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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO, Sintesi del corso di Istituzioni di Diritto Romano

Istituzioni di diritto romano, seconda sezione autore: Brutti

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 23/03/2021

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Scarica ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO e più Sintesi del corso in PDF di Istituzioni di Diritto Romano solo su Docsity! Capitolo 1. Le cose 64. Il termine ‘res’ Debere- ‘dovere’ Adquirere- ‘acquistare’ Petere- ‘chiedere in giudizio’ Questi tre verbi assumono un significato concreto soltanto se si applicano ad oggetti determinati. Res- oggetti dei quali le persone si avvalgono, assegnano loro un valore che è prevalentemente di tipo patrimoniale; vengono designati anche come ‘beni’: riguarda ciò che è economicamente utile e giuridicamente disponibile per una persona sui iuris. È un termine generale che può comprendere situazioni dissimili, ciascuna con i propri tratti qualificanti. Tutti i referenti di questa parola hanno però un carattere comune che è la determinatezza. Se la parola ‘res’ indica un bene, un quid (qualsiasi cosa) che ha un valore, è possibile immaginare che tutte le situazioni giuridiche dalle quali proviene un’unità per l’individuo siano annoverabili tra le res, benché spesso immateriali? In realtà la smaterializzazione delle cose avviene presto (II sec. a.C.). Finché in Gaio l’idea delle cose non corporali assume un valore strategico, divenendo uno dei cardini su cui si regge l’istituzione didattica delle Institutiones. 65. La varietà delle cose. Gaio opera delle dicotomie: 1) Res in patrimonio- beni che si collocano tra quelli di cui i privati dispongono Res extra patrimonium- restano fuori dai beni di cui i privati possono disporre. Altra distinzione simile nei testi giuridici è quella tra res in commercio e res extra commercium a seconda che formino o no oggetto di alienazione e di acquisto. 2) Res divini iuris- cose del diritto divino, estranee ai patrimoni privati; si dividono in sacre (consacrate agli dèi superi) e religiose (consacrate agli dèi Mani). Vi si aggiunge anche una categoria minore- res sanctae a indicare le mura e le porte della città che sono destinate alla protezione degli dei. Secondo le esemplificazioni di Elio Gallo (II sec. a.C.) sacro è l’edificio dedicato ad una divinità, santo il muro che circonda la città e religioso il sepolcri dove vengono messi i corpi delle persone estinte. Gaio sottolinea però che affinché una cosa sia sacra bisogna che sia stata così definita attraverso un atto riconducibile al populus romanus (legge o senatoconsulto). Diretto rapporto tra divino e collettività. Sempre Gaio stabilisce una gerarchia: il sacro è indispensabile per gli individui mentre la res religiosa è tale in seguito ad una manifestazione della volontà, che ha l’effetto di far uscire la cosa dal patrimonio a cui apparteneva. Res divini iuris in contrapposizione con: Res humani iuris divise: Res publicae- fuori da ogni patrimonio dei singoli; appartengono alle universitas (intese qui come insieme delle civitas Romanorum). La giurisprudenza tra II e I sec. usa publicum per definire tutto ciò che è accessibile all’uso collettivo, che non può essere oggetto di scambi e da cui è esclusa la proprietà privata. Nell’età dei Severi si aggiungerà il punto di vista dello ius naturale. Secondo Gaio pubblico è tutto ciò che in generale si imputa all’entità populus Romanus, distinta e separata dagli individui che la compongono. Res privatae- appartengono ai privati. Marciano aggiunge la categoria communia omnium che superano la divisione pubblico- privato (Es: acqua corrente, aria, mare). Non è pensabile il commercio di questi beni. Vi è una dimensione uomo-natura non riducibile all’appropriazione dei singoli e tale da sfuggire anche al potere del populus Romanus o del princeps. Il giurista integra la dicotomia pubblico-privato e dà allo ius naturale uno spazio positivo. Le cose comuni si offrono senza limiti né proibizioni. L’interesse di ciascuno a godere della natura non può escludere quello degli altri. 66. Res corporales e res incorporales. 3) Res corporales- cose che stanno nel mondo materiale. Res incorporales- cose che prescindono da ogni fisicità, create dal diritto. Gaio: “Le res corporales sono quelle che si possono toccare, come il fondo, l’uomo, la vesto, l’oro, l’argento e altri innumerevoli oggetti. Le incorporales sono invece le cose che non si possono toccare: quelle che hanno fondamento nel diritto (iure consistunt), come l’eredità, l’usufrutto, le obbligazioni in qualsiasi modo contratte. […] E. nel novero di queste stesse cose incorporali, rientrano anche i diritti sui fondi urbani e rustici.” L’hereditas può comprendere obbligazioni o acquistarle ex novo, divenendone essa il centro di riferimento, nella fase in cui ‘giace’. Gaio esclude che una res incorporalis possa essere oggetto di traditio. Come si potrebbe consegnare attraverso un atto di trasferimento che comunque è fisicamente individuato, un oggetto del tutto immateriale? Apparentemente in contrasto con l’esclusione dalla traditio per le cose incorporali è l’uso risalente in base al quale le servitù rustiche (incluse tra le res incorporales) vengono trasmesse tramite mancipatio. Al tempo stesso esclude le servitù urbane dalla mancipatio, per le quali è negata anche la traditio ed è possibile il passaggio di proprietà solo mediante in iure cessio. Le servitù urbane non hanno la connessione antica con i fundi italici così come le servitù rustiche che quindi rimangono ancorate alla mancipatio. La proprietà non è inserita tra le res incorporales; è come se essa presupponesse un rapporto immediato dell’uomo con la cosa e una piena identificazione dello ius con il proprio oggetto materiale. La tendenza a separare il diritto dalla cosa emerge dal II sec. a.C. Elio Gallo: “La possessio non è tra le cose che si possono toccare” – siamo di fronte ad un’astrazione giuridica. È questa l’ambientazione storica delle enunciazioni di Gaio. Cicerone pensava che l’identità delle cose è nell’intelletto di chi lo rappresenta. Per questo anche ciò che non può essere toccato può essere pensato e definito. Alfeno, riportando un pensiero di Servio, afferma che il dato formante è chiamato species “la cosa di cui rimane uguale la specie se si considera come se fosse sempre la stessa cosa.” Egli punta su un quid che costituisce la cosa. Questo schema è impiegato da altri giuristi per le cose materiali, ad es. Cassio, il quale esclude la continuità tra materia non formata e materia formata: il pegno costituito su una determinata quantità di travi di legno non può diventare pegno sulla nave fabbricata con quel legname. vincolo di un’obbligazione. Gaio lo descrive come forma solenne e astratta per la liberazione dell’obligatio iudicanti (derivante da una sentenza di condanna) e dal legato per damnationem (disposizione testamentaria con effetti obbligatori a carico dell’erede). Viene pesata e spesa una precisa quantità di bronzo. L’impiego della aes numeratum (prima forma monetaria coniata) si colloca circa nel IV sec. a.C. ma la mancipatio diviene una vendita immaginaria prima che inizi l’uso della moneta coniata. Già a metà del V sec. a.C essa funziona come schema astratto. Per molto tempo abbiamo la coesistenza di due figure diverse: da un lato la compravendita effettiva con passaggio della meum esse sulle res mancipi (prezzo rappresentato da una certa quantità di bronzo) e dall’altro l’imaginaria venditio, con diverse destinazioni. La funzione di vera vendita viene meno del tutto, quando si introduce e si impone negli scambi la moneta coniata. A questo punto la determinazione del presso della vendita non è più all’interno della mancipatio ma trova fondamento in un atto distinto: si può trattare di uno sponsio, nella quale chi fa promettere la somma di denaro chiede “centum dari spondes?” e chi promette dichiara “spondeo”. Oppure l’0obbligo al pagamento del prezzo può sorgere da una nomen transcripticium- scrittura del credito nei libri contabili del venditore, nonché mancipio dans. La mancipatio mostra molta duttilità attraverso la capacità di raccogliere in sé svariate situazioni. Le parole pronunciate dal mancipio accipiens (quello che acquista), possono indicare in doversi modi l’oggetto trasferito o possono stabilire che dalla proprietà alienata siano dedotti poteri come le servitù e l’usufrutto- si aggiunge l’inciso deducta servitute o deducta usu fructu. Si può anche dichiarare l’esatta misura del fondo alienato. In caso di falsa dichiarazione, l’accipiens eserciterà un’actio de modo agri, mirante ad ottenere il doppio rispetto al mancante. La mancipatio è valida solo se il cedente (mancipio dans) è il legittimo proprietario. Egli ha il dovere di difendere l’acquirente contro l’azione di un altro, il quale sostenga che la cosa è sua. Il mancipio dans è tenuto a pagare il doppio del servizio ricevuto, se non interviene a favore dell’acquirente o se la lite è vinta dal terzo. L’acquirente può esercitare un’actio auctoritas verso l’alienante per soddisfare la propria pretesa. L’actio auctoritas presuppone che vi sia una determinazione del prezzo a monte dell’atto mancipatorio perché conta il suo effetto obbligatorio riguarda la determinata somma. 70. La traditio Traditio- • atto con il quale si trasferisce l’appartenenza sulle res nec mancipi che siano contemporaneamente res corporales. Consiste nella consegna della cosa da parte del dominus. L’atto è bilaterale (colui che consegna e colui che riceve). • Non trasferisce l’appartenenza ma soltanto il possesso. • L’originario ancoraggio alla materialità spiega perché le cose incorporali non sono incluse. La giurisprudenza tende ad allargare i confini dell’idea stessa di consegna dandone una versione più libera in cui non è indispensabile l’immediatezza fisica del dare. • Può avvenire con la consegna di un oggetto diverso della cosa ma idealmente capace di determinare la responsabilità (Es: chiavi di casa); una somma di denaro può essere indicata e messa a disposizione dell’acquirente; come anche una cosa situata a distanza può essere determinata e trasmessa con la manifestazione di volontà delle parti, pur non presente. Oppure ancora l’alienante mostra dall’alto il fondo che intende trasferire, indicandone i confini e guardando ad esso da una torre collocata su un terreno lì vicino. • Caso anomalo: dominus che ha già dato in uso o deposito una cosa ed in un momento successivo la vende o la dona al comodatario, al locatario, al depositario. Quando interviene l’emptio-venditio la cosa è già presso il compratore quindi non si ripete l’atto della consegna. • L’atto è capace di generare gli effetti previsti, soltanto se è consapevolmente rivolto dalle parti ad un determinato fine, che nell’ordine giuridico viene considerato degno di realizzarsi attraverso il trasferimento della proprietà. Causa in questo ambito ha un duplice significato che racchiude elemento causante e scopo. È anche presente il concetto di giusta causa. Per Gaio sono due gli esempi di finalità volute dalle parti: finalità di vendita e finalità di donazione. La vendita si oggettiva (secondo i giuristi) in un atto anteriore al trasferimento. La donazione non viene considerata dalla giurisprudenza come un atto a sé stante ma come determinazione di uno scopo, perseguito dalle parti con mezzi giuridici diversi. Per individuare la donazione come scopo dell’atto i giuristi guardano alla volontà e fanno leva sull’animus donandi. Per Giavoleno è necessario che da entrambe le parti ci sia affectus- “se l’animo di entrambi non acconsente, non si può portare ad effetto ciò che è stato iniziato.” Gaio: “la volontà su cui si fonda il trasferimento è espressa dal dominus prima che sia stato individuato l’acquirente della cosa e quindi a favore di un destinatario indeterminato.” (pag. 281) 71. La in iure cessio. Il meum esse sulla cosa può essere trasferito mediante un finto processo, denominato in iure cessio. Le sue forme sono ricalcate sul modello della legis actio sacramento in rem. Colui che intende acquistare la cosa la rivendica davanti al magistrato. Non si giunge fino al giuramento (sacramentum); infatti, chi è stato finora dominus non contesta l’affermazione della controparte né intende trattenere la cosa presso di sé. Essendo egli inerte, il magistrato compie l’adictio, facendo entrare così il bene nel patrimonio dell’acquirente. La forma della legis actio è- nel II sec. d.C.- un semplice involucro. L’in iure cessio si applica alle res mancipi e alle res nec mancipi, alle res corporales e incorporales. È particolarmente usata per trasferire poteri giuridicamente riconosciuti su cose altrui (iure in re aliena): es. servitù, usufrutto ecc., di cui si finge la vendicatio. È l’unico mezzo con il quale l’usufruttuario cede al dominus il proprio ius, facendo sì che esso rientri nell’ambito dei poteri giuridici del proprietario. L’applicazione dell’in iure cessio (ex iure Quiritium) nelle province riguarda i cives Romani. 72. L’occupazione. Modi di acquisto della proprietà che dipendono dall’apprensione e dal possesso. Gaio inizia la trattazione su di essi con un collegamento tra traditio e occupatio. Sullo sfondo, sta la divisione tra alienare naturali iure (concetto che si applica alla traditio e all’occupazione) e alienare civili iure (schema comprensivo della mancipatio, dell’in iure cessio e dell’usucapione). È una partizione che delimita da un lato i modi di acquisto civili (propri ai cittadini romani) e dall’altra quelli in cui possono partecipare anche i non romani. Da un lato abbiamo modi di acquisto funzionali alla circolazione dei beni e dall’altro modi finalizzati alla certezza dell’appartenenza dei beni. Es: occupatio- in base al quale le cose, che prima non erano di nessuno, entrano nella proprietà di chi le prende materialmente). Così viene acquistato tutto quanto si possa catturare in terra, in mare, in cielo: non appena però questi animali riacquistano la loro libertà tornano ad essere res nullius. Un diverso esempio di occupatio si ha con l’apprensione di cose sottratte al nemico. Il diritto proprio dell’hostis (nemico) non vale per i romani e le sue cose vengono trattate come se fossero senza padrone. Allo stesso modo, gli oggetti preziosi scoperti sulla riva del mare sono “occupati” da chi li trova e li fa suoi. L’inventio della cosa coincide con l’individuazione del suo valore economico. Anche il tesoro ha un valore economico. Secondo Adriano il tesoro è acquistato nella sua interezza dal dominus che lo abbia trovato nel proprio fondo. Ugualmente, è acquistato da chi per caso lo rivenga in un luogo sacro o religioso. Invece, chi lo scopra in fondo altrui, non in seguito ad una ricerca ma per caso, ha diritto alla metà. 73. L’accessione • L’unione di due cose che appartengono a proprietari diversi ha come effetto un mutamento del loro regime giuridico. Se una delle due cose perde la propria individualità congiungendosi con l’altra, essa viene qualificata con il termine accessio e viene acquistata dal dominus della cosa principale. Questo determina l’identità del tutto. • L’accessione riguarda due beni immobili: ciò avviene nel caso di incrementi della estensione dei fondi che costeggiano un fiume. Gaio esprime un duplice orientamento: da un lato, gli incrementi graduali e impercettibili formano una situazione simile a quella dell’occupatio e dall’altra il distacco subitaneo di un’intera parte di proprietà non determina un mutamento di proprietà. • Gaio: “Tutto ciò che si realizza su un fondo e diventa parte di esso appartiene al dominus del suolo: superficies solo cedit.” Il principio non vale solo per l’edificazione ma anche per la semina e per la messa a dimora di piante nel fondo altrui. Non è possibile chiederle indietro. Chi ha sostenuto spese per piante o costruire però può occupare il fondo coltivato o l’edificio; di fronte al dominus egli ha un’exceptio doli. • Di regola la cosa principale è quella di maggiore rilievo della cosa e per la sua funzione. • L’unione tra due pezzi dello stesso metallo genera l0accensione della parte aggiuntiva a quella principale, il cui proprietario acquista il tutto. Se la saldatura è irreversibile è detta ferruminatio; se invece è reversibile è detta adplumbatio; in tal caso se il dominus della cosa aggiuntiva volesse la separazione potrebbe esercitare un’actio ad exhibendum, per ottenere che la sua parte sia scissa da quella principale. Subito dopo la separazione, il dominus può esercitare la rei vendicatio, affermando la proprietà sul pezzo separato. Se invece la controparte, convenuta con l’actio ad exhibendum, si oppone alla scissione della cosa, potrà essere condannata, secondo la valutazione del giudice, al pagamento di una somma di denaro. • Vi è il caso limite: che in concreto non esista una cosa individuabile come principale. In tal caso si usa il termine “confusione”. Il proprietario di ciascuna delle cose che si mescolano, può chiedere, la propria parte oppure una quantità corrispondente a quella messa in comune con gli altri. (caso del pittore pag. 288-289) • “Specificazione” - Gaio: “Una cosa si modifica se, attraverso il lavoro che viene applicato ad essa, nasce una nuova specie, si forma una nuova identità”. Anteriormente a Gaio la scuola sabiniana pensava che in seguito a questa modificazione, la cosa appartiene comunque al proprietario della materia lavorata; mentre i proculiani pensavano che la cosa appartiene a chi ha formato la nuova species. Se la materia non è rimasta uguale allora è l’artefice a divenirne padrone. 2. Iusta causa La giustificazione dell’usucapione. La iusta causa designa un atto, che l’ordine giuridico considera fondamento della possessio e dell’usucapione. Ulpiano: “Perciò, colui che ha una giusta causa a base della traditio compiuta in suo favore, usa l’azione Publiciana; e tale non solo compete al compratore di buona fede ma a tutti.” Anche nella traditio la causa non può identificarsi solo in una dichiarazione di volontà a sé stante né in un atto giuridico autonomo rispetto alla consegna. La iusta causa può consistere in un’operazione di compra-vendita, in seguito alla quale il compratore in buona fede non acquista il dominium ma solo il possesso, essendo quindi abilitato all’usucapio. Varie locuzioni, introdotte dalla proposizione pro, indicano ciascuna contemporaneamente l’elemento causante del possesso e la funzione dell’usucapione. Es: usucapio pro emptor nasce da una compravendita; in assenza di trasferimento valido della proprietà realizza il fine dell’acquisto da parte dell’emptor (compratore). 3. Bona fides La bona fides è la convinzione di poter trattare la cosa come propria, avendola ricevuta come valido atto di alienazione. La buona fede iniziale è sufficiente perché il possesso continuato, con una iusta causa, produca i suoi effetti. Non è richiesta in due casi: dove il possessore è consapevole che la cosa ereditaria è di altri, ma, non essendo questa posseduta dall’erede, può farla propria dopo il decorso di un anno; ed inoltre nella usureceptio ex fiducia: quando una res, già trasferita mediante mancipatio o in iure cessio, allo scopo di garantire un’obbligazione, rimane o rientra per qualche motivo nella possessio del precedente proprietario. Possedendola per un anno egli acquista il dominium. La bona fides può rimediare all’inesistenza di iusta causa. 76. Dal meum esse alla proprietà. Lo schema tradizionale. L’immagine che risulta dalla mancipatio e dalla legis actio sacramento in rem è quella del meum esse: non un potere ma una condizione della cosa, vista nella sua oggettività. L’appartenenza privata della res ha un carattere assoluto: tutti devono rispettarla. Al tempo della normazione decemvirale, il territorio esterno alla città, alle case ed agli orti, è in grandissima parte ager publicus; si considera appartenente al popolo romano e viene occupato dai pater familae più potenti della civitas, per essere sfruttato. I grandi campi vengono qualificati come ager occupatorius: oggetto di una forma di possesso che tende a consolidarsi. Anche quando le terre strappate ai popoli sconfitti sono date in affitto dai censori o concesse in cambio di una somma di denaro dai questori al patres, non si crea una situazione di vera e propria appartenenza: gli acquirenti pagano un canone per lo sfruttamento dei beni ma non ne diventano domini. Con l’affermarsi dell’agricoltura intensiva si determina una tensione sociale tra le famiglie contadine e quelle patrizie tradizionali. Ager divisus et adsignatus: vengono tracciate due strade che attraversano lo spazio conquistato: una da N a S e una da O a E. I confini tra le parti di terreno sono paralleli alle due strade e ciascun campo viene assegnato attraverso il sorteggio. Ad esso si può applicare solo il meum esse. Ancora per 3 secoli dopo la conquista di Veio, la base sociale dell’appartenenza privata non revocabile e dell’agricoltura intensiva rimane molto circoscritta. Il suo sviluppo si scontra con l’interesse dei patrizi occupanti l’ager publicus (sostenuti dal Senato). Dalla fine del III sec. il loro possesso viene tutelato mediante provvedimenti urgenti del pretore (interdicta) contri chi in qualsiasi modo contesti. 133. a.C. Tiberio Gracco riesce a far approvare una lex in base alla quale le varie forme di possesso dell’ager publicus devono essere revocate per fare luogo ad una distribuzione del territorio coltivabile come ager divinus et adsignatus. Il quadro si trasforma durante l’ultimo secolo della repubblica. Sia la riforma agraria sia il ricorso alla distribuzione di terre ai veterani ed infine l’accesso alla cittadinanza romana dei latini, dei peregrini e poi della Gallia cisalpina determinano il prevalere del meum esse fondato sullo ius civile. Il meum esse indica l’appartenenza che viene anche accertata nel processo (e dichiarata nel rituale antico). L’affermazione e la tutela dell’appartenenza si fondano sullo Ius Quiritium (indica una disciplina che si riferisce solo ai Romani. Lo straniero è considerato a sua volta dominus nell’ambito del proprio ordinamento ma nessuna cosa può essere sua ex iure quiritium. L’editto dei governatori delle province senatorie contiene una specifica previsione si ager stipendiarus petatur. Il magistrato si impegna a concedere una forma simile a quella della rei vendicatio, a tutela di chi dispone del praedium provinciale e paga le imposte (stipendium se il pagamento è periodico e versato nelle province senatorie; o tributum se è proporzionale alla ricchezza e corrisposto all’unità centrale). La proprietà viene concepita come uno schema separato dalla cosa nella fase storica in cui autonomizza il possesso e si affermano gli iura in re aliena (sulla medesima cosa può insistere il potere diverso dal dominus, con l’usufrutto o le servitù). 77. La disciplina pretoria e il duplex dominium. Il meum esse trova una tutela formulare attraverso la rei vindicatio. Accanto alla quale, I sec. a.C., viene aggiunta l’actio publiciana (è un istituto del diritto romano; un'actio utilis ficticia in rem concessa dal pretore Publicio nel 67 a.C. a tutela della posizione di quanti, possessori di buona fede (nella condizione quindi dello in bonis habere) e cum iusta causa, venissero spogliati del possesso da terzi prima che fossero decorsi i termini per l'usucapione[1]. Il giudice era invitato a deliberare come se i termini dell'usucapione fossero già scaduti e l'attore fosse già proprietario. Si dava il caso che per il possesso della cosa sorgesse un conflitto tra proprietario civile e proprietario ad usucapionem. All'Actio Publiciana il proprietario quiritario avrebbe infatti eccepito l'exceptio iusti dominii, nel caso di un possessore ad usucapionem il cui possesso fosse stato trasmesso a non domino. Nel caso in cui, invece, proprietario e venditore coincidessero, la rivendica del proprietario sarebbe stata considerata fraudolenta e respinta dalla replicatio doli dell'acquirente. Nella circostanza in cui il dominus-venditore rivendicasse personalmente la cosa (magari dopo una semplice traditio di res mancipi, che quindi non aveva fatto passare la proprietà e solo il possesso), il compratore avrebbe eccepito l'exceptio rei venditae ac traditae sì da venire assolto. Costituisce un'azione fictitia (cioè una finzione giuridica) e si usa quando l'in bonis habere (possessore di buona fede) non ha più il possesso della cosa e deve riacquistarlo, allora il pretore dà istruzione al giudice di giudicare come se fosse già trascorso il tempo dell'usucapione. Il proprietario quindi eserciterà la rivendica contro il terzo possessore ma poi, con l'Actio Publiciana, l'in bonis habere si riprende il bene.) Guardando più da vicino la traditio di res mancipi, la funzione della tutela pretoria dell’acquirente è garantire che agli atti di alienazione e di acquisto si liberino dall’antico formalismo in modo tale che i beni fondamentali dell’economia agraria entrano così più agevolmente nel meccanismo della circolazione. Non sono più indispensabili per quei beni quindi la mancipatio e la in iure cessio. Obbedendo alla actio Publiciana, il giudice dovrà accertare se vi è stata una traditio in base ad una iusta causa, fingendo poi, che il possesso di buona fede non sia stato interrotto, che l’usucapione si sia realizzata e quindi condannando il convenuto ad una somma pecuniaria equivalente al valore del bene oggetto della lite, a meno che egli non lo restituisca spontaneamente. Nella fase anteriore al termine fissato per l’usucapione la cosa appartiene ancora (secondo lo ius quiritium) al dominus che ha effettuato la traditio. Egli può chiedere una formula con al centro la rei vendicatio; ma in questo caso il pretore inserirà una exceptio rei venditae et traditiae, ordinando al giudice non solo di accertare se la cosa appartenga all’attore ex iure quiritium, ma anche se essa sia stata ceduta mediante traditio e con una iusta causa. Se questa seconda ipotesi si verifica allora la pretesa diventa vana, l’azione viene bloccata in virtù dell’exceptio ed il convenuto è assolto. L’actio publiciana può essere rivolta contro il dominus se egli sia entrato in possesso della cosa. Ma la si può avere vinta e quindi considerarsi esperibile erga omnes (nei confronti di tutti)? - Il proprietario oppone all’actio publiciana una exceptio iusti dominii- per far valere il proprio potere, derivante dallo ius civile. - Il possessore in buona fede, privato dalla cosa, può servirsi della replicatio doli; in base alla quale si deve accertare se il comportamento dell’attore sia in buona fede - Il dominus, dopo aver ripreso possesso della cosa, dopo averla consegnata all’acquirente in base ad una iusta causa; in realtà agisce scorrettamente, non rispetta la possessio bonae fidei: nel momento in cui chiede di aggiungere l’exceptio e si avvale di questa, pone in essere un comportamento doloso. Si affianca poi un’altra fattispecie: se la traditio è stata effettuata da un non proprietario, l’azione pretoria viene esercitata con successo nei confronti di terzi che si siano ingeriti nella possessio, ma non può avvenire contro il dominus. Al vero dominus non può essere opposta l’exceptio rei venditae et traditiae. La situazione possessoria di cui si è parlato finora viene chiamata in bonis habere. È una possessio bonae fidei idonea a generare usucapione a cui Gaio attribuisce una importanza tale da crederla simile a una seconda forma di dominium così anticipando sul piano teorico la fusione tra la disciplina dello ius civile e del diritto pretorio che si compirà nel tardo impero quando scompariranno le formulae. Il processo delle cognitiones extra ordinem porterà a considerare e fondere gli schemi dello ius civile e quelli dell’editto- duplex dominium- richiamata soprattutto in fatto di potestas sullo schiavo. Gaio: “Essendo duplice il dominio presso i cittadini romani (o in bonis o ex iure Quiritium o entrambe), affermeremo che lo schiavo è in potestà del dominus, se sia in bonis ed anche se non gli appartenga in base allo ius quiritium: infatti chi ha sul servo solo il potere che deriva dallo ius quiritium non si ritiene che abbia su di lui la potestas. […] Inoltre gli acquisti compiuti dagli schiavi operano soltanto a favore di coloro che hanno la potestas. […] per avere la potestas basta avere il possesso di buona fede, non è necessaria l’appartenenza allo ius quiritium. […] Presso gli stranieri esiste un solo dominium; infatti uno è considerato dominus o non lo è. In realtà è solo qualcosa di simile al dominium ma fuori dallo ius civile. […] un tempo anche il popolo romano applicava questo diritto; […] in seguito il dominium è stato diviso, sicché taluno può essere dominus ex iure Quiritium o dominus in bonis habere.” derivano specifici poteri e correlative limitazioni della proprietà; rientrano nella categoria delle res nec mancipi Al rapporto tra i fondi viene riferito il concetto di debere. Il potere del proprietario del fondo a favore del quale vi sia una servitus è ius in re aliena (non un credito) e viene tutelata erga omnes (almeno dal principato). Tuttavia i giuristi descrivono il rapporto che si istaura tra fondo servente e fondo dominante come un dovere del primo verso il secondo. I fondi a cui si riferiscono le servitù devono essere in commercio e devono appartenere a proprietari diversi; non è concepibile una servitù tra fondi del medesimo dominus. Il diritto di servitù impone al proprietario del fondo servente sempre un onere negativo (oati o non facere); egli accetterà passivamente tali comportamenti quando ad esempio quelli del dominante dovranno passare; mentre nelle servitù consistenti in un non facere tutto si risolve nel dovere di astensione di chi è dominus del fondo servente. Un’accezione a questa passività può vedersi nella servitus oneris ferendi: il proprietario dell’edificio servente deve assicurare il mantenimento della sua costruzione in condizioni tali da sostenere l’edificio dominante. Il requisito di vicinanza dei due fondi non va inteso come una contiguità ma come sussistenza di un legame spaziale, da cui consegua che la servitù sull’uno rechi vantaggio sull’altro. La servitù è inscindibile dal fondo dominante; tanto meno la servitù è suscettibile di divisione in quanto non è possibile esercitarla pro quota. Le servitù sono perpetue (non sono a carattere temporaneo) e non accettano l’imposizione di condizioni o termini risolutivi; tuttavia il pretore riconosce la possibilità di paralizzare l’azione del titolare della servitù con un’exceptio. Papiniano propone un’exceptio pacti o exceptio doli. D’altra parte egli ammette che i poteri del proprietario del fondo dominante possano essere in qualche modo qualificati o limitati con un accordo, anche esso produttivo di exceptio. 80. Costituzione, estinzione, tutela della servitù. Le più antiche servitù, incluse nella categoria delle res mancipi (via, iter, actus, acquae ductus) possono essere costituite mediante mancipatio o in iure cessio. Tutte le altre si costituiscono mediante in iure cessio. Una convezione priva di forme non produce effetti civili ma il pretore concede una exceptio fondata sulla convenzione e forse anche sull’actio in factum. Quando i fondi riguardino fondi provinciali lo strumento applicabile è quello delle pactiones et stipulationes, convenzioni rafforzate da promesse verbali. Così si costituisce un potere di tipo possessorio sulla cosa altrui. Nel 69 a.C. si applica ancora usucapione sulla servitù; le cose cambiano nel 50 a.C. con la Lex Scribonia; diventa definitiva la trasformazione teorica della schiavitù, da entità materiali in res immateriali. Paolo conduce la lex ad una finalità pratica: abolire ogni incertezza riguardo alla costituzione delle servitù. Infine si possono costituire servitù mediante deductio, quando il proprietario di un fondo, alienandolo, riserva a vantaggio di un altro fondo di sua proprietà una servitù. Similmente avviene con la adiudicatio quando il giudice di un giudizio divisorio, assegnando i beni che erano in comunione stabilisce una servitù tra fondi distintamente assegnati. Si possono estinguere: - in iure cessio - per confusione della proprietà: il proprietario dei due fondi diventa lo stesso - distruzione anche uno solo dei due fondi - per passaggio alla categoria delle res extra commercium - cessazione delle utilitas - a seguito di un’inattività di almeno 2 anni che si declina nel non usus in caso di servitù rustiche mentre per quelle urbane è richiesto che si realizzi una situazione di fatto contraria alla servitù. Tutela giudiziaria: - nel processo per legis actiones, strumento di tutela è la legis actio sacramento in rem, la cui vindicatio contiene probabilmente in un tempo più antico un’affermazione di appartenenza della specifica servitù contestata, mentre in seguito pone ad oggetto del procedimento lo ius. Anche la contravindictio del proprietario del fondo segue lo stesso percorso. - nel processo formulare, lo strumento di tutela è la vindicatio (o petitio) servitutis, modellata sulla rei vendicatio: formula arbitraria con la quale si dà al giudice il potere di ordinare che la condizione materiale della servitù sia assicurata dal proprietario del fondo servente (se egli è il convenuto) o comunque da chi in concreto la ostacoli o la impedisca. Se il convenuto non obbedisce all’ordine del giudice, si ha la condemnatio (somma di denaro calcolata sul valore che la servitù riveste per l’interessato) che comprende la prestazione di una cautio de amplius non turbando. Con questa ci si obbliga a rispettare la continuità della servitù. Chi può esercitare l’azione è soprattutto il proprietario del fondo dominante; forse anche l’usufruttuario; al creditore pignoratizio e al titolare di ius in agro vectigali è invece accordata una tutela in via utile: un’estensione dell’actio. Convenuto è di solito il dominus del fondo servente. Nella giurisprudenza dell’età imperiale la tutela si estendo erga omnes: contro chiunque ostacoli l’esercizio dei poteri davanti alla servitù. A sua volta il dominus del fondo servente può esercitare un’actio negatoria contro chi abusivamente si comporti come il beneficiario di una schiavitù. Nell’editto pretorio non mancano interdetti specifici a difesa di alcuni tipi di servitù; alla concessione di questi mezzi si collega la figura denominata quasi possessio. Capitolo 4. L’usufrutto e i suoi rapporti con la proprietà. 81. Usu fructus L’usufrutto è annoverato da Gaio nelle res incorporales. Lo si può denominare “diritto reale”. È il potere riconosciuto dall’ordinamento di usare la cosa, allo scopo di trarne vantaggio e di percepirne gli eventuali frutti. Detto anche ius utendi fruendi. Viene attribuito per un periodo di tempo limitato. Scopo: non rendere vana la proprietà. Paolo indica come limite fondamentale all’estensione dell’usufrutto la necessità di non modificare la sostanza dell’oggetto. Il potere di usare la cosa e di prenderne i prodotti, da parte di una persona diversa dal dominus, incide sulla proprietà. Ciò che si riduce è l’ambito di potere del dominus. Compare nelle fonti al riguardo l’espressione nuda proprietas a indicare la riduzione del dominium a mera signoria giuridica. Appena cessa l’usufrutto la proprietà torna ad essere piena. Circa le origini: già delineato nel II sec. a.C. quando si sviluppa la discussione sul parto della schiava. Partus ancillae che alcuni giuristi assegnano all’usufruttuario ed altri al dominus. In epoca repubblicana- molte testimonianze ci parlano dell’usufruttuario come potere costituito mediante un legato a favore della moglie, volto a garantire un sostentamento dopo la morte del marito (si pensi ad una donna sui iuris che non ha una comunità famigliare alla quale appoggiarsi). Lex Vaconia-169 a.C.- l’eredità della mulier (donna) doveva essere inferiore ai 100000 assi e non superare metà dell’eredità; mentre il legato dell’usufrutto la metteva in condizione di accedere, senza limiti, ai beni del marito defunto e di trarne utilità. L’usufrutto può essere costituito con la adiudicatio, che conclude un iudicium familiae erciscundae (azione per la divisione patrimoniale ereditario tra coeredi) o communi dividundo (azione per la divisione delle comunioni). Il giudice decide che nasca l’usufrutto su un bene a favore delle parti e, contemporaneamente, assegna la nuda proprietà ad un’altra: equilibrio della divisione. Il secondo modo possibile di costituzione si può definire “per detrazione”: quando si effettua la mancipatio o l’in iure cessio del bene, viene inserita nelle dichiarazioni solenne la clausola deducto usu fructu, che serve a creare ex novo uno ius parziale sulla cosa trasferita. Esso è a carico dell’acquirente e rende nuda la proprietà che gli viene trasmessa, mentre le facoltà riconducibili all’uti frui restano all’alienante oppure vanno ad un terzo. La deductio può essere inserita anche in un legato per vindicationem (trasmetteva direttamente la proprietà dal proprietario al legatario): assegnazione riguardante solo la nuda proprietà, mentre l’usufrutto rimane all’erede. Il terzo modo poteva essere la iure in cessio (applicabile ad ogni genere di cose); come la mancipatio non può avere come oggetto fondi collocati nelle province (si tratta di fondi su cui non vi è un dominium dei privati ma solo il possesso). In base al diritto pretorio, invece, si determina una situazione giuridica identica chiamata per altro con lo stesso nome. Per creare questo tipo di diritto serve una manifestazione bilaterale, costituita da un patto e poi da una stipulatio. Pactiones et stipulationes: implica un’efficacia reale della pactio, da cui nasce la tutela pretoria erga omnes, ed una funzione quasi accessoria della stipulatio, volta a garantire con un’obbligazione aggiunta che il proprietario rispetti l’esercizio di fatto dello ius in re aliena. L’usufrutto NON può costituirsi mediante traditio né per usu capione, essendo res incorporalis. NON può essere trasferito ad un'altra persona. Secondo Gaio la in iure cessio è nulla se avente come destinatario un terzo. Pomponio afferma invece che la in iure in cessio ad un estraneo fa tornare subito l’usufrutto al dominus. Sono queste due linee dello ius controversum. Gli atti volti al trasferimento non si riferiscono allo ius in re aliena (al potere che resta attribuito al titolare originario) ma al suo contenuto fattuale: all’insieme di attività fondamentalmente identificato nell’uso e nella perceptio fructuum). Pomponio innanzitutto afferma la possibilità di vendita o di locazione ove si indichi come oggetto l’usufrutto; in realtà, secondo lui, è solo la percezione dei frutti ad essere messa in gioco. Secondo Gaio invece, sebbene vi sia stata una vendita, il venditore conserva l’usufrutto. Ciò avviene anche se il compratore non eserciti i poteri di fatto a lui trasmessi. Nello stesso ordine di idee Marciano afferma che in seguito alla donazione, se vi è il non uso del proprietario, il donante perde lo ius utendi fruendi. Inoltre, il compratore, il conduttore, il donatario e il nogotiorum gestor possono svolgere tutte le attività proprie dell’usufrutto a nome dell’usufruttuario. Dunque nessuno di loro subentra nello ius. Quando cessa l’usufrutto: • Si può fissare un termine finale per la sua durata • Non può andare oltre la vita giuridica e si estingue necessariamente in seguito alla morte o alla capitis deminutio, anche minima. • Se la cosa cui si riferisce viene distrutta o sostanzialmente modificata • Per non uso, quando il titolare si astiene per almeno 2 anni-immobili/1 anno-mobili • Trasmissione ad altri dell’esercizio di fatto del potere dell’usufruttuario (vendita o locazione) • La rinuncia fa cessare il diritto anche quando l’usufruttuario, convenuto con un’actio negatoria non si difende • Quando l’usufruttuario diviene dominus della cosa. Anche Gaio equipara l’usufrutto alla pars rei. Il caso da cui muove è quello di una stipulatio che ha come contenuto l’obbligazione di trasmettere un fondo. Il problema riguarda l’intervento di un fideiussor; questo può obbligarsi a garantire che l’usufrutto del fondo sia trasmesso. Egli è fideiussore rispetto ad una parte del debito. L’obbligazione accessoria, così delimitata, è utile per un usufrutto già costituito oppure un usufrutto che sia al centro di una controversia. In entrambi i casi, il creditore potrà rifarsi nei confronti del garante. Ulpiano invece esclude che l’usufrutto possa essere qualificato pars rei. Lo stipulante non può (con l’acceptilatio) estinguere parzialmente l’obbligazione, lasciando al promettente l’usufrutto, come se questo potesse scorporarsi dalla promessa di fondo. Pars dominii Giuliano e Paolo negano che possa essere riferito all’usufrutto ma Paolo sostiene il contrario. Entrambe le espressioni sono quindi prive di significato univoco. 85. L’usus omnium bonorum e le cose consumabili Durante il principato si verifica un salto concettuale e normativo, per cui viene ammessa e regolata l’estensione dell’usufrutto alle cose consumabili e fungibili (anche il denaro). Il veicolo dell’innovazione è rappresentato dall’usus ominium bonorum che viene istituito mediante un legato e che comprende l’insieme dei beni del testatore. Omnium bonorum significa che non vi è distinzione tra le cose, sottomesse in blocco al diritto reale. Questo usus dura per poco tempo. L’oratio (pag.346- Cessenia) è del 69 a.C. Rappresenta il rapporto tra madre usufruttuaria e figlio titolare della proprietà con parole che lo fanno assomigliare ad un rapporto tra coeredi. Sullo sfondo di questa vicenda vi è la Lex Vaconia; ebbene, il legato con usufrutto su tutti i beni p un mezzo per eludere entrambi i veti e praticamente avvicina la posizione della donna a quella di un coerede. Invece, il legato istituito dal figlio a favore della madre, che ha effetto dopo la morte di lui, riguarda una parte dei beni non superiore alla metà. Giuliano, Pomponio e Gaio danno per scontata l’applicazione dell’usufrutto alle cose consumabili e al denaro. Gaio è più conservatore di Pomponio, poiché non riesce a considerare normale l’estensione del diritto in re aliena alla pecunia. Introduce infatti il concetto di quasi usus fructus. Gaio menziona la cautio. Il suo oggetto è la restituzione della somma di denaro entrata nel legato di usufrutto e comprendente anche i crediti pendenti o pagati. Oppure, quel che viene promesso è la restituzione di una quantità di cose consumabili identica a quella cui si riferisce il legato. Prevede espressamente la restituzione dell’equivalente. Diverso dalla normale cautio fractuaria, Modifiche fatte attraverso un senatoconsulto intorno all’inizio del principato avente scopo di dare certezza ad una forma di circolazione del denaro e di altre cose fungibili, già esistente nella prassi e che l’interpretatio tardo-repubblicana aveva cercato di bloccare. 86. La discussione sul partus ancillae A chi spetta il parto della schiava data in usufrutto? Dà luogo ad uno ius controversum. Scevola e Manilio ritengono che il nato sia da considerare come fructus. Bruto, al contrario, è convinto che esso non possa essere acquistato dal titolare dell’usufrutto perciò quindi appartenga al nudo proprietario. Questa opinione è accolta dalla giurisprudenza perché un uomo non può essere frutto di un altro uomo. All’usufruttuario sono dunque negati sia il dominium che l’usus fructus sul nato della schiava. (si tratta di una suggestione filosofica che rimane distante dall’esperienza giuridica) Gaio: “In verità, il parto della schiava non è tra i frutti e perciò appartiene al dominus proprietatis: sembrava assurdo che un uomo potesse essere un frutto dal momento che la natura ha prodotto tutti i frutti in funzione ed a favore dell’uomo”. Questo richiamo alla natura mira ad accreditare la bontà della soluzione normativa. N.B. a metà del II sec. a.C., quando ha origine la controversia, il numero delle femmine in schiavitù, nei territori soggetti a Roma, è minore rispetto a quello dei maschi. Ciò accresce l’utilità dei nuovi nati. 87. Il nudo proprietario Il titolare della proprietà non può compiere atti che impediscano all’usufruttuario di trarre utilità dalla cosa. Paolo giunge a una conseguenza estrema: anche un miglioramento della cosa realizzato senza il consenso di chi ha il diritto di usarla, svantaggia quest’ultimo, poiché implica iniziative ed atti di disposizione tali da interferire nell’esercizio del diritto di uso. Il dominis proprietaris non può sopraelevare l’edificio; non può costruire su un’area in usufrutto, né può recidere gli alberi. Per garantire però la conservazione si riconosce al proprietario un potere di custodia e di manutenzione essenziale della cosa. Il dominus può rendere religioso un luogo, effettuando in esso una sepoltura, con il consenso dell’usufruttuario. Può anche prescindere da esso se il defunto da inumare sia il testatore che ha disposto il legato di usufrutto sul fondo. Il nudo proprietario può alienare la cosa, trasferendo esattamente il potere di cui è titolare e senza incidere su quello dell’usufruttuario. Egli può liberare lo schiavo. Ciò determinerebbe la fine anticipata dell’usufrutto, come in caso di distruzione della cosa. Invece, la manumissio vindicta da parte sua implica soltanto una rinuncia al dominium e dà luogo ad una condizione diversa dello schiavo: sottratto al potere rimane servus sine domino, quindi nella disponibilità dell’usufruttuario. 88. La tutela giuridica A tutela dell’usufruttuario è prevista dapprima una legis actio sacramento in rem, poi una vindicatio usus fructus, che può essere esercitata contro il nudo proprietario e contro chiunque si immetta nell’uso del bene, senza averne diritto. La vindicatio interviene anche nei casi in cui l’usufruttuario sia parzialmente impedito o limitato nell’esercizio del suo diritto ed inoltre può essere rivolta contro il proprietario del fondo vicino, che ostacoli o paralizzi l’attuazione di una servitù a proprio carico e a favore del fondo in usufrutto. Il proprietario del fondo non può usare lo stesso schema formulare. Il dominus agisce per la proprietà e non per l’usufrutto. L’azione negatoria è usata dal dominus per affermare l’inesistenza del diritto dell’usufruttuario. Capitolo 5. La superficie e la locazione degli agri vectigales 89. La superficie Gaio enuncia il principio costitutivo della superficie: tutto ciò che è collocato o viene su un fondo appartiene al proprietario di questo poiché la superficie accede al suolo. La regola vale sia per gli edifici realizzati sia sul suolo pubblico (la proprietà è del populus romanus ed anche il manufatto diventa pubblico) sia per quelli posti in un terreno privato (il singolo che ha costruito per sé ne avrà al massimo l’uso; pagherà un canone ed eventualmente una somma di accesso). 1) Tabernae costruite il luogo pubblico: “Chi vende le tabernae o altre che stanno sul luogo pubblico, non vende il suolo ma uno ius, dal momento che questa tabernae sono pubbliche e che il loro uso appartiene ai privati. 2) Nelle relazioni tra privati tutto si gioca tra il proprietario del suolo e coloro che usano i manufatti, fermo restano che essi non sono in alcun modo dominii. La proprietà è sempre riferita al dominus di fondo. Posto questo l’elaborazione dei giuristi punta a rafforzare la posizione del superficiario. Egli viene dapprima tutelato nei confronti del dominus e come titolare di un credito nato da un contratto, mentre solo indirettamente o per una sorta di sostituzione del dominus può agire nei confronti dei terzi; infine il diritto pretorio prevede per lui un’actio in rem, sulla base di una causae cognitio (necessità di rimuovere un’occupazione illegittima dell’edificio). Il primo diritto sulla proprietà nasce da un contratto: Locatio-conductio- opera come una sorta di concessione del possesso dell’edificio, in cambio di un corrispettivo periodico. Emptio-venditio- implica un pagamento unico e crea l’obbligo da parte del dominus di trasmettere il possesso della costruzione o della superficie all’acquirente. Entrambi non toccano in alcun modo la proprietà sul fondo e su tutto ciò che vi accede. Manca la possibilità di trasformare il possesso in dominium. Non può esservi usucapione sulla superficie, poiché ciò significherebbe uno spezzettamento della proprietà, in contraddizione con il principio superficies solo caedit. Il dominus ha l’obbligo di non limitare né contrastare l’esercizio da parte del conduttore di tutti i poteri che gli spettano sulla porzione dell’immobile. Ulpiano racconta che dopo lo stabilizzarsi di azioni civili, fondate su un contratto ad effetti obbligatori, sembrò utile introdurre una tutela interdittale della superficie e poi un’azione. Il pretore mette a disposizione un interdetto duplice sul modello dell’uti possiedetis, volto da un lato a scacciare chi illecitamente si sia immesso nel possesso della cosa, dall’altro a difenderla e a conservarla respingendo ogni turbativa. È un ordine impartito con urgenza, che inibisce i comportamenti vietati ed è emesso dal pretore. Nel caso di mancata ottemperanza, egli imporrà alle parti stipulazioni reciproche, con le quali ciascuno promette il pagamento di una somma di denaro se le ragioni da lui sostenute si rivelino senza fondamento. Così la tutela si svolge attraverso un vero e proprio iudicium. Ulpiano chiarisce che l’azione indicata è un’actio in rem, di solito non concessa dal pretore se l’assegnazione della superficie al conduttore è limitata ad un ristretto periodo di tempo. Ed inoltre egli suggerisce un’analogia tra l’azione pretoria e la vindicatio usus fructus; attraverso la tutela pretoria viene a costituirsi qualcosa di simile all’usufrutto, cioè ad un diritto reale. L’actio in rem è esperibile anche nei confronti del dominus. 90. Gli agri vectigales L’agri vectigales è un fondo che viene concesso in perpetuo ad un privato in cambio del pagamento di un canone periodico. Si può stabilire tramite la locazione-conduzione. Il caso riguarda terreni di proprietà municipale. L’appartenenza non è messa in discussione: è un’appartenenza limitata per effetto della locazione. Paolo: “[…] Sono chiamati vectigales quelli (terreni) concessi in locazione perpetua, cioè con la clausola in base alla quale, finché si paghi per essi il vectigal, non sia lecito che siano sottratti né ai conduttori stessi né ai loro successori; non sono vectigales i terreni che vengono dati per coltivare.” Con una locatio-conductio il municipium dà ad un privato un fondo da coltivare per un periodo stabilito. Ma in questo caso l’ager non può dirsi vectigalis. Il tempo di assegnazione determina la qualità del rapporto. 94. Provvedimenti e tutela giudiziaria La tutela consiste in speciali provvedimenti d’urgenza, disposti dal pretore e denominati interdicta. Sono classificati in tre categorie corrispondenti alle nozioni di acquisto, conservazione e recupero. Gli ordini che il pretore emette servono a dare in tempi brevi al possessor la sicurezza di poter disporre della cosa. Il destinatario può obbedire o contestare. Se obbedisce si realizza la tutela immediata; se invece contesta ciascuna delle due parti promette di pagare una somma di denaro, nel caso in cui la condotta risulterà in contrasto con le norme. (pag. 368-9) Capitolo 8. L’eredità 95. L’acquisto per universitatem Gaio introduce un tema nuovo: quello dell’acquisto che egli denomina per universitatem. Concetto indicato da altri giuristi sotto il nome di successio. Questo schema comprende una serie di fattispecie, nelle quali si realizza il trasferimento di un complesso unitario di cose (sia corporales che incorporales) da una persona all’altra. Si tratta del passaggio in blocco di questa totalità. Vi è un elenco di modalità di trasferimento con diversa portata per quanto concerne le situazioni debitorie: successione ereditaria, bonorum possessio, bonorum venditio, adoptio, conventio in manum. • Successione ereditaria: modello su cui vengono calcate la bonorum possessio e bonorum venditio. I suoi effetti sono molto ampi. Giuliano: “L’eredità non è altro che la successione nell’insieme delle relazioni giuridiche proprie del defunto”. Subentrare in universum ius significa acquistare le relazioni e la potestas (potere del singolo) che da esse deriva. Gaio non è d’accordo con questa terminologia: egli pone in primo piano l’universitas, come insieme delle res acquistate. Tuttavia il significato è sempre lo stesso. Lo ius successionis equivale all’hereditas, che a sua volta è universitas ed è res incorporalis. • Bonorum possessio: Africano: “Il termine ‘beni’ così come eredità, designa una determinata universitas e un diritto di successione, non le singole ‘cose’.” Il sintagma indica l’assegnazione pretoria dei beni ereditari, che dà luogo ad una forma di possesso sui generis modificando il concreto funzionamento del sistema successorio, con una forte carica di innovazione rispetto agli schemi dello ius civile. Il giurista teoricamente avvicina la bonorum possessio all’hereditas poiché l’elemento comune è rappresentato dal complesso ereditario di beni e relazioni, che è oggetto sia della disciplina successoria dello ius civile sia dello ius honorarium. La (-) è l’assegnazione dei beni del defunto, per decisione del pretore e tutelata con mezzi dello ius honorarium, a favore di persone che per ragioni di equità vengono assunti in luogo di eredi. Nel II sec. a.C., il pretore offre questo tipo di protezione mediante interdetti nei confronti di terzi, finalizzato all’usucapione; Nel I se. a.C., egli accorda al (-) le stesse azioni che spettano all’erede. A questo punto l’acquisto del bonorum possessor ha effetti più ampi: diventa titolare anche dei crediti e dei debiti. L’insieme dei beni e relazioni compresi nella successione è da intendere in senso giuridico e non materiale. ‘Universitas ac ius successionis’= ‘complesso o insieme ereditario’. Gaio spiega che pur essendo contenute res corporales nell’eredità, ciò in nulla modifica il carattere incorporale dello ius successionis. Successio indica la vicenda per cui l’erede entra nei beni e nelle relazioni. Definire l’hereditas (come detto da Giuliano) successio in universum ius significa attribuire evidenza alla totalità come insieme unitario che forma l’eredità. Questo è l’oggetto dell’azione dello ius civile (hereditas petitio) esperibile dall’erede. Il giudice è tenuto ad un accertamento che investe proprio l’insieme ed è tenuto a condannare chi si sia immesso illegittimamente nei beni ereditari. (Ius successores- eredi) Tutte le cose facenti capo al defunto si trasmettono: beni materiali, crediti ed anche le obbligazioni. Il loro insieme è una res incorporalis. È lo ius, che passa dal defunto all’erede, sia in base alla disciplina tradizionale sia per effetto dell’intervento pretorio. L’erede, una volta compiuta la successione, è tenuto all’adempimento delle obbligazioni comprese nell’insieme ereditario, anche al di là dei limiti del patrimonio trasmesso. Adquirere per universitatem= non solo acquistare l’insieme ma acquistare le cose che lo compongono. Paolo: “Determinate cose, che non possono essere alienate da sole, passano attraverso l’universitas, come all’erede passa il fondo dotale o le cose per cui egli non ha il commercium: infatti se anche essa non possa essergli data in legato, tuttavia, se egli è stato istituito erede ne diventa padrone.” • Bonorum venditio: si mettono in vendita i beni del condannato che non abbia adempiuto alla sentenza e che sia indefensus di fronte all’actio iudicati. È una simil vendita all’asta. L’acquirente che offre la somma più alta e che quindi vince è chiamato conorum emptor ed è considerato (da Gaio) successore per universitatem. Il trasferimento di proprietà sulla cosa di cui era dominus il debitore si compie solo attraverso l’usucapione. Il bonorum emptor è tenuto all’adempimento delle obbligazioni nei limiti di quanto offerto per il loro acquisto in blocco. Se il debitore è vivente, il pretore concede a favore dei creditori l’actio Rutiliana, la cui formula è caratterizzata da una diversità tra intentio e condemnatio. Nell’intentio viene indicato in posizione di destinatario dell’azione il debitore e nella condemnatio è il bonorum emptio a figurare come colui che può essere condannato al pagamento del debito. Se il debitore è morto senza eredi, è data l’actio Serviana, con una formula ficticia, in cui il bonorum è considerato erede del defunto. • Adrogatio/Conventio in manum: entrambe queste forme sono nate nell’ambito dei mores. Tutte le cose, incorporales e corporales, che appartengono all’adottato o alla donna prima di entrare in famiglia, vengono acquistate dal padre adottivo o da colui che abbia effettuato la coemptio della donna. L’acquisto comprende i crediti, mentre dalla trasmissione per universitatem sono esclusi i debiti, almeno in base allo ius civile. Gaio segnala tuttavia l’esistenza di un mezzo di tutela pretorio a favore dei creditori. È un’actio utilis (che sottintende una restitutio in integrum con effetto limitato alla riscossione dei debiti), esperibile nei confronti dell’adottato o della donna in manu, come se fossero ancora sui iuris; e se questi non si difendono, se la controversia non si svolge, i creditori potranno soddisfarsi con la procedura della bonorum venditio. 96. Gli eredi Si può essere eredi o perché si nasce nella famiglia del defunto o comunque si è in rapporto di parentela oppure perché si viene fissati con il testamento. Nell’eredità senza testamento (ab intestato), appare in controluce il valore che si attribuisce ai diversi rapporto interfamiliari o di parentela. Il pretore interverrà sulla gerarchia interna ad essi, senza abrogare nessuna delle norme poste dai mores, ma di fatto modificandole e costruendo un nuovo modello successorio. Il testamento è uno schema di atto unilaterale caratteristico dei romani e il suo principio fondante è la sovranità del volere individuale; può contenere sia l’istituzione di erede sia disposizioni particolari, dalla manumissio alla nomina di tutori, dai legati ai fedecommessi. Ovviamente anche le sue regole cambiano nel tempo. Comune ad entrambe le modalità (con o senza testamento) è la chiamata all’eredità o ‘delazione’. La delazione crea il presupposto giuridico indispensabile per acquistare il titolo di erede. Se vi è una delatio testamentaria, è impossibile che con essa coesista una delatio ab intestato. Le quote non comprese nel testamento vengono assegnate all’erede testamentario. Non sempre la delatio hereditatis è sufficiente a realizzare l’acquisto. Essa implica automaticamente l’effettuarsi della successio solo per gli heredes necessarii e per quelli sui et necessarii. Heres necessarius- schiavo liberato e al tempo stesso istituito erede con il testamento. Egli succede al defunto, anche se non vuole. Sui et necessarii- anche loro diventano eredi anche se non vogliono. (Sono i filii, le figlie e tutti i discendenti che alla morte del pater erano sui iuris). L’here suus può rifiutare l’eredità che consideri svantaggiosa. Il pretore gli concede una facultas abstinendi. Tutti gli altri eredi che alla morte del pater erano fuori dalla sua potestas sono qualificati extranei o voluntarii heredes. Perché essi acquistino effettivamente la posizione di successori non basta la delatio ma serve da parte loro una manifestazione di volontà. Questa è l’aditio hereditatis. Un potere, un liberum arbitrium (Giuliano) riconosciuto dallo ius civile. Con il testamento si impone al successore una decisione entro un tempo determinato circa l’accettazione o meno. Questa decisione è chiamata cretio. Le parole che esprimono l’accettazione sono prefissate. Il testatore stabilisce il termine per l’accettazione solenne e soprattutto dispone che il chiamato venga diseredato se non lo rispetta o se non pronuncia le parole prefissate. Prescrivere la decisione, senza prevedere la exhereditatio, equivale ad inserire nel testamento una clausola priva di effetti. Fuori dall’ipotesi di una clausola testamentaria che imponga all’erede di decidere, lo stesso effetto ricollegato all’accettazione mediante cretio può essere conseguito con la pro herede gestio. Colui che è stato chiamato all’eredità (e non è suus) compie gli atti proposti dell’erede, gestendo il complesso dei beni indicato nella delatio. Gaio usa legittimo iure per indicare una successione in base allo ius civile; gli eredi ab intestato considerati extranei o voluntarii sono quelli uniti al defunto da un vicolo agnatizio e che non erano alla morte sotto potestas. Se il delatus muore prima dell’accettazione non subentrano i suoi eredi. Nel caso di eredità testamentaria a favore di un extraneus, che non abbia accettato, si passa alla sostituzione disposta nel testamento, e in mancanza di questa i beni restano vacanti. Nel caso di successione ab intestato di un extraneus i beni sono vacanti. L’erede intestato volontario (o extraneus) può trasferire mediante in iure cessio l’eredità ad un altro, nell’intervallo tra delatio e aditio. Così l’intero complesso ereditario viene acquistato mediante finto processo. Il destinatario subentra nella posizione di delatus. Così attraverso l’in iure cessio è possibile un’accettazione da parte di una persona diversa dall’erede. Se invece l’in iure cessio è avvenuta in un momento successivo all’aditio hereditatis il cedente resta erede. Gli effetti dell’acquisto già avvenuto sono irrevocabili. Perciò il cedente è tenuto all’adempimento delle obbligazioni. Non trasmette i crediti, che si estinguono, ma solo le res corporales incluse nella successione. L’erede testamentario volontario non può compiere l’in iure cessio prima dell’aditio. Sono vietati i patti di ogni genere che abbiano ad oggetto la successione ed intendano derogare alle sue regole. Sulle successioni (di entrambi i tipi) Augusto instituisce nel 7 d.C. una tassa (5% del valore dei beni) chiamata vicesima hereditatium. Il prelievo, che è collegato alla necessità di nuove spese belliche è a favore dell’aerarium militare: apparato finanziario autonomo, creato dal principe e posto alle dipendenze di ex magistrati. La tassa grava solo sui cittadini romani e non è imposta a carico di chi abbia i rapporti di parentela più stretti con il defunto. La vicesima incide anche sui legati a meno che dal testamento non sia prevista un’esclusione. - Senatoconsulto Tertullianum (età adrianea): la madre che abbia lo ius liberorum succede ab intestato al proprio figlio e non vi è differenza se questi siano nato o meno dal matrimonio. Prima della madre sono chiamati all’eredità i liberi del figlio: categoria comprendente i sui e gli emancipati, i naturali e gli adottivi, poi il padre naturale ed i fratelli consanguinei; mentre le sorelle del figlio dividono la successione con la madre, Questa viene esclusa dalla successione solo se quelli che la precedono acquistano l’eredità; se ciò non avviene ella subentra come erede. - Senatoconsultum Orphitianum (Marco Aurelio): disciplina la successione dei figli alla madre. Stabilisce che i figli, anche se illegittimi, siano i primi ad essere chiamati all’eredità materna. Capitolo 10. Il testamento ed altre disposizioni 99. La volontà nelle forme più antiche e nel testamentum per aes et libram Il testamentum è una manifestazione di volontà, espressa con forme che mutuano nel tempo; ha lo scopo di stabilire il destino dei veni e delle relazioni di una persona dopo la sua morte. Con il testamento si designa l’erede e si possono formulare disposizioni particolari per l’assegnazione di cose, per l’attribuzione di libertà agli schiavi, per la nomina di tutori. L’istituzione dell’erede è fondamentale perché vi sia un testamento. Così come è essenziale che gli heredes sui vengano esplicitamente diseredati se non sono stati istituiti eredi. I due tipi di testamento più risalenti nel tempo sono: 1. Testamentum calatis comitii: sorta di adrogatio, cui il testatore assegnava pubblicamente il ruolo di erede. Gli effetti successori si producevano dopo la morte del pater adottante. Il rito si svolgeva davanti ai comizi curiati, convocati a questo fine dal pontefice max. 2 volte all’anno. Vi era l’adozione solenne: via obbligata per il testamento era quella di creare la condizione giuridica di filius familias, vale a dire heres suus. Mediante un atto parallelo, la detestatio sacrorum, doveva inoltre realizzarsi l’abbandono dei propri sacra da parte dell’heres e l’accesso ai culti familiari del testatore, con assunzione di relativi doveri, sempre al cospetto del popolo riunito e dei pontefici. Il testatore e l’erede intervenivano insieme nell’assemblea, Ai comitia curiata non erano ammessi impuberi e donne (non potevano essere né testatori né eredi). L’exheredatio, la diseredazione del filius, del suus che era già in famiglia, quando viene accordata dai mores dà più autonomia al testatore. 2. Testamentum in procinctu: mezzo giuridico di emergenza, cui si poteva ricorrere senza aspettare la ordinaria convocazione dei comizi, per disporre dei propri beni (mentre era imminente la guerra). Un’assemblea, in questo caso composta da soldati, assisteva alla manifestazione di volontà del testatore. (procinctus=’in assetto di guerra’). Circa la struttura e gli effetti di questo atto non abbiamo notizie. Aulo Gellio: “Labeone scrive che i calata comitia sono quelli tenuti in presenza del collegio dei pontefici per il rito inaugurale al rex ‘sacrorum’ o ai flamini”. Negli stessi comizia che si dicono calata, si era soliti compiere la rinunzia solenne ai propri sacra e i testamenti. Vi era anche un terzo tipo di testamento: attraverso la emancipatio dell’insieme dei beni familiari, dove venivano usati bronzo e bilancia. Lelio Felice menziona la tria genera sacramenti e quindi la familiae mancipatio (la quale coincide perfettamente con la mancipatio familiae descritta da Gaio). Con il rituale della mancipatio familiae, il complesso dei beni ereditari veniva affidato dal pater ad un acquirente, incaricato poi di disporre ulteriormente delle cose che aveva ricevuto. Si chiamava familia emptor ed eseguiva, dopo la morte del pater le disposizioni da lui date. Non vi era una vera e propria istituzione di erede, ma piuttosto un rito di assegnazione con il quale si affidava la custodia dei beni al familia emptor e gli si impartiva un mandato affinché destinasse quei beni ai beneficiari finali. Veniva scelto una specie di affidatario del patrimonio, che aveva il compito di distribuirlo. Il dare attraverso la forma mancipatoria un complesso di beni al familiae emptor è un espediente per metterlo in condizione di dare ad altri. Egli da un lato acquistava la custodia sulle cose e dall’altro effettuava la distribuzione sulla base dell’incarico ricevuto. Non l’acquisto di una proprietà ma la costituzione di una diversa situazione giuridica nella quale spiccava il mandato, con effetto post mortem, e con una protezione giudiziaria ancora interna al processo per legis actiones. Gaio segnala la relazione di amicizia tra titolare dei beni e il familiae emptor. Inoltre, nomina le relative disposizioni impartite all’acquirente con il termine rogare (chiedere, rivolgere un invito al compimento di attività determinate). All’atto della mancipatio, il disponente dettava al familiae emptor istituzioni precise circa la destinazione di ciascun cespite del matrimonio, che così veniva interamente ripartito. Gaio non si limita ad esporre l’antico rituale ma lo considera come parte di uno schema più complesso. La mancipatio familiae, ai suoi tempi (di Gaio), non esiste come atto autonomo: ha perso la sua finalità originaria ed è legata alla figura del testamento per aes et libram, che ha sostituito i due tipi più antichi. 3. Testamentum per aes et libram: emargina l’imaginaria venditio. Il ruolo del familiae emptor diviene simbolico. La mancipatio in presenza di testimoni dà solennità e rilevanza sociale ma non incide sostanzialmente su di esso. Al mandato si sostituisce una manifestazione di volontà scritta nelle tabulae testamenti, che istituisce l’erede e contemporaneamente assegna legati o aggiunge altre disposizioni particolari. I fedecommessi sono dichiarazioni che possono fare parte del testamento ma che assumono rilievo anche come manifestazioni di volontà separate. Mentre i codicilli sono documenti separati e possono essere confermati dal testamento oppure no. Secondo Gaio è la nuncupatio che afferma la forza vincolante di quanto è stato scritto. Per la revoca è necessario un nuovo testamento con le stesse forme. Le tabulae garantiscono la segretezza della volontà in esse racchiusa. Sono sigillate da 5 testimoni, oltre che dal libripens e dal familiae emptor. Il pretore concede la bonorum possessio sulla base di ciò che è scritto nel testamento, anche quando non vi sia stato nulla che somigliasse all’intervento di un familiae emptor e neanche si sia verificata una nuncupatio solenne. Basta per lo ius praetorium provare l’esistenza delle tabulae con 7 sigilli (di altrettanti testimoni) e gli effetti si producono. Questi bonorum possessio conforme al testamento si applica poi in altri casi di invalidità, per salvare il volere espresso dal testatore. Il segreto può essere cancellato se la scelta di rendere noto il testamento è utile al potere del testatore, se attiva meccanismi di riconoscenza / serve a costruire amicizie. Il testamento scritto viene aperto pubblicamente fra il terzo ed il quinto giorno dopo la morte del testatore, alla presenza di un magistrato e degli stessi testimoni che lo abbiano sigillato. Le formalità relative all’apertura sono regolate dalla Lex Iulia con la quale Augusto (7 d.C.) istituisce la vicesime: per il calcolo e la riscossione della tassa occorre infatti che tempestivamente si accerti l’ammontare dei lasciti. Perciò il testamento non può considerarsi cosa dell’erede ma deve essere portato a conoscenza a tutti coloro che esso menziona. Le ultime volontà di chi appartiene alle classi dirigenti sono oggetto di un controllo dell’opinione pubblica. I militari possono- nel periodo di servizio- redigere un testamento (a partire da una concessione di Giulio Cesare) del tutto esente dall’osservanza delle forme previste dallo ius civile eppure dotato di effetti; purché di fronte a persone in grado di testimoniare l’esistenza di un’effettiva volontà. Anche il contenuto è libero. Il militare può trasmettere l’eredità ad un peregrinus e a tutti coloro che in genere non possono ricevere per testamento. 100. La libertà testamentaria dalle XII tavole alla giurisprudenza. La manumissio diretta Gaio: “Un tempo si poteva distribuire un intero patrimonio attraverso i legati e le manumissioni, senza lasciare all’erede null’altro se non il nome di erede; e ciò sembrava permesso dalle XII tavole, con la quale si stabilisce che sia vincolante quanto ciascun testatore decida […]” Ovviamente, come ricorderà Ulpiano, le XII tavole hanno recepito una normativa consuetudinaria anteriore ma hanno anche garantito, con norme nuove, gli effetti vincolanti delle disposizioni particolari relative alla distribuzione dei beni. La più significativa delle nuove norme è uti legassit suae rei, ita ius esto, che anticipa il legatum per vindicationem. Un’altra importante è “quando uno realizzerà un nexum o una mancipatio, come la lingua avrà pronunziato, così sia lo ius”. Pomponio attribuisce un significato più ampio alle stesse parole della prima norma; vede in essa una previsione generale di libertà strumentaria: il riconoscimento del potere del singolo di scegliere a chi andranno dopo la sua morte i beni che ora sono suoi. Questa libertà comprende anche l’heredis institutio, a cui Pomponio attribuisce il verbo legare interpretandolo in modo estensivo, come assegnazione dei beni mortis causa, senza considerare la differenza tra istituzione dell’erede e del legato. La manumissio produce direttamente l’effetto di affrancare lo schiavo. È diretta: in essa si manifesta l’ampio potere di creare nuove situazioni giuridiche riconosciuto al testatore. Fin dal tempo delle XII tavole ciascuno può ordinare che dopo la sua morte il suo schiavo diventi libero. La disposizione è certamente incompatibile con il testamentum calatis comitii, tradizionalmente limitato all’investitura di un successore e ricalcato sullo schema dell’adrogatio. Invece si può supporre che la manumissio sia stata parte della mancipatio familiae. Il familiae emptor poteva acquisire in via fiduciaria lo schiavo (con dovere di custodia) e poteva contemporaneamente obbligato a lasciarlo libero, una volta diventata efficace la nuncupatio, che lo faceva uscire dalla condizione servile. L’affrancamento poteva essere ordinato anche con un codicillo (breve documento separato) purché le sue disposizioni siano confermate nell’atto testamentario. Di regola, la manumissio si realizza solo in seguito all’effettivo acquisto dell’eredità da parte del successore designato: quindi serve l’aditio degli heredes extranei. Un rescritto di Marco Aurelio ammetterà però che siano liberi gli schiavi manomessi, anche in assenza di aditio hereditatis, purché essi si impegnino a pagare i debiti inerenti all’hereditas. Per l’heres suus l’ingresso nell’eredità avviene automaticamente con la delatio, sia che egli succeda ab intestato sia che venga istituito erede tramite testamento- qui la manumissio diretta è sicuramente operante alla morte del testatore. Né la facoltà di astenersi concessa dal pretore agli heres suus, che rifiuta il peso di un’eredità non vantaggiosa, può determinare una recessione della manumissio. Gli effetti della facultus abstinendi restano confinanti entro lo ius honorarium; non giungono a cancellare la qualità di erede e non pongono nel nulla la delatio. Perciò l’affrancamento dello schiavo resta valido. La stessa disciplina va riferita ai casi di successione testamentaria riguardanti heredes necessarii (schiavi che il testatore rende liberi e istituisce come suoi eredi). L’automatismo degli effetti è regolabile dal testatore che può fissare una condizione o un termine per l’efficacia della manumissione diretta. Nel tempo anteriore al verificarsi della condizione o allo scadere del termine, lo schiavo rimane tale ed è qualificato statuliber. In questa fase egli appartiene all’erede. Inoltre il testatore ha il potere di nominare un tutore per i figli tramite clausola testamentaria o con un codicillo confermato, contenente un ordine di immediato effetto, L’assistenza del tutore comincia ad operare nel momento in cui viene acquistata l’eredità. L’esercizio della facultas abstinendi non impedisce che si costituisca la tutela. La nomina del tutore non può che riguarda una persona individuata; un cittadino maschio che può anche essere un filius o uno schiavo (che Il senatoconsulto Neronianus (54-68 d.C.) - ogni legato non corretto dal punto di vista formale debba essere considerato valido, come se fosse stato redatto in modo adeguato; purché l’oggetto e gli effetti voluti siano identificabili. L’operatività del legato può essere vanificata dalla sua revoca (ademptio). Fino a quando i legati sono strettamente dipendenti dalle vicende del testamento, l’adempio impone la redazione di un nuovo atto di volontà; una volta consolidate le diverse manifestazioni di volontà diventa possibile compiere la revoca limitatamente ai legati, Anche la forma subisce modifiche. In seguito si ammettono espressioni diverse e persino la revoca tacita. 102. I fedecommessi. La libertas per fideicommissum Il fideicommissum è simile, sotto il profilo funzionale, al genere di mandato post-mortem. Nasce dalla consuetudine di raccomandare determinate prestazioni o comportamenti a chiunque tragga vantaggio dalla successione, affinché la sua volontà procuri un’utilità ad uno o più beneficiari esterni. I limiti sono chiari: la raccomandazione non è giuridicamente vincolante. Il suo contenuto si differenza dalla rogatio del mandante, per il fatto che non ha tutela nell’ambito del processo formulare. Dal fedecommesso non nascono obblighi e l’esecuzione del compito è affidata semplicemente alla lealtà di chi lo riceve. Sono gli imperatori a garantire una iudicia extra ordinem, riconoscendo così alla fides una forza cogente innovativa rispetto alla tradizione. Augusto invece ordina ai consoli di decidere in base alla loro autorità, giudicando con una cognitio extra ordinem i casi dove il fedecommesso non sia eseguito e condannando la parte inadempiente. Questi interventi, pian piano, danno luogo ad una adsidua iurisdictio, si crea una procedura stabile. Nel I sec. d.C. si consolida una magistratura speciale, chiamata praetor, inserita nel circuito gerarchico del nuovo ordinamento; non esercita una giurisdizione esclusiva sui fedecommessi ma lavora in parallelo con i consoli. Si tratta comunque di magistrature subalterne al potere imperiale e perciò delegato da questo alla risoluzione di controversie. Il fedecommesso presuppone una delazione ereditaria e per gli heredes extranei o voluntarii la sua efficacia è subordinata all’acquisto dell’eredità. È un atto che può essere indipendente dal testamento ed inoltre può essere dentro un codicillo o avere forma orale. È perfino accettato come valido un fedecommesso implicito in una comunicazione verbale o in una scrittura privata da cui emerga la volontà del disponente. Il criterio di valutazione del fedecommesso nel giudizio extra ordinem è simile a quello che entro il processo formulare si identifica nel concetto di bona fides. Il fedecommesso può gravare anche su un legatario, su un donatario o su altro fidecommesso; ma in questi casi non può eccedere i limiti del vantaggio assegnato con la disposizione primaria. Così, ad es., non si può imporre ad un legatario un fidecommesso che superi ciò che gli viene attribuito con il legato. Non è necessaria alcuna accettazione da parte del destinatario poiché essa opera automaticamente. La volontà del fedecommissario entra in gioco in quando diretta a realizzare il contenuto dell’atto. Non è prevista la rinuncia ma se questa interviene, una successiva richiesta di adempimento potrà essere respinta. I fedecommessi si distinguono in 3 categorie: 1. Il fedecommesso di singole cose si riferisce sia alle res corporales che incorporales. Può quindi concernere un’obbligazione. La tutela processuale è sempre quella extra ordinem; oppure il fedecommesso può mirare all’assegnazione di un credito. Il testatore può disporre che un determinato bene rilevante per la comunità famigliare, lasciato in eredità, sia comunque destinato a non uscire dalla cerchia della familia (in senso lato: sui, parenti ammessi alla successione ab intestato, liberti). In genere si tratta di un immobile. Gli eredi, i legatari e gli stessi fedecommessi possono essere onerati da un fedecommesso che li impegna a disporre l’assegnazione del bene, dopo la propria morte, a persona di famiglia sopravvissute. 2. Libertas per fideicommissum: il testatore può assegnare ad un suo successore il compito di manomettere uno schiavo ed a quel punto si chiama (-). Lo scopo si realizza attraverso un’attività che deve essere compiuta dall’onerato. Se lo schiavo appartiene ad un terzo l’onerato dovrà acquistarlo e poi manometterlo. Lo strumento giudiziario per chiedere il fedecommesso è una cognitio extra ordinem (non presuppone né crea un’actio). Eppure il processo si apre per iniziativa della parte interessata. Nel caso di fedecommesso di libertà è direttamente lo schiavo che si rivolge al magistrato-funzionario e sollecita il suo giudizio. 3. Fideicommissum omnium bonorum- riguarda l’intera eredità. Gaio: “Se abbiamo scritto ‘L. Tizio sia erede’, possiamo aggiungere ‘ti prego ’ […] rendere e sostituire l’eredità a C. Seio.” Possiamo anche chiedere di restituirne una parte e siamo liberi di disporre i fedecommessi sotto condizione o senza condizione o a termine. Senatoconsulti Trabellianum e Pegasianum: semplificano e garantiscono l’esecuzione della volontà. Prima di essi il fedecommesso universale dipende dall’esistenza di un’eredità e dall’adempimento dell’erede. Egli non compie un singolo atto ma una pluralità di atti volti al trasferimento delle cose e conclude una pluralità di stipulationes emptae et venditiae hereditatis, con le quali si obbliga a garantire il pagamento di quanto ottenuto dalla riscossione dei crediti ereditari delle azioni al fedecommissario, mentre questo promette di rimborsare i debiti pagati all’erede o di assumere la defensio in giudizio. Il senatoconsulto Trabellium (56 d.C.) consente l’adempimento con un unico atto, restitutio. È poi il pretore ad assicurare la tutela giudiziaria a favore del destinatario del fedecommesso per i crediti facenti capo all’eredità e contemporaneamente le azioni nei suoi confronti per i debiti che gli sono stati trasmessi; la protezione del pretore si attua tramite concessioni di azioni dette ‘utili’. Tutte azioni di ius honorarium, le quali danno luogo ad altrettanti processi formulari. Dopo questo senatoconsulto resta ferma comunque la possibilità che l’erede non suus, cui sia imposta la restitutio dell’intero patrimonio, ne rifiuti l’accettazione vanificando così anche il fedecommesso. Per evitare questo viene fatto il senatoconsulto Pegasianum (69-79 d.C.) con il quale si introducono varie prescrizioni: i limiti previsti dalla Lex Faldicia in tema di legati sono estesi anche ai fedecommessi cosicché anche questi non possono superare i ¾ di patrimonio. In secondo luogo se l’erede non accetta l’eredità, sarà il magistrato (praetor fideicommissarius) a provvedere, su richiesta del beneficiario, imponendo l’accettazione dell’eredità e di conseguenza l’attuazione del fedecommesso. Si torna in questo caso al primo senatoconsulto per quanto riguarda l0esercizio delle azioni “utili” del fedecommissario e nei suoi confronti. 103. I codicilli I codicilli sono disposizioni scritte, a contenuto patrimoniale, formulate fuori dal testamento, anche esse destinate ad avere efficacia dopo la morte del disponente. Il termine è usato di solito al plurale ed indica piccole tavolette normalmente impiegate per annotazioni e qui usate per trascrivere disposizioni di ultima volontà; tutto fuorché l’istituzione di erede. I (-) permettono maggiore libertà. Trebazio Testa: “Prima dei tempi di Augusto, è noto che lo ius codicillorum non esistesse, ma per primo Lucio Lentulo, dalla cui persona cominciano anche i fedecommessi, introdusse anche i codicilli.” Si diche che Trebazio abbia persuaso Augusto, affermando che questo uso era utilissimo e necessario per i cittadini, a causa dei grandi e lunghi viaggi che potevano esservi presso gli antichi e in occasione dei quali se uno non poteva fare testamento, tuttavia poteva redigere i codicilli. Lucio Lentulo è console nel 3 a.C. e proconsole in Africa. Egli ha disposto alcune raccomandazioni per Augusto: si tratta di fedecommessi in forma scritta. Augusto esegue i fedecommessi, concretamente fedele alla linea politica del diritto che lo induce a dar loro una protezione giuridica. Per i giuristi la validità dei codicilli è ammessa anche in concomitanza con la successione ab intestato. Distinzione tra codicilli confermati nel testamento e non confermati: La conferma ha l’effetto di comprendere nel testamento quanto sia scritto al di fuori di esso. È una legittimazione che può valere per il passato e dare così efficacia a codicilli scritti anteriormente. Oppure può riguardare il futuro, prevedendo una successiva redazione di clausole ancora da aggiungere. Si definiscono non confermati tutti gli altri codicilli, sia che il testamento ne taccia, sia che essi intervengano nella successione ab intestato. Il contenuto di un codicillo confermato viene considerato come incluso nel testamento stesso e garantito dai medesimi strumenti di tutela che vi si riferiscono. Invece la volontà che si esprime nei codicilli non confermati dà vita solo ai fedecommessi. Capitolo 11. La bonorum possessio 104. Una invenzione pretoria La bonorum possessio è un regime successorio inventato dal pretore, che si affianca alla successione riconosciuta dallo ius civile, per integrarne e modificarne la disciplina, rimuovendone le iniquità. Il regime tradizionale viene avvertito come ingiusto (iuris iniquitates). Cambia la visione della familia e dei rapporti di parentela; la prassi tende a de formalizzare il testamento. Su questo sfondo nascono le forme disegnate dallo ius honorarium. La (-) trae probabilmente origine dalle controversie ereditarie. Nella procedura per legis actiones, il pretore assegnava ad uno dei due contendenti, per il tempo del processo, il possesso dei beni facenti capo dell’eredità. Il primo salto è dato dal cambiamento di funzione dei provvedimenti pretori, quando i loro effetti non sono più temporanei ma la concessione del possesso conquista una propria autonomia e viene decisa dal magistrato sulla base di richieste (Estranee ai mores) degli interessati. L’editto del pretore prevede la concessione della (-) in una serie articolata di casi; chi si trovi nelle condizioni prestabilite assume una iniziativa per sollecitare l’assegnazione pretoria dei beni. Questa volontà assomiglia, sotto profilo funzionale, all’aditio. La concessione della (-) si risolve in una missio in bona (decreto che assegna i beni). Ai destinatari il pretore assicura una tutela giudiziaria in più forme: nel II sec. a.C. soltanto interdetti nei confronti di terzi, dal I sec. a.C. eccezioni ed azioni, anche contro gli eredi iure civili. Quando l’immissione nel patrimonio del defunto ha natura provvisoria si parla di bonorum possessio sine re. Quando il possesso assegnato è definitivo e destinato ad avere tutela anche nei confronti dell’erede civile si ha bonorum possessio cum re. Mai alcun giurista identifica teoricamente il bonorum possessor con l’erede, la cui posizione è fissata dallo ius civile. Vi sono 3 specie di bonorum possessio: 1. Sine tabulis: quando manchi un atto di ultima volontà; qui è il pretore ad individuare un ordine di successone dei bonorum possessores. Il frammento si occupa soprattutto della dinamica dei rapporti obbligatori ed il contributo teorico più significativo concerne la classificazione interna al contrahere: re, verbis e consensu. Quidque contractum est (qualunque cosa è stata contratta) indica le situazioni, i rapporti costituiti attraverso i comportamenti volontari di cui si discute. La sovrapposizione concettuale sta nel mescolare casi di realizzazione della funzione del rapporto e casi di neutralizzazione dell’atto costitutivo del rapporto (attraverso un nuovo atto opposto). La peculiarità del testo sta nel modo di intendere la simmetria tra contrahere e solvere. Quinto Mucio intende contrahere nel senso di unire. Per il primo modo di costituire dell’obbligazione (mutuo) lo scioglimento simmetrico mediante un atto uguale e contrario è al temo stesso adempimento. La restituzione ripete all’inverso le stesse modalità dell’atto costitutivo. Nell’obligatio verbis si manifesta l’intreccio tra l’adempimento e lo scioglimento indipendente della prestazione. Nella descrizione repubblicana del contrahere, il termine solvere vale per entrambi. È un solvere re, quando si realizza tramite la prestazione promessa; ed è invece solvere verbis quando il rito dell’acceptilatio si estingue come obbligazione. Il passaggio dal consensus al contrarius consensus non segnala l’unico modo di estinzione delle obbligazioni, derivanti dall’emptio-venditio o dalla locatio-conductio, ma soltanto un modo possibile, consistente nella revoca bilaterale di quanto anteriormente convenuto tra le parti. Anche in questo caso l’ipotesi dello scioglimento senza prestazione va di pari passo con l’adempimento. Pomponio adotterà una classificazione del tutto diversa e intenderà solvere in senso stretto di adempimento, differenziano da esso lo scioglimento formale del vincolo. Il secondo testo di Pomponio contiene un abbozzo di costruzione concettuale riferito alla tutela giudiziaria che nasce da una serie di atti: si tratta di actiones in personam. Il tema di fondo è quello della parità degli statuliberi e gli schiavi. L’elemento che differenzia i primi è la speranza della libertà; ma finché vi è solo un’attesa, questa non cambia la loro condizione di res; d’altra parte essi sono sottoposti come gli schiavi alla repressione penale della iudicia publica. Vi è una triade teorica nel testo: delictum, negotium gestum e contractus; questi atti possono essere compiuti dagli statuliberi, così come possono avere ad oggetto gli uni e gli altri, producendo stessi effetti giuridici. Negotium gestum: funzione di riassumere comportamenti che danno luogo ad azioni giudiziarie, non sono illeciti e sono diversi dalla dazione di una res, dalla pronunzia di parole solenni propria della stipulatio e dal contrahere consensu. Potrebbero rientrare in questo terzo schema figure come la tutela o il nomen trascripticium o i legati. Essi (i legati) rimangono fuori dalla nozione di contractus perché già nel pensiero muciano il termine (contractus) implica un’idea di bilateralità o plurilateralità nel caso di societas. Perciò nei casi in cui questo elemento strutturale non viene individuato, diventa necessario l’uso di un appellativo diverso: negotium gestum. L’enunciato evoca una sommaria classificazione dove negotium gerere figura come categoria generale, fuori da ogni riferimento alla gestione di affari altrui. Non vi è traccia nella giurisprudenza imperiale di schemi classificatori analoghi. 108. La svolta di Labeone e la categoria del “sinallagma” Labeone introduce spesso innovazioni, alcuni delle quali durature, facendo leva sull’interpretatio iuris e sulla iurisdictio pretoria. Entro lo studium iuris diventano per lui fondamentali le forme del lessico giuridico, la scelta delle parole, l’invenzione di nuovi usi linguistici. Il giurista delinea la ridefinizione di alcune parole-chiave: Scrive Ulpiano: “Labeone […] definisce come certe cose siano compiute attraverso un agere, certe siano compiute attraverso un gerere, certe attraverso un contrahere: e definisce actum come un termine di portata generale, riferito a quanto si compia sia con le parole (verbis) sia con la dazione di una cosa (re). […] definisce contractum invece quella obbligazione reciproca delle parti […] e gestum l’operazione compiuta senza il ricorso alle parole. Agere: deve comprendere per Labeone ogni atto volontario, ad eccezione dei contratti consensuali, trattati subito dopo. Questa definizione crea una categoria generale. Anche il significato che il giurista vuole assegnare al verbo Gerere: tentativo di riorganizzazione semantica destinato a non avere seguito Contractus: vera rivoluzione semantica: il contratto consensuale viene costruito secondo uno schema di reciprocità; egli lo riferisce alla volontà delle parti. Quando il contratto si risolve nella ultro citroque obligatio (obbligazione dall’una e dall’altra parte) è evidente che fissa un contenuto essenziale alla volontà delle parti contraenti. Egli trae questa idea dal termine greco “sinallagma” che viene dalla filosofia ed ha particolare densità teorica in Aristotele. Muovendo dal concetto di relazione come parte del vivere sociale, genericamente chiamata sinallagma, Aristotele attribuisce al termine, come emerge dal contesto, il significato più circoscritto di “rapporto implicante obblighi”. A questo applica l’idea di giustizia correttiva. Per quanto riguarda gli atti della circolazione economica Aristotele sostiene che il giusto significhi organizzare gli obblighi e le prestazioni secondo una misura unica e a partire da essa stabilire l’equilibrio. La misura unica è fornita dal denaro. Labeone riprende il sinallagma, intendendolo come duplice obbligazione collocandolo in una dimensione strettamente giuridica. Si tratta di un rapporto bilaterale che rende vincolante la semplice manifestazione del consenso concettualizzando così i contratti consensuali dello ius civile e mettendo a fuoco la loro capacità di produrre vincoli giuridici. Se alla reciprocità (ultro citroque) delle obbligazioni non segue la reciprocità degli adempienti, diviene necessario un intervento correttivo; per il giurista questo si realizza mediante una tutela processuale, rappresentata non solo dalle azioni che i contratti consensuali già consolidati nei mores ma anche da altri mezzi volti a far valere le aspettative da una o dall’altra parte. Labeone affronta anche l’incertezza contrattuale: egli considera il caso di una cosa data, in cambio di denaro, con l’intesa che non vi sia comunque trasferimento di dominium. Si può trattare di una locatio-conductio oppure, senza nomi, a un altro genere di contratto (aliud genus contractus). Ecco i termini dell’incertezza. Quale è la tutela per gli aliud genus contractus? “al padrone delle merci, quando è incerto se egli sia conduttore o se abbia dato in locazione le merci perché venissero trasportate, si deve dare un’azione civile in fatto”. Nella sua formula è descritta la situazione di fatto, dando al giudice la possibilità di valutare l’interesse in gioco e di calibrare su questo la condanna. La formula è concessa dal pretore. (azione di ius honorarium- riferimento ad entrambi i campi, sia civile che pretorio). Labeone sempre propone un’actio praescriptis verbis: formula nella quale la fattispecie è puntualmente indicata per quel che è nella parte iniziale. Così la formula viene plasmata in modo da accordare tutela ad una situazione particolare, non tipizzata ma meritevole di un’azione (sempre secondo bonae fides). Le praescripta verba (parole scritte all’inizio della formula) consentono al pretore un’innovazione di natura decretale: fanno sì che egli colleghi la tutela giudiziaria esattamente al fatto verificatosi. Il giudice dovrà valutare la reciprocità di vincoli voluta dai contraenti e decidere se in concreto sia necessaria una sentenza che rimedi alla mancata o non perfetta esecuzione da parte di uno dei due. (leggi casi pag.441) 109. La teoria della conventio e ancora il ricorso al sinallagma. Il pensiero di Aristone è ricordato in un testo di Ulpiano e si può comprendere mettendo a fuoco la teoria della conventio: la figura del sinallagma trova una nuova collocazione che contribuisce a darle un significato diverso da quello labeoniano anche se poi il nucleo resta uguale. La nozione di conventio come schema generale riferito all’incontro di volontà e già delineato alla fine del I sec. d.C.; già Labeone riferisce il convenire a varie forme di accordo tacito o lo limita ad atti che riguardano il campo delle obbligazioni. Entro questa prospettiva Augusteo concettualizza anche l’accordo per la rinuncia all’azione. È il pacxtum de non petendo: una pura conventio senza forme, che di fatto libera l’obbligato e mette a sua disposizione una specifica exceptio, nell’ipotesi che il creditore agisca nonostante la rinuncia. Il pretore crea quindi una situazione riconducibile al concetto di estinzione dell’obbligazione. Perciò il pactum ha un rilievo così spiccato nell’editto pretorio. Ulpiano illustra i lineamenti considerando originale e significativo un aspetto: la inderogabilità della conventio. Una regola: in assenza di un effettivo incontro tra le volontà delle parti tutti gli atti bilaterali sono nulli. Ulpiano svolge la teoria della conventio riferendola al meccanismo della circolazione ed ai vasti rapporti commerciali. Le conventiones coinvolgono nella prassi quotidiciana cittadini e stranieri e rientrano perciò nello ius gentium. “Tra le convenzioni iuris gentium alcuni generano azioni, altri eccezioni. Quelle che generano azioni non mantengono il proprio nome ma passano sotto il nome proprio di un contratto”. La conventio è imminente in ciascun contratto che ha un nomen. Aristone pensa che dal meccanismo di reciprocità scaturisca una vera e propria obligatio fondata sullo ius civile e tutelata mediante una conditio incerti; mentre Albeone prospettava una tutela pretoria, foggiata in singoli casi. Anche Giuliano suggerisce un mezzo caso per caso: actio in factum. L’incontro delle volontà, se non ha il nomen di un contratto, produce effetti giuridici purché vi sia una causa. Questa non è altro che il sinallagma riferito direttamente alle prestazioni, che diventa effettivo nel momento in cui interviene la prestazione concordata e vincola la controparte ad un determinato comportamento. La prestazione di uno dei due contraenti è considerata come il corrispettivo della prestazione dell’altra. È divisa in 4 schemi: 1. Do ut es: la prestazione eseguita e la controprestazione consistono nel trasferimento del possesso di una cosa e nel pagamento del prezzo dell’altro (come compravendita) oppure nella dazione di una cosa propria in cambio di un’altra (come permuta). In entrambi i casi vi è un’azione dello ius civile. 2. Do ut facias: la prestazione eseguita nel trasferimento di una cosa e la controprestazione attesa è un’attività. L’azione che serve per avere indietro la cosa o la somma ceduta è una condictio o actio praescriptis verbis. 3. Facio ut des: la prestazione eseguita consiste in un’attività e la controprestazione attesa nell’alienazione di una cosa o nel pagamento di una somma di sanaro. Paolo qui mette in gioco l’actio de dolo. 4. Facio ut facias: la prestazione eseguita e la controprestazione attesta consistono in attività. Si può configurare il rapporto come un mandato, oppure ricorrere all’apposita actio praescriptis verbis. 110. Le prestazioni. Obbligazioni e danaro L’oggetto dell’obbligazione può essere un dare oppure un contegno del valore non determinato a priori. Nel primo caso l’intentio (parte della formula dove l’attore dichiara le sue ragioni e il suo desiderium) è certa. Il dare consiste nel pagamento di denaro o può implicare l’alienazione di un’appartenenza o di uno ius in re aliena. Nel caso del facere vi è un’intentio incerta: l’autore chiede “tutto quanto è necessario dare e fare in base all’obbligazione”. Sarà il giudice a tradurre la richiesta in una somma di denaro. Nei iudicia bonae fidei l’intentio è sempre incerta. Il verbo praestare non ha un significato univoco. Spesso designa il fatto di essere tenuto ad una garanzia o indica il dover rispondere. Più ampiamente: tutto ciò che l’obbligato deve. Come oggetto delle obbligazioni, la prestazione deve essere possibile, lecita, certa o comunque discrezionalità del pretore per tutelare atti ed interessi di incerta qualificazione eppure degni di protezione). Diventa più elastica la concezione di illecito e si allargano i confini del contractus. Contractus non è solo un insieme di tipi ma è anche una nozione aperta, costruita in modo da includere potenzialmente una serie infinita di atti di fisionomia diversa, purché riconducibili al sinallagma. Gaio, riguardo alle cause di obbligazione, segue la linea della tipicità ma introduce alcuni spazi problematici entro le nozioni tradizionali. Propone due punti di vista diversi nelle Institutiones e nelle Res cottidianae. Le Institutiones contengono la classificazione più semplice. “Ogni obbligazione nasce da contratto o da illecito”- ius obligationis Il contrahere si articola in 4 generi; si può contrarre re: 1. Attraverso la dazione di una cosa 2. Tramite parole prefissate (verbis) 3. Tramite uno scritto (litteris) 4. Con il consenso (consensu) Nell’ambito del contrarre re Gaio introduce una fattispecie: accosta al mutuo il pagamento di qualcosa che non è dovuto (solutio indebiti). In questo caso non si può dire che l’obbligazione nasce da un contrahere ma è un re obligatur (obbligato sulla base della dazione della cosa). “Questa specie di obbligazione non sembra fondarsi su un contratto, giacché colui che dà con l’intenzione di pagare intende estinguere un rapporto piuttosto che costruirlo. Il delictum è indicato da Gaio (nelle Institutiones) come un genus unico. Nelle Res Cottidianae appare diverso: -non tutte le obbligazioni possono risolversi nella dicotomia contrahere-delictum perciò il giurista allarga il campo della classificazione, costruendo uno schema concettuale senza definizione (se non quella approssimativa di variae figurae). “Le obbligazioni nascono da un contratto o da un atto illecito o in base ad una specifica disciplina di vari tipi di cause”. (manca la menzione al litteris) Anche dal maleficium (=delictum) nascono obbligazioni. Dopo il giurista descrive le altre fattispecie nelle quali si è giunti ad individuare cause generatrici di obbligazioni. […] se qualcuno ha gestito affari di un altro senza mandato, si è ritenuto nella giurisprudenza che le parti fossero reciprocamente obbligate e in base a ciò sono state create azioni (negotiorum gestorum) delle quali le parti possono servirsi in relazione a ciò che secondo la buona fede è necessario che l’uno presti all’altro. Il negotium gerere non rientra tra le cause tradizionali di obbligazione ma si è valutata l’esistenza di una “causa di utilità” cui i giuristi ricollegano l’obligatio. Lo stesso vale per la tutela. Non vi è nessun rapporto contrattuale tra tutore e pupillo. “Anche l’erede che deve un legato si capisce che non è stato obbligato in base ad un contratto o ad atto illecito”. Inoltre, la solutio indebiti è collocata fra le causarum figurae- chi ha ricevuto l’indebito è obbligato quasi ex mutui datione. Si esamina poi il caso del giudice che abbia agito in base ai propri interessi: se risulta che in qualcosa abbia agito male, sia pure per imprudenza, allora si ritiene che gli sia tenuto sulla base di un illecito” Ancora di altri due casi, dove interviene lo ius honorarium, Gaio parla di un teneri quasi ex maleficio. “Anche colui dalle cui stanze sopraelevate è stato gettato o sparso qualcosa tale da recare danno ad alcuno, si ritiene che sia tenuto quasi sulla base di un atto illecito; egli quindi non appare obbligato propriamente per un atto illecito”. L’altro caso si riferisce all’albergatore o all’exercitor navis (pag.457). Institutiones: “Le obbligazioni o sono sulla base di un contratto, o QUASI sulla base di un contratto, o sulla base di un illecito o QUASI sulla base di un illecito” ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Il linguaggio ed alcuni aspetti delle obbligazioni giungono fino a noi: - art. 1097 c.c. 1865: “Le obbligazioni derivano dalla legge, da contratto o quasi contratto, da delitto o quasi delitto” - Pothier, “Traité des obligationis” 1761- “Le cause delle obbligazioni sono i contratti, i quasi contratti, i delitti e i quasi delitti: alcune volta la legge o la sola equità.” - art. 1173 c.c. 1942 “Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. 112. Re contrahere: mutuo, comodato, deposito, pegno, fiducia Mutuo è un contratto con il quale una parte (comodante) consegna una somma di denaro o una quantità di cose fungibili ad un’altra (mutuatario). Contratto “reale” - il fatto della dazione di res (con traditio) genera l’obbligo. Il mutuatario è tenuto a restituire una quantità equivalente a quella ricevuta. Di solito è anche stabilito un termine. In relazione alle esigenze del commercio, la giurisprudenza interpreta in modo estensivo la traditio- basta mette a disposizione le cose. Basta delegare il proprio debitore o un terzo a pagare il mutuatario. Ulpiano: “Infatti se io avrò ordinato ad un mio debitore di dare una somma di denaro a te, tu sarai obbligato nei miei confronti, sebbene tu non abbia ricevuto denaro mio.” Lo stesso schema si applica se il creditore ha fatto pagare un terzo. La volontà dei contraenti modella il mutuo. L’applicazione dello schema della conventio è pacifica: è necessario un animus convergente. Il mutuo è un contratto gratuito. La prestazione cui è tenuto il mutuatario è pari a ciò che egli ha avuto e la gratuità si riflette in sede processuale. La legis actio per condictionem e la condictio sono i due mezzi di tutela previsti nel tempo. Essi perseguono la restituzione di quanto dato e null’altro. Legis actio per condictionem- risale a una Lex Silia- riguarda i crediti aventi ad oggetto una pecunia certa. Con la Lex Calpurnia poi la tutela si estenderà ai crediti con oggetto una res certa. Nel processo formulare la stessa funzione è svolta dall’actio certae creditae pecuniae e dalla condictio certae rei. La condictio può anche riguardare una cosa specifica ed individuata. Accanto all’oggetto si è soliti corrispondere al mutuante gli interessi (usurae) su quanto egli ha prestato: un corrispettivo che trasforma la dazione in investimento. Alla fine dell’età repubblicana il limite massimo era il 12% annuo ed erano vietati gli interessi sugli interessi. La fissazione degli interessi è oggetto di un accordo separato che assume la forma della stipulatio e perciò tutelato dalla relativa azione giudiziaria. Si può ricorrere ad un’unica stipulatio per il mutuo e gli interessi oppure, a partire dal II sec. d.C. si può convenire un patto da integrare al mutuo.” Pecunia traiecticia / nautica: fattispecie di mutuo molto rischioso (attività commericiali marittime) per l’investitore che al fine di proteggersi può passare il solito limite di interessi. Comodato d’uso- un contraente trasferisce ad un altro la detenzione di una res infungibile e inconsumabile (a meno che non sia data una quantità di denaro o cose fungibili affinché il comodatario possa ostentarne la detenzione senza trarre profitto), affinché colui che la riceve ne faccia uso gratuitamente per uno scopo convenuto e la restituisca alla scadenza del termine. Contratto reale- l’obbligo sorge dal dato oggettivo della dazione (non implica la traditio). “Possiamo anche comodare una cosa altrui di cui abbiamo il possesso”. È un contratto nato come prestito d’uso gratuito. L’intervento ad un corrispettivo, in cambio della cosa data, dà luogo ad una locazione o genera un’actio in factum derivante proprio dalla corrispettività e dal modello dell’ultro citroque obligatio. I possibili oggetti per il comodato d’uso e l’estensione agli immobili è oggetto di ius controversum. Labeone: “si dà in comodato una cosa mobile e non un immobile, mentre si dà in uso anche un immobile.” Viviano dice che si può dare in comodato anche un’abitazione. Sul comodatario grava l’obbligo di restituire la res. L’uso non deve eccedere i limiti stabiliti (altrimenti deve rispondere per furto). Inoltre la res va preservata dal deterioramento. L’obbligazione del comodante prevede di consegnare al comodatario una cosa idonea all’uso richiesto, nonché eventualmente di rimborsare le spese necessarie e di risarcire l’eventuale danno. L’actio comodati, posta a tutela del contratto, ha due formule: in factum e in ius concepta. Actio comodati in factum- II sec. a.C.- volta a sanzionare la mancata restituzione della res e ad ottenere la condanna al pagamento di una somma equivalente. Poi, tra I e II sec. d.C., verrà introdotto un iudicium bonae fidei che consentirà di ottenere un risarcimento nelle ipotesi di abuso e deterioramento. il comodatario può trattenere la cosa (ius retentionis) se non gli vengono rimborsate le spese necessarie. Inoltre nel processo in cui l’attore è il comodante può chiedere che la condanna sia calcolata detraendo dalla somma l’ammontare delle spese o dei danni che gli siano derivati dalla cosa data in comodato- ottenendo così una compensazione. Inoltre può agire con un’actio commodati contraria per fare valere le proprie pretese nei confronti del comodante. Il comodatario risponde se la res non viene riconsegnata con l’eccezione della causa di forza maggiore ma non è esonerato se la cosa gli viene rubata perché questo contratto teoricamente è a vantaggio esclusivo del comodatario. Ma in compenso egli può agire con un’actio furti. Il comodatario risponde per dolo e per colpa. Deposito- contratto con il quale una persona (depositante) consegna una cosa mobile ad un’altra persona (depositario). Chi riceve la cosa si impegna a conservarla e a restituirla su richiesta del depositante oppure alla scadenza di questo. Contratto reale- obbligo nasce con la dazione della res. È un contratto gratuito: tenuto esclusivamente a restituire ciò che ha avuto. A differenza del mutuo e del comodato però non può usare la cosa. La proprietà e il possesso non si trasmettono; in genere sono del deponente ma possono anche essere di un terzo. Accordare ad un altro la detenzione della cosa implica nel deposito un affidamento; tutto ciò che riguarda la custodia è messo alla fides del depositario. L’uso di depositare risale alle norme decemvirali dove la tutela per mancata restituzione è rappresentata da un’actio in duplum, che il carattere di una riparazione pecuniaria penale. Gaio afferma che la fiducia cum creditore ha la stessa finalità giuridica del pegno. La fiducia cum amico implica che i beni del cedente, nel momento in cui sono a rischio per avversità o conflitti siano trasferiti a qualcuno di più potente. Svela un’affinità con il deposito- dare custodia. La tutela giudiziaria è assicurata con la legis actio sacramentum in personam poi nel processo formulare con un’actio fiduciae (III sec. a.C.) L’azione rientra tra i bonae fidei iudicia; non ha però la struttura tipica perché mancante di demonstratio e sostituita con una parte costituita con si paret e che si conclude con il riferimento “come è necessario agire tra persone corrette e senza frode”. Anche a tutela del fiduciario vi è un’actio fiduciae, con la quale egli ottiene il rimborso delle spese erogate per migliorare la cosa ed eventuali danni. Nella fiducia cum creditore l’actio fiduciae persegue il medesimo scopo dell’actio pigneraticia in personam; nella fiducia cum amico serve a far ottenere la cosa trasferita; la mancanza di tempestiva restituzione apre le porte al risarcimento. Nel recupero della res si attiva a favore di chi abbia trasferito fiduciariamente i propri beni, ma continui a detenerli, un particolare modo di acquisto del meum esse: usureceptio. Non è necessario che vi sia buona fede o iusta causa ma basta la detenzione di un anno. Nella fiducia cum creditore l’usureceptio funziona solo se l’obbligazione garantita è stata adempiuta. 113. Verbis contrahere: la stipulatio, la dotis ductio e la promissio iurata liberi Come avviene che la pronunzia di parole solenni generi obbligazioni? Gaio: attraverso un’interrogatio ed una responsio; e formula una definizione di cui la stipulatio emerge come modello egemone. Stipulatio: una delle due parti, che ha interesse al costituirsi del vincolo, sollecita la promessa dell’altra. Questa liberamente assume l’impegno richiesto. Le parole sono artefici della situazione giuridica, obbediscono a un rigido rigore formale. Poiché essa abbia luogo è necessaria la presenza dei due contraenti: lo stipulator (colui che si fa promettere) e lo sponsor (colui che promette). Alla solenne domanda del futuro creditore segue la congruente risposta del futuro debitore altrettanto solenne ed immediata (continuus actus). (Es: Dari spondes? Spondeo! – Darai? Darò!) L’obligatio non può costituirsi a favore di un terzo. Il promittente a sua volta non può obbligare un terzo estraneo; può solo impegnare se stesso affinché il terzo operi in un modo determinato a favore dello stipulante. L’obligatio verborum è riservata ai cittadini romani mentre le altre appartengono allo ius gentium e perciò valide per tutti gli uomini. Nel modello più antico sia la domanda che la risposta impiegano il verbo spondere non utilizzabile dai non cives romani. Le XII tavole collegano alla sponsio la procedura per iudicia arbitrive postulationem- riconoscono un mezzo di tutela specifica alla promessa- garanzia di uguaglianza tra tutti coloro che realizzano atti di scambio attraverso l’impegno verbale. Con l’intensificarsi degli scambi commerciali si usano parole diverse da spondere. Es: Dabis? Dabo!; Promittis? Promitto! Fideipromittis? Fideipromitto! Anche il rigido uso del latino subisce un allentamento: si può ricorrere al greco ed è possibile esprimere la domanda in una lingua ed avere la risposta in un’altra. Ulpiano ritiene congrua anche la risposta “quid ni?” per la domanda “dabis?” - egli è influenzato dalla prassi ormai lontana da spondere. Non vale annuire senza pronunziare parole. Solo il tacere è incompatibile con la stipulatio quindi ovviamente non accederanno ad essa sordi e muti e neppure i malati mentali. I giuristi negano che un vincolo possa sorgere, quando al di sotto delle parole sia radicalmente assente l’incontro della volontà. L’attività interpretativa scava nei verba per valutare se corrispondano ad un intento concorde. Muovendo dalla considerazione della volontà Aristone tenta di assimilare la promessa solenne e il iudicium; in entrambi i casi ravvisa una conventio e quindi la necessità di un’intesa sul medesimo oggetto. (pag.477) Per Paolo invece l’accordo sull’oggetto della lite non è condizione indispensabile per la validità della procedura. Iudicium: 1) per Aristone- insieme del documento accettato concordemente dalle parti (consenso riguarda la formula); l’attore chiede e il convenuto nega, ma entrambi vogliono il processo in merito alla stessa situazione. Se si dimostra che la convergenza non c’è stata sia la formula che la litis contestatio perdono il loro valore ed il processo è nullo. 2) per Paolo- richiesta avanzata dell’attore. È ragionevole che respinga l’accostamento alla stipulatio. Venuleio traccia una distinzione a proposito di obligatio con prestazioni alternative, tra l’intento manifestato e quello che poi si è realizzato. La volontà espressa è consegnata ai verbis stipulationis. La volontà effettiva si concretizza con l’adempimento. Prima che esso si realizzi, il promittente può cambiare idea e decidere una prestazione diversa purché l’intenzione sia compresa nell’intenzione manifestata. Il volere delle parti è in stretto collegamento con la prestazione. Anche qui causa= movente e fine. Dare e facere sono i due scopi fondamentali per cui ci si obbliga. L’oggetto della promessa si definisce certum se consiste nel dare una cosa determinata o somma di denaro o quantità di cose fungibili. In tutti questi casi ad effettuare la prestazione può anche essere una persona diversa da chi si obbliga. Nel corso del tempo la stipulatio viene contaminata dalla prassi della scrittura. Durante l’età della giurisprudenza, la parola ha il valore più alto e la scrittura ha solo una funzione probatoria. Ma vi è anche una combinazione tra documento e stipulatio, per cui questa precisamente si riferisce ad un impegno espresso in forma scritta, lo conferma e lo rende azionabile. Con la stipulazione penale viene promessa una somma di denaro (poena) da pagare se l’impegno fissato con la scrittura non sia stato rispettato. Dopo la giurisprudenza, la caduta delle forme solenni rende libera e giuridicamente vincolante la conventio, che potrà anche coincidere con la scrittura: un documento costitutivo del vincolo. (da una costituzione dell’imperatore Leone, 472 d.C.) In un frammento di Pomponio troviamo una classificazione delle stipulationes, nella quale occupano uno spazio prevalente quelle che si compiono sulla base di una disposizione autoritativa. La volontà delle parti viene orientata da un ordine del magistrato verso l’assunzione di un vincolo obbligatorio. Quattro categorie: stipulazioni iudiciales, praetorie, conventionales, communes. 1) Stipulationes iudiciales: si cita l’esempio della stipulatio damni infecti- con la quale ci si obbliga a pagare una somma di denaro in relazione ad un danno temuto, se questo si verifichi entro un tempo fissato dal pretore. In realtà questa prima categoria deve essere stata originariamente costruita dalla giurisprudenza per definire una funzione specifica delle stipulatione praetorie. A questa categoria appartiene la stipulatio iudicatum solvi con la quale il convenuto, sostituito nel processo da un cognitor (sostituto) a garantire l’esecuzione della sentenza. Vi appartiene anchew la cautio ut ratum diat- il procurator promette che la persona da lui sostituita accetterà l’esito dell’affare o del giudizio. 2) Stipulatione praetorie: includono anche le promesse disposte dagli editi curuli. 3) Stipulationes conventionales: non sono ordinate da un’autorità ma liberamente contratte dalle parti. Tuttavia esse possono adottare un modello predisposto dal magistrato. 4) Stipulatione communes: non hanno un ambito autonomo ma comprendono le iudiciales e le praetorie. Vi è solo un criterio distintivo, enunciato da Ulpiano: da un lato le stipulazioni formate dalla volontà dei singoli e dall’altro quelle dettate dal pretore. Le parti pronunciano le parole prescritte; esprimono una facoltà che fa proprie le clausole fissate dal pretore. Su istanza dell’interessato il magistrato costringe la persona indicata dal richiedente a contrarre con lui l’obbligazione. Per rendere effettiva questa imposizione il pretore prospetta strumenti sanzionatori indiretti; può anche negare un’azione. Una denegatio actionis si ha anche se non viene prestata la cautio fructuaria, essenziale nella costruzione dell’usufrutto. Inoltre il pretore può disporre a scopo di sanzione una missio in possessionem per il rifiuto di prestare la cautio damno infecti. Cautio legatorium servandorum causa- l’erede si obbliga a rispettare modalità specifiche di legati per damnationem, disposti sotto condizione o a termine. Cautio rem pupilli salvam fore- il tutore si impegna a conservare il patrimonio del pupillo. Vadimonium se certo die sisti- promessa di comparire in giudizio. La costituzione di obligationes verborum può servire per risolvere le liti senza un procedimento giudiziario. Ciò avviene tramite il compromissum: combinazione di reciproche stipulazioni. Due persone si obbligano reciprocamente ad ottemperare alla sentenza di un arbiter (scelto di comune accordo e accettato da entrambi- receptum) accettando che sia lui a risolvere il conflitto. Di regola le stipulazioni sono penali: ciascuna delle parti mette una cifra da dare all’altra nel caso alla fine non adempia al volere dell’arbitro (pecunia compromissa). Ulpiano: “le stipulazioni possono essere in faciendo: se nel compromesso non sia stata aggiunta pena pecuniaria, ma semplicemente uno abbia promesso di obbedire alla sentenza, nei suoi confronti ci sarà un’actio incerti”. Il compromesso può anche realizzarsi senza stipulazioni. È una soluzione normativa di Pomponio a stabilirlo, dimostrando che la semplice volontà possa rendere vincolante la sentenza. Il pactum de non petendo ha la stessa funzione delle stipulationes poenae. Chi contravviene alla decisione arbitrale riguardante il suo debito perde di fatto l’azione, che deriva dal credito di cui è titolare. Questa infatti è bloccata da un’exceptio pacti. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- La stipulatio può essere impiegata per creare un’obbligazione che ha funzione di garanzia a favore di una persona già obbligata. Avviene mediante sponsio o fidepromissio, quando l’obbligazione principale è stata contratta verbis. Il terzo assume con il creditore l’impegno ad adempiere in luogo dell’obbligatore principale. Il vincolo da lui assunto si esaurisce dopo un biennio dalla scadenza dell’obbligazione dell’oggetto di garanzia; entro questi 2 anni, se vi è una pluralità di L’emptio-venditio è condizionata dal realizzarsi della cosa sperata. È nulla la vendita delle cose che la natura o lo ius gentium o i costumi della città hanno posto l’extra commercium. L’alienazione di cosa altrui è valida anche se il proprietario può sempre rivendicare il bene venduto. Perciò interviene la garanzia ob evictionem. Il presso deve essere certo. Risultante dalla contrattazione delle parti esso è rapportato a parametri di buona fede. Il volere individuale determina il trasferimento delle merci e ciò consente un margine di oscillazione circa il prezzo, rimesso alla trattativa. Paolo: chi compra è tenuto a rendere proprietario del denaro colui che lo riceve, mentre chi vende è tenuto a garantire che la cosa non sia sottratta al compratore con una vindicatio da parte di un terzo, che il compratore ne abbia possesso e che non sia danneggiato da comportamenti dolosi. Il compratore deve pagare le spese effettuate dopo la conclusione del contratto ed anche prima della consegna e deve corrispondere gli interessi in caso di tardato pagamento. In caso di dolo del compratore, contro di lui il venditore può esercitare un’actio ex vendito. Obblighi del venditore: 1) responsabilità ob evictionem in funzione di garanzia (discende dall’auctoritas della mancipatio); dà luogo ad una tutela più sicura, in ogni direzione e soprattutto nei confronti del terzo che si riveli dominus della cosa venduta, quando lo strumento impiegato è una stipulazione penale. Il trasferimento della cosa cui il venditore si obbliga è limitato al possesso, perciò è funzionale al rapporto con i peregrini (che non accedono al meum esse). Tra i cittadini romani può accadere che il dominus venditore trasferisca la proprietà ma non è tenuto a farlo. (Ius controversum Nerazio-Giuliano pag. 493-4) Il dolo è l’opposto della buona fede e perciò è scontato che il venditore sia tenuto a evitare manovre ingannatorie. Il compratore, la cui volontà sia stata indirizzata dal dolo della controparte, può avvalersi dell’actio ex empto. L’actio de dolo non è mai concessa del pretore in presenza di contratti consensuali ma soltanto quando la distorsione della volontà sia avvenuta nell’ambito di una stipulatio o di un altro atto formale, per il quale non vi sia iudicium bonae fidei. 2) garantire che la cosa non abbia vizi occulti. Può essere dedotto in una specifica stipulatio (garanzia scatta indipendentemente dalla consapevolezza del debitore) oppure può dare luogo ad un’actio ex empto (occorre provare in giudizio che il comportamento del venditore sia stato in contrasto con la bonae fides) la cui condanna è commisurata alla diminuzione di valore. Es. di vizio occulto: per gli schiavi si garantisce che non siano dediti alla fuga. Può esservi, come garanzia contro i vizi occulti, un’apposita stipulatio che obbliga il venditore a pagare il doppio del prezzo oppure possono esservi particolari azioni introdotte dagli editti curuli (due editti emanati da questi prevedono: 1)un’actio redhibitoria, entro 6 mesi dall’acquisto, venditore si riprende la cosa e compratore restituisce il denaro; 2)actio quanti minoris o aestimatoria entro 1 anno per ottenere la differenza tra il prezzo concordato e il minore valore della cosa affetta da vizio.) Actio ex empto- esperibile dal compratore Actio ex vendito- esperibile dal venditore Vi sono delle clausole che modificano alcuni effetti del contratto: -lex commissoria- grazie alla quale il venditore può considerare la vendita come non avvenuta se il compratore non ha pagato entro i termini stabiliti -in diem addictio- permette al venditore di ritenersi sciolto dall’obbligazione e dal contratto nel caso in cui abbia ricevuto un’offerta più vantaggiosa. -patto di reciproca restituzione- si stabilisce la facoltà del venditore di riacquistare la cosa già trasmessa al compratore restituendogli il prezzo. -pactum displicentiae- difende gli interessi del compratore; rendendogli possibile recedere dal contratto se egli, entro un termine, non abbia trovato di suo gradimento il bene. Locatio-conductio: riferito ad una serie di fattispecie diverse per le quali si prevede la stessa tutela. Tratti comuni tra queste fattispecie: - bilateralità del contratto - presenza di un’obbligazione al pagamento di una somma di denaro (merces), in un’unica soluzione oppure periodicamente, in cambio di prestazioni; tutte riferite all’oggetto della locatio. - messa a disposizione di una cosa con modalità e fini diversi - identificazione del ruolo di ciascuna parte sempre uguale. Vari tipi di locatio: • Locatio rei- locatore è colui che mette a disposizione una cosa per un tempo determinato in cambio di una somma. Il conduttore ha l’uso della res ed è tenuto alla mercede. • Locatio operarum- il locatore è prestatore di lavoro; mette a disposizione del conduttore la sua attività e ne trae un corrispettivo. • Locatio operis- locatore è colui che mette una res a disposizione del conduttore, mentre questi si obbliga ad eseguire con essa un’opera. Il conduttore si obbliga ad un facere secondo un programma fissato dal locatore ed usando la materia da lui fornita, in cambio di una retribuzione che non è a tempo ma esigibile solo ad opera conclusa. Secondo una ricostruzione recente, il risultato della locatio nelle sue diverse applicazioni coincide con l’acquisto di un’utilità da colui che paga la mercede (concetto uti frui); inoltre si può ricondurre l’immagine del vantaggio che il locatore trae dall’opus compiuto secondo contratto. Quinto Mucio- immagina che la locatio di materie prime per il compimento di un’opera trasferisca temporaneamente la proprietà di queste a chi le lavora e le trasforma; ma la sua tesi non avrà successo. Gaio testimonia che già nelle XII tavole vi sia riferimento alla locatio nel caso in cui un iumentum (animale da tiro) venga dato in cambio di denaro, da destinare a sacrifici religiosi ma non sembra verosimile retrodatare il contratto consensuale alle XII tavole mentre sembra già più plausibile che le testimonianze risalenti a Plauto si riferiscano già alla costituzione bilaterale del vincolo. Egli indica nel lege agere lo strumento processuale con cui si tutela la locatio. II sec. a.C., Catone offre vari es. di locazioni consensuali dove il corrispettivo appare riferito all’operae (attività di lavoro determinata secondo il tempo) o all’opus (attività finalizzata ad un programma). Scambio terminologico: opera= giornata di lavoro ma anche servizio retribuito in funzione del suo risultato. Sui confini tra locatio e compravendita vi è ius controversum. Alfeno Varo: discussione sul rapporto tra merces e lavoro. Fattispecie: servo di cui è stata disposta per testamento la libertà, a condizione che paghi 10 all’erede. Egli dà già una mercede all’erede per una prestazione di opere; se questa mercede ha superato 10 lo schiavo è libero? Il giurista afferma che la condizione della manumissio non si è verificata poiché non per la sua libertà ma per le opere egli ha dato denaro. Il pagamento ha una funzione tutta interna alla locatio, ben distinta al campo di azione della manumissio condizionata. Il contenuto della responsabilità del locatore e del conduttore è modellato di volta in volta dai giuristi, in correlazione con la bona fides. Il consenso manifestato dalle parti è il primo dato col quale bisogna fare i conti. Il dare o il fare oggetto del contratto è giudicato in base alla buona fede. Il locatore è comunque responsabile per dolo o colpa, se il conduttore non ha potuto impiegare la cosa locata. Il conduttore a sua volta risponde di comportamenti dolosi o colposi che hanno inciso negativamente sull’oggetto del contratto. 116. Società e mandato Societas: contratto consensuale con cui 2 o più persone convergono di gestire in comune i rispettivi beni ed eventualmente le proprie attività. Lo scopo è duplice: trarre utilità e dividere perdite e profitti tra contraenti. Non ha rilevanza verso terzi: i suoi effetti obbligatori si producono solo fra soci secondo schema plurilaterale. Gli atti di disposizione, quando siano imputabili ai contraenti, incrementano o decurtano il patrimonio messo in comune. L’unica eccezione è la societas publicanorum. Gaio distingue: la societas che abbraccia tutti i beni dei contrenti e la societas che si riferisce ad un’unica attività (Es: commercio degli schiavi). Vale per entrambe lo ius controversum riguardante la ripartizione dei profitti e delle perdite tra i contraenti. Quinto Mucio presuppose una omogeneità dei conferimenti da parte dei soci, quindi una distribuzione del lucrum e del damnum proporzionale alla quantità di contributi dati da ciascuno. Servio Sulpicio affermò invece che fosse possibile costruire una societas fino al punto di sostenere che la si potesse costituire in tale modo che un socio non rispondesse affatto delle perdite ma guadagnasse solo la sua parte di utili se la sua attività apparisse tanto preziosa. Con lo sviluppo della circolazione nei contratti di società convengono protagonisti che hanno ruoli diversi dentro la vita economica. Perciò a partire da Stevio (I sec. a.C.) la valutazione quantitativa dell’attività (opera) che uno dei contraenti porta nella gestione comune può dar luogo ad una distribuzione ineguale per tenere conto delle diverse posizioni dei soci. Funzione della societas omnium bonorum? Con essa i contraenti stabiliscono di mettere in comune l’insieme dei loro patrimoni seguendo il modello che si costituiva tra filii e pater. Possono rientrare nella societas, accanto ai beni di oggetto di dominium o di possessio anche le attività dei singoli: non solo quelle preziose ma anche quelle che si risolvono nel lavoro libero (di solito dai soci più poveri). Paolo: “Nella societas omnium bonorum tutte le cose che sono dei contraenti diventano immediatamente comuni”. Però Paolo ignora un problema: affinché nasca sui beni conferiti nella societas un nuovo dominium, condiviso da tutti, sono necessari specifici modi di trasferimento. Gaio: “Poiché sebbene una specifica traditio non intervenga, tuttavia si ritiene che intervenga una però egli può rifarsi con un’actio mandati. Anche la rinunzia del mandatario deve essere immediata affinché possa avvalersi per opera di un altro. Gratuità del mandato- duplice orientamento- da una parte la prassi tradizionale della gratuità e dall’altro una prassi nuova con lo sviluppo della congnitiones extra ordinem. Il problema concreto è distinguere quello che è dovuto al mandatario per le spese sostenute da tutto ciò che potrebbe essere guadagno. Il lucro viene escluso con il massimo rigore. Gaio stabilisce nella gratuità l’elemento fondante del mandato differenziandosi così dalla locatio. Ma perché qualcuno dovrebbe fare qualcosa gratis? La risposta più credibile è che il mandatario sia un ex schiavo tenuto alla prestazione di operae senza corrispettivo a favore del patrono oppure potrebbe essere un suo cliente. In casi del genere l’amicizia che corre tra le due parti è una relazione disuguale che determina una prestazione subordinata alle richieste del contraente più forte. Anche Paolo dice: “Non vi è nessun mandato se non gratuito” (Caso pag.516)- Il giurista tratta i doveri del mandante. Chi conferisce l’incarico di acquistare e poi di vendere (a prezzo più alto) uno schiavo non è tenuto per i vizi di questo, se il mandatario in qualche modo ne fosse stato a conoscenza. Se invece il mandatario non ne sapeva nulla, risponderà dei vizi e sarà condannato in seguito all’azione del compratore ma potrà rifarsi con un’actio nei confronti del mandante. Analogamente, il mandante ha l’obbligo di pagare un compenso e l’equivalente del vitto se abbia ordinato all’artigiano di istruire lo schiavo al fine di accrescere il valore di scambio. Risulta qui che il mandatario deve essere pagato per la sua opera salvo patto contrario. Papiniano, dopo il 198 d.C. dà per scontata l’abitudine di corrispondere al mandatario un salarium che è oggetto di precisa promessa. Il giurista spiega che il salarium è richiesto in via giudiziaria attraverso una congnitio extra ordinem. Il mandatario può avvalersi del iudicium bonae fidei per ottenere il rimborso, con gli interessi, delle somme spese; se invece vuole chiedere salario dovrà rivolgersi al praeses provinciae; magistrato-funzionario dell’apparato imperiale che i due imperatori (Severo e Caracalla) ritengono competente a giudicare questa fattispecie. Ulpiano afferma che la retribuzione corrisposta al mandatario non incide sulla struttura del contratto e sulla regolare tutela a cui questo dà luogo. 117. Dal mandato di credito alla mediazione Un cambiamento di funzione del mandato si verifica quando la giurisprudenza ammette che l’oggetto possa essere un’operazione di mutuo o comunque un atto volto a far sorgere credito. Da esso il mandante non trae alcuna utilità- tutto a vantaggio del mandatario. Gaio- Institutiones- distingue due generi di mandato: quello nell’interesse di chi conferisce l’incarico e quello in favore di un terzo. Subito dopo egli pone il tema dello ius controversum riguardo: cosa avviene se ti affido un incarico a tuo beneficio, esortandoti a concludere un mutuo comprensivo di interessi? Pecuniam faenerare: vi è un investimento da parte del mandatario. Servio esclude la configurabilità del madato mentre Sabino crede che la designazione del mutuatario sia ragione sufficiente perché il mutuante abbia a propria disposizione un’actio mandati. Chi ha esortato è responsabile per il cattivo esito del mutuo. Gaio condivide questa linea di pensiero. Questa interpretazione produce una nuova figura di garanzia personale operante a favore di chi sia stato indotto a costituire il credito. Se vi è inadempimento del debitore infatti l’azione scatta verso il mandante. Il mandante risponderà del comportamento tenuto dal mutuatario in tutto o in parte. Eppure non sembra che il mandante tragga vantaggio dall’esecuzione del mandato quindi che cosa lo spinge? Può essere un terzo che gli paga un corrispettivo per il servizio e che può essere a sua volta il mutuatario. Il mandato di credito è uno strumento impegnativo: il mutuante insoddisfatto potrà rifarsi con un iudicium bonae fidei nei confronti del mediatore-mandante e dovrà solo provare la sua negligenza. Si determina a suo carico una responsabilità rilevante. Dunque per rendere più libera l’attività del mediatore (proxeneta) si tende a svincolarlo dal mandato di credito. Ulpiano: “Se un mediatore è intervenuto allo scopo di costituire un credito […] non reputo che sia tenuto come un mandante poiché egli indica il credito piuttosto che conferire un vero e proprio mandato […]. Dico la stessa cosa anche se il mediatore abbia accettato un compenso a titolo di elargizione benefica: né vi sarà in questo caso un’azione di locazione. Invece, se tu hai dolosamente e con astuzia ingannato il creditore, allora potrai essere convenuto con un’azione di dolo.” Il responso si colloca sullo sfondo dello ius controversum. Sempre Ulpiano afferma che il mutuante potrà agire nei confronti del mediatore ma non in qualsiasi caso né per colpa. Solo l’investitore ingannato potrà chiamare in giudizio chi lo ha indotto al contratto. Il mezzo di tutela (actio de dolo) presuppone che vi sia un nesso di causalità tra l’inganno realizzato dal mediatore e la conclusione del mutuo con una determinata controparte. Ulpiano sceglie in questo caso una linea diversa da quella di Sabino, volta a restringere esclusivamente al dolo la responsabilità di chi ha indotto alla conclusione del contratto. L’effetto è quello di incentivare l’esplicazione dell’attività mediatoria e di favorirla. 118. Pecuniam debitam constituere, i recepta e l’edictum de pactis Al di là dei contrasti contrattuali tipici e al di là dei rapporti sinallagmatici la volontà libera da forme assume rilevanza giuridica anche in altri casi. Pecuniam debitam constituere; recepta; pacta Pecuniam debitam constituere: impegno formale assunto da un debitore, già obbligato a dare una somma di denaro o cose fungibili affinché il pagamento da parte suo avvenga in un termine perentorio. È implicito un incontro di volontà con il creditore. La prima obbligazione non si estingue, ma la definizione di un tempo certo per il pagamento dà- al momento della scadenza- la possibilità di esercitare un’azione pretoria in factum (actio de pecunia costituta) con la quale si chiede il credito. La liberazione si ha con il pagamento. Non vi è novazione (l'estinzione di un rapporto di obbligazione tra due parti (creditrice e debitrice) con conseguente nascita di uno nuovo, rispetto al precedente mutato nel titolo o nell'oggetto.) attraverso pecunia constituere. Inoltre non è richiesto che colui a favore del quale si concorda di pagare sia il creditore originario. È possibile impegnarsi per il debito di un’altra persona. Recepta: usato dal pretore a proposito di una serie eterogenea di rapporti. Indica l’accettare di un compito garantendo che esso verrà adempiuto. -Receptum arbitrii- non dà luogo ad una specifica azione pur generando un dovere. Comporta l’assunzione da parte di un privato dell’impegno di giudicare una controversia e di pronunziare una sentenza- al di fuori della iurisdictio. Le parti si accordano nel deferire ad un terzo la controversia e si promettono a vicenda una pena pecuniaria per l’ipotesi di inosservanza della decisione. Il compromissum ha bisogno dell’accettazione da parte dell’arbitro. Il collegamento fra la necessità della designazione dell’arbitro nelle stipulationes e la convergente necessità che egli accetti non determina un incontro della volontà fra lui e le parti. Quindi questa fattispecie di receptum non è assimilabile né ai contratti né ai pacta. È un atto libero: il designato può sottrarsi all’invito ma una volta che abbia accettato questo compito “il pretore costringerà l’arbitro all’adempimento del dovere assunto, di qualunque rango sia, perfino se sia un consolare, a meno che egli non si trovi in qualche magistratura o potestà, come console o pretore, poiché su di questi il pretore non ha l’imperium.” L’editto non offre alcuna tutela contro l’arbitro che non decida sulla lite. Tutto ruota intorno al potere coercitivo (Gravemente limitativo dell'altrui volontà o possibilità di azione) del magistrato nei confronti del terzo. -Receptum argentarii- somiglia al debitam pecuniam constituere. Giustiniano lo abolisce perciò abbiamo poche tracce. Vi è un impegno formale, assunto da un banchiere, al pagamento di una somma dovuta da un altro: qualcuno nel cui interesse l’argentarius svolge attività. L’azione in factum data ai terzi creditori nei suoi confronti è denominata actio recepticia. (Recipere= accettare l’impegno a conservare e custodire le cose sulla base di questo affidamento- intesa fra le parti- responsabilità viene riconosciuta e fatta valere attracerso actiones in factum concesse dal pretore.) Pacta: il puro accordo tra le parti è infine tutelato dal pretore in base all’edictum de pactis. Ulpiano: “Il pretore afferma: ‘I patti convenuti, che non saranno fatti con dolo, né in contrasto con le leggi, plebisciti, senatoconsulti, editti, decreti dei principi, né in modo che venga fatta frode a taluno di questi, li farò osservare.’ “ Questo commento collega la figura pactum de non petendo: accordo con il quale si stabilisce il non esercizio di un’azione- svuotamento del vincolo giuridico che ne è alla base. Anche qui la volontà sta dentro uno schema fissato dall’ordinamento. Indipendentemente dalla persona con la quale si stringe il patto, esso può implicare una rinunzia all’azione anche nei confronti di un altro possibile convenuto. Questo accordo incide radicalmente sul rapporto; infatti se il creditore eserciterà l’azione contrariamente all’impegno preso, egli sarà respinto da un’exceptio pacti. La persona che pattuisce con il creditore può essere diversa da chi viene poi convenuto, ma l’eccezione sarà ugualmente opposta. Quinto Mucio nega la possibilità di un accordo a favore di un terzo sia con una stipulatio, sia con una mancipatio sia con un pactum. Trebazio Testa segue la stessa linea. In tutti e due i testi, pactum è l’accordo per rinunziare all’azione ed è un accordo che può giovare solo al debitore. Altra cosa è invece la previsione, ammessa nel patto, che l’exceptio si trasmetta all’erede del debitore. Per l’estensione a questo degli effetti favorevoli del fatto è decisiva la volontà del creditore rinunziante. 119. Il procurator e il negotiorum gestor Procurator- figura di rilievo che gode della fiducia del dominus e ne amministra il patrimonio, con determinati atti autonomi. Le origini risalgono agli incarichi di carattere fiduciario che i padroni erano soliti affidare ad alcuni schiavi. Nell’epoca alto-repubblicana, non viene costituito un vero rapporto giuridico e non esistono norme che regolino la relazione dominus-procurator, poiché le prestazioni dello schiavo si svolgono sotto il pieno potere del dominus ed in base ad un diritto potere di costrizione riconosciuto dalla consuetudine. In un passo Cicerone parla di come i procuratori fossero stati considerati res, al pari degli schiavi. Spesso avviene che il servo che si occupa degli affari, sia manomesso e, una volta libero, continui ad occuparsi degli interessi familiari. Gaio afferma che per essere procuratore lo schiavo deve essere stato manomesso. Il ricorso al procuratore diventa più intenso e frequente quanto più le attività politiche ed economiche comportano viaggi e periodi di assenza dal centro abituale d’affari. Il rapporto tra assente e procuratore è di fatto basato sulla fiducia. Una Lex Hostilia prescrive che il procuratore possa agire o essere convenuto in giudizio con un’actio furti per conto dell’assente. La figura del procuratore viene giuridicamente definita attraverso l’actio negotiorum gestorum nelle due forme di azione civile bonaei fidei e di azione pretoria in factum. Questo tutela dominus e procurator. nudo, con una fascia ai fianchi, tenendo tra le mani un piatto- all’esito di garantire che egli non introduca la cosa in modo fraudolento nel luogo perquisito. Queste forme appaiono però a Gaio ingiustificabili. La constatazione dell’evidenza del furto è oggetto di discussione; può essere fittiziamente immaginata. “Alcuni affermarono che è furto manifesto quello scoperto mentre avviene; altri anche quello che viene scoperto ove il fatto è avvenuto […] altri ancora che il furto era manifesto finché il ladro non avesse nascosto la refurtiva nel luogo in cui era destinata. Altri ancora finché risulti che il ladro detenga la refurtiva; ma quest’opinione non ottenne consensi.” Più avanti nel tempo, ciò che si intende per manifestum non è più così immediato e sebbene questa qualificazione conservi una speciale gravità rispetto ad altre, intervengono tuttavia per essa pene sempre meno dure, consistenti in denaro. Più tardi fu disapprovata l’asprezza della pena e sia in riferimento alla persona del servo che per l’uomo libero fu istituita da pretore un’azione volta ad ottenere il quadruplo del valore della cosa. “La legge delle XII tavole permette di uccidere un ladro catturato di notte, purché si faccia constare ciò con grida; quello catturato di giorno, invece, permette di ucciderlo a questa condizione: se si difenda con un’arma, purché ugualmente si faccia constare ciò con grida” Il clamor che accompagna la scoperta ha un valore rituale. (chiama altri testimoni). La figura del furtum manifestum si emancipa dallo schema originario quando riceve da parte del pretore (II sec. a.C.) con l’affermarsi del processo per formulas. All’actio in quadruplum per il furtum manifestum si affianca un’actio in duplum per il furtum nec manifestum. Gli schemi formulari relativi ai casi di furto possono estendersi ai peregrini mediante fictio civitatis. Per il furto che sia stato scoperto presso qualcuno, alla presenza di testimoni (furtum conceptum) o per quello nel quale la res furtiva sia trasferita ad un altro (furtum oblatum) è prevista un’actio in triplum. Questi mezzi processuali, in caso di condanna, producono come effetto accessorio l’infamia del reo. Vi è anche un mezzo processuale per ottenere la somma equivalente alla cosa. L’oggetto della pretesa dell’attore è il recipere rem. Nel caso di furto può essere difficile individuare presso chi è finita la cosa. Allora, sarà il ladro ad essere convenuto; l’azione sarà in personam: una condictio, a tutela di un credito avente oggetto ciò che è stato rubato. Questi rimedi processuali danno luogo a pene pecuniarie e sono lontane dalla vendetta. Aulo Gellio ricorda i prudentes secondo i quali “non è ladro solo chi occultamente prende qualcosa o asporta di nascosto qualcosa. Sabino dice: ‘Chiunque tocchi una cosa altrui, quando sa di farlo contro il volere del proprietario, commette un furto e chiunque abbia preso, senza dirlo, un bene altrui a scopo di lucro, è colpevole di furto, sia che sappia, sia che non sappia a chi appartiene. […] il furto può realizzarsi anche senza alcuna apprensione della cosa, solo con la consapevolezza e con l’intenzione che il furto avvenga. Perciò Sabino dice di non dubitare che sia da condannare per furto il padrone che abbia ordinato al suo schiavo di rubare […]” La giurisprudenza tra II e III sec. d.C. propone più volte una linea interpretativa che trasforma la sottrazione fisica della cosa in uno schema ideale, giocando sull’attenzione, prevedendo come requisiti un rapporto diretto con la cosa che si prende o di cui si dispone (contrectare) ed un vantaggio. Secondo Giuliano commette furto chi venda una cosa data in pegno pur senza averla sottratta al creditore che la possiede o la detiene. La rapina è la sottrazione dei beni altrui attuata con la violenza (vi bona rapta) e con l’organizzazione o l’istigazione di uomini armati. Nasce, come schema autonomo, nel diritto pretorio: è un furto aggravato con la violenza. Secondo Gaio, la rapina rientra perfettamente nel contrectare alienam rem invito domino (“prendere una cosa altrui contro la volontà del dominus”). Il pretore Lucullo (76 a.C.) introduce un’azione specifica per questo delitto. In caso di condanna ha come effetto l’infamia. È un’actio in quadruplum, se esercitata entro 1 anno; invece dopo l’anno è in simplum (persegue solo il valore dei beni sottratti). L’azione è comunque da considerare penale anche quando è in simplum poiché può cumularsi con una rei vindicatio o con una condictio. Damnum iniuria datum- danno ingiusto- è un delitto con il quale si aggredisce il patrimonio altrui, determinandone la diminuzione. Le fattispecie ricondotte a questo concetto di deminutio patrimonii generano un vincolo obbligatorio ed hanno base normativa nello ius civile: Lex Aquilia (286 a.C) Prima di questa lex, alcune situazioni che anticipano il concetto di damnum sono già disciplinate nelle XII tavole e danno luogo a provvedimenti giudiziari. Agere de pauperie- previsto contro il padrone di un quadrupede che abbia recato danno. Il convenuto può liberarsi cedendo l’animale che apparterrà quindi alla persona danneggiata. Nascerà poi un’azione formulare, fondata su un oportere: obbligo alternativo a rifondere il danno (noxam sarcire) o a cedere l’animale (in noxam dedere). Agere de pastu pecoris- rivolto contro il padrone di animali che pascolino nel fondo altrui adibito a coltivazioni. Concorre con pene pubbliche, stabilite nell’ipotesi in cui il pascolo sia notturno e furtivo. Agere de arboribus succisis- persegue chi abbia tagliato gli alberi altrui. Anche per questa fattispecie la procedura originaria è stata una legis actio sacramento in personam. Con essa si fa anche valere in giudizio la responsabilità di chi abbia incendiato un edificio o un cumulo di grano presso una casa. Questo mezzo giudiziario riguarda i casi in cui il danneggiamento non sia stato voluto ma frutto di negligenza. Se invece l’incendio è stato consapevole il reo viene frustato e messo a morte con il fuoco. Dalle Lex Aquilia si ricava la definizione di un tipo di danno che non ha carattere generale: non vale per ogni decremento del patrimonio imputabile all’atto antigiuridico di un altro. Lo schema riguarda piuttosto determinati beni. La tutela opera innanzitutto a favore del meum esse relativo a quei beni. Gaio racconta che la Lex Aquilia è fondata da 3 capitoli. 1) “Se qualcuno abbia ucciso contro il diritto (iniuria) lo schiavo o la schiava di un altro o un quadrupede che rientri nel bestiame, sia condannato a dare al dominus l’equivalente del valore massimo raggiunto nell’ultimo anno dalla cosa”. In caso di resistenza del convenuto, se egli nega la propria responsabilità e alla fine è sconfitto, l’ammontare della condanna raddoppia. La diminuzione patrimoniale deriva dalla distruzione di cose di due generi: schiavi ed animali compresi entro aggregati collettivi. Modello grex. 2) La legge stabilisce una tutela contro l’adstipulator che, assunta a proprio favore l’obbligazione originariamente a favore di un altro ne abbia prodotto estinzione mediante acceptilatio. In questo modo il primo stipulator viene frodato. Se il convenuto si difende e il processo giunge a condanna, l’ammontare sarà il doppio di quanto richiesto. Il mezzo di tutela non trova applicazione nella prassi; al suo posto si afferma l’actio mandati a favore di chi abbia subito la lesione patrimoniale. Questa non si conclude con il x2. 3) “Relativamente ad altre cose se qualcuno ha portato danni ad altri, per il fatto di aver bruciato, infranto o corrotto contro il diritto (iniuria) sia condannato a pagare il proprietario tanto denaro quanto sarà l’equivalente del danno nei prossimi 30 giorni. Per il configurarsi dell’illecito non è necessario che il comportamento comporti la distruzione dell’oggetto; può limitarsi al deterioramento. Se il valore della condanna equivale alla cosa nella sua interezza allora è credibile che la cosa perduta sia valitata (in base ai prezzi) con riferimento all’ultimo anno precedente al fatto. Ma se l’ammontare della condanna deve corrispondere alla perdita di valore della cosa per il deterioramento causato dal reo, allora sarà necessario valutare in concreto gli effetti lesivi del comportamento dannoso. Nel danneggiamento di cose diverse dagli schiavi e dei capi di bestiame si può giungere alla distruzione della res ed anche in tal caso di applica questo terzo capitolo, con la valutazione del danno compiuta nel periodo successivo all’evento e tenendo conto del valore di scambio della cosa, come può essere empiricamente rilevato (guardando i prezzi del mercato). Se vogliamo abbozzare una storia sull’interpretazione riguardante il nesso di causalità nella Lex Aquilia, dobbiamo isolare due orientamenti. 1) da Q.Mucio a Servio- punta ad un’applicazione estensiva. Si ricerca un continuum logico. Il comportamento che è individuato come causa non è l’aggressione immediata e fisica alle cose; eppure dà luogo all’actio legis Aquilae. 2) Ofilio-Labeone- concezione diversa- l’ambito di impiego pratico dell’actio si restringe alla fattispecie che Gaio definirà damnum corpore datum. Non vi è bisogno di un’interpretazione estensiva del nesso di causalità dalla legge, poiché il diritto pretorio offre strumenti di tutela esperibili per situazioni più complesse. Quanto ai casi in cui si sia manifestata una pluralità di fatit, i giuristi distinguono se il danno sia determinato attraverso: a) impulso su animali o cose inanimate o b) direttamente da un’azione umana. Nel caso a) chi ha dato l’impulso è considerato responsabile in base alla Lex Aquilia. Nel caso b) o si esclude la causalità o si ricorre al criterio della colpa. Là dove non sembra essere possibile applicare la Lex Aquilia interviene il diritto pretorio. Gli animali protetti in base al capitolo primo della legge sono dapprima quelli che appartengono ad una mandria; in seguito i giuristi estendono la prescrizione. Dal diritto giurisprudenziale, sulla base della Lex Aquilia, scaturisce un’idea ampia di tutela contro il danno. La tutela tende ad applicarsi ad ogni “comportamento che ha portato ad un danno patrimoniale, senza aver però influito sulla consistenza fisica della cosa.” La tutela nasce da ogni tipo di violazione del precetto neminem laedere (non offendere nessuno). Dietro questa accezione vi è già l’immagine di diritto soggettivo. La protezione di questa sfera di potere è lo scopo vero della “responsabilità aquiliana”. Il soggetto privato si avvale di uno strumento generale di risarcimento contro ogni lesione delle proprie potenzialità economiche. Iniuria- usato per indicare la contrarietà al diritto nel danneggiamento. Talvolta i giuristi colgono in essa la volontarietà: in un testo ulpianeo sul damnum viene identificata con la culpa. Per es. nelle parole solenni della legis actio sacramento in rem, compiute le vindicationes sulla cosa da entrambe le parti, chi ha avviato il procedimento e rivendicato per primo dichiara la posizione dell’avversario priva di fondamento, riferendo ad essa l’ablativo iniuria. Il sintagma iniuria iudicis= denota l’ingiustizia che segna la pronunzia della sentenza in un processo. Iniuria qualifica anche un’autonoma fattispecie delittosa, comprendente vari tipi di offesa alla persona (offese fisiche, oltraggio al pudore, alla reputazione o al potere giuridico). XII tavole: La mutilazione fisica dà luogo alla pena del “taglione”: “l’autore subirà la stessa identica offesa da parte della persona colpita, a meno che non si sia accordato con questa, obbligandosi ad una prestazione sostitutiva.” La definizione del valore del danno è rimessa alla persona offesa. • La violenza deve essere tale da influire su un homo constatissimus (persona ferma di carattere); il timore deve essere attuale e non è sufficiente il solo sospetto che qualcuno possa incuterlo; la violenza deve aver provocato un danno ingiusto. • Il male minacciato può anche riguardare altri e non la propria persona Atti introdotti: o Restitutio in integrum ob metum: rimedio introdotto per ammettere alla vittima della violenza di ottenere, nei confronti di chiunque, la rescissione dell’atto estorto o, più in generale, il ripristino della situazione anteriore- o Actio quod metus causa: è un’azione in rem scripta (si riferisce solo al fatto che sia stato indotto timore, senza specificare se vi sia stata esercitata vis). La sua formula è in factum e contiene una clausola restitutoria. Prevede, nel corso del primo anno dai fatti, una pena del quadruplo valore della res estorta o del danno. Dopo il primo anno diventa in simplum. La pena scatta in caso di mancata restituzione. L’azione può essere nossale e non infamante. La costruzione impersonale dell’azione ne permette l’esercizio contro colui che, estraneo alla violenza, sia stato partecipe di un atto estorto, o comunque abbia tratto vantaggio dalla violenza. o Exceptio metus: concessa a colui che sia stato indotto al metus e serve a paralizzare l’azione nei suoi confronti. È in rem scripta (si riferisce solo alla circostanza che sia stata esercitata violenza) e può essere opposta sia contro l’autore che verso terzi. 122. Le obbligazioni naturali L’obligatio non può che riferirsi a individui sui iuris e dà luogo a un’actio in personam. Chi è invece alieni iuris non può diventare centro di riferimento di rapporti obbligatori. Può costruire relazioni di fatto strutturalmente simili, prendendo su di sé un dovere non coercibile che i giuristi chiamano obligatio naturalis. Non vi è per queste situazioni nessuna tutela giuridica; ma se uno schiavo adempie all’obbligo assunto verso una persona sui iuris questi ha il potere di trattenere presso di sé ciò che gli è stato dato o pagato resistendo con successo alla richiesta giudiziaria di restituzione se lo schiavo ha pagato all’estraneo con denaro del suo peculium. Dunque il pagamento ha una sua giustificazione e non può essere revocato. Gaio parla di obligationes naturales che possono essere garantite da una fideiussio. Esso può anche divenire oggetto di novazione; oppure può essere calcolato ai fini della compensazione. Ma il fatto che il dovere naturale sia suscettibile di novatio e fideiussio, fa pensare che esso sia qualcosa di simile ad un dovere giuridico affievolito. “Nessun legato può essere assegnato allo schiavo”. Eppure in qualche modo alla volontà del testatore si finisce per fare rilievo. Se egli ha ugualmente disposto un lascito in favore dello schiavo allora si costituirà un debito naturale. 123. L’estinzione dell’obbligo L’obbligazione è necessariamente temporanea. Essendo finalizzata ad un risultato (solvere rem), essa è destinata a distinguersi quando il risultato è raggiunto. Vi sono due specie di estinzione: - Una pressoché automatica e comporta il venir meno di qualsiasi fondamento per l’azione del creditore. Ipso iure- deriva dalla stessa disciplina che regola il costituirsi dell’obbligatio e la sua funzione. - La seconda diventa operante attraverso un intervento pretorio Estinzione ipso iure: ▪ Adempimento: Gaio: “L’obbligazione si estingue soprattutto con l’adempimento di ciò che è dovuto”- solutio. La struttura dell’adempimento varia a seconda della natura della prestazione. Può esaurirsi in un singolo atto oppure può prolungarsi nel tempo. Oggetto della solutio deve essere l’intera prestazione. In presenza di più debiti, l’obbligato può scegliere quale adempiere. Se paga senza indicare per quale causa, sarà il creditore a decidere quali crediti considerare estinti. Dando la precedenza al debito già scaduto o quello più gravoso, o quello per il quale la condanna comporta infamia. In mancanza di una priorità di tale tipo il pagamento si distribuisce proporzionalmente tra i vari debiti. Il debitore viene liberato anche con la prestazione di un terzo (solo quando la prestazione è fungibile; non può essere in caso di facere o non facere). Si paga al creditore oppure, su ordine di questo, ad un terzo, si paga a un sottoposto oppure al procuratore o al mandatario. La stipulazione ammette due casi nei quali un terzo può intervenire per ricevere il pagamento: - Adstipulator- crea un creditore “accessorio”. Gaio: i rapporti tra l’adstipulator e il creditore principale sono regolati da un principio di “solidarietà attiva”. L’adstipulator può esigere il pagamento per intero restando obbligato a restituire al creditore principale quando ha riscosso. - Adiectus solutionis causa- il debitore può eseguire alternativamente la prestazione a favore del creditore o del terzo aggiunto nei verba stipulationis. Quest’ultimo non assume il ruolo di creditore; può essere destinatario dell’adempimento ma fermo restando che le due parti che hanno rapporto obbligatorio sono promittente e stipulante. Il tempo di adempimento viene fissato dalle parti. Il luogo dell’adempimento di solito è la residenza del debitore. ▪ Solutio per aes et libram: diventa simbolico lo scioglimento, l’originario solutio per aes et libram si converte in un’imaginaria venditio. ▪ Acceptilatio: atto formale, necessario per liberare il debitore e simmetrico rispetto a quello con cui si assumeva l’obbligazione nel contrahere verbis e nel contrahere litteris. Abbiamo quindi l’acceptilatio verbis e litteris. Alla domanda del debitore “Hai ricevuto quel che ti ho promesso?” il creditore risponde “Ho ricevuto”. Stessa simmetria si presuppone per l’acceptilatio litteris. L’acceptilatio verbis viene usata anche per obbligazioni non fondate su stipulatio. (es: stipulatio aquiliana- l’obbligazione che si costituisce ha come nuovo oggetto una prestazione unica di denaro corrispondente all’interesse complessivo del creditore, calcolato in relazione al momento previsto per l’adempimento; si estingue mediante acceptilatio) ▪ Contrarius consensus: particolare ipotesi di remissione del debitore, possibile in relazione alle obligationes consensu contractae. Esso estingue immediatamente il rapporto obbligatorio. Le obbligazioni consensuali, infatti, finché nessuna delle parti ancora adempiuto possono essere sciolte di comune accordo. Quando al mandato, basta per lo scioglimento la volontà di una delle parti. ▪ Novazione: Ulpiano: “Novazione è il travaso e la traslazione di un primo debito in un’altra obbligazione in modo tale da far cessare la prima”. Nasce dallo stesso movente e fine della prima obbligazione un nuovo vincolo e la traslazione avviene di regola mediante stipulatio. La formazione di un nuovo rapporto obbligatorio comporta la scomparsa del primo. Ha due requisiti: - Idem debitum- stesso oggetto dell’obbligazione precedente ed è necessario che si ricolleghi alla prima, sulla base di uno specifico riferimento all’oggetto. - Aliquid novi- deve esserci un profilo di novità (es: aggiunta o eliminazione di una condizione o di un termine o mutamento di una delle due parti) Un caso particolare di novazione è quando si assorbono uno o più debiti preesistenti entro una stipulatio. La parte debitrice si obbliga a pagare una somma pecuniaria pari all’interesse del creditore per gli obblighi versati nella nuova stipulatio. (debito che deriva dall’obbligazione precedente e ne trae il proprio fondamento). Animus novandi- in singole controversie anche l’intenzione delle parti può essere considerata per provare o escludere la novazione. ▪ Confusio: se le due figure si identificano in un’unica persona. L’obligatio viene meno quando il creditore acquista la cosa dovuta, prima dell’adempimento dell’obbligazione. (concursus causarum). Con Giuliano l’effetto estintivo viene limitato. L’obbligazione non cessa se la causa di acquisto della cosa che ne è oggetto è di natura diversa rispetto alla causa dell’obbligazione. Si ha invece estinzione se entrambe le obbligazioni siano a titolo gratuito oppure siano a titolo oneroso. ▪ Impossibilità: l’obbligazione costituita per una prestazione fin dall’inizio impossibile è nulla. Se invece l’impossibilità sopraggiunga in un momento successivo, soltanto una diretta responsabilità del debitore porta avanti il vincolo. Se egli ha causato dolosamente l’impossibilità (o per negligenza) rimane obbligato. Ma se l’evento non è riconducibile ad un comportamento del debitore l’obbligazione si estingue. L’altro modo, non automatico, è l’intervento del pretore, per i quali l’estinzione diviene operante solo con un intervento pretorio, nell’ambito del giudizio promosso dal creditore. Avviene con l’opposizione di un’exceptio, ma talora anche definendo la condemnatio in modo tale da togliere una parte del debito. Exceptio- il vincolo si considera esistente fino al processo, ma la pretesa dell’attore viene paralizzata a causa di un fatto che è intervenuto nel rapporto fra le parti e che secondo il pretore è tale da rendere l’azione ingiusta. Perciò egli concede l’exceptio a favore del convenuto che gliela chiede: così nella formula si indica il fatto e si ordina al giudice di assolvere il convenuto, se tale fatto verrà accertato. Es: datqio in solutum: la prestazione è diversa da quella dovuta ma è valutabile come equivalente. Secondo i proculiani vi è bisogno di un’exceptio doli per respingere l’azione del creditore, riconoscendo l’equivalenza della prestazione resa e determinando l’assoluzione del convenuto. Anche il pactum de non petendo che ha come oggetto la rinunzia all’azione da parte del creditore, ha effetti estintivi. Vi è poi un modo parziale non tramite exceptio. Si tratta del beneficium competentiae: trattamento speciale che si applica a varie specie di azioni; possono essere sollevati da una quota di debiti a loro carico: la misura della detrazione è fissata dalla formula. In questa fattispecie l’obbligazione si estingue parzialmente poiché il pretore introduce, su richiesta del debitore, una taxatio: clausola che ha la funzione di ridurre l’ammontare della condemnatio formulare. La sentenza del giudice disporrà che al creditore venga pagata una somma minore di quanto dovuto. La giurisprudenza descrive tre modi di estinzione tramite intervento pretorio:
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