sancita dal cerimoniale, il loro corpo non era duplice come quello del re, sicché potevano essere facile oggetto di attacchi alla loro persona nelle forme delle ingiurie. Proprio però questa debolezza istituzionale impose alle donne la necessità di annodare alleanze e coagulare fazioni di corte, al fine di acquisire autorità. Le reggenti di Francia, ad esempio, dovettero dispiegare le loro energie per collegarsi alle famiglie dei Pari e per entrare nelle dinamiche di lotta per il potere69. Indicative appaiono anche le considerazioni che López-Cordón Cortezo svolge a proposito delle regine consorti di Spagna: proprio perché non investite dall’esercizio del potere formale, le regine potevano svolgere funzioni di mediazione, ascol- tare consigli, vigilare sulla corruzione e dare soddisfazione ai propri sudditi70. È quindi di rilievo, nell’ambito della ricerca sulle sovrane, analizzare il “sistema di relazioni” delle donne nella politica, che in realtà accoglie l’indicazione relazionale della storia di gender. Proprio sulla scorta di tali indicazioni, nell’introduzione a un libro dedicato alle regine del Regno di Napoli, Mirella Mafrici ha sot- tolineato la necessità di liberarsi dell’aneddotica dell’alcova e ana- lizzare il “sistema di relazioni”. Indagare quindi le variegate forme in cui si è articolata la relazione tra donna e potere serve a ricostruire quale sia stato lo specifico apporto femminile nella costituzione della sovranità monarchica anche nel Mezzogiorno, poiché le donne con- tribuivano a perpetrare il potere, sia dal punto vista della procrea- zione, sia attraverso la politica degli scambi matrimoniali71. Uno dei più rimarchevoli aspetti del protagonismo femminile delle regine risulta quindi nelle relazioni internazionali, attestato peraltro anche dalle biografie per sovrane vissute in epoche più lontane dell’età moderna72. Rilevantissimo è il caso di Elisabetta 69 C. Casanova, Regine per caso cit., p. 61. La storiografia francese ha svilup- pato numerosi lavori sulle figure delle sovrane francesi. Ai precedenti citati lavori si aggiunge I. Poutrin, M.K. Schaub (a cura di), Femmes et pouvoir politique. Les princesses d’Europe (XVe-XVIIIe siècle), Bréal, Rosny-sous-bois, 2007. 70 Particolarmente vero per la moglie di Filippo III, Margherita d’Austria, cfr. M. V. López-Cordón Cortezo, L’immagine della regina nella Monarquía hispánica, in F. Cantù (a cura di), I linguaggi del potere cit., pp. 20-21. Si segnala inoltre la rassegna di A. Muñoz Fer- nández da cui si evidenzia come nel regno di Castiglia la casa della regina fosse uno spazio dalla considerevole autonomia: La casa della Regina, «Genesis», I, 2 ( 2002), pp. 71-95. 71 M. Mafrici, Introduzione. Storie di donne, storia del Regno, in Ead. (a cura di), All’ombra della corte cit., p. 1. 72 Si veda a questo proposito G. Sivéry, Margherita di Provenza, Salerno edi- trice, Roma, 1990, libro nel quale il tema di fondo è che la sposa di Luigi IX poté portare avanti operazioni di politica internazionale che la diplomazia ufficiale non poteva compiere, sviluppando quindi una sorta di diplomazia parallela. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 2726 nobiliare si trovarono ora a giocare un ruolo ancora più rilevante grazie alle loro regine-consorti, impegnate a favorire le proprie case di origine. Si pensi alle vicende matrimoniali di Vienna e alle con- seguenze anche internazionali a seguito del matrimonio di Leopol- do con Eleonora di Neuburg: questa si adoperò perché Giuseppe sposasse Guglielmina di Brunswick, che a sua volta favorì l’ascesa degli Hannover e la loro alleanza con gli Asburgo82. Donne quindi tutt’altro che cresciute impreparate a giocare ruoli politici si erano affacciate nell’Europa delle monarchie. Ma, a mio giudizio, ora più che mai a giocare un ruolo a favore delle donne è la maternità. La storia della maternità ha avuto una difficile genesi nella storia delle donne e nella gender history, anche perché destava non poche perplessità e resistenze nel mondo femminista, in quanto parlare di maternità significava aprire discorsi sull’“affetto mater- no” e sull’“istinto femminile”, argomenti che avevano acceso nume- rose discussioni83. Per alcune posizioni femministe, l’esaltazione della natura materna significava soprattutto l’esaltazione del ciclo naturale e quindi di ciò che si ripete incessantemente, assegnando alla donna un ruolo ritenuto profondamente conservativo e conser- vatore, nel quale sono chiamate a essere mogli e madri secondo il progetto religioso tipico del Sette e Ottocento. Non a caso, infatti, le lotte femminili sono state soprattutto quelle dei diritti politici legati alla maternità come libera scelta. Con fatica quindi si è articolata una possibile storia della maternità che non cadesse nella trappola dei facili topoi dell’amore materno, con l’uscita di lavori pionieristici all’estero84, a cui hanno fatto seguito importanti ricerche in Italia85. Per quanto la maternità si esprima negli aspetti soggettivi, la sua sto- ria ha, quindi, voluto analizzare i codici attraverso i quali l’affetto si è espresso nel tempo e nello spazio86. In questo ambito di ricerca la sto- ria della maternità si è poi legata al filone della storia delle emozioni. 82 Cfr. C.W. Ingrao, A.L. Thomas, Piety and power: The Empresses-Consort of High Baroque, in C. Campbell Orr (a cura di), Queenship in Europe cit., p. 113. 83 Si veda in proposito l’introduzione di F. Arena, N.M. Filippini a L’esperienza corpo- rea della maternità, in M.C. La Rocca, S. Chemotti (a cura di), Il genere nella ricerca storica: atti del VI Congresso della Società Italiana delle storiche, Il Poligrafo, Padova, 2015, p. 915. 84 Cfr. A.C. Rich, Of woman born: motherhood as experience and institution, Norton, New York, 1976; Y. Knibiehler, C. Fouquet, L’histoire des mères du Moyen àge à nos jours, Montalba, Paris, 1980; E. Badinter, L’amour en plus: histoire de l’amour maternal. XVIIè-XX siècles, Flammarion, Paris, 1980. 85 Si cita tra gli altri, G. Fiume (a cura di), Madri, storia di un ruolo sociale, Marsilio, Venezia, 1995; M. D’Amelia (a cura di), Storia della maternità, Laterza, Roma-Bari, 1997. 86 F. Arena, N.M. Filippini, L’esperienza corporea della maternità cit., p. 916. Mai come nel caso delle regine la maternità non era una parola vana. Come viveva la propria maternità una regina? Il parto nella realtà d’antico regime era tutt’altro che un atto banale e scontato. Le regine condividevano le ansie delle donne comuni e semmai per loro era più accentuato il clima di protezione che avvolgeva le gravi- de: una donna incinta non può vivere una forte emozione, non deve vedere cose mostruose, le sue voglie vanno rapidamente acconten- tate. Ma nel caso delle regine, a tutti i comuni rischi femminili, si aggiungeva l’ansia non tanto e non solo di assicurare un erede al proprio marito, ma di dare al regno un futuro re. La maternità era poi fonte di potere politico. Nel numero del 2005 di «Clio H.F.S.», interamente dedicato alla maternità, spicca il saggio della Cosan- dey che ha sottolineato il rilievo che assumeva la maternità nella storia dinastica. L’essere madre avvantaggiava considerevolmente le regine sui loro competitori, principi di sangue o grandi dignita- ri, nel caso fosse necessario costituire un consiglio di reggenza, poiché veniva considerato che “naturalmente” nessuno più della madre potesse essere investito della tutela degli interessi del gio- vane sovrano. Le reggenze, peraltro, non furono un esclusivo fatto politico francese, ma ampiamente diffuso nel continente europeo, come dimostrano numerosi casi. La venuta di un figlio era, quindi, la sola vera garanzia per una regina di una completa e definitiva incorporazione all’interno della monarchia, poiché l’assenza di un parto rischiava di condurre al ripudio. La costruzione dinastica quindi passava attraverso il doppio apporto maschile/ femminile87. Anche dal punto di vista delle maternità regali, la fine del Sei- cento e l’inizio del Settecento segnano però una svolta rilevante, che ha come effetto la crescita del ruolo e dell’importanza delle donne nelle corti. Occorre tener presente la tragica congiuntura biologica dei due rami asburgici per l’assenza di figli: un vero trauma atta- naglia le famiglie regali europee di fronte all’eventualità della man- cata successione di un re. Lo stesso problema colpisce le ultime due regine Stuart. Lo scoppio di più guerre di successione rende evidente la conseguenza drammatica di una simile eventualità. La prolificità delle donne divenne quindi più che nel passato un segno di distinzione: alcune regine misero al mondo un numero elevato di figli. Si pensi ai grandi quadri rappresentanti le affollate famiglie 87 F. Cosandey, Puissance maternelle et pouvoir politique. La régence des reines mères, «Clio. H.F.S.», 21 (2005), pp. 67-90. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 2928 di Filippo V e di Elisabetta Farnese, di Maria Teresa e Francesco Stefano, e al numero di figli avuti da Carlo e Maria Amalia. A Vien- na Eleonora di Neuburg fu vista come salvatrice degli Asburgo, in quanto madre di una numerosa prole, tanto che la morte improv- visa dell’imperatore Leopoldo non mise a rischio la successione dinastica. Le due imperatrici successive, la moglie di Giuseppe e di Carlo, entrambe non in grado di mettere al mondo figli maschi, furono motivo di dolore e apprensione nel loro paese, nonché la loro stessa vita fu assai dolorosa per non aver potuto assolvere questa esigenza dello Stato. Sia a Maria Amalia di Sassonia che a Maria Carolina fu ricono- sciuto un ruolo nel Consiglio di Stato proprio successivamente all’as- solvimento del loro dovere di dare un erede maschio al regno. Dopo il parto di Maria Amalia lo stesso Tanucci scrisse: «è ora ella la più gran parte di questo governo»88. La nascita di altri due figli maschi le permise di esercitare un’influenza sempre maggiore sul marito. Nel caso di Maria Carolina, nonostante la pamphlettistica osti- le, non mancarono tentativi di costruzione di un mito positivo della regina, come quello del cavaliere Carmine Lancellotti, prodigo nel tramandare l’immagine di una donna dedita alla carità pubblica, nonché di madre esemplare, per prolificità e per capacità educative dei propri figli. Anche Maria Carolina, come già sua suocera, con l’arrivo di un figlio maschio poté partecipare alle riunioni del Con- siglio di Stato, ma nel suo caso l’influenza che acquisì preoccupò non poco le cancellerie europee. Il rapporto tra la prolificità di Maria Carolina e il potere è stato evidenziato nel lavoro di Cinzia Recca: Maria Carolina ebbe ben 16 parti, una condizione di donna permanentemente incinta che agli occhi della corte ne fece un esempio di dimensione eccezionale, rendendola quindi adatta ad assumere funzioni di governo. Il suo stato di donna stabilmente gravida ebbe come effetto la rappresen- tazione compiuta della regalità, fornendo motivazioni più profonde sui motivi dell’ascesa al ruolo di governo della regina piuttosto che lo stereotipo di un Ferdinando infingardo. Erano la forza e i sacri- fici per tante gravidanze a legittimare il suo governo89. A fronte di questa immagine di maternità prolifica, potrebbe non essere stato un caso che i detrattori delle regine di fine antico regime 88 Cito da M. Mafrici, Una principessa sassone cit., p. 38. 89 C. Recca, Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014, pp. 26-28. lanciassero accuse di lesbismo alle loro sovrane, proprio come nega- zione non solo di quell’immagine femminile che aveva tanto avuto suc- cesso nel corso del secolo ma anche della “natura” stessa della donna. 4. L’Illuminismo e la rivoluzione francese: un arretramento della condizione femminile? Il rilevante ruolo nel panorama politico europeo delle regine del Settecento fu accompagnato a duri giudizi misogini sull’influenza femminile nelle corti, così come era già avvenuto nel Cinquecento. A fine antico regime Maria Carolina e Maria Antonietta erano ad- ditate come l’esempio e le cause dei peggiori mali che affliggevano le monarchie. Nel corso della rivoluzione francese la satira che at- taccò Maria Antonietta riprendeva temi circolanti da tempo sulla denuncia del malcostume dell’aristocrazia e della corte. A Napoli la Pimentel Fonseca avrebbe apostrofato Maria Carolina come la rediviva Poppea, facendo sua l’invettiva giacobina contro la depra- vazione e il libertinaggio aristocratico. La controrivoluzione, invece, avrebbe celebrato le sue eroine avvolte nella gloria del martirio: Maria Antonietta si sarebbe trasfigurata nella genitrice santificata dalle prove subite e il suo appello alle madri sarebbe stato l’esem- pio più luminoso del suo sacrificio90. Mirella Mafrici ha scritto: «l’influenza di una donna, regina o sovrana che fosse, nella politica di uno Stato si inserisce in un cli- ché storiografico ormai consolidato sul potere femminile, costellato da macchinazioni e complotti […] tale modello negativo è imper- sonato in Italia, e in particolar modo a Napoli, nell’austroungarica Maria Carolina d’Asburgo»91. La formazione della tradizione “nera” sulla sovrana di Napoli è stata recentemente ripercorsa da Cinzia Recca, partendo dall’opera dell’esule milanese Giuseppe Gorani, che riversò tutta la sua austrofobia nel ritratto impietoso di Ma- ria Carolina, col quale denunciò la presenza femminile nella corte come radice della diffusione della corruzione92. L’immagine è entra- ta poi nella storiografia ottocentesca attraverso i giudizi di Fran- cesco Lomonaco, Vincenzo Cuoco, e poi di Carlo Botta e Pietro 90 M.R. Pelizzari, Antieroine: maschile/femminile nella rappresentazione del ne- mico tra XVII e XVIII secolo, in M.C. La Rocca, S. Chemotti (a cura di), Il genere e la ricerca storica cit., pp. 714-715. 91 M. Mafrici, Un’austriaca alla Corte napoletana: Maria Carolina d’Asburgo-Lo- rena, in Ead. (a cura di), All’ombra della corte cit., p. 51. 92 C. Recca, Sentimenti e politica cit., p. 23. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 3130 Colletta, fino ad approdare nella storiografia più recente attraverso le valutazioni di Raffaele Ajello su di una regina ambiziosa, spre- giudicata, viziata, prepotente e incline alla corruzione93. Il giudizio negativo sulle regine forgiato nel corso della con- giuntura rivoluzionaria di fine secolo ha fatto nascere in alcuni ambienti femministi una domanda: il crollo dell’antico regime na- sce dall’avversione maschile per il potere delle donne che in quel sistema politico avevano conseguito posizioni troppo rilevanti? La domanda, per quanto provocatoria, ha un preciso retroterra storiografico, che si può far risalire, soprattutto, al libro di Joan B. Landes sulle donne e la sfera pubblica all’epoca della rivoluzio- ne francese. L’autrice, nell’introduzione del suo volume, connotato da un forte impulso decostruzionista, propone una significativa revisione delle tesi di Habermas, sottolineando che la sfera pubbli- ca è essenzialmente maschilista. Tesi centrale del libro è, infatti, che l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica non fu un avve- nimento accidentale, ma un fatto connaturato alla natura stessa del sistema borghese. Nonostante l’eccessivo carattere personale e patriarcale dell’old regime monarchico, il graduale tramonto delle corti a modello familiare, in cui reggenti, parenti e amanti aveva- no svolto un ruolo di rilievo, significò invece l’emarginazione dalla politica delle donne. Era il mondo maschile e femminile della corte che soccombeva, di fronte all’ascesa del modello rappresentativo formato interamente dagli uomini94. Sulla scia della Landes si è posta Geneviève Fraisse nelle con- clusioni degli atti pubblicati nel 1991 del convegno Femmes et pouvoir sous l’Ancien régime: l’arretramento delle donne a seguito della rivoluzione e del Codice civile napoleonico è dovuto, senza mezzi termini, alla reazione a una lunga fase nella quale le donne dell’Ancien régime avevano acquisito troppo potere95. A conferma di questa svolta, la rivoluzione non solo non riconobbe i diritti alle 93 Ivi, pp. 23-25. 94 J.B. Landes, Women and the public sphere in the age of the French revolu- tion, Cornell University Press, Ithaca-London, 1988. 95 Sulle posizioni di G. Fraisse si veda A. Bellavitis, Storia delle donne cit., p. 105. Per il convegno si veda D. Haase-Dubosc, E. Viennot Rivage (a cura di), Femmes et pouvoirs sous l’Ancien Régime, Rivages, Paris, 1991. Nella storiografia di studi di genere è stato sottolineato che il Code Napoleon del 1804, abrogando l’istituto della cura sexus, ebbe come conseguenza un rafforzamento del potere del marito rispetto alla tradizione precedente. In proposito si veda E. Saurer, Identità di genere. Divisioni congiunzioni e la forza della memoria, in M.A. Visceglia (a cura di), Le radici storiche dell’Europa. L’età moderna, Viella, Roma, 2007, pp. 196-197. donne, ma negò anche nella costituzione monarchica il diritto della regina-madre a guidare la reggenza96, che era stato, invece, uno dei riconoscimenti più rilevanti per le regine dei secoli precedenti. La valutazione dell’affermazione di un regime liberale intera- mente al maschile in contrapposizione a un sistema politico di Anti- co regime, nel quale i rapporti maschi/donne sarebbero stati meno sbilanciati, ripropone analisi già compiute per altri momenti dell’età moderna, dai quali si evincerebbe altrettanto che la “politica borghe- se” con la forma repubblicana – riprendendo la suggestione della Ze- mon Davis – si sarebbe caratterizzata per essere al maschile rispetto a quella aristocratica, più aperta, per converso, alle possibilità della gestione del potere al femminile. Un esempio sono gli studi sulla cit- tadinanza condotti da Martha Howell su alcune città della Germania, nelle quali, a suo giudizio, nel tardo medioevo e nella prima età mo- derna più il diritto di cittadinanza acquisiva rilievo pubblico, meno le donne erano ammesse al suo godimento. Le città hanno, quindi, con l’età moderna prodotto uno spazio politico che riservava diritti e atti- vità politica al solo genere maschile, emarginando le donne. Il siste- ma dell’eleggibilità del cittadino si opponeva al governo della nobiltà, imperniato sul ruolo della famiglia. Il tardo medioevo e il Cinquecento vedevano nelle corti la partecipazione al potere di numerose donne, mentre nelle città, culle dell’individualismo borghese, la condizione femminile peggiorava, con la privazione della cittadinanza proprio al- lorquando quel privilegio diventava politicamente rilevante97. Il saggio della Howell ha ricevuto non poche critiche, perché i casi analizzati e i dati forniti sono apparsi insufficienti, nonché per il fatto che l’autrice nelle sue conclusioni sembra determinata soprattutto da letture attualizzanti. Nonostante tali riserve, è stato sottolineato che l’interpretazione della Howell risulta comunque in- teressante nel proporre una lettura del significato politico del ruolo delle donne, soprattutto nell’ambito delle famiglie dei reali, ripren- dendo da questo punto di vista le indicazioni della Cosandey: seb- bene escluse dalla legge salica, le madri e le mogli vedove risultano essere le migliori garanti della continuità della monarchia98. 96 Si veda in proposito M.T. Guerra Medici, Donne di governo cit., p. 192. 97 Cfr. M. Howell, Citizenship and gender. Woman’s political status in Nothern Medieval Cities, in M.C. Erler e M. Kowalesky (a cura di), Women and power in the Middle Age, University of Georgia Press, Athens, 1988, pp. 37-60. 98 A. Bellavitis, Alla ricerca della cittadinanza, in G. Calvi (a cura di), Innesti cit., pp. 11-21. Tra gli studi che hanno contribuito a sfumare i giudizi della Howell, si rimanda come esempio a H. Wunder, He is the Sun, she is the Moon. Women in the Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 3736 è di concepire la differenza femminile, sempre bene o male segnata dall’inferiorità, pur nel tentativo di renderla compatibile con il principio di un’uguaglianza basata sul diritto naturale»109. L’“arretramento” della posizione delle donne, sostenuto da di- versi lavori di gender history, può essere comunque letto anche in modi più sfumati e meno perentori. In primo luogo, la condizione delle donne nell’aristocratico Settecento prima della cesura rivolu- zionaria non può essere considerata generalmente felice: in nume- rosi paesi non hanno diritti di intentare cause, i loro beni sono am- ministrati dagli uomini della famiglia e sono sottoposte all’autorità assoluta del marito110. Le regine consorti e le aristocratiche sono delle privilegiate ed è possibile loro esercitare poteri grazie al fatto che l’antico regime si connota per la confusione tra pubblico e pri- vato, permettendo quindi ad alcune privilegiate di esercitare ruoli politici attraverso posizioni informali. Con la fine dell’antico regime questa confusione viene meno, poiché l’organizzazione politica è ora più accentuatamente che mai basata su uffici e istituzioni, con una concezione impersonale, territoriale e pubblica del potere sovrano. Quello che va a cambiare non è tanto una riduzione de- gli spazi al femminile, quanto il ruolo delle dinastie sovrane nella gestione del potere pubblico. Da qui l’emarginazione delle donne dalla gestione pubblica, proprio perché i loro avanzamenti non av- vengono affatto nel campo pubblico, ma esclusivamente nelle posi- zioni all’interno di famiglie privilegiate. Che le donne delle corti divenissero poi oggetto di critiche e che al loro potere si volesse porre limiti era un fatto legato alla pole- mica complessiva che aveva investito l’antico regime, tenuto conto del ruolo che le regine consorti avevano avuto nella costruzione dell’assolutismo in quel regime di corti. Insomma non è che l’anti- co regime cada per far cadere il potere delle donne come qualche studio femminista ha voluto far intendere, ma è piuttosto la caduta 109 M. Crumpe-Casnabet, La donna nelle opere filosofiche del Settecento, in G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente cit., pp. 314-350. Il filone di pensiero illuminista che riconosceva alla donne diritti egualitari prendeva le mosse dalle posizione del cartesiano F. Paullain de la Barre, che considerava le differenze fisiologiche del tutto secondarie rispetto alla fondamentale identità della ragione umana. Al suo pensiero di rifaceva il sensismo di Helvetius, la visione ma- tematizzante di D’Alembert, fortemente polemico con Rousseau, e infine Condorcet, la cui posizione favorevole al voto alle donne rimase però isolata. Cfr. E. Tortarolo, L’Illuminismo cit., pp. 235-245. 110 D. Godineau, La donna cit., p. 455. dell’antico regime ad avere come conseguenza l’arretramento di al- cune forme di potere femminile che lo avevano caratterizzato. E in ogni caso va considerato che il movimento rivoluzionario, malgrado la proclamazione dei diritti universali e il progetto di liberazione dei popoli, ha, come tutti i movimenti rivoluzionari, il suo momento di arretramento e di ripiegamento, che vede prevalere interessi di più corto respiro e di abbandono di più ambiziosi programmi. E ciò no- nostante non si può negare alla rivoluzione di fine Settecento che sia un avvenimento di tale portata innovativa, da essere propulsivo per l’intera storia del continente. Va, poi, precisato, che nella real- tà concreta alcune forme di potere delle donne tipiche dell’antico regime sopravvissero anche in epoca post rivoluzionaria. Le reg- genze femminili, nonostante quanto affermato dalla I costituzione monarchica, continuarono a sopravvivere nella Francia del XIX se- colo: sia Napoleone I che Napoleone III nominarono loro reggenti Maria Luisa e Eugenia111, così come a Napoli Gioacchino Murat nominò Maria Carolina Bonaparte. Le interpretazioni che hanno visto nell’Illuminismo e nella ri- voluzione francese una sorta di matrice del male del destino del- le donne nell’accesso all’età contemporanea, più che, consape- volmente o inconsapevolmente, riproporre una polemica verso il potere maschile, sembrano in realtà ripresentare alcune formule interpretative marxiste nei confronti dell’Illuminismo come rivolu- zione politica che legittimava l’emergere degli egoismi individua- li e dell’utilitarismo112. La stessa storiografia marxista con la sua visione dell’età dei lumi come processo di autonomizzazione della società civile dallo Stato, è stata alla base, nel secondo dopoguer- ra, dello sviluppo di ricerche sulla formazione della “sfera pubblica borghese” (Koselleck e Habermas), sfera che ha costituito il campo nel quale gli studi esposti hanno dato risposte molto diversificate, evidenziando posizioni di netta preclusione alle donne, oppure di grandi aperture, nel momento in cui è stato evidente che la politica come fatto culturale prima che sociale, economico o ideologico, si è andata sviluppando all’interno di quei salotti e quelle accademie di cui le donne furono indiscutibili animatrici113. Va sottolineato che le 111 M.T. Guerra Medici, Donne di potere cit., p. 201. 112 Per quanto riguarda Marx e il suo rapporto con la Rivoluzione francese, resta un classico F. Furet, Marx e la Rivoluzione francese, trad. it. Rizzoli, Milano, 1989. 113 V. Ferrone, D. Roche, L’Illuminismo cit., pp. 80-81. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 3938 ricerche di cui si è dato conto, a partire da quella della Landes, han- no costruito le loro tesi soprattutto partendo dal presupposto della creazione di una sfera pubblica borghese così come delineata da Habermas, “paradigma” che ha invece evidenziato sempre più crepe interpretative, tanto che Benigno si è chiesto come possa mantenere ancora una vasta audience, nonostante le tante critiche corrosive a cui è stato sottoposto. In particolare proprio la sovrapposizione tra spazio culturale e spazio borghese è apparsa troppo forzata114. Il limite di alcune ricerche gender che giungono a conclusio- ni così eterogenee e per nulla definite, come nel nostro caso, va probabilmente ricercato nella scelta metodologica di interpretare le epoche storiche attraverso le “rappresentazioni” della donna e i “discorsi” sulla donna, tanto che una delle partizioni del volume dell’età moderna di Perrot-Duby prese il significativo titolo “di lei si parla molto”, dedicando un’ampia sezione all’analisi dei discorsi letterari, teatrali, filosofici e scientifici. Di ciò, peraltro, era stata già acutamente critica una storica del femminismo come Gianna Pomata, che in quel prodotto editoriale trovava conferma che la gender history privilegia i discorsi sulle donne più che la storia sociale delle donne, con il pericolo di cadere in una storia solo cul- turale da cui l’identità femminile risulta forgiata, di fatto, ancora una volta da discorsi di uomini115. È indubbio che la crisi dell’og- gettività che ha colpito la disciplina della storia ha fatto, come è noto, emergere istanze narratologiche che tendono a condurre il lavoro dello storico alla rappresentazione. Ma va anche rilevato che il focus sui giudizi, in campo soprattutto letterario, inevitabilmente porta a evidenziare pareri positivi se si cercano opinioni positive, valutazione negative, se si cercano opinioni negative. Insomma, la ricostruzione storica si rifrange in mille diverse letture a seconda del testo e della posizione ideologica di chi scrive e di cosa lo stori- co cerca. Tutto ciò, peraltro, si somma anche alla stessa tendenza degli studi sull’Illuminismo a cavallo tra ’900 e nuovo secolo, che si sono caratterizzati per una complessiva negazione di un carattere 114 Per tutto ciò si rinvia alla discussione presente in F. Benigno, Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Viella, Roma, 2013, pp. 205-220. 115 Per la recensione si veda G. Pomata, Histoire de femmes cit., pp. 1019- 1026. Per la discussione si veda anche le note di A. Bellavitis, Storia delle donne e storia di genere di età moderna nel contesto storiografico francese, «Genesis», VIIII, 1 (2009), pp. 95-111. generale del fenomeno, accentuando la direzione delle ricerche sui caratteri nazionali e settoriali, rovesciando così la prospettiva stori- ca dell’Illuminismo come processo universalizzante e cosmopolita116. Non si tratta, per converso, di andare alla ricerca di una inge- nua “natura reale” e di un’ipotetica “oggettività della storia”, ma, quanto meno, di ribadire che i periodi storici vanno ricostruiti at- traverso il ricorso alla molteplicità delle fonti. La “rappresentazio- ne” individuata come via maestra all’approccio del passato rischia invece di distorcere le analisi, offrendo un mutevole caleidoscopio che cambia colore a seconda della posizione: una storia tutta in blu o tutta in rosa, mentre “i fatti” vanno sbiadendo. Va inoltre opportunamente fatto presente che allorquando la storia di genere ha toccato argomenti come quello dell’assolutismo, come si è evidenziato nel paragrafo precedente, ha riportato risul- tati di indubbio interesse, grazie anche al ricorso di una plurali- tà di approcci metodologici. Ma allorquando ha toccato argomenti fortemente “politicizzati”, come nel caso della rivoluzione francese e dell’Illuminismo, la componente ideologica prende il sopravvento accompagnandosi ad una ricerca di “riscrittura” orientata anch’es- sa ideologicamente in una polemica verso il moderno e i cui risul- tati appaiono quantomeno contraddittori. È difficile poter quindi dare ragione all’ipotesi che la fine dell’antico regime abbia avuto luogo per porre un freno al potere dilagante delle donne, proprio perché l’Illuminismo e lo stesso mo- vimento rivoluzionario, nonostante la presenza di posizioni tradi- zionalmente misogine, ebbero una forte componente al femminile. Mi appare più peculiare invece fare un discorso sul mutamento del ruolo della famiglia nella gestione del potere: più il potere e la sua gestione erano sottratti alla sfera privata della famiglia e più divenivano pubblici, meno possibilità quindi ebbero le donne di farne parte. E tutto ciò non vuol dire dar ragione alla vittoria del sistema borghese delle antiche repubbliche tutte al maschile dell’età moderna. La ricerca degli ultimi decenni ha, infatti, evi- denziato che le “rappresentanze” presenti nelle istituzioni politiche dell’antico regime non erano affatto esclusivamente “borghesi”117. Inoltre, il “costituzionalismo” delle repubbliche patrizie dell’età mo- derna, connotato secondo la Landes da una natura esclusivamente 116 Si veda in proposito le note di E. Tortarolo, L’Illuminismo cit., p 12. 117 Anche qui si rinvia a F. Benigno, Parole nel tempo cit., p. 213. Donne e potere: la monarchia femminile nel XVIII secoloGiulio Sodano 4140 maschile, fu qualcosa di profondamente diverso dal “costituziona- lismo” sviluppatosi nella congiuntura rivoluzionaria e che poi ha ereditato il mondo contemporaneo. Il primo era volto alla difesa degli antichi privilegi per nascita nei confronti dello stato assoluto, il secondo era a garanzia dei diritti di tutti, primo dei quali era la libertà dell’individuo. Landes ha sottolineato che tra il 1750 e il 1850 le donne si sono trovate di fronte a una nuova fonte di discri- minazione e cioè il rifiuto costituzionale dei diritti delle donne sotto la legge borghese e che solo nella seconda metà del XIX secolo il movimento femminile sarebbe emerso in Europa e in America set- tentrionale come risposta a questa situazione118. Ma è da considerare frutto del liberalismo l’esclusione delle donne dal suffragio? È forse un caso che uno dei più rilevanti as- sertori di quel diritto fosse il filosofo del liberalismo John Stuart Mill? E come interpretare che ultimo a dare il diritto di voto alle donne, nel 2015, sia stato un paese non certo culla del liberalismo come l’Arabia Saudita? E che quel paese è stato preceduto di pochi anni da altri come Kuwait, Oman, Bahrein? Che il primo paese al mondo nel dare pieno diritto di voto è stata la ex colonia inglese della Nuova Zelanda nel 1893, seguita subito dopo dall’Australia? Che i paesi europei che progressivamente hanno dato diritto di voto alle donne coincidano con quelli dove erano avvenute le rivo- luzioni liberali? E poiché abbiamo lungamente discusso di monar- chie, i recenti mutamenti costituzionali in materia di successione al trono di alcuni paesi, che prevedono ora la successione anche in prima battuta di una donna, sono frutto di una autoriforma dell’i- stituto monarchico, o di una spinta di una società democratica e liberale che chiede parità di diritti tra donne e uomini? Il problematico nodo del mancato riconoscimento del diritto di voto dalla rivoluzione ha per forza di cose impegnato le pagine con- clusive del saggio di Dominique Godineau dedicate alla donna del Settecento. La storica francese ha sottolineato che le donne non acquisirono il diritto di voto, ma «creando uno spazio politico fon- dato sul principio di uguaglianza, la rivoluzione evidenza il para- dosso dell’Illuminismo, quello di una “promiscuità senza pari”». Fu un altro dei tanti paradossi di quel secolo e che il volume curato da 118 J.B. Landes, Women and public sphere cit., p. 7. Vovelle in diversi saggi evidenzia119. Ma la Godineau rimarca anche che fu un paradosso impossibile da vivere poiché «il semplice fatto che ora sia possibile proporre la parità degli uomini e delle donne esaspera le tensioni […]. Ultimo paradosso è la rottura rivoluziona- ria che darà allora la possibilità al femminismo di svilupparsi»120. In via di conclusione, vale la pena riportare una frase della storia dell’Illuminismo di Ferrone e Roche: l’originalità del mondo dei Lumi sta nel fatto che rispetto a ogni al- tra epoca della storia gli uomini illuminati hanno creduto nella vocazio- ne della scienza per migliorare la condizione di tutti. Le arti e la scienza che compongono la base del credo enciclopedico e accademico sono allora nella cultura a un punto d’integrazione mai raggiunti. La ragione diventa allora amministrativa, può distruggere pregiudizi, come in altri ambiti, e mobilitare il sapere per comprendere, trasformare, agire121. È quel “distruggere pregiudizi” da cui non si può prescinde- re… La condizione della donna nel passaggio all’affermazione della visione pubblica della politica può essere peggiorata, pur tuttavia non va dimenticato che quella precedente era esclusivamente lega- ta a una piccola parte di donne privilegiate grazie ai confusi confini tra pubblico e privato. E comunque quel “distruggere pregiudizi”, peccando di teleologia, mi sembra sia stato il vero motore che sul lungo periodo avrebbe questa volta portato tutte le donne a godere dei diritti di libertà ed eguaglianza, e non soltanto le privilegiate aristocratiche. Mi piace concludere concordando con le significa- tive parole di una donna storica, M. Benaiteau, che ha sostenuto: per quanto riguarda il politico, la storia del genere femminile negli ultimi secoli può ben apparire come una logica conseguenza della Dichia- razione dei diritti dell’uomo e del cittadino: non a caso gli albori delle ri- vendicazioni femminili iniziano con la rivoluzione francese122. 119 I diversi saggi del volume di M. Vovelle (a cura di), L’uomo dell’Illuminismo, cit., nonché la stessa introduzione del curatore, sono percorsi da tensioni, contrap- posizioni, contraddizioni che caratterizzano il Settecento. 120 Le citazioni sono entrambe in D. Godineau, La donna cit., p. 485. 121 V. Ferrone, D. Roche, L’Illuminismo cit., p. 107. 122 M. Benaiteau, Le donne sulla scena pubblica cit., p. 147. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 4746 e governa queste “virtuose” destinate alla grande “scena”. Le bio- grafie di queste “signore” – tali sono appellate sin dalla tenera età – sono costellate da fulgidi capitoli destinati a restituire il leggen- dario quotidiano di coloro che per volontà suprema sono chiamate a “sopportare” il peso del diadema e della corona in una convulsa esistenza in cui anche il malessere diviene oggetto di contempla- zione e condivisione. Ma a lanciare abbacinanti immagini è, solita- mente, l’episodio nuziale in cui le “appassionate” di ritratti meda- glioni descrizioni convolano al “trono” secondando una regia in cui sono le sorti del mondo a dettare leggi e strategie4. Le tattiche di questi “bellicosi” connubi, apportatori di sereni- tà e pace sulle “carte” d’Europa segnate da ferite sanguinolenti o rimarginate e da cicatrici-moniti, studiate con arguzia creano at- tese di lunga durata politica e di folgoranti ed effimere mondanità apparentemente innocue ma altamente istruttive per un percorso che stabilisce patti e alleanze o rinsalda e conferma solide amistà con ricadute corroboranti sullo scenario internazionale. Le “inna- morate” spose sono poste al centro di un ingranaggio festivo senza eguali destinato ad amplificare il prestigio delle “case” coinvolte sull’intera terra che per l’occasione è chiamata ad ospitare uno spettacolo irripetibile che sarà lo splendore per cronache e relazio- ni ma soprattutto il tormento di coloro che sono chiamati, a vario titolo, a rendere unico questo evento attraverso un allestimento del “palcoscenico” calcato dalla sposa-regina di maravigliosa fattura. Gli itinerari, tracciati sulle mappe, che uniscono le città di partenza a quelle di arrivo, sono disegnati salvaguardando le tappe indispensabili al riposo e alla eco politica che avranno su gazzette e resoconti diplomatici i treni nuziali. Gli strumenti di propaganda e informazione sottolineano le soste lunghe e brevi nonché i palazzi onorati dalla presenza delle novelle mogli aurate e i festeggiamenti organizzati da quei territori calpestati dalle fortunate consorti lato- ri di rispetto o sudditanza ai nuovi lacci araldici annodati. 4 Sul ruolo delle nozze nell’economia biografica di questo stuolo di donne “sradicate” e soprattutto sul viaggio nuziale si veda il sito http://www.marryin- gcultures.eu/ e il volume di A. Morton, H. Watanabe-O’Kelly (a cura di), Queens Consort, Cultural Transfer and European Politics, 1550-1750, in corso di stampa. Per il viaggio della predecessora di Maria Carolina si rinvia a H. Watanabe-O’Kelly, Cultural Transfer and the Eighteenth-Century Queen Consort, «German History», 34, 2 (2016), pp. 279-292 e a Ead., The Consort in the Theatre of Power: Maria Amalia of Saxony, Queen of the Two Sicilies, Queen of Spain, in A. Morton, H. Watana- be-O’Kelly (a cura di), Queens Consort, in corso di stampa. Avvisi, gazzette, giornali, relazioni ufficiali e non, lettere, reso- conti amministrativi, cedole bancarie, partiture, libretti, raccolte poetiche, stampe, quadri e quant’altro offrono un resoconto avvin- cente di un ordito perfetto e intricato che solo lentamente si lascia indagare rivelando così la spossante operosità da dietro le “quinte” foriere di informazioni interessanti al fine di indagare l’articolato e ponderato lavoro di “maestranze” indefesse. Nel 1767 le vie diplomatiche s’affollano di informative circa il percorso che avrebbe attraversato il corteggio della futura regina di Napoli, Maria Giuseppa d’Austria, per abbracciare il trepidante sposo e insediarsi sullo sfolgorante trono meridionale. A Vienna «si dispone […] una magnifica Rappresentazione Drammatica per le Feste sposalizie di Una delle Auguste Arciduchesse con il Monarca delle Due Sicilie, e già stati sono invitati per dipingervi le Scene [i] Fratelli Galeari»5 scrive l’informatore milanese del conte Zambec- cari, ministro plenipotenziario della corte napoletana, nel marzo dell’anno fatidico ribadendo, dopo poco, che «questi Fratelli Pittori Galeari deono partire fra pochi giorni per Vienna, ove sceneggie- ranno un Dramma di tutta magnificenza, che rappresentarassi in occasione del Reale già indicato in altri Fogli prossimo Sposalizio»6. Intanto in gran subbuglio si trova la corte napoletana nel predi- sporre il calendario dei festeggiamenti ma soprattutto nel garantir- si un parterre di artisti di prima grandezza; è il marchese Tanucci a esporsi, tramite il conte Finocchietti – ambasciatore partenopeo in stanza a Venezia –, con il virtuoso Guadagni e con coloro che potevano agevolarlo nel garantirsi la rara ugola: Dovendosi nella lieta occasione delle felicissime nozze del Re colla serenissima Arciduchessa, Maria Giuseppa far qui delle feste Teatrali; de- siderarebbe la M.S. di avere qui pel mese di Novembre di questo anno il Cantante Guadagni; e sapendosi che questo nel Carnevale dell’anno ven- turo, sia stato appaltato per cantare in Roma, crede la M.S. che con questa 5 Asn, Mae, fasc. 167, inc. Torre Guevara 31/III/1767, la notizia si desume da una relazione datata Milano 18/III/1767 inviata da Bologna dal conte Giovanni Zambeccari ministro plenipotenziario del monarca di Spagna e di Napoli al mar- chese Bernardo Tanucci. Sulle nozze delle due arciduchesse si vedano anche ivi, ff. 3923-3929 qui non presi in considerazione perché già analizzati da A. Sommer-Ma- this, Tu felix Austria nube. Hochzeitsfeste der Habsburger im 18. Jahrhundert, Mu- sikwissenschaftlicher, Wien, 1994. 6 Asn, Mae, fasc. 167, inc. Caserta 7/IV/1767, la notizia si desume da una relazione datata Milano 25/III/1767 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 4948 occasione può riuscire assai più facilmente l’aversi qui nel sudetto mese di Novembre per la mentovata festa. Mi ha imposto dunque la M.S. di par- tecipar ciò a V.S.I. perché tratti col Cantante Guadagni, e, colla solita sua efficacia, procuri l’adempimento del R.l desiderio […]7. I contatti con il virtuoso intrapresi dal ministro lagunare in- ducono il marchese a scrivere «al Cardinale Orsini in Roma, perché tratti co’ Cavalieri Direttori del Teatro di Argentina pel permesso di farlo trattenere [a Napoli] fino a 20 di Decembre»8 sollecitando il nobile Finocchietti a “concludere” con il Musico […] per la consaputa Serenata, o sia Festa Teatrale con assicurarlo, che la festa sud.a si farà tutta a conto del Re senza alcuna ingerenza dell’Im- pressario, e che il Re non mancherà di ricompensarlo a dovere: Può anche V.S.Ill.ma assicurarlo, che quando voglia anche fermarsi per questo R.l Teatro per l’anno venturo 1768 si daranno da S.M. gli ordini corrisp.ti all’Impressario, e si agevolerà per farglisi far un buon partito corrisp.te al suo merito […]9. Anche Firenze, altra tappa nevralgica del tour matrimoniale, era alle prese con i virtuosi di canto ma soprattutto con le bizze de la pazza Cantatrice Gabrielli [che] fu dai Cavalieri Associati per il Teatro di Firenze invitata ad agire colà nel dramma che deesi rappresentare in occa- sione del passaggio della Regina delle Due Sicilie, e perché voleva esentarsi dall’impiego, pretese mille zecchini, sperando, che non le sarebbero accor- dati; ma s’ingannò; imperocché nel chiesto prezzo le si trasmise la Scrittura di convenzione, ed apertamente diede allora la negativa, e si ricovrò nel Pa- lazzo in Napoli dell’Ambasciatore di Francia. Motivo del Capriccioso rifiuto dicesi essere un solito amoroso Attacco, da cui non vuole allontanarsi»10 al che si rivolgono a la Cantatrice de Amicis, che già trovò in Vienna tanti favori, passavasene colà, invitata per quel Teatro, ma per ordine superiore venne arrestata 7 Asn, Mae, fasc. 2306, inc. Napoli 28/VII/1767, lettera del marchese Tanucci al conte Giuseppe Ranieri Finocchietti di Foulon, ministro plenipotenziario del mo- narca di Napoli, a Venezia. 8 Ivi, inc. Napoli 25/VIII/1767, lettera del marchese Tanucci al conte Finoc- chietti a Venezia. 9 Ibidem. 10 Asn, Mae, fasc. 167, inc. Napoli 8/IX/1767, la notizia si desume da una relazione datata Milano 26/VIII/1767 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. tre Poste fuori di Firenze, tradotta in Città, e proibitole inoltrarsi verso la Dominante Austriaca, né per ancora può sapersene il motivo; e frattanto sottentrerà, volendo, o non volendo, nel luogo della Gabrielli»11. Un dettagliato programma dei festeggiamenti fiorentini per il soggiorno della regina di Napoli e del suo augusto genitore compare sulla «Gazzetta Toscana» del 10 ottobre12 mentre nell’edizione succes- siva si annuncia la sospensione dei preparativi per il vaiolo contratto dall’ormai regina di Napoli che ha scompaginato i piani preventivati13, ma tutto il meccanismo salta allorquando si propaga la mesta notizia del decesso della pia sposa rimasta vittima del male, probabilmente, per un pietoso raccoglimento sulla tomba della zia in compagnia della madre Maria Teresa14. I lugubri rintocchi dei bronzi concludevano le celebrazioni nuziali viennesi che avevano avuto come spettacolo clou la messinscena della Partenope intonata da Hasse su un testo appo- sitamente scritto dal poeta cesareo Metastasio15. L’imperatrice dopo la seconda figliola destinata vanamente al seggio di Partenope assegna all’improbo ruolo una terza arcidu- chessa, forse già folgorata dai bei medaglioni sbrilluccicanti e dai rifiniti ritratti inviati alle sventurate sorelle per cui con fulminante tempismo viene preparata a raggiungere i bei cieli del Sud. La “pre- destinata” Maria Carolina, ancora assorta sulla falce che inesora- bile si era abbattuta sulla sua germana, è così chiamata a calcare le “scene” regali coinvolta in preparativi frettolosi che la vedono sposa-stemmata nel giro di pochi mesi, giusto il tempo di far ri- prendere Ferdinando dall’atroce perdita e permettergli di maturare la terza “folgorazione” affettiva. La “freccia” dinastica scoccata rimette in moto l’industria ma- ritale che in tempi rapidi è chiamata a predisporre il complesso cerimoniale itinerante riaprendo il frenetico accaparramento delle maestranze più in vista per un grand tour spettacolarmente effica- ce e memorabile16. Se a Mantova 11 Ibidem. 12 «Gazzetta Toscana», 10/X/1767, n. 41, p. 169. 13 Ivi, 17/X/1767, n. 42, p. 173. 14 Ivi, 24/X/1767, n. 43, p. 177. 15 Cfr. R. Mellace, Johann Adolf Hasse, L’Epos, Palermo, 2004, pp. 133-135. 16 Informazioni sul viaggio nuziale di Maria Carolina, e quello previsto per Ma- ria Giuseppa, si desumono anche dallo studio di A. Sommer-Mathis, Tu felix Austria nube cit., pp. 139-163. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 5150 la Piccinelli […] è stata […] scritturata dal Dottore Stampa per il Teatro di Mantova nel prezzo di 300 Zecchini Romani, ed alloggio per 25 Recite, che principieranno all’arrivo colà della futura Regina delle Due Sicilie, onde la Suddetta dovrà trovarsi in quella Città verso la fine del presente mese di marzo [1768]. Il Dramma è Pastorale di Poesia nuova, composto da uno di que’ Letterati, ed il Dramma sarà nobilmente arrichito di Scene, di vestiario, e di Balli: un nostro Greppi ha fatto il possibile per frastornare l’ultimazione di questo contratto per essere pressantemente impegnato a mandare la det- ta Virtuosa a Bologna per una Serenata, che si rappresenterà nella stessa occasione del passaggio della futura Regina delle Due Sicilie»17, a Napoli c’è la convenevole attenzione à che questo R.o Teatro venga fornito di soggetti idonei al disimpegno delle Sovrane Soddisfazioni, e di quelle del Pubblico; Si è presa cognizione di due Virtuose […] la Taiberin, e la Ribaldi, e si sono considerate di capacità e di attitudine opportuna all’intento. Vuole dun- que il Re […] impegnarle ambedue pel sud.o Teatro; La Taiberin cioè per Prima Donna, e la Ribaldi per Seconda. È bene che […] non [si] ignori nel proposito essersi qui detto dall’Impressario, che la Taiberin abbia richiesto per sua conduzzione Zecchini 1300., Casa, Viaggio […]18. Va da sé che le scelte operate rientrino in un piano artistico destinato a soddisfare appieno il gusto della promessa sposa che ha particolari competenze in ambito artistico e in special modo musi- cale per cui la “primadonna” reale sarà attorniata da manifestazioni che armoniosamente incontreranno il suo genio, non a caso la Tau- ber proprio nel ’67 aveva allietato le feste viennesi. I periodici del tempo con tempestività annunciano preparativi e programmi soddisfacendo la curiosità dei lettori e amplificando il significato storico dell’evento, in particolare sono notizie destinate a render conto del gran daffare imposto dallo spostamento del pre- zioso treno e dei suoi viaggiatori, uno scambio di informazioni che descrivono un organigramma cortigiano complesso e scrupoloso. Il «Diario Ordinario» dà conto con sollecitudine dei preparativi fiorenti- ni e napoletani rivelando il notevole fermento che ha messo in moto il sacro nodo; agli inizi di marzo rassicurante è l’annotazione che 17 Asn, Mae, f. 168, inc. Caserta 15/III/1768, la notizia si desume da una relazione datata Milano 2/III/1768 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. 18 Ivi, inc. Napoli, 1/XII/1767, lettera del marchese Tanucci al conte Finoc- chietti a Venezia. sono state ordinate diverse abili maestranze affine di preparare sontuosa- mente il gran Salone di Palazzo Vecchio a più feste di ballo da farsi in occa- sione del passaggio che sarà per fare nella fine del mese di Aprile da questa Dominante la Reale Arciduchessa Maria Carolina futura Regina di Napoli19 a cui fa eco che a Napoli è stato ripigliato, con tutto l’ordine, il lavoro delle Machine, ove si faranno le gran- diose Cuccagne, ed altri pubblici spettacoli all’arrivo della nostra Regina Sposa; la quale da Firenze, fino a Portella, verrà per vettura, avendo la direzione di tale strada il Sig. Filippo Fenzi, Tenente-Generale delle Poste di Sua Altezza Reale il Ser.mo Granduca di Toscana20. Un supervisore del tracciato stradale disegna l’itinerario dove le popolazioni informate del real passaggio predispongono ali fe- stanti e addobbi sontuosi, degni “festoni” di raccordo tra i luoghi privilegiati destinati al soggiorno breve o lungo dell’affollato corteo. Per l’arrivo di Maria Carolina il 27 aprile sono state da questa R. Corte stabilite le feste, che giorno per giorno sa- ranno date in Firenze nel tempo della dimora di questa Sovrana, ed eccone il diario. | La mattina del Giovedì 28. sarà destinata per il suo riposo, la sera comparirà al Teatro in Via del Cocomero: Venerdì 29. corsa di barbe- ri, e la sera appartamento. Sabbato 30. sarà dato trattenimento in Corte: Domenica I. Maggio gran festa di ballo nel Salone di Palazzo Vecchio: Lu- nedì 2. la Nobiltà sarà ammessa al baciamano di congedo, e la sera teatro; nel Martedì 3. finalmente seguirà la sua partenza alla volta di Napoli. | Nel dì 19. partirono da questa Real Corte alla volta di Napoli alcuni cariaggi per servizio dei nostri Reali Sovrani non meno che della futura Regina Sposa, qual erano scortati da alcuni di questi Cacciatori Reali21. 19 «Diario Ordinario», 16/III/1768, n. 7912, notizia datata Firenze 5/III/1768. L’articolo riporta anche che «Secondo poi le migliori notizie, la partenza da Vienna di questa Sovrana si dice che sia fissata per il dì 7. del futuro Aprile, e che il dì 24., o 25. giungerà in Firenze, ove sarà per trattenersi fino al dì 2. Maggio». 20 Ivi, 23/III/1768, n. 7915, notizia datata Napoli 1/III/1768. Si veda anche ivi, 30/III/1768, n. 7918: «Napoli 15. Marzo. | Si vanno allestendo con tutta solle- citudine i necessari preparativi per ricevere S.A.R. l’Arciduchessa Maria Carolina d’Austria nostra futura Sovrana, che si attende verso il principio del futuro mese di Maggio, e per formare la sua numerosa Corte. | In fatti è stata pubblicata la promo- zione delle Dame destinate al suo servizio […]». 21 Ivi, 6/IV/1768, n. 7921, notizia datata Firenze 16/III/1768. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 5756 di Maria Carolina regina delle due Sicilie»33. È sul suolo italico, comunque, che il treno della sovrana trova un’accoglienza senza pari, le popolazioni restano folgorate dall’inusitata vista della rap- presentazione della maestà e catturano immagini da custodire ge- losamente nella mente per poi restituirle nei dì futuri a maggior gloria di un’esperienza eccezionale e unica. La disciplinata calca inneggia al passaggio del corteo e il camminamento è “preparato” con dovizia dai maggiorenti preposti ad accogliere degnamente la preziosa sfilata con addobbi e spari. Trionfi, archi, dosselli, illuminazioni, salve, rintocchi, pirotec- nie, musiche accolgono festosamente il lieto apparire delle vetture e in Italia la mobilitazione è totale, sul suolo veneto è “corteggiata” dal «Signor Luigi Tiepolo in qualità di Ambasciadore Straordinario per parte della Serenissima Republica di Venezia»34, «servita a Tavola» e omaggiata «di una Camera di Cristallo, lavorata in oro di Zecchino, con due grandi specchi Compagni, Seggioline simili, e Tavolino, so- pra cui mangiò, ed il tutto fu ricevuto con dimostrazione di sommo gradimento»35. Attrezzerie strabilianti e arredi raffinati per “scene” senza eguali sono poi smontate per arricchire il ricco bagaglio che nel corso del tour diventa sempre più simile a un magazzino teatrale in cui si accumulano i regali umiliati ai piedi della sovrana. «Portano altri doni per presentare alla regina» (Didone abbandonata), «por- tando diversi doni» (Alessandro nell’Indie), «con seguito di parti che conducono […] altri doni da presentare» (Adriano in Siria) sono le probabili didascalie che accompagnano i gesti dei cerimoniosi ospiti che accorrono da ogni latitudine per celebrare degnamente le nozze gigliate: «il Sig. Con: d’Aquilar, Ambasciatore Straordinario di S. M. Cattolica a questa Corte [Sabauda], […] si porta a quella di Firen- ze per aspettare l’Arciduchessa Carolina […] per complimentarla, e presentarle in nome del Re di Spagna un ricco regalo di gioje»36. Da capogiro risulta l’elenco delle gemme e dei monili che lasciano atto- niti gli astanti e compiaciuta la festeggiata che non manca di dispen- sare a sua volta di doni i propri ospiti aprendo i suoi forniti forzieri. 33 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, 7 voll., Bertola & Locatelli, Cuneo, 1990-1994, n. 16366. 34 Relazione delli reali felicissimi sponsali. 35 Asn, Mae, fasc. 168, inc. Caserta 10/V/1768, la notizia si desume da una relazione datata Verona 25/V/1768 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al marchese Tanucci. 36 «Diario Ordinario», 20/IV/1768, n. 7927, notizia datata Torino 1/IV/1768. Musicalissimo diviene, nella patria dell’opera, il percorso re- gale che sino a quel momento era stato allietato da tafelmusik e “reservate” conversazioni dove con ogni probabilità si esibiva «un Virtuoso di Camera» al seguito della peritissima dilettante37. Grandiose furono le accoglienze, e le publiche dimostrazioni praticate nella Città, e Fortezza di Mantova, ove giunse nel dì 22. del sudetto mese di Aprile. Entrata che fu la M.S. in quella Città per Porta Molina, a’ cui posti avanzati si portò ad incontrarla il Tenente-Colonnello Sig. Te- nente-Maresciallo Conte Montoya da Cardona, Comandante di det- ta Città e Fortezza, che l’accompagnò direttamente a quello Regio Ducal Palazzo illuminato <da numerosa> quantità di torce. Nello scendere, che fece la Maestà Sua di carrozza, venne ossequiosa- mente ricevuta dal Sig. Conte Firmian Ministro Plenipotenziario, dal Sig. Maresciallo Conte Serbelloni, e da più altri qualificati Per- sonaggi, non meno che da’ Tribunali, Uffizialità, e Cavalieri in ricca gala, trovatisi appiedi dello scalone, e dalle Dame, che pure in gala trovaronsi nell’anticamera de’ Regio-Ducali appartamenti. Tosto che fu arrivata la Maestà Sua al Palazzo stesso, vi si trasferì a farle visita Sua Altezza Reale l’Infante Duca di Parma, il quale due ore prima era colà giunto incognito, sotto nome di Marchese di Sala, accompagnato da’ soli Ministri Plenipotenziarj di Francia, e Spa- gna, presso lui residenti, e dal Sig. Cavaliere di Keralio, stato suo Ajo. Ivi venne l’Altezza Sua Reale dalla Maestà Sua accolta nella più distinta maniera. Quindi, dopo di avere ricevuti la Maestà Sua i rispettosi complimenti da quel Monsignor Arcivescovo, e da altri ragguardevoli Soggetti, ed ammesse al baciamano le Dame tutte, passò Ella, unitamente col suddetto Real Duca, pe’ corridoj, al Re- gio-Ducal Teatro Nuovo, ove ambedue godettero un Componimen- to pastorale drammatico, intitolato: il Tributo Campestre38. Il Tributo Campestre «espressamente composto da un nostro Concittadino, e messo in musica dal rinomato Sig. Trajetta, quale ornato di ricca illuminazione, e di assai altre vaghe decorazioni, e fra queste d’una veramente magnifica sala di cristalli, incontrò il pieno soddisfacimento della Maestà Sua, e l’universale ammirazio- ne di tutti gli Spettatori»39. Lo spettacolo scritto da «Gio. Battista 37 Cfr. Relazione delli reali felicissimi sponsali. 38 Ibidem. 39 «Diario Ordinario», 13/V/1768, n. 7937, notizia datata Mantova 29/IV/1768. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 5958 Buganza, della R. Accad. di Scienze e Belle Lettere di Mantova e segretario perpetuo della R. Accad. di Pittura, Scultura ed Archi- tettura della stessa città» era ornato dalle scenografie di Antonio Bibiena e vantava un cast composto da Pietro de Mezzo (Mincio); Maria Piccinelli Vezian, detta la Francesina (Irene); Felicita Suar- di (Eurilla); Pasquale Potenza (Licida); Adamo Solzi (Aminta)40. In- tanto i trionfalismi ufficiali si affievoliscono leggendo un resoconto inviato a Zambeccari in cui si rileva che «il Dramma in musica […] non meritò per insufficienza di chi lo rappresentava, quel favore- vole incontro, che si sperava, e la Cantatrice Piccinelli […] non ha trovato […] tanta facilità d’Ammiratori»41. Nulla da eccepire sulla sala «preparata tutta a Specchi» e soprattutto sulla protagonista assoluta che ne corso della «pubblica Festa da Ballo», tenuta- si nel corso del suo soggiorno, fece «quattro mutazioni d’Abiti da maschera» mostrando «mani bellissime, ed occhi vivaci» nonché «un’Aria giojante» e rivelandosi «gentilissima nel conversare»42. La permanenza di Maria Carolina è scandita da mondanità ed edificanti pratiche spirituali esibendosi “pubblicamente” attorniata dal giusto “contesto” con quegli elementi destinati a creare la appropriata atmo- sfera, il paesaggio e l’arredamento sonoro sono sempre tra i dettagli di spicco del viaggio in Italia e alla mensa “ufficiale” modenese tenutasi «nella superba Galleria di Corte […] vi fu da cinque esperti Professori di Musica, sotto al concerto di più stromenti, fatta una Cantata»43. Anche a Bologna si allestisce l’«Azione drammatica per musi- ca» L’isola disabitata su testo di Metastasio musicato dal gettona- tissimo Traetta con Antonia Girelli (Costanza); Daniella Mienci (Sil- via); Lorenzo Tonarelli (Gernando) e Giuseppe Cicognani (Enrico)44. Il testo cesareo è accomodato, previa l’aggiunta e la soppressione di arie e recitativi, «a fine di ridurlo in due parti e d’introdurvi dei balli coerenti alla azione medesima»45. Ancora una volta lo spetta- colo maggiore si ebbe con “l’incontro inaspettato” della sposa con 40 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani cit., n. 23605. 41 Asn, Mae, fasc. 168, inc. Caserta 17/V/1768, la notizia si desume da una relazione datata Milano 4/V/1768 inviata da Bologna dal conte Zambeccari al mar- chese Tanucci. 42 Ibidem. 43 Relazione delli reali felicissimi sponsali. 44 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani cit., n. 13875. 45 Ibidem. «il Real Fratello Gran Duca di Toscana»46 quale giusto preludio alle sorprese ideate per l’atto successivo ambientato a Firenze. La sosta fiorentina inanella occasioni di ostensione regale a ripetizione tra cortei, balli, conversazioni, rappresentazioni, acca- demie tutte rifulgenti di luci e ornamenti “mai veduti” che ha il suo massimo splendore spettacolare, benché l’inclemente e inattesa bizzarria meteorologica, il 30 aprile: La sera verso le 9. dopo avere sentita cantare all’improvviso la Sig. Maddalena Morelli conosciuta sotto il nome di Corilla, si portò la Maestà Sua sempre in compagnia delle LL.AA.RR. […] alla Petraia, Villa concessa dal Real Sovrano a S.E. il Sig. Conte Orsini di Rosenberg per sua abitazio- ne di campagna. […] Già la Villa tutta da quella parte che guarda mezzo giorno era illuminata cotanto, che era vaghissima a riguardarsi anche da lontano, e questo con disegno del Sig. Giuseppe del Moro. A piè della mu- raglia dalla parte medesima, e sopra la vasca […] era stata artificiosamen- te inalzata una macchina rappresentante la Reggia di Nettuno costrutta di spume rotte da sassi e coralli, che variati formavano l’ornato di questo marino edifizio in tanti archi, che pigliavano l’aspetto di grotta. Qui mira- vansi in pittura, opera studiata del Sig. Pietro della Nave, Nettuno e Parte- nope, condotta in trionfo per l’onde, accompagnata da cavalli marini con Tritoni, da Sirene, ed aquatiche Deità, tutte sostenute da Delfini, ed altri mostri di mare, che doveano servire ai varj scherzi dei fuochi d’artifizio. Tutti gli archi suddetti erano così bene preparati che doveano in diversi tempi rendere un lume diverso. Dalla parte di levante era stato tessuto un teatro boschereccio di una grandezza capace nella sua platea di più mi- gliaia di persone, intorno alla quale si sollevavano ornati d’alloro, e di altra frasca verde palchi a più ordini di sedili, ove doveano sedere gli Spettatori, nel tempo che le due Corti avevano posto distinto coll’invitata Nobiltà nel mezzo alla medesima. Tutto lo scenario composto anch’esso di frasche verdi d’allori, rotte di tanto in tanto da Statue trasparenti, quale scenario egualmente all’anfiteatro dovea essere tutto illuminato con fanali, e lumi a olio. Questo era destinato ad una cantata, che fu poi eseguita in una stan- za terrena […]; terminata la quale doveva aprirsi un ballo pubblico con rinfreschi a tutti indistintamente, mentre le Corti si sarebbero trattenute anch’esse ballando nella Sala superiore della Villa. Queste furono tutte quelle preparazioni, che non ebbero l’effetto desiderato a motivo della sta- gione, che di troppo serena si fece in questa giornata inopportunamente piovosa. Giunta Sua Maestà colle LL.AA.RR. a questa Villa trovarono sul 46 Cfr. Asn, Mae, fasc. 168, inc. Caserta 10/V/1768, lettera inviata dal conte Zambeccari al marchese Tanucci da Bologna in data 1/V/1768. Si veda anche Re- lazione dello sposalizio. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 6160 Prato un numero di 150. Granatieri sull’arme, e furono incontrati sulla porta dall’istessa E.S. il Sig. Conte di Rosenberg, servito da quaranta suoi Staffieri in livrea di gala, che ebbe l’onore di condurli in una stanza terrena accomodata a foggia di bottega di caffè […]: qui furono trattenuti dal Si- gnor Giuseppe Damiani Brigonzi inventore e direttore di questi spettacoli, che fece giuocare alcune macchine con molta bravura, e qui sentirono con Loro piacere alcuni canti pastorali sul gusto delle nostre maggiajuole leggiadramente composti dal Sig. Dott. Lambardi. Terminata questa pri- ma parte della festa passarono i tre Regnanti in altra stanza dirimpetto, ove era stato con tutta sollecitudine vagamente accomodato con fronde di lauro, e di altre cose boscherecce il teatro rustico, proporzionato alla semplicità del componimento, che vi si dovea cantare. Le parole del detto componimento erano state con molta grazia tessute per questa solenne occasione dal Sig. Canonico Casti, e la musica dal Sig. Pazzaglia, quale fu mirabilmente eseguita in mezzo a numerosa orchestra dai Signori Veroli, e Banchi. Lo spettacolo principiava e terminava con un coro di ninfe, e di pastori accompagnato da 24. ballerini, fra i quali la Sig. Paganini col suo marito Beccari, che si fecero ammirare nel loro pas de-deux. Appena ebbe termine questo secondo spettacolo passarono al terzo, che consistette in una festa di ballo preparata in una sala superiore della villa: questa sala era adornata d’una maniera sorprendente, e affatto nuova; le lumiere, le ventole, le spere, i viticci, i putti sostenenti gruppi di lumi, tutti restavano intrecciati da frappe di fiori secchi al naturale a uso di festoni, che risalta- vano sopra la muraglia a bello studio dipinta dal Sig. Giuseppe Stracchini in tante formelle adattate ai vuoti, le quali erano ravvivate e piene di tanti talchi a più colori, che l’occhio medesimo appena vi poteva resistere. La prefata Maestà Sua diede principio al ballo insieme con il Real Fratello, e in seguito continuarono la Real Gran-Duchessa, le Dame ec. Fino alla mezza notte. In questo tempo furono preparate quelle macchine, ove do- vevano giuocare i fuochi d’artifizio in maniera che fossero godute dalle finestre della villa, come in fatti affacciativisi i Sovrani, e gli altri Signori fu dato fuoco alle medesime con piacere di quei nobili riguardanti. In seguito scesi a basso trovarono con una metamorfosi sorprendente quella sala terrena, che poco fa era teatro, apparecchiata tutta in un tratto a sontuo- sissima cena. […] dei cibi più rari che immaginar possa la delicatezza mo- derna, e preparati nella più squisita maniera: il lusso delle bottiglie, della biscotteria, e dei gelati uguagliava l’abondanza delle vivande, ed il deserre finalmente meritava particolare attenzione. In queste diverse maniere fu- rono divertite fino alle 3. dopo mezza notte, in cui dopo aver viste giuocare altre macchine di fuochi d’artifizio, passando per una strada illuminata di tanto in tanto da fanali accesi, […] si restituirono tutti insieme al Real Palazzo de’ Pitti47. Ma il giorno seguente a Palazzo Vecchio ad apertura di «un’Ac- cademia di canto, e di suono», «accompagnata al cimbalo dal Reale Arci-Duca Pietro Leopoldo fece grazia di cantare alcune arie la pre- detta M.S.»48 facendo incantare per la soavità e la grazia gli ospiti convenuti ben presto sottoposti a ulteriori emozioni quando fu aperto ed acceso il Salone di Palazzo Vecchio […] per una festa di bal- lo di una maniera particolare e sorprendente, colla soprintendenza di 4. Sigg. Ciamberlani, e col disegno del Sig. Zanobi Rossi Architetto Fiorenti- no. […] torno torno era inalzato un palco a 5. ordini, ciascheduno de’ quali fu ben presto ripieno delle maschere più belle; vicino al primo ingresso in quella parte che si solleva sopra il piano della sala di 4. gradini si vedeva eretto un palco parato di teletta d’oro con gran frangioni parimente d’oro, e gran ventole di cristallo, e questo per comodo dei tre Augusti Principi, e delle rispettive Corti: di faccia si sollevava un’orchestra a 4. ordini, che da un lato si distendeva all’altro, ove sedevano uniformemente, e di vaghissi- mi colori vestiti da 150. Suonatori; 20. di corno di caccia, 8. di tromba, 4. di timpani, 4. di fagotti, 30. di contrabbasso, 8. di violoncello, 8. di obue, e più di 80. di violino. All’intorno raddoppiavano la luce molti speroni, quali composti di 10. quali di 16. e quali di 24. cristalli, e tutti contornati di cor- nice dorate: il numero delle fiaccole, che illuminavano la sala, se pure non è stato sbagliato nel meno, ascendevano a 4. mila, e 50049. Ristabilitisi dal forte impatto visivo e uditivo ecco comparire una mascherata rappresentante una compagnia di Chinesi in numero di 16. coppie, che dalla ricchezza degli abiti, e dalla grazia del portamento ognuno s’avvide che queste erano le due Corti, nelle quali si trovavano i tre Regnanti; ed in fatti nella prima coppia si nascondevano la Regina di Napoli, e il Gran-Duca di Toscana, nella seconda la Gran-Du- chessa, ed il Signor Conte di Rosenberg, e nell’altre le primarie Cariche, Dame d’onore, e Ciamberlani delle due Corti. Questa truppa di Chinesi, 47 «Gazzetta Toscana», 7/V/1768, n. 19, pp. 85-87. 48 Ivi, p. 87. 49 Ibidem. L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 6766 sparsi diversi animali vivi, e nel recinto, o sia fossato ripieno d’acqua vi si scorgevano de’ pesci vivi. Fu la medesima saccheggiata dal minuto Popolo nella sera di detto giorno, dopo essere stata osservata dalle Loro Maestà, ed Altezze Reali, le quali passarono dopo nel Teatro di S. Carlo per godervi di nuovo la Serenata. Nella sera del dì 6. si replicò nella Gran sala di Corte la Festa di ballo, la quale riuscì egualmente magnifica come le precedenti66. E ancora un corteggio marino di rara bellezza che quasi ram- mentava quelli goduti dai viceré partenopei tra Sei e primo Settecento: Nel giorno poi de’ 7. vennero le Maestà Loro invitate dal Real Gran-Duca sopra una delle sue Fregate sistenti nella nostra Rada, ed in essa trattate ma- gnificamente a lautissimo desinare insieme con tutta la Real Corte, e Seguito. Vennero Esse Maestà ricevute dalle AA.LL. sotto la triplica scarica dell’Artiglie- ria della Comandante, e delle altre Fregate di conserva, e nel partirne seguì lo stesso. Tanto le Maestà Loro, quanto le Reali Altezze sudette prima dell’imbru- nire in separate Gondole tutte illuminate vollero trasferirsi nella vicina riviera di Posillipo, seguitate da’ Bande musicali, e da tutti i Reali Bastimenti, usciti dal Porto sotto altra scarica del Cannone sudetto, e di quello delle nostre Regie Fortezze. Si trattenne colà l’Augusta Real Comitiva sino alla ore due in circa, e dopo avervi preso il divertimento della pesca, ed avere cenato a bordo della Gondola Reale, si restituirono verso le ore tre al Real Palazzo67. Gli spossanti impegni, tali che un’indisposizione di Maria Ca- rolina segnerà un breve arresto del loro turbinio, scompaginano il quotidiano della città che allibita assiste al continuo andirivie- ni delle vetture reali e spia quei momenti “pubblici” della nuova coppia reale. Un notevole dispendio di forze si ha nell’allestimento della Festa teatrale in musica conosciuta come Peleo e Tetide scrit- ta da Giambattista Basso Bassi e musicata da Giovanni Paisiello eseguita sia a palazzo che al Teatro di San Carlo con Luca Fabris (Peleo), Lucrezia Aguiari (Tetide), Anton Raaff (Giove), Giovanni To- schi (Giasone), Angelo Monanni detto Manzuolino (Apollo) e Giu- seppe Benigni (Imeneo) per la scena «mirabilmente architettata» di Antonio Joli e il coinvolgimento di «gladiatori e lottatori» diretti da Pietro Capone e ballerini sovrintesi da Giuseppe Salomoni68. Non 66 Relazione delli reali felicissimi sponsali. 67 Ibidem. 68 Per questo allestimento si rinvia a L. Tufano, «La speranza de’ regni». Celebrazione e spettacolo in tre ‘feste’ napoletane: Paisiello (1768), Jommelli (1772), Cafaro (1775), in A. Colturato, A. Merlotti (a cura di), La festa teatrale nel Settecento. Dalla corte di Vienna alle corti d’Italia, LIM, Lucca, 2011, pp. 301-321. da meno risulta l’Alessandro nelle Indie approntato dall’impresario Gaetano Grossatesta al San Carlo che affida il cesareo testo alle cure di Antonio Sacchini e alla compagnia composta da Giuseppe Afferri (Alessandro), Luca Fabris (Poro), Elisabetta Tauberg (Cleofide), Elena Fabris (Erissena), Angelo Monanni (Gandarte), Gerlando Speciali (Ti- magene); i battimenti sono organizzati dal «maestro di spada napole- tano» Capone e gli atti sono inframmezzati dai balli Cefalo ed Aurora e Ballo di contadini e lavandaie con coreografie di Onorato Viganò69: non può esprimersi il fasto, e la magnificenza con cui venne rappre- sentato, attesa la generale illuminazione del Proscenio, e di tutto l’Udito- rio, che per la copiosa quantità di lumi e de’ specchi, che in tutte le file stavano ripartiti così nelle facciate che nelle colonne de’ palchetti forma- vano un colpo d’occhio risplendentissimo70. 69 Cfr. C. Sartori, I libretti italiani cit., n. 804. Per la partitura si veda http://iccu01e.caspur.it/ms/internetCulturale.php?id=oai%3Awww.inter- netculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3AIT%5C%5CICCU%5C%5CM- SM%5C%5C0157945&teca=MagTeca+-+ICCU. 70 Relazione delli reali felicissimi sponsali. Si veda anche per un resoconto dei festeggiamenti il «Diario Ordinario», 29/VI/1768, n. 7957, notizia datata Firenze 18/ VI/1768: «Nel dì 31. Del caduto ebbero principio in Napoli le pubbliche solennissime feste con un veglione dato la sera medesima nella gran sala del Real palazzo, ove fu aperto il ballo dalle LL.MM., e Reali Gran-Duchi, che tutti insieme vi comparvero superbamente vestiti in maschera. | [il mercoledì] goderono l’altra festa di ballo, che fu rinnovata coll’istesso splendore della sera antecedente. | Nella mattina del Giovedì festività del Corpus Domini, […] le LL.MM. furono assistenti alla funzione del SSmo Sagramento […]. Nella sera poi si trovarono i quattro Regnanti al teatro di S. Carlo presenti alla rappresentazione del Dramma in musica intitolato l’Alessandro nell’Indie, che riuscì vaghissima non tanto per il merito dell’opera medesima, come per la disposizione, e quantità dei lumi, che si raddoppiavano nella molteplicità degli specchi. | Anche nelle due sere susseguenti stette aperto l’istesso teatro di S. Car- lo sempre coll’intervento dei sunnominati Sovrani, essendo nella prima reiterato il Dramma, e nell’altra sera rappresentata quell’istessa serenata copiosissima di stru- menti, e di voci, che era stata antecedentemente con molto piacere sentita in Corte. | Nella Domenica mattina fu esposta alla pubblica vista la gran Cuccagna: questa fu eretta nella piazza del Castelnuovo, e rappresentava una Fortezza con i suoi baluardi: nel piano si vedevano sparsi diversi animali vivi, ed il fossato, che la circondava era ripieno d’acqua, e di pesci. | Le LL.MM. […] vi si portarono sulla sera, e dopo averne esaminata la costruzione fu permesso al popolo l’assalto, e dipoi le medesime passa- rono al teatro suddetto per godere di nuovo la serenata. | Nella sera di Lunedì colla solita magnificenza fu rinnovata in Corte altra festa di ballo, e finalmente nel dì 7. i Reali Gran-Duchi, e le LL.MM. andarono a bordo dalla nave comandante Toscana, sulla quale l’A.S.R. diede alla MM.LL., e a diciassette delle più distinte Fame, che ebbero l’onore di trovarvisi, un delicatissimo non meno che suntuoso pranzo, dopo di che sul medesimo bastimento si portarono in giro, osservando tutta quella Baja, e la spiaggia di Posillipo, seguiti da barche, e galeotte di retroguardia, e salutati da tutte le navi Toscane, Napoletane, e dalle Fortezze». L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 6968 Le due partiture segnano l’avvio della ricca collezione musi- cale napoletana di Maria Carolina che con mirabile gesto donerà in gran parte al nascente archivio del Conservatorio della Pietà dei Turchini nel 1795 su sollecitazione di Saverio Mattei. Il sipario “uf- ficiale” sulle celebrazioni delle nozze Borbone-Asburgo si abbassa il 9 giugno con la pubblica Festa di ballo nel Gran Teatro di S. Carlo. Ammirata fu gene- ralmente la medesima non solo per la splendidezza, nella quale si vide l’in- tiero Teatro tutto adornato di Specchi, e Torcieri ripieni di copiosa quan- tità di lumi, e per la nobile magnifica scalinata, per la quale vi discesero ambedue le MM. Loro, e le […] Reali Altezze; ma per la più ricca risplen- dente Gala, in cui vi comparvero dando esse principio al Ballo, che venne seguitato da un indicibile numero di Cavalieri, e Dame, con ricchissimi abiti, e gioje, e che fu proseguito sino al far del giorno: nel mentre da un grandissimo numero di Maschere venne lo stesso praticato nel gran piano della Scena, che in tal occasione era attaccato a quello dell’Uditorio, for- mando insieme una sola sala, divisa soltanto da una ricca ben architettata balaustrata. […] Tanto la Gran sala, quanto i Palchi, ne’ quali vi fu della Nobiltà ancora, furono serviti di più sorti di squisitissimi rinfreschi, e con- fetture con esser durata la distribuzione a piacere di ognuno sino al far del giorno, essendo con ciò terminate le Reali publiche Feste71. Avrebbero potuto tirare un sospiro di sollievo le maestà se non iniziassero da «molti di quei primarj Signori […] negli appresso giorni grandiose feste»72, tra le quali «quelle, con cui li Ministri di Vienna e Spagna aveano disposto solennizzare il faustissimo avve- nimento»73, che si protraggono sino all’apertura della fiera annuale altrettanto impegnativa. Gli stessi ozi nelle residenze limitrofe non danno ristoro alla famiglia coronata in continuo movimento sul territorio e coinvolti in ospitalità mondane: e così sul palcoscenico della regalità, sgombro di quinte, sembra non calare mai il sipario “pietoso” foriero di riposo e riservatezza. 71 Ibidem. 72 «Diario Ordinario», 29/VI/1768, n. 7957, notizia datata Firenze 18/VI/1768. 73 Asn, Mae, fasc. 168, inc. Napoli 14/VI/1768, minuta del marchese Tanucci al conte Zambeccari. In Appendice si riporta la Narrazione delle Feste date in Napoli da S. E. Il Sig.r Conte Ernesto di Kaunitz Rittberg Ambasciatore straordinario delle LL. M. M. Imperiali, e Real Apostoliche & & In Celebrazione delle Reali Nozze delle LL. M.M. Ferdinando IV Re delle due Sicilie e Maria Carolina arciduchessa d’Austria. Appendice Hhsaw, Staatenabteilung Neapel, K. 8, cc. 249r-254r, 12/X/1768, Narrazione delle Feste date in Napoli da S. E. Il Sig.r Conte Ernesto di Kaunitz Rittberg Ambasciatore straordinario delle LL. M. M. Imperiali, e Real Apostoliche & & In Celebrazione delle Re- ali Nozze delle LL. M.M. Ferdinando IV Re delle due Sicilie e Maria Carolina arciduchessa d’Austria Nella comune esultanza per le faustissime nozze di S. M. Il Re delle due Sicilie Ferdinando IV di Borbone, con la Serenissima Ar- ciduchessa Maria Carolina d’Austria, Sua Eccellenza il Sig.r Conte di Kaunitz Rittberg Ambasciatore straordinario delle Loro Maestà Imperiali, e Real Apostoliche, ebbe ordine di festeggiare il felicis- simo avvenimento con publiche dimostrazioni di Giubilo, per cui si determinò di dare due gran festini alla Nobiltà, Uno in gala con cena, l’altro in maschera, decorate con la magnificenza conveniente ad una occasione cotanto luminosa, e scelto avendo a tal effetto il Palazzo del Sig.r Principe di Teora, situato alls Spiaggia della Marina di Chiaja verso Posilipo; Quivi per rendere più spazioso il luogo, vole, che nel contiguo Giardino inalzata fosse una gran Sala per il Ballo, che fu dato nelle due Sere delli 12, e 15. del mese di Giugno. Determinatosi dunque la prima festa il giorno 14, nello stesso Palazzo la mattina vi fu pranzo particolare, onorato dalla presenza di Sua Altezza Reale il Serenissimo Arciduca d’Austria Gran duca di Toscana. Terminata quindi la Tavola si die’ principio alla publica Festa, col gittare per rallegramento al Popolo ivi concorso moltissi- me medaglie d’argento, ed oro, che da una parte rappresentavano il Ritratto della Regina di Napoli coll’Iscrizzione M. CAROLINA AUST: FERDINANDO IV. UTR. SICILIAE REGI NUPTA, e nel roverso vedeasi un’ara, sulla quale vi erano le due Im- prese d’Austria, e Borbone annodate da Imeneo, e da Cupido, coll’in- scrizzione sopra. FORTIUS ALTERNIS NEXIBUS, Nell’esergo. Nuptiae Celebratae Vindob. Procuratore. Ferdinando. Arch: Aust: VII. Aprilis MDCCLXVIII. Il gettito delle quali fu fatto dalla Loggia della facciata nova del Palazzo, ch’era stata decorata con magnificenza. Cotesta facciata era lunga palmi 200. Napoletani in altezza di palmi 70. Di Seria Architettura d’ordine Ionico venne composta. Incominciava da un sodo basamento continuato di pietre dipinte a bugne, le quali ripartitamente sostenevano li piedestalli di Sedeci colonne tinte di giallo antico. Negli spazij fra le medesime, eranvi L’ammirazione dei popoli per l’ostensione della “virtuosa” Maria CarolinaPaologiovanni Maione 7170 disposti nove archi, dentro de’ quali venivano circoscritte, ed inclu- se altre tante finestre a Balconi. Un adornato Cornicione posava sulle predette Colonne, sovra del quale si ergevano, in proporzione corrispondente le balaustrate interrotte da molti piedistalli che so- stenevano Statue rappresentanti diverse virtù nel mezzo delle quali torreggiava l’impresa Imperiale della Casa d’Austria, con la quale rendevasi il compimento nella parte più eminente della facciata. Nelli due laterali confini, fra alcuni pilastri, che pareggiavono l’altezza delle colonne, vedeansi due medaglioni co’ ritratti di Ri- dolfo I. e primo Imperatore Austriaco. dalla opposta parte quello dell’Imperador Giuseppe II gloriosamente regnante. Nella nicchia sottoposta al primo Medaglione vedeasi il simulacro di Marte, Sotto il Secondo quello di Pallade era rappresentato. Finalmente nell’arco maggiore in mezzo la facciata corispon- dente sulla Loggia. Si vedea un altro adornato medaglione suste- nuto da due fame alate, e sedenti sovra il frontespizio del finestro- ne, nel quale si scorgeva la pace, e la giustizia abbracciate insieme. Tutta quest’opera fu illuminata le Sere delle feste con cin- quanta una torcie di Cera, e seimila cinquecento, e più lampade grandi di Christallo con olio ardente disposte in delicamento di tutte le parti dell’Architettura. Quindi nell’ingresso del Palazzo, che corrispondeva sotto la Loggia furono situati dei Cavalieri, li quali ricevevanontutte le Dame convitate, e dal loro istesso vagamen- to dipinti, ed illuminato da molte Torcie, come di pitture, e torcie adornata vedeasi la Scala maggiore, che soltanto ascendea all’ri- piano nobile del Palazzo. Era questo composto di due lunghe Gallerie, e diecisette altre Camere, nelle quali furono situate le Tavole decorate tutte diversa- mente da desserti, e capaci da seicento, e più coperti, per la Cena data alla Nobiltà, dopo avere saltato nella gran sala del ballo. Fu questa costruita, come si è descritto dentro il Giardino, ed inalzata sopra ventiquattro Pilastri di fabrica al piano dell’Appar- tamento. Cotesta Sala, o Galleria comprendea l’ambito di palmi 142 in Lunghezza per 83 di Larghezza: Li due Lati paralleli si univano agl’estremi con due semicircoli perfetti, alla guisa di Circo Antico. Si stimò dedicarla a tutte le scienze, e virtù. Simboleggiate co’ si- mulacri di rilievo quasi fossero stati scolpiti in marmo di Carrara di Apollo con Lira aurata nelle mani coronato di Alloro, e la nova Muse figlie di Giove, disposte intorno con Simetria: Essendo ognu- na sovra bizzarro piedistallo. L’ogetto concludente, ricoperto da no- bil argento Padiglione, in mezzo alle dieci circondarie arcate della Sala arricchite nei sessi alternativamente con festoni pendenti di fiori naturali, e di allori e fiori indorati. Le predette arcate erano sostenute da altretante Colonne isolate d’ordine composito, e sulle pareti intorno vi eran dipinte le medesime raddoppiate Colonne con le quali veniva campeggiata la forma di un adornatissimo an- fiteatro o Circo. La platea, o sia l’arena del Ballo, le dette Colonne in isola cir- coscrivevano, e presso i piedistalli s’inalzavano intorno sei ordini di Comodi sedili, ove la Nobiltà, salire per riposare, discendere, o vedere potea a bel agio. Stante da ognun de lati eranvi costruite tre gradinate, ad uso degl’antichi vomitorij, e per di sotto corrispon- denti Coridori, che conducevano a capo a piè della Sala, senza recare interrompimento al Ballo. E quindi avanti a tutti gl’ordini dei Sedili vi era ampiezza sufficiente, per la quale i Paggi potean servire dei Sorbetti, che incominciarono a dispensarsi alle Dame, e Cavalieri anche prima dell’apertura del Ballo. Nelli due Estremi della sala sopra gli spaziosi ingressi vi eran disposte due orchestre, che contenevano Cinquanta, e più Sonato- ri per Cadauna, e questi comparvero con uniforme rosso arricchito di gallone d’argento con Cappelli bordato, e sollevate piume bian- che, e nere, con che si accrebbe notabil vaghezza alla festa, senza togliere loro alli Convitati. Gli adornamenti delle Colonne furon tutti posti a oro unita- mente cogl’architravati cornicioni, che le coronavano. Sopra le vol- te minori circondarie della maggiore, che coprivano li Sedili, eran- vi disposti amplissimi sfogatoij occultati con arte, che produssero piacevole la dimora della Galleria alla numerosa Nobiltà, che tutta la riempiva quantunque s’incontrassero le più calde Serate della estiva staggione. Quindi sulla terza parte delle medesime Isolate Colonne, con riflessione formate svelse più del consueto, perche spiralmente eravi, a due ordini opposti, fasciate con festoni di fiori naturali, ed altro di allori, e palme indorati. E perche vi si applicarono intorno ad ogn’una diecisette Cornocopij, con bizzarra novità, i quali uniti agl’altri cornocopij situati ne piedistalli sotto le dieci Statue, ed alli pilastri corrispondenti, con li quarant’uno Lampadarij di Cristallo, restò compiuto il numero di mille duecento cinquanta lumi, che resero chiarissima luce alla Sala. Tralasciando di descrivere quelli Il confessore della reginaElisa Novi Chavarria 7776 ve: «parler au confesseur, aller au sermon»1. Il confessore, cui fa cenno, era all’epoca monsignor Anton Bernhard Gürther con cui Maria Carolina a quella data aveva oramai consolidato una lunga pratica e confidenza. Nato a Falknov, in Boemia, il 13 maggio 1726, Gürther aveva studiato musica e teologia nel seminario di S. Venceslao di Praga. Da lì si era trasferito a Vienna dove si fece subito notare per le sue spiccate doti, la versatilità nelle lingue e la frequentazione dei circoli dell’anticurialismo locale, capacità e comportamenti che gli valsero la nomina a canonico della cattedrale nel 17652. A Napoli era arrivato con la giovane regina sposa di Ferdinando IV nel mag- gio del 1768, insieme a una piccola corte di gentiluomini e dame austriache come richiedeva l’etichetta, insignito del ruolo, affida- togli dall’imperatrice Maria Teresa in persona, di suo confessore3. Inviso al Tanucci, che cercò in ogni modo che le persone de- stinate al servizio della regina fossero scelte con cura per imporre quelle di sua personale fiducia4, Gürther attirò su di sé sin da subito e, anzi, prima ancora di fare la sua apparizione a corte, molte delle opinioni negative che in seguito sarebbero gravate su Maria Caroli- na. Il 2 febbraio del 1768, prima del suo arrivo a Napoli con la regi- na, Tanucci scriveva di lui a Carlo III, da Caserta, in questi termini: La scelta del confessore della futura regina nella persona del prete secolare canonico Antonio Burcardo Gürther [sic!] non è … piaciuta … Si dice di dottrina sufficiente, fornito di maniere pulite, e pratico delle corti. Questo carattere quadra mirabilmente con quel gesuitismo, dal quale si sa, che non aborrisce la corte di Vienna5. Abbreviazioni utilizzate: Asn: Archivio di Stato di Napoli; Asdn: Archivio Stori- co Diocesano di Napoli. 1 C. Recca, Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014, p. 344. 2 W.W. Davis, Joseph II: an Imperial Reformer for the Austrian Netherlands, Martinus Nijhoff, The Hague, 1974, pp. 85-89. 3 L. Tresoldi, La biblioteca privata di Maria Carolina: cenni storici, Bulzoni, Roma, 1972, p. 12. 4 Cfr. B. Tanucci, Epistolario, 1768, a cura e con Introduzione di M.C. Ferrari, vol. XX, Società Napoletana di Storia Patria, Napoli, 2003, p. XXVI. Tanucci aveva avanzato, in particolare, in quella circostanza, i nomi di Carlo de Ciocchis, membro della Giunta degli Abusi, Giuseppe Simioli canonico filo-giansenista e Ignazio della Croce. Cfr. N. Capece Galeota, Cenni storici sul clero della Real Cappella Palatina di Napoli, Tip. Vico Donnaromita, Napoli, 1854, p. 131. 5 R. Mincuzzi (a cura di), Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759- 1776). Regesti, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, Roma, 1969, p. 427. Le accuse di “gesuitismo” erano con tutta evidenza solo una insinuazione infondata e pretestuosa. Proprio intorno agli anni Sessanta del Settecento la presenza tradizionale dei gesuiti quali confessori della famiglia imperiale era stata sostituita, infatti, al- meno in parte, con confessori giansenisti6 e il Gürther stesso, come vedremo, fu molto più vicino agli ambienti del rigorismo gianseni- sta che a quelli gesuitici. Quello che doveva risultare veramente sgradito e imbarazzante agli occhi dell’anziano plenipotenziario era l’evidente slittamento da Madrid verso Vienna degli equilibri della corte napoletana che sarebbe conseguito dalla presenza dell’entou- rage di origine austriaca di Maria Carolina. Nonostante le rimostranze di Tanucci, i suoi tentativi di sostituir- ne il nome con altri di suo gradimento, Gürther rimase saldamente al timone della coscienza della regina fino alla morte, avvenuta a Roma nel 1791. Ci fu invero una breve parentesi quando, nel 1775, a Napoli circolò voce che Gürther stesse per essere rimosso dal suo incarico, richiamato a Vienna da Maria Teresa. Col suo consuetudinario tem- pismo Tanucci ne scrive al re in Spagna il 4 aprile, dicendo: […] il cardinale Migazzi aveva portato l’ordine dell’imperatrice a que- sto confessore della regina di tornarsene a Vienna. Aggiunse il re, che dispiaceva questo alla regina, ma che in vano aveva scritto alla madre im- plorando la sospensione, laonde che aveva risoluto di obbedire, e offeriva al re che prenderebbe per suo confessore il cappellan della cappella reale don Gennaro Cancellieri7. La notizia rimbalzava anche fuori Napoli e sui giornali, tanto che da Vienna veniva riportato nella Gazzetta Universale che il con- fessore della regina di Napoli aveva presentato domanda di congedo per tornarsene in patria, con una pensione di 6.000 fiorini sul De- canato del Capitolo della cattedrale di Praga e il suo posto sarebbe stato preso dal vescovo di Gallipoli, il padre agostiniano Agostino Gervasio8. 6 Per questo si veda M. Rosa, Settecento religioso. Politica della Ragione e reli- gione del cuore, Marsilio, Venezia, 1999, pp. 75 sgg. 7 R. Mincuzzi (a cura di), Lettere di Bernardo Tanucci cit., p. 956. 8 Gazzetta Universale, o sieno Notizie istoriche, politiche, di scienze, arti, agri- coltura, ec., 1775, vol. II, p. 355, on-line sul sito https://play.google.com/store/ books/details?id=lgOtOrKRnUkC&rdid=book-lgOtOrKRnUkC&rdot=1 (data con- sultazione: 18 gennaio 2016). Il confessore della reginaElisa Novi Chavarria 7978 Notizie, come dicevamo, infondate o comunque soltanto ipotiz- zate. Né Cancellieri, «un buon sacerdote a celebrar la messa, [ma] di temperamento facile e molle», come diceva di lui Tanucci nella medesima lettera a Carlo III, né Gervasio, che sarà poi vescovo di Capua e Cappellano maggiore del Regno nel 17979, sostituiranno mai il Gürther. Egli si conquistò, anzi, uno spazio sempre maggio- re a corte, rafforzando col tempo il suo ruolo anche politico sia a livello istituzionale, finendo con l’affiancare di fatto il Cappellano maggiore del Regno in molti dei suoi compiti, sia a livello informale, nella regolamentazione del cerimoniale di corte, oltre che in molte pratiche della mediazione culturale tra Napoli e Vienna. Soprattut- to Gürther rimase il direttore incontrastato della coscienza della regina per ben ventitré anni. Nessun altro come lui, forse, ebbe altrettanto accesso alla sfera più intima del suo cuore, guidan- done la meditazione e il lavoro d’introspezione, anche se ella pro- babilmente disattese, andando avanti con l’età e con l’esperienza, – almeno stando alle note del suo stesso diario – quanto le aveva consigliato sua madre circa i tempi della confessione. Finché aveva vissuto a Vienna, alla corte imperiale, Maria Carolina aveva avu- to colloquio col suo confessore per almeno mezz’ora al giorno. È quanto consigliava sua madre, l’imperatrice Maria Teresa, in una lettera del 1767 alla marchesa d’Herzelles istitutrice della nipote Teresa, figlia di suo figlio Giuseppe, il futuro imperatore, e di Isa- bella di Parma, prescrivendo per l’appunto alla bambina, dopo la ricreazione delle 11.00, «mezz’ora col canonico Gürtler (confessore dell’arciduchessa), poi libertà fino a mezzogiorno»10. Il rigido codice comportamentale suggerito dall’imperatrice a Maria Carolina, in particolare, al momento di lasciare Vienna per il suo nuovo ruolo regale a Napoli, prevedeva oltre gli obblighi dinastici e le indica- zioni su come sviluppare una propria personale linea politica, an- che l’esortazione a seguire sempre «con perfetta sottomissione gli avvertimenti e i consigli» del confessore, senza nascondergli nulla di quello che riguardava la propria coscienza, ma senza neanche metterlo a parte degli affari di stato o della propria vita privata. 9 Sul Gervasio si veda A.S. Romano, I vescovi di Terra di Lavoro e la conserva- zione degli archivi parrocchiali nel Mezzogiorno preunitario, «Quærite», III/1 (2012), pp. 211-231, e in particolare p. 215. 10 C. Cantù, Isabella di Parma, in Italiani illustri, Gaetano Brigola e Comp., Milano, 1870³, vol. II, pp. 619- 641. Scrupolose raccomandazioni erano destinate tra l’altro a ricordare alla figlia i tempi e le modalità della confessione, da praticare a Pasqua e almeno una volta al mese11. Maria Carolina non deluse mai i consigli della madre, anche se forse non ottemperò all’obbligo della confessione con la frequenza che le era stata raccomandata da bambina. Nelle pagine del suo Journal personale, che copre, seppure con diverse interruzioni, gli anni dal 1781 al 1785, ella annota più volte i colloqui avuti con il confessore, che avvenivano spesso di sera, nelle sue stanze, e a cui si preparava con cura, ma tali annotazioni non ricorrono con quella regolarità che le era stata suggerita da sua madre12. Pure ella non dimentica di riportare l’adempienza di altri obblighi religiosi: la par- tecipazione alla messa, la frequenza alle devozioni delle Quaranta ore e del Rosario. È noto anche quanto si fosse bene o male unifor- mata ad altre forme proprie della religiosità napoletana, richiaman- do a palazzo carismatici e servi di Dio la cui fama taumaturgica era in quegli anni nota in città. Circolò voce, per esempio, che si fosse ri- volta alla intercessione della bizzoca Isabella Milone per avere un fi- glio maschio e alla nascita di ciascun infante volle che fosse sempre presente il frate alcantarino Michelangelo di San Francesco, anche lui ben presto assurto in città, come la Milone, in odore di santità13. Sia lei che il sovrano furono tra l’altro devoti del frate domenicano Gregorio Rocco, “l’idolo delle plebi” come fu soprannominato, e di cui patrocinarono l’erezione di una nuova statua all’indomani dei fatti del 179914. Ma nello stile scarno e serrato, senza commenti e con notazioni ridotte al minimo e rivolte per lo più a riprodurre la scansione cronologica delle attività quotidiane, che le furono proprie 11 A. Frugoni (a cura di), Maria Teresa d’Austria. Consigli matrimoniali alle figlie sovrane, Passigli, Firenze, 1989, pp. 51 sgg. Su Maria Teresa e la sua conce- zione matriarcale del potere si rinvia a J.-P. Bled, Maria Teresa d’Austria, il Mulino, Bologna, 2003. 12 Se ne vedano degli esempi in C. Recca, Sentimenti e politica cit., pp. 105, 118, 169, 186, 195, 199, 243, 260, 273, 305, 312, 322, 325, 339, 352, 353. 13 Cfr. P. Palmieri, I taumaturghi della società. Santi e potere politico nel secolo dei Lumi, Viella, Roma, 2010, pp. 103, 228, 247. 14 Se ne veda la testimonianza riportata da P. degli Onofri, Elogj storici di alcuni servi di Dio che vissero in questi ultimi tempi e si adoperarono pel bene spirituale e temporale della città di Napoli, tip. Pergeriana, Napoli, 1803, pp. 259-269. Sull’a- zione pastorale di padre Rocco e la sua influenza alla corte dei Borbone si rinvia a E. Novi Chavarria, Francesco De Geronimo e Gregorio Rocco, in Ead., Il governo delle anime. Azione pastorale, predicazione e missioni nel Mezzogiorno d’Italia. Secoli XVI-XVIII, Editoriale Scientifica, Napoli, 2001, pp. 269-290. Il confessore della reginaElisa Novi Chavarria 8180 nella scrittura diaristica, Maria Carolina riservò solo semplici note – «voire mon confesseur, me confesser, je me confesois» – alla presen- za del confessore e alla propria pratica sacramentale15. Tale constatazione non riduce comunque la portata dell’ascen- dente che Gürther ebbe su di lei e del potere che questi maturò via via a corte e con lui il partito austriaco di Maria Carolina. All’epoca se ne aveva pressoché unanime contezza. L’ambasciatore veneto Gasparo Soderini, per esempio, nel 1781 riferiva in proposito che il confessore e qualche dama tedesca del seguito della regina erano gli unici a poter «far degl’effetti sopra di lei»16. Due anni prima lo stesso Soderini aveva informato il Senato veneto di come i due con- fessori di Ferdinando e Maria Carolina affiancassero oramai il Cap- pellano maggiore del Regno in questioni delicate come le dispense matrimoniali e gli esami dei candidati a reggere la mitra episcopale nelle diocesi di patronato reale17. Era questa una opinione condivisa da molti e non si limitava agli affari ecclesiastici. Se Maria Carolina fu, come è stato detto, la vera protagonista della politica estera del Regno e del suo riposizionamen- to nel quadro dei nuovi equilibri europei, è indubbio che ella trovasse nel suo confessore, e negli altri membri di origine austriaca della sua corte, i più validi confidenti e fiancheggiatori di tale linea politica. 2. Uno sguardo alla storiografia La storiografia ha da tempo messo in rilievo il ruolo che i con- fessori reali ebbero nella vita politica e negli ambienti cortigiani dell’Europa di antico regime. La particolare vicinanza del confesso- re, quasi sempre appartenente a un Ordine religioso, alla sfera più intima della coscienza del re faceva di lui un elemento di straordi- naria importanza negli equilibri cortigiani. Rassegne di studi più o meno recenti e nuove ricerche ne hanno sottolineato la commistio- ne tra politica e religione in quanto figure vicine come poche altre ai centri del potere e agenti delle decisioni politiche sia per profi- 15 Sulla dimensione pubblica e privata del Diario di Maria Carolina si rinvia alla bella Introduzione di C. Recca, Sentimenti e politica cit., pp. 13-68. 16 Cfr. M. Fassina (a cura di), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napo- li. Relazioni, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1992, p. 239. 17 M. Valentini (a cura di), Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 1992, vol. XXI, p. 115. lo istituzionale, sia come direttori di coscienza18. E non si tratta, come altre volte pure ci è capitato di dovere osservare a proposito di certa retorica sul “nuovismo” storiografico a tutti costi19, di un tema per l’appunto del tutto “nuovo”, per quanto spesso c’è chi invochi la “parzialità” o le carenze metodologiche e contenutistiche con cui sarebbe stato finora affrontato. In realtà proprio al tema dei confessori della famiglia reale bor- bonica già Romeo De Maio aveva dedicato un intero paragrafo nel suo libro del 197120 e, a riprova della rilevanza politica del ruolo del confessore dei sovrani, non mancavano di farvi riferimento, fornen- do anche molte preziose notizie, anche molti repertori storico-giu- ridici sette-ottocenteschi21. È comunque altrettanto indubbio che, in anni più recenti, l’attenzione su questo tema si sia decisamente ravvivata e arricchita di nuova linfa grazie agli studi sulla sacra- lizzazione del potere, sulla corte e alla nuova storia diplomatica, che hanno consentito un deciso ampliamento di prospettive. Ne è emerso, con tutta evidenza, l’inestricabile intreccio tra le ragioni della politica e le ragioni religiose e teologiche che condizionavano la concezione e le pratiche della sovranità e il formidabile ascen- dente che i confessori reali potevano esercitare sia come sue guide spirituali che come consiglieri politici. Di essi sono stati ricostruiti svariati profili, che ne hanno delineato le origini, per lo più pros- sime alle famiglie delle élites sociali e politiche, e le appartenenze ai diversi Ordini religiosi – che nei secoli XVI e XVII furono preva- 18 Cfr., per esempio, F. Rurale, Introduzione a Id. (a cura di), I religiosi a Corte: teologia, politica e diplomazia in antico regime, Bulzoni, Roma, 1998, pp. 9-50; Id., Ordini religiosi e politica nelle corti italiane del XVII secolo: la teoria, le pratiche, in J. Martínez Millán, M. Rivero Rodríguez, G. Versteegen (a cura di), La corte en Europa: Política y Religión (siglos XVI-XVIII), Polifemo, Madrid, 2012, vol. I, pp. 9-34; G. Mi- nois, Le confesseur du roi. Les directeurs de conscience sous la monarchie française, Fayard, Paris, 1988 e, da ultimo, E. Novi Chavarria, Servizio regio e dignità eccle- siastiche nel governo della Monarchia Universale. Note introduttive, in Ead. (a cura di), Ecclesiastici al servizio del Re tra Italia e Spagna (secc. XVI-XVII), «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 2 (2015), pp. 7-24. 19 Lo notavamo, ad esempio, nel nostro Controllo delle coscienze e organiz- zazione ecclesiastica nel contesto sociale, in F. Chacon, M.A. Visceglia, G. Murgia, G. Tore (a cura di), Spagna e Italia in Età moderna: storiografie a confronto, Viella, Roma, 2009, pp. 305-325. 20 R. De Maio, I confessori della famiglia reale e gli organi di politica ecclesia- stica, in Id., Società e vita religiosa a Napoli nell’età moderna, Esi, Napoli, 1971, pp. 252-260. 21 Si veda, per esempio, L. Guarini, Catalogo de’ Cappellani Maggiori del Regno di Napoli e de’ confessori delle persone reali, Angelo Coda, Napoli, 1819, pp. 130-149. Il confessore della reginaElisa Novi Chavarria 8786 Gli successe Tommaso Gottecher, un frate agostiniano nato a Napoli nel 1776, di stanza nel convento di S. Maria della Consola- zione di Palermo nel periodo in cui la corte borbonica vi si trasferì in fuga dagli avvenimenti rivoluzionari di Napoli e anche lui, come il Münst, cappellano di un contingente militare prima di essere chiamato a dirigere la coscienza della regina. Come suo confessore dal 1812, la seguì anche da Palermo a Vienna, per fare poi defini- tivamente ritorno a Palermo quando ella morì. Dei tre confessori di Maria Carolina che a Napoli si avvicendarono in quel ruolo fu, comunque, senz’altro il Gürther colui che ebbe mag- giore influenza sia a corte, sia più in generale nella vita politica, reli- giosa e culturale del Regno delle Due Sicilie. Nel corso della sua lunga carriera, via via che la regina rafforzava il proprio potere personale riuscendo a imporre una propria e autonoma linea politica al governo del Paese, Gürther accumulò cariche, prebende e benefici, si costruì una propria rete di relazioni transnazionali tra i poli di Napoli, Paler- mo, Catania e Vienna, patrocinò le carriere di amici e congiunti sia nativi del Regno che oriundi, affermando sempre più la sua immagine pubblica di colto mecenate di letterati e teologi, oltre che di raffinato collezionista di antichità e protagonista attivo della politica culturale dei Borbone e della linea anticurialista di quella corte. Seguiamolo allora tappa per tappa. Cinque anni dopo il suo arrivo a Napoli, il 29 giugno del 1773, Gürther fu consacrato vescovo di Thiene40. Dal 1779 cominciò ad affiancare, insieme al confessore del re e ad altri due vescovi, il Cappellano Maggiore del Regno nell’esame dei requisiti prelimina- re alla nomina dei vescovi nelle diocesi di patronato regio41. Il 29 dicembre 1781 il re gli concedeva la cittadinanza napoletana, con l’esplicita motivazione «che la Maestà Sua si dichiara soddisfatta dello zelo con cui egli esercita il sagro ministero di direttore e con- fessore di Sua Maestà la Regina»42. È appena il caso di sottolineare come tutto questo avvenisse in concomitanza con il rafforzamento al governo del ruolo di Maria Carolina stessa che, nel 1775, con la nascita del primo figlio maschio, sulla base degli accordi stipulati 40 Per l’occasione gli fu dedicato Per la promozione di Monsignor D. Antonio Gürtler Coadjutore della Prepositura di Wischeraden in Boemia, e Confessore di S. M. la Regina delle Due Sicilie al Vescovado titolare di Tiene. Componimento anacreonti- co, Fratelli Raimondi, Napoli, 1773. 41 Cfr. Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci, cit., vol. XXI, pp. 115, 120 sgg. 42 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 452, c. 281r. nel contratto matrimoniale e fortemente voluti da Maria Teresa, aveva ottenuto il riconoscimento legale del diritto di presenza e voto deliberativo nel Consiglio di Stato43. Negli stessi anni Gürther diventa anche l’arbitro dell’organiz- zazione del cerimoniale religioso della regina. L’8 luglio del 1776, in occasione della sua visita in cattedrale con tutta la famiglia reale per il giubileo, fu il confessore a dare istruzioni al maestro cerimoniere, facendo arrivare direttamente dal palazzo reale delle sedie di paglia e dei piccoli cuscini di lana, che presero il posto del sontuoso tappeto e delle sedie di velluto che i cerimonieri della cattedrale avrebbero voluto predisporre. Fu il suo un gesto d’indipendenza anticuriale che forniva un chiaro segnale di mutamento di rotta, in chiave rigo- rista e muratoriana rispetto alla pomposità propria della pietà tardo barocca ancora diffusa a Napoli. La mossa del Gürther lasciò, infat- ti, alquanto disorientati gli ambienti curiali napoletani che accusa- rono il colpo non mancando di osservare, con un certo disappunto, che «fu di somma edificazione del popolo detto atto di umiltà»44. Da allora Gürther assunse un ruolo sempre più predominante nel cerimoniale religioso cittadino e nelle alte sfere della curia napole- tana, con un movimento di sponda rispetto alle esigenze più bellicose della politica ecclesiastica borbonica e del suo riformismo religioso. Nel gennaio del 1781 celebrò i funerali dell’imperatrice Maria Teresa, madre della regina Maria Carolina45. Il 19 aprile del 1781, Gürther presenziò, sempre a Napoli, la cerimonia per la consacrazione della chiesa dell’Annunziata, riaperta al culto dopo i lavori di restauro che si erano resi necessari a causa dei danni provocati da un incendio e anche questa volta scelse una cerimonia sobria e rigorosa46. Il 14 febbraio del 1790 inaugurò il triduo, concluso poi dall’arcivescovo Ca- pece Zurlo, per la riapertura della chiesa del Gesù, che dopo l’espul- sione dell’Ordine era stata affidata ai frati riformati di S. Francesco47. 43 Per questo si veda E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline von Neapel, Verlag F. Bruckmann, München, 1950, pp. 96 sgg. 44 La notizia è stata reperita in Asdn, Diario dei Cerimonieri, 19, I parte, ff. 153-154. 45 G. Finamore, In morte di Maria Teresa Walburga … Orazione, Bernardo Per- ger, Napoli, 1781, p. 3. 46 Cfr. L. Del Pozzo, Cronaca civile e militare delle Due Sicilie sotto la dinastia Borbonica, Stamperia Reale, Napoli, 1857, p. 115. 47 C. Celano, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli … Quarta edizione in cui si è aggiunto tutto ciò che di nuovo si è fatto in Napoli ne’ nostri tempi …, Giornata terza, Salvatore Palermo, Napoli, 1792, pp. 50 sgg. Il confessore della reginaElisa Novi Chavarria 8988 L’acquisizione della naturalizzazione nei due Regni nel dicem- bre 1781 aveva costituito per Gürther il preludio necessario a un ulteriore avanzamento della sua posizione. Di lì a poco quel rico- noscimento, infatti, nel gennaio del 1782, egli ottenne l’investitura della titolarità della badia di San Bartolomeo in Galdo, un antico feudo ecclesiastico sito nel beneventano, passato agli inizi del se- colo XVIII dalla titolarità del vescovo di Volturara a quella dei Ge- suiti e devoluto alla Corona dopo la loro espulsione dal Regno, che al Gürther garantì una rendita di almeno 4.500 ducati l’anno48. Gürther vi promosse una attenta gestione e valorizzazione dei beni che vi erano annessi, grazie a una previa operazione di riordino amministrativo e recupero di antichi crediti e diritti caduti in di- suso che egli affidò ai suoi legali49. Istituì un monte di maritaggi per le fanciulle povere del luogo; contribuì finanziariamente all’a- pertura di un seminario e si fece apprezzare per tutta una serie di iniziative nel campo dell’assistenza pastorale e della istruzione ed educazione dei ceti popolari locali. Dette lustro all’intero territorio e al proprio casato facendo costruire nel 1791 una fontana nella piazza principale del paese, grazie anche a un piano di riqualifica- zione urbanistica complessiva dell’intero centro abitato50. Proprio in quegli anni, quando la riforma giansenista era all’apice della sua diffusione nella penisola, l’abate Francesco Longano poteva così additarlo a modello dell’episcopato riformatore colto51. Intanto, la maglia delle concessioni regie a suo favore si allar- gava fino a comprendere l’esenzione da alcuni diritti della Corona gravanti sulla suddetta badia52 e la remissione dall’accusa di aver 48 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 453, c. 58r.; 475, cc. 97v-98v. Sul feudo di San Bartolomeo in Galdo cfr. L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, Napoli, 1797-1816, vol. VIII, pp. 120-129. Per un orientamento com- plessivo sulla feudalità ecclesiastica nel Regno di Napoli si rinvia a E. Novi Chavarria, I feudi ecclesiastici nel Regno di Napoli: spazi, confini e dimensioni, secoli XV-XVIII, in M.A. Noto, A. Musi (a cura di), Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell’Italia meridionale, Associazione Mediterranea, Palermo, 2011, pp. 353-386. 49 Ve n’è traccia documentaria in Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Di- spacci, 492, cc. 203v-204v. 50 Cfr. F. Morrone, S. Bartolomeo in Galdo: immunità, franchigie, libertà statuti, Arte Tipografica, Napoli, 1994. Sull’apporto delle autorità ecclesiastiche nella ricon- figurazione degli spazi urbani si rinvia a V. Fiorelli, «Superbi palaggi»: il contributo dei governi diocesani alla costruzione delle identità cittadine nella Campania moderna, in A. Musi (a cura di), Le dimore signorili nel Regno di Napoli: l’età spagnola, Libre- riauniversitaria.it, Salerno, 2014, pp. 229-240. 51 Cfr. P. Stella, Il giansenismo in Italia, II, Il movimento giansenista e la produ- zione libraria, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2006, p. 253. 52 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 475, c. 271r. contravvenuto le regole in materia di rilascio del regio exequatur53, molto più di quanto contemporaneamente si concedeva al suo omo- logo, confessore del re e vescovo di Alife, monsignore Filippo Sanse- verino54. Nel 1785 Gürther fu insignito, tra l’altro, di un secondo be- neficio, quello dell’abbazia di Mirabella che assicurava una rendita annuale di 1.700 ducati. A ridosso, come puntualmente commenta- va l’ambasciatore veneto riportandone la notizia al Senato, vi erano le solite pressioni esercitate da Maria Carolina sul sovrano, «l’efficaci raccomandazioni della Maestà della regina – come egli scrisse –, ten- denti a procurare al confessore medesimo un compenso»55. L’influenza di Gürther era a quella data decisamente decol- lata. Essa si diffondeva oramai ben al di là delle stanze di Maria Carolina o all’interno della corte per irradiarsi in un network di pratiche e relazioni estese nei circoli giansenisti e massonici tra Italia e Austria. Fu Gürther, per dirne una, a introdurre a corte, nel 1774, il teatino tedesco Joseph Sterzinger e fu grazie alla sua mediazione che Maria Carolina ne propose il nome alla Giunta di Educazione per il posto di bibliotecario alla Biblioteca Regia di Pa- lermo. Sterzinger vi si insediò nel 1778 e da allora si affermò tra i protagonisti della vita culturale palermitana e punto di riferimento della politica borbonica nell’Isola nel delicato settore bibliotecario e censorio. Con Gürther Sterzinger mantenne relazioni costanti tan- to da recarsi in visita alla badia di San Bartolomeo in Galdo, nel 1782, quando questi ne prese possesso e c’è da immaginare che il confessore della Regina non gli abbia lesinato collaborazione e consigli per la costituzione della Biblioteca palermitana56. Fu Gürther senz’altro ad agevolare la carriera ecclesiastica di un suo nipote sacerdote, che le fonti napoletane indicano col nome naturalizzato di Giuseppe Gurtler e a cui Ferdinando IV nell’ot- tobre del 1785 conferì, tra gli altri, il beneficio della cappellania laicale di S. Rosalia ad Altamura57. Ma soprattutto Gürther, noto per i suoi studi teologici e cultore di quelli classici, appassionato d’arte e di antichità, frequentatore, come pure si è detto, della loggia massonica napoletana, divenne a Napoli tra la metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta del se- 53 Ivi, 455, c. 199v. 54 Per un esempio si veda ivi, 358, c. 10r. 55 Corrispondenze diplomatiche veneziane da Napoli. Dispacci cit., vol. XXI, p. 266. 56 N. Cusumano, Joseph Sterzinger Aufklärer teatino tra Innsbruck e Palermo (1746-1821), Associazione Mediterranea, Palermo, 2013, pp. 56 sgg. 57 Asn, Ministero degli Affari Ecclesiastici, Dispacci, 473, c. 272v. Il confessore della reginaElisa Novi Chavarria 9190 colo XVIII il punto di riferimento di molti scrittori di antiquaria ed erudizione, esponenti dei settori riformatori moderati, che gli de- dicarono le loro opere confidando sulle sue capacità di mediazione con il partito austriaco di Maria Carolina e sul clima anticurialista diffuso nella corte in quegli anni per accaparrarsene il patronage. È così che nel 1777 Emmanuele Campolongo, sacerdote e giurista, studioso di antichità classica, gli dedicò il suo Quaresimale, una raccolta di prediche volta ad affrancare i modelli della retorica da certe fissità barocche post-tridentine e, pertanto, alquanto in con- trotendenza rispetto al panorama della editoria religiosa napoleta- na di quegli anni58. Due anni dopo, nel 1779, Michele Stasi, l’edi- tore di Filangieri e protagonista attivo del rinnovamento culturale napoletano di quegli anni, pubblicava il libro Della Filosapria mo- derna, un’opera in difesa della religione minacciata dai libri “alla moda”, probabilmente del domenicano Domenico Cocenti, pure a lui indirizzata59. Nel 1782 era la volta di Giovanni Agostino De Co- smi che gli dedicava i suoi Discorsi di sacro argomento60. Canonico della cattedrale di Catania e incaricato della direzione spirituale del Seminario della stessa città etnea, De Cosmi aveva collaborato col vescovo Salvatore Ventimiglia, erudito filo-giansenista e masso- ne, al rinnovamento culturale e degli studi universitari della città dopo l’espulsione dei Gesuiti. Nel ’79 il Governo gli aveva affidato il compito di redigere un piano di riforma per la regia università in cui grande spazio egli riservò alle scienze applicate. In seguito ebbe l’incarico di direttore generale della riforma delle scuole e fino alla fine dei suoi giorni non smise mai di occuparsi dei problemi della organizzazione culturale in Sicilia61. Come lui un altro protagonista 58 E. Campolongo, Il peccator convinto. Quaresimale composto per esercizio ret- torico, dedicato all’Ill.mo e Reverendiss. Monsignor D. Antonio Gurtler, vescovo di Tie- ne, Giuseppe Campo, Napoli, 1777. Sulla editoria religiosa napoletana del Settecen- to rinvio a E. Novi Chavarria, Il governo delle anime. Azione pastorale, predicazioni e missioni nel Mezzogiorno d’Italia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2001, pp. 313-333. 59 Della Filosapria moderna. Dissertazione critico-eclettica, Michele Stasi, Na- poli, 1779. L’attribuzione al padre Cocenti è di G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, Giacomo Pirola, Milano, 1848, tom. I, p. 414. Sull’attività editoriale di Michele Stasi si veda F. Luise, Librai editori a Napoli nel XVIII secolo. Michele e Gabriele Stasi e il circolo filangieriano, Liguori, Napoli, 2001. 60 G.A. De Cosmi, Discorsi di sacro argomento, Stamperìa della Società Lette- raria e Tipografica, Napoli, 1782. 61 Cfr. G. Giarrizzo, G.A. De Cosmi, in Id., G. Torcellan, F. Venturi (a cura di), Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche repubbliche, dei ducati, dello Stato pontificio e delle isole, Ricciardi, Milano-Napoli, 1965, pp. 1079-1131. del riformismo napoletano indirizzò al Gürther un proprio libro, ovvero sia Nicola Valletta che gli dedicò nel 1787 la famosa Cica- lata sul fascino volgarmente detto jettatura, evidentemente indivi- duando in lui un saldo punto di riferimento nella lotta alle forme di pietà barocca e “superstiziosa”62. Allievo di Genovesi e Giuseppe Cirillo, professore, giureconsulto e avvocato,Valletta è noto soprat- tutto per il suo piano di riforma dell’Università di Napoli del 1792 che aboliva la facoltà teologica con un eguagliamento sostanziale delle discipline scientifiche a quelle della tradizione umanistica e mirava a dotare l’Università di un corpo insegnante numericamen- te adeguato e reclutato sulla base di competenze specifiche63. Ultimo nella rincorsa al patrocinio nelle lettere di monsignor Gürther fu Friedrick Münter, il vescovo danese che al confesso- re di Maria Carolina dedicò la sua traduzione in tedesco dell’Elo- gio storico di Gaetano Filangieri di Donato Tommasi, pubblicata a Innsbruck nel 179064. Giunto in Italia nel 1784 con una borsa di studio del Governo danese e come emissario dell’ordine degli Illu- minati, per conto dei quali cercò di organizzare una loggia a Napoli, Münter entrò in contatto col Tommasi, con Domenico Cirillo, Fi- langieri e Mario Pagano65. Si recò anche in Sicilia con l’intenzione di stringere contatti coi “fratelli” della “libera muratoria”66 e a Na- poli fu più volte ricevuto dalla stessa Maria Carolina67. 62 N. Valletta, Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura, Napoli, 1787. Sul- la trattatistica settecentesca e altro si veda G. Galasso, Dalla «fattura» alla «iettatura»: una svolta nella «religione superstiziosa» del Sud, in Id., L’altra Europa. Per un’antro- pologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Alfredo Guida, Napoli, 2009³, pp. 261-291. 63 Cfr. V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo. Le metamorfosi della ragione nel tardo Set- tecento italiano, Laterza, Roma-Bari, 2000², pp. 128 sgg; G. Galasso, La filosofia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento, Guida, Napoli, 1989, pp. 155 sgg. 64 F. Münter, Gedächtnisschrift auf den Ritter Gaetano Filangieri von D. Donato Tommasi, Benedict Friedrick Bavelsens, Inspach, 1790. Sulla fortuna dell’opera di Gaetano Filangieri in Austria si veda A. Trampus, Filangieri in Austria: la traduzione perduta della “Scienza della legislazione”, «Romische Historische Mitteilungen», 46 (2004), pp. 23-52 e Id., Linguaggi della politica e lessico costituzionale: Filangieri e i traduttori tedeschi, in Id (a cura di), Diritti e costituzione. L’opera di Gaetano Filan- gieri e la sua fortuna europea, il Mulino, Bologna, 2005, pp. 85-126. 65 Sul soggiorno napoletano di Münter, cfr. C. Francovich, Storia della massone- ria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia, Firenze, 1974, pp. 406-426 e A.M. Rao, La massoneria nel Regno di Napoli, in G.M. Cazzaniga (a cura di), Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, Einaudi, Torino, 2006, pp. 539-540. 66 Si veda G. Giarrizzo, Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento, Marsilio, Venezia, 1994. 67 Se ne trovano riferimenti nel suo diario, per cui cfr. C. Recca, Sentimenti e politica cit., pp. 335 sgg. Elisa Novi Chavarria96 Fig. 2 – (a) D. Cerulli, All’illustriss. e rev. monsignor Antonio Gürtler vescovo di Tiene confessore di S. M. la Regina delle due Sicilie sopra un’antica statua etrusca. Lettera, stamperia Simoniana, Napoli, 1777, p. n.n.; (b) Athena di Roccaspromonte, V secolo a.C. Wien, Kunsthistorisches Museum. Giuseppe Cirillo I NUOVI ASSETTI ISTITUZIONALI DEL REGNO DI NAPOLI NEL PERIODO DI MARIA CAROLINA E DI FERDINANDO IV Sommario: Il saggio esamina il rapporto instaurato tra i programmi riformatori di Giu- seppe Maria Galanti, elaborati negli ultimi decenni del Settecento, e la costruzione dello Stato moderno napoletano ad opera della Monarchia, dei principali tribunali regi napoletani e delle più importanti Segreterie di Stato. Un assetto istituzionale che vede: il protagonismo delle segreterie di stato; una funzione chiave del nuovo tribunale della Camera di S. Chiara che, con le sue consulte, sottrae funzioni agli altri tribunali regi; l’instaurazione dei nuovo diritto del re che porta alla nuova stagione dei “dispacci” ed al tramonto delle “prammatiche” (le leggi che ispiravano il diritto del Re- gno). Il nuovo assetto istituzionale, nel periodo delle Riforme, è tributario del modello spagnolo della “Nuova Pianta”, che viene positivamente recepito nel Regno di Napoli. Parole chiave: Istituzioni, Regno di Napoli, Maria Carolina, Ferdinando IV. new inStitutional Set-uPS in the Kingdom of naPleS during maria carolina and ferdinand iv’S reign abStract: This paper will analyze the relationship between the reform programs de- veloped by Giuseppe Maria Galanti at the end of the 18th century, and the modern Neapolitan State, which was established by local Monarchy, main Royal Courts and major Secretaries of State joint coopera-tion. Such a peculiar institutional set-up was characterized by: the very Secretaries of State’s ambition to excel; the key role played by the Royal Chamber of Santa Chiara, whose “consulte” managed to diminish other Courts’ jurisdiction; and by the King’s new “dispacci” (dis-patches), which replaced the old “prammatiche” (pragmatics) that would serve as a source for the laws in force in the Kingdom until then. This different institutional set-up was positively influenced by the Spanish administrative model brought about by the “Nueva Planta” de-crees. KeywordS: Institutional Set-ups, Kingdom of Naples, Maria Carolina, Ferdinand IV. 1. Introduzione Il saggio si propone di esaminare il rapporto instaurato tra i programmi riformatori di Giuseppe Maria Galanti, elaborati negli ultimi decenni del Settecento, e la costruzione dello Stato moderno I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 9998 napoletano1. Questi progetti riformistici saranno pertanto letti ed analizzati attraverso l’operato dei principali tribunali regi napole- tani e delle più importanti Segreterie di Stato. Perché, innanzitutto, proprio Galanti come figura più rappre- sentativa per esaminare, da una parte, l’accelerazione del riformi- smo borbonico e dall’altra “l’autunno” della stagione delle riforme? Questo in quanto si deve constatare che l’opera più rappresen- tativa dell’Illuminismo “maturo” meridionale, la più tecnica, data l’utilizzazione di quelle che intanto sono diventate le nuove scienze dello Stato, è proprio la Descrizione di Galanti2. È quest’opera – e su questo vi è un’opinione abbastanza condivisa della storiografia – il vero manifesto dell’Illuminismo napoletano. Galanti prende in esame in modo complessivo – intreccian- doli con i problemi concernenti i settori fondamentali dello Stato napoletano – politica, istituzioni, economia, finanze, ceti sociali, rapporto centro-periferia, incidenza delle riforme sulla sfera po- litico-sociale del Regno, e tutto comparativamente con il dibattito illuministico europeo ed italiano, che altri autori del riformismo meridionale non possono che aver trattato solo tematicamente3. La Descrizione di Galanti è non a caso un’opera matura dell’Il- luminismo, da ascriversi all’interno delle nuove scienze dello Stato anche per il metodo usato per la sua stesura. I particolari incarichi di governo ricoperti dall’autore gli permettono, infatti, di consul- tare e studiare una grande mole di fonti documentarie inerenti organismi centrali dello Stato napoletano. Negli ultimi anni, il riordino degli incartamenti galantiani ha permesso, però, di cogliere meglio il metodo utilizzato, soprattutto nelle decine di relazioni sullo stato delle province e dei tribunali che egli stendeva come Visitatore del Regno, per la Segreteria di Alcune parti del seguente contributo sono apparse in forma ridotta nel mio saggio, Regno di Napoli e Spagna. Genovesi, Galanti, gli apparati statali e le riforme settecentesche, in G. Cacciatore, S. Cecenia (a cura di), Antonio Genovesi a trecento anni dalla nascita, Laveglia-Carlone, Salerno, 2016, pp. 67-130. Abbreviazioni utilizzate: Actg: Archivio Comunale di Torre del Greco; Asa: Archivio di Stato di Salerno; Asn: Archivio di Stato di Napoli 1 Le opere dei due riformatori meridionali a cui si fa maggiormente riferimento in questo saggio – in particolare alcuni tra i lavori più significativi del Genovesi ed i diversi tomi Della descrizione geografica e politica delle Sicilie di Galanti, stampata a Napoli, in cinque tomi, tra il 1789 ed il 1794 – sono presenti su Google in PDF. 2 G.M. Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, a cura di F. Assante, D. Demarco, vol. II, Esi, Napoli, 1969. 3 Ivi, tomi I-V. Grazia e Giustizia o per la Segreteria di Azienda, e fatte poi perve- nire ad altri istituti centrali dello Stato napoletano. Il riformatore inviava a tal fine appositi catechismi, ossia specifici questionari, a diversi esponenti dei governi periferici del territorio (presidi, udito- ri, avvocati fiscali, ma anche sindaci o eletti di città o centri minori) e perfino a semplici membri della società civile, affinché fossero compilati durante lo svolgimento della Visita4. Questa documentazione costituisce appunto il materiale pri- mario che il riformatore utilizza, insieme alle fonti napoletane di cui si è detto, all’interno della Descrizione. Ma la forza e la complessità dell’opera consistono soprattut- to nella capacità di Galanti di dominare l’arte della statistica. Nei vari tomi della Descrizione sono stati compilati prospetti statistici di una perizia e di una perfezione unica per il tempo: tabelle, con dati aggregati sui diversi corpi statali, sulla popolazione del Regno (complessiva o su base provinciale), bilanci dello Stato, dei diver- si comparti delle finanze, elenchi annuali delle esportazioni e dei risultati della bilancia commerciale, statistiche sui reati ecc. Va anche rimarcato un altro pregio dell’opera legato al fatto che si passa dalle descrizioni empiriche (che come detto, caratterizzano soprattutto i testi del Genovesi) ad analisi che utilizzano strumenti statistici di una rilevante precisione. Ogni parte, cosa interessan- tissima, è inoltre dotata di una conclusione con dei precisi suggeri- menti alle diverse autorità di governo su come operare soprattutto a livello metodologico. La Descrizione di Galanti è per tali motivi l’opera più conosciuta e più utilizzata, nel lungo periodo, dalla cultura italiana meridionali- stica. Questa è stata letta, e continua ad essere letta, però, con una doppia valenza: da una parte, vista la grande mole di dati e docu- 4 Recentemente, Sebastiano Martelli ha ricostruito la storia legata agli studi e ai progetti editoriali finalizzati alla pubblicazione delle opere di Giuseppe Maria Galanti, prima da parte di P.A. De Lisio e poi di A. Placanica. Cfr. S. Martelli, Due secoli di sfortune editoriali ed un ritrovamento fortunato, in G.M. Galanti, Scritti gio- vanili inediti, edizione critica a cura di D. Falardo (con un saggio di S. Martelli), Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 2011, pp. IX-CXXII. In particolare, sull’utilizzazione delle relazioni del Galanti, cfr. G.M. Galanti, Scritti sulla Calabria, a cura di A. Placanica, Di Mauro, Cava de’ Tirreni, 1993; A.M. Rao, «In esecuzione de’ Reali incarichi»: le relazioni al re di Giuseppe Maria Galanti, in M. Mafrici, M.R. Pelizzari (a cura di), Un illuminista ritrovato: Giuseppe Maria Galanti, Laveglia, Sa- lerno, 2006, pp. 54-71. Vedi anche G.M. Galanti, Memorie storiche del mio tempo ed altri scritti di natura autobiografica (1761-1806), a cura di A. Placanica, Di Mauro, Cava de’ Tirreni, 1996. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 101100 menti prodotti ed analizzati, è utilizzata come fonte essenziale per la storia del Regno di Napoli; dall’altra, è il manifesto, il documento- monumento per eccellenza, del riformismo meridionale. È dunque soprattutto questo aspetto di cultura militante che sarà preso in esame nel seguente saggio. Si è cercato di riflettere, attraverso i primi risultati conseguiti dallo studio degli incartamenti dei più importanti tribunali regi del Regno di Napoli (la Camera di S. Chiara e la Camera della Sommaria e, attraverso queste, delle Segreterie di Stato), sugli elementi più importanti ed efficaci delle proposte di questo riformatore5. A tal proposito, alcuni recenti stu- di sul periodo delle riforme hanno sottolineato il rischio di associa- re in modo troppo stretto la battaglia propagandistica ed ideologica degli illuministi con la vera realizzazione del “moderno” nella sfera politica e delle istituzioni statali. Spesso, infatti, i “programmi” ri- formisti restano pura utopia e il nuovo non coincide con l’Illumini- smo più maturo6. La particolare attenzione del saggio è pertanto spostata verso quei percorsi politico-istituzionali del Regno che sono presi in esa- me da questo illuminista; emerge in modo evidente, del resto, come nel ceto di governo, nelle magistrature, nella nascente burocrazia pubblica degli ultimi decenni del Settecento, vi sia l’influenza di un altro grande illuminista. Antonio Genovesi. Poi Galanti, nella sua Descrizione, da una parte fa il punto sul successo o l’insuccesso delle proposte del maestro e dall’altra estende lo scettro di analisi con proposte più ampie ed originali, anche se alle volte con un ec- cessivo spirito di protagonismo. Sono proposte che, tutto somma- to, come ha osservato la storiografia, sono in riga con il percorso individuato precedentemente da Genovesi. La forbice tra politica di governo e programma illuministico subentra invece con altri illuministi della seconda generazione: gli elementi del loro programma riformatore non sono per niente re- cepiti, anzi spesso sono osteggiati dai tribunali regi e dalle Segre- 5 Per un primo bilancio di queste ricerche cfr. G. Cirillo, Spazi contesi. Camera della Sommaria, baronaggio, città e costruzione dell’apparato territoriale del Regno di Napoli (secc. XV-XVIII), tomo I, Università e feudi; tomo II, Evoluzione del sistema amministrativo e governi cittadini, Guerini e Associati, Milano, 2011; Id., Virtù caval- leresca ed antichità di lignaggio. La Real Camera di S. Chiara e le nobiltà del Regno di Napoli nell’età moderna, Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per gli Archivi, Roma, 2012. 6 M. Verga, Decadenza italiana e idea d’Europa (XVII-XVIII secc.), «Storica», VIII (2002), pp. 7 sgg. terie di Stato7. Così nell’attuazione delle riforme diventano centrali alcuni giuristi e togati imbevuti di riformismo genovesiano – che sono anche seguaci del diritto pubblico che proviene dall’Europa, intriso di giusnaturalismo – che ispirano le decisiones e le consul- te, rispettivamente della Camera della Sommaria e della Camera di S. Chiara8. Nel primo caso la Camera della Sommaria, oltre ad occuparsi di tutta una serie di compiti che rientrano nelle prerogative del «real patrimonio», a partire dagli anni ’40 del Settecento è al centro delle riforme istituzionali e appena dieci anni dopo già incomincia a prendere posizione, con decine di decisiones, in merito agli uffici venali, agli arrendamenti, ai corpi demaniali alienati, alla stessa natura giuridica dei feudi e alle loro giurisdizioni. Tutti questi corpi sono membri dello Stato, sono costole della sovranità: o lo Stato è stato costretto ad alienarli per gravi «casi di necessità», per cui possono essere ricomprati; oppure, se i detentori non riescono a produrre i titoli originali di possesso, sono stati usurpati9. Il primo protagonista delle riforme istituzionali è quindi la Ca- mera delle Sommaria, che si pronuncia ripetutamente e guida le principali politiche fisiocratiche della monarchia; soprattutto, gui- da la modernizzazione dello Stato attraverso il favore accordato agli enti locali. Quella che è stata definita l’offensiva della «dottrina statalista» – che è presente soprattutto nei fiscali della Sommaria già a partire dalla metà del Seicento – si afferma nel periodo delle riforme su più fronti, in merito alla soluzione che porta al rafforzamento della sfera dell’amministrazione degli enti locali, in particolare attraver- so la sottrazione di spazi al feudo ed alla sfera giurisdizionale10. Le prammatiche settecentesche, almeno dopo il 1734, relative all’am- ministrazione delle università, sono non a caso ispirate da questo supremo tribunale11. 7 A.M. Rao, L’«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione feudale a Napoli alla fine del ’700, Guida, Napoli, 1984 (seconda edizione riveduta, edita presso Luciano, Napoli, 1997); V. Ferrone, I profeti dell’Illuminismo. Le meta- morfosi della ragione nel tardo Settecento italiano, Laterza, Roma-Bari, 1996. 8 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 245 sgg. 9 Ivi, pp. 210 sgg. 10 Cfr. A. Musi, Momenti del dibattito politico a Napoli nella prima metà del secolo XVII, «Archivio Storico per le Province Napoletane», Terza Serie, XI (1973), pp. 345-371. 11 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 337 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 107106 Analizziamo più attentamente il paradigma interno che sta alla base della Descrizione. I Borbone, come esponenti della nuova monarchia naturale, sono i diretti eredi di Federico II di Svevia, il sovrano che maggior- mente ha contribuito con le sue Costituzioni a dare forma all’identità del Regno. Tutte le dinastie che vanno dagli Angioini fino agli Asbur- go e agli Austriaci hanno invece portato oscurantismo e decadenza. Nel primo tomo della Descrizione, il riformatore osserva che fino agli anni ’90 del Settecento vi siano stati, a partire dall’anti- chità, sei grandi cambiamenti politici: a) il primo, con la conquista romana, dove «tutto fu avvilimento e depressione»; b) il secondo, in cui dopo le invasioni barbariche subentra il predominio feudale ed ecclesiastico, dove tutto è «anarchia, ignoranza, superstizione»; c) il terzo, che coincide con la costruzione del Regno da parte dei normanni, ma «soprattutto [di] Federico [che] tentò la più grande impresa dell’umana intelligenza in tempi difficilissimi: organizzare lo Stato colle leggi e con mettervi l’ordine civile»22; d) nel quarto, i «papi rovesciarono colla famiglia di Federico il suo edificio sociale […] dividendosi il Regno coll’usurpatore». Ne nacque un governo «arbitrario» ed «il Regno fu gioco dell’ambizione di papi e di baroni»; e) il quinto, dove con gli Asburgo il Regno diventa provincia e «tutto fu avvilimento, dispotismo, corruttela e disordine»; f) solo con l’ul- timo cambiamento, quello dei Borbone, il Regno ha riacquisito «il lustro, il suo vigore, la sua energia»23. Perché, si chiede dunque Galanti, dopo il periodo norman- no-svevo, il Regno è decaduto? Le ragioni sono sintetizzate in alcune «ferali pestilenze»: «i papi, i baroni, i viceré, gli arrendamenti, le cattive leggi, la capitale». Ma esaminiamo più da vicino questo universo concettuale dell’autore. L’avvilimento del Regno, in merito al primo punto, inizia con- temporaneamente alle funeste mire papali di asservimento politi- co di quel territorio. Sono stati i pontefici che hanno contrastato Federico II e che poi hanno portato alla rovina degli Svevi. Sono sempre loro che hanno fatto precipitare il Regno in interminabili invasioni, guerre civili e altri scontri armati. I pontefici parteggia- no per Carlo d’Angiò, un sovrano crudele e dispotico, un «vero e 22 Ivi, tomo I, pp. 230-232. 23 Ivi, tomo I, p. 233. proprio flaggello della patria»; poi, per Pietro d’Aragona, dopo il Vespro siciliano del 1282, quando il Regno è preda di «due principi stranieri, nimici fra loro che si faranno tutto il male possibile». Ed ancora sono parte delle vicende politiche nel periodo di Giovanna I che «con la doppia adozione pone il seme della discordia tra Fran- cia e Spagna»24. La nefasta influenza papale non cessa neanche nel periodo del governo aragonese e del cattivo governo spagnolo, colpevole di avere distrutto «negli abitanti […] lo spirito e l’energia nazionale della quale si formano le gran potenze»25. Solo con i Borbone il Regno si è riscattato dalla cattiva influenza papalina. Da qui in avanti è iniziata una decisa politica anticurialista che ha portato ai più rilevanti risultati del riformismo meridionale. La polemica di Galanti contro il Papato, nella Descrizione, as- sume perciò le forme di un anticurialismo militante. L’istituto giuridico del feudo ed il sistema baronale, per pas- sare al secondo punto, ha creato i principali mali delle Sicilie. È soprattutto con i Normanni che si costruisce il sistema feudale. I baroni prima hanno aumentato il loro potere coercitivo con l’ac- quisizione del mero e misto imperio durante il regno di Alfonso il Magnanimo; poi, con Carlo V e Filippo II, hanno consolidato la loro posizione istituzionale: l’ereditarietà del feudo si è estesa fino al quarto grado, mentre Filippo IV e Carlo II hanno loro permesso l’in- troduzione nella trasmissione dei feudi delle clausole del maggiora- scato e del fedecommesso26. L’alienazione dei corpi dello Stato ha inoltre comportato che i baroni diventassero magistrati perpetui nei loro feudi27. Contemporaneamente, i viceré spagnoli, sopraffatti dalle continue esigenze economiche della monarchia degli Asbur- go, hanno venduto i migliori corpi demaniali in feudo28. Ancora in molte aree provinciali i baroni continuano a detene- re diritti feudali molto importanti come decime, diritti angarici e parangarici. Successivamente, i baroni sommano alle giurisdizioni diversi usi sulle terre e diversi diritti di servitù. Gli usi proibitivi sulle acque sono un vero e proprio flagello di dio. Importante il caso analizzato dal Galanti, relativo allo sbarramento 24 Ivi, tomo I, pp. 56 sgg. 25 Ivi, tomo I, p. 60; tomo II, pp. 125 sgg. 26 Ivi, tomo I, pp. 248 sgg. Su questo aspetto cfr. anche G. Galasso, Galanti: storiografia e riformismo nell’analisi dell’ultimo feudalesimo, in La filosofia in soccor- so dei governi cit., pp. 485 sgg. 27 Id., Della descrizione cit., tomo I, p. 251. 28 Ivi, tomo I, pp. 190 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 109108 sul fiume Sarno operato dal barone di Scafati, che provoca la morte di centinaia di persone ogni anno a causa della malaria. Il sistema feudale è pertanto simile a una peste e porta a «un completo disprezzo di essere vassalli». Sono i baroni che opprimono le università e non gli permettono di raggiungere un più elevato grado di maturità: Non è ancora permesso sottrarsi alla giurisdizione baronale. […] Vi sono feudi che hanno il privilegio di giudicare tutte le cause, delle quali rende ragione la Vicaria. Generalmente i governatori baronali giudicano di tutte le cause civili, criminali, miste, eccetto i delitti per li quali le Udienze sono delegate, ed i delitti di lesa maestà divina ed umana, di falsa moneta e di veleno. Per le lettere arbitrarie i baroni sostenuti dai forensi credono di aver l’arbitrio di commutare e di transigere gli altri delitti con pene pecu- niarie. Non è loro permesso comporre i delitti che meritano pena di morte o scrittura di membro, senza assenso del principe29. Ancora i baroni, in molti casi, oltre ai feudi possiedono la Cor- te della bagliva, della catapania e della portolania, quando queste non sono state concesse alle stesse università. Altro grande problema è costituito dalla prassi seguita dai ba- roni nella nomina dei governatori feudali e degli altri funzionari addetti alle Corti locali. I blasonati, lungi dal fornire loro un emo- lumento annuale predefinito, pretendono una parte dei cespiti che sono originati dalla trasformazione dei reati in pene pecuniarie. Questo fa sì che si apra un vero e proprio mercato delle cariche che ruotano intorno all’amministrazione della giustizia30. Si tratta di un vero e proprio abuso, soprattutto in aree caratterizzate dalla grande frammentazione delle giurisdizioni, così come ad esempio accade – secondo Galanti – in Abruzzo e nel Cilento, cosa che porta all’ampliamento dei tipici fenomeni legati alla criminalità. Come si vedrà, nonostante tutte le incongruenze, appare tut- tavia estremamente ardua, per il riformatore, la soppressione del sistema feudale: […] solo una legge costituzionale colla quale si facci la permutazione della natura civile dei feudi; la legge dovrebbe influire ne’ compratori la sicurezza e la progressiva omissione di tutto il sistema31. 29 Ivi, tomo I, pp. 200 sgg. 30 Su questo punto vedi il recente lavoro di A. Di Falco, Il governo del feudo nel Mezzogiorno moderno (secc. XVI-XVIII), Il Terebinto, Avellino, 2012. 31 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo I, p. 365. Il Regno di Napoli è, infatti, un «mare feudale» dove sono pre- senti circa 1.300 Corti feudali. Il periodo del Viceregno, per passare al terzo punto, è caratte- rizzato da continue emergenze militari che determinano la cessione dei principali corpi statali. Sono venduti una miriade di uffici statali, «arrendate» le principali voci di entrata dello Stato, alienate, pezzo dopo pezzo, le città regie e demaniali, non esclusi i casali di Napoli. Di fronte al collasso delle finanze vicereali si giunge, nel 1611, alla creazione della cosiddetta «Cassa militare», ossia alla costitu- zione di un fondo permanente formato da una parte del patrimonio statale che viene svincolato dai debitori e le rendite assegnate di- rettamente per le emergenze militari. Galanti dimostra una grande competenza nell’individuare, in questo periodo, le cause del grande dissesto delle finanze del Re- gno. In effetti, il periodo a cavallo della Guerra dei Trent’Anni coin- cide con quello che registra la maggiore vendita degli uffici statali, con la fase più acuta dell’indebitamento delle universitates, dei più rilevanti donativi introitati dagli Asburgo; il tutto aggravato dalla grande inflazione, da una grave epidemia di peste (1629-1631) che però imperversò soprattutto nel Centro-Nord della penisola italia- na, da una terribile eruzione subpliniana del Vesuvio (1631) che investì molti casali posti a ridosso della capitale, e dai drammatici tumulti popolari legati alla rivoluzione masaniellana del 1647-48. È durante tale periodo, in merito al quarto punto, che si aggrava il problema forense. Il Regno, secondo il riformatore, presenta molte anomalie a livello «costituzionale». In primo luogo la compresenza di più diritti vigenti, spesso tra loro conflittuali: romano, longobardo, canonico, feudale. Poi, le Costituzioni di Fe- derico II di Svevia. Contaminazione che continua con la sovrappo- sizione a queste dei capitoli dei re angioini, delle prammatiche dei re aragonesi e castigliani, delle grazie e privilegi concessi a Napoli e al Regno dai sovrani spagnoli. Quattro in assoluto le conseguenze negative più rilevanti: il cattivo funzionamento dei tribunali regi, anche questi spesso in conflitto tra loro; la pratica degli arcana juris da parte dei magistra- ti; la venalità degli uffici; la corruzione dei funzionari. In merito alla prima questione, si è di fronte ad una giustizia che, secondo il riformatore, si divide in tanti scomparti autonomi (civile, militare ed ecclesiastico) in rapporto soprattutto allo stato giuridico delle parti. Contribuisce a generare ulteriore confusio- I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 111110 ne anche la presenza di uno stuolo di tribunali concentrati nella capitale, come ad esempio il Consiglio Collaterale che nel periodo asburgico, con il re assente, affianca i viceré e contribuisce, come garante dei diritti del Regno, al governo dello stesso; la Camera della Sommaria che ha invece competenza su tutto ciò che attie- ne il regio fisco; il Sacro Regio Consiglio, (il tribunale supremo) a cui spettano le cause di appello e molte materie feudali, tra cui i conflitti riguardanti l’elezione dei sindaci e degli amministratori cittadini. Un tribunale, questo, che aveva anche giurisdizione sulle cause di nullità, il più delle volte caratterizzate da una durata assai lunga ed irregolare: Era ancor proibito dir di nullità ai suoi giudizi, osserva il riformatore, ma l’uso prevalse di proporle ed esse sospendano l’esecuzione della sen- tenza, e prolungano le cause; giacché è un sistema pienamente stabilito, che chi perde esperimenti il nuovo combattimento delle nullità, e goda almeno della dilatazione che vi è annessa32. Spesso, però, l’esame di nullità non si svolge neanche in una «ruota diversa» da quella nella quale è stata pronunciata la sentenza. A questo tribunale spetta, secondo Galanti, il ruolo di «legisla- tore della patria», ruolo che, però, non è mai riuscito realmente a svolgere a causa del «vortice forense». La Vicaria (civile e criminale) è invece il tribunale di appello delle sentenze emesse dalle Corti locali e dalle Regie Udienze provinciali; inoltre, ha competenza sul «governo economico della città di Napoli e dei suoi casali», nonché sui baroni del Regno nati nella capitale. Questi ed altri tribunali minori collocati nella città di Parteno- pe – come quelli dell’Arte della seta e dell’Arte della lana, che hanno giurisdizioni su tutti gli immatricolati alle corporazioni della capitale – sono affiancati da importanti istituti con giurisdizioni extraprovincia- li, come ad esempio la Dogana di Foggia o le altre Doganelle minori. Importante soprattutto la giurisdizione dei locati di Foggia, che può ricadere su qualsiasi individuo (barone, ecclesiastico o civile), purché possegga almeno 30 capi di bestiame ed usufruisca degli erbaggi della Dogana33. 32 Id., Della descrizione cit., tomo I, p. 299. 33 Cfr. J.A. Marino, L’economia pastorale nel Regno di Napoli, Guida, Napoli, 1992. Specificamente sulla Doganella delle quattro province, si veda G. Cirillo, Il vello d’oro. Modelli mediterranei di società pastorali: il Mezzogiorno d’Italia (secc. XVI- Galanti si sofferma in più parti della Descrizione sul ruolo di questa Dogana, soprattutto perché la sua giurisdizione costituisce un freno, per una parte consistente della popolazione del Regno, alle angherie delle Corti feudali: «Sono da per tutto – osservava l’illuminista – patentati di Foggia, perché si è veduto ch’è l’unico mezzo che si permette da sottrarsi alle vessazioni de’ baroni de’ lor agenti e governatori». All’opposto, vista la grande estensione della giurisdizione di questa, i baroni avevano sempre cercato di impedi- re l’elezione di ufficiali doganali nei propri feudi. Nonostante i tantissimi meriti che aveva conquistato nel tem- po, i limiti ed i vizi procedurali che allignano nel tribunale di Fog- gia, sempre secondo Galanti, non sono pochi: vi è una grande con- fusione a livello giurisdizionale ed il tribunale non si occupa solo delle cause civili dei locati, ma si intromette in una moltitudine di cause criminali. I tribunali delle province sono invece costituiti dalle Udienze provinciali, dal Tribunale di Campagna (per Terra di Lavoro), e dal- le Corti locali. Anche in questo ambito fioriscono i conflitti di giurisdizione, soprattutto tra le Regie Udienze e le Corti locali, tra giurisdizione civile e religiosa, tra Corti locali e famiglie che sono in possesso di costole di giurisdizione, come nel caso frequente di portolani e mastri di fiera. Conflitti giurisdizionali che si allargano a macchia d’olio coinvolgendo i diversi tribunali centrali, in una continua dia- lettica di avocazione interna agli stessi; o ancora con avocazioni dei tribunali centrali sulle cause accese dalle Regie Udienze, o tra queste ultime e le Corti locali34. Poi il problema degli arcana juris nell’emissione delle sentenze dei tribunali. Una pratica molto diffusa che finiva per creare una generale incertezza del diritto grazie al sostanziale protagonismo dei bizantinismi giuridici di moltissimi magistrati35. Tanucci, nel 1774, aveva cercato di porre un freno a questa detestabile pratica. XIX), Laicata, Manduria-Roma-Bari, 2003, pp. 92 sgg. 34 A. Cernigliaro, Giurisdizione baronale e prassi delle avocazioni, in Id., Pa- triae leges privatae rationes. Profili giuridico-istituzionali del Cinquecento napoletano, Jovene, Napoli, 1988, pp. 380 sgg. 35 Vedi le osservazioni fornite in merito in R. Ajello, Arcana juris. Diritto e politi- ca nel Settecento italiano, Jovene, Napoli, 1976, pp. 313-314. Lo storico del diritto si è occupato in più occasioni di Galanti, contestualizzandolo all’interno di una nuova cultura aperta al diffondersi dello «spiritualismo idealistico» e ad un clima «proto- romantico», cfr. Id., L’estasi della ragione. Dall’Illuminismo all’idealismo, in Gaetano I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 117116 la creazione di un certo numero di Segreterie di Stato – nel perio- do nel quale scrive Galanti, ad esempio quella degli Esteri a cui è unita Guerra e Marina, poi quella di Grazia e Giustizia, degli Affari ecclesiastici –, che direttamente, o tramite il sovrano, investivano di molti compiti, i più delicati, la Camera di S. Chiara. Il Supremo Consiglio delle Finanze aveva invece assorbito le prerogative della Segreteria di Azienda. Analogamente, anche la forma normativa dello ius regni si ade- gua alle nuove esigenze statuali: le consulte finali diventano infatti dispacci reali ed hanno valore di legge. È questo il segnale tangibile attraverso il quale lo Stato moderno riesce ad imporre un proprio diritto esautorando, in modo progressivo e sempre più consistente, la forma normativa più antica legata alle prammatiche vicereali. Poi il bilancio del nuovo Stato, con la divisione delle spese so- stenute dal Regno fra quelle utili e quelle inutili: a) per la Casa reale; b) per l’ordine pubblico; c) militari; d) di economia. La Casa reale non spende tutto per gli ozi o i rituali di Corte, ma finanzia molte attività e fra queste le sperimentazioni che avvengono intorno ai Siti Reali (S. Leucio, Carditello) o ad altri corpi della monar- chia. Gran parte del bilancio dello Stato (negli anni ’90, tre milioni di ducati: 2.100.000 finanziati dal Regno di Napoli e 900.000 dal Regno di Sicilia) è invece impiegata per l’esercito, per la Marina, per il mante- nimento di piazze, castelli, torri marittime. Importanti anche le spese “politiche” e “civili”, nelle quali sono comprese gli emolumenti per le Segreterie di Stato, gli ambasciatori, i ministri, i tribunali. Il riformatore propende, parafrasando il marchese Palmieri, per le spese utili che devono fare avanzare il Regno nello stadio della civilizzazione. Il nuovo Stato ha di fatto modificato la dialettica interna dei tri- bunali regi. Non solo la Camera di S. Chiara, ma ancor prima la Ca- mera della Sommaria, portano avanti la modernizzazione del Regno. Due gli elementi che si intrecciano, secondo Galanti, nell’esa- minare le decisiones della Sommaria: le aspirazioni della monar- chia borbonica ed il nuovo diritto pubblico europeo. Galanti coglie, ad esempio, che è proprio la Camera della Som- maria ad emettere delle decisiones storiche sui corpi statali: alie- nati durante il Viceregno, ora possono essere finalmente riscattati dallo Stato. Soprattutto è importante la sentenza emessa nel 1751 da questo stesso supremo tribunale, che fa da battistrada all’ado- zione di questa nuova politica governativa. Gli arrendamenti, da qui in avanti, diventano costole della sovranità che la monarchia può richiamare a sè in qualsiasi momento43. Il nuovo impianto istituzionale si va pertanto definendo me- diante una prima massiccia politica di riscatti dei beni statali, compito che è affidato alla Giunta delle ricompre. La Camera della Sommaria è dunque in prima fila nell’attua- zione di questo progetto, proprio attraverso la produzione di un nuovo diritto in grado di aiutare davvero le città del Regno che si sono da poco riscattate in demanio. Tuttavia è con il nuovo governo di Ferdinando IV che questa politica diventa assai più pregnante e capillare. Si procede in primo luogo col riscattare e abolire una serie di corpi statali. Lo stesso Galanti è nominato segretario, con voto, di una Giunta per l’aboli- zione dell’arrendamento della seta. Tra le novità più importanti di questo periodo c’è però la reggenza di Palmieri alla Segreteria delle Finanze. Ora dagli arredamenti e da altri corpi si comincia a spe- rimentare la vendita, senza giurisdizione, di alcuni feudi devoluti. Tra gli obiettivi di alcuni riformatori, come ha sottolineato la Rao, vi è quindi la formazione di un diverso sistema proprietario, che si va formando attraverso la graduale eliminazione del sistema feu- dale. Inoltre, con i capitali introitati dalla rendita dei feudi devoluti si dovevano ricomprare gran parte degli arredamenti del Regno44. Nel 1793, lo Stato richiama dunque a sé anche la giurisdizione sui feudi ecclesiastici, per i quali è abolita la giurisdizione delle seconde e terze cause ed è modificata la tassazione del relevio45. In tutta la Descrizione sono illustrate, quasi in tempo reale, altre tappe del processo di riforme avviate. In primo luogo le realizzazioni a livello di sistema stradale del Regno (forse uno dei successi più ri- levanti dei Borbone), poi le opere di bonifica, la costruzione di diverse «fabbriche del re», la nuova politica rivolta, come detto, verso l’assi- stenza con la costruzione di ospizi e orfanotrofi, infine i trattati com- merciali, la composizione della Corte, il nuovo esercito nazionale46. 43 Ivi, p. 198. Le riforme statali, secondo il riformatore, sono state un crescen- do a partire da Carlo di Borbone. Si pensi al Supremo Magistrato di Commercio (1739), con competenza sulle negoziazioni, sulle corporazioni di arti e mestieri e sul- le lettere di cambio; ma anche alla nascita, nel 1778, delle Reale Borsa dei Cambi. 44 A.M. Rao, L’«amaro della feudalità» cit.; G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo II, p. 200. 45 G.M. Galanti, Della descrizione cit., tomo II, pp. 130 sgg. 46 Ivi, tomo I, pp. 216 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 119118 Secondo Galanti, le riforme della monarchia dovevano mirare al raggiungimento della virtù civile e politica. Nel primo caso, esse sono ispirate «dall’amore per la fatica, per la patria e per la vita»; nel secondo caso dalla «riunione degli interessi generali». I popoli più progrediti d’Europa, sempre a suo parere, hanno acquisito leg- gi e «costumi»; gli strumenti per i «costumi» dovevano essere forniti dalla religione e dalle scienze. Soprattutto nel secondo caso, do- veva essere lo Stato a farsi carico di questi servizi. Questo doveva avvenire con programmi di educazione, con la istituzione di collegi militari, con la nuova funzione di formazione collegiale attribuita alle ex sedi gesuitiche, con la creazione del Collegio dei Cinesi, con la nascita della Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere. Uno dei punti salienti toccati nell’opera del riformatore è co- stituito però dalla proposta di un preciso programma economico e fisiocratico. Strumento centrale della riforma fisiocratica dei Borbone è infatti il catasto onciario, nel quale sono tassati i beni immobili, tranne quelli dei ceti privilegiati, compresi quelli ecclesiastici (però solo per metà del loro valore in base al Concordato del 1741 con la S. Sede). Il catasto che doveva essere alla base delle nuove finanze del Regno, per Galanti, non si rileva tuttavia all’altezza delle aspettati- ve, tanto che negli anni ’60 del Settecento si liberalizza di nuovo il sistema di tassazione. Le incongruenze contenute nella riforma catastale non erano poche, ma tra queste gravava in modo decisivo la sperequazione contributiva esistente all’interno dei ceti e delle comunità. Si pensi soprattutto all’area del Sannio e dell’Abruzzo, dove emergeva una grande disparità di trattamento nella determinazione dell’imposta, che colpiva in modo sproporzionato soprattutto le comunità pove- re, sprovviste di popolazione e di corpi demaniali. È lo stesso Galanti che propone, per riformare il catasto, la creazione di una mappa topografica che deve offrire una lettura analitica ed attenta delle risorse territoriali di tutte le comunità del Regno (operazione poi portata avanti con la promulgazione, nel 1783, di una specifica prammatica sull’amministrazione delle università)47. Ancora nel 1792, è lo stesso Galanti a rimarcare che 47 Ivi, tomo II, p. 153. ha avuto l’incarico, da parte del sovrano, di formare un «nuovo ca- tasto proporzionato alla giustizia ed alla buona economia di tutte le province». Altro problema: l’economia campestre, per l’illuminista, non ri- sulta per niente legata all’Economica Politica. Gran parte dei terri- tori sono feudali, della Chiesa o appartenenti ai demani comunali. Il diritto comune, che era subentrato a quello romano, aveva poi aggravato lo stato di promiscuità dei territori: «ad uno [appartengo- no] le ghiande, ad un altro il diritto di legnare, a chi il territorio, a chi l’erbatico»48. A ciò si aggiungevano gli usufrutti, le commende, le prebende, i benefici parrocchiali o delle Mense vescovili, le decime ecclesiastiche, le clausole del fedecommesso e della manomorta ec- clesiastica. Galanti, infatti, da attento osservatore qual era, denun- ciava il fatto che, sul territorio, tutti cercavano di «spremere quel sugo che se ne può senza mai spendere un ducato in migliorie»49. Ai diritti sui terreni, che impedivano una piena proprietà, si as- sociavano poi quelli sulle acque. L’esempio dell’impaludamento del Sarno, riportato dall’illuminista, è eloquente a questo proposito. Nel terzo tomo della Descrizione, Galanti individua i mezzi «per avvalorare l’agricoltura» all’interno del Regno. È importante l’intro- duzione di Accademie di agricoltura: una generale per ogni provin- cia, con succursali (confraternite) nei diversi centri. Alla parteci- pazione di queste ultime sono chiamati il parroco, i proprietari, gli agricoltori. Ognuna deve essere provvista di un catechismo (regole di coltivazione). In queste proposte emerge meglio anche la visione politica di Galanti sullo Stato napoletano. Contro l’eccessivo accentramento delle Segreterie, della Corte, dei tribunali di Napoli, l’illuminista propone un modello di Stato decentrato, con un ruolo di maggior protagonismo delle province. Le Accademie devono avere il fine di inculcare l’amore per il lavoro e di ripudiare l’ozio; quindi favorire studi sulla topografia del territorio e la conoscenza delle pratiche agricole. A queste è anche affidato il compito di confinare i vaga- bondi all’interno di istituendi Alberghi dei poveri provinciali. 48 Ivi, tomo III, pp. 261 sgg.; Id. Della Descrizione geografica e politica delle Si- cilie. Racchiude la corografia della Campania Felice, de’ Principati e del Sannio, tomo IV, presso i Socj del Gabinetto Letterario, Napoli, 1794, pp. 229 sgg. 49 Id., Della descrizione cit., tomo III, pp. 263 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 121120 Siffatte nuove istituzioni dovevano contribuire a far cessare, con la fine del regime feudale, l’ormai anacronistica giurisdizione delle Corti locali e alla nascita di nuove e moderne potestà giu- diziali con una propria e diversa competenza territoriale rispetto alle prime. Solo a queste ultime spettava dunque istruire processi, emettere atti pubblici ed a fine anno rendere conto all’Accademia provinciale dello stato della popolazione, dell’occupazione, degli in- dividui che maggiormente praticano la virtù civile. Dopo aver elencato le riforme da praticare nel settore agricolo, Galanti passa alla trattazione dei progressi raggiunti dalle mani- fatture. Oltre ad una certa presenza di opifici nel settore serico presenti in diverse province del Regno – ma soprattutto a Napoli, Cava de’ Tirreni, Sorrento e Catanzaro dove non certo mancano manifatture di eccellenza, rimarca la modernità dei nuovissimi sta- bilimenti di S. Leucio e di Reggio Calabria. Il tema chiave nelle proposte riformatrici di Galanti rimane tuttavia la valorizzazione delle province e più in generale il conso- lidamento degli enti locali. Intanto la creazione di nuovi strumenti amministrativi da assegnare a questo progetto di decentramento; in questo modo il Regno doveva essere ripartito in quattro divisio- ni generali: a) Napoli «colla Campania, con i due Principati e con porzioni del Sannio e della Daunia»; b) Sulmona o Popoli, con i «tre Abruzzi e porzioni del Sannio e della Daunia»; c) Taranto «colla Ba- silicata, la Japigia colla Peucezia e con porzione della Daunia», d) «Catanzaro colla Calabria, divisa in tre provincie». A ciascuno di questi Dipartimenti dovevano essere assegnati, secondo Galanti, alcuni tribunali supremi: una ruota del Sacro Re- gio Consiglio, per l’esercizio della giustizia; una ruota della Camera della Sommaria per la cura della sfera «dell’economia». Ogni Divisione doveva comprendere tre o quattro province; ogni provincia doveva essere dotata di due tribunali: il primo con competenze sulla sfera della giustizia; il secondo che si doveva in- vece occupare del «governo economico». In ogni provincia bisognava inoltre favorire la nascita di società patriottiche che dovevano comprendere il meglio delle élite provin- ciali, alla guisa di quelle che si andavano formando in Abruzzo50. Nel secondo tomo della Descrizione Galanti richiama anche la proposta della divisione in Dipartimenti delle province del Regno 50 Ivi, tomo I, pp. 453 sgg.; tomo III, Napoli 1789, pp. 285 sgg. (per polizia e giustizia e per economia), che sarebbe stata approva- ta dal «nostro governo». In tale ottica le municipalità si dovevano rapportare al proprio «tribunale provinciale economico», le cui fun- zioni sono così riassunte: […] la funzione dei tribunali provinciali economici dovrebbe pur esse- re di autorizzare le deliberazioni dei consigli delle comunità, di fare giusti- zia sopra i ricorsi dei cittadini contro i corpi municipali, e di reggere tutta l’economia della provincia. A questi tribunali spettava anche «il ripartimento ed esenzione dei tributi». Secondo il riformatore, «i corpi municipali così ordinati potranno essere meglio de’ nostri subalterni de’ tribunali, potran- no essere braccia idonee delle operazioni pubbliche». Meno incisivo il discorso del riformatore in merito alle comuni- tà del Regno. Egli rileva che il processo che ha caratterizzato la na- scita e l’affermazione degli enti locali nel Mezzogiorno non sia stato uniforme. In alcuni centri, sindaco ed amministratori sono eletti dal parlamento; in altri è subentrato il sistema del Decurionato; in altri ancora, una piccola oligarchia familiare controlla tutte o quasi tutte le prerogative delle municipalità. L’analisi sugli enti locali, le universitates, è nondimeno centra- le nelle proposte di Galanti. Organismi molto fragili, cominciano ad avere una certa autonomia a partire da alcune prammatiche che concernono l’amministrazione delle università. Importante soprat- tutto quella che si può definire la prima riforma di tipo ammini- strativo: gli stati discussi del Tapia degli anni ’20 del Seicento. Da quel momento in poi, la Camera della Sommaria può controllare rigidamente le voci di entrata e di uscita degli enti locali. È questo anche il momento in cui lo stesso tribunale regio comincia a tene- re un archivio aggiornato sulle singole università e sul loro stato patrimoniale. Le comunità regnicole devono però affrontare gravi problemi di ordine logistico per ottemperare a questi precetti: la Camera della Sommaria e gli altri tribunali ai quali le università devono ricorrere sono infatti, il più delle volte, assai distanti. Anche lo stato patrimoniale delle comunità era estremamente variegato: alcune sono dotate di molti beni patrimoniali, altre ne erano completamente sfornite. Per ovviare a tutto ciò, al 1792, os- serva Galanti, il sovrano aveva in preparazione un piano di riforme in cui gli enti locali dovevano essere inquadrati in 59 dipartimenti. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 127126 L’indirizzo giurisprudenziale delle consulte emesse dal tribu- nale di S. Chiara raggiunge dei risultati notevoli anche in merito al nuovo criterio di attribuzione della competenza giurisdizionale sui reati: sempre a partire dagli anni Sessanta-Settanta, la Corte di giustizia che deve istruire il processo non è più infatti quella di residenza del reo, ma quella del territorio dove è stato commesso il reato59. È un grande passo in avanti in quanto precedentemen- te la giurisdizione, sia delle Corti di giustizia feudali sia di quelle delle città regie e demaniali, cadeva sulle persone (in rapporto alla loro cittadinanza) e non sul territorio. Tutto ciò creava elementi di disordine e di discriminazione giuridica, in quanto poi la pena risultava proporzionata ai privilegi di giustizia goduti dagli specifici centri dove ricadeva la cittadinanza. Ma che dottrine e quali autori, per passare al secondo punto, ispirano le consulte della Camera di S. Chiara e la politica riformi- stica borbonica? Quali altri tribunali hanno recepito tali dottrine? Per rispondere a questa ultima domanda, diciamo subito che l’altro grande protagonista di questo nuovo processo storico-giuri- dico è la Camera della Sommaria, sempre in prima fila ad appurare i privilegi goduti dai singoli feudi, le tutele legate all’esistenza di fori privilegiati, le esenzioni fiscali e doganali, la natura ed il nume- ro degli uffici venali, gli arredamenti e soprattutto i diritti usurpati dai baroni e spettanti invece alle singole università. È un percorso lungo, d’altro canto, quello che porta alla nascita della «dottrina statalista»: inizia, come è stato sottolineato, nella prima metà del Seicento e giunge a maturità nel periodo delle riforme60. Alla sua base c’è la percezione del nuovo diritto pubblico europeo intriso di giusnaturalismo61. I primi autori ed i primi atti politico-amministrativi che sono ascrivibili a questa nuova visione dello Stato sono: la riforma degli stati discussi del Tapia; la pubblicazione del volume di Novario sui «gravami feudali»; la prammatica XVIII, intorno all’amministrazio- 59 Una delle prime consulte di questa tipologia concerne l’università di Castro- villari ed il casale di S. Basile. Asn, Bozze di consulte della Camera di S. Chiara, vol. 275, inc. 47. 60 Sulle opere di Novario, Capobianco, Tassone, Tapia, cfr. G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 239 sgg.; A. Musi, Momenti del dibattito politico a Napoli nella prima metà del secolo XVII, «Archivio Storico per le Province Napoletane», Terza Serie, vol. XI (1973), pp. 345-371. 61 Su questo, cfr. M. Stolleis, Storia del diritto pubblico in Germania, I, Pubblici- stica dell’Impero e scienza di polizia (1600-1800), Giuffrè, Milano, 2008. ne delle università, del 1660, che sospende i pagamenti verso i creditori delle università; la prammatica XIX, della stessa tipologia, del 1681, che estromette i baroni da ogni ingerenza nell’ammini- strazione delle università62. Fra metà e fine Seicento, questa dottrina si fa strada anche in merito alla gestione dei corpi dello Stato, come le città regie o demaniali che sono state alienate o stavano per essere vendute a privati. Secondo la Camera della Sommaria, il sovrano poteva in- fatti alienare i corpi demaniali solo in casi estremi che dovevano, però, scaturire sempre da una situazione politica urgente o da una «necessità pubblica». Solo in questi specifici casi si potevano altresì revocare i contratti stipulati a titolo oneroso, ossia vendere città che si erano prima riscattate in demanio con proprio peculio63. Non tutte le «necessità pubbliche» possono essere messe, però, sullo stesso livello: una cosa è la difesa dello Stato di Milano o del Regno di Napoli, altra cosa è il semplice pagamento dei debiti contratti verso creditori, o specifici privilegi economici accordati, da parte degli Austrias64. La Sommaria preferisce che la ricompra provenga, pertanto, dalle stesse città; in mancanza di ciò, invece della vendita dei feudi, ci si può anche accontentare di semplici transazioni65. Tra fine Seicento e primi decenni del Settecento, gradualmente lo Stato, passata la congiuntura negativa, non cede più le città de- maniali che si sono riscattate in modo «oneroso». È evidente, anche in questo caso, la nuova visione del diritto pubblico. Uno jus publicum che, secondo Adriano Cavanna, vede l’accentramento delle fonti del diritto grazie alla prassi interpretati- 62 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 245 sgg. Vedi anche G. Galasso, Le riforme del conte di Lemos e le finanze napoletane nella prima metà del Seicento, in Id., Alla periferia dell’Impero cit., pp. 157 sgg. Recentemente l’argomento è stato affrontato da G. Foscari, Stato, politica fiscale e contribuenti nel Regno di Napoli (1610- 1648), con la Prefazione di G. Galasso, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, pp. 53 sgg. 63 La Camera della Sommaria circoscriverne la casistica: quando «bisognasse pigliare una terra per fortificarla»; nel caso bisognasse procedere a «contrattazione per ottenere la pace con il nemico»; per la mancanza di denaro per sostenere le truppe durante i periodi di guerra; in altre situazioni gravi dove perdura lo stato di necessità militare. Asn, Camera della Sommaria, Consulte, vol. 34, ff. 185-188, 21 giugno 1628; vol. 48, ff. 3-10, 12 aprile 1646. Su questo, cfr. G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 248 sgg. 64 Cfr. Asn, Collaterale, Notamenti, vol. 41, ff. 98v-100, 18 maggio 1640. 65 Così, ad esempio, si esprime il presidente Veaz, in merito alla vendita dei casali di Cosenza. Cfr. ivi, vol. 22, ff. 66-68, 14 gennaio 1631. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 129128 va osservata nei tribunali centrali, che vanno a sostanziare il raffor- zamento dello Stato rendendo sempre più accessorio lo jus commu- ne. Parallelamente, vi è anche una trasformazione del diritto degli Stati moderni europei, che sarà influenzato in maniera sostanziale dal giusnaturalismo. La nuova dottrina dello jus gentium farà sì che il nuovo diritto naturale prenderà il posto di quello che un tempo spettava allo jus commune ed al Corpus juris giustinianeo66. Nel Regno di Napoli, a fine Seicento, per sostanziare la nuova «dottrina statalista», è soprattutto il magistero di Francesco D’An- drea e del suo maestro Tommaso Cornelio a porre le avanguardie intellettuali napoletane a stretto contatto col pensiero europeo. A questo si aggiunge il reclutamento nella burocrazia statale dello stesso D’Andrea, prima alla Vicaria (10 maggio 1688), poi nel Sacro Regio Consiglio (luglio 1689) ed infine come fiscale della Somma- ria, dove s’insediò il 5 aprile 1690 rimanendo però in carica solo per pochi anni, sino al 169367, «tutti spostamenti – come ha sot- tolineato Aldo Mazzacane – che s’intrecciarono con i tortuosi per- corsi, e gli intrighi, dei circoli ministeriali di quella vera e propria “Repubblica dei togati”, che era ormai diventato il Regno di Napoli per sua profonda struttura»68. La ripresa in grande stile di questa interessantissima evoluzio- ne, dopo un periodo di appannamento dovuto anche al momentaneo disconoscimento di tutto quanto c’era di più avanzato nelle teorie del D’Andrea e dei novatori napoletani, riprende solo alla metà del Settecento, con un richiamo dei fiscali della Sommaria alle dottrine di Novario, Capobianco, Tapia e, ancora una volta, a quelle mai del tutto accantonate di Francesco D’Andrea. Ora le decisiones di que- sto supremo tribunale, ispirate dai più importanti magistrati che siedono al suo interno – soprattutto Cianciulli, Vivenzio, Simonetti –, perseguono una doppia politica che in pratica riflette la nuova visione che essi hanno dello Stato: da una parte cercano, quindi, di far riacquisire allo Stato corpi che si ritengono usurpati o conces- si solo in possesso (arrendamenti, diritti fiscali e doganali, feudi e 66 A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa cit., pp. 319 sgg. 67 I. Ascione, Il governo della prassi. L’esperienza ministeriale di Francesco D’Andrea, Jovene, Napoli, 1994. Vedi anche R. Ajello, Gli «Avvertimenti» di D’Andrea tra idealisti e naturalisti, Introduzione a F. D’Andrea, Avvertimenti ai nipoti, a cura di I. Ascione, Jovene, Napoli, 1990, pp. XXIII-XXXVI. 68 Cfr. la voce dedicata a D’Andrea a cura di A. Mazzacane in Dizionario Biogra- fico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, vol. 32, 1986. giurisdizioni, città demaniali alienate); dall’altro fanno in modo che appunto la Sommaria cominci a schierarsi sempre più nettamente dalla parte delle comunità nelle migliaia di cause che queste hanno accesso contro i gravamina e gli altri abusi dei baroni69. La Camera della Sommaria, forte di questo suo indirizzo giuri- sprudenziale, si esprime pertanto sempre più apertamente a favore delle ricompre degli arrendamenti da parte dello Stato, dell’aboli- zione di dogane, della soppressione dei diritti proibitivi, del recu- pero delle giurisdizioni che non sono suffragate da privilegi origi- nali, dell’attribuzione alle comunità dei corpi demaniali usurpati dai baroni, dell’abolizione dei diritti di passo, dell’acquisizione dei feudi, dove vi è incertezza di possesso, in demanio70. Anche specifi- ci uffici «venali», acquistati da privati e da baroni, sono considerati delle regalie e possono essere perciò richiamati allo Stato. Tutti i detentori di privilegi e giurisdizioni devono inoltre dimostrare, da questo momento in poi, di possedere privilegi utili e validi. Sotto osservazione finiscono, poi, le centinaia di famiglie che posseggono privilegi legati all’esercizio degli uffici di portolani o mastri di fiera o alla titolarità di altri privilegi fiscali e giurisdizionali71. Soprattutto, questo processo di rafforzamento dello Stato mo- derno, come abbiamo già evidenziato in un nostro recente studio, crea le condizioni per una piena maturazione della sfera ammini- strativa delle università72. Il supremo tribunale tende, infatti, ad incoraggiare i piccoli e grandi centri regnicoli nelle loro rivendica- zioni contro il baronaggio. Le comunità cominciano pertanto a pro- durre centinaia di «libri di doglianze» che vengono puntualmente esaminati dalla Camera della Sommaria, che ora prende posizione a favore di queste. In moltissime istruttorie dibattimentali, il baro- naggio deve dar conto, altresì, dei propri privilegi, previo il congela- mento delle giurisdizioni feudali. Si moltiplicano, di conseguenza, i «capi di gravami» del baronaggio e contestualmente cessano quasi del tutto le numerosissime rivolte contadine e popolari che aveva- no caratterizzato l’ultimo periodo vicereale. 69 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo II, pp. 242 sgg. 70 Ivi, pp. 225 sgg. 71 Si vedano, ad esempio, Asn, Bozze di consulte della Camera di S. Chiara, Porto- lania di Crotone e Regia Udienza di Cosenza, 21 ottobre 1747, vol. 121, fasc. 11; Asa, Ar- chivio Ruggi, fasc. 73, fasc. 5, Processo della Regia Camera della Sommaria, 7 settembre 1756: «Matteo Ruggi cede ad Angelo e Andrea Alfano […] l’ufficio di Portolano della città di Salerno, Guardarobbe della dogana della città e [l’ufficio] di mastro di fiera». 72 G. Cirillo, Spazi contesi cit., tomo I, pp. 185 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 131130 È il grande momento di protagonismo della «via giudiziaria». Lo scontro si è ormai trasferito nelle sedi giudiziarie dei principali tribunali del Regno e riguarda la autenticità dei privilegi, delle grazie, delle capitolazioni, degli statuti, delle genealogie. È anche il momento della consacrazione tra i padri della storiografia italiana di Ludovico Antonio Muratori e della significativa riscoperta della filologia, della paleografia, dell’archivistica, dell’araldica73. L’affermazione del nuovo diritto pubblico nel Regno di Napoli ottiene i suoi effetti proprio raccordandosi alle dottrine più avanza- te dei principali riformatori napoletani, in particolare a Genovesi. Paradigmatico il caso dell’ultima causa di demanializzazione del Regno, che concerne la città di Monteleone. Il lungo periodo di gestazione di questa causa, che si protrae negli ultimi trent’anni del Settecento, permette infatti di cogliere la definitiva affermazione della dottrina statalista. Nel pensiero giuridico meridionale, il diritto pubblico europeo è adesso salda- mente agganciato al piano di riforme formulato dal Genovesi. Al- tro elemento importante è costituito dai fiscali della Camera della Sommaria che, specialmente negli ultimi decenni del Settecento, tendono ad uniformarsi anche agli indirizzi giurisprudenziali dei magistrati della Camera di S. Chiara. E qui, l’influenza del Geno- vesi su tutte le magistrature del Regno è enorme. Ora non vi è più contrapposizione, come appena cinquant’anni prima, tra il diritto del re (Camera di S. Chiara) e l’antico diritto del Regno e dei natu- rali (Camera della Sommaria). È cambiata la metafora dello Stato: i beni collettivi non sono più considerati come beni patrimoniali del sovrano, ma come «beni pubblici». Questi tribunali, nelle motiva- zioni delle sentenze emesse a favore dello Stato, fanno riferimento ad una «nuova giustizia pubblica e di Stato», alla «pubblica felicità», al «pubblico bene», alla «sicurezza della vita, della proprietà e della libertà affidata al principe»74. È, in pratica, la rivincita di Genovesi. In questo modo, il programma di modernizzazione del Regno proposto da Genovesi, Galanti, ma anche dagli apparati e dalle Segreterie del Regno, per passare al terzo punto, passa attraverso la proposta di un preciso progetto fisiocratico. Ma quali sono i con- notati di questa fisiocrazia? 73 Ivi, tomo II, pp. 273 sgg. 74 Ivi, tomo II, pp. 289 sgg. Si è visto come i due illuministi avessero individuato alcuni mali cronici che impedivano l’attuazione di un indispensabile pia- no di riforme economiche. Fedecommessi, maggioraschi, mano- morta ecclesiastica, particolari istituti giuridici che gravavano sui complessi feudali, dogane, gabelle, passi, usi proibitivi, mancanza di commercio, pesantezza delle giurisdizioni, concentrazione della terra in mano alla feudalità e alla Chiesa, pochezza delle mani- fatture e delle nuove fabbriche reali erano tutti impedimenti che bloccavano qualsiasi tentativo di modernizzazione. Soprattutto nel programma «popolazionistico» proposto da Ge- novesi era indispensabile, come si è visto, la rimozione dalle pa- stoie giuridiche che vincolavano il mercato e la convenevole con- duzione dei fondi agricoli: quindi un’adeguata istruzione agraria, un moderno catasto in grado di assicurare una giusta proporzione tra imposte e reddito prodotto, la liberalizzazione del commercio (a partire da quello del grano), un configurazione diffusa e parcelliz- zata della proprietà fondiaria che si doveva forgiare anzitutto attra- verso la censuazione del ricco patrimonio ecclesiastico. Sono, dunque, queste le proposte che sono recepite e fatte pro- prie dai magistrati sia della Camera della Sommaria che della Ca- mera di S. Chiara. Vivenzio, Cianciulli, Simonetti ed altri fiscali di minore spessore (insieme ad altri cinque-sei togati della Camera di S. Chiara) emettono, non a caso, delle importanti sentenze a tal proposito. Gli stessi magistrati, poi, restano freddi, se non ostili, di fronte alla possibilità di percorrere altre strade per l’attuazione di questo progetto, come ad esempio quella di formare una me- dia-grande proprietà agraria attraverso la vendita dei feudi devo- luti senza giurisdizione75. È il programma del marchese Palmieri e del duca di Cantalupo, che volevano risolvere contemporanea- mente l’annoso problema feudale e poi, nello stesso tempo, con le somme introitate comprare gli arrendamenti statali76. Tuttavia, mentre il programma di Genovesi e Galanti non si contrapponeva all’alterazione delle istituzioni del Regno, quello del duca di Cantalupo era profondamente eversivo nei confronti delle stesse. E questo non era assolutamente un fatto di poco conto. 75 Sul ruolo di questi fiscali della Camera della Sommaria e degli altri magi- strati della Camera di S. Chiara, cfr. Ivi, tomo II, pp. 281 sgg. 76 Su questo punto A.M. Rao, L’«amaro della feudalità» cit., pp. 456-481; Ead., Nel Settecento napoletano: la questione feudale, in R. Pasta (a cura di), Cultura, in- tellettuali e circolazione delle idee nel ’700, Franco Angeli, Milano, 1990, pp. 51 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 137136 che nel Regno di Napoli non trova piena applicazione, specialmente nei confronti di un vecchio ordine costituzionale di antico regime, costruito e consolidatosi sulla base di delicati equilibri tra sovra- no e corpi sociali, tra sovrano e poteri intermedi. Il programma di riforme che si intende attuare nel Regno di Napoli non è quindi, e non può essere, lo stesso della Toscana, del Milanese, della Francia del Nord. Il modello di fisiocrazia meridionale non si fonda, infatti, sulla costruzione di nuovi valori in grado di selezionare una nuova classe dirigente in base al censo e alla proprietà fondiaria86. Nelle riforme fisiocratiche portate avanti nel Regno di Napoli, l’incorag- giamento alle comunità di coltivatori non è inoltre propedeutico alla nascita della «nazione dei proprietari», dove le vecchie logiche di ceto sono sostituite da una nuova ideologia che unifica i valori all’insegna del censo, del catasto e della proprietà. 4. Carlo di Borbone e la Spagna: verso il superamento del modello della «Nuova Pianta» nella costruzione dello Stato moderno nel Re- gno di Napoli Il ruolo di Genovesi e di Galanti vanno inquadrati, specialmen- te per quanto concerne i regni di Carlo di Borbone e Ferdinando IV, anzitutto all’interno del modello politico che avvicina il Regno di Napoli alla Spagna. Soprattutto Genovesi, va visto come un teorizzatore di un pro- gramma di riforme che si presta ad essere attuato prima nel Regno di Napoli e poi, quando Carlo di Borbone diventa re di Spagna, ai necessari adattamenti connessi alle esigenze spagnole, di qui la sua successiva fortuna che lo porta a diventare uno dei massimi riferi- menti teoretici dell’azione di governo condotta da quella monarchia. Prima del 1759, si ha infatti la netta sensazione che Carlo di Borbone utilizzi il Regno di Napoli come un grande laboratorio in cui si possa finalmente sperimentare una nuova tipologia di Stato. Questo sovrano, a partire dal 1734, per modernizzare le istitu- zioni del Regno di Napoli si serve di quel modello spagnolo che si era imposto dopo la guerra di successione, con l’avvento di Filippo V, e che aveva poi connotato l’azione di governo della monarchia 86 Su questi punti, cfr. G. Delille, Le maire et le prieur. Pouvoir centrale et pouvoir lo- cal en Méditerranée occidentale (XVe-XVIIe siècle), École française de Rome, Rome, 2003. iberica anche negli anni successivi87. Con la Nuova Pianta, tutti gli ex Regni sono retrocessi a province. Gli strumenti di cui si serve Filippo V sono in primo luogo la figura dell’intendente, una carica nata al fine di ottenere una gestione più moderna delle istituzioni fiscali. Gli intendenti, come ha evidenziato moltissima storiografia, finiscono per sommare diverse competenze nel settore dell’econo- mia e della sfera giurisdizionale e militare. A differenza della Francia, dove queste figure sono reclutate tra le fila della nobiltà di toga, in Spagna provengono innanzitut- to dai quadri militari88. Con l’avvento di Filippo V, esiste infatti una particolare propensione nel ricorrere ai quadri dell’esercito per modernizzare le istituzioni. Anzi, a partire proprio della guerra di successione, si registra in questo Paese una vera e propria «milita- rizzazione della società»89. Altro elemento di spicco: la creazione di una nobiltà di servizio, a partire ancora da Filippo V, reclutata non più in base alla politi- ca di integrazione che, da Carlo V ed almeno fino a Carlo II, aveva 87 A. Àlvarez-Ossorio Alvariño, Introduzione a Famiglia, nazioni e monarchia. Il sistema europeo durante la Guerra di Successione spagnola, «Cheiron», 39-40 (2004), pp. 7 sgg. Vedi anche F. Tomás y Valiente, Gobierno e instituciones en la España del Antiguo Régimen, Alianza Editorial, Madrid, 1982; P. García Trobat, J. Correa Ballester, Centralismo y administración: los intendentes borbónicos en Esaña, «Quaderni fiorentini», XXVI (1997), pp. 39-40; F. Andùjar Castillo, Neces- sidad y venalidad España e Indias, 1704-1711, Madrid, 2008; V. Peralta Ruiz, Pa- trones, clientes y amigos. El poder burocrάtico indiano en la España del siglo XVIII, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, 2006; A. Gonzáles Enciso, «Les finances royales et les hommes d’affaires au XVIIIe siècle», in A. Dubet (a cura di), Les finances royales dans la monarchie espagnole (XVIe-XIXe siècles), Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 2008, pp. 227-241; A. Álvarez-Ossorio Alvariño, Naciones mixtas. Los jenizaros en el gobierno de Italia, in Id., B.J. García García (a cura di), La Monarquía de las Naciones. Patria, nación y naturaleza en la Monarquía de España, Fundación Carlos de Amberes, Madrid, 2004, pp. 597-652. 88 A. Dubet, Los intendentes y la tentativa de reorganizacón del control finan- cieroen España, 1718-1720, in G. Perez Sarrón (a cura di), Miάs Estado y mάs mercado. Absolutismo y economia en la España del siglo XVIII, Silex, Madrid, 2011; F. Abbad, D. Ozanam, Les Intendents espagnol du XVIIIe siècle, Casa de Velázquez, Madrid, 1992, pp. 32 sgg. 89 F.J. Guillamón Álvarez, J.D. Muñoz Rodriguez, Las milicias de Felipe V. La militarización de la sociedad castellana durante la Guerra de Sucesión, «Revista de Historia Moderna», 25 (2007), pp. 89-112. Importanti anche i seguenti studi: A. Dubet, Entre dos modelos de gobierno de la hacienda militar. Las reformas de la Tesoreria Mayor en España en 1721-1727, in A. González Enciso, R. Torres Sánchez (a cura di), La costrucción de un Estado Militar: la monarquia española (1648-1814), in corso di stampa; Id., Control de la Hacienda y eficacia en el siglo XVIII. El proyecto de José Patiño (1724-1726), in corso di stampa; J. Jurado Sánchez, El gasto de la hacienda española durante el siglo XVIII. Cuantía y estructura de los pagos del Esta- do (1703-1800), Institutos de Estudios Fiscales, Madrid, 2006. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 139138 finito per privilegiare la nobiltà castigliana, ma anche fra i nuovi quadri delle compagnie paramilitari. In questo contesto, si assiste ad un duplice fenomeno: da una parte subentra la militarizzazione del territorio; dall’altra, dai quadri di questi reparti paramilitari, si forma una nuova gerarchia nobiliare dipendente direttamente dal sovrano. È una politica mirata perché si sposa con i criteri di omoge- neizzazione dell’élite insiti nella riforma della Nuova Pianta e quindi soprattutto con la creazione di un nuovo ceto dirigente fondato sulla nobiltà di servizio. In questo modo, la creazione di nuove compagnie militari diventa non solo uno strumento essenziale nella formazione dell’esercito borbonico, ma anche un formidabile elemento di mobili- tà sociale. Filippo V, come è stato sottolineato, promuove sul campo leve private. In cambio del reclutamento il sovrano accorda la con- cessione di patenti di ufficiale. Ne scaturisce una vasta mole di cari- che venali che aumenta in conseguenza delle congiunture belliche90. Questo rapporto tra il reclutamento dell’esercito – con la crea- zione di corpi speciali distinti dall’esercito regolare (Guardias Reales, Guardias de Corps, Guardias de Infanteria, Españolas e Walonas, Alabarderos) – e una nuova promozione nobiliare provoca anche una diversa composizione nell’apparato di Corte. È soprattutto in- torno a quest’ultima che si cementa il nuovo reclutamento nobiliare ed è appunto al suo interno che si creano nuove gerarchie. Con la promozione esponenziale dei quadri ufficiali di questi corpi, aumen- tano al suo interno gli esponenti di provenienza militare; ciò provoca il trasferimento delle competenze del Mayordomo Mayor di Palazzo, una delle cariche politiche più importanti in quanto la più vicina ed a contatto permanente con il re, nelle mani del capitano della Guardia de Corps, una figura di nuova creazione91. Le possibilità di carriera di questi ufficiali sono, inoltre, sottratte al controllo degli altri quadri militari. La promozione dipende in prima istanza dal co- mando delle stesse unità militari ed in ultima istanza dal sovrano92. 90 A. Dubet, José Patigño y el control de la Hacienda. Una cultura admistrativa nueva?, in M. López Díaz (a cura di), Èlites y poder en las monarquías iberica. Dal siglo XVII al primer liberalismo, Biblioteca Nueva, Madrid, 2013, pp. 39-56. Sulle leve private e la venalità delle cariche militari, vedi F. Andujar Castillo, La privati- zación del reclutamiento en el siglo XVIII: el sistema de asientos, «Studia Historica. Historia Moderna», 25 (2003), pp. 123-147. 91 Id., La corte y los militares en el siglo XVIII, «Estudis: Revista de historia moderna», 27 (2001), pp. 211-238. 92 Ivi, pp. 240 sgg. Ai nuovi ufficiali si aprono quattro diverse strade per il com- pletamento del cursus honorum: a) la possibilità di concludere la carriera nel corpo di appartenenza; b) passare nei ranghi dell’esercito regolare; c) prestare servizio Andujar Castillo ha dimostrato come alcune di queste famiglie, provenienti dalle leve militari, giungessero ad assumere delle posi- zioni di prestigio in seno alla Guardia Real; posizioni che poi veni- vano consolidate mediante mirate strategie patrimoniali e familiari ed altri rapporti di patronage. In questo percorso, il momento più importante della modernizzazione delle istituzioni spagnole, come ha dimostrato Anne Dubet, è costituito appunto dalla creazione della figura dell’intendente, una figura che si integra con un’am- ministrazione che si articola intorno ad un tessuto di organismi collegiali, i consejos, esercitanti il loro governo in modo indiretto93. L’intendente aveva perciò competenza sul funzionamento e sull’amministrazione di municipios e comarcas, tenendo il sovrano informato attraverso il consejo corrispondente94. Nel Settecento, vi è un’evoluzione della figura dell’intendente95: nel 1749 è infatti istituita un’Intendenza per ogni provincia – oltre al corregimiento della Capitale – con competenze in materia di giu- stizia, polizia, finanza e guerra96. Molti elementi comuni all’esperienza spagnola si hanno nel processo di modernizzazione delle istituzioni del Regno di Napoli, almeno a partire dall’avvento di Carlo di Borbone (1734). Poi, però, lo stesso re sperimenta nel Regno un nuovo sistema di costruzione di Stato moderno che, dopo il 1759, sarà adottato anche in Spagna. Si è visto il ruolo delle nuove Segreterie di Stato e del loro nuovo rapporto con i tribunali regi. Le decisioni politiche di queste ultime sono supportate, come detto, dalla Camera di S. Chiara che diventa lo strumento del «nuovo diritto del re». Essa, di fatto, limita il potere giurisdizionale degli altri tribunali. È la via che porta allo Stato accentrato da parte dei Borbone. Poi il controllo diretto del centro sulla periferia. Le Regie Udienze vengono svincolate comple- tamente dall’influenza dei tribunali ed assoggettati alle Segreterie con funzioni burocratiche di tipo politico-territoriali; d) l’inserimento in privilegiate mansioni civili nella Corte. 93 A. Dubet, Los intendentes y la tentativa de reorganizacón cit.; P. García Tro- bat, J. Correa Ballester, Centralismo y administración cit., pp. 20 sgg. 94 Ivi, p. 30 95 H. Kamen, El establecimiento de los intenentes en la administración espaňola, «Hispania», XXIV (1964), pp. 368 sgg.; L. González Antón, El territorio y su ordena- ción politico-adiministrativa, in M. Artola (a cura di), Enciclopedia de Historia de España, vol. II, Instituciones politicas. Imperio, Alianza Editorial, Madrid, 1988, pp. 63 sgg. 96 P. García Trobat, J. Correa Ballester, Centralismo y administración cit., pp. 19 sgg. I nuovi assetti istituzionali del Regno di Napoli nel periodo di Maria Carolina Giuseppe Cirillo 141140 di Stato. La prova è fornita anche dalla trasformazione dei presidi delle Regie Udienze in una sorta di intendenti spagnoli, dotati di consistenti competenze militari. Anche gli intendenti dei Siti Reali borbonici, dotati di un’am- ministrazione autonoma rispetto alla Segreteria di Reale Azienda, rimandano al modello spagnolo. Sperimentare su beni patrimoniali della monarchia un nuovo tipo di amministrazione con funzionari che non vengono da un percorso legato alle magistrature ma che sono dei tecnici, spesso anche militari, sostanzia ancora di più tale indirizzo teorico97. Poi, altre tre importanti riforme: la tavola della nobiltà del 1756; la formazione della nobiltà di servizio; la creazione dei nuovi reggimenti per il governo degli enti locali. Il punto di partenza è il reclutamento della nuova nobiltà. Fin dall’insediamento al trono Carlo di Borbone opera in almeno due direzioni: contrasta, e spesso penalizza, le famiglie che hanno ac- quisito uno status nobiliare durante il Viceregno austriaco, sosti- tuendole con altre di fedeltà sperimentata verso il nuovo regime; agisce soprattutto sulla promozione di centinaia di nuove famiglie nei seggi nobiliari delle città regie. È ovviamente la Camera di S. Chiara lo strumento principale di questa nuova politica. Segue, poi, una programmazione più ampia, da parte della monarchia, nel creare una nobiltà di servizio che sfocia nella riforma della tavola della nobiltà del 175698. È soprat- tutto in questa seconda fase che si ravvisano i numerosi punti in comune con l’esperienza spagnola. Dei tre tipi di nobiltà in cui viene suddivisa la nobiltà del Regno di Napoli solo la prima, quella «gene- rosa» (proveniente da alcuni patriziati esclusivi di non più di venti città del Regno e dalle famiglie del baronaggio che sono titolari da più di 200 anni del titolo feudale), è destinata a diventare la nuova nobiltà di servizio. Questa è plasmata, inoltre, mediante una evolu- zione graduale ben precisa: l’appartenenza alla prima nobiltà gene- rosa, il reclutamento nell’esercito nazionale, il servizio presso alcuni settori della burocrazia statale (come presidi ed uditori delle Regie Udienze). Tale percorso viene infine suggellato dall’ingresso a Corte. 97 Vedi i saggi contenuti nel volume G. Cirillo, I. Ascione, G.M. Piccinelli (a cura di), Alle origini di Minerva trionfante. Caserta e l’utopia di S. Leucio. La costru- zione dei Siti Reali borbonici, Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per gli Archivi, Roma, 2012. 98 G. Cirillo, Virtù cavalleresca cit., pp. 12 sgg. Rispetto alla Spagna ed al modello di Filippo V, il cammino ine- rente la mobilità della nuova nobiltà di servizio è dunque molto più erto, tradizionale, basato sulla purezza di sangue e sulle ristrette genealogie. Poi, a partire dalla reggenza di Tanucci, la riforma dei reggi- menti cittadini delle città in demanio. La partecipazione a questi governi è ora generalmente ampliata a quattro ceti, questo anche perché il dibattito fisiocratico ha ormai influenzato il governo del Regno: oltre alla nobiltà urbana ed ai popolari, si aggiungono i rap- presentanti delle arti (che assumono particolare rilievo in diverse cittadine) ed i massari (in rappresentanza della nuova borghesia fondiaria emergente). In realtà, questa riforma porta a tre conseguenze precise: in- nanzitutto è ampliata la rappresentanza popolare nei governi citta- dini; la monarchia vigila da vicino sulle nuove aggregazioni e per- segue una politica di controllo del patriziato esclusivo delle città che fanno parte della nobiltà generosa; dagli anni Settanta comin- cia a perseguire anche un controllo ferreo sulle amministrazioni e sui patriziati delle principali città del Regno. È il proseguimento di una politica di accentramento che, dopo il reclutamento della nobiltà di servizio intorno alla Corte, porta anche al controllo delle amministrazioni e della classe dirigente delle principali città del Regno99. Importanti soprattutto la completa dipendenza e il controllo della nobiltà urbana da parte della monarchia, non solo nelle di- verse tipologie di città regie ma anche nelle città feudali. Alcune consulte della Camera di S. Chiara degli anni ’80 del Settecento precisano che tutto quello che attiene alla sfera delle nobilitazioni dipende infatti dall’esclusiva competenza della monarchia100. Si può affermare che la creazione della nobiltà di servizio sia anche da leggere con la nuova alleanza in corso fra la monarchia borbonica e le élite delle città del Regno. 99 Ivi. Sul sistema di Corte, vedi anche E. Papagna, La corte di Carlo di Borbo- ne, il re «proprio e nazionale», Guida, Napoli, 2011. Per un inquadramento generale, cfr. G. Galasso, Il Regno di Napoli, IV, Il Mezzogiorno borbonico e napoleonico (1734- 1815) cit. Ora vedi anche, Id., Il Regno di Napoli. Società e cultura nel Mezzogiorno moderno, UTET, Torino, 2011, pp. 96 sgg. 100 G. Cirillo, Identità contese. La «Tavola della nobiltà» di Carlo di Borbone e le riforme dei governi cittadini nel Regno di Napoli nel Settecento, in A. Giuffrida, F. D’Avenia, D. Palermo (a cura di), Studi storici dedicati ad Orazio Cancila, «Quaderni Mediterranei», Palermo, 2011, pp. 949-996. Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla figlia Maria TeresaFrancesco Cotticelli 147146 motivazioni recondite che si affiancano a quelle ufficiali di testimo- nianze accreditate, di commenti approfonditi che illuminano altre verità, un approccio alla viva materia teatrale che restituisce tas- selli sempre significativi a mosaici inevitabilmente imperfetti1. In fondo, anche la laconicità, il silenzio, il breve, folgorante passaggio recano informazioni preziose, su quel che la cultura di un’epoca ritiene acquisito, su un’ideale scala di valori che a volte mette in discussione lo sguardo a posteriori dell’indagine storica, sul senso che a quell’esperienza d’arte si attribuiva e si attribuisce e su come essa possa riflettere un clima, un momento. È un principio che si fa ancora più decisivo quando si registra un evidente scompenso fra il rilievo del fenomeno spettacolo in un’epoca e la consistenza di materiali documentari che possano – con maggiore perspicuità – servire a restituirne tutta la complessità e l’articolazione. È il caso del Settecento napoletano, una stagione non a torto riconoscibile come una sorta di siglo de oro del teatro e della musica, in cui si impose il mito della città cantante destinato a durare nei secoli: con l’avvento di re Carlo e l’inizio di un regno autonomo nell’instabile scacchiere europeo, si portò a compimento un investimento sulla scena come forma di espressione culturale, di comunicazione e di propaganda che aveva già ispirato l’ultima stagione vicereale (il dominio austriaco dal 1707 al 1734), ma i testi ufficiali che scandirono una letterale esplosione del settore, Un vivo ringraziamento ad Andrea Sommer-Mathis (Vienna). Abbreviazioni utilizzate: Asn, Ab: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone; Hhsaw: Haus-, Hof- und Staatsarchiv in Wien, Austria. 1 Oltre alle appendici della benemerita serie dedicata a Il Teatro italiano pub- blicata anni or sono da Einaudi, queste brevi riflessioni sono state alimentate da una serie di letture, in primis S. Ferrone, Introduzione, in Comici dell’Arte. Corrispon- denze (G.B. Andreini - N. Barbieri - P. M. Cecchini - S. Fiorillo - T. Martinelli - F. Scala), edizione diretta da S. Ferrone, a cura di C. Burattelli, D. Landolfi, A. Zinanni, 2 voll., Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 1993, pp. 11-51 (in particolare pp. 16-23); quindi E. D’Auria (a cura di), Metodologia ecdotica dei carteggi, Atti del convegno internazionale di studi, Roma, 23-25 ottobre 1980, Le Monnier, Firenze, 1989; C. Viola (a cura di), Le carte vive. Epistolari e carteggi nel Settecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011 (qui in particolare S. Schwarz, La forma epistolare fra scrittura privata, critica letteraria e prosa scientifica. Un tentativo di tipologia testua- le, pp. 25-40; ma di Viola si veda anche Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliografico, Edizioni Fiorini, Verona, 2004 e Epistolari italiani del Settecento. Re- pertorio bibliografico. Primo Supplemento, con riferimento al lavoro di A. Postigliola (a cura di), Epistolari e carteggi del Settecento. Edizioni e ricerche in corso, Società Italiana di Studi sul Secolo XVIII, Roma, 1985 e agli studi del C.R.E.S. – Centro di Ricerca sugli Epistolari del Settecento). legati alle istituzioni che a corte e a Palazzo sovrintendevano alle sale, agli artisti, agli impresari e alle maestranze tutte raccolti negli archivi di Casa Reale Antica, sono ormai irrimediabilmente perdu- ti. Non mancano altri filoni di investigazione, come i resoconti delle ambascerie consultabili presso altre capitali europee, o le polizze dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, ma, al di là delle inevi- tabili prudenze metodologiche (il peso di contingenze storiche che rendono alcuni giacimenti di maggiore interesse per determinate fasi, la maggiore sensibilità verso il teatro come forma di sociabi- lità carica di valenze simboliche per la propria cultura d’origine, o ancora la prospettiva univoca di un meccanismo contabile che solo di rado, per eccezioni o anomalie, restituisce affreschi più precisi), spicca il carattere non sistematico di questi lacerti informativi, an- che se talora molto numerosi2. Gli scambi epistolari possono integrare trame lacunose, o for- nire dettagli altrimenti sottratti alla memoria: è un’importanza per così dire di riflesso, che mette in relazione fatti e testimonianze e fa 2 Per uno sguardo d’insieme al Settecento teatrale napoletano, oltre ai classici B. Croce, I teatri di Napoli. Sec. XV-XVIII, Pierro, Napoli, 1891 (e successive edizio- ni) e U. Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei secoli XVII-XVIII, in F. De Filippis, U. Prota-Giurleo, Il Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, L’Arte Tipografica, Napoli, 1952, pp. 17-146, si vedano F.C. Greco, Teatro napoletano del ’700. Intellettuali e città tra scrittura e pratica della scena, Pironti, Napoli, 1981; F. Cotticelli, P. Maione (a cura di), Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, 2 voll., Turchini, Napoli, 2009. Sulle questioni metodologiche, cfr. F. Cotticelli, P. Maione, Le istituzioni musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734). Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Luciano, Napoli, 1993; Id., «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli». Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricor- di, Milano, 1996 (in particolare le pp. 7-22); G. Di Dato, T. Mautone, M. Melchionne, C. Petrarca, P. Maione (coordinatore), Notizie dallo Spirito Santo: la vita musicale a Napoli nelle carte bancarie (1776-1785), in M. Columbro, P. Maione (a cura di), Do- menico Cimarosa: un ‘napoletano’ in Europa, Lim, Lucca, 2004, tomo II, Le fonti, pp. 665-1197; P. Maione, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies», 4 (2000), pp. 1-129; Id., F. Cotticelli, Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1732-1733, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies», 5 (2006), pp. 21-54 con cd-rom allegato (Spoglio delle polizze bancarie di interesse teatrale e musicale reperite nei giornali di cassa dell’Archivio del Banco di Napoli per gli anni 1732-1734); Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento: 1726-1736, «Studi pergolesiani / Pergolesi Studies», 9 (2015), con contributi sulla musica sacra (Marina Marino, pp. 659-677); sulla musica nei chiostri femminili (Angela Fiore, pp. 679-714); sul Teatro di San Bartolomeo (Carla Ardito, pp. 715-732); sulla commedeja pe museca (Paologiovanni Maione, pp. 733-763); sul teatro istrionico (Francesco Cotticelli, pp. 765-778). Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla figlia Maria TeresaFrancesco Cotticelli 149148 luce su episodi più o meno noti. Essenziale sembra un altro discor- so, ovvero quanto la presenza di riferimenti alle pratiche musicali, alle messinscene, ai cantanti e agli attori delle vicende su cui indugia il racconto attesti da un lato il prestigio dello spettacolo nella cultura settecentesca – e segnatamente a Napoli – in un ambito aristocratico e non, dall’altro il rilievo della sua funzione metaforica, per cui l’in- dicazione tecnica, il commento personale, lo spunto critico siano oc- casione per una riflessione più generale sul crepuscolo di un mondo. Ciò vale soprattutto al cospetto di autori d’eccezione, come la regina Maria Carolina in anni difficilissimi del suo regno, in un inestricabile groviglio di tensioni politiche e passioni private su cui a ragione si continua ad indagare. I Sammelbände del Fami- lienarchiv custodito allo Haus-, Hof- und Staatsarchiv di Vienna conservano, nei Kartons 52-56, alcuni volumi rilegati (e più rara- mente carte sciolte) con le lettere che l’imperatrice Maria Teresa, figlia di Ferdinando re di Napoli e di Maria Carolina d’Asburgo e moglie di Francesco I, ricevette da vari corrispondenti in Europa, ma in particolare dai genitori e dai fratelli3. La primogenita di casa Borbone andò in sposa all’arciduca nel 1790; ascese al trono solo due anni dopo, alla morte di Leopoldo II. Il matrimonio fu un altro tassello nel mosaico delle relazioni internazionali fra il regno me- ridionale e le potenze europee, in una fase in cui la lenta e difficile sottrazione all’egemonia spagnola e all’influenza di Carlo segnò un decisivo avvicinamento a Vienna, nonché l’apice dell’influenza po- litica della regina nei destini dello stato: una stagione controversa, nella quale non a caso presero corpo tutti quegli argomenti che avrebbero alimentato una duratura vulgata sulla sovrana, travolta dalle vicende rivoluzionarie, e sempre più simbolo di un mondo e 3 Informazioni tecniche sono reperibili sul sito dell’archivio viennese (cfr. http://www.archivinformationssystem.at/detail.aspx?ID=881). Una prima disamina dell’interesse per la storia della musica e del teatro a Napoli è in F. Cotticelli, Sinfonie d’autunno. Notizie teatrali da Napoli per l’Imperatrice Maria Teresa (1793-1795), in L. Sannia Nowé, F. Cotticelli, R. Puggioni (a cura di), Sentir e meditar. Omaggio a Elena Sala Di Felice, Aracne, Roma, 2006, pp. 207-218. Le unità archivistiche provenienti da questo fondo sono citate con l’abbreviazione FA, SB facendo riferimento anche ad un’antica catalogazione (riportata fra parentesi quadre) che permette di individuare direttamente le fonti confluite nei diversi Kartons. Poche invece le lettere superstiti inviate da Maria Teresa alla madre, che occupano le carte 355-463 in Asn, Ab, vol. 99, che parte dal 1802 fino al 1807, anno della morte dell’imperatrice (nel vol. 100 la corrispondenza con l’imperatore Franz dal 1810 al 1814). di rituali definitivamente tramontati, lei che era stata educata in una corte-modello, accanto a protagonisti d’eccezione della cultura settecentesca (e basterebbe qui il nome di Pietro Metastasio)4. Maria Carolina si era largamente adoperata per le nozze della figlia, allorquando Francesco era rimasto vedovo della prima con- sorte Elisabeth Wilhelmine von Württemberg: tra le testimonianze più significative v’è una lettera scritta al fratello Leopoldo in cui decanta la sua squisita formazione artistica: «elle sait la musique bien, le clavecin, chant, et un peu d’harpe; elle danse bien»5. In 4 Sulla scia delle ricerche ottocentesche, soprattutto di Michelangelo Schipa e Benedetto Croce, il personaggio di Maria Carolina ha continuato a suscitare note- vole interesse, anche se le diverse scuole storiografiche segnate da spiccate tenden- ze nazionalistiche non sembra abbiano sempre dialogato tra di loro o acquisito la differente prospettiva (o il pregiudizio) come ulteriore elemento di riflessione. Da un lato, la storiografia di parte asburgica ha enfatizzato lo spessore tragico della figlia di Maria Teresa che si trovò più direttamente coinvolta nella decisione dei destini europei tra fine Settecento e primo Ottocento, sottolineandone l’attaccamento a valori tràditi e all’educazione imperiale (su tutti il profilo di E.C. Conte Corti, Ich, eine Tochter Maria Theresias. Ein Lebensbild der Königin Marie Karoline von Neapel, Verlag F. Bruckmann, München, 1950, cui oggi si aggiungono U. Tamussino, Eine Biographie der Königin Maria Carolina von Neapel-Sizilien, Deuticke, Wien, 1991 e F. Hausmann, Herrscherin im Paradies der Teufel. Maria Carolina Königin von Neapel. Eine Biographie, Beck, München, 2014 – si veda qui per la politica matri- moniale pp. 127-128), dall’altro si segnala l’interesse francese per una sovrana che assunse politicamente e simbolicamente il ruolo fascinoso di un’anti Napoleone in anni cruciali per il continente (M. Lacour-Gayet, Marie Caroline Reine de Naples (1752-1814). Une adversaire de Napoléon, Tallendier, Paris, 1990), tra rispetto e trionfalismo. Non più equilibrata la storiografia napoletana, che – al di là di storie e leggende alimentate da una propaganda ottocentesca – ne ravvisa la portata simbo- lica in termini di personalità prevaricatrice e reazionaria, impegnata in un pericolo- so boicottaggio dei fermenti di novità illuminate che interessavano il Mezzogiorno (si veda R. Ajello, I filosofi e la regina. Il governo delle Due Sicilie da Tanucci a Caracciolo (1776-1786), «Rivista Storica Italiana», 103 (1991), pp. 398-454 e pp. 657-738 – per una disamina storiografica cfr. pp. 733-738), marcatamente distante dalle ricerche di area tedesca. Sulla figura controversa cfr. M. Mafrici, Un’austriaca alla Corte napoletana: Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, in Ead. (a cura di), All’ombra della corte. Donne e potere nella Napoli borbonica (1734-1860), Fridericiana Editrice Uni- versitaria, Napoli, 2010, pp. 51-82. 5 Lettera di Maria Carolina a Leopoldo, 21 aprile 1790, custodita in Hhsaw, FA, SB, K. 19, cit. in J. Rice, L’imperatrice Maria Teresa (1772-1807) collezionista ed esecutrice delle musiche di Cimarosa, in Domenico Cimarosa: un ‘napoletano’ in Europa cit., pp. 329-345 e Id., Empress Marie Therese and Music at the Viennese Court, 1792-1807, Cambridge University Press, Cambridge, 2003, p. 2. Informa- zioni sull’educazione della futura imperatrice si desumono anche dal diario della regina Maria Carolina (cfr. infra), pubblicato da C. Recca, Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Mi- lano, 2014; cfr. ad esempio «le soir il y eut musique où la Térèse joua du clavesin» (29 settembre 1782 – p. 102); «Thérèse bien portante et avançant bien dans son Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla figlia Maria TeresaFrancesco Cotticelli 151150 realtà, nulla di sensazionale per una principessa d’ancien régime, per la quale la musica, il canto, la danza erano elementi d’istru- zione basilare (non era stato diverso per la madre, e i frammenti del diario della regina non lesinano informazioni – anche se laco- niche – sui momenti di socialità al cembalo e alla danza condivisi con les enfants6): rilevante è il fatto che in Austria Maria Teresa fu attivissima mecenate, costituendo una biblioteca specialistica e in- tessendo rapporti con moltissimi compositori, mentre si misurava come cantante e virtuosa nei frequenti concerti privati che si te- nevano a corte7. Era forse parte di questa passione l’interesse con cui tenne vivo ogni contatto con la terra d’origine, se si pensa alle trascrizioni manoscritte di stralci di avvisi dell’epoca inviati a lei da vari interlocutori, fitti di notizie sullo spettacolo a Napoli e nelle province, che si affiancano alla fitta corrispondenza della madre, del padre (un affettuoso, tenerissimo Ferdinando che scrive in un italiano non scevro di suggestioni dialettali testi da riconsiderare nell’immagine della sua regalità, da sempre oggetto di discussio- ne), e, naturalmente, dei fratelli. Va da sé che queste lettere non nascono come resoconti sulla musica e sul teatro, anche se si tratta di accenni tutt’altro che spo- radici; tengono vivo un dialogo a distanza, entro cui si scorgono le interferenze sempre più marcate fra legami familiari e ruoli istitu- zionali. Richiamano al fondo qualcosa della scrittura diaristica, se éducation» (31 dicembre 1782 – p. 136). Un indizio della familiarità di Casa Reale con la pratica musicale è desumibile anche dalla corrispondenza raccolta da N. Verdile, Un anno di lettere coniugali. Da Caserta, il carteggio inedito di Ferdinando IV con Maria Carolina, Spring, Caserta, 2008; si vedano in particolare le lettere del 5 e 17 ottobre 1788 e del 19 e 20 novembre 1789, dove spicca la figura del segretario dell’ambasciatore austriaco a Napoli e appassionato di musica Norbert Hadrava, su cui cfr. G. Gialdroni, La musica a Napoli alla fine del XVIII secolo nelle lettere di Norbert Hadrava, in «Fonti musicali Italiane», I (1996), pp. 75-143. 6 Cfr. sempre C. Recca, Sentimenti e politica cit., passim. 7 Il profilo più completo è offerto da J. Rice, Empress Marie Therese cit. Qualche breve ragguaglio sulla passione per gli spettacoli anche in Asn, Ab, vol. 99: Laxem- bourg, 11 agosto 1806 «Aujourd’hui nous celebrons l’octave de S. Francois pur (sic) un petit jeu dans le jardin, et pur une cantate, et un petit ballet ou mes Enfans dansent entre nous» (c. 430r); Vienne le 10 Janvier 1807 cc. 452r-v «Le Carneval aus- si, et cette année etant court il sera très brillant, car on donnerà beaucoup de balls» (c. 425v); Vienne le 24 janvier 1807 «Le Carneval est très brillant et gay chaque jour plusieurs Balls, Comedies de Societe amusements j’ai dejà donné un petit ball a mes enfants» (c. 453r); Vienne le 14 Fevrier 1807 «J’envois […] la description de la petite fete que je lui ai donnée son jour [all’imperatore], et ou il s’est amusèe a merveille, j’ose dire qu’elle etoit simple et jolie. Une Comedie qui devoit etre demain aurà lieu a l’Octave […] elle sera tres interessante et un beau spectacle» (cc. 457r-v). è vero che mettono ordine in una serie di pensieri sulla sfera pub- blica e privata che è innanzitutto proiezione di sé (nell’impossibilità di ricostruire uno scambio che fu con ogni probabilità intenso, e costante). Sul piano tecnico, i riferimenti allo spettacolo restitui- scono qualche traccia informativa, documentando il trasformarsi di consuetudini e la netta diversificazione dei repertori che esplose letteralmente negli ultimi decenni del Settecento, ma il dato più in- teressante resta una sorta d’interpolazione metaforica, come a dire, l’accenno agli eventi di scena a Napoli da un lato intende rispondere alla nota curiosità di chi legge, dall’altro suggella riflessioni, stati d’animo generali (per lo più un taedium, un disagio) che trovano eco in quel rito mondano intimamente connesso alla vita di una sovrana. I commenti non tradiscono mai incompetenza; piuttosto, un’attitudine che trascende la singola occasione e si fa cifra dei ritmi convulsi insieme della microstoria e della macrostoria. L’ennui che affiora a più riprese nel diario8 trapela anche in quelle missive che apparterrebbero con ogni probabilità a un mo- mento anteriore al trasferimento di Maria Teresa a Vienna, in una sorta di intrattenimento familiare e di intimità non motivato da un’effettiva distanza, dove la cronaca – come non di rado accade 8 Si veda, sempre da C. Recca, Sentimenti e politica cit., «je suis allé au théâtre – voire la comédie chez Théâtre Florentin qui m’enuya mortellement» (15 dicembre 1781 – p. 90) ; «puis nous allâmes à la nouvelle représentation de l’opéra comique aux florentins – le théâtre étoit plein – je m’y enuois bien» (5 ottobre 1782 – p. 105) ; «ensuite au théâtre neuf – à l’opéra nouveau de la composition de Corleto qui me parut détéstable» (16 ottobre 1782 – p. 111) ; « je […] allois aux théâtre Florentin – où je m’enuyois beaucoup» (27 ottobre 1782 – p. 116); «ensuite l’opéra des florentins – où je m’enuya mortellement» (3 dicembre 1782 – p. 127). In un prossimo contributo si ragionerà più diffusamente dei lavori cui si fa riferimento. Il rilievo dell’ennui è ben messo in risalto da M. Traversier, Chronique d’un royal en- nui. Le journal de la reine Marie Caroline de Naples (1781-1785), in Acte du colloque Ecritures de familles, écritures de soi, Presses Universitaires de Limoges, Limoges, 2010, pp. 135-150; al saggio della Traversier e al volume di Cinzia Recca si rinvia anche per le riflessioni – e la bibliografia – sulla diaristica, sulle scritture dell’io, cui queste lettere si conformerebbero, con l’utile osservazione da ribadire che in realtà cerimoniale e autorappresentazione sono elementi imprescindibili per l’intelligenza dei comportamenti dei sovrani (e in particolare dei sovrani d’ancien régime), il che conferisce a questa corrispondenza – mai concepita per una lettura pubblica – un carattere peculiare, dal momento che un destinatario altro è sempre presente per formazione e orizzonte mentale. Anche per questo materiale archivistico vale il crite- rio per cui «le lettere sono offerte come documenti del tessuto culturale o morale che retrostà alle persone e che sembra utile rilevare, per far meglio conoscere il valore storico delle persone stesse» (A. Vecchi, Motivi per una ecdotica degli epistolari e dei carteggi, in Metodologia ecdotica dei carteggi cit., pp. 6-32: 20). Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla figlia Maria TeresaFrancesco Cotticelli 157156 correre al riparo dopo l’insuccesso, puntando su un titolo collau- datissimo, ma – entro certi aspetti – pericoloso per la temperie, considerando che avrebbe conteso alle tragedie alfieriane spazio nella programmazione della Repubblica napoletana: Die neue Oper, welche [...] in dem Theater di S. Carlo aufgeführt wurde, hat den erwarteten Beyfall nicht erhalten, wesswegen man beschlossen hat, statt dieser eine alte von dem Metastasio nämlich die Cattone sic in Utica, wovon die Musik von dem berühmten Paisello sic ist [...] aufzuführen28. Sono note le difficoltà in cui negli anni Novanta versano le im- prese dei Reali Teatri, economiche e burocratiche, certo, ma anche relative a una generale crisi del senso di quell’esperienza di socia- lità e di propaganda collegate a un mondo in declino29. Ne parla anche la regina, a più riprese. Il 4 giugno 1791 riferisce come l’opera a St. Charles le 30 est tres mauvaise de meme que les ballet y ayant un mauvais nouveau danseur, et pour feme (sic) tujours la Dupré, et pour chanter la Bandi (sic), au fondo il y a un mauvais opera boufe et un ballet passable, come votre cher Père et presque toujours a la Campagne je n’ai etè qu’une seule fois a chaque theatre, St Charles et Fondo […]30 e, solo pochi giorni dopo, racconta delle traversie economiche alle origini di questa situazione sconcertante per la capitale («notre vie et tres monotone, les theatres sont tous mauvais, l’entrepre- neur de St. Charles et du Fondo a fait Banqueroute […] ainsi vous pouvez juger quel (sic) spectacles nous avons»31). Sugli appunta- menti di Agosto non è meno incisiva («je n’aime point l’opera de St. Charles de meme que les ballets sont tres mauvais et cella unie a la chaleur eccessive que nous avons vue les theatres tres desa- 28 Ivi, cc. 20-22, 25 gennaio 1791, cc. 20r-20v. 29 Cfr. almeno F. Cotticelli, M. Esposito, La macchina teatrale tra gestione di Corte ed impresa privata, in G. Cantone, F.C. Greco (a cura di), Il Teatro del Re. Il San Carlo da Napoli all’Europa, Esi, Napoli, 1987, pp. 215-238 e P. Maione, F. Sel- ler, Vita teatrale a Napoli tra Sette e Ottocento attraverso le fonti giuridiche, in F.P. Russo (a cura di), Salfi librettista, Monteleone, Vibo Valentia, 2001, pp. 83-95; P. Maione, I virtuosi sulle scene giuridiche a Napoli nella seconda metà del Settecento, in Id. (a cura di), Fonti d’archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2001, pp. 477-486. 30 Hhsaw, FA, SB, K. 52, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1774-1791, [alt 42], cc. 287-292, 4 giugno 1791, c. 286v. 31 Ivi, cc. 302-305 16 giugno 1791, c. 302r. greables aussi quand votre cher Père n’y va point»32), lasciandosi andare a qualche informazione tra pubblico e privato che avrebbe sollecitato interessi e nostalgie dell’imperatrice: nous avons celebre hier le jour de francois dejeuner dine Opera […] Nous avons un mauvais Opera et ballet a St. Charles un mauvais au Fon- do mais un bon Ballet aux Florentins l’opera et bon de Paisiello que vous conossez du mentre d ecole la souer de la Coltellini la jeune joue tres bien l’autre n’est plus sur le theatre ayant epouse le neveu de Mericof la duprè s’est aussy marie au premier danseur Fabiani voila de belles nouvelles […]33. Qualche piccola luce ancora si intravede nella programmazione, come conferma anche il commento allo spettacolo di inizio novem- bre («l’opera de St. Charles et assez beau le ballet de Bajazet et Ta- merlano a assez bien reussy votre frere et sœurs s’y sont amusees […] il y a aussy au Fondo un beau balletet on louie les spectacles»34), ma è chiaro che le imprese e gli artisti lavorano in un generale ri- dimensionamento di risorse e aspettative. A completare il quadro intervengono incertezze e sperimentazioni; il lutto programmato nel Febbraio del 1793 all’indomani degli eventi di Francia35; il revival di occasioni private, che restituisce un quadro dissonante di istituzioni e strutture che proprio i decenni appena trascorsi avevano messo in discussione o sensibilmente trasformato (ma da Caserta a Portici a Napoli è una storia su cui fare ulteriormente luce): Des Königs Majestät, Welcher so wie der Kronprinz den Oktober Monat in Portici zubringen werden, haben daselbst in der hofreitschule ein Theater errichten lassen, wo abwechselnd Opern und Komödien gegeben werden, und vom Monarchen angefangen Jedermann ohne Ausnahme beim Eintritt seinen Platz bezalt. Auch haben Seine Majestät im Garten der Favorita eini- 32 Ivi, c. 358 16 aprile 1791, c. 358r. 33 Ivi, cc. 362-363, 20 agosto 1791, c. 362r e c. 363r. 34 Ivi, c. 416, 5 novembre 1791, c. 416v. 35 Hhsaw, Reichsarchive, Staatenabteilungen, Ausserdeutsche Staaten, Ita- lienische Staaten, Neapel, Berichte, K. 17, cc. 35-38, relazione dell’ambasciatore Esterhazy del 9 febbraio 1793; allegata a cc. 36r-36v la comunicazione da Caserta del 7 febbraio 1793 in cui si legge «In dimostrazione del dolore, di cui è penetrato il cuore di Sua Maestà Siciliana per l’infausta morte dell’infelice Luigi XVIo suo cugino, hà risoluto di vestirne il lutto per quattro Mesi, i due primi rigoroso, cosi altri due leggiero, da principiare Sabbato prossimo 9 del corrente. Il General Acton hà l’onore di prevenirne per Sua Attenzione Sua Eccellenza il Sig.r Ambasciatore di Vienna, e nell’atto stesso le rassegna i Sentimenti della Sua più distinta stima di ossequio». Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla figlia Maria TeresaFrancesco Cotticelli 159158 ge Spiele zubereiten lassen, welche zu Unterhaltung des Publikums dienen sollen. Ihre Majestät die Königin werden hieran, allem Anschein aus, wenig Theil nehmen, weil höchstselben das Fahren beschwerlich fällt36. La situazione viene opportunamente enfatizzata, con fini an- che rassicuranti: Letzten Sontag haben Seiner Majestät der König zum erstenmal den sogenannten Garten Favorita zu Portici, in welchem mehrere Spiele mit Musik zu Ergözung des Publikums veranstaltet worden, eröfnen lassen, und daselbst allen wohlgebleideten Personen den Eintritt gestattet, da- her der Zuspruch ziemlich zahlreich war, und nun allem Anschein nach wohl alle Sontäge während des Oktober Monats, wo Musik und Spiele wiederholt werden, seÿe dürfte, indessen erwähnten Garten zur promena- de täglich offen steht. [...] Abends erschien der Monarch in dem ebenfalls zum ersten mal in der hof-reitschule daselbst eröfneten Theater, welches vielen Beifall fand [...]37 ma solo pochi mesi dopo lo scenario sembra di nuovo tradire la tragica realtà della Unruhe Europas, che getta ombra sui diverti- menti del carnevale altrimenti soliti, da proibire sì in segno di pe- nitenza, ma anche per impedire l’incontro di figure sospette, data la presenza di diversi francesi nella capitale: Ich gebe mir die Ehre Euerer Excellenz die Abschrift des hier er- schienenen Königlichen Dispaccio beizuschliessen, mittels welches die sonst während des Karnevals üblichen maskirten Bälle für dieses Jahr verbothen werden, um statt deren, wie es heißt, sich vielmehr damit, zu beschäftigen von Gott in den gegenwärtigen betrübten Zeit-Umständen die Ruhe Europens zu erflehen, da indessen die Haupt-Absicht dabei wie voriges Jahr jene ist, die Zusammenkunft verdächtiger Leute unter dem Vorwand vom Maskeraden zu verhindern, besonders da wieder mehrere Franzosen hier anwesend sind38. 36 Ivi, cc. 272-273, 28 settembre 1793, c. 273r. 37 Ivi, cc. 283-290, 8 ottobre 1793, cc. 289r-289v. 38 Ivi, cc. 15-17, relazione del 27 gennaio 1794, c. 17r. Vi si legge anche una «Copia del dispaccio comparso in Napoli mediante il quale si divietano le feste in Ma- schera nel Real Teatro di S. Carlo. Le infauste circostanze, nelle quali si trova l’Europa, e le continue amarissime disavventure, nelle quali è involta gran parte dell’uman ge- nere per la perfidia di pochi, tengono non lievemente agitato il pietoso animo del Re; E dettandogli la Sua Religione come il principal mezzo ad estinguere i mali, che anziche ai divertimenti carnevaleschi, si rivolgano in questi tempi i suoi dilettissimi sudditi a far voti all’altissimo per spargere i suoi lumi nelle menti accusate, onde ritorni la Non s’intendono queste schegge teatrali se non sull’onda di pensieri ed emozioni altalenanti, entro resoconti che fungono quasi da termometro di una stagione di intense fibrillazioni. Basterebbe vedere quanto riferisce Ferdinando alla figlia in data 7 giugno 1796, rivelando tra l’altro una strategia di controllo altrimenti chiara: Figlia Carissima. Il principio del tuo giorno di nascita jeri si celebrò in famiglia piuttosto allegramente, ma la fine fù ben luttuosa essendoci con staffetta da Venezia pervenuta la nuova di esser stata battuta di nuovo l’Armata di Beauliou (sic) ed i Francesi già padroni di Verona. Figurati la nostra interna costernazione avendo dovuto andare al Teatro per non allarmare il Pubblico, come sarebbe accaduto se non ci fossimo andati39. Mentre insiste su un tono di rassegnazione, da buon cristia- no, il re non esita a commentare brevemente la disperazione di una regina «meglio cristiana […], ma […] più viva, e risentita»40: trepidante, malinconica, a volte indignata, Maria Carolina sembra lacerata tra i doveri istituzionali, che imporrebbero di mantenere un atteggiamento tranquillo e di assoluta padronanza anche attra- verso la vita dello spettacolo, e l’intima, profonda persuasione che i tempi stiano abbattendo ogni messinscena del potere. Ne fa cenno alla figlia, notando il contrasto tra la «magnificence» e la «gayeté» e un contesto per molti tratti allarmanti: Ajourd’huy c’est le dernier jour de Carneval tout le monde a donnee- fetes danses gayete le masques ball au theatre sont defendusmeux jamais il n’y a eu tant de fetes et bals magnificence. Je ne sais certes gayete et enviè de depenser d’ou elle provient enfin chacun a son gout pour je ne desire que le moment de retourner a Caserte j’ai été deux fois au theatre du fondo et cella m’a sufit41. Ed è almeno sintomatico che intorno agli stessi giorni un av- viso trascritto richiami l’attenzione sulla necessità di recuperare una funzione educativa alla scena, nel nome del campione della spettacolarità di antico regime: tranquillità ne’ Popoli di Europa, hà comandato, e vuole, che si divietano le Feste in Maschere nel Real Teatro di San Carlo. Ed Io di Real ordine lo partecipo a V. S. Ill.ma per l’adempimento, e dovuta esecuzione. Palazzo, 21 Gennaio 1794. Carlo De Marco». 39 Hhsaw, FA, SB, K. 57, Lettres de Sa Majesté le Roi de Naples 1796 [alt 183], cc. 47r-48r, Napoli, 7 giugno 1796, c. 47r. 40 Ivi, Napoli, 7 giugno 1796, c. 47v. 41 Ivi, cc. 26r-27r, 17 febbraio 1795, cc. 26r-26v. Notizie teatrali e musicali nelle lettere di Maria Carolina alla figlia Maria TeresaFrancesco Cotticelli 161160 La Compagnia Lombarda ha posto sulle scena tanto in questa Capitale, che nel R.l Sito di Portici il Temistocle del Cel. Ab. Metastasio, e lo ha recitato con una decenza, verità, ed energia, che si è meritata l’universale approvazio- ne. In tal rappresentazione si è conosciuto il merito sublime di quel sommo Drammatico, che ha posti sul Teatro i Personaggi più distinti dell’antichità con un carattere degno di Loro. Sarebbe desiderabile che si continuassero queste rappresentazioni, le quali servirebbero a riformare il corrotto gusto della Scena, ad ispirare virtuosi sentimenti, ad innamorare gli Ascoltatori della Morale, e della Storia. Perciò saria necessario che si dasse l’incarico d’I- spettor dei Teatri ad un Poeta capace di gustare le vere bellezze, per senno e per cognizioni atto a giudicare, ed a porre in Opera ancora, sì nel tragico, che nel Comico, l’arte cotanto difficile di migliorar le Nazioni42. Il topos della decadenza teatrale prende corpo contestualmente al tracollo dell’ancien régime e al rapido sovvertimento degli equi- libri politici e ideologici, come se ne costituisse una lettura non meno veritiera, ma almeno sentita come reversibile. Non è solo conferma dell’uso metaforico dello spettacolo, ma del grado di rap- presentatività delle forme di una civiltà che si riconosce intorno a quell’oggetto di propaganda, a quella occasione di convivenza. Non senza una punta d’orgoglio, in un momento in cui sembrava ancora di poter dominare gli eventi, la regina aveva scritto alla figlia a Vienna: «nous avons un Opera Bouffa de Paisiello qu’il a donné a Londres et qui fait grand bruit, nous aurons l’opera seria le 12 a St. Charles de Picino (sic) et on attend Cimarosa ainsi les trois meilleurs maitres de musique chez nous»43. Era imminente il debutto dell’Alessandro nell’Indie di Metastasio musicato da Pic- cinni44 – ulteriore esempio della resistenza del poeta cesareo nei cartelloni sancarliani, insieme con l’Olimpiade del 1793 e la Didone abbandonata di Paisiello nel 179445, ma quantum mutatus ab illo è 42 Hhsaw, FA, SB, K. 56A, Lettres de Particuliers à S.a M.te L’Impératrice 1795 [alt 176], cc. 194-195, 2 febbraio 1795, c. 194r. Cfr. anche f.P. ruSSo (a cura di), Metastasio nell’Ottocento, Roma, Aracne, 2003. 43 Hhsaw, FA, SB, K. 53, Lettres de S. M. la Reine de Naples 1792 [alt 121], cc.6-7, 10 gennaio 1792, c. 6v. 44 L’opera sarebbe andata in scena di lì a pochi giorni; cfr. Alessandro Nell’In- die. Dramma per musica da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo nel dì 12 di gennaro 1792 festeggiandosi la nascita di Ferdinando IV nostro amabilissimo sovra- no ed alla S.R.M. dedicato, Napoli, Vincenzo Flauto, 1792. 45 Cfr. L’Olimpiade, dramma per musica da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo nel dì 30 di maggio 1793 festeggiandosi il glorioso nome di Ferdinando IV nostro amabilissimo sovrano ed alla maestà sua dedicato, In Napoli, presso Vincen- zo Flauto, 1793 e Didone abbandonata. Dramma per musica. Da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo nel dì 4 di novembre 1794, per festeggiarsi il glorioso nome questione sempre fascinosa, e aperta46 –, mentre il titolo buffo cui si fa riferimento è Il fanatico in berlina, già apparso sui palcosce- nici londinesi come La locanda, e opportunamente rimaneggiato per un interprete come Antonio Casaccia per il Teatro de’ Fiorenti- ni47. Fiore all’occhiello è il rientro di Domenico Cimarosa, reduce dalla stagione in Russia e, sulla strada verso l’Italia, da un assai proficuo soggiorno nella capitale asburgica, dove era stato data in prima asso- luta un’altra opera emblematica di questa fin de siècle, Il matrimonio segreto48. Intorno alla messinscena di questo capolavoro si diffusero in brevissimo tempo notizie mitiche, dalle profferte al compositore di incarichi prestigiosi a Vienna alla replica integrale la sera stessa del debutto al cospetto dell’imperatore: furono con ogni probabilità quel che rimase di un impegno politico e propagandistico che trascese un momento artistico del tutto eccezionale, proiettandolo in una dimen- sione particolare, fra orizzonti d’attesa inediti e metamorfismi sette- centeschi. Come per il Paisiello londinese, fu il Teatro de’ Fiorentini ad accogliere nel 1793 a Napoli una versione di questo dramma giocoso per musica «compatito […], ma [che] non fece quell’incontro che si credeva»49, a riprova di una combinazione di fattori unica che era dif- ficile a riprodursi altrove, e in un’atmosfera culturale così cangiante. di Sua Maestà la Regina, dedicato alla Real Maestà di Ferdinando IV nostro amabi- lissimo sovrano. La musica è signor d. Gio. Paisiello maestro di cappella napolitano, all’attual servizio come compositore di camera delle LL. MM., In Napoli, presso Vin- cenzo Flauto regio impressore, 1794. 46 Cfr. P. Maione, Napoli 1794: la crisi di fine secolo nella Didone di Paisiello, in E. Sala Di Felice, R. Caira Lumetti (a cura di), Il melodramma di Pietro Metastasio la poesia la musica la messa in scena e l’opera italiana nel Settecento, Aracne, Roma, 2001, pp. 537-568, cui si rinvia per la persistenza di Metastasio nei cartelloni san- carliani di fine secolo. 47 Cfr. Il fanatico in berlina. Commedia per musica da rappresentarsi nel Teatro de’ Fiorentini nel carnevale del corrente anno 1792. La Musica è del Sig. D. Giovanni Paisiello, Napoli 1792. Nella Prefazione Giovanni Battista Lorenzi scrive: «Il presente Dramma giocoso fu posto in musica dal nostro Signor D. Giovanni Paisiello sotto il titolo della Locanda, e fu rappresentata in Londra, col generale applauso di quella illustre Nazione. Comparisce adesso sulle scene di questo Teatro de’ Fiorentini col titolo del Fanatico in Berlina, ed io, per aderire alle premure del suddetto Sig. Pai- siello [...] mi son data cura di commutare la parte di Arsenio in un misto di toscano, e napoletano [...]». Arsenio era appunto interpretato da Antonio Casaccia. Con il titolo La Locanda l’opera su libretto di Bertati con interventi di Tonioli era andata in scena allo Haymarket di Londra nel 1791. 48 Si veda F. Cotticelli, I segreti del Matrimonio tra Napoli e Vienna, in Domeni- co Cimarosa: un “napoletano” in Europa cit., vol. I, pp. 293-303. 49 Hhsaw, FA, SB, K. 56A, Lettres de Particuliers à S. M. l’Imperatrice [alt 136], cc. n.n., 16 aprile 1793. Sulla ricezione del Matrimonio segreto su scala europea è in corso un progetto di ricerca a cura dell’Institut für Musikwissenschaft dell’Università di Vienna. Paola Zito MARIA CAROLINA E LA SUA BLAUE BIBLIOTHEK Sommario: Circa tremilanovecento volumi in lingua tedesca di piccolo formato, risalenti all’ultimo quarantennio del Settecento e al primo quinquennio dell’Ottocento, preva- lentemente rilegati in cartoncino bleu gris, rappresentano quanto ci è pervenuto della raccolta privata di Maria Carolina. Ad eccezione di un piccolo nucleo conservato alla Palatina di Caserta, fanno ora parte dei fondi della Nazionale di Napoli. “Schofel- bibliothek” fu a suo tempo ritenuta dai visitatori che ebbero modo di esaminarla, e il loro giudizio fu sostanzialmente sottoscritto da Benedetto Croce, che tuttavia ne riconobbe il carattere di assoluta originalità. L’analisi quantitativa dei titoli confer- ma la massiccia incidenza della letteratura di largo consumo, romanzi soprattutto. Il riscontro effettuato, sia pure a campione, sulla base dei cataloghi on line di recente approntati in Germania (VD 18 in primis), conferma l’estrema rarità di una quantità tutt’altro che trascurabile di esemplari contenuti nella collezione della regina. Parole chiave: Storia del libro, Storia delle biblioteche, Germania, Settecento. maria carolina and her blaue bibliotheK abStract: Almost three thousand nine hundred volumes in German language of small format, edited in the last fourty years of 18th century, predominantly bound in bleu gris cardboard, represent the remaining private collection owned by Maria Carolina. Except a little nucleus preserved at the Royal Palace Library in Caserta, the majority of these volumes are now among the collections of the National Library of Naples. It was considered a “Schofelbibliothek” by the visitors that had the opportunity to examine it, and their judgment was substantially underlined by Benedetto Croce, who nevertheless recognized the character of an absolute originality. The quantitati- ve analysis of the titles confirms the thick incidence of “bestseller” literature, novels above all. The effected comparison, as a sample, on the base of the online catalogs recently completed in Germany (VD 19 in primis), confirms the extreme rarity of a quantity far from insignificant in the Queen’s collection. KeywordS: History of Book, History of the Libraries, Germany, Eighteenth Century. Maria Carolina e la sua Blaue BibliothekPaola Zito 169168 Si Peau d’Ane m’était conté J’y prenderai un plausi extrême Le monde est vieux, dit-on; je le crois, cependant Il le faut amuser comme un enfant J. de La Fontaine 1. La longue durée di una scelta cromatica Dalla ormai classica monografia di Genette1 in poi, sulla base di un nutrito filone di studi in proposito, che gli apparati parate- stuali rivestano un ruolo nevralgico nella storia del libro, dell’e- ditoria e della lettura, è adesso un dato assolutamente acclara- to2. Soglie che non soltanto contengono e delimitano il messaggio testuale, ma ne costituiscono l’aspetto, la concretezza, la forma, destinata a far breccia nella percezione e nell’immaginario collet- tivo. Protagoniste incontrastate sulla scena del primo impatto col potenziale acquirente, e non solo. Specchio e caratteri di stampa, dediche, avvisi al lettore, illustrazioni, indici, rappresentano gli ele- menti indispensabili di una sofisticata alchimia, discreta e impal- pabile quanto energica e incisiva. Ma c’è dell’altro. Prima ancora che il prodotto appena licenzia- to dai torchi tipografici sia stato aperto e sfogliato, la fase aurorale dell’impatto è affidata alla natura del formato3 e alla fisionomia del- Abbreviazioni utilizzate: Bnn: Biblioteca nazionale di Napoli; Bpc: Biblioteca palatina di Caserta. 1 G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, trad. it., Einaudi, Torino, 1989. La prima edizione in lingua originale appare nel 1987. 2 Al riguardo si vedano almeno R. Chartier, Culture et societé. L’ordre des livres (XIe-XVIIIe siècle), Michel, Paris, 1996, pp. 81-106; M. Santoro, Appunti su caratteri- stiche e funzioni del paratesto nel libro antico, «Accademie e Biblioteche d’Italia», LXC- VIII, 1 (2000), pp. 5-38; M.A. Terzoli (a cura di), I margini del libro. Indagine teorica e storica sui testi di dedica, Atti del Convegno Internazionale, Basilea, 21-23 novembre 2002, Antenore, Roma-Padova, 2004; M. Santoro, Andar per dediche, in B. Antonino, M. Santoro, M.G. Tavoni (a cura di), Sulle tracce del paratesto, Bononia University Press, Bologna, 2004, pp. 19-29; M. Paoli, Ad Ercole Musagete. Il sistema delle dedi- che nell’editoria italiana di antico regime, in M. Santoro (a cura di), I dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro, Atti del Convegno Internazionale, Roma-Bologna, 15- 19 novembre 2004, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 2005, vol. I, pp. 149-165. 3 In proposito mi limito a rinviare, oltre che all’ormai classico saggio di A. Petrucci, Alle origini del libro moderno. Libri da Banco, libri da bisaccia, libretti da mano, in Id. (a cura di), Libri, lettori e pubblico nel Rinascimento, Laterza, Roma-Ba- ri, 1979, pp. 137-156, a R. Chartier, Letture e lettori «popolari» dal Rinascimento al Settecento, in G. Cavallo, R. Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1995, 317-335; a D. Julia, Letture e Con- la legatura, qualora presente (ben rara, come è noto, in antico re- gime). Le dimensioni – da grosso tomo in folio a volumetto di pochi centimetri quadrati, dall’8° in giù – fanno davvero la differenza nel sempre più variegato ed esteso orizzonte della fruizione, e altret- tanto rilievo assume l’eventuale involucro, la cui consistenza, il cui spessore, il cui colore, si rivela un autentico concentrato di segnali. Già, il colore. Grazie a contributi storiografici più o meno re- centi, è ormai universalmente conosciuta la straordinaria fortuna di cui, agli albori del Seicento, ebbe a godere l’intuizione di Nicolas Oudot, uno stampatore francese attivo non a Parigi a Lione o a Rouen, ma a Troyes, un piccolo centro della Champagne. Il suo nome e la sua fama sono legati a quella iniziativa editoriale nota come Bibliothèque bleue, destinata a una rapida espansione dalla periferia al centro dell’intera nazione, e a una capillare diffusione nelle città e nelle campagne4. Il meccanismo ben organizzato e pre- sto perfettamente rodato del colportage5 garantiva la circolazione di una merce offerta pressoché a prezzo di costo, dunque in grado di interessare anche acquirenti semialfabetizzati e poco abbienti, at- tratti dalla combinazione singolare (nonché plurale!) di seduzione e convenienza. Almanacchi, calendari, lunari, agiografie, libretti de- vozionali, manualistica divulgativa di facile approccio, favole, fiabe e féeries di ogni sorta, qualche grammatica, qualche dizionario, e soprattutto storie narrate. Racconti, novelle e romanzi, vecchi e troriforma, ivi, pp. 277-316, nonché a P.F. Grendler, Form and function in Italian Renaissance Book, «Renaissance Quarterly», XLVI, 3 (1993), pp. 451-485; a A. Man- guel, Una storia della lettura, trad. it., Mondadori, Milano, 1999, pp. 135 sgg.; a R. Ago, Il gusto delle cose. Una storia degli oggetti nella Roma del Seicento, Donzelli, Roma, 2006, pp. 206-209. 4 Tra i principali studi al riguardo: R. Mandrou, De la culture populaire aux XVIIe et XVIIIe siècles: la Bibliothèque bleue de Troyes, Imago, Paris, 19992 (I ed. 1964); G. Bollème, La littérature populaire en France du XVIe au XIXe siècle, Julliard, Paris, 1971; Ead., L. Andries (a cura di), Contes bleus, Montalba, Paris, 1983, e a cura delle medesime, il più recente La Bibliothèque bleue: Littérature de colportage, Robert Laffont, Paris, 2003; R. Chartier, «Lectures paysannes». La bibliothèque de l’enquête de Grégoire, «Dix-Huitième siècle», XVIII (1986), pp. 45-65, e L’ordre des livres, Alinéa, Aix en provence, 1992 (in particolare le pp. 13-33). Inoltre, G. Dotoli, Letteratura per il popolo in Francia (1600-1750). Proposte di lettura della «Bibliothèq- ue bleue», Schena, Fasano, 1991. 5 Si veda quanto scrive Isabelle Masse, Bibliothèque bleue et littérature de colportage, «Bulletin des Bibliothèques de France», 2 (2000), consultabile on line al sito <http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2000-02-0103-005>, e l’intero volume T. Delcourt, É. Parinet (a cura di), Bibliothèque bleue et littératures de colportage. Actes du Colloque, Troyes, 12-13 novembre 1999, École Nationale des Chartes-La Maison de Boulanger, Paris-Troyes, 2000. Maria Carolina e la sua Blaue BibliothekPaola Zito 171170 nuovi, prevalentemente cavallereschi, arricchiti da poche raffigu- razioni xilografiche tratte da legni per lo più logorati dalla costante pratica del riuso6. Letture dal sapore inequivocabilmente “popolare”, rigorosa- mente in volgare, tuttavia spesso rinvenute anche nelle librerie di aristocratici (compresa madame de Pompadour, donna celebre an- che per la sua raffinata cultura) e di intellettuali7, costituiscono il nerbo di un catalogo che, in Francia e altrove, autentica fenice tipografica, rinasce di continuo dalle sue ceneri, tramandando i suoi titoli – non senza opportune e oculate variazioni sul tema – di generazione in generazione. Tutte puntualmente confezionate con cartoncino blu piuttosto sottile e di scarso valore. Quel blu – sia detto per inciso – cui la moderna Farbenpsychologie tende a confe- rire le proprietà della pacatezza, del potenziamento della fantasia e dello slancio verso le vette dell’astrazione. In questo caso, però, non si tratta di un blu deciso né di un azzurro intenso, ma di un indefinibile bleu gris, incline a sbiadirsi ben più facilmente di al- tre tinte. Né giorno, occupato dall’incombere delle fatiche quotidia- ne, né notte, destinata al riposo, ma ad essere evocate sembrano le sfumature cangianti del cielo all’imbrunire, proprio quando la luce si va affievolendo e, terminato il lavoro dei campi, giunge l’ora del rientro, del raduno, della convivialità. E dell’ascolto. Ascolto di storie lontano-vicine – distanti dalla realtà vissuta e radicate nel fondo atavico della fantasia collettiva – che predispongano alla se- renità del sonno e alla proliferazione dei sogni, rinnovando tutte le sere l’intimo sodalizio, implicito quanto duraturo, di oralità e scrit- tura/lettura8. Come se ciascuno di quei libretti fosse percorso da un sottile fil rouge accordato sul metro della lasse, il ritmo intriso 6 Cfr. M.D. Leclerc, À la recherche du livre perdu: identification de quelques bois gravés dans la Bibliothèque bleue de Troyes, in Bibliothèque bleue et littératures cit., pp. 109-130. 7 Rinvio al contributo di H. Blom, La présence des romans de Chevalerie dans les bibliothèques privées de XVIIe et XVIIIe siècle, ivi, pp. 51-63, nonché alle segnala- zioni bibliografiche cui rimanda. 8 Cfr. R. Chartier, Lecture et lecteurs dans la France d’Ancien Régime, Éditions du Seuil, Paris, 1987 (trad. it. Einaudi, Torino, 1988); dello stesso, Libres bleus et lectures populaires, in Id., H.J. Martin (a cura di), Histoire de l’édition française, II, Le livre triomphant. 1660-1830, Fayard, Paris, 19902, pp. 657-673; G. Dotoli, La civil conversazione nella «Bibliothèque bleue», in N. Panichi (a cura di), L’antidoto di Mercurio. La «civil conversazione» tra Rinascimento ed età moderna, Olschki, Firenze, 2013, pp. 249-260. di assonanze che caratterizzava gli antichi cantari della chanson de geste dall’inequivocabile etimologia, che di lassitude e spossatezza era infallibile rimedio. Se il Seicento è stato non a torto definito «gran secolo del ro- manzo»9, il Settecento non è certo da meno. Al contrario, il genere consolida e amplifica le sue fortune editoriali sull’intero palcosce- nico dell’Europa occidentale, appagando l’istanza crescente di un pubblico ansioso di accoglierne gli esiti in un orizzonte d’attesa sempre più esteso e articolato. Autori, curatori e traduttori, spesso al femminile, talvolta celati dietro l’anonimato o il ricorso ad arditi pseudonimi, lavorano alacremente alla fabbrica delle storie, sul filo di inesauste variazioni sul tema, astenendosi dal rivendicare con energia la paternità (o la maternità) dei loro testi, piuttosto dandoli volentieri in adozione alla comunità dei lettori, ormai di respiro internazionale, purché perseveri nel gradirne formula e forma. Eroi ed eroine di ogni età e ogni condizione percorrono così l’eterno ritor- no della loro parabola, volta a trascendere i vincoli dell’hic et nunc nel riflesso di un archetipo metatemporale, usurato eppure mai logoro, come usurate e ancora in grado di essere opportunamente riciclate risultano le matrici xilografiche che a volti, figure e pae- saggi fanno da specchio. Opacità e approssimazione non sono un difetto, anzi, sembrano rappresentare un incentivo per l’autonoma rielaborazione che presiede al meccanismo della singola interioriz- zazione10. Pietre lucenti senza essere preziose, il più delle volte non levigate alla perfezione, puntualmente inclini a comporsi in colla- na, sia pure in situazioni e in ambienti i più disparati, sotto torchi diversi e distanti fra loro. E la Germania, la cui editoria è all’epoca più florida e vitale che mai11, non fa minimamente eccezione. Alla francese Bibliothèque universelle des romans, che dal 1775 alla vigilia della rivoluzione 9 M. Santoro, Storia del libro italiano. Libro e società in Italia dal Quattrocento al nuovo millennio, Bibliografica, Milano, 20082, pp. 198 sgg. 10 Per un analogo impiego delle illustrazioni a stampa sebbene si tratti di un differente contesto, mi sia consentito rinviare, in proposito, al mio In carta ed ossa. Le immagini femminili nei libri a stampa del Mezzogiorno rinascimentale, Fabrizio Serra, Pisa-Roma, 2013, pp. 57-66. 11 Sui centri editoriali tedeschi, sulle più solide ‘dinastie’ di stampatori e sulla loro capacità di diffusione anche a medio e largo raggio – oltre che sull’indiscusso pri- mato settecentesco di Lipsia, ci si limita in questa sede a rinviare alla “grande opera” coordinata da Bernhard Fabian in trenta volumi intitolata Handbuch deutscher hi- storischen Buchbestände in Europe: Eine ňbersicht über Sammlungen in ausgewälten Bibliotheken, Olms-Weidemann, Hildesheim-Zurich-New York, 1992-2001. Maria Carolina e la sua Blaue BibliothekPaola Zito 177176 consuetudine di tanti collezionisti. Una più che attendibile confer- ma proviene dall’esame dei venticinque volumi dei quali si compo- ne il Journal della regina – un Journal intime cui, dal 1786 al 1811, fu affidata una fitta rete di pensieri, di impressioni, di riflessioni di varia natura – dove il filosofo di annotazioni relative ai libri te- deschi ne rinviene soltanto una, a fronte di non poche riferite a testi in francese. Testi con ogni verosimiglianza consultati e com- parati in rapida successione, mettendo semplicemente in moto il meccanismo dei suoi famosi leggii girevoli30, allora così alla moda. Impossibili sarebbero verifiche ulteriori nel merito, dopo la presso- ché totale distruzione dell’intero diario, dal 1930 conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli, coinvolto quindi nelle infauste vicende che, nel corso della seconda guerra mondiale31, di quell’Istituto col- pirono – come è noto – i materiali di maggior pregio. Decisamente una Schofelbibliothek giudica dunque le quasi quattromila edizioni rilegate in bleu gris anche il Croce che, dopo averle attentamente esaminate, riconosce, quasi suo malgrado, la rarità e il grande interesse storico di una raccolta “unica”, almeno in Italia32. Le stampe restituiscono uno spaccato di circa un cin- quantennio, dai primi anni Sessanta del Settecento – quindi ben prima del matrimonio con Ferdinando, forse già in suo possesso o, più probabilmente, ancora in commercio e spedite insieme a titoli più recenti – agli albori del secolo successivo. Del tutto prevedibil- mente, oltre un terzo è costituito da opere di narrativa33, racconti, novelle, ma principalmente romanzi. Se al totale si aggiungono, in ordine decrescente, l’odeporica, i testi teatrali, gli epistolari, le poe- sie e le biografie, il settore nel suo complesso sfiora la percentuale del 60%. Poco oltre il 30% è poi rappresentato dalla trattatistica, politica, storica, etico-morale, scientifica, estetico-filosofica, reli- giosa, militare, linguistico-letteraria e giuridico-economica, senza 30 Attualmente conservati nella sala Palatina, al secondo piano della Biblioteca Nazionale di Napoli, poco lontano dall’ambiente che ospita il fondo. Al riguardo A. Porzio, «Macchine di corte», «Antologia di Belle Arti», N. S., nn. 33-34 (1988), pp. 52-53. 31 I due volumi scampati all’incendio di San Paolo Belsito (novembre-dicembre 1781; settembre 1782-dicembre 1785) sono ora editi da C. Recca, in Sentimenti e politica. Il diario inedito della regina Maria Carolina di Napoli (1781-1785), Franco Angeli, Milano, 2014. 32 La biblioteca tedesca cit., p. 73. 33 M. Andria, P. Zito, I libri della regina cit., Tabella I, p. 118. A differenza di quanto accadeva in quella sede, in questo e nei casi che verranno di seguito esami- nati, il calcolo tiene conto anche degli esemplari conservati alla Palatina di Caserta. escludere contributi relativi alla vecchia fisiognomica34, alla mas- soneria e ad altre sette segrete allora in auge. E, fin qui, i contenuti sembrano pienamente coerenti con l’impostazione e l’impaginazio- ne del filone di lunga durata cui inequivocabilmente appartengono. L’ultima “classe”, pari al 9% residuo, consta di scritti di inte- resse esclusivamente femminile, puericoltura e pedagogia35, moda, costume, spunti per intrattenimenti da salotto. Letture ancora una volta perfettamente adagiate nel solco del buon Oudot, al cui titolo segue spesso l’eloquente (e ambigua) indicazione für Frauenzim- mer, nella doppia accezione – una più recente e l’altra più antica – di ambienti riservati alle signore o quella di donnicciole, semial- fabetizzate dal basso profilo socio-culturale. In effetti un’oculata mescolanza di secolare eppure sempre attuale saggezza di genere, civil conversazione e leggerezza, dal sapore leggiadro e tutt’altro che immune dalla tentazione della frivolezza, nel fondo conservato- re ma pienamente ortodosso rispetto ai canoni del rococò imperan- te. Stereotipi non di rado consunti eppure al loro modo vicini alla realtà del quotidiano, in qualche misura intrisi di una loro energica vis stimolante e persuasiva. Pagine piacevoli e rilassanti, di certo assai meno impegnative al confronto con i manuali di anatomia, di geologia, di botanica, di zoologia – per quanto agili e debitamente illustrati –, e ancor più con le opere filosofiche di Bacone, di Locke, di Hume, Monte- squieu, di Voltaire, di Rousseau, di Condorcet, di Kant e di Fichte, con spaccati storiografici ed estetici dello spessore della Storia dell’arte antica del Winckelmann36. Ma i titoli sicuramente meno gradevoli e più ardui agli occhi di Sua Maestà, anche soltanto per una semplice scorsa, non riguardano le scienze della natura né la parabola del pensiero moderno dall’empirismo all’idealismo esor- diente né l’archeologia classica. Sono quelli (non pochi) inerenti la storia contemporanea, che riferiscono con impietosa dovizia di par- ticolari le tragiche vicende del regno di Francia: una inarrestabile spirale originata da un tumulto di popolo, apparentemente uguale 34 Nell’ambito del settore vanno segnalati i celebri Phisiognomische Fragmente di Johann Caspar Lavater (Steiner, Winterthur, 1783, in tre volumi). 35 Esemplificativi nel merito il Bildenbuch für Kinder di Friedrich Justin Ber- tuch (Landes-Industrie Comptoirs, Weimar-Frankfurt, 1792) e il Ausfňrliches Text zu Bersuchs für Kinder di Philip Funke (Landes-Industrie Comptoirs, Weimar, 1798). 36 Si tratta dell’edizione postuma del 1776, adorna di splendide incisioni. Maria Carolina e la sua Blaue BibliothekPaola Zito 179178 a tanti altri, di cui da sempre era costellato l’esercizio del potere da parte di tutte le monarchie assolute, che prende a trasformarsi con rapidità crescente in una rivoluzione di tale portata da segnare la fine di un’epoca. Alla stampa – cronache, commenti, réportages e quant’altro – in Germania come altrove, sul filo di una consuetudine ormai inveterata, corre l’obbligo di seguirne con ogni zelo la parabo- la, il cui tragico epilogo appagherà – come è noto – la sete degli dei. È il 16 ottobre del 1793 quando viene eseguita l’ennesima condanna capitale emessa dal tribunale del popolo. Viene ghigliot- tinata Maria Antonietta Capeto, vedova del già giustiziato Luigi, schiacciata da accuse infamanti nel novero delle quali, non ultima, figura la sua accanita e irragionevole vocazione allo sperpero. Non risulta, però, che nella lunga lista delle spese folli di cui si era resa responsabile menzionate durante il processo, sia emersa anche quella relativa a legature di gran pregio che facevano bella mostra di sé sugli scaffali della sua raccolta libraria privata. Una raccolta per niente dissimile da quella della sorella, sebbene su scala infe- riore quanto a dimensioni, e rigorosamente in francese, che alla Bibliothèque bleue attinge a piene mani à son tour: il catalogo che annota i Livres du boudoir de la reine, la cui apparizione (1862) è destinata a suscitare notevole scalpore nel clima decisamente mo- ralistico del secondo impero, lo dimostra inconfutabilmente37. Ma, a differenza di quanto accadeva nelle regge di Napoli, Portici e Ca- serta, a Versailles il desiderio della sovrana (lontanissima, d’altron- de, dall’essere mai stata una accanita lettrice) era che si provvedesse sistematicamente alla rimozione dei cartoncini bleu gris per sosti- tuirli con broccati e velluti con ricami di squisita fattura, intessuti d’oro e d’argento, e – perché no? – con qualche gemma incastonata sul dorso. Un simile “capriccio”, certo idoneo a dissimulare la qua- lità dei titoli, avrà giovato a fuorviare, almeno in parte, i giudizi ne- gativi degli osservatori più severi, ma ai costi elevati dell’operazione in termini economici va sommato il prezzo di un autentico crimine bibliografico, di cui Maria Carolina si è ben guardata dal macchiarsi. Veniamo ora all’orizzonte letterario, il più ampio e articolato, e il più degno d’interesse, a partire dall’Olimpo dei grandi classi- 37 Mi riferisco al Catalogue authentique et original [des livres du boudoir de la reine Marie-Antoinette] … par Louis Lacour, J. Gay, Paris, 1862, che consta di un centinaio di pagine contenenti la descrizione dei titoli seguita da commento, prece- dute da ben sessantaquattro introduttive. ci, Boccaccio, Ariosto, Shakespeare, Milton, la cui fruizione senza tempo accomuna esponenti di ogni classe, stato e genere. Li affian- cano i più recenti successi del Goldsmith, del Rousseau, del Gozzi, del Parini e dell’Alfieri, del Mariveaux e dell’abate Prévost, con la sua celebre Manon. E, comprensibilmente più nutrito l’elenco dei tedeschi, da Goethe a Schiller, a Herder, a Heine, a Kleist, a Novalis. Forte di personalità illustri (e tuttavia minoritarie sul piano quanti- tativo) che, sugli scaffali palatini, ne affiancano altre ora ampiamen- te relegate nell’oblio, il teatro rivendica una posizione significativa anche in termini di percentuale, valutabile intorno al 9% dell’intera area e al 5% del totale. E addirittura superiore, e non di poco, si di- mostra il peso quantitativo dei racconti di viaggio, i cui affascinanti réportages riguardano il Centro e il Nord Europa, le rotte esotiche verso i mari del Sud e le città d’arte italiane, con particolare rilievo alle tanto amate e suggestive tappe del grand tour, all’epoca così in- sistentemente visitate (rispettivamente 12% e 7,5%). Tragedie, tragicommedie e storie narrate di ogni natura – Trau- erspiele, Romane, Sagen, Erzählungen, Begebenheiten, Abenteurer, Gemhälde, Scenen, Skizzen, Bagatellen – convergono nel celebrare, sulla scena del libro, i fasti del Gothic Revival, attingendo al mai sufficientemente esorcizzato mondo degli inferi della coscienza, po- polato di spettri, fantasmi, Geister e ogni sorta di figure dell’onirico di vecchio e nuovo conio – Träume ed Albträume –, la cui inquie- tante anamorfosi si lascia in qualche maniera ricondurre all’immi- nente affermazione del gusto preromantico38; non a caso l’aggettivo romantisch, variamente declinato, ricorre frequentemente nei titoli. I tradizionali nemici di eroi ed eroine, coadiuvati da maghi e streghe i cui sortilegi, da sempre in grado di tenere sotto scacco cielo e ter- ra, appaiono ora trasferiti nelle pieghe della coscienza, annidati nel fulcro delle passioni e nel midollo della volontà (o contro-volontà) del soggetto. In modo più o meno esplicito, dunque, il campo di batta- glia cambia di sede e di segno, dall’esterno all’interno della psiche, attentando di frequente alla tenuta dell’identità. Ed è in difesa di quest’ultima che si leva la voce di un erzählendes ich, tenacemente volto a riaggregare nelle geometrie, spesso prevedibili, della trama i cascami della ragione, le ormai indocili larve dell’inconscio, insom- ma l’opacità del resto, per dirla con Michel de Certeau. 38 Cfr. D. Hall, French and German Gothic Fiction in the Late Eighteenth Centu- ry, Peter Lang, Bern, 2005. Maria Carolina e la sua Blaue BibliothekPaola Zito 181180 Ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, titoli e sottotitoli con- tribuiscono numerosi a illuminare impostazione e finalità di una così vasta produzione, prevalentemente retta da una debole volon- tà di testo, ma energicamente radicata nelle pieghe riposte di un incrollabile orizzonte d’attesa, di decennio in decennio più esteso e ricettivo. Se il primo livello è di solito riservato al nome o ai nomi dei protagonisti (in questo caso uno maschile e uno femminile39), è al secondo che compete l’onere di fornire le coordinate temporali della vicenda. Non l’età classica, non il Rinascimento né il presen- te, ma la scelta ricade per lo più sui secoli bui del Mittel Alter, sulla Ritterzeit, o su una difficilmente determinabile Vorzeit, che avvol- ge nelle brume di una imprecisata epoca del passato l’ordito delle singole odissee che di volta in volta si dipanano pagina per pagina, gotiche nel gusto e nella forma dei caratteri di stampa. Una Vorwelt lontana nel tempo, Urwelt dalla inveterata connotazione sombre, dimensione di un anteriore che più di ogni altra si addice a quan- to di refrattario alla trasparenza avviene nel teatro della mente, nell’infuriare dei conflitti, delle scissioni e dei cedimenti dell’ego. Le illustrazioni assecondano con rara maestria il delinearsi di simili atmosfere. Poche, non di rado anonime, non più xilografiche come ai tempi d’oro dell’Oudot ma perfettamente in grado di sfrut- tare al meglio la duttilità della tecnica calcografica, si guardano bene dall’entrare in conflitto col messaggio testuale come in tante altre occasioni, ma si calano nella densa semioscurità di interni domestici – sale salette corridoi studioli alcove boudoirs – arredati con divani, tavoli e secrétaires alla moda, per carpirne i più riposti segreti. Alle pareti, pressoché onnipresenti gli specchi, magari più d’uno, che raddoppiano, con i loro riflessi obliqui, profili, figure e silhouettes tanto nel campo visivo quanto nella fantasia del lettore. Quindi, a paesaggi e vedute en plein air gli incisori, non senza le dovute eccezioni, sembrano preferire l’effetto dei piccoli spazi chiu- si, a stento ravvivati dal lume di qualche candela, per rappresen- tare l’acme della tensione drammatica magari in una sola figura, 39 Soltanto qualche esempio: Reinhold und Sophie; Hugo und Kleta; Hellfried und Selene; Wilhelm und Wilhelmine; Konrad von Adlerberg und Leonor von Lichte- nau; Karl Stellheim und Klementine von Rosenee; Wilhelm und Emilie; Moritz und Luise; Eduard und Blanke; Heinrich und Karoline; Elise von Walheim und Bernardo; Adelheid und Aimar; Ferdinand und Karoline … E la lista potrebbe continuare an- cora molto a lungo. collocata in posizione di antiporta, alla sinistra del frontespizio40 (figg. 1-3). Nel novero degli abilissimi fabbricanti di immagini, il cui contributo al successo delle edizioni esercita un ruolo di pri- maria importanza, spicca la statura del polacco Daniel Nikolaus Chodowiecki, allora molto apprezzato anche in qualità di pittore (1726-1801): una lunga e prestigiosa carriera che ha giustamente suscitato il vivo interesse degli studiosi41. E pure degni di nota, nel campo del bulino, i contributi dello Schubert (fig. 4), del Gersiner, del Müller, tutti eredi della tradizionale perizia teutonica nel campo dell’incisione. A calarsi nei panni – in realtà piuttosto scomodi e non par- ticolarmente gratificanti (come oltre mille testi anonimi presenti nella raccolta, ma concentrati principalmente in quest’ambito, di- mostrano eloquentemente) del narratore – in questi anni sono dav- vero in tanti, autori e autrici. Queste ultime soprattutto si mostra- no abilissime nel coniugare Zeitgeist e istanze di genere: senz’altro molto significativi i contributi di Wilhelmine Caroline von Wobeser, di Sophie von La Roche42 e dell’inglese Charlotte Smith, sebbene il numero maggiore di occorrenze (ben trentanove) rimandi inequivo- cabilmente alla baronessa Christiane Benedikte Eugenie Naubert Hebenstreit (1752-1819)43, la cui penna scorre rapida nell’assecon- dare il fervore di una vena creativa dalla generosità inesauribile, e dagli echi internazionali. La seguono alla distanza Gottlob Hein- rich Heinse (ventinove); Johann Friedrich Ernst Albrecht (venti- 40 Cfr. H.J. Meier, Die Buchillustration des 18. Jahrhunderts in Deutschland und di Auflösung des űberlieferten Historienbildes, Deutscher Kunstverlag, Mün- chen, 1994. 41 Da consultare senz’altro in proposito W. Baumgart, Der Leser als Zuschau- er. Zu Chodowieckis Sticken zu Minna Barnhem; P. Küpper, Autor und Illustrator. Zu einigen Aufträgen von Mattias Claudius an Daniel Chodowiecki; R. Krüger, Daniel Chodowiecki als ‘empfindsamer’ Illustrator; K. Riha, Nichtaufklärerisches fňr Auf- klärer. Zu einer Karikaturenfolge Daniel Chodowieckis und Johann Wilhelm Meils; in Die Buchillustration in 18. Jahrhundert. Colloquium der Arbaitsstelle 18. Jahrhun- dert Gesamthochschule Wuppenthal-Universität Műnster, Düsseldorf, 3-5 ottobre 1978, C. Winter, Heidelberg, 1980, rispettivamente pp. 13-25, 44-52, 53-64, 65-75. 42 In aggiunta ai titoli napoletani, della brillante scrittrice (1730-1807) vanno segnalate anche le Erscheinungen am see Oneida (Gräff, Lipsia, 1798), conservate a Caserta (Bpc, 2102). 43 Sulla sua figura si vedano S.C. Jarvis, The Wanished Women of Great Influ- ence: Benedikte Naubert’s Legacy and German Women’s Fairy Tales, in K.R. Good- mann, E. Waldstein (a cura di), In the Shadow of Olympus. German Women Wriers Around 1800, State University, New York, 1992, pp. 189-209, e L. Martin, Benedik- te Naubert. Neue Volksmärchen der Deutschland: Strukturen des Wandels, Königs- hausen & Neumann, Würzburg, 2006.
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