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Istituzione di R. Esposito, Sintesi del corso di Filosofia

Sintesi completa del libro "Istituzione" di Roberto Esposito.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 25/05/2022

chiara9718
chiara9718 🇮🇹

4.4

(190)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Istituzione di R. Esposito e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! ISTITUZIONE di R. Esposito ORGANIZZAZIONE —> combinazione tra comunicazione e decisione. L’organizzazione può essere definita anche come una struttura selettiva che ha il compito di selezionare le aspettative di coloro che vogliono entrare a farne parte. Le istituzioni hanno il compito di garantirci sicurezza. Le organizzazioni sono il modo con cui noi possiamo ordinare il futuro prossimo. PROLOGO VITAM INSTITUERE Il lemma VITAM INSTITUERE è la relazione tra istituzione e vita umana, in cui bisogna riconoscerle come un’unica figura che delinea il carattere vitale delle istituzioni e la potenza istituente della vita, ossia della conservazione a vita. Oggi, infatti, è impossibile parlare di “politica” fuori dal riferimento alla vita, poiché le istituzioni sono al centro di questo passaggio. Le istituzioni costituiscono il ponte attraverso il quale il diritto e la politica modella la vita dell’uomo, modellando le diverse società, differenziandole e articolandole tra loro. Perciò non è possibile, per gli uomini, anche nelle circostanze più drammatiche, smettere di istituire la vita, di ridefinire contorni e obiettivi. Questo perché è la vita stessa ad averli istituiti, immettendoli in un mondo comune che tutt’uno con i simboli che di volta in volta lo esprimono. E questa dimensione simbolica non è qualcosa che si aggiunge alla vita umana dall’esterno, ma è proprio ciò che la rende tale, distinguendola da ogni altro tipo di vita. Dunque, Esposito riflette sul fatto che il compito umano è sempre quello di istituire la vita, che quindi cambia di forma e a volte anche di contenuto. Le istituzioni sono elementi della vita umana stessa, che consente il perpetuarsi della vita. Noi abbiamo bisogno delle strutture selettive (organizzazioni). Nessuna ita umana è riducibile alla sola sopravvivenza, ma va oltre i bisogni primari, accedendo all’ambito dei desideri e delle scelte, delle passioni e dei progetti. La vita umana non coincide mai con la semplice materia biologica, anche quando è schiacciata dalla sua natura o dalla storia. A conferirle questa qualifica è la sua appartenenza a un contesto storico fatto di relazioni sociali, politiche, culturali. Tutto ciò per restare in vita. CONSERVAZIONE A VITA —> è al centro della grande cultura classica e moderna. MANTENERSI IN VITA È IL PRIMO COMPITO AL QUALE GLI UOMINI DI TUTTE LE SOCIETÀ SONO STATI chiamati in una sfida, non sempre vinta, e che a volta si rinnova con violenza inaspettata. Inoltre, per restare in vita non possiamo rinunciare alla vita con gli altri, cui si lega il senso più intenso della communitas. Compito primario delle istituzioni non è però solo quello di consentire a un insieme sociale la convivenza in un dato territorio, ma anche di assicurare la continuità nel mutamento. 1 1 CAPITOLO - L’ECLISSI 1. DALLA PANDEMIA Ciò su cui va orientata l’attenzione è la relazione tra emergenza del virus e risposta delle istituzioni, che hanno cercato di istituire di nuovo la vita, una vita nuova. È opportuno porsi una domanda: come avremmo retto all’attacco del virus senza le istituzioni, in base al quale orientare i nostri comportamenti? Le istituzioni sono apparse l’unica risorsa disponibile, si è trattato di uno stato, non prolungabile definitivamente, legittimato dal Parlamento. E, soprattutto, dovuto non da una volontà sovrana di estendere il controllo sulle nostre vita, bensì da un misto di necessità e contingenza del tutto imprevedibile. Qui è opportuno soffermarsi sulla differenza tra stato di emergenza e stato di eccezione. • STATO DI ECCEZIONE —> (sono io che la produco) presuppone sempre qualcuno che dice che l’eccezion c’è. È sempre dichiarato da qualcuno “sovrano” che rinvigorisce il suo stato di sovrano. Lo stato di eccezione è sempre proclamato da un potere sovrano, che mediante tale proclamazione che rinvigorisce il suo potere. È uno stato tale definito da qualcuno, quindi determinato da un unico soggetto, che è chiamato a intervenire ad una determinata condizione. • STATO DI EMERGENZA —> (la subisco) è dovuto da un fattore esterno a cui è necessario rispondere per fare fronte. È uno Stato che il soggetto subire in modo passivo il manifestarsi dei fatti. Dunque, si istituiscono nuove istituzioni per rispondere a situazioni e periodi di crisi. In questi mesi le istituzioni sono state investite da polemiche mosse da prospettive tanto opposte. Qui è necessario ricordarsi che il conflitto non solo non è estraneo alle istituzioni democratiche, bensì presupposto al loro funzionamento, che sta alla base della “prassi istituente”. PRASSI ISTITUENTE —> definita anche logica dell’istituzione, IMPLICA UNA CONTINUA TENSIONE TRA INTERNO ED ESTERNO, non potrà mai essere placata, che starà sempre alla base delle trasformazione delle organizzazioni, trasformazioni che stanno alla base delle esigenze dell’uomo. Ciò che è fuori dalle istituzioni, prima di istituzionalizzassi anch’esso, modifica l’assetto istituzionale precedente, sfidandolo e deformandolo. Questo è un principio essenziale, perché ci si conserva in vita non restando fermi, ma muovendoci e cambiando. Un’istituzione, quindi, funziona soltanto se cambia, in relazione a ciò che accade all’esterno. Ci sono quindi due presupposto erronei nel pensare all’istituzione: - IDENTIFICARE LE ISTITUZIONI CON QUELLE STATALI, quando in realtà esistono anche istituzioni extra- statali, antistatici, come i movimenti di protesta dotati di qualche forma di organizzazione. Essi esprimono un’energia istituente che anche le istituzioni dovrebbero mantenere viva per “mobilitarsi” e oltrepassarsi, anche per la formazione di nuove istituzioni. - CONSIDERARE LE ISTITUZIONI IN TERMINI STATICI, quando in realtà sono in continuo divenire. Questo infatti non è possibile perché si mantiene in vita soltanto ciò che si muove e cambia. 2 4. ISTITUZIONI SOVRANE Esposito indica 2 ragioni di fondo che stanno alla base sull’interesse delle istituzione in rapporto ai processi di cambiamento e trasformazione, indicando tale terminologia: ci sono degli studiosi che credono che le istituzioni rispondano secondo modalità sia religiose che politiche. Infatti, il modello di istituzione che si diffonde nella società medioevale risente fortemente di questo spostamento di accenti da una dimensione funzionale, come quella romana, a un modalità autoritaria di carattere trascendente. L’istituzione è connotata dalla presenza di un elemento autoritario, vigente non solo all’atto della genesi, ma lungo l’interno arco della sua durata. Istituzione è ciò che consente a un dato potere di durare nel tempo senza essere messo in discussione dai suoi membri. l’Ancien régime accentua questo presupposto gerarchico, incorporandolo nella figura monarchica del sovrano assoluto, in cui l’individuo deve conformarsi all’insieme di regole per rispondere al proprio dovere di buon cristiano. In questo senso il sovrano, posto a capo dell’istituzione, è egli stesso istituto, impegnato nell’istituzione e nell’istruzione che garantiscono l’ordine civile, religioso e militare. Dunque, L’ISTITUZIONE NON È ALTRO CHE UN VINCOLO SACRALE CHE LEGA L’UOMO ALLA DIVINITÀ NEL PUNTO D’INCROCIO FRA TEMPO ED ETERNO. Questa storia si chiude già nel corso della Rivoluzione francese, in cui qualcosa come un sistema amministrativo comincia a prendere corpo in maniera per certi versi esterni alla volontà sovrana, perché necessariamente in rapporto con organizzazioni, poteri, interessi non interamente rappresentati dalla monarchia. È un primo spostamento verso il moderno concetto di “istituzione”, in cui esso comincia poco alla volta ad affermarsi come il complesso degli organi in cui si articola la vita sociale e politica di un paese. Tuttavia, nonostante la svolta dalla tradizione medioevale alla filosofia politica moderna, un elemento autoritario permane ancora a lungo. 2 CAPITOLO - IL RITORNO 1. SOCIOLOGIA Nel ‘900, a inaugurare uno sguardo nuovo sulle istituzioni è la nascente scienza sociologica, lungo il filone che va da ÉMILE DURKHEIM a MARCEL MAUSS. MARCEL MAUSS —> nel saggio “Grande Encyclopédie” afferma che oggetto privilegiato della sociologia sono appunto le istituzioni e come queste dipendono dal contesto sociale in cui sono impiantate. I soggetti, piuttosto che formare le istituzioni, sono essi stessi formati mediante l’educazione trasmessa lungo la catena delle generazioni. I soggetti sono educati dalle istituzioni, non il contrario. SONO LE ISTITUZIONI CHE DIREZIONANO IL SOGGETTO SECONDO DETERMINATE DIREZIONI, COMPORTAMENTI E ATTEGGIAMENTi. Non è, dunque, il soggetto sovrano, che si rende protagonista e in grado di mettere in piedi regole di comportamento. Non è il soggetto che ha capacità decisionali e a plasmare le istituzioni, ma sono le istituzioni a tracciare i margini all’interno dei quali il legislatore (colui che decide) deve muoversi. 5 GRAMMATICA ISTITUZIONALE —> ossia di una serie di regole che fanno sì che l’istituzione possa presentarsi come qualcosa di efficiente. Le istituzione sono in possesso di una specifica grammatica, in cui l’individuo si trova all’interno di tale grammatica e ne viene condizionato. Dunque, LA GRAMMATICA ISTITUZIONALE DIREZIONA LA VITA DEGLI INDIVIDUI. 2. DIRITTO I primi, e più influenti, teorici dell’istituzionalismo giuridico sono il francese Maurice Hauriou e l’italiano Santi Romano. MAURICE HAURIOU —> teorico dell’ISTITUZIONALISMO GIURIDICO. Ciò che distingue questo studioso da quello tradizionale è che non mette l’istituzione solo al centro della sovranità statale, ma possono esistere istituzioni che non sono prodotti dello Stato, dove quindi le istituzioni hanno in realtà autonomia. Inoltre, l’istituzione, generata in un dato ambiente sociale, può incarnarsi o meno in una persona giuridica, dando vita a due tipologie differenti: • ISTITUZIONI-PERSONA (es. partiti e sindacati): dotati di facoltà di normazione. • ISTITUZIONI-COSA: sono autonome dalla struttura statale. SANTI ROMANO —> (ha occupato posti di responsabilità anche durante il regime fascista) negli stessi anni elabora la teoria istituzionalistica più sorvegliata e radicale. All’origine della legge non c’è solo la volontà del legislatore, ma anche la necessità espressa dalla società. Essa è una potenza capace di costringere il legislatore a derogare da norme giù promulgate e a crearne di nuove. In questo senso Romano fa del diritto una forza creativa capace di produrre nuova realtà giuridica. Ciò allarga in maniera esponenziale i confini della nozione di “ordinamento”, estesa adesso a tutte le forze sociali organizzate - interne, esterne o anche contrarie allo Stato. Che lo Stato le consideri potenze ostili, e le combatta in quanto tali, non toglie che, di per sé, siano giuridiche per il solo fatto di avere un’organizzazione interna. Senza mancare di aggiungere - argomentazione sorprendente in chi ha fatto opera di giurista nel regime fascista - che un’associazione rivoluzionaria che mirasse a rovesciare un ordine statale ingiusto sarebbe più etica dello stesso Sito che la dichiara illecita. 3. FILOSOFIA L’istituzione va analizzata anche sotto un punto di vista filosofico, mediante quindi la filosofia. Per coglierne la genesi bisogna guardare soprattutto alla corrente FENOMENOLOGIA, inaugurata da EDMUND HUSSERL e MAURICE MERLEAU-PONTY, già dagli anni ’50 del secolo scorso. In quadro, infatti, la fenomenologia restava l’unico grande filone filosofico a parlare la lingua dell’istituzione, lungo due assi teorici diversi, concetti avviati da HUSSERL: 1. IL RAPPORTATA SOGGETTO E OGGETTO 2. COSTITUITO DAL CONCETTO DI “RELAZIONE”, in cui il soggetto è in relazione con gli altri. MAURICE MERLEAU-PONTY —> introduce una netta differenza tra i concetti: 1. “Prassi istituente”: afferma una processuali che introduce il nuovo all’interno di ciò che era già istituito, già realizzato. 6 Inoltre, mediante la prassi istituente, l’istituzione va a modificarsi, introducendo il nuovo. Ciò oltre a modificare l’oggetto che istituisce, la prassi istituente trasforma anche il proprio soggetto, ossia i soggetti che l’attivano. 2. “Potere costituente”: ossia la creazione dal nulla. il potere costituente presuppone sempre un soggetto già formato, come il popolo sovrano, partiti. 4. POLITICA Nel campo del pensiero delle istituzioni, insieme alla sociologia, al diritto e alla filosofia, non può mancare la politica. Anzi, essa occupa un posto di primo piano, situandosi nel punto di incrocio tra istituzione e società. A congiungere istituzioni, società e politica è la funzione del conflitto. La politica, infatti, istituisce la società dividendola in due campi inevitabilmente conflittuali, portando la società ad essere divisa tra valori e interessi contrapposti. In questo senso, la prassi istituente è ciò che rende la società consapevole di essere divisa e dove è presente questa divisone, spiegando anche il rapporto stretto tra politica e società. La società non potrebbe esistere senza la politica, come la politica non potrebbe esistere senza la società. MACHIAVELLI —> considera la politica come qualcosa di fondato sul “CONFLITTO”. Non in contrasto con l’ordine, ma in relazione necessaria a esso. Infatti, per Machiavelli, il conflitto è il motore fondamentale dell’ordine politico. Non è possibile pensare al conflitto separatamente dalla politica, ma il conflitto è primario rispetto alla politica. Dunque, il conflitto diviene un momento della politica. La politica è caratterizzata dall’assoluta contingenza, che ne impedisce ogni tentativo teologico, quindi di scopi e traguardi. Dunque, gli scopi e i traguardi sono impediti dal conflitto. Alla base della società non c’è un unico fondamento. Il sociale è, fin da subito, diviso. In questa ottica IL COMPITO DELLE ISTITUZIONI È QUELLA DI GESTIRE E GOVERNARE IL CONFLITTO, PER TIRARE FUORI DAL CONFLITTO IL MEGLIO, anziché degeneri nella violenza. THOMAS HOBBES —> riconduce la politica allo Stato, sostenendo che l’unica istituzione possibile e necessaria alla sopravvivenza della società è quella statale. Dunque, Hobbes riconduce la politica allo stato, mentre Machiavelli non fa questa operazione di riconduzione della politica allo Stato. Per Machiavelli, che vive in un paese, come l’Italia del ‘500, privo di Tanto, le istituzioni politiche, vili, religiose, militari eccedono l’orizzonte statale, lo precedono, ma anche l’oltrepassano. Come può una società essere unificata dalla propria divisione? Come può il conflitto produrre l’ordine, senza scivolare in dinamiche di antagonismo assoluto? Per fornire una risposta a queste domande è necessario conoscere il ruolo del negativo nella prassi istituente. Ci deve essere alla base della prassi istituente qualcosa che vale come elemento di confronto, imprescindibile per l’articolazione di un tessuto istituzionale 7 2. PROTESI DELL’UMANO L’esponente più noto dell’”antropologia filosofica” è Arnold Ghelen. L’antropologia filosofica moderna si sviluppa negli anni ’20 del secolo scorso, un periodo complicato, poiché subito dopo la prima guerra mondiale. Su un piano filosofico si sente l’importanza di ripartire da una delle domande classiche, proprie della tradizione filosofica, ossia: chi è l’essere umano e qual’è la sua essenza? Per questi autori qualcosa di significativo lo si può trovare nelle scienze della natura, in particolare la biologia, che hanno dato dei contributi importanti per comprendere che cos’è l’essere umano. Dunque, SCHELER, PLESSNER, ANDERS e GHELEN utilizzano la biologia (fine ‘800 e inizio ‘900) per rispondere a che cos’è l’uomo e qual’è la nostra natura. Perché è importante il rapporto tra filosofia e biologia? Questi filosofi arrivano a mettere in piedi il seguente ragionamento: prendiamo in considerazione la differenza degli esseri umani, individuati biologicamente, e le altre forme viventi, che sono due: animale e le piante. Mettiamoci a confronto con la vita animale: • ANIMALI: è contraddistinta a livello organico dal possedere un corredo istintuale. L’animale è ricco di istinti, che gli serve per rispondere in modo automatico agli stimoli provenienti dal mondo esterno. • ESSERI UMANI: siamo caratterizzati da un corredo di risposte predeterminate che non è sufficiente, poiché siamo aperti al mondo e quindi a una molteplicità di stimoli da parte dell’ambiente e noi non abbiamo gli stimoli sufficienti per rispondere a tutti questi stimoli. Gli esseri umani sono poveri di istinti. Dunque, l’animale si caratterizza per un pacchetto di risposte innate che sono sempre quelle e sono sempre riferite a un certo numero di stimoli che derivano dallo spazio circostante in cui vive. L’essere umano, invece, non possiede queste risposte innate, ma è all’intento di un processo di scelte, il quale determina il rischio. Riflettuto su ciò, l’antropologia filosofica moderna arriva a sostenere che l’essere umano è sia: • CARENTE, perché non possiede risposte innate • ECCEDENTE, poiché possiede delle energie vitali che gli consentono di conservarsi in vita. HELMUTH PLESSNER —> sottolinea ancora di più questo aspetto, sostenendo che gli esseri umani sono ESSERI NATURALMENTE ARTIFICIALI, che gli permette di conservarsi in vita. È mediante la produzione e la realizzazione di qualcosa di artificiale che consente all’essere umano di resistere e rispondere alle problematiche che accadono. Esposito ricorda la formula di NIETZSCHE, quando dice che l’essere umano è un animale non ancora consolidato, perché non ha disposizione di tutto ciò che gli serve per vivere in modo automatico in relazione al mondo. Noi siamo degli esseri umani fragili e particolarmente esposti, in senso pericoloso, poiché chiama l’uomo al rischio e a decidere di fronte a ciò che gli accade. In questa ottica risulta dunque indispensabile colmare questa carenza. ARNOLD GHELEN —> anche in lui a fare la differenza è il modo di trattare il negativo. Non solo egli non ne sottovaluta la presenza, ma ne fa il presupposto della propria antropologia. Rifacendosi alla tesi nietzscheana dell’uomo come “animale non consolidato”, Ghelen lega la fragilità umana a una naturale carenza di istinti. Questa mancanza, che pone l’uomo in una condizione di iniziale 10 inferiorità nei confronti degli animali, determina la necessità di dotarsi di strumenti artificiali il cui esito ultimo è costituito dalle istituzioni. Essendogli negato il soddisfacimento immediato dei bisogni primari per insufficienza di strumenti naturali, egli li sostituisce con delle protesi tecnologiche mediante le quali colmare lo scarto con l’universo animale che originariamente lo sovrasta. In questa ottica cosa c’entra l’istituzione? L’istituzione è ciò che ci mette parzialmente al riparo da tutti quei pericoli che si possono palesare nel rapporto che noi abbiamo con il mondo visto come un “campo di sorprese”, e che, per tale ragione, a volte si presenta come un pericolo. L’ISTITUZIONE, ALLORA, HA IL COMPITO DI COMPENSARE PARZIALMENTE LA CARENZA DELL’ESSERE UMANO, MEDIANTE UNA RISPOSTA INDIRETTA CHE CI ASSICURA SICUREZZA E STABILITÀ. Infatti, NIKLAS LUHMANN diceva che se c’è una cosa per cui l’uomo può essere sicuro è il fatto di non poter prevedere cosa gli accadrà e questo produce ansia. Per governare tale ansia l’essere umano può creare e realizzare delle realtà organizzate. Dunque, l’essere umano non può prevedere il futuro, ma può organizzarlo per venirne sorpreso. Perciò la realizzazione delle istituzioni. ARNOLD GHELEN —> individua la LEGGE DELL’ESONERO, una legge chiave che l’essere umano mette in pratica di fronte ad una realtà complessa e plurale. Tale realtà mette l’uomo in situazioni sempre differenti tra loro e l’uomo, di fronte a tali situazioni, si trova in difficoltà nel trovare una scelta. La legge dell’esonero consente di sottrasti dalle pulsioni da cui è naturalmente sollecitato. Da qui, le istituzioni, utili per aiutare l’uomo a non affaticarsi nella scelta, a cercare sempre la risposta giusta. Istituzioni come una serie di protesi necessarie a sostituire gli arti mancanti. NOI ABBIAMO BISOGNO DI DISPOSITIVI CHE CI ESONERINO DAL COMPITO DI PRENDERE CONTINUAMENTE POSIZIONE E UNA DECISIONe, di fronte ad una realtà plurale. La funzione delle istituzioni è quella di liberare gli uomini dal compito di organizzare la propria vita in un ambiente oneroso, trattenendola (la vita) entro contorni prestabiliti. Così, liberi dalla pressione dell’adesso, del qui ed ora, gli uomini possono programmare una durata nel futuro, non limitandosi a vivere, ma impegnandosi a condurre la propria vita. Gli esseri umani, affidati a sé stessi, senza la protezione delle istituzioni, non sarebbero in grado di sostenere né l’eccesso pulsione che preme dall’interno né la pressione ambientale che grava da fuori su di essi. Esempio: quanto sarebbe durato il cristianesimo se fosse rimasto uno dei tanti messaggi profeti che affocavano il mondo antico, senza la Chiesa, capace di difenderne e propagarne la dottrina nel tempo? ADORNO —> obiettò a Ghelen che le istituzioni non sono solo una protesi tecnica originata dalla mancanza della natura, ma il frutto di un determinato sviluppo storico. Perciò il nostro destino non dipende solo loro dalla tenuta, ma soprattutto dalla loro disponibilità al mutamento. Adorno, dunque, dice a Ghelen che l’uomo ha bisogno di vincoli e obblighi e che le realtà organizzate e le istituzioni, quando non funzionano, bisogna cercare di riformarle. Ma, se nonostante gli sforzi compiuti, alcune istituzioni continuano a non funzionare, vanno superate mediante la creazione di nuove istituzioni. 11 3. ISTINTI E ISTITUZIONI GILLES DELEUZE —> interpreta il negativo della prassi istituente in una chiave più aperta.differentemente da coloro che vedono nelle istituzioni un impedimento delle forze vitali, egli vi riconosce una potenza affermativa volta a favorirne lo sviluppo. Non solo l’istituzione non soffoca il libero dispiegamento degli istinti, ma, a certe condizioni, ne consente l’espansione. Anziché esercitare un effetto inibitorio sulle tendenze naturali, apre a esse uno spazio di soddisfazione altrimenti precluso. Egli arriva a tale conclusione mediante una sconnessione tra istituzione e legge, che spinge quest’ultima dal lato negativo, riservando alla prima una connotazione positiva. Mentre la legge rinchiude l’azione umana entro confini segnati da obblighi e divieti, L’ISTITUZIONE LE FORNISCE MODELLI FUNZIONALI PER UNA REALIZZAZIONE AGEVOLATA E FACILITATA DELL’AZIONE UMANA. È per questo che Deleuze può sostenere la tesi inusuale che, se “la tirannia è un regime in cui vi sono molte leggi e poche istituzioni, la democrazia è un regime in cui vi sono molte istituzioni e pochissime leggi”. Alla base di tale affermazione c’è un rovesciamento di priorità nella relazione tra diritto, politica e società. Norma giuridica (diritto) e decisione politica non precedono, ma seguono, i bisogni storicamente istituiti. Per Deleuze, il punto di riferimento di tale ragionamento è Hume. E ciò per un doppio motivo: - anziché opporre la natura alla cultura, le integra in una modalità che abbandona il dualismo moderno favore di una nuova prospettiva. - Per l’utilitarismo di Hume, in cui l’asse portante della società non è la legge, ma l’istituzione. L’intendimento di una società plasmata dalle istituzioni è rendere i cittadini soggetti di una prassi che fa riferimento ai loro bisogni. Dunque, DECISIONE POLITICA E NORMA GIURIDICA NON PRECEDONO I BISOGNI SOCIALI, MA NE DERIVANO. Tra individuo e specie s’interpone sempre un terzo elemento, costituito dalla società. La sua presenza rivela il carattere bivalente dell’istituzione, che è insieme naturale e storico”. Ciò vuol dire che NELL’ISTITUZIONE LA COMPONENTE DEL NEGATIVO È SEMPRE PRESENTE E HA UNA SUA FUNZIONE ESSENZIALE PER LO SVILUPPO DELL’ISTITUZIONE STESSA. L’istituzione, dunque, è ciò che consente all’uomo di conservarsi in vita. Questa rilevazione del carattere bivalente dell’istituzione serve, secondo Esposito, per prendere posizione nei confronti di coloro che vedono l’istituzione come qualcosa di negativo, convinti che l’istituzione blocchi la forza vitale dell’essere umano. Esposito, infatti, afferma che è presente qualcosa che blocca, ma è la legge, non l’istituzione. Inoltre, la rilevazione del tessuto istituzionale secondo una prospettiva storica serve a non rimanere troppo legati in modalità conservatrici. Tutto ciò per sollecitare a non ricadere al doppio estremismo. Tutto ciò inverte le proporzioni tra istituzione e legge. L’istituzione è l’affermazione di un negativo (dovuti da dei conflitti interni determinati da bisogni differenti che però consentono la spinta al mutamento dell’istituzione) contrariamente alla legge, che è la negazione di un positivo. Questo perché la legge nega il conflitto e la spinta al mutamento. 12 tale neutralizzazione a separarlo dalla giustizia, che al contrario, richiede prese di posizione, anche conflittuali, contro l’ingiustizia. Infatti, TEUBNER ripercorre da un punto di vista genealogico l’impossibile tra diritto e giustizia nel testo intitolato Giustizia autosovversiva. Ciò che va fatto è ridare concretezza all’attività politica all’interno delle singole istituzioni, assecondare il processo di differenziazione e renderle autonome, senza più che esse siano manifestate da un ordinamento unificato. Inoltre, in questo modo il politico sarà destituito di ogni ambizione totalizzante. A questo processo di democratizzazione possono, e devono, partecipare anche organizzazioni non governative, strutture sindacali, ordini professionali, ecc. Esposito muove una critica nei confronti di due differenti prospettive: • TEORICI POST-HOBBESIANI: fanno riferimento a HOBBES e definiscono le istituzioni legate allo Stato. • TEORICI POST-SPINOZIANI: pensano alla produzione di istituzioni di carattere extra-statuale. Questo pensiero deriva SPINOZA. Esposito rinvia, invece, a una prospettiva che egli stesso legittima, ossia LEIBNIZIANA, che fa si riferisce a LEIBNIZ. Essa pensa che le istituzioni e lo Stato sono qualcosa di intrecciato (combinato), in modo tale da favorire la trasformazione, il rafforzamento e il potenziamento delle istituzioni e dello Stato. Dunque, non sta né dalla parte dei post-hobbesiani né dalla parte dei post-spinoziani. 4. OLTRE LO STATO? Ovviamente quando si parla di “ORIZZONTE POSTSTATUALE” non s’intende un mondo senza Stati. Dopo lo Stato - si può ben dire - c’è ancora lo Stato. un’osservazione analoga si può fare per la sovranità, ancora presente e operante, con modalità e intensità diverse. ETIENNE BALIBAR —> ha parlato di “TEOREMA MACHIAVELLI”, alludendo a un’espansione della democrazia attraverso una costituzionalizzazione dei conflitti all’altezza dello scontro sociale che attraversa la società contemporanea. 5 CAPITOLO - ISTITUZIONI E BIOPOLITICA 1. BIOPOLITICA Torniamo al lemma vita instituere, con cui lo abbiamo aperto. Cosa vuol dire istituire la vita? La vita si lascia istituire? O è essa a penetrare nella sfera delle istituzioni, rigenerandole? A essere in discussione, in tale domande è quella RELAZIONE TRA VITA E POLITICA che da qualche tempo viene definita con il termine “BIOPOLITICA”. Secondo Esposito (autore del libro) lavorare al loro incrocio è possibile e necessario. Del resto l’attuale pandemia ci richiama alla necessità di questo doppio sguardo, situandosi quindi in un orizzonte biopolitico. 15 Il Covid-19 ha attaccato prima di tutto la nostra sopravvivenza, determinando una serie di provvedimenti di tipo biopolotico.lo stesso stato di emergenza va ricondotto allo stesso paradigma: a consentire provvedimenti extra legem può essere solo la difesa della vita. Il carattere biopolitico della crisi pandemica ha richiesto l’intervento delle istituzioni in un prova ardua che non le ha lasciate immutate. Proprio esso reclama una prassi istituente all’altezza della situazione. Infatti, tutte le istituzioni coinvolte hanno prodotto dei cambiamenti al proprio interno. Insomma, sul piano reale, BIOPOLITICA E ISTITUZIONI COSTITUISCONO I VERSANTI COMPLEMENTARI DI UNO STESSO PROCESSO, in cui ogni immediatezza deve passare per una forma di istituzionalizzazione. Ma nella teoria l’integrazione tra biopolitica e istituzioni appare meno fluida, ciò originato anche dal pensiero di Foucault. MICHEL FOUCAULT —> ha elaborato il concetto di “BIOPOLITICA”, in cui sostiene che “l’esistenza in questione non è più quella, giuridica, della sovranità, ma quella, biologica, di una popolazione”. La sua prospettiva è ambivalente, poiché da un lato muova la critica al dispositivo sovrano, dall’altro la presa di distanza dalla dimensione giuridica mette in ombra anche le istituzioni. Secondo Foucault, il biopotere non si rapporta più con soggetti di diritto (al diritto stesso), ma a essere viventi, modellati sul piano individuale e controllati socialmente. Tale passaggio di fase è segnato dalla sostituzione del sistema giuridico della legge con il dispositivo della norma, appunto biopolitico. Ciò vuol dire che le istituzioni della giustizia assumono funzioni normalizzatrici. Dunque, legislazioni, costituzioni, codici, scaturiti dall’età della Rivoluzione, hanno un potere regolatore. Da allora “è la vita, molto più che il diritto, che è diventata la posta in gioco delle lotte politiche, anche se queste si formulano attraverso affermazioni di diritto”. Quindi, in Foucault è evidente una CONTRAPPOSIZIONE TRA LA SFERA DELLA VITA E QUELLA DEL DIRITTO. Nel momento in cui la politica investe la vita, potenziandone lo sviluppo, i dispositivi giuridici della legge tendono a essere sostituiti da quelli delle norme, che sono più pervasivi. Secondo Esposito (autore del libro), il problema alla base sta nella definizione di istituzione. FOUCAULT ASSOCIA L’ISTITUZIONE ALLA SOVRANITÀ, METTENDOLA IN OPPOSIZIONE ALLA VITA. Secondo Foucault, le istituzioni controllano e sorvegliano la vita, non potenziandola. L’impressione di Esposito è che Foucault non abbia pensato a vita e politica come un blocco semantico, ma le abbia separate e solo successivamente congiunte in un modo che finisce per sovrapporle. A separarle drasticamente è la figura del potere, nel momento in cui esso si appropria delle istituzioni, adoperandole per il controllo e il dominio sulla vita. 2. DOPPIA NASCITA Il punto cieco della filosofica politica contemporanea resta il mancato incontro tra istituzioni e vita. Se, come si è visto, per Foucault la vita può espandersi solo fuori dalla gabbia oppressiva delle istituzioni, per Hannah Arendt, al contrario, queste vanno tenute a riparo dalla pressione della vita. HANNAH ARENDT —> tutta la sua ricerca converge nell’impegno di costruire istituzioni politiche capaci di resistere all’urto del tempo. Arendt si riconosce nel principio della separazione dei poteri, in cui, per impedire un eccessivo accumulo di potere, le istituzioni devono essere molteplici e diverse tra loro. 16 Ma più che ai meccanismi istituzionali, o a singole istituzioni, l’attenzione di Arendt è rivolta al principio istituente in quanto tale. La logica istituente è talmente radicalizzata da concentrare l’intero agire politico nell’attimo della sua genesi. Dei due significati di “iniziare” e “comandare”, in cui l’azione politica è sempre l’inizio di qualcosa di nuovo. Tutto ciò, però, in una contrapposizione tra istituzione e vita biologica, in cui prassi istituente e vita biologica, anziché saldarsi in un circolo virtuoso, crescono l’una nel rovescio dell’altra, negandosi a vicenda. Ancora una volta, insomma, istituzioni e vita risultano incompatibili, fronteggiandosi in una scontro che sottopone un termine al dominio dell’altro. Mentre Foucault critica le istituzioni perché repressive del libero corso della vita, Arendt individua nella vita biologica la forza irresistibile che dissesta le istituzioni. 3. DIRITTO IMPERSONALE Come ricostituire la connessione tra istituzioni e vita, superando il blocco, teoretico e politico, che per tutto il ‘900 ne ha impedito l’articolazione? A questo proposito, il sociologo Eugen Ehrlich parla di “DIRITTO VIVENTE”. EUGEN EHRLICH —> per lui il diritto vivente non nasce dalla scienza giuridica, ma dalla concretezza della vita sociale. Così intesa, la vita del diritto è anche vita nel diritto. Costituzione è dimensione concreta e vita, che persistite a ogni giurisdizione, modellandola in base a istanze extragiuridiche. Ci sono situazioni di fatto -come la convivenza di una coppia non sposata - che in qualche modo reclamano un diritto, senza ancora essere giuridificate. Naturalmente che lo divengano, non è scontato, dipende dal confronto, o dallo scontro, tra interessi contrapposti. Per questo diritto vivente, poiché è sempre potenzialmente conflittuale: lotta nel diritto e per il diritto. Il diritto lotta, all’interno e all’esterno dei propri confini, per estendere il proprio raggio d’azione ad ambiti precedentemente esclusi. Questa tendenza includente del diritto vivente ha fatto parlare anche di “DIRITTO COMUNE”. LUHMANN —> definisce il diritto comune come “SOTTOSISTEMA IMMUNITARIO”dei sistemi sociali. Immunitario nel senso che serve a salvaguardare la società dalla violenza reciproca soltanto minacciando a sua volta una sanzione violenta. Ma il diritto è un dispositivo immunitario anche perché presuppone la possibilità dell’esclusione. Un diritto comune, realmente di tutti, non sarebbe, in senso proprio, diritto. Perché coloro che ne godono possano percepirlo come tale - come diritto e non come dato di fatto - devono presupporre che qualcuno possa non goderne. 17
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