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Irene Piazzoni, Storia delle televisioni in Italia - Dagli esordi alle web tv, Sintesi del corso di Storia Della Radio E Della Televisione

Riassunto del libro "Storia delle televisioni in Italia - Dagli esordi alle web tv" di Irene Piazzoni, integrato con spiegazioni del Corso di Storia della Televisione a.a. 2020/2021, CdL Dass, La Sapienza.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 28/01/2021

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Scarica Irene Piazzoni, Storia delle televisioni in Italia - Dagli esordi alle web tv e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! Storia delle televisioni in Italia, Irene Piazzoni 1. Gli esordi e gli esuberanti sviluppi nel segno della Rai Nel 1924 nasce l’Unione Radiofonica Italiana (URI) che nel ’27 diventa EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), sotto il controllo del regime fascista, utilizzata con scopi propagandistici. Già nel 1931 il Consiglio dei ministri approva uno schema di provvedimenti volto a disciplinare il servizio televisivo ancora in gestazione: è negli anni Trenta che EIAR, SAFAR e MAGNETI MARELLI iniziano a studiare metodi di trasmissione delle immagini. È nel ’38 che a Roma viene costruito il primo vero e proprio trasmettitore e l’EIAR annuncia il prossimo inizio di trasmissioni regolari a Roma e Milano: nella Capitale queste sono diffuse l’anno successivo grazie agli impianti di Monte Mario, ricevute dagli apparecchi istallati al Circo Massimo e in alcune vetrine delle vie del Corso e Nazionale. Dal 1939 è Sergio Pugliese il dirigente dell’EIAR, critico teatrale e autore di commedie brillanti, e darà un’impronta significativa ai primi dieci anni di televisione, lavorando all’estero per la NBC per un periodo, per studiarne la struttura. Le trasmissioni chiamano a partecipare artisti noti e meno noti del mondo del cinema, della radio, del teatro di rivista, della musica leggera ecc. La televisione è dunque concepita come una sorta di radio che si può vedere o come un cinema domestico. Per quanto riguarda le sperimentazioni di Milano, nel 1940 in occasione della Fiera Campionaria per la prima volta sono effettuate in diretta riprese in esterni. Sin dal principio, dunque, le strade della tv si intrecciano con quelle della radio. Pochi giorni prima dell’intervento in guerra, le trasmissioni sono sospese a Milano e a Roma. Nel 1944 l’EINAR diventa RAI (Radio Audizioni Italiane) e torna alle sperimentazioni, esposte a Milano e Torino, dalla I Esposizione internazionale della Televisione alla Mostra della Meccanica nel 1949, per non parlare delle varie edizioni della Fiera Campionaria. Nel 1952 iniziano le prime trasmissioni televisive a Torino e Milano (a Roma l’anno successivo) e il Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, nonché presidente della RAI 1946-1950 (Giuseppe Spataro DC), afferma di attendersi un programma di carattere ricreativo, educativo e istruttivo. La settimana-tipo proposta dalla RAI guarda al modello inglese della BBC (informare, educare, intrattenere) ma i televisori in circolazione sono ancora pochi e cari, pochi dunque i primi telespettatori. Negli anni del dopoguerra la RAI ha l’obiettivo di proteggere dagli attacchi provenienti da settori del mondo politico il monopolio che detiene sula radio e che aspira a detenere anche sulla televisione, per questo imposta un poderoso e rapido piano di sviluppo su scala nazionale: monopolio confermato dalla convenzione del 1952, di durata ventennale. Essa sigla il passaggio del pacchetto azionario maggioritario della Rai all’IRI, cioè allo Stato: ad esso spettano gli oneri dell’impianto e dell’esercizio, assai gravosi, ai privati la facoltà, perentoriamente negata dalla Rai nel suo statuto approvato nel 1954, di fabbricare e vendere gli apparecchi. Una barriera doganale è eretta per avvantaggiare l’industria italiana nei confronti della concorrenza americana e tedesca. Alla Mostra nazionale della Radio e della Televisione del 1953 una cinquantina di ditte presentano per la prima volta esemplari tecnicamente perfetti e l’anno dopo gli espositori sono duecento. Alcuni gruppi industriali e finanziari del Nord avanzano candidature, mortificate però dal monopolio della Rai. La Convenzione del 1952, oltre a blindare il monopolio, mette a punto il controllo dell’esecutivo: la nomina dei sei membri del Cda spetta alla presidenza del Consiglio e ai ministri degli Esteri, dell’Interno, del Tesoro, delle Finanze, delle Poste e Telecomunicazioni; le nomine del presidente, dell’amministratore delegato e del direttore generale devono essere approvate dal governo. L’intera vicenda si svolge nella stagione centrista e l’uomo chiave della Rai in questi anni è l’amministratore delegato e direttore generale Salvino Sernesi, non iscritto ad alcun partito, simpatizzante per i socialdemocratici, ottimo dirigente, affiancato dal presidente democristiano Ridomi. In un territorio accidentato come quello italiano è difficile creare una rete di trasmettitori unica, tuttavia all’inizio delle trasmissioni televisive, il 3 gennaio 1954, quasi tutta la penisola è servita, solo dopo il ’55 il segnale tv diventerà abbastanza potente da raggiungere il Sud Italia. Come si è già accennato, agli inizi i mezzi tv costano caro e molte sono le critiche mosse al mezzo, visto come un oggetto di prestigio per “ricchi”, tuttavia la convinzione pressoché comune e generale è che l’identità profonda del mezzo sia di massa: strumento elementare e diretto per la diffusione dei rudimenti della cultura ed il soddisfacimento delle curiosità di genere più semplice. Viene redatto un vademecum per gli operatori della Rai “Norme di autodisciplina per le trasmissioni televisive”: la diffusa presenza nel pubblico di una mentalità arretrata e sessuofobica detta la necessità di tutelarsi da possibili attacchi da parte delle gerarchie ecclesiastiche, sensibili alla difesa del pudore. La Chiesa si esprime infatti sin da subito in merito al consumo televisivo, dimostrando preoccupazione per la sua influenza nefasta. È necessario che i programmi non solo rispettino i principi di moralità generale, ma ne divulghino e ne esaltino i valori. Nei primi anni di erogazione del servizio la modalità di fruizione prevalente è quella collettiva, nei bar, nelle osterie e nei luoghi di ritrovo. Ne risentono teatri e cinema. Dopo pochi mesi dall’inizio delle trasmissioni, inizialmente più sensibili al ruolo di composto intrattenimento borghese della programmazione e disavvezze all’idea stessa di un pubblico di massa, gli organigrammi della Rai all’irrobustimento della rete dei corrispondenti. La dialettica politica è messa al bando, la cronaca nera e giudiziaria è totalmente assente. Il direttore dei servizi giornalistici è Antonio Piccone Stella, maestro dell’informazione radiofonica nell’EIAR, che chiama a impostare il notiziario televisivo il cattolico ex partigiano Massimo Rendina, che sgradito al ministro dell’Interno Fernando Tambroni, è sostituito da Leone Piccioni, fine uomo di lettere proveniente dalla radio. Diviene evidente che al tg italiano manchi quella spregiudicatezza e disinvoltura e crudeltà d’osservazione che fa il grande giornalismo d’altri Paesi. Interessanti sono i reportage dall’estero (L’India vista da Rossellini ’59: esordio televisivo del regista con un documentario in 10 puntate sulla cultura indiana, con un approccio didattico, didascalico e umanista: ogni episodio è ambientato in una sala cinematografica ed introdotto da un’intervista al regista sul tema trattato nella puntata, durante la quale le immagini proiettate sono commentate in diretta), ma muovendo solo allora i suoi primi passi la tv informativa italiana è molto frammentata nella sua struttura: forte la componente letteraria, si avvertono i condizionamenti della piaggeria governativa, dell’inclinazione narrativa, della propaganda. Tra i programmi più noti e apprezzati vi sono quelli di Mario Soldati (scrittore, regista, intellettuale, è tra gli autori cinematografici più trasmessi dalla TV italiana delle origini; dopo varie “ospitate” in alcuni programmi tv di successo è autore e presentatore di Viaggio nella valle del Po ’57: un’inchiesta di 12 puntate che ripercorrono la campagna padana alla ricerca dei “cibi perduti” dalla tradizione italiana), sin da subito amante e simpatizzante del mezzo televisivo, ma apprezzato è anche il programma di Ugo Zatterin e Giovanni Salvi La donna che lavora ’59 (indagine sulla condizione femminile nell’Italia del boom economico e sul contributo delle donne alla vita sociale e economica del paese, attraverso le testimonianze dirette delle lavoratrici nei diversi campi in tutta Italia): questi primi cicli di inchieste privilegiano la ricostruzione- interpretazione degli avvenimenti più che la loro registrazione e questo un metodo che denuncia nei suoi autori una formazione più cinematografica che giornalistica o sociologica o letteraria. Proprio l’inchiesta compiuta da Soldati e Zavattini sull’Italia che non legge aggiunge un’ulteriore urgenza, quella dell’indagine e della documentazione immediata. Per quanto riguarda i programmi di rievocazione storica, il genere risente della mancanza di un modello e della delicatezza di temi capaci di suscitare un forte interesse ma ancora scottanti. L’informazione sportiva ha ampio seguito, soprattutto la cronaca, caratterizzata da toni epici e altisonanti. Un ostacolo che subito si pone è quello delle trasmissioni delle partite del campionato, cui le società sportive oppongono una resistenza tenace. Quanto alle rubriche spicca La domenica sportiva, priva di un conduttore fisso: giornata calcistica con i servizi filmati delle partite e avvenimenti di rilievo negli altri sport. L’immediata fortuna del mezzo televisivo è però data dai programmi di intrattenimento, che attingono al repertorio della rivista per poi strutturarsi in format più organici. Nel settore del varietà, spazio di circolazione di musica leggera, appaiono programmi come Un, due, tre (54-59) e la prima serie di Canzonissima (58-62). Un, due, tre è il primo programma tv di varietà, condotto da Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi: sketch, parodie, balletti, inchieste documentarie, tutto in un’aria dissacrazione, satira e travestitismo. La scenografia è teatrale e frontale, mentre non tutti gli sketch sono in diretta. Nel 1959 il programma viene interrotto a causa di uno sketch non gradito contro il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, a seguito del quale i due comici vengono licenziati dalla Rai. Canzonissima nasce da un programma radiofonico (Le canzoni della fortuna), prevedendo la partecipazione del pubblico da casa con il voto tramite cartoline. I conduttori si intervallano negli anni, caratteristica che distingue il programma dal game show, che prevede invece anchormen fissi e forti. Si hanno sketch, balletti e una gara di canzoni. Sono i quiz e i giochi però a segnare il destino della televisione. Il gioco a premi (prodotti di consumi e denaro) nasce negli anni Trenta come genere radiofonico negli USA, mentre negli anni Quaranta viene sperimentato come genere televisivo: il quiz show è un sottogenere del game show che mette alla prova la preparazione culturale dei concorrenti, tanto da essere considerato uno strumento di apprendimento per il telespettatore medio. Lascia o Raddoppia? (55-59) si basa su un format americano e vede il ruolo predominante del conduttore, Mike Bongiorno, giornalista italo-americano che entra nel cuore dei telespettatori per il suo accento singolare, il suo basic italian, il suo atteggiamento amichevole e soprattutto per la sua profonda essenza di uomo medio, di everyman, idolatrato da milioni di persone, proprio perché non messe nella condizione di sentirsi inferiori (Fenomenologia di Mike Bongiorno di U. Eco). Nel quiz show si ha il primo utilizzo della valletta Edy Campagnoli e viene mandato in onda prima il sabato sera, poi il giovedì sera. Il successo dello show è transmediale ed è un vero e proprio fenomeno sociale: tutti ne parlano, stampa, cinema, radio, famiglie, bar, osterie, telespettatori che spediscono lettere a vari giornali ecc. È con quiz simili che la televisione diventa un vero e proprio argomento di discussione in situazioni di collettività. Il fenomeno della visione collettiva del quiz è talmente diffuso da essere sottinteso nelle buone maniere di Famiglia Cristiana: durante la trasmissione è opportuno far rispondere alle domande del quiz prima gli invitati. Con il declino del sopracitato quiz insorge Campanile Sera (59-62), primo esempio di game show collettivo, tratto dal format radiofonico italiano Il Gonfalone, presentato sempre dallo stesso anchorman: è la prima forma di tv che raggiunge gli Italiani, anche nelle piazze, basato su logiche di campanilismo (gruppi a rappresentanza di città italiane si sfidano tra loro). Introdotto sempre da un documentario sulle città degli sfidanti, funge così anche da pubblicità turistica per le piccole località della penisola. Ai trionfi di questi quiz milanesi, Roma risponde con Il Musichiere (57-60), presentato da Mario Riva e ispirato al format USA Name that tune, basato sul dover riconoscere dei motivi suonati dall’orchestra di Gorni Kramer, dove sono presenti anche ospiti celebri che si esibiscono in prove canore: l’atmosfera è familiare e nazional- popolare e Mario Riva si distingue per la lingua salace, lo spirito arguto, lo stampo plebeo, cordiale, mordace, pieno di buonsenso, capace di stabilire un contatto diretto e familiare con il pubblico a casa. Anche questo quiz si inserisce in un sistema transmediale. Accanto ai format acquisiti dagli USA se ne stagliano altri originali italiani, creati con la collaborazione di professionisti del teatro di rivista nostrano e di registi televisivi che si specializzano nel genere. Nel 1955 va in onda Il mattatore, un prototipo di programma-contenitore, sfoggio di intelligenza, originalità e spregiudicatezza. Vi sono anche esperimenti nostrani anche nel campo del giallo-poliziesco, come Giallo Club. Molte le trasmissioni originali di intrattenimento umoristiche (si pensi a Billa Pedroni e Franca Valeri). La televisione è un’arte o no? Provengono le risposte più disparate dagli intellettuali dell’epoca, secondo approcci di tipo sociale, politico e/o culturale. Tali interventi vanno letti alla luce del dibattito più ampio sulla cosiddetta cultura di massa e sull’industria culturale. Un ampio fronte, in cui si collocano intellettuali di sinistra e di destra, oppone una critica aspra e un rifiuto sdegnato al cospetto di quelle forme di spettacolo ascritte senz’altro alla sfera della cultura delle “masse”, considerate di serie B, alternative a una presunta cultura alta. Negli ambienti di sinistra si fa avanti anche la convinzione che si presti a una strumentalizzazione da parte delle classi egemoni. Alberto Moravia fa riferimento all’esistenza di una sotto Italia del tipo, delle canzonette e della televisione. Cesare Mannucci osserva che è su malcerte, pregiudizievoli e ideologiche basi che gli intellettuali di area radicale e di sinistra finiscono per congiungersi con i reazionari, inavvertitamente. Eugenio Montale afferma che nessuno si sentirà più dentro, tutti si sentiranno sempre fuori, sempre partecipi, eternamente in ballo. Paolo Monelli prefigura una società di analfabeti, conformisti e meccanizzati. Mario Soldati manifesta una viva simpatia per la televisione, intesa come una nuova possibilità di comunicare e di esprimersi, forse non una nuova arte, ma dotata di proprie potenzialità. così rituali settimanali seriali. 32 h in 7 gg, che giungono a una cinquantina agli inizi del decennio successivo. Negli anni Sessanta l’Italia si aggiudica il primato europeo per il grande numero di abbonamenti: incidono l’aumento dei redditi, la riduzione degli orari di lavoro, i primi passi dell’emancipazione femminile, il miglioramento del livello culturale. La televisione è in questi anni di epocali cambiamenti insieme oggetto del desiderio, simbolo del benessere, elemento propulsore: dall’inizio degli anni Sessanta è oggetto di analisi sempre più organiche e ci si interroga sui possibili usi migliori di questa nuova ricchezza di mezzi comunicativi. I mass media infatti sono mezzi di comunicazione culturale che possono essere veicolo quantitativamente efficace di prodotti rispondenti al gusto della massa, sebbene siano anche suscettibili di diverso impiego. Gli effetti sulla società e il fenomeno del divismo televisivo sono le questioni che più solleticano gli studiosi in questa fase. Pasolini afferma che la televisione possegga una volgarità intrinseca che deriva dalla sua sottocultura, regno della menzogna, della mistificazione, del paternalismo, strumento del Centro che ha assimilato a sé l’intero paese, storicamente differenziato e ricco di culture originali, promuovendo un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. 2. Apogeo e crisi: la televisione di Bernabei A partire dagli anni Sessanta l’indirizzo della produzione è sulle spalle del dirigente. Nel gennaio 1961 sale alla dirigenza Rai Ettore Bernabei, rappresentante doc della sinistra fanfaniana, giornalista che nel ’56 ha preso in mano l’organo della DC “Il Popolo”. Egli crede molto nell’apparato pedagogico della Tv: impronta il servizio pubblico sul modello BBC, proponendo una televisione di qualità. Nella struttura della Rai dell’epoca convivono le giovani leve di formazione cattolica promosse da Guala e coloro che si trovavano ai posti di comando al tramonto degli anni Trenta. Egli è consapevole che una sorda intransigenza ideologica e valoriale non si addica più a una Rai che ambisca al ruolo di principale impresa culturale del paese. Urge una strategia più duttile e illuminata, sulla scorta di un forte e compatto ideale di “cultura popolare”, di cultura per tutti. Bernabei denuncerà l’esistenza di una consorteria che attraversava un certo numero di aziende, pubbliche e private, e le controllava. Aziende molto ricche e influenti, pubbliche solo formalmente, totalmente solidali con certi gruppi, certe famiglie e certi interessi. Lui stesso viene considerato inammissibile, in quanto messo dentro una struttura già organizzata. Il monopolio della Rai comincia però a incrinarsi quando nel ’62 in Lombardia e Piemonte si ricevono, con una buona antenna, i programmi della televisione svizzera italiana. La confezione del tg è affidata a Enzo Biagi, il quale nel settimanale “Epoca” aveva precedentemente criticato l’informazione televisiva, denunciando la sua lontananza dal “paese reale”. Nel 1962, con le dimissioni di Antonio Piccone Stella, Biagi inizia a fare a modo proprio: rivoluziona la scaletta, mettendo in primo piano la cronaca, in particolare giudiziaria, privilegia i filmati, dunque, proponendo un tg sempre tendenzioso e filogovernativo, ma con un passo diverso, da uno stile parrocchiale e grigio, a uno stile più disinvolto e borghese. È lui ad inaugurare il prototipo del programma di approfondimento con RT Rotocalco televisivo: servizi di politica, cronaca, costume e varietà. Lo sguardo è attento ai risvolti umani e individuali, ai microcosmi sociali, alle storie semplici ma emblematiche, alle abitudini e ai comportamenti. Alcune opere indagano da un’angolatura eccentrica il costume degli italiani: Controfagotto ’61 mescola i generi del reportage, dell’analisi sociologica e della fiction usando inquadrature inedite e l’arma di un’ironia crudele e al tempo stesso bonaria e umana. L’obiettivo di Ugo Gregoretti, suo autore, è quello di raccontare l’Italia con un tono unico e grottesco. Il programma è diviso in otto puntate, dalla cadenza quindicinale, e all’interno di ognuna sono presentati servizi di approfondimento, dal tono quasi sempre semi-serio. Si tratta di uno dei primissimi esempi di satira televisiva, nonché un tentativo di tenere insieme approfondimento e intrattenimento in mondo “alto”. La temperatura politica del tempo è incandescente e la Rai è sempre nell’occhio del ciclone: membri del governo affermano che la tv abbia la colpa d’aver introdotto Togliatti e le ballerine nel cuore delle famiglie italiane. Nel 1961 la rievocazione degli ultimi vent’anni della storia italiana attraverso le canzoni Tempo di musica subisce una violenta campagna di stampa di destra, che accusa gli autori di aver messo irrispettosamente alla berlina il fascismo toccando corde ancora troppo sensibili. Lo sceneggiato I Giacobini (1962) è invece preservato dal robusto impianto e dalla qualità stilistica, facendo un affresco della Rivoluzione francese: l’operazione è insieme artistica, culturale e politica. Togliatti non si lascia scappare l’occasione di segnalare su “Rinascita” che per la prima volta alcuni milioni di italiani abbiano visto e avuto davanti alla mente loro una rivoluzione, sono stati tratti a pensarla e giudicarla concretamente, come conflitto politico, sociale e umano, a discuterne, a parteggiare. Tagli e modifiche intervengono però su molte produzioni, come su Canzoniere minimo, di Giorgio Gaber ed Enrico Simonetta, e sull’edizione di Canzonissima 62-63 affidata a Franca Rame e Dario Fo. Una fetta dell’opinione pubblica conservatrice, oltre che di destra, è in effetti infastidita dalla piega data ai programmi, tanto più dopo la flessione della DC alle politiche del ’63. L’amministratore delegato Rondinò viene sostituito nel 1965 da Gianni Granzotto, figura di garanzia e possibile contrappeso a Bernabei; nello stesso anno muore Pugliese e al suo posto viene inserito Luigi Beretta, un fedelissimo di Bernabei. Sotto il profilo editoriale la Rai finisce per presentarsi come un organismo pluralista e sfaccettato, capace di conferire una fisionomia marcata e originale alla sua offerta. Il 4 novembre 1961 iniziano le trasmissioni del Secondo canale, limitate a due ore e ad alcune regioni: lo scopo è arricchire la programmazione per togliere un’arma ai privati, articolare l’offerta per raggiungere un pubblico sempre più ampio e disomogeneo, sperimentare nuovi format. In quell’anno la stragrande maggioranza dei televisori in circolazione hanno la possibilità di ricevere un solo canale, quindi la conseguente inferiorità di ascolti del secondo canale viene sfruttata per testare oggetti più sperimentali. Il palinsesto è studiato sulla base della complementarità dei due canali: i titoli più popolari e forti vanno sul Nazionale, quelli di nicchia o eterodossi o appunto sperimentali sul Secondo. La direzione è affidata a Angelo Romanò e Pier Emilio Gennarini. La registrazione videomagnetica (RVM), introdotta nel ’62, libera dall’obbligo della diretta, consentendo di preparare e immagazzinare i programmi. Il satellite Telestar, inaugurato nello stesso anno, apre la strada alle dirette da e verso gli USA. L’adozione di tecniche cinematografiche leggere a 16 mm, infine, rende più tempestive e semplici le riprese e più immediate le interviste. La trasmissione culturale più nota dell’epoca Bernabei è senz’altro L’Approdo, che ha inizio nel ’63 e si protrae per un decennio, affidato alla cura di Leone Piccioni: basato sulla formula del salotto, tra conversazione, conferenza e dibattito, si occupa di letteratura, teatro, musica, arte, architettura, attualità, ma anche interviste e filmati, con ospiti del calibro di Ungaretti. Hanno un forte impulso le telecronache e le edizioni legate ai grandi eventi, mentre la cronaca politica si arricchisce e i servizi dall’estero si moltiplicano: la direzione del settore dell’informazione è affidata prima a Giorgio Vecchietti e Fabiano Fabiani, poi a Willy De Luca (67-76). È soprattutto Fabiani a promuovere esperimenti, come la ripresa dell’allunaggio nel ’69. È un modello giornalistico che sfrutta appieno la tecnica del collegamento in diretta dallo studio con corrispondenti e inviati e adotta un linguaggio elegante ma vicino all’immediatezza del parlato: si tratta sempre di un organo governativo, dunque il tono resta asettico, asciutto, ovattato. Nel 1963 nasce il programma TV7, che si ispira più al quotidiano che al settimanale, rivolgendo lo sguardo più agli esempio interessante è rappresentato da “Giallo Club” - Invito al Poliziesco (59-62), programma a metà tra il quiz e lo sceneggiato che vede la creazione a casa di un fandom. In onda per tre stagioni sul programma Nazionale, si articola su due scenari diversi, uno interno, l’altro esterno, uno più italiano, l’altro che strizza l’occhio al genere noir americano: il personaggio ricorrente è quello del Tenente Sheridan, interpretato da Ubaldo Lay. Tra le particolarità vi è l’ambientazione americana di tutte le vicende: gli stessi personaggi, pur parlando italiano, hanno nomi inglesi. Tra il 1964 e il 1974 Roberto Rossellini gira sei sceneggiati per la Rai, tutti ad ambientazione storica, di questi, cinque dedicati a una figura della cultura umanistica occidentale e uno agli Atti degli apostoli biblici: il regista non si riconosce più nel cinema, riconoscendo il cambiamento del pubblico, e scopre nella tv un buon mezzo per la sperimentazione. Negli anni Sessanta ha inizio anche un ciclo di sceneggiati storici sulle vite di personaggi illustri, come Michelangelo e Dante, che sono una via di mezzo tra il documentario divulgativo (pedagogico) e lo sceneggiato (per intrattenere). Molti sono gli sceneggiati rivolti al pubblico dei minori, e nel corso degli anni l’offerta si amplia e si affina, rispettando la suddivisione in fasce d’età e genere: intrattenimento e formazione, evasione e impegno, gioco e stimolo ad attivare intelligenza e interesse. Molte le fiabe animate importate dai paesi dell’Est europeo e i telefilm di provenienza americana. Con gli sceneggiati letterari, adattamenti di opere letterarie considerate fondative della cultura italiana e non solo, si iniziano a fissare attori e registi: esempio eclatante è quello de I Promessi Sposi del 1967, scritto da Sandro Bolchi e Riccardo Bacchelli, girato interamente dal primo, adattamento fedelissimo, frutto di una vera e propria operazione filologica, con un filtraggio del linguaggio aulico per renderlo più accessibile, rappresenta la quintessenza dello sceneggiato classico: scenografie scarne, minimaliste, esatte, lentezza epica e solenne, dettagli, lettura fuori campo. Si hanno poi due prodotti che tentano di rinnovare l’estetica televisiva: Il Circolo Pickwick e Il segno del comando. Il primo, sceneggiato da Ugo Gregoretti nel ’68, intende rivoluzionare le tempistiche della narrazione, esaltando la dimensione della falsa inchiesta a introduzione dello sceneggiato: racconta in chiave grottesca e sperimentale il viaggio di quattro gentiluomini inglesi nell’Inghilterra dell’Ottocento, riprendendo il tono umoristico già adattato da Dickens, il tutto raccontato da Gregoretti in abiti contemporanei: nell’adattamento dell’opera Gregoretti reinventa il linguaggio dickensiano in chiave contemporanea, utilizzando anche musica leggera nella colonna sonora. Il secondo (15 milioni di spettatori in media), del ’71, dal quale si ricaverà un romanzo nell’ ‘87 (simbolo dello stretto legame tra tv e editoria), è tra i pochi sceneggiati con ambientazione contemporanea, è una sorta di giallo grottesco; la sua struttura è classica, le puntate sono interconnesse, ma è tra gli sceneggiati più innovativi (ampio spazio dedicato alle esterne, narrazione complessa, struttura multi-trama, messa in scena sperimentale). Negli anni Settanta spopolano gli sceneggiati di fantascienza, come A Come Andromeda (17 milioni di spettatori in media), diretto da Vittorio Cottafavi, a partire dalla trasposizione dell’omonima serie BBC del 1961, e gli sceneggiati “impegnati”, come Dedicato a un bambino. La forma stessa dello sceneggiato entra però in crisi a metà del decennio. Molte sono le riflessioni riguardo la valenza culturale dello sceneggiato, molte le lamentele riguardanti la nobiltà dell’opera letteraria avvilita nell’adattamento televisivo. Le tendenze che si palesano, tuttavia, confutano le visioni pessimistiche di una civiltà delle immagini pronta a sostituire quella del libro, visti gli exploit del mercato editoriale: il romanzo sceneggiato porta quasi sempre buone vendite, la televisione sollecita di per sé interessi o anche semplicemente curiosità per la cultura. Si inizia a parlare di un vero e proprio nuovo genere letterario, che coniuga avanguardia tecnologica e modalità di narrazione antichi, valorizzando, al di là del genio di un artista, il lavoro d’equipe. In quegli anni il racconto televisivo non attinge solo dalla letteratura, ma anche dalla storia, dalla storia dell’arte e della musica, dalla cronaca e dalla vita quotidiana. Alla fine degli anni Sessanta tutto costa di più: trasmissioni, autori, artisti, scenografie accurate e coreografie ben studiate del varietà, tecnici. Costa il raddoppio del tg e l’aumento delle ore di trasmissione, così come costa la politica di assunzioni che deve rispondere alla pressione dei raccomandati e alla distribuzione opportuna dei funzionari. L’introduzione del colore è frenata da veti e nodi irrisolti: si è in difficoltà nella scelta di quale sistema adottare, mentre il mondo dell’editoria a sua volta ne ostacola il varo, paventando un ulteriore allontanamento delle risorse pubblicitarie con il colore. Nel 1967 è la stessa Camera a dimostrarsi paladina di una politica di contenimento dei consumi. Si stanno però affacciando filosofie gestionali lontane dall’impostazione politico-culturale di cui si è fatto garante Bernabei. Un ordine di servizio nel maggio ’69 provvede a un radicale rimpasto degli organigrammi: Granzotto non lo firma e si dimette nel marzo, venendo sostituito dal socialista Paolicchi, mentre prende il posto del presidente Aldo Sandulli, la cui presidenza dura poco meno di un anno. Il monopolio della Rai continua a incrinarsi quando nel ’67 in Valle d’Aosta, Liguria, Piemonte e Toscana si comincia a captare la tv di Montecarlo, mentre in Friuli, Veneto e sulla costa adriatica fino alle Marche, dal ’71, Telecapodistria. Essendo queste tv dotate del colore, sono in molti i costruttori di apparecchi a colori a intervenire. Sulla scia di queste nuove tv nasce nel ’71 Telebiella, che utilizza le tecnologie del cavo e della videoregistrazione, per proporre un’informazione locale alternativa, di matrice laica e centro-destrorsa, e anche un ideale di televisione dal basso: è considerata la prima tv privata che riesce a trasmettere nel nostro paese, prima a condurre una vera e propria battaglia legale con la Rai, che porterà alla fine del monopolio. Nel 1973 Roberto Faenza pubblica il libro “Senza chiedere il permesso” proponendo una riflessione politica: riconosce come la tele-informazione cambi radicalmente con le tv private, che a un sistema di informazione dal vertice alla base contrappongono un sistema dalla base verso l’altro o dalla base alla base. A partire da questa nascono molte altre iniziative private, guardate con simpatia e benevolenza da più parti, come alfieri della libertà d’informazione. Il ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Giovanni Gioia decide di intervenire con un testo che entra in vigore il 29 marzo 1973, che sancisce la possibilità di sigillare gli impianti delle emittenti locali via cavo e smantellare i ripetitori delle straniere. Telebiella viene chiusa e nel 1974 la Corte costituzionale si pronuncia sia sulle tv straniere sia su quelle locali via cavo: la sentenza n. 225 riconosce il diritto ai privati di ripetere i programmi tv esteri purché non interferiscano con le trasmissioni Rai, la n. 226 legalizza le radio e le tv private via cavo di portata non eccedente l’ambito locale. Il sistema dei partiti è indebolito dalle proteste studentesche e operaie, dall’inizio della strategia della tensione e dal terrorismo, dai primi segni della pesante crisi economica. Il centrosinistra stesso, dopo le elezioni del ’72, che indicano uno spostamento a destra dell’elettorato, pare esausto. È il governo centrista formato da Giulio Andreotti a modificare la composizione del cda Rai, eclissata ormai la stella di Fanfani nel ’71. Nel settembre 1974 Ettore Bernabei lascia la direzione della Rai, riconoscendo come il controllo politico e ideologico della DC sul mezzo abbia potentemente assecondato fenomeni che la stessa DC non si sarebbe mai augurata: secolarizzazione, trasformazione dei costumi, dei valori, dell’immagine di famiglia, della donna ecc., accennando a una lacuna nella preparazione dei cattolici, superficialmente consapevoli di quanto stia avvenendo in seno alla società italiana, nelle famiglie, nelle scuole. 3. Dalla rivoluzione dell’etere al duopolio Con l’avvicinarsi della scadenza della convenzione Stato-Rai nel ’72, l’aumento degli ascolti delle tv estere, la nascita delle prime esperienze locali, la grande azienda pubblica ha bisogno di una Riforma. Unanime è l’insistenza sui meccanismi che assicurino una gestione democratica come Enzo Tortora) ed è la prima a trasmettere a colori tg, varietà, spogliarelli: inizialmente via cavo e locale, interamente finanziata da privati. Nel 1977 da una scissione interna nasce AntennaTre, primaria fonte di ispirazione per Berlusconi, che offre programmi come La bustarella, che prevede prove fisiche anziché culturali, uno sponsor in vista, un pubblico indisciplinato e un atteggiamento complessivamente disinvolto (il conduttore presenta seduto per terra): ingredienti essenziali sono lo spontaneismo, l’esigenza commerciale, lo sperimentalismo e l’idea di tv alternativa. Telemilanocavo nasce nel 1974 come televisione via capo per il quartiere Milano Due, costruito dall’imprenditore edile Silvio Berlusconi: è fondata da Giacomo Properzj dopo la sentenza della Corte Costituzionale del ’74 sulle trasmissioni via cavo. Nel 1976 inizia a trasmettere via etere e diventa Telemilano, mentre nel 1978 raggiunge tutta la Lombardia sulla frequenza n.58 e si trasforma in Telemilano58. Nel 1979 Mike Bongiorno ne diventa direttore artistico, dopo un lungo corteggiamento da parte di Berlusconi, che nel 1980 fonda una concessionaria pubblicitaria, Publitalia, in contrapposizione alla Sipra della Rai e nello stesso anno nasce Canale 5. Nel 1979 il panorama è questo: Prima rete indipendente (Rizzoli), Italia 1 (Rusconi), Retequattro (Mondadori), Canale 5 (Fininvest). Il metodo Berlusconi è il seguente: registrazione delle trasmissioni prima, spedizione di queste a tv locali con cui si sono presi accordi precedentemente e trasmissione in contemporanea. Con la creazione di Fininvest e l’acquisto di Italia 1 e Retequattro arriva ad essere l’unico imprenditore ad avere tre reti come la Rai: il motto è che per fare una buona tv si debba fare un tv che piaccia al maggior numero di persone, oltre che essere ottimista, serena e rilassante. Le reti Fininvest distribuiscono infatti programmi facili, spensierati, non richiedono canone e sono aliene al dogma e alla cultura stessa del servizio, inno alla libertà e all’ottimismo che si sottrae ai lacci della tutela culturale e politica espressa dalla Rai. Nel 1984 ha inizio di fatto il duopolio. È soprattutto Craxi a supportare la nuova rete privata nazionale, che abbraccia un orientamento alternativo alla tradizione: punta su un privato “amico” per guadagnare visibilità e rilanciare l’immagine del partito, esaltando la libertà della concorrenza al posto del tradizionale monopolio. Si schiera un sistema di alleanze: sx democristiana, comunisti e minoranza socialista da un lato, dx democristiana, socialisti craxiani, socialdemocratici, liberali e missini dall’altra. Modesta è la presenza di programmi di cultura e attualità e non stupisce che dalle pagine della stampa non giungano entusiastici giudizi sul lascito, in termini creativi e culturali, delle reti Fininvest alla fine del decennio: una cultura più dinamica e fantasiosa, più in sintonia con la mentalità e coi gusti delle fasce urbane, giovanili e femminili della popolazione si è contrapposta all’ufficialità e alla lentezza, al pedagogismo e al gigantismo della Rai. I canali Fininvest parlano anche al pubblico famigliare, provinciale, anziano, sono dispensatori di messaggi rassicuranti e di valori ambivalenti, in un equivoco impasto fra trasgressione e conservazione, licenza e conformismo, modernità e tradizione. Nel 1981 si ha lo scandalo della Loggia P2: tra gli affiliati compaiono i direttori del TG1 e TG2, Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, L’alba degli anni Ottanta è un momento difficile per la Rai: Rete 3 è appena nata, ma si ha un preoccupante calo degli spettatori. Se l’offerta Rai negli anni Sessanta è stata lo strumento di una funzione esplicita che l’ente ha svolto, ossia l’integrazione sociale e culturale del Paese, l’attuale televisione pubblica vive le incertezze del gioco di rimessa e di difesa, piena di piccole vittorie e piccole sconfitte, condizionata dai concorrenti che le impongono le regole della partita. Moltiplicano i centri di potere e implode il ruolo della direzione generale. Sono lontani i bei tempi in cui il vademecum “informare, divertire, educare” presiedeva alla costruzione del palinsesto: ora occorre definire la propria strategia dell’offerta a partire da un’analisi delle tendenze della domanda sociale di comunicazione e del mercato. La battaglia della concorrenza è condotta con i programmi di intrattenimento. Nel 1982 è lanciata Euro TV, dal target familiare e femminile: telenovela, film, magazine sportivi, incontri di catch giapponese, serie americane, una sitcom con Diego Abatantuono. Nel 1987 da Euro TV nasce Odeon TV, con programmi di intrattenimento acquistati e prodotti, tra cui uno condotto da Paolo Villaggio e un talk sportivo umoristico condotto da Fabio Fazio. Un gruppo di emittenti si stacca poi per dare vita a Italia7 e si accende subito un duello sul piano dell’offerta e della pubblicità. Nel 1983 Umberto Eco afferma che dal ’75 si possa parlare di Neotelevisione: centralità dell’intrattenimento, con conseguente ibridazione dei generi, programmazione generalista (modello di broadcasting), introduzione del colore, fenomeno dello zapping (la visione è a flusso continuo ma la fruizione è spezzettata), meccanismo Auditel, patto comunicativo con gli spettatori (principio della reversibilità e della costante trasformazione: io telespettatore ti seguo se tu mi dai ciò che voglio, altrimenti cambio canale) così che il pubblico sia coinvolto nella creazione del palinsesto. La televisione smette di raccontare la realtà e finisce per crearla. Secondo il modello neotelevisivo inoltre si costruisce il proprio palinsesto cercando di non contrapporte programmi forti con programmi forti ecc, l’obiettivo principale è fare spettacolo, generare riconoscibilità e fidelizzazione, riflettere i valori medi della società e tutelare il prime time. Se nella paleotelevisione la tv era festiva e il palinsesto settimanale, nella neotelevisione la tv è feriale e il palinsesto giornaliero. La Neotelevisione si divide in tre fasi: o 1975-1979: programmi-contenitore di diversi generi o 1980-1989: ibridazione dei generi volta all’intrattenimento o 1990-2005: tv verità, racconto più personale e comune Buona parte del palinsesto domenicale è occupata dai programmi Domenica In, primo programma-contenitore che presuppone un ascolto distratto e a intermittenza (1976 su Rete Uno, ideata da Corrado, segue il genere dell’inchiesta e dell’approfondimento in una modalità molto informale), e Buona Domenica (1985-2008 su Canale 5, ideata da Vittorio Giovanelli). La Rai inizia ad utilizzare la seconda rete per proporre il genere dell’intrattenimento: è il momento di L’altra domenica (76-79), programma di varietà sui generis, alternativa giovane e spregiudicata a Domenica In, condotto da Renzo Arbore, con giovani comici esordienti, che prevede una falsa inchiesta a là Gregoretti e interventi dei telespettatori per telefono (sulla scia di programmi radiofonici come lo stesso Alto Gradimento di Arbore). Dal successo della trasmissione nasce il film Il Pap’occhio nel 1980, presto sequestrato per vilipendio alla religione cattolica. Dal 1977 inizia sempre sulla seconda rete Portobello (77-83), condotto e ideato da Enzo Tortora, volto simbolo di Telealto Milanese. Si tratta di un format innovativo basato sull’idea di un mercatino televisivo dove i partecipanti possono vendere le loro “invenzioni” o cercare oggetti facendosi contattare dal pubblico da casa attraverso telefonate in diretta. Un momento molto atteso è quello in cui qualcuno pescato a caso tra il pubblico in studio tenta di vincere un montepremi in denaro cercando di far pronunciare al pappagallo Portobello, simbolo del programma, il suo nome in 30 sec. La trasmissione tocca punte di 28 milioni di telespettatori nella prima edizione e viene interrotta nel’83 dopo l’arresto del conduttore per collusione con la camorra, rivelatosi poi innocente. Nonostante l’importanza di questi programmi il varietà simbolo della Rai post-monopolio è Fantastico, in onda il sabato sera dal ’79 al ’92, erede del successo e della funzione sociale di Canzonissima. Ideato da Nel 1987 Rai Tre inizia a trasmettere a livello nazionale (fino a quel momento si limita alla programmazione locale nei diversi territori d’Italia) e il critico letterario Angelo Guglielmi ne diventa direttore, fino al ’94. Il critico letterario è un acuto osservatore della tv degli anni Settanta e Ottanta e si rende conto che pur volendo riattualizzare lo spirito di Bernabei, i mezzi devono essere diversi, si devono adeguare al periodo: si vuole prevedere anche la possibilità di raccontare soprattutto l’attuale, facendo nascere la nuova tv verità. È una rete a forte orientamento progressista, molto focalizzato su una dimensione veritiera dell’informazione. L’esperienza di tv verticale e pedagogica, come l’avevano pensata i cattolici negli anni ’50 e ’60, muta in un progetto che tiene conto del cambiamento epocale nella storia della tv e dei media. Si elabora un progetto di televisione alternativa e di qualità che vede il pubblico come protagonista attivo della narrazione televisiva, è fra l’86 e l’87 che hanno inizio le rivelazioni quotidiane dell’Auditel: uno strumento di rilevazione degli ascolti cui appaltano la rilevazione degli ascolti sia Rai che Fininvest, che prevede l’istallazione di alcuni dispositivi (meter) alla linea telefonica e al televisore di alcune famiglie campione che manda dei segnali riguardo a cosa si stia guardando in quel momento. Nascono programmi come Quelli che il calcio, Samarcanda, Blob, Un giorno in pretura e altri (dimensione informativa + intrattenimento), con cui vengono lanciati personaggi come Michele Santoro, Fabio Fazio, Serena Dandini e Piero Chiambretti. È in questi anni che nasce la retorica di Rai tre come rete di sinistra. All’interno di questo ambito Guglielmi riesce all’interno della stessa rete a inserire sia programmi fortemente votati a questa dimensione ibrida tra intrattenimento e cultura ma spinge anche l’acceleratore su programmi cosiddetti sperimentali. Fuori orario (Cose mai viste) è un programma-contenitore di cinema, a cura di Enrico Ghezzi, tra i più importanti critici cinematografici italiani, che va in onda su Rai tre in orario notturno, dal 1988, presentando soprattutto film d’essai italiani e internazionali in lingua originale (con sottotitoli). È un programma che fa la storia della televisione di questi anni ed entra dentro le vite e le memorie di varie generazioni di cinefili e appassionati di cinema. Nella prima fase, alterna talk show a spezzoni di film e inserti audiovisivi; in una seconda fase, prevede presentazioni e commenti (fuori-sincrono) di Enrico Ghezzi alla messa in onda integrale di film, spesso trasmessi in anteprima. Ghezzi racconta in un’intervista come sia riuscito a mandare in onda i film del regista giapponese Tsukamoto prima ancora che fosse un regista importante a livello internazionale, con il lasciapassare di Guglielmi, che gli dà piena fiducia. Nel 1989 Enrico Ghezzi inventa Blob, programma di archivio organizzato per colmare, attualmente in onda tutti i giorni su Rai tre: di durata variabile, inizia quando finisce il tg regionale prima dell’inizio della prima serata (il tg regionale va inonda in anticipo rispetto a quello nazionale). Fino al 2017 la sigla del programma abbinava una sequenza de “L’Atalante” di Jean Vigo al celebre brano del 1978 “Because The Night” di Patti Smith, successivamente per problemi di diritti hanno dovuto cambiare ad ogni puntata la canzone. Dal punto di vista dei contenuti si assiste negli anni Novanta a una totale ibridazione dei generi: il talk show è il genere che più si elabora in questo periodo, anche perché il pubblico degli italiani si interessa maggiormente di politica in questo periodo: programma-contenitore che si svolge in un’atmosfera familiare da salotto, con l’esistenza di vere e proprie poltrone in studio, che accompagna l’idea che ci si ritrovi in una dimensione più orizzontale e conversazionale. Il genere attraversa 5 fasi: la prima vede una democrazia dei partiti (60-70) con programmi che prevedono una comunicazione diretta, in una formula da conferenza stampa, secondo un modello pedagogico (Tribuna politica), la seconda fase vede una democrazia dello spettacolo (70-80) con una leadership più personalizzata e una maggio ibridazione con l’intrattenimento (Bontà loro): è il decennio in cui le elezioni iniziano a sfruttare i volti politici non più i simboli, la terza fase vede la teledemocrazia (80-90), con una maggior interrelazione tra media e politica, cioè la politica non solo si rappresenta in tv ma controlla e usa la tv, e una successiva de-realizzazione della realtà (Samarcanda), la quarta fase vede una democrazia del pubblico (90-00), in cui non solo i conduttori e i politici sono nella condizione di esprimersi, ma anche le persone comuni, con la maggiore influenza americana, con successivo dominio dell’emotività, della competizione e del faccia a faccia (Porta a porta), mentre l’ultima fase vede la post-democrazia (00-10), caratterizzata dall’infotainment, dall’intimate politics e dalla politicizzazione della sfera personale. Il genere storico dello Sceneggiato viene sostituito sempre più dalla Fiction: iniziano ad essere sempre più esportati prodotti seriali dagli USA e questo porta a varie differenziazioni tra i generi televisivi. Nascono dei veri e propri sottogeneri, che vengono adottati anche in Italia: telefilm (serie classica in cui i personaggi è come se azzerassero la propria memoria di episodio in episodio), serial (narrazione continuativa, sempre più sviluppate negli USA negli anni ‘80), miniserie, soap opera/telenovelas (formato ridotto, con cadenza in genere quotidiana, sempre ambientate in interni, dove gli episodi secondo la narrazione continuativa), sitcom (formato ridotto, senza continuità narrativa). In realtà la formula dello Sceneggiato continua ma cambia nome e modello: miniserie (poche puntate che spesso non hanno un rinnovo diretto di stagioni). Sono cambiati, tuttavia, il peso della tradizione letteraria, il rapporto tra letteratura e mezzi di comunicazione, la cultura visuale e la sensibilità stessa nella percezione del tempo: si pensi alla versione de I Promessi Sposi del ’90 del trio Solenghi, Marchesini, Lopez. Un posto al sole, prima soap opera interamente prodotta in Italia a partire dal ‘96, è il più longevo prodotto seriale italiano, con una media di 2,7 milioni di spettatori, per inaugurare un nuovo centro di produzione Rai a Napoli: è un prodotto dalla fruizione piuttosto locale (da Roma in giù) e unisce tematiche rosa (storie d’amore) e cronaca nera (omicidi, camorra ecc) con un tono comico e drammatico (i personaggi sono caratterizzati e si utilizzato dei guest). Ha avviato pratiche di franchise (libri e album musicali) e strategie di fandom sui social. È in questa fase che si passa sempre più dalla tv verità degli anni Settanta alla reality tv: non è più la tv che parte e raggiunge ciò che vuole raccontare, ma è il pubblico che raggiunge la tv per raccontarsi. Il ruolo del pubblico è dunque decisamente attivo, con la narrazione dell’intimità, delle emozioni e delle confidenze. Il confine tra reale, verosimile e finzione è labilissimo, tra la privatizzazione della sfera pubblica e la pubblicizzazione della sfera privata. La reality tv si caratterizza per l’eccesso e la “spazzatura” e quel pizzico di voyeurismo necessario. La reality tv si chiama si divide in molti sottogeneri: televisione demiurgica (Uomini e donne), televisione caritatevole (telethon), Star Making Televisione/Talent (Amici), Candid Television (Scherzi a parte), Extreme Television (Real tv), Emo-tainment (C’è posta per te), Real Game Show (Affari tuoi), Reality Show (Grande Fratello), Factual e TV- Realtà (Real time: esempio di narrowcastin). Si dà l’illusione della realtà attraverso una struttura però integralmente scritta a tavolino. Tutto ciò a sottolineare la presenza sempre più forte delle persone comuni in tv È in questa fase che si sviluppa anche la televisione musicale, con l’arrivo di MTV in Italia nel ’97, ispirata alla versione americana del ’81. Si ha l’ascesa del videoclip come strategia promozionale e performance concettuale, fino a quel momento assente, data l’assenza di luoghi di distribuzione appositi. Nasce la figura del VJ su quella del DJ radiofonico, come esempio di radio in tv. È uno dei primi esempi di televisione tematica e nel corso degli anni vengono mandati in onda anche programmi di approfondimento, sitcom, interviste, documentari. giornale dilatato, verboso, dai servizi lunghi, semplice; Enrico Mentana sceglie un registro informale e colloquiale, un lessico piano, un’aggettivazione esuberante, un timbro polemico, un’impaginazione veloce, che dà corpo a un vero giornale popolare. Come ogni giornale popolare, Canale5, spiega poco la notizia, piuttosto la urla, la colora, la ricopre di aggettivi, la amplifica, allo scopo di renderla chiaramente identificabile da parte dell’ascoltatore. Il panorama sociale e politico del tempo è attraversato da forti contraccolpi, tra sequele di attentati e stragi mafiose in Italia, e guerre come quella del Golfo e dissoluzione dei regimi comunisti all’estero; il risvolto televisivo è il pullulare di talk show e programmi di approfondimento dedicati all’effervescente attualità, per dare voce alla società civile, contrapposta alla classe politica dipinta come una casta corrotta. Nel frattempo, i referenti politici di Fininvest stanno uscendo di scena e gli spazi di sviluppo potrebbero chiudersi e i risultati ottenuti essere messi in discussione. Nel 1995 appare la cosiddetta leggina di riforma della Rai: essa affida ai presidenti delle due Camere il compito di scegliere i membri, ridotti da 16 a 5, del cda Rai, cui è demandato il potere di nominare il direttore generale. Il provvedimento, pensato come transitorio, rimane in vigore, di fatto restituendo alla maggioranza uscita dalle elezioni il potere che la riforma del ’75 aveva trasferito al Parlamento. Il cda della svolta, scelto dai presidenti di Camera e Senato Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, appare un cda di professori, la cui consegna è provvedere al risanamento e a una riorganizzazione più efficiente: il conseguente taglio alle spese, assieme al riassetto degli organigrammi finiscono per essere provvedimenti dal carattere non strutturale. Le elezioni del marzo ’94 proiettano Berlusconi verso la presidenza del Consiglio, prefigurando una tornata di nuove nomine. Nello stesso anno giunge una sentenza di Corte costituzionale che dichiara incostituzionale l’art. 15 della legge Mammì e un referendum proposto dai Radicali e dalla Lega consentirebbe la privatizzazione della Rai. Intanto le attività di Fininvest nel settore della comunicazione sono rilevate da Mediaset, nel ’95 scorporata dal colosso pubblico e entrata in Borsa. In realtà una legge risalente al ’57 impedirebbe l’elezione di un imprenditore titolare di una concessione statale, ma la maggioranza di chi potrebbe opporsi non si oppone, come invece farà per Fedele Confalonieri. Gli anni Novanta vedono un intensificarsi dei rapporti tra televisione e sfera politica: la scelta di Berlusconi di dedicarsi all’attività politica e le sue doti di grande comunicatore attirano a maggior ragione l’attenzione. Si avvia il processo di spettacolarizzazione del discorso politico, il cui incipit risale agli anni Settanta con Marco Pannella, inventore di strategie comunicative inedite per raggiungere visibilità e trovare sbocchi per le proprie battaglie. Le reti locali non a caso sono protagoniste delle campagne elettorali, politiche, europee e amministrative, del ’79 e ’80. Gli anni che seguono vedono un allentamento delle appartenenze ideologiche e una crisi del modello di partito radicato nel territorio, oltre che uno sviluppo veloce di un sistema d’informazione più moderno e competitivo: c’è una certa disaffezione per i programmi di propaganda elettorale, tuttavia per la campagna del ’94 il medium televisivo appare fondamentale, soprattutto per Berlusconi. È messa a punto una normativa volta a regolamentare la propaganda elettorale sulla base del principio di fresco conio della par condicio, un dispositivo contestato ma necessario, benché reiteratamente ignorato. Un secondo disegno di legge varato nel gennaio 2000 vieta la pubblicità elettorale e regolamenta la campagna vera e propria, impedendo la pubblicazione di sondaggi nei 15 gg precedenti il voto, limitandola in video in appositi contenitori, obbligatori per la tv pubblica, facoltativi per la privata. L’industria dell’intrattenimento e quella politica si intrecciano sempre più. Tra gli anni ’90 e 2000 arriva la tv digitale, più economica sia nella fruizione sia nella produzione, più veloce, aprendo la possibilità a più canali, consentendo meno interferenze, introducendo la pay tv e il meccanismo di narrowcasting, oltre che la possibilità di adattarsi a più tecnologie (etere, cavo, satellite, streaming ecc). In Italia la tv digitale ha successo soprattutto con il satellite, il terrestre e la tv online, permettendo l’introduzione nel mercato nazionale di soggetti internazionali: si apre la possibilità a offerte in pacchetti (bouquet), a library e over-the-top content (OTT). Nel 1990 la Rai sale sul satellite Olympus (’88) con un canale sperimentale, RaiSat: vergono trasmessi documentari, musica classica, sport e un TG realizzato montando servizi prodotti dalle emittenti internazionali. Nello stesso anno acquisisce il 10% del pacchetto azionario di Telepiù, pay, approntando sei canali tematici satellitari. Nel ’97 con Stream si arriva a un canale satellitare totalmente a pagamento che trasmettere calcio e cinema, mentre Sky arriva nel 2003, anch’essa totalmente pay. Nel 1997 giunge la legge Maccanico a mettere un po’ d’ordine, introducendo il sistema Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), che impone il divieto per un soggetto destinatario di concessioni televisive (Rai e Mediaset) di irradiare più del 20% delle reti tv analogiche e dei programmi tv in ambito nazionale, e vieta anche a un soggetto destinatario di concessioni tv (Rai e Mediaset) di raccogliere proventi in misura superiore al 30% delle risorse del settore tv in ambito nazionale. Ciò di questa legge non viene attuato è il trasferimento di Rete4 sul satellite, e la trasformazione di Rai3 in una rete senza pubblicità. Nel 2001 la legge impone il 2006 come limite massimo per il passaggio dall’analogico al digitale terrestre (switch-off), mentre nel 2004 la legge Gasparri sposta tale limite al 2010 (che sarà effettivo solo nel 2012), creando inoltre un sistema per ragionare sui ricavi e i proventi del sistema mediale (Sistema Integrato delle Comunicazioni), mentre impone che i network televisivi non possano conseguire ricavi superiori al 20% dei ricavi complessivi del SIC. Gli anni ’98-’08 vengono considerati la golden age della tv italiana: la legge 122 del ’98 obbliga i broadcaster a dedicare parte del proprio palinsesto a produzioni italiane indipendenti, dunque le case di produzione cinematografiche entrano nel mercato tv italiano. La fiction si professionalizza e nascono filoni come quello del poliziesco all’italiana, caratterizzato dall’ibridazione dei generi (comedy + drama); continuano le miniserie biografiche e s’investe su comedy a sfondo familiare su ispirazione americana. Nel 2003 entra nel sistema televisione Rupert Murdoch, che fondando Sky introduce un canale privilegiato di diffusione della serialità “quality” americana in Italia. All’interno del suo pacchetto, Sky inizia a prevedere il canale Fox, interamente dedicato all’importazione di serie TV americane. Boris (2007-2010) è la prima serie tv pay originale affidata da Sky a Fox, sitcom fortemente auto-riflessiva. Come non accade per le fiction Rai e Mediaset, il 2008 vede il boom di produzioni originali marcate Sky Italia: Quo Vadis Baby è la prima serie drama, seguita da Romanzo criminale, con cui Sky inaugura un vero e proprio modello produttivo alternativo a quello del duopolio, che sia infatti esportabile. Romanzo Criminale aderisce agli standard della serialità americana targata HBO: i temi trattati la avvicinano alle grandi serie americane, anche nelle polemiche suscitate dalla messa in scena di una criminalità dal volto umano. Gli ingenti investimenti produttivi, la cura della messa in scena, la complessità della scrittura, l’attenzione nella promozione del prodotto rompono le logiche della tv generalista. A partire da Romanzo Criminale si inaugura la produzione di altre serie complesse, con il coinvolgimento di grandi partner in co-produzioni internazionali (es. The Young Pope, produzione Sky Italia-HBO), con l’obiettivo di creare dei prodotti facilmente esportabili e riconoscibili all’estero. Questa spinta porta anche la Rai a buttarsi in produzioni sempre più complesse (es. L’amica
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